Repubblica Mino Milani, maestro dietro i fumetti DOMENICA...

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DOMENICA 13 DICEMBRE 2009 D omenica La di Repubblica Coppi gli angeli e A cinquant’anni dalla morte, Milano e Carrea, i gregari del campionissimo, ne raccontano grandezza e solitudine l’attualità Londra, il tramonto dei paparazzi ENRICO FRANCESCHINI e ANAIS GINORI le tendenze Il gioiello alla conquista del colore LAURA LAURENZI l’incontro Tavernier: una vita che ribolle cinema MARIO SERENELLINI FOTO AGENZIA GIEMME MAURIZIO CROSETTI NOVI LIGURE S e oggi Coppi fosse vivo, sarebbe forse un vecchio ma- gro con gli occhi enormi. Forse sorriderebbe anche meno di prima. Andrebbe alle premiazioni e alle fe- ste, ma poco, e non farebbe discorsi. Giusto quattro parole per dire grazie. Anche in televisione andrebbe poco: per ti- midezza, e per il profondo senso di appartenenza a un altro tem- po, così lontano e silenzioso. Sarebbe un uomo quieto ma non pacificato. Vivrebbe, come tutti, in compagnia dei propri demo- ni. Sarebbe, come tutti, irrisolto. E mai una parola sulle sue don- ne e sugli amori lontani, giusti o sbagliati che fossero. Se oggi Fau- sto Coppi fosse vivo avrebbe novant’anni, e ogni tanto sbuche- rebbe come una visione da queste nebbie azzurre di collina. (segue nelle pagine successive) GIANNI MURA I l 2 gennaio 1960, alle 8.45, all’ospedale di Tortona moriva Fausto Coppi. Ucciso da un attacco di malaria e dall’igno- ranza di medici che lo scambiarono per influenza, curan- do il malato con antibiotici quando sarebbe bastato un po’ di chinino ma, soprattutto, ignorando gli appelli di chi, dalla Francia dove avevano salvato Geminiani, indicava la strada giu- sta. Nel 2010, saranno cinquant’anni dalla morte di Coppi e die- ci da quella di Bartali, ed è quasi impossibile dire quanto la gran- dezza dell’uno abbia contribuito alla grandezza dell’altro. Una ri- valità forte ma pulita, che aveva diviso l’Italia del tifo e della poli- tica. Così diversi, i due: l’uomo di ferro e l’uomo di vetro (Coppi, tredici fratture). (segue nelle pagine successive) cultura Mino Milani, maestro dietro i fumetti PAOLO MAURI spettacoli Le nuove eroine, da Ripley a Earhart SILVIA BIZIO e LOREDANA LIPPERINI Repubblica Nazionale

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DOMENICA 13DICEMBRE 2009

DomenicaLa

di Repubblica

Coppigli angelie

A cinquant’anni dalla morte, Milanoe Carrea, i gregari del campionissimo,

ne raccontano grandezza e solitudine

l’attualità

Londra, il tramonto dei paparazziENRICO FRANCESCHINI e ANAIS GINORI

le tendenze

Il gioiello alla conquista del coloreLAURA LAURENZI

l’incontro

Tavernier: una vita che ribolle cinemaMARIO SERENELLINI

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E

MAURIZIO CROSETTI

NOVI LIGURE

Se oggi Coppi fosse vivo, sarebbe forse un vecchio ma-gro con gli occhi enormi. Forse sorriderebbe anchemeno di prima. Andrebbe alle premiazioni e alle fe-ste, ma poco, e non farebbe discorsi. Giusto quattro

parole per dire grazie. Anche in televisione andrebbe poco: per ti-midezza, e per il profondo senso di appartenenza a un altro tem-po, così lontano e silenzioso. Sarebbe un uomo quieto ma nonpacificato. Vivrebbe, come tutti, in compagnia dei propri demo-ni. Sarebbe, come tutti, irrisolto. E mai una parola sulle sue don-ne e sugli amori lontani, giusti o sbagliati che fossero. Se oggi Fau-sto Coppi fosse vivo avrebbe novant’anni, e ogni tanto sbuche-rebbe come una visione da queste nebbie azzurre di collina.

(segue nelle pagine successive)

GIANNI MURA

Il 2 gennaio 1960, alle 8.45, all’ospedale di Tortona morivaFausto Coppi. Ucciso da un attacco di malaria e dall’igno-ranza di medici che lo scambiarono per influenza, curan-do il malato con antibiotici quando sarebbe bastato un po’

di chinino ma, soprattutto, ignorando gli appelli di chi, dallaFrancia dove avevano salvato Geminiani, indicava la strada giu-sta. Nel 2010, saranno cinquant’anni dalla morte di Coppi e die-ci da quella di Bartali, ed è quasi impossibile dire quanto la gran-dezza dell’uno abbia contribuito alla grandezza dell’altro. Una ri-valità forte ma pulita, che aveva diviso l’Italia del tifo e della poli-tica. Così diversi, i due: l’uomo di ferro e l’uomo di vetro (Coppi,tredici fratture).

(segue nelle pagine successive)

cultura

Mino Milani, maestro dietro i fumettiPAOLO MAURI

spettacoli

Le nuove eroine, da Ripley a EarhartSILVIA BIZIO e LOREDANA LIPPERINI

Repubblica Nazionale

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Coppi e gli angelila copertina38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13DICEMBRE 2009

MAURIZIO CROSETTImanzia, io non pensavo mai che morisse veramente. IlFausto sognava di mettere su una fabbrica di bici, avevagià comprato il terreno a Tortona. Era severo, si allenavail doppio degli altri. Otto giorni dopo la morte mi arrivò lacartolina che mi aveva spedito dall’Alto Volta». Ettore Mi-lano apre una vecchia busta, estrae un cartoncino. L’im-magine di uno stadio. La data, 14 dicembre 1959. «Cari sa-luti, Fausto».

Per arrivare da Sandrino Carrea, l’altro angelo di Cop-pi, bisogna infilare il rettilineo che da Novi punta a Cassa-no Spinola e poi a Villalvernia. È già buio, rombano ca-mion spaventosi nel silenzio immobile della pianura. Lacasetta ha due piani e una cancellata scura. Sandrino è làin cima con la moglie Anna, dentro una camicia di flanel-la a quadri. Nodose le dita, sono schiaccianoci. E il naso èun memorabile arpione, il becco di una creatura mitolo-gica. Ettore dice che Sandrino è incrociato con l’orso.

«Ah Fausto, il mio Fausto, tutti adesso dicono di averloconosciuto e di averci preso un tè insieme. Col cavolo!Tortona e Novi litigano per lui, e c’è chi ne ha fatto mer-cato, chi ci mangia. Ci volevano cinquant’anni per parla-re così tanto di lui? Per ricordarsi? Stamattina sono anda-to a caccia sulle colline qui intorno. Con Fausto si andavaa sparare verso Oviglio. Eh, se ci fosse ancora lui avrem-mo una bella compagnia. Ogni tanto passo a trovarlo alcimitero, proprio quando vado a caccia, sto lì e gli do unsaluto ma solo se non c’è nessuno».

«A Biagio Cavanna, il massaggiatore cieco, bastò toc-carmi le mani per capire che potevo fare il ciclista: eranopiene di calli, io portavo su e giù i mattoni ai caselli delleferrovie e alla fornace. Mi sono fatto due anni di campo diconcentramento a Buchenwald, si dormiva in 360 dentrouna buca, coperti da un telone, e tutte le mattine c’eragente che non si svegliava più. Devo la vita a un cappottobelga e alle patate che rubavo».

«Fausto diceva poche parole, lui voleva il risultato. Di-ceva: io, Milano, Carrea, Gismondi, questi sono i miei cor-ridori, gli altri prendeteli pure voi. Se fosse ancora vivo,tanti ragazzi in Piemonte andrebbero in bici e invece or-mai è come a messa, che ci sono quattro gatti e tutti vec-chi».

«A un certo punto della corsa, Fausto diceva: davanti!Era il segnale. Era il giorno dell’attacco. Facevamo allena-menti di 180 o 200 chilometri per volta, il giro del Sassello,

salite e discese tra Piemonte e Liguria, e alle volte all’arri-vo lui pedalava altri settanta chilometri da solo. Tuttiquelli che si presero il morbo in Africa si sono salvati e luino: le sembra possibile? Il fratello di Geminiani telefonòin ospedale per avvertire che era malaria, i medici non loascoltavano e la Dama Bianca disse: sono la moglie di undottore, cosa vogliono ’sti francesi?».

«Mi ricordo una volta a Trento, la sera di una tappa delGiro. Fausto mangiò le quaglie con la polenta. La mattinadopo, diarrea. In quei casi si doveva fare tutto in bici, noigregari ci mettevamo attorno a Fausto con i giornali percoprirlo, come quando vomitava perché era un po’ deli-cato di stomaco. Invece polmoni e gambe li aveva comenessuno al mondo, mai visto tanta potenza, Fausto pe-dalava senza sentire la catena».

«Ci voleva bene, era una brava persona che sapevaascoltare. Però si teneva tutto dentro. Con Bartali eraguerra ma solo in corsa. Fausto ogni tanto lo immagino vi-vo, che insegna ciclismo ai ragazzi, e mi manca. Con lui hopassato tutta la mia vita più bella, che è la vita da giovani».

«Mi è rimasta qualche maglia da ciclista. Annaaaa!». Lamoglie, rapidissima, le porta. Una casacca tricolore, del-la squadra nazionale al Tour. Una gialla. «Perché io la in-dossai nel ’52 per un solo giorno e avevo quasi le lacrime,guardavo Fausto, gli dissi “non mi spetta, è tua” e infatti ilgiorno dopo se la riprese». L’ultima maglia stesa sul diva-no è rosa, infeltrita, un enorme colletto a punta e la scrit-ta Bianchi su un pezzo di stoffa volante, ecco che si è giàstaccato. «Era di Fausto. Una decina di giorni prima chemorisse, lo incontrai per caso al ponte sullo Scrivia, a Cas-sano Spinola. Era quasi Natale. Lui era stato da sua mam-ma a Castellania e tornava a casa. Mi disse che avrebbe vo-luto andare a caccia, ma si sentiva così debole che era riu-scito a infilarsi solo uno stivale».

Sono belle le vecchie maglie di lana, immobili sul sofà.Adesso la stanza è come immersa dentro nuvole di nafta-lina. Così magari il tempo non si mangia tutto, come unatarma.

Il 2 gennaio 1960 moriva “l’uomo solo al comando”Ma quell’uomo non era mai stato solo: Ettore e Sandrinolo hanno accompagnato dappertutto, per salite, discese,tappe, fino all’ultimo viaggio. Oggi ricordano ancora il suo segnale:“Davanti!” E dicono: “Se fosse vivo, insegnerebbe a correree tanti ragazzi amerebbero andare in bicicletta”

INFANZIANasce

a Castellania

(Alessandria)

nel 1919

Fa il garzone

a Novi Ligure

Incontra Biagio

Cavanna,

il maestro

di ciclismo

ESORDINel 1940

è gregario

di Bartali

al Giro d’Italia

Il capitano

cade e Coppi

fa la sua prima

incredibile fuga

Vincerà il suo

primo Giro© RIPRODUZIONE RISERVATA

la vita

la miss. Erano giorni di allegria, eravamo gente affratella-ta. Il Fausto era troppo buono, sensibile, generoso, tutti ipremi li lasciava a noi, e molto intelligente: prigioniero inAfrica, imparò da solo l’inglese e il francese. Ero anche ilsuo confidente. Lo conobbi in tempo di guerra e poi cor-si con lui dal ’49, alla Bianchi. Mai sgobbato per il paese oper la maglia, solo per il Fausto. E il Fausto non si tocca».

«Nel ’48, durante il Tour di Bartali, andavamo ad alle-narci insieme e il Fausto a un certo punto non volevaneanche più accendere la radio: vinceva sempre quello là.Così il Fausto mi disse: se l’anno prossimo in Francia nonci andiamo anche io e te, smetto di correre, giuro. An-dammo, e lui stravinse. Dormivamo nella stessa camera,io alle nove di sera ero già stravolto e appena mettevo il na-so sotto il lenzuolo mi addormentavo; lui diceva “ma co-me, sei qui a farmi compagnia e poi dormi?”. Però, quan-do invece dormiva lui, ogni tanto mi svegliavo nel cuoredella notte e sentivo che digrignava i denti, era sempre in-quieto, tormentato dentro. Era un uomo solo, questo sì».

«La moglie del Fausto, la Bruna, era nata paesana emorì paesana: non capì che in casa l’uomo era suo, mafuori casa era di tutti, era del pubblico. Lei non lo accetta-va. Invece, della Dama, il Fausto non ne poteva più. Nonparlava mai: dovevamo capirlo da muto. Negli ultimitempi correva anche per stare via di casa. Noi in bici era-vamo incatramati di bitume e fatica. Il Fausto non avevagrasso sulle ossa fragili, solo muscoli e nervi, e quando ca-scava si rompeva. È stato anche tanto scalognato: per lecadute e per le donne. La malaria l’aveva già presa da sol-dato e poi la riprese in Africa, e del tipo peggiore, la perni-ciosa. Io lo accompagnai all’ospedale, a Tortona, alle duedel pomeriggio del primo gennaio 1960, si vedeva che eragià mezzo morto, si capiva dal colore della pelle, giallo-gnola. Qualche giorno prima mi ero vestito da Babbo Na-tale per far contento il bambino, ma tutti eravamo tristi.Ho passato l’ultima notte vicino al Fausto. Alle due mi hachiesto “ti prego, dammi l’aria” e io gli ho cambiato labombola dell’ossigeno che era vuota. Poi sono andato aVilla Carla a prendere i vestiti ma solo così, per scara-

I gregari del Campione“Il Fausto non si tocca”

(segue dalla copertina)

Forse e con prudenza andrebbe ancora a cac-cia, dentro un bellissimo freddo. Amerebbepoca e selezionata compagnia e passerebbemolto tempo insieme a Ettore e Sandrino. Et-tore Milano e Sandrino Carrea, i gregari più fe-deli, i confidenti, gli scudieri, le ombre sulle

strade bianche, le mani che proteggevano, passavanoborracce, panini, giornali. Due custodi di memorie, guar-diani di un castello ormai disabitato. Due fantasmi, a lo-ro modo. Eccoli avvicinarsi a piccolissimi passi verso il piùstrano compleanno del loro capitano Fausto: i cin-quant’anni della sua morte. Mezzo secolo di ricordi, rim-pianti e silenzi. Prima che tutto si consumi fino in fondo,sono le parole a mantenerci vivi.

Gli occhi di Ettore, le mani di Sandrino. Liquidi, com-mossi. Enormi, nodose. Ettore ha ottantaquattro anni,Sandrino uno di più. Ettore, in casa, non ha neanche unafotografia di biciclette o una coppa, neanche una vecchiamaglia da ciclista infeltrita: «Me n’era rimasta una, l’ulti-ma, tutta bucata dalle tarme. L’ho buttata via». Sandrinoinvece ha appeso un grande quadro di Fausto dove, in-credibilmente, Fausto sorride.

Li chiamavano gli angeli di Coppi. E lo sono rimasti, an-che dopo quel mattino nero: 2 gennaio 1960, ospedale diTortona, reparto «dozzinanti», stanza numero quattro.Mezzo secolo. Le salite, gli infami tornanti, la tremendasolitudine, la malaria assurda, la fine. Il tempo.

Oggi il tempo è gonfio di nebbia, sulla strada che pun-ta verso Novi Ligure e sfiora sagome di fabbriche, una ri-ga di alberi stecchiti, un ciclista solitario con la mantelli-na verde. Ettore Milano abita vicino alla Pernigotti, equando il vento gira si sente il profumo della cioccolatache morsica l’aria e stordisce. Dentro la felpa grigia, nonsembra prigioniero del ricordo. «Sono una bella vigna chenon fa più uva». La figlia Laura porta una tazza di tè e unabottiglia di limoncino.

«Vinsi solo una corsa importante, una tappa del Girod’Italia nel ’53 a Napoli. Sergio Zavoli e Mario Ferretti mifecero uno scherzo da preti, andarono a pagare una don-na orrenda, senza denti e strabica, per darmi il bacio del-

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Repubblica Nazionale

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(segue dalla copertina)

Il toscanaccio ciarliero con la voce roca, alla Ciotti, e il pie-montese timido, di poche parole, il ruvido Gino che fumava,faceva tardi giocando a scopa e beveva vino rosso, l’elegan-

te Fausto che s’allenava in calzamaglia quando gli altri portava-no calzoni alla zuava.

Mai fumato, lui, e un po’ di champagne solo lontano dalle cor-se. Nel dopoguerra del referendum, Bartali era l’uomo della Chie-sa, il devoto di santa Teresa, e Coppi l’uomo di sinistra, che peramore va contro le leggi. In realtà Coppi votava Dc come Bartali,ma i tifosi non lo sapevano.

Ultimamente sono usciti molti libri su Coppi. Tanti da auto-rizzare una domanda banale: perché Coppi è ancora così popo-lare? La risposta è semplice: perché per come correva, anzi percome vinceva, e per com’è morto, Coppi è entrato nel mito dellosport. È un’icona, una leggenda, è nel cielo dei massimi eroi e dalì non lo leverà nessuno. Coppi era un ciclista quasi perfetto sulpasso e in salita. Il punto debole era la volata, quindi era quasi ob-bligato a vincere per distacco. «Un uomo solo al comando, la suamaglia è biancoceleste» e a quel punto la voce di Mario Ferretti,alla radio, aveva già fatto balzare dalle sedie i tifosi, prima ancoradi concludere «il suo nome è Fausto Coppi». Alla prima corsa chevinse, il giudice d’arrivo scrisse Cappi. E lui a correggere: «Guar-di, mi chiamo Coppi. Coppi. Come le tegole».

Coppi era elegante solo in sella. Il giovane Anquetil andò a far-gli visita e in Francia raccontò: «Credevo vivesse da principe, e vi-veva in mezzo alle galline». Coppi: gambe molto lunghe rispettoal busto, un gran naso, lo sterno carenato come gli uccelli, due oc-chi miti. La miniera d’oro visibile erano i muscoli lunghi e delica-ti, quella interna un cuore da quaranta battiti al minuto, a riposo,e una capacità polmonare vicina ai sette litri. Era una macchinada sforzo: scansato il seminario, meta quasi obbligata dei poveri,troppo delicato per lavorare quei costoni di terra argillosa e ava-ra, garzone di salumiere (in bici, dunque rapidissimo) a Novi Li-gure. Pur essendo già famoso come ciclista, scoppiata la guerraCoppi non ebbe trattamenti di favore. Arruolato in fanteria, spe-dito in Africa, munito di un vecchio fucile, fatto prigioniero dagliinglesi e internato in un campo vicino a Capo Bon, presa la mala-ria, mangiato quel che c’era (anche rospi, e non in senso metafo-rico). E poi il ritorno a casa, sbarcando a Napoli e traversando suicamion un’Italia devastata. Ma era sempre lui: la Sanremo del ’46la vinse scollinando in solitudine sul Turchino e arrivando dopo147 chilometri di fuga con 14’ sul secondo.

Era il modo di vincere, la fuga molto spesso partendo lontanodal traguardo, a creare l’amore, l’ammirazione, il mito del gran-de airone. Fughe come quella della Cuneo-Pinerolo, ben 192 chi-lometri con cinque colli da scalare: Madeleine, Vars, Izoard,Monginevro e Sestriere. Era già maglia rosa, in quel Giro del ’49,non aveva bisogno dell’impresa. Ma allora i campioni veri l’im-presa la cercavano, meglio se gratuita. E Coppi l’aveva in mentefin dalla sera prima. Cosa mettiamo nelle sacchette dei gregari?chiese a Coppi il ds Tragella. «Pane, salame e un lanternino, per-

ché arriveranno col buio» disse Coppi.Alfredo Martini, che di Coppi fu fedele gregario e amico, mi rac-

contò che un giorno al Tour stava male, in fondo al gruppo, e Cop-pi gli portò una borraccia d’acqua fresca. Invertite le parti. «Ri-cambierai quando sarai a posto». Sempre Martini mi parlò del-l’aura di tristezza che avvolgeva Coppi anche nei momenti deltrionfo. Appena l’ombra di un sorriso, o una mano alzata dal ma-nubrio. «Come se quasi rimpiangesse di avere staccato tutti a quelmodo, di averli in un certo senso umiliati». Molte invece sono leimmagini di Coppi stremato, sorretto da due suiveurs appenasceso di sella o accasciato sul prato del velodromo. È idea diffusache abbia chiesto molto, forse troppo al suo fisico. D’altra partel’antidoping non esisteva e «tutto quello che è in commercio e mipuò servire lo prendo».

Negli ultimi tre anni da ciclista aveva vinto solo il Trofeo Ba-racchi, in coppia col giovane Baldini. Era una specie di vecchiagloria, ma sempre osannata. Corre per i soldi, per mantenere untrain de vie dispendioso, corre per stare lontano da casa, diceva-no i vecchi del ciclismo. Non sopportava più la Dama Bianca, era-no scenate continue (lei era molto gelosa). Fino all’ultimo. «Tu seisempre fuori ma la prossima volta potrei essere io ad andarme-ne», gli disse. «Quando vuoi, quella è la porta», disse lui. Testimo-ne Romeo Venturelli, che era andato con la sua auto a prendereCoppi all’aeroporto, dopo il safari in Africa. E che, vista l’aria diburrasca, declinò frettolosamente l’invito a dormire lì. Si sape-va che, tramite Bartali, Coppi aveva chiesto un incontro al car-dinale di Milano, Montini, futuro papa. Incontro fissato per il29 dicembre 1959 per «urgenti questioni private». Ma il 29 Cop-pi era già in preda alla febbre alta. È probabile che volesse tor-nare da Bruna, la moglie, ma ormai non ha importanza. La so-litudine dell’attaccante era rimasta attaccata all’uomo.

Da professionista Coppi ha corso 666 gare su strada vin-cendone 144. Per fare un paragone, Merckx ne ha vinte incarriera 525 e Pantani 32. Dalla Milano-Sanremo del ’40 alCriterium di Ouagadougou (13 dicembre ’59) ha pedalatoper 119.078,300 chilometri. I calcoli sono di Rino Negri,giornalista pavese amico di Coppi. E Coppi è ancora in fu-

ga, eternamente al comando della corsa e dei ricordi.

GIANNI MURA

Il ciclista perfettoeroe senza volerlo

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 13DICEMBRE 2009

VITTORIEIn guerra vienemandatoin AfricaAl ritornocontinuaa vincereTra i successi,cinque Girie due Tourde France

MORTEA Capodannodel 1960 vienericoveratoa Tortonacon febbrealtissimaMoriràil 2 gennaio:malaria nondiagnosticata

IERI E OGGINella foto grande,Fausto Coppi in azione;accanto, Ettore Milanoe Sandrino Carreaoggi. In copertina,una foto trattada “Gli angeli di Coppi”Ediciclo Editore:Coppi con Milanoe Carrea nel 1955

ICONAIn queste pagine,copertine di giornalid’epoca e figurinededicate al Campionissimo

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13DICEMBRE 2009

l’attualitàScoop

Gli eredi della Dolce Vita sono sotto scacco. La reginaElisabetta è stata chiara: non verranno più tollerate invasionidella privacy. Un diktat con un occhio al passato, la fine di Diana,e uno al futuro: un matrimonio in vistache fa impazzire qualsiasi tabloid

crazia.È qui che i paparazzi degli anni Duemi-

la soffrono, lottano, litigano, provocano,beccano sberle e cazzotti, rincorrono, ca-dono, insultano e sono insultati, mentresparano mitragliate di flash nella speran-za di centrare il colpo che vale una setti-mana, un mese o in qualche raro caso unanno di lavoro. Era destino, perché il me-stiere battezzato da un’invenzione di Fe-derico Fellini o di Ennio Flaiano o di en-trambi, per dare un nome al fotografo(ispirato da Tazio Secchiaroli) che segueMarcello Mastroianni nelle sue scorri-bande lungo la via Veneto dei primi anniSessanta nella Dolce vita, si è reincarnatonella Londra del blairismo. La “LondonCalling” e la “Cool Britannia” resa sfavil-lante dai guadagni favolosi dei banchieri,dai prezzi alle stelle del mercato immobi-liare, dal fatto che tutti i ricchi della Terra,sceicchi arabi, oligarchi russi, nuovi mi-liardari cinesi e indiani, volevano vivere oavere un punto d’appoggio, diciamo unacasetta di cinque piani e da dieci milionidi euro, nella capitale del Regno Unito.Ma poi la Borsa è crollata, le banche sonofallite, la recessione ha fatto cadere i prez-zi degli immobili, Blair è stato rimpiazza-

to dall’opaco successore Gordon Brown ela dolce vita della Londra di inizio Ventu-nesimo secolo sembra oggi meno dolce.

Sarà un caso, o forse no, ma la piegaamara che attraversa la nazione si è rifles-sa anche sui paparazzi: improvvisamentemessi sotto accusa, dalla società, dai me-dia, da tutti. L’annuncio dei giorni scorsicon cui la regina Elisabetta e il principeCarlo hanno minacciato i fotoreporter,avvertendoli che d’ora in poi ogni inva-sione della privacy della famiglia realenon verrà più tollerata e ci potranno esse-re conseguenze legali, potrebbe avere se-gnato la fine di un’epoca, o perlomeno lasua trasformazione. Il monito di Sua Mae-stà, naturalmente, non è il primo e vieneda lontano: da quell’annus horribilis 1997in cui la principessa Diana morì in un in-cidente automobilistico sotto un tunnelparigino, insieme al fidanzato egizianoDodi al Fayed, inseguita da una torma dipaparazzi in auto e in moto. Un incidenteche gli ostinati seguaci delle teorie delcomplotto continuano ad addebitare aiservizi segreti britannici e alla casa reale,ma che i Windsor addebitano, senza aver-lo mai detto espressamente, ai paparazzi.

Da allora un nuovo sistema di norme

ha gradualmente modificato i confini diciò che è lecito o meno fotografare, e pub-blicare. «Le regole sono cambiate», diceTim Toulmin, direttore della Press Com-plaint Commission, la commissione go-vernativa che controlla diritti e doveri deimedia. I paparazzi possono in teoria con-tinuare a scattare foto, ma i giornali han-no l’obbligo di non pubblicarle, se sonostate prese in condizioni di molestie deisoggetti pubblici bersagliati e in violazio-ne del loro diritto alla riservatezza. E se igiornali non pubblicano, non pagano,dunque è insensato per i fotografi foto-grafare. Il clima è chiaramente mutato.Dall’attrice Sienna Miller alla cantanteAmy Winehouse, si sono moltiplicati i ca-si di personaggi famosi che citano in giu-dizio i paparazzi o il giornale che ha pub-blicato un’immagine scattata in circo-stanze giudicate inaccettabili; e le stelledello spettacolo hanno vinto lauti risarci-menti. Ma le regole della Pcc non valgonoper i giornali stranieri, che continuano apagare per le foto di gossip. Le più banaliottengono qualche centinaio di euro, male migliori, quelle che riprendono una bi-sticciata tra noti amanti o una riappacifi-cazione possono valerne ventimila; e le

foto eccezionali anche di più. Abbastan-za, talvolta, per acquistare un’automobi-le o un appartamento.

L’episodio che ha portato a un nuovogiro di vite, in modo da tenere a bada nonsolo i giornali (ossia la domanda di foto)ma pure i paparazzi (cioè l’offerta), risalea due anni or sono. E ha per protagonista,come in un epilogo della dolce vita felli-niana dal Tevere al Tamigi, un fotografoitaliano: Alessandro Copetti, nato a Tol-mezzo, Friuli, trentanove anni fa, foto-giornalista da due decenni, trasferitosi nel1998 in Gran Bretagna. Un paparazzo chelavora per una nota agenzia del settore, laMatrix, un nome noto nell’ambiente, nonnuovo a controversie, una volta preso apedate da Chris Martin, il cantante deiColdplay, perché l’aveva fotografato in-sieme alla moglie Gwyneth Paltrow all’u-scita del San Lorenzo, ritrovo della risto-razione italiana dai tempi della SwingingLondon anni Sessanta. «A quanto pareMartin crede che essere una celebrità loautorizzi a essere violento», commentò ilpaparazzo.

Ma il suo vero quarto d’ora di celebritàè venuto nel 2007, davanti a Boujis, la di-scoteca di South Kensington prediletta

L’ultima guerra ai paparazziENRICO FRANCESCHINI

LONDRA

Incontrarli è semplice. Ce ne sonosempre due o tre appostati davan-ti a Cipriani, il ristorante italiano diMay Fair frequentato da Mick Jag-

ger, dalla duchessa Sarah Ferguson, daDavid Beckham quando passa da Londrae da Flavio Briatore, che ne è comproprie-tario insieme all’Arrigo erede della dina-stia veneziana, in compagnia della moglieElisabetta Gregoraci e di uno stuolo dimodelle. Ce n’è un’altra mezza dozzina aneanche cento metri di distanza, inBerkeley Square, nei pressi di Annabel’s,lo storico night-club for members only,dove trascorrono le nottate vip delloshow-business, miliardari della City e in-tellettuali decadenti. Ma il grosso delbranco staziona di fronte a Boujis, la di-scoteca di South Kensington in cui vannoregolarmente a ballare calciatori famosi,modelle super-maggiorate come Jordan,e soprattutto due eredi al trono di GranBretagna, il principe (e futuro re) Williamcon il suo fratellino Harry, accompagnatida fidanzate e altri rampolli dell’aristo-

FIRST LADYUno scattodi Rino Barillari:JacquelineKennedysi nascondedai flash

FURIA WALTERUna fotostorica di TazioSecchiaroli:Walter Chiariche rincorreun paparazzo

Scuola & EccellenzaLEZIONI SULLE SCUOLE DI SCIENZA

DEL NOVECENTO ITALIANO

per info: FONDAZIONE SIGMA-TAU

Viale Shakespeare, 47 - 00144 Roma - Tel. 06.5926443 www.fondazionesigmatau.it

Gilberto Corbellini ordinario di storia

della Medicina all’Università di Roma “La Sapienza”

“L’ERADICAZIONE DELLA MALARIA: L’ESEMPIO ITALIANO”A seguire dibattito con MARCO CORSI direttore medico del gruppo Sigma-Tau s.p.a. e DAVID MODIANO ordinario di Parassitologia alla seconda

Facoltà di Medicina dell'Università “La Sapienza” di Roma, coordinato da PINO DONGHI, Segretario Generale di Fondazione Sigma-Tau

BIGLIETTO POSTO UNICO 2 EURO

Lunedì 14 dicembre 2009, ore 11

Teatro Studio Auditorium Parco della Musica

FONDAZIONE SIGMA-TAUin coproduzione con

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 13DICEMBRE 2009

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Tina Brown.La famiglia realesi prepara al grande assalto

ANAIS GINORI

«Lafamiglia reale si sta preparando al grande as-salto». Tina Brown, direttore del sito america-no d’opinione The Daily Beast ha conosciuto

bene la “Principessa triste” alla quale nel 2007 ha dedi-cato una documentata biografia, Diana Chronicles.Quando ha sentito l’avvertimento mandato da Buckin-gham Palace contro i paparazzi, Brown ha sorriso: è sta-ta la conferma indiretta di ciò che lei già sapeva. «Sonosicura che il matrimonio tra il principe William e KateMiddleton è nell’aria. I reali britannici stanno semplice-mente pensando a come affrontare l’attacco dei papa-razzi». Poi, ricordando il tragico inseguimento di Lady Dsotto il tunnel de l’Alma, Tina Brown ha avuto un brivi-do. «Certe cose non dovrebbero più succedere». I realibritannici, che hanno riempito per anni le cronachemondane, possono ora decidere di invocare la privacy?

«Mi sembra come chiudere le stalle quando i buoi so-no già scappati. La regina non può più, come un tempo,far leva sulla solidarietà popolare. I principini sono or-mai cresciuti, hanno anche combattuto nell’esercito. Lafutura sposa di William, Kate Middleton, è una donnache va verso i trent’anni. Che la regina faccia questo tipodi richiamo in vista del matrimonio di William lo capi-sco. Ma non è realistico, soprattutto guardando comeoggi i media si comportano».

C’è un limite che i paparazzi non devono superare?«Andrebbe posta una distanza minima di sicurezza

tra fotografi e persone famose. Ci dovrebbe essere una

legge che stabilisca quanto è lecito avvicinarsi. Ripen-sando a come è morta Diana, trovo atroce che i papa-razzi possano ancora inseguire con macchine o moto lecelebrità, spiarle con teleobiettivi durante vacanze pri-vate. Ecco, immaginare un cordone di sicurezza non misembra impossibile».

Una legge così non minaccia la libertà di stampa?«Una minaccia certamente esiste. Purtroppo, la

stampa più responsabile subisce intimidazioni provo-cate dall’irresponsabilità di alcuni cowboy».

I paparazzi della Dolce Vita sono molto diversi daquelli tecnologici di oggi?

«Non c’è confronto tra l’attuale aggressione dei papa-razzi e quella anni Sessanta. Oggi non ci sono letteral-mente più vie di fuga, l’intensità dalla copertura dei me-dia è totale. Per essere protetti bisognerebbe vivere blin-dati tra le mura di un castello o di una casa fortificata. In-ternet ha fatto infuriare l’appetito e la gente crede che siaun diritto sapere tutto, di tutti, in ogni momento».

In alcuni paesi, come Francia o Germania, i fotogra-fi hanno bisogno dell’autorizzazione delle persone ri-tratte prima di pubblicare le immagini. È favorevole?

«No, non vorrei andare verso un mondo interamentecontrollato, con una stampa imbavagliata. La democra-zia significa saper conciliare il buono con il cattivo. Allafine, questa è ancora la miglior strada che possiamo per-correre».

RISSALa notte bravadel principeHarry finitain rissacon i paparazziE immortalata

LOVE STORYIl principe William con la fidanzata Kate Middletone, sotto, lo scoop dell’Evening Standard

INCHIODATOUna fotosequenza del Daily Mailche immortala Edoardo,fratello del principe Carlo,mentre maltratta gli animali;in alto, la principessa Dianaassediata dai fotografi

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dai principini Windsor. Quella notte, ilprincipe William e la fidanzata KateMiddleton uscirono dalla disco manonella mano. Era uno scoop: la prima voltache apparivano insieme in pubblico, do-po essersi lasciati sei mesi prima. La pro-va che si erano rimessi insieme. La foto diCopetti, pubblicata dall’EveningStandard del gior-no dopo,immortalòun momen-to che conte-neva l’allet-tante promes-sa di un matri-monio reale.Ma tra i flash e lesgommate, ilbranco dei pa-parazzi inseguìper le vie di Lon-dra la Range Ro-ver guidata daagenti della scortasu cui viaggiavanoWilliam e Kate.William ebbe pau-ra: per sé e per Kate.E provò uno sdegno «incredulo», se-condo il suo portavoce: proprio quellasettimana si era aperta a Londra l’in-chiesta sulla morte di sua madre, sottoil tunnel di Parigi, inseguita dai papa-razzi. Il nuovo inseguimento sembra-va un dejà vu della tragedia di Diana didieci anni prima. Non era stata una le-zione sufficiente?

Il Mail e il Mirror, di fronte alle ri-mostranze del principe, non pubbli-carono la foto, sebbene i paparazzinegassero di avere messo veramen-te in pericolo il principe e la fidanza-ta. «Non ci fu alcun inseguimentoaggressivo», ricorda uno, chieden-do di restare anonimo. «Loro del restopassano sempre col rosso, scortati dallapolizia, è impossibile stargli dietro. E unoscooter non ha storia, correndo dietro auna Range Rover». Come che sia, la per-cezione di quella notte ha spinto oggi la re-gina a minacciare azioni legali in difesadella privacy sua e della sua famiglia. Co-sì, dallo scooter di Tazio Secchiaroli aquello dei suoi discendenti nella dolce vi-ta londinese, per i paparazzi sono forse fi-niti i nuovi tempi d’oro.

ASSEDIOIn alto a sinistra, Amy Winehouse assediatadai fotografi mentre esce da un locale scortata

Piccolanel formatoGrande nei

contenuti

S O L O N E L L E M I G L I O R I L I B R E R I E

Enciclopedia Treccani. Da oggi in 2 volumi.

Repubblica Nazionale

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42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13DICEMBRE 2009

Una vitadietro

PAOLO MAURI

Mino Milaniartigiano di storie

Iniziò mandando un racconto al “Corriere dei Piccoli” nel 1953In pochi anni divenne il più amato scrittore per ragazzi:i lettori lo imploravano di non far morire i suoi personaggi, i direttori

che si susseguivano cambiavano tutto tranne il suo spazio. Ma soprattutto i più grandiillustratori italiani, da Pratt a Manara, a Toppi furono ispirati da lui e disegnaronole sue avventure. Ora, passati gli ottanta, si confessa in un’autobiografia

CULTURA*

Nel numero del 27 maggio1945 il Corriere dei Picco-li pubblicava una poe-siola intitolata Sbalillia-moci firmata da “San-cio”. Il fascismo era fini-

to e anche il Corrierino, dopo vent’annidi obbedienza, poteva riprendersi le suelibertà cantando: «Via le goffe cianfru-saglie/ schioppo fasci fez medaglie!/ Viala grinta da zulù!/ Il fanciullo italiano/torni schietto allegro sano/ un fanciulloe niente più». La poesia non è davveroun gran che, ma dimostra che anche igiornali per i ragazzi riflettono il climadel tempo.

Pochissimi anni dopo, nel’53, cominciava la sua colla-borazione al settimanale,nato, è giusto ricordarlo,nel 1908, l’allora giova-nissimo Mino Milani,che uno zio Guido ave-va raccomandato al di-rettore in carica, Gio-vanni Mosca. Fu rice-vuto senza entusia-smo, in uno studio pie-no di carte: Moscasembrava provvedereda solo a tutto il giornalesenza uno straccio di re-dazione. Milani non siperse d’animo e mandòun racconto. Fece unalunga anticamera e poifu pubblicato ma, sup-poneva Milani, di ma-lavoglia, per compiace-re l’amico Guido. «ViaSolferino era grigia, ari-stocratica, ostile», scrive oraMilani in un libro autobiografi-co, L’autore si racconta, appena uscitoda Franco Angeli. Non passò però mol-to tempo e Milani azzeccò un raccontoche piacque subito a Mosca e che fupubblicato immediatamente. Era lastoria di un ragazzo che aiuta malvolen-tieri il nonno, noleggiatore di barche sulTicino. Messosi nei guai però il ragazzoverrà aiutato proprio dal nonno: conflit-to generazionale con lieto fine per di piùistruttivo. Il Ticino era un’ambientazio-ne ideale per il pavese Milani che, frescodi laurea in lettere, cercava la sua stradanella letteratura per ragazzi. «M’hannodetto che ti sei messo con Bibì e Bibò», losfotteva un amico che si era appena lau-reato in medicina.

Oggi, a ottant’anni compiuti, MinoMilani può guardare dall’alto in bassotutti quelli che pensano alla letteraturaper l’infanzia e l’adolescenza come auna letteratura di serie B o C. Un discor-so che non sta in piedi se si pensa a ca-polavori come L’isola del tesoro, Pinoc-chio, Cuore o Il richiamo della foresta.Comunque Milani, da collaboratore,divenne poi redattore del Corriere deiPiccoli: un giornale al passo coi tempi,come già si è detto. Nel numero dell’11ottobre 1954, la copertina è dedicata alsignor Bonaventura che «viene preso dipassione/ per la televisione». L’ap-parecchio, disegnato da Sergio Tofa-no, è gigantesco: le tra-smissioni erano ap-pena cominciate, si può dire fosseroancora sperimentali, ma già si parla aibambini di questa nuova scatolamagica. Milani al Corrierino fastrada: comincia a pubblicarestorie a puntate e addirittura un ro-manzo, I ladri del fiume con protagoni-sti due ragazzi: Guglielmo e Nin, il be-neducato e il selvatico. Il fiume era sem-pre l’amato Ticino: dunque niente ef-fetto Mark Twain. Illustrata da GraziaNidasio, la storia restò appannaggio delCorrierino e non divenne mai un libro.Intanto Mosca ripubblicava sul suogiornale un celebre episodio tratto daiRicordi di scuola. Era un maestrino diprima nomina, appena ventenne e do-veva domare una classe, una quinta,piena di ribelli armati di fionda. Ci riu-scirà sfidando il più bullo nell’arte di ab-

fumettiai

FOTO DI GRUPPOMilani con i suoipersonaggiDa destra: Efrem, il Maestro, TommyRiver, Fortebraccio,Capitan CovielloDisegno di Aldo Di Gennaro

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 13DICEMBRE 2009

CLASSICI E MODERNISopra, Sandokan di Hugo Pratt(© 1971 Cong Sa, Losanna.Tutti i diritti riservati - RizzoliLizard); sotto a sinistra, I cinquedella Selena di Dino Battaglia(© Grifo Edizioni) e, accanto,Molly Manderling di AttilioMicheluzzi (© Rizzoli Lizard)

ECLETTICOSopra, il Dottor Oss di GraziaNidasio; a destra, La parolaalla giuria di Milo Manara(© Panini); sotto, Tommy Riverdi Mario Uggeri;nell’immagine grande, I Grandi nel giallo di SergioToppi (© Grifo Edizioni)

IL LIBRO

È in libreria in questi giorni L’autore si racconta,l’autobiografia di Mino Milani edita da FrancoAngeli (112 pagine, 14 euro). Il volume inaugurala collana curata dalle pedagogiste AlessandraAvanzini e Luciana Bellatalla. Per ogni tiolo vienescelto uno scrittore di libri per bambini o ragazziin base alle qualità educative delle sue opere

glio, insieme a quella di Dumas, a esse-re stata tradotta in cinese.

Ma si farebbe torto all’opera omniase non si dicesse che essa molto deveanche ai diversi illustratori che procu-rarono un volto e un luogo ai suoi eroi.Ho già citato Grazia Nidasio: a lei si de-vono anche i disegni che accompagna-rono Il grande viaggio del dottor Oss, fir-mato Pietro Selva. Come sempre acca-de nell’arte popolare, non ci sono pro-blemi nel riprendere i classici. La Nida-sio, mi pare, cita Aubrey Beardsley e Mi-lani-Selva si rifà, lo racconta lui stesso, aun racconto breve di Verne. Ma restan-do agli illustratori ecco un Sandokanfatto con Hugo Pratt e una Rivoluzionefrancese con Milo Manara. L’annoscorso il Festival dell’illustrazione diPavia ha dedicato un libro ai disegnato-ri — se ne contano ben venti — di MinoMilani (lo pubblica Gallucci con il tito-lo Le mani di Mino). Milani faceva allo-ra ottant’anni. «Posso dire d’aver avutoillustratori di gran classe» commentò,sia per i romanzi che per i fumetti. Necitò uno, «Aldo di Gennaro, il più gran-de».

Curioso che fosse stato Mosca, giànemico del fumetto, a chiederglieneuno. Ma i tempi cambiano e i giornali sidebbono adeguare. Fu Guglielmo Zuc-coni a chiedere a Milani, che nel frat-tempo era diventato direttore della Bi-blioteca civica di Pavia, di entrare nellaredazione del Corrierino. Era il ‘64. PoiZucconi passò a dirigere la Domenicadel Corriere e Milani fu incaricato distendere una rubrica diventata prover-biale, La realtà romanzesca. Intanto ilCorriere dei Piccoli si aggiornava modi-ficando la testata (1972) in Corriere deiRagazzi, dove Milani faceva, ancorauna volta con successo, l’inviato nelTempo: un cronista che si aggira nellaStoria. Il Corrierino, che aveva allevatomolte generazioni di bambini italiani,divertendoli con personaggi ancora og-gi assai citati, come Bonaventura, SorPampurio e l’ineffabile Pier CloruroLambicchi, «quel felice/ inventor dellavernice» che trasformava in personereali le figure di carta, aveva retto fintroppo bene all’urto dei nuovi media afumetti anzi, grazie anche a Milani, eradiventato un giornale a fumetti an-ch’esso. Ma l’ultima evoluzione, quellache lo trasformò in Corrier Boyera in so-stanza un addio: si può cambiare finoad un certo punto. Milani andò a dirige-re un giornale per grandi, La ProvinciaPavese, ma ci restò poco.

In Mino Milani convivono da sempreil ragazzo appassionato di avventure, dimitologie, di storia, avventurosa an-ch’essa, e l’adulto umanista, attento aivalori di fondo e nemico dei guerrafon-dai e degli eroi ad ogni costo. Per Milanii veri eroi devono anche saper perdere.Tutto sommato una lezione preziosa.

re fa i complimenti a Piero Selva per ilsuo stile fresco e nuovo ha persino unmoto di gelosia. La sua bibliografia, coltempo, si allunga a dismisura. Si era lau-reato con una tesi sul brigantaggio inCalabria e, da scrittore, avrebbe fre-quentato molto il Risorgimento. Nel1959 il Corriere dei Piccoli gli commis-sionò un fumetto (le illustrazioni eranodi Mario Uggeri) per celebrare l’immi-nente centenario dell’Unità italiana.Ne venne fuori un romanzo, I nemicifratelli, in cui due ufficiali, un garibaldi-no e un piemontese, si combattono inSicilia fino a quando non capiscono chestanno lottando per la stessa causa. MaMilani scrisse anche una biografia criti-ca di Garibaldi: l’unica, dice con orgo-

dici anni a raccontare Tommy River equando Guglielmo Zucconi prese il po-sto di Mosca alla direzione del Corrieri-no chiamò Milani e gli disse: «Il vecchioCrespi mi ha detto di cambiare tuttoquello che voglio. Ma di non toccareTommy River. Per cui, sotto».

Leggendo le memorie di Mino Mila-ni si ha sempre un po’ l’impressione ditrovarsi di fronte un bravissimo scritto-re-artigiano che deve far fronte a com-messe sempre crescenti e che, per il be-ne della ditta, non esita ad accettarenuovi lavori, magari usando pseudoni-mi per evitare l’inflazione della siglamaggiore. Così Milani diventa StelioMartelli, Eugenio Ventura, Piero Selva.Si sdoppia, si triplica: e se qualche letto-

battere un moscone… Un bel giorno, racconta Milani, Mo-

sca lo manda a chiamare e gli chiedeuna storia western, un “serial”. Milani siinventa Tommy River: un bell’uomo,ma non un divo. Non come John Way-ne in Ombre rosse. River è forte, ma haun polmone forato da una pallottolapresa a Gettysburg, per cui ogni tantotossisce e ha sbocchi di sangue. Una let-trice scrive a Milani: «Sono tisica an-ch’io ma, come Tommy, non troppograve». Arrivato alla ventesima punta-ta, Milani lascia il suo eroe sospeso tra lavita e la morte, ma Mosca lo chiama altelefono: «Milani, è un plebiscito. Nonvogliono che Tommy muoia. Ricomin-cia». Morale: Milani andò avanti quin-

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Il gatto rosso si chiamava Jones, entrò in scena per casoe cambiò tutte le carte in tavola. Prima della corsa di-sperata per salvarlo dall’esplosione della Nostromo, lasua proprietaria era semplicemente un membro dell’e-quipaggio, una figura che si confondeva con le ombreche si allungavano nei corridoi dell’astronave nascon-

dendo le zanne e gli umori del mostro in agguato. Prima del sal-vataggio di Jones, il tenente Ripley era un personaggio fra gli al-tri: quello che era destinato a sopravvivere solo per un’inter-pretazione cinica delle quote rosa: secondo la sceneggiatura,la femmina sfuggiva alla morte solo per smentire le aspettati-ve dello spettatore.

Anche grazie a Jones, Ellen Ripley è diventata la capostipitedi un nuovo tipo di eroina cinematografica e narrativa. Arrivòcome una sorpresa felice, a dieci anni dall’esplosione dei mo-vimenti delle donne: il tempo giusto perché non fosse rigida-mente e politicamente corretta, ma perché costituisse un’al-ternativa alle altre donne del cinema di avventura. Cinque an-ni dopo, la compagna di Indiana Jones nelle sue peripezie coni thugs del tempio maledetto corrisponderà ancora al vecchiostereotipo: è bionda, stupida e odia gli insetti. Ripley, invece,imbraccia armi e sfida alieni. Oltre che guerriera, è nomade, so-litaria, lucida, indifferente alle tentazioni sentimentali. È bel-la, certo, ma senza concessioni alla seduzione: boccoli casta-ni, sguardo fermo, un lungo corpo magro mostrato di sfuggitanelle ultime scene coperto da biancheria sportiva (simile aquella che, molti anni dopo, esibisce la Sposa di Kill Bill, men-tre aspetta i risultati del test di gravidanza). Ma Ripley non è sol-tanto un’amazzone: come la Sposa, è una madre, capace di te-nerezza nei confronti di un gatto o di una bambina, e persino— nel terzo e quarto film della serie — di disperato amore neiconfronti del mostro che combatte.

Il mostro è, naturalmente, Alien, che festeggia trent’anni disuccesso: era infatti il 1979 quando Ridley Scott girò il primofilm della serie. Nella finzione, il tenente Ripley aveva all’epocaventotto anni. Era nata, dicono le biografie del personaggio, il 7gennaio 2092 sulla base lunare Olympia, aveva studiato con ot-timo profitto, era diventata ufficiale e madre. Sua figlia avevadue anni quando si era imbarcata sulla Nostromo. Non la ve-dremo mai: nel secondo film (Aliens-Scontro finale, diretto daJames Cameron), Ripley si risveglia dall’ibernazione dopo cin-quantasette anni. Sua figlia è una donna matura, e per lei per-duta. Perduta è anche la piccola Newt, figlia di coloni sterminatisul pianeta LV-426, nido delle creature aliene: per la salvezzadella bambina, Ripley lotta con un’altra, terribile femmina, laRegina xenomorfa, in una delle scene più belle della saga.

Perché il destino di Ripley, sequel dopo sequel, sembra pri-vilegiare l’icona della Grande Madre più che quello della guer-riera. Nel terzo Alien(per la regia di David Fincher), Newt muo-re nell’atterraggio della scialuppa su un pianeta prigione. Ri-pley porta nel suo ventre un alieno: per questo motivo non vie-ne uccisa da uno dei mostri con cui si scontra. Sarà lei a gettar-si nel metallo fuso per cercare pace e chiudere la storia. Nonsarà possibile: nel quarto film, il clone di Ripley si risveglia, af-fronta di nuovo la Regina e anzi le contende l’ibrido che da leiè infine nato, e che riconosce l’umana come vera madre. An-che se Ripley dovrà, infine e con dolore, ucciderlo.

Leggere Alien con gli occhi di Ripley significa ritrovare i temicapitali del femminismo in una storia di avventura e scoprireche anche i personaggi femminili possono essere protagonistidi un’epica. Possono uscire, evitare di singhiozzare su storied’amore andate a male, calpestare spazi e cieli aperti, fare a me-no di una casa e di una patria. Prerogative che, dopo Alien, sa-rebbero spettate ad altre. Nel 1991, Ridley Scott gira Thelma &Louise, trasformando due donne qualunque in avventuriereon the road. Nello stesso anno, un altro regista della saga diAlien, James Cameron, dirige Terminator II, dove Sarah Con-nor, madre del Messia che salverà gli esseri umani, si scopre indebito con Ellen Ripley: non più ragazza smarrita salvata dal-l’eroe, ma donna che combatte per suo figlio e per il mondo tut-to. Altra Grande Madre con bicipiti e pistole, dunque.

Senza Ripley, forse, non sarebbe nata Lara Croft, venuta almondo dei videogame nel 1995 come alternativa al superma-cho e interpretata al cinema, nel 2001, da Angelina Jolie. E for-se non sarebbe stata possibile una delle eroine più amate delcinema fantastico, la Trinity di Matrix: che, pure, abbandonala durezza della combattente per l’amore, fino al sacrificio ri-tuale che la vede morire nel terzo e ultimo film.

Ma l’influenza di Ripley si estende anche a storie insospet-tabili. Nel primo Shrek, è su di lei e, esplicitamente, su Trinity,che si modella la principessa Fiona, tutt’altro che disposta a la-sciarsi salvare dal principe o dall’avventuriero di turno. E c’è ilsospetto che l’ombra della guerriera abbia reso possibile an-che la trasformazione di Arwen Undòmiel ne Il signore deglianelli, dove l’amata di Aragorn entra in scena armata di spadae sostituisce l’elfo Glorfindel nel salvataggio di Frodo, a diffe-

Trent’anni fa, Sigourney Weaverrecitava da protagonista in “Alien”Solitaria, coraggiosa e indifferente

alle tentazioni sentimentali, è diventatacapostipite di un nuovo modello filmicoQuello di Lara Croft e, della Sposadi Tarantino, della Million DollarBaby interpretata da HilarySwank, l’attrice che ora diventaAmelia Earhart,pioniera dell’aviazione

SPETTACOLI

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13DICEMBRE 2009

ANTESIGNANASigourneyWeaverè Ellen Ripleynel primo Alien,direttoda Ridley Scott;nel tondonell’altra paginaHilary Swank nel suo nuovofilm Amelia

LOREDANA LIPPERINI

Donne guerrierefiglie di Ripley

renza di quanto avviene nel libro di Tolkien. Né, naturalmen-te, sarebbe stata concepibile la Maggie Fitzgerald di MillionDollary Baby, interpretata da Hilary Swank, e come lei corag-giosa, indomabile, protagonista in un territorio fino a quel mo-mento indiscutibilmente maschile: ma anche custode, nellapropria determinazione, dei segreti della vita e della morte, ecaparbia nel voler decidere il proprio destino.

L’ultima donna della serie è la Beatrix Kiddo raccontata daQuentin Tarantino in Kill Bill. È l’erede diretta di Ripley, coleiche raccoglie il testimone e colei a cui, nonostante tutto, si ri-serva il destino migliore. Come Ripley, Beatrix posa i piedi susabbie mai calpestate da donne, attraversa deserti, sfida l’im-possibile. Come Ripley cerca vendetta e stana i suoi nemici unodopo l’altro. Come Ripley è madre ed è per la propria figlia cheritiene perduta che si mette in viaggio. L’unica differenza fra le

due donne è che la Sposa ha amato un uomo, e che quell’uo-mo è stato anzi il suo pigmalione, colui che, spingendola all’al-lenamento presso il maestro Pai Mei, la doterà di un’arma le-tale (la tecnica dell’esplosione del cuore con cinque colpi del-le dita) con cui Beatrix lo ucciderà. Dopo aver appreso quel chec’era da sapere dal mondo maschile, dunque, la Sposa ripren-derà il cammino insieme a sua figlia, come nella versione ro-vesciata e luminosa de La strada di Cormac McCarthy. Il se-condo volume di Kill Bill esce nel 2004. Un anno dopo, unatranquilla signora americana pubblica un romanzo che sichiama Twilight: la protagonista femminile si chiama BellaSwan. È insicura, goffa e non desidera altro che un grande amo-re che la protegga. Lo troverà, si sposerà e avranno una bambi-na. I tempi, anche per le eroine della finzione, si fanno oscuri.

NuoveEroine

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 13DICEMBRE 2009

Swank.Grazie a leilottiamo come i maschi

SILVIA BIZIO

LOS ANGELES

Due volte Oscar come migliore attrice, perBoys Don’t Cry (1999) e Million Dollar Baby(2004), Hilary Swank dimostra coraggio, forzafisica e sprezzo del pericolo nel suo nuovo film,Amelia, sulla leggendaria aviatrice AmeliaEarhart. La Swank, 35 anni, è stata un’atleta pri-ma di diventare attrice: nuotatrice e ginnasta.Per Million Dollar Babysi è allenata sul ring co-me una pugile professionista, mentre per Ame-liaha imparato a pilotare piccoli aerei. L’abbia-mo incontrata a Los Angeles, dove vive.

Hilary, come attrice lei sembra attratta so-prattutto da donne forti e spericolate. Perché?

«Perché io stessa sono una spericolata. Hofatto paracadutismo e bunjee jumping. Ho sca-lato pareti verticali e ho preso pugni in faccia davere pugili. Non mi tiro mai indietro di fronte auna sfida. Il nuoto mi ha impartito una discipli-na ferrea da quando ero bambina. Sono vacci-nata allo sforzo, all’esercizio, al potenziamentodel corpo e della mente. I film sono uno scher-zo in confronto agli sport».

Ha imparato a pilotare aerei per imperso-nare Amelia?

«Quello di volare è sempre stato il mio gran-de sogno e non avrei potuto far altro per imme-desimarmi in Amelia, che era un’autenticadonna alata, e onorarla con un’interpretazioneverosimile. Ma ancora non ho la licenza per vo-lare da sola».

Cosa le piace di Amelia, oltre alla passioneper i cieli?

«Il non chiedere mai scusa per il fatto di vive-re come voleva lei, cosa non comune tra le don-ne anni Venti e Trenta. È difficile anche perquelle di oggi, se è per questo: vivere fregando-sene delle norme sociali. Amelia è la prima don-na, che io sappia, che ha applicato a se stessa ilfamoso “meglio un giorno da leoni che...”».

Chi sono i suoi eroi o eroine?«Mia madre prima di tutti. Una donna che mi

ha tirata su da sola, barcamenandosi tra un la-

voro e un altro, tra una città e l’altra, un trailerpark e l’altro, senza mai chiedere aiuto a nessu-no e soprattutto senza lagnarsi. Anzi, mostran-domi le virtù di una vita vissuta in pieno».

Il cinema oggi però riconosce anche l’eroi-na donna.

«Sì, se si riferisce alle super-eroine d’azionedei film-fumetto: da Lara Croft di Tomb Raidera Susan Storm di X-Men. Ma le donne eroicherealmente esistite, come Amelia Earhart, nongodono ancora la fiducia dei produttori a Hol-lywood. Realizzare Ameliaè stato difficilissimo.Non è altrettanto difficile quando l’eroe è ma-schio».

Sono passati trent’anni da quando Sigour-ney Weaver si impose come l’archetipo dell’e-roina nel ruolo di Ellen Ripley in Alien. Cosa nepensa?

«Sono sempre stata una sua fan. Il modo incui Sigourney ha interpretato Ripley, combat-tiva, dura e materna allo stesso tempo, ha se-gnato lo spartiacque per ogni rappresentazio-ne della donna forte che non esita a picchiarecome un uomo, che non nasconde il suo disgu-sto per la società maschio-centrica, ma che nonrinuncia a essere femmina in tutti i sensi».

In cosa Ripley è una “nuova” eroina?«Penso che la prima cosa da notare di Ripley

è che lei è quella che prende decisioni e soprav-vive, mentre la gran parte degli uomini sonopassivi e, come risultato, muoiono in fretta. Ve-de, le donne nella storia hanno dovuto soppor-tare tante di quelle cose che ci dev’essere unpezzo del dna femminile che ci rende emotiva-mente delle “rocce”. Ripley è stata solo uno deiprimi personaggi di successo commerciale adimostrarlo. Ma poi, se guardi i sequel di Alien,non solo veniamo a sapere che Ripley è una ma-dre che ha perso suo figlio, ma il modo in cui leisi rapporta con l’orfanella Newt è quello pro-tettivo di chi lascia campo al suo istinto mater-no. Ripley è decisamente una tosta, ma è ancheil simbolo della maternità forte».

FOTO AFP

Ellen RipleySIGOURNEY WEAVER

Nel 1979 fa la sua comparsa nel primo Alien come ufficialedell’astronave NostromoAl cinema tornerà altre tre volte

Lara CroftANGELINA JOLIE

L’archeologa armata di due pistoleè nata in un videogame del 1995 È stata portata al cinema nel 2001 e nel 2003 con incassi record

Maggie FitzgeraldHILARY SWANK

È la Million Dollar Baby (2004) di Clint Eastwood. Pugileindomabile, il ring rappresentala sua casa e il suo riscatto

TrinityCARRIE-ANNE MOSS

In Matrix (2001) non è solol’innamorata di Neo, ma anche una valida hacker e un membro della resistenza

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La SposaUMA THURMAN

Conosce i segreti del kung fue li usa. Nel primo Kill Bill (2003)affronta da sola 88 rivali. La suavendetta si compie nel secondo

Fiona CAMERON DIAZ

Doppiata dalla Diaz, l’eroina di Shrek (2001) è una principessasui generis. Non si lascia salvaredal principe e sposa un orco

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«Durantei miei primi dodici anni passati in campagnavicino a Parma, c’erano due riti per me fondamen-tali, che aspettavo ogni anno con trepidazione: lamorte del maiale e la trebbiatura. Entrambi sonopresenti in Novecento». Il ricordo di Bernardo Ber-tolucci è una sintesi formidabile di cultura e memo-

ria contadina, simbolizzate da due eventi ancorati ai solstizi d’estate e d’in-verno. Ma se l’agricoltura super-intensiva ha ridotto la trebbiatura ad asetti-co processo meccanico, il rituale legato al sacrificio del maiale ancora resistein molti francobolli di campagna sopravvissuti alla falcidia dell’urbanizza-zione dissennata, traccia indelebile del fortissimo rapporto tra l’uomo e l’a-nimale «di cui non si butta via niente», cominciato novemila anni fa.

Nei confronti del maiale conserviamo un atteggiamento schizofrenico:adoriamo gli insaccati e tremiamo per i grassi saturi, vogliamo carni semprepiù magre e impazziamo per il lardo, siamo indifferenti davanti alle sceneviolente che la tv ci somministra in coincidenza con pranzo e cena, ma tro-viamo insopportabile il lavoro del norcino.

In soccorso dell’ondivaga sensibilità metropolitana, negli ultimi anni tec-nologia e conoscenza hanno quasi azzerato l’impatto cruento con l’iniziodella maialata: da una parte, per sacrosanto rispetto nei confronti del con-dannato, dall’altra perché le carni intossicate dalla paura e dal dolore si tra-ducono in insaccati mediocri. Così, la riproposizione delle scene di Nove-

cento ha acquistato un effetto flou, che sfuma le tinte forti e ben dispone ap-passionati e turisti del cibo a vivere una giornata diversa, primitiva e ruvida-mente golosa. Se è vero che già i Sumeri conoscevano la tecnica della sala-gione e la utilizzavano per poter gustare la carne del maiale a settimane di di-stanza dalla sua uccisione, il giorno della maialata regala un unicumstraordinario, ovvero la versione “nature” e freschissima di bocconi quasiinaccessibili a causa della loro assoluta deteriorabilità. Per accedere al rito,occorre alzarsi presto, vestirsi pesante, avere lo stomaco sgombro e il palatocurioso. Da lì in poi, si diventa spettatori attivi (masticando di tutto un po’) diun’incredibile performance di ancestrale abilità gastronomica: coltelli e fuo-chi, pentole e muscoli, strofinacci e bottiglie di buon rosso si incrociano inuna celebrazione laica e senza tempo. Dopo le prime, grandi bolliture — cic-cioli, sanguinaccio e costine — e un paio di fritture — fegato e cervello — daattentato al colesterolo, l’attenzione si sposta sulle carni da insaccare: cop-pe e prosciutti, salami e salsicce, pancette e culatelli, assemblati in un tour-billon di sali, spezie, spaghi, budelli, mani che impastano, bocche che as-saggiano per testare l’aromatizzazione perfetta. E siccome gustare «a crudo»non è detto che basti, si unisce l’utile al dilettevole, cucinando un’imponen-te padellata — pasta, orzo, riso — condita con la pasta di salame appena ma-cinata. Gran finale con caldarroste e chiacchiere intinte nel sanguinaccio. Acena, d’obbligo una sana tazza di brodo bollente.

46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13DICEMBRE 2009

LICIA GRANELLO

i saporiRiti d’inverno

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Testa

Gola o guanciale

Lardo

Coppa

Lombo o lonza

Costine

1

2

3

4

5

6

Spalla

Zampino

Pancetta

Filetto

Culatello o carrè

Coscia, prosciutto

7

8

9

10

11

12

ZamponeSi utilizzanocomecontenitorile zampe pulite,svuotate e cucitecon lo spagoAll’interno,un impastodi carne– soprattuttodi muso,orecchie,gola, cotennae grasso –salatae aromatizzatacon le spezie

CiccioliIl grasso a cubetti, cotto per alcune ore a fuoco dolce,si scioglie liberando la parteproteica, che diventa croccantePoi la parte liquida solidificatadiventa strutto, mentre i cicciolisi mangiano dopo pressatura

Di questi tempinon si butta niente

SalsicciaUn mistosapiente,di grassoe parti magremacinato,impastatoe insaporitoL’insaccaturaavvienein budellonaturaleTra gli ingredienti che caratterizzanola ricetta:aglio,finocchiettoselvatico,peperoncino

Maialata

StrolghinoIl più pregiato dei salamiè fatto con i ritaglidella cosciatornita per darela formacaratteristicaal culatelloMorbido, sottile,insaccato in un budellinonaturale,data la suacomposizionemagra durapochesettimane

I tagli del norcino

CotennaDi lardo,di pancetta,di gola,la pelledel maiale vieneraschiata dalle setole (peli) e utilizzatacome golosoinsaporitoredi zuppee stufatiMacinata,va nellacomposizionedi cotechino,zamponee gelatine

Sono i giorni in cui si ammazza l’animale più generosoUn sacrificio, oggi meno crudele, che resiste da secolie che sforna prelibatezze che si possono gustaresolo “nature” e per poche ore dopo la macellazione:sanguinaccio, costine, fegato, cervello, musoÈ il trionfo del suino e dei suoi irriducibili estimatori

Repubblica Nazionale

Page 11: Repubblica Mino Milani, maestro dietro i fumetti DOMENICA ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2009/13122009.pdfAdesso la stanza è come immersa dentro nuvole di nafta-lina. Così

itinerariGiovanniMariconda è lo chefdi Taberna Vulgi,a Santo Stefanodel Sole, AvellinoTra i suoi piatti

più golosi, la “Maialata”:braciola di maiale scottatanell’olio, disossatae ripassata con burroal forno, la pancettacon le fave e un prosciuttonon salato fatto in casa

Nella pianura padana,nei luoghi di Verdi, dovela musica é nell’aria,nelle mura dei monastericistercensi, delle chieseromaniche e gotichee delle cascine agricole

DOVE DORMIRELOCANDA DEL LUPO (con cucina)Via Garibaldi 64Tel. 0524-597100Camera doppia da 110 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIARELOCANDA STELLA D’ORO (con camere)Via Mazzini 8 Tel. 0524-597122Chiuso lunedì, menù da 45 euro

DOVE COMPRAREANTICA CORTE PALLAVICINAStrada del Palazzo Due Torri 3Polesine Parmense Tel. 0524-936539

Soragna (Pr)Dominata dalla magnificareggia – la Versaillesd’Italia, patrimonio Unesco– è adagiata nel cuoredella Campania Felix,tra imprese agricoledi alta qualità

DOVE DORMIREL’ANTICO CORTILE (con cucina)Via Tanucci 55Tel. 0823-1872588 Camera doppia da 80 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIARELE COLONNEViale Douhet 7Tel. 0823-467494Chiuso martedì, menù da 40 euro

DOVE COMPRAREAZIENDA AGRICOLA LA FENICEVia Boscarelle 1Presenzano

CasertaNorcia (Pg)Costruita a ridossodei monti Sibillini, vantauna campagna riccadi allevamenti, dovesi perpetua la tradizionedella norcineria, l’artedi lavorare il maiale

DOVE DORMIREPALAZZO SENECAVia Cesare Battisti 12 Tel. 0743-817434Camera doppia da 120 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREGRANARO DEL MONTEVia Alfieri 12Tel. 0743-816513Sempre aperto, menù da 25 euro

DOVE COMPRAREANTICA NORCINERIA FRATELLI ANSUINI Viale della StazioneTel. 0743-816809

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47DOMENICA 13DICEMBRE 2009

E Zavattini piansedavanti ai ciccioli

JENNER MELETTI

Una notte di nebbia, come tante, qui dove il Po fa uncurvone e si infila fra le terre di Reggio e Mantova.«Zavattini arrivò la sera tardi, guardò la nostra ta-

vola e si commosse. C’era maiale, solo maiale, tutto maia-le». Anno 1963, ristorante Nizzoli di Dosolo. «Stavamouscendo dalla povertà — racconta Arneo Nizzoli, alloragiovane cuoco — e quasi ci si vergognava a mangiare il por-co. Soprattutto le parti più povere: le cotiche, il muso, leorecchie, gli zampetti… Io quella sera non avevo clienti.Avevo riunito alcuni amici per ritrovare la gioia di quandoeravamo piccoli e papà ammazzava il maiale. Cesare Za-vattini disse semplicemente: anch’io. E si mise a tavola. Daallora è venuto almeno una volta all’anno, a fare la maia-lata».

Si comincia con i ciccioli freschi, la spalla cotta calda, lacoppa di testa, la trippa di maiale. Poi il risotto menato conil pesto del salame. «Verso la fine, il trionfo di ossi e zam-petti. Un bravo macellaio, di quelli che passavano casa percasa, era bravo a ripulire gli ossi, ma qualcosa restava sem-pre. E allora si bolliva tutto e con i denti si strappavano gliultimi pezzetti di carne. I più buoni. A Zavattini piacevatutto, ma impazziva per le costine al rosmarino».

Lo scrittore di Parliamo tanto di me non era un clientecome gli altri. Era un padrone. «Mi disse: tu Nizzoli sei unnaif, non devi copiare le ricette che arrivano da Milano.Cerca nella tua terra e nella tua memoria: i piatti debbononascere qui intorno. C’è il maiale, ci sono le rane, le luma-

che, le zucche… Mi diceva anche come apparecchiare latavola, perché voleva fare bella figura quanto portava i suoiamici: Vittorio De Sica, Mario Monicelli, Dino Risi… Per lo-ro mi fece comprare bicchieri di cristallo. Mi dettava ilmenù e anche qualche ricetta. Come quella del mosto divino servito con lo zabaione. L’ha inventata lui».

La tavola diventava un pulpito. «Quando ha preparatoil film La Veritàaaa, ci raccontava tutto. Se gli veniva un’i-dea, l’annunciava subito, voleva sentire i commenti. E de-clamava anche le sue poesie. «Me a curéva adré a li faraui-ni / la sia la fava al sfoi…». Io correvo dietro le faraone, la ziafaceva la sfoglia… Le poesie di Stricarm’ in d’na parola,stringermi in una parola, le abbiamo sentite tutte, qui a ta-vola, fra un fegato di maiale in rete con la cipolla e il piattofumante di cotiche con i fagioli. Lui parlava ma stava at-tentissimo al piatto: voleva che la spalla cotta fosse caldis-sima, che il salame profumasse d’aglio, che le scodelle fos-sero piene di vino buono».

È ancora come ai tempi di Za, il ristorante di Arneo Niz-zoli. Profumi di ciccioli e di gnocco fritto, ore e ore a tavolafino al nocino finale. «Zavattini, ogni volta che arrivava, di-ceva: «Questa è la mia ultima cena». Ma tornava sempre,appena arrivava da Roma o da un viaggio lontano. Nel1984, cinque anni prima di morire, mi disse che c’era sta-to il funerale di sua mamma, che aveva cent’anni. «Per lei— mi disse — sono sempre rimasto al putlet, il bambino.Solo adesso che se n’è andata posso accettare di esserequel che sono: un vecchio. Arneo, dai, portami i ciccioli».

gli appuntamentiTre mesi di passione, per gli amanti

di ciccioli e strolghini: fino a febbraio,nelle campagne di tutta Italia si celebra

il rito dell’uccisione del maiale, con i pranziall’aperto e la preparazione in loco degli insaccati

freschi. Tra gli appuntamenti più articolati,quello di metà gennaio a Valceno, sull’Appennino

parmense, e la fiera di inizio febbraioa Montecalvo Irpino, in provincia di Avellino,

dove l’uccisione del maiale è rito antico

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SoppressataDeriva dalla pressatura di cubettie striscioline di parti mistePuò assemblare solo gli scarti(cartilagini, fondo lingua, grassoduro), privilegiare le carni del muso(testa in cassetta). La galantinagenovese è di carni miste

SanguinaccioLa ricetta che ritualizza il sacrificio del maiale:

il sangue colato viene cottodirettamente sull’aia,rimestandolo insieme

a zuccheroe farina, per farne

una sorta di budino scuroAccompagna

le chiacchiere dolci

GrassoCambia a seconda delle partidel maiale: di gola, duro (schiena), lardo, lardello, sugna (reni). È condimento, conservante e ingredienteper insaccati cottie crudi. Dalla sugna scioltae colata si ottiene lo strutto

Repubblica Nazionale

Page 12: Repubblica Mino Milani, maestro dietro i fumetti DOMENICA ...download.repubblica.it/pdf/domenica/2009/13122009.pdfAdesso la stanza è come immersa dentro nuvole di nafta-lina. Così

le tendenzeRegali-rifugio

Bagliori in technicolor, pietre semi-preziose alla ribalta,oro rosa in ascesa, sempre più acciaio in anelli e braccialiNelle nuove creazioni si registra una piccola rivoluzione:i diamanti rimpiccioliscono, trionfano gli smaltie si rivalutano le tormaline.La crisi spinge a “invenzioni”a prezzo ragionevole. Ma per la fascia alta la crisi è finita...

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Coloregioielli

il

dei

Unacascata di luce ma soprattutto di co-lori. Non più il total white bensì il tech-nicolor in anelli, bracciali, collane se-condo un design di bagliori e di formeche ci vede tra i primi nel mondo. Pietremulticolori preziose e meno preziose.

La crisi si combatte (anche) così. Il quaranta per centodei gioielli che si comprano in Italia vengono vendutisotto Natale, dal collier miliardario all’anellino fattodall’orafo sotto casa. Un anellino (o una spilla, o unbracciale) sempre più leggero, ma dal forte significatosimbolico.

La fascia alta e altissima com’è noto non tira la cin-ghia: «Questo quarto trimestre dovrebbe essere il mi-gliore dell’anno sia in termini di fatturato che di reddi-tività. Già a ottobre le vendite hanno registrato una cre-scita superiore al dieci per cento rispetto all’anno pre-cedente: ci sono quindi tutti gli ingredienti per un Na-tale migliore rispetto a quello del 2008», si compiaceFrancesco Trapani, amministratore delegato di Bulga-ri, che nella sua linea di alta gioielleria conta oltre 1600pezzi unici, quelli da sogno.

Si affida al fascino etereo di Tilda Swinton e al suopallore la griffe Pomellato che con la collezione M’ama

non m’ama lancia nove anelli ognuno con un cabo-chon di colore diverso. Opale di fuoco, ametista, peri-

M’AMA NON M’AMACollezione M’ama non m’ama

di Pomellato. Nove anelliognuno con un cabochondi colore diverso:si possono portare allineati

SULLE ALI DELLA FANTASIADue meravigliosi uccellidel paradiso con diamanti,smeraldi, ametiste. Eccogli orecchini di Van Cleefper far volare la fantasia

‘‘

Una cascata di emozionisotto l’albero di NataleLAURA LAURENZI

FASCINO LAVANDAAnello in oro rosa,giada lavanda e pavédi ametista. Fa partedella collezione Cocktail

che comprende anchecollane e pendenti,di Mimì

BulgariVendite in crescitadi oltre il dieciper centoPer noi ci sono tuttigli ingredientiper aspettareun Natalemigliore rispettoa quello del 2008

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49DOMENICA 13DICEMBRE 2009

doto, topazio blu, tormalina rossa, pietra di luna, tor-malina verde, granato, iolite: sembra esserci una pietraper ogni emozione. Cartier tiene fede al tema anima-lier: «Il figurativo è diventato sempre più importante: iclienti ricercano oggetti iconici. La nostra pantera, im-mediatamente riconoscibile, risponde in pieno a que-sto desiderio», afferma il direttore generale della mai-son, Laurent Gaborit. E la congiuntura economica? «Èproprio nei momenti di crisi che l’autenticità e la crea-tività di opere uniche diventano valori rifugio».

A soffrire, come prevedibile, è la fascia media. Con-sumiamo sempre meno oro. I dati che vengono dallaFederazione nazionale dettaglianti orafi della Conf-commercio, cui aderiscono ottomila associati sui ven-tiquattromila operatori presenti in Italia, parlano chia-ro: negli ultimi otto anni la quantità di oro trasformatoin Italia è diminuita del sessantasei per cento, e quelloconsumato — cioè acquistato nei negozi — è sceso dal-le novantadue tonnellate del 2000 alle cinquantuno del2008. «Tuttavia i segnali che abbiamo avuto nel pontedell’Immacolata sono ottimi e fanno sperare in una ve-ra ripresa. C’è soprattutto un grande ritorno al gioielloartigianale, scelto per la sua unicità», osserva il diretto-re della federazione Steven Tranquilli.

Si fanno sacrifici ma all’oggetto prezioso non si ri-nuncia. Con l’oro ai suoi massimi storici, ventiquattroeuro e cinquanta al grammo, la gioielleria tende ad al-leggerirsi. Le catene sono cave, le maglie vuote o trafo-rate. L’oro poi viene spesso accostato all’acciaio, conun apprezzato effetto bicolore che non andava di mo-da dalla fine degli anni Ottanta. Un’altra tendenza dasegnalare è quella dell’oro rosa, una sfumatura caldadall’aspetto retrò, che fa molto anni Quaranta. Anchein Italia, dove si è sempre usato oro a 18 carati, comin-cia a diffondersi come in Inghilterra, e a essere accetta-to, l’oro più basso, meno nobile: 14 e anche 9 carati.

Quanto ai diamanti, ci si restringe, ci si contenta, cisi adatta anche con la più preziosa delle pietre prezio-se. Pure qui la caratura si abbassa: si fa salva la tradizio-ne e si compra ugualmente il solitario, però è un solita-rio “congiunturale” con una mini pietra da appena 0,10carati. In fondo quel che conta è il pensiero, no? E poi idiamanti non devono per forza essere solo trasparen-ti: ecco diffondersi quelli di diverso colore, quindi me-no pregiati. In particolare il brown-orange, che poi sa-rebbe un marroncino fumé, ma anche i diamanti neri,il cui valore percepito è sempre alto ma che hanno co-sti più accessibili.

In tempi di crisi fanno il loro ingresso trionfale anchein alta gioielleria le pietre semipreziose, i quarzi, i citri-ni, i topazi azzurri, le tormaline di ogni ordine e grado eanche i vetri in una vera esplosione del colore, che è so-stanzialmente la grande tendenza di stagione. Certonon sempre è facile, poi, distinguere un gioiello auten-tico da un ottimo pezzo di bigiotteria finemente lavo-rato: «Il pubblico rischia di confondersi fra prezioso enon prezioso — osserva Cristina Spinella, designer digioielli — Dovrebbe essere sempre garantita la qualitàdei materiali, la qualità della realizzazione caratteriz-zata dall’apporto manuale dei nostri maestri orafi, enaturalmente la qualità del design. E nei gioielli nondovrebbe esserci possibilità di equivoco neanche fraprodotto industriale e prodotto di alto artigianato».

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ALLEGRIA DA POLSOBracciale con campanellebrillanti, smaltate, con pietrepreziose. È di ChanteclerDa portare con ciondoli multiplie tintinnanti, modello charms

ASIMMETRICIOrecchinicon doppipendentiasimmetriciin brillantiispirati alle lineeDéco. Di Cartier

ONDE BRILLANTISuperficie esternasinuosa e ondulatae diamantibrown orangemontati a coppiache si alternanoa diamanti bianchiper l’anellodi MontblancAnche in oro rossoe oro rosa

RETRÒLinea retròper la spilla

Chanelriedizione

del passatoUn classico

dell’altagioielleriadisegnato

da mademoiselleCoco che vieneriproposto oggi

DA COLLEZIONEAnello collezioneHorsebit Cocktail

di Gucci in orogiallo a 18 caraticon pavédi diamanti

SPIRALE DI LUCEAnello in oro biancoe diamantidall’insolita lineasinusoide a spiraleche riflette la lucecon un effettototal whiteProposto da Stroili

ISPIRAZIONE ORIENTEIspirazione orientale,

sei smeraldi e ametistea goccia. Ecco uno

dei super collier di BulgariProdotti 1600 pezzi unici

‘‘ BELLI COME GIRASOLIDella collezione

Sun Flower gli orecchinidi Damiani: una linea

ispirata ai baglioridei girasoli

CUORI DOPPISono della collezione

Happy Hearts gli orecchinidi Chopard con cuori

in oro rosa che si sdoppianonel pendente

Anello e ciondolocon lo stesso motivo

GEOMETRIE FASHIONUn motivo geometricoa scacchiera decora gli anellia fascia ideati da RecarloNella collezioneanche diamanti neri e brown

ESEMPLARE UNICOAnello Tiffany & Co. in platinoe diamanti, con tanzanitecentrale di oltre sei caratie mezzo. Pezzo unico

CartierI clienti ricercanooggetti iconiciÈ proprio neimomenti di crisiche l’autenticitàe la creativitàdi opere unichediventanovalori rifugio

Repubblica Nazionale

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50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 13DICEMBRE 2009

l’incontro

‘‘

Ossessioni

Hollywood? In Usanon riescono a capireche noi europei,quando giriamo,continuiamo a pensareLoro sono inscatolatidentro un sistemadi pura produttività,di dogmi consumistici

Più che un lavoro, il cinema per luiè una passione. Un’emozione iniziataquando, adolescente, annotavasu un quaderno foto, cast e regia dei film

preferiti. Poi, un giorno,quel ragazzino di Lioneè passato dietro la macchinada presa. Trentacinque annidopo, dice semplicemente:“Ci sono due tipidi pellicole: riuscite e non

Poco importa che siano state diretteda uno sconosciuto o da John Ford,da un giovane o da un vecchio”

Bertrand Tavernier

PARIGI

Bertrand Tavernier è unghiottone. Ghiottone dicinema, di libri, di musi-ca. E buongustaio a tavo-

la. Onnivoro d’emozioni e passioni,senza distinguo anima/corpo. Quel cheinghiotte gli va dritto al cuore prima cheagli occhi o allo stomaco. E, dal cuore, alpubblico: agli altri. Tavernier, che oggiha sessantotto anni, inghiotte cinemada oltre mezzo secolo: tutto il cinema,senza pregiudizi su film del passato odel presente, su vecchie e nuove gene-razioni. Il suo credo di spettatore, primaancora che di critico e di regista, è quel-lo di Billy Wilder che a una richiesta diverdetto sul cinema giovane aveva ri-sposto: «Non c’è cinema giovane o vec-chio, ma ci sono due tipi di film: quelliriusciti, girati da un debuttante scono-sciuto o da un John Ford, e gli altri, doveti siedi alle 20 e quando è mezzanotteguardi l’orologio, che fa le 20.15». Il ci-nema ribolle nella vita di Tavernier daquando, a tredici anni, comincia a regi-strare su un quadernetto foto, cast e re-gista dei film che lo conquistano, nellanatia Lione, dove torna appena può, e aParigi.

Un lungo, caldo apprendistato passaper l’attività critica (i Cahiers, Positif), gliincontri con i grandi dello schermo(confluiti ora nel mastodontico Amis

américains, edito da Actes Sud e InstitutLumière) e gli incarichi d’addetto stam-pa per autori da lui voracemente assi-milati, tra cui molti gli italiani, da Fran-cesco Rosi («ne avevo curato la promo-zione in Francia di Uomini contro») aRiccardo Freda, che cercherà di trasci-nare a un’ultima regia, nel ’94: La figlia

di D’Artagnan. Da quando è passato luistesso dietro la cinepresa — L’horloger

de Saint-Paul, da Simenon, nel ’74 —, ilcinema diventa febbre, vita, valanga: unfilm all’anno, a volte due, una frenesiaalla Woody Allen, appena diluita nelleultime stagioni.

«Raoul Walsh girava tre film all’anno— si giustifica —. Anch’io ho preso su-bito un ritmo alla François Truffaut, maper me come per Truffaut l’amore delcinema non impedisce l’amore dellalettura. Con predilezioni non sempreidentiche: pure lui adorava Balzac, mafondamentali per me sono stati Zola eDumas e scrittori americani comeFaulkner e Dos Passos. Senza contareVictor Hugo: è sulle sue poesie che hoimparato a leggere da bambino, riavvi-cinandomi con vigore alle sue paginealle medie, per reazione alla sufficienzacon cui veniva liquidato dai professori.Nulla di meglio, per accenderti curio-sità letterarie, che il disinteresse diun’autorità in materia».

In Qu’est-ce qu’on attend?, pingue zi-baldone uscito nel ’93 da Seuil, dichia-ra: «Filmare è anchesaper filmare paro-le. In certi grandi cineasti, Guitry, Roh-mer, Mankiewicz, anche può essere so-stituito da soprattutto». «Ne sono sem-pre convinto, come il personaggio diConrad che dice: “Datemi delle parole econquisterò il mondo”. Contrapporrecinema e letteratura, immagine e paro-la — scrivevo allora — è vizio scolastico,da adepti del “cinema puro”, nozioneinquietante (puro come l’alcol o comerazza pura?). Replicherei ancora che igrandi film sono tutti meticci. Inoltrebasterebbe constatare quanto sia di-versa, dalla nostra, la nuova generazio-ne di cineasti, che non aprono libro chenon sia di fumetti. E si vede».

Un altro gran lettore regista, suo ami-co, è Alain Resnais, che attinge moltoanche dai fumetti: «Resnais è uno dei ci-neasti che amo di più. Ci siamo cono-sciuti tardi, solo una ventina d’anni fa, aFirenze, dove eravamo entrambi invi-tati da France Cinéma. Contrariamenteall’impressione che si può ricavare daisuoi film, così macerati, desolati, per-plessi, è d’un sense of humour insospet-tabile, immediatamente disposto alloscherzo, al riso. Con lui e Sabine Azémaho trascorso ore in allegria, quasi sem-pre al ristorante: indimenticabili le pap-pardelle al ragù di lepre gustate in unatrattoria lungo l’Arno».

Chissà se la buona tavola potrebbesegnare, magari per gioco, confini illu-minanti tra gli autori della Nouvelle Va-gue: Truffaut indifferente alle incognitedel cibo, Resnais, come Tavernier, pia-cevolmente coinvolto, per non parlare

di Claude Chabrol, che per i casting in-vita a pranzo gli attori, primi esclusi gliastemi. «Chabrol, lo conosco bene: so-no stato suo addetto stampa in ben die-ci film. Per me, il cinema è una passioneche non può separarsi dalle altre: la mu-sica, la cucina, dove mi sono guadagna-to una certa reputazione come “autore”apprezzato dalle mie successive com-pagne, e, naturalmente, i libri».

Suo padre, René, era scrittore, la li-breria di famiglia era un gran banchettoletterario: «Mio padre era anche diret-tore d’una rivista, Confluences, in cuiconvergeva durante la Resistenza ilclandestino Comité National des Ecri-vains. Nella nostra casa di Monchat, vi-cino a Lione, i miei hanno nascosto inquegli anni Louis Aragon. La poesia Iln’y a pas d’amour heureux(“Non esisto-no amori felici”), poi musicata da Geor-ges Brassens, l’aveva scritta per mia ma-dre. Io avevo un paio d’anni, non ricor-do nulla di quell’ospite illustre, se nonquanto m’è stato raccontato dopo, cioèche per divertirmi mi faceva saltare sul-le ginocchia e che spesso declamava le

sue poesie: in modo pessimo, come lamaggior parte dei poeti che leggono séstessi. Lui, mi dicevano, era assai enfati-co. Ripescando quei miei ricordi d’in-fanzia, Godard ha osservato che, nono-stante le grandi differenze tra me e luinella comune passione per il cinema,siamo entrambi figli della Resistenza edi Henri Langlois, il fondatore dellaCinémathèque Française, faro dellaNouvelle Vague. Aggiungendo, con ma-lignità tutta sua, che la nuova genera-zione di cineasti è invece figlia della Fé-mis e di Canal+, cioè della scuola di ci-nema più “normativa” di Parigi e dellatv francese più commerciale».

Tavernier è anche un sanguigno di-vulgatore di cultura cinematografica,attraverso libri e interventi dal vivo, piùvicino, in questo, a Truffaut: «QuandoTruffaut girava a Parigi Les 400 coups,marinavo la scuola per correre sul set eseguire le riprese: sono stato, a insapu-ta del regista, un Antoine Doinel paral-lelo, più grandicello del suo alter ego, in-terpretato da Jean-Pierre Léaud. Perchénel ’59 avevo diciotto anni e comincia-vo l’università. Anch’io, come lui e il suopersonaggio, avevo avuto a scuola il mioamico del cuore, compagno di sogni:Volker Schlöndorff. A Parigi, al liceoHenri IV, eravamo nella stessa classe».

Domani a Firenze Tavernier ritro-verà altri complici di sogni, da cui rice-verà il “Premio Fiesole ai maestri del ci-nema”, che nel corso di quarant’anni èstato assegnato a Visconti, Rossellini,Antonioni, Bergman, Pinter, Bertoluc-ci, Altman, Kubrick, Wenders... È l’e-vento che chiude la “50 giorni di cine-ma” all’Odeon, dopo le splendide tappedel Festival dei Popoli e dello Schermodell’Arte: seguirà l’anteprima italiana diIn the Electric Mist (“L’occhio del ciclo-ne”), il suo travagliato film Usa, con la ri-proposta fino al 17 dicembre di suoi ti-toli di culto, da La mort en direct (1979)aRound Midnight (1986), a La vie et rien

d’autre (1989) e L’appât (1995). «In the

Electric Mist, uscito con successo inFrancia col mio montaggio e in Usa, so-lo in dvd, col montaggio voluto dal pro-duttore americano, è stato per me un in-segnamento, una guida alle differenzedi mentalità e di metodo tra Europa eUsa: cerco di spiegarlo nel diario di la-vorazione, Pas à pas dans la “Brume

électrique”, uscito ora da Flammarion». In sintesi, dov’è che i due continenti

non s’incontrano? «La differenza sta inquel che già aveva così riassunto Renoir:gli americani sono russi con la piega aipantaloni». Cioè? «Formali e lontani. Intutto, anche nella corrente elettrica: noiabbiamo i 220 volt, loro 110. Sul set ledifferenze sono di voltaggio ancor più

incandescente: impera la gerarchia,una dittatura del lavoro con tanto d’av-vocati di supporto. Non tutto è negati-vo: le maestranze sono ottime, gli atto-ri, come il mio protagonista, TommyLee Jones, unici. So che altri europeihanno sofferto le mie pene: MichaelHaneke, Patrice Chéreau. In Usa, nonriescono a capire che noi europei,quando lavoriamo, continuiamo a pen-sare, a cercare, per aggiungere ai risul-tati previsti l’imprevisto, l’illuminazio-ne improvvisa. Loro no. Sono inscatola-ti dentro un sistema di pura produttivitàche non concede la minima esitazione.Rispetto ai loro dogmi consumistici, noipassiamo per gente che non sa quel chevuole».

Il regista si è ora ripreso con un filmtutto francese: «Sì, ho appena termina-to le riprese, a Blois e nell’Auvergne, diLa Princesse de Montpensier, magnificalove story, breve ma fulminante, del-l’autrice di La Princesse de Clèves, Ma-dame de Lafayette, riportata in auge dauna frase infelice del nostro Sarkozy:“Non credo che sia di qualche utilità peruna cassiera leggere Madame de La-fayette”, meschino sprezzo presiden-ziale del lavoro manuale e del desideriodi farsi una cultura, che ha avuto per ri-sultato la corsa agli acquisti dei titoli diMadame de Lafayette, assurti, quattrosecoli dopo, a best seller».

È uno special effect nella top ten in li-breria, che Umberto Eco ha immediata-mente evocato alla scorsa “Milanesia-na”, augurandosi che il nostro premierconsideri pubblicamente inutile unD’Azeglio o un Guicciardini minore, colrisultato, nell’Italia che non legge, di ri-lanciarli sul mercato. «È la forza del pas-sato che si riafferma contro l’idiozia delpotere. Come diceva Faulkner, il passa-to non è morto: non è neanche passato».

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MARIO SERENELLINI

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