REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO … · Le parti hanno concluso come da fogli...

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Valentina Boroni ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 62849/2013 promossa da: A. L. (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. BRAMBILLA CATERINA e dell’avv. BINI NICE (…) (omissis); , elettivamente domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. BRAMBILLA CATERINA ATTORE contro AZ. OSP. F. E O. (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. LOCURCIO GIUSEPPE elettivamente domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. LOCURCIO GIUSEPPE CONVENUTO Oggetto: Responsabilità professionale sanitaria CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli depositati nel corso della udienza di precisazione delle conclusioni. Motivi della decisione in fatto e diritto A. L. conveniva dinanzi al Tribunale di Milano l’Azienda Ospedaliera F. o O. M. per sentire accertare la responsabilità della struttura ed ottenere la sua condanna al risarcimento del danno patito in relazione all’intervento chirurgico di tiroidectomia totale al quale egli era stato sottoposto in data 17.5.2010. Esponeva la seguente vicenda sanitaria. In data 17.5.2010 veniva ricoverato presso l’U.O. di Otorinolaringoiatria presso l’Ospedale F. O. per eseguire un intervento di tiroidectomia totale a seguito del riscontro di un carcinoma papillare; eseguito l’intervento in mattinata e senza che venissero rilevati complicanze, il paziente veniva collocato nel relativo reparto di otorinolaringoiatria; verso il pomeriggio della stessa giornata si verificava una grave emorragia con insufficienza respiratoria e con ostruzione delle alte vie aeree che veniva trattata con tracheotomia d’urgenza ed in occasione della quale si verificava , alla successiva TAC, una encefalopatia metabolica post anossica; veniva sottoposto quindi a revisione chirurgica con legatura dei vasi ed arresto della emorragia; il paziente veniva quindi ricoverato in rianimazione ove permaneva fino al 25 maggio quando veniva nuovamente ricoverato in reparto di

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Valentina Boroni

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 62849/2013 promossa da:

A. L. (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. BRAMBILLA CATERINA e dell’avv. BINI NICE (…)

(omissis); , elettivamente domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. BRAMBILLA

CATERINA

ATTORE

contro

AZ. OSP. F. E O. (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. LOCURCIO GIUSEPPE elettivamente

domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. LOCURCIO GIUSEPPE

CONVENUTO

Oggetto: Responsabilità professionale sanitaria

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da fogli depositati nel corso della udienza di precisazione delle

conclusioni.

Motivi della decisione in fatto e diritto

A. L. conveniva dinanzi al Tribunale di Milano l’Azienda Ospedaliera F. o O. M. per sentire

accertare la responsabilità della struttura ed ottenere la sua condanna al risarcimento del danno

patito in relazione all’intervento chirurgico di tiroidectomia totale al quale egli era stato sottoposto

in data 17.5.2010.

Esponeva la seguente vicenda sanitaria.

In data 17.5.2010 veniva ricoverato presso l’U.O. di Otorinolaringoiatria presso l’Ospedale F. O.

per eseguire un intervento di tiroidectomia totale a seguito del riscontro di un carcinoma papillare;

eseguito l’intervento in mattinata e senza che venissero rilevati complicanze, il paziente veniva

collocato nel relativo reparto di otorinolaringoiatria; verso il pomeriggio della stessa giornata si

verificava una grave emorragia con insufficienza respiratoria e con ostruzione delle alte vie aeree

che veniva trattata con tracheotomia d’urgenza ed in occasione della quale si verificava , alla

successiva TAC, una encefalopatia metabolica post anossica; veniva sottoposto quindi a revisione

chirurgica con legatura dei vasi ed arresto della emorragia; il paziente veniva quindi ricoverato in

rianimazione ove permaneva fino al 25 maggio quando veniva nuovamente ricoverato in reparto di

otorinolaringoiatria ma incorreva in nuovo peggioramento neurologico e dunque veniva

nuovamente ricoverato in terapia intensiva; a seguito di varie cure veniva dimesso in data 16.9.2010

con rilievo di “parola lievemente rallentata, lieve distonia emisona sinistro, deambulazione

autonoma”; tuttavia nonostante l’esecuzione di trattamenti di riabilitazione neurologica presso

l’Ospedale di P. (omissis) con particolare riguardo agli spetti logopedici e neuropsicologici il

4.11.2011 la diagnosi di dimissione dalla predetta struttura rilevava una lieve tetraparesi con atassia

della marcia e deficit delle funzioni cognitive ( funzioni esecutivo comportamentali) disatria,

ipertensione; in ragione di tale condizione il sig. L. veniva dichiarato dalla competente ASL al

100% e nell’attualità manifesta problemi legati alla deambulazione, all’equilibrio precario con

compromissione delle funzioni cognitive.

Della condizione attuale riteneva responsabile la struttura sanitaria che, anche tenuto conto della

estrema lacunosità delle annotazioni in cartella clinica e nel diario operatorio, non era intervenuta

con la necessaria tempestività omettendo di eseguire un controllo adeguato nel post operatorio al

fine di prevenire il coma post anossico dal quale erano derivate le gravi conseguenze neurologiche

riscontrate ancora nell’attualità.

Lamentava altresì la mancanza di un valido consenso informato all’intervento con violazione sia

dell’art. 32 della Costituzione sia dell’art. 13 Cost. sia dell’art. 33 legge 833/1978.

Si costituiva la struttura sanitaria convenuta contestando la responsabilità professionale dedotta e la

tipologia e l’importo dei danni allegati. Rilevava che il paziente aveva espresso un valido consenso

informato del quale produceva copia sottoscritta unitamente a copia della cartella clinica; rilevava

che l’intervento chirurgico era stato eseguito a regola d’arte con tecnica che era particolarmente

studiata al fine di prevenire emorragie garantendo un alto livello di sicurezza nella emostasi delle

ferite operatorie e senza necessità di effettuare la legatura dei vasi ( Ultracision); contestava che il

paziente fosse stato abbandonato a sé stesso nel post operatorio rilevando che dalla cartella clinica

emergeva una visita alle ore 14,25 oltre ad altra riferita dal solo chirurgo alle 16,40 ( intervento

completato alle 11.50) e che l’evento emorragico con difficoltà respiratorie era intervenuto con

caratteri inaspettati mentre il paziente si trovava in reparto regolarmente monitorato ed era stato

trattato con la dovuta urgenza, tanto che in serata il paziente era stato immediatamente sottoposto ad

intervento di revisione chirurgica. Contestava in subordine la quantificazione del danno rilevando

come esso dovesse essere quantificato tenendo conto della importante patologia cerebrale pregressa

del paziente trattandosi, in ipotesi, di danno differenziale.

Acquisiti i documenti prodotti, espletata una c.t.u. medico legale, respinta la richiesta di ricusazione

dei consulenti e di rinnovazione svolta dalla parte attrice, le parti precisavano le conclusioni ed il

giudice, cui nelle more era stata assegnata la causa con provvedimento presidenziale, previa

concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., tratteneva la causa in decisione alla udienza del

10.1.2017.

1)Responsabilità professionale.

Nel merito, le domande spiegate da A. L. sono parzialmente fondate e possono essere accolte nei

limiti che seguono.

Atteso che nel caso in esame l’attore ha agito nei confronti della sola struttura sanitaria è opportuno

richiamare il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale "in tema di

responsabilità civile nell'attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale

della struttura sanitaria … per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato

deve fornire la prova del contratto (o del "contatto") e dell'aggravamento della situazione

patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di

causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della

normalità causale, del "più probabile che non", restando a carico dell'obbligato - sia esso il

sanitario o la struttura - la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo

diligente e che quegli esiti siano stati determinali da un evento imprevisto e imprevedibile" (Cass.

Sez. 3, Sentenza n. 975 del 16/0 1/2009).

Più di recente, la Suprema Corte ha rilevato come "In tema di responsabilità contrattuale del

medico nei confronti del paziente per danni derivanti dall'esercizio di attività di carattere sanitario,

il paziente ha il solo onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o

concausa del danno, restando poi a carico del debitore convenuto l'onere di dimostrare o che

nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi

stato il suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla

produzione del danno" (Cass. 15993/2011).

La Suprema Corte ha infatti affermato, in modo da ritenersi del tutto consolidato, che la

responsabilità della struttura sanitaria (privata o pubblica) sia da inserire nell’ambito contrattuale,

sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita

ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto atipico (cd contratto di spedalità o di

assistenza sanitaria) che si perfeziona anche per fatti concludenti laddove si abbia anche soltanto

l’accettazione del malato presso la struttura (cfr. Cass. SSUU. 577/08 e Cass. N. 8826/2007).

Tale contratto ha ad oggetto l’obbligo della struttura di adempiere sia prestazioni principali di

carattere strettamente sanitario sia prestazioni secondarie ed accessorie (fra cui prestare assistenza al

malato, fornire vitto e alloggio in caso di ricovero ecc.).

Ne deriva che la responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria, per l’inadempimento e/o per

l’inesatto adempimento delle prestazioni dovute in base al contratto di spedalità, va inquadrata nella

responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c. e nessun rilievo a tal fine assume il fatto che la

struttura (sia essa un ente pubblico o un soggetto di diritto privato) per adempiere le sue prestazioni

si avvalga dell’opera di suoi dipendenti o di suoi collaboratori esterni – esercenti professioni

sanitarie e personale ausiliario – e che la condotta dannosa sia materialmente tenuta da uno di questi

soggetti. Infatti, a norma dell’art. 1228 c.c., il debitore che per adempiere si avvale dell’opera,

qualunque sia il legame, di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.

Come già affermato da questo Tribunale, infatti, “l'accettazione del paziente in una struttura

deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita

ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d'opera atipico di spedalità,

in base alla quale la stessa è tenuta ad una prestazione complessa, che non si esaurisce nella

effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche (generali e specialistiche) già prescritte

dall'art. 2 legge n. 132 del 1968, ma si estende ad una serie di altre prestazioni, quali la messa a

disposizione di personale medico ausiliario e di personale paramedico, di medicinali, e di tutte le

attrezzature tecniche necessarie. In presenza di contratto di spedalità, la responsabilità della

struttura ha natura contrattuale, sia in relazione a propri fatti d'inadempimento sia per quanto

concerne il comportamento dei medici dipendenti, a norma dell'art. 1228 c.c., secondo cui il

debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di terzi, ancorché non alle sue

dipendenze, risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi. A questi fini è sufficiente che la

struttura sanitaria comunque si avvalga dell'opera di un medico. In definitiva va riaffermato il

principio generale- anche di recente ricordato dalla Suprema corte (Cass. N. 12833/2014)- in virtù

del quale la responsabilità che dall'esplicazione dell'attività di un terzo direttamente consegue in

capo al soggetto che se ne avvale riposa invero sul principio dell'appropriazione o "avvalimento"

dell'attività altrui per l'adempimento della propria obbligazione, comportante l'assunzione del

rischio per i danni che al creditore ne derivino. Né, al fine di considerare interrotto il rapporto in

base al quale è chiamato a rispondere, vale distinguere tra comportamento colposo e

comportamento doloso del soggetto agente (che della responsabilità del primo costituisce il

presupposto), essendo al riguardo sufficiente (in base a principio che trova applicazione sia nella

responsabilità contrattuale che in quella extracontrattuale) la mera occasionalità necessaria (v.

Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 15/2/2000, n. 1682). Il debitore risponde quindi direttamente di

tutte le ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto, della cui opera comunque si

avvale, sono rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato, e cioè dei

danni che può arrecare in ragione di quel particolare contatto cui si espone nei suoi confronti il

creditore. Tale responsabilità- in linea generale- trova fondamento nel rischio connaturato

all'utilizzazione dei terzi nell'adempimento dell'obbligazione (cfr., con riferimento a diversi ambiti

professionali, Cass., 13/4/2007 Cass., 17/5/2001, n. 6756; Cass., 30/12/1971, n. 3776. V. anche

Cass., 4/4/2003, n. 5329), fondamentale rilevanza assumendo - come detto - la circostanza che

dell'opera del terzo il debitore o il preponente comunque si avvalga nell'attuazione della

prestazione dovuta. D’altra parte, nella predisposizione di un servizio complesso come quello

sanitario naturalmente destinato alla gestione di beni primari dei “clienti-pazienti” con attività

anche di particolare complessità e difficoltà tecnico-scientifica, l’imprenditore proponente assume

una sua responsabilità anche nella scelta degli ausiliari e nella predisposizione di adeguati livelli

di controllo” (Sentenza, pres. Bichi, del 5.1.2015).

Ciò posto, nel caso in esame si osserva quanto segue.

Le eccezioni procedurali svolte dalla difesa di parte attrice con riguardo alla attività svolta dai CTU

con particolare riguardo alla acquisizione documentale è priva di pregio. Risulta che entrambe le

parti abbiano prodotto unitamente all’atto introduttivo copia della documentazione clinica relativa

alla vicenda in esame; tuttavia, come immediatamente rilevato dai CTU all’atto dell’esame di essa,

tra le varie cartelle cliniche della struttura ospedaliera ( infatti il paziente è stato ricoverato presso

diversi reparti dell’Ospedale F.) mancava proprio quella relativa al periodo di degenza presso il

reparto di otorinolarigoiatria successivamente all’intervento del 17.5.2010. E’ di tutta evidenza che

tale carenza documentale, alla luce delle espresse doglianze di parte attrice ed attinenti all’omessa

sorveglianza del paziente nella immediata fase post intervento, assumeva rilevanza determinante

nell’analisi dei CTU che prontamente ne hanno segnalato la mancanza sia alle parti nel verbale

delle operazioni peritali sia al giudicante nella seguente richiesta di proroga dei termini per il

deposito. La successiva acquisizione di tale parte della cartella clinica, pacificamente fornita dal

consulente di parte convenuta nel corso delle operazioni peritali e prima della stesura della bozza di

relazione ed utilizzata da entrambi i consulenti di parte oltre che dalle difese per lo svolgimento

delle rispettive osservazioni tecniche, può considerarsi integrazione della documentazione già

depositata e della quale essa costituiva parte integrante, ben potendosi considerare unico il

documento “cartella clinica” ancorché scorporato a seconda dei diversi reparti presso i quali il

paziente venne ricoverato nel corso dell’unico ricovero.

Tanto premesso va dunque confermata la regolare acquisizione del documento e la sua utilizzabilità

da parte dei consulenti dell’ufficio.

L'espletata consulenza tecnica depositata 19.7.2015 a firma del dott. G. P. ( medico chirurgo

specialista in neurologia) e M. M. (specialista medico legale) i quali si sono avvalsi quale ausiliare

della dott.ssa M. G. C., (specialista in chirurgia generale) unitamente alla successiva integrazione a

chiarimenti del 14.12.2015 , ha consentito di accertare i seguenti elementi

- Il 29.12.2009 e il 9.3.2010 il sig. L. si sottopose a biopsie tiroidee con agosottile, che agli esami

citologici, svolti presso l'Ospedale F. e O. di M., portarono alle seguenti conclusioni diagnostiche:

"Reperto citologico di complessa interpretazione compatibile in prima ipotesi con tiroidite cronica

linfocitaria, tenuto conto anche delle caratteristiche scintigrafiche della lesione ipercaptante. La

presenza tuttavia di dismetrie nucleari e pseudoinclusi impone una stretta osservazione del paziente,

una rivalutazione degli esami ematochimici, ed un riscontro citologico a breve termine (un mese)";

"Reperto suggestivo per proliferazione follicolare";

- in data 14.4.2010 il paziente venne ricoverato presso l’Azienda Ospedaliera F. O. e sottoposto ad

accertamenti pre ricovero, quindi la mattina del 17.5.2010 venne ricoverato presso il reparto di

otorinolaringoiatria; l’anamnesi ivi raccolta non dà conto di patologie pregresse si segnala peraltro

l’assunzione di Eutinox, terapia sospesa in ragione dell’esecuzione di scintigrafia tiroidea; viene

posta indicazione di intervento di tiroidectomia totale;

-nella medesima data si procedeva quindi ad intervento che viene sinteticamente descritto in cartella

come segue: ora inizio intervento 10:30, termine 11:50; anestesia: generale in intubazione oro-

tracheale. Incisione cutanea 2 cm sopra il giugolo. Incisione sulla linea alba, si reperta la capsula

tiroidea e si scolla. Isolamento e distacco dei peduncoli vascolari con Ultracision. Si conservano le

paratiroidi. Rispetto dei ricorrenti. Sutura a strati";

- Quanto asportato in sede chirurgica fu sottoposto ad analisi anatomo-istopatologica, che dimostrò

(come da referto n. 10-I-02694 del 20.5, firma del dott. A. F.): "Tiroide da tiroidectomia totale con

lobo destro cm 5×3×2, istmo cm 2,5×1×1. Al taglio il lobo destro è quasi totalmente sostituito da

formazione bilobata ovalare biancastra duro-elastica a limiti indistinti rispetto al parenchima

circostante… Il residuo parenchima del lobo destro…, dell'istmo… e del lobo sinistro… è di

colorito brunastro e di aspetto carneo. Diagnosi: Carcinoma papillare infiltrante il parenchima

tiroideo ed esteso al tessuto adiposo perighiandolare… Parenchima residuo indenne";

- il paziente veniva quindi trasferito in reparto e dal diario clinico risultano annotazioni scritte alle

ore 14,25 dal dott. C. il quale prescrive un controllo l’indomani per calcio e fosforo e prescrive

Cardiazol paracodina se tosse, alle ore 17,50 e 17.55; la prima recante la seguente annotazione con

sottoscrizione del dott. Termine: “Mentre ero in Sala Medici sono chiamato d'urgenza

dall'Infermiere di Reparto Salvatrice in quanto il paziente L. A. n. … di letto, operato stamattina di

tiroidectomia, lamenta difficoltà respiratoria. Al letto del paziente costato: paziente seduto,

cianotico, con tumefazione cervicale anteriore in sede di intervento e medicazione in tensione;

bradipnoico. Quindi procedo a: 1) Rimozione immediata della medicazione. 2) Apertura dalla ferita

chirurgica, dopo aver sdraiato a letto il paziente che risulta poco contattabile; aspirazione dei

coaguli sede della tiroidectomia che comprimono la trachea con ripresa di una moderata

respirazione spontanea. 3) Ventilazione con [illeggibile] di Ambu. 4) Massaggio cardiaco con

l'aiuto dell'Infermiere di Reparto. 5) Chiamo l'Anestesista d'urgenza che arriva in Reparto alle 17.55

e continua le manovre rianimatorie. 6) Procedo quindi a tracheostomia 3° anello posizionando

cannula Shiley N 8. 7) Il Rianimatore continua alle manovre rianimatorie e chiama il secondo

Chirurgo reperibile Dr. C.; 8) 18.15 Si attiva la Sala Operatoria per controllare l'emorragia in

ambiente protetto". Vi è poi altra annotazione, con firma non leggibile [matr. …], dalla quale

risulta: "…: Chiamato per emergenza presso reparto ORL. Al mio arrivo emorragia in atto, con

paziente non contattabile, bradipnoico, polso periferico assente, polso centrale non rilevabile causa

ematoma del collo. Manovre RCP già in corso effettuate da ORL di Guardia coadiuvato

dall'Infermiere di Reparto. Si procede (secondo schema ACLS) RCP. Si infondono

complessivamente 1000 ml di colloidi in 20'-30'. Dopo circa 10 minuti ricomparsa di polso centrale

(PA 110/60) FC 85 bpm e drive respiratorio spontaneo, si somministrano morfina 1 fl + midazolam

5 mg + propofol 80 mg in bolo per consentire esecuzione tracheostomia urgente. Si esegue EGA

arteriosa (vedi cartella anestesiologica). Vista l'iniziale stabilità dei parametri vitali si predispone

per trasporto protetto in Sala Operatoria. Al termine dell'intervento chirurgico si trasferisce in

Terapia Intensiva per monitoraggio postoperatorio".

-Previa nuova anestesia generale in intubazione oro-tracheale, il sig. L. fu sottoposto ad intervento

chirurgico urgente di revisione del campo operatorio, con diagnosi di "N99811 - Emorragia

complicante un intervento"; inizio ore 19:30, termine 20:20. Dalla descrizione della procedura

risulta: "Tracheostomia eseguita in Reparto. Revisione del campo operatorio esito di recente

intervento di tiroidectomia totale eseguita stamane. Si evidenzia un sanguinamento a nappo:

diatermocaustica con pinza bipolare di alcuni punti leggermente sanguinanti. Peduncolo

superiore a dx e una a livello del peduncolo medio a sin. Si procede a legatura di entrambi

vasi con arresto emorragia. Drenaggio. Sutura a strati. Medicazione";

- quindi il paziente veniva trasferito in rianimazione e quindi nuovamente in reparto ove avvenivano

percorsi di analisi diagnostica e terapeutici a seguito di una rilevata compromissione neurologica

del paziente che in prima fase non rispondeva agli stimoli ed eseguiva gli ordini a fasi alterne;

-Vi fu valutazione specialistica neurologica, svolta dal dott. A. P., dal cui referto risulta: "Pz in

coma, pupille isocoriche reagenti, allo stimolo doloroso apre gli occhi e flette arti sup. e inf. Con

accenno a risposta localizzatoria, possibile risparmio motorio agli arti di dx, SCP nella norma bilat.,

la SPC evoca una triplice risposta di flessione degli arti inf. si nota inoltre movimenti spontanei dei

globi oculari in pendolarismo orizzontale. A tratti capo e occhi deviati a dx"; il Sanitario pose

indicazione a svolgimento di TC cerebri ed elettroencefalogramma;

-il 19.5 venne eseguita TAC encefalo con il seguente referto: "Estesa area ipodensa liquorale

temporo-parieto-occipitale dx riferibile a cisti aracnoidea. Attualmente non si evidenziano

alterazioni parenchimali focali in atto. Il sistema ventricolare è in asse e normoespanso. I

ventricoli laterali sono simmetrici. Le cisterne della base e i solchi delle convessità sono nei limiti"

-Vi fu rivalutazione neurologica del dott. A. P., che scrisse: "Si prende visione TAC cerebri che non

mostra lesioni attuali, EEG lievemente rallentato senza focalità. Obiettivamente pz in coma vigile,

tende a localizzare stimolo doloroso, pupille reagenti, isocoriche, risparmio motorio arto sup dx, scp

nella norma bilat."; il Sanitario suggerì ripetizione di EEG dopo 2-3 giorni.

-Il 21.5 vi fu nuova valutazione specialistica neurologica, svolta dal dott. A. P., dal cui referto

risulta: "Oggi il pz localizza stimolo doloroso, inizia ad eseguire ordini semplici, espone la

lingua, apre e chiude gli occhi, sempre evidente risparmio motorio agli arti di dx"; il Sanitario

consigliò rivalutazione e ripetizione dell'indagine TC encefalo e EEG;

-il 22.5 sospesa la somministrazione di Propofol;

- Il 23.5: "h 10 Pz non sedato, giace ad occhi chiusi, risvegliabile, esegue ordini. Apiretico. Circolo

stabile. BI lievemente neg. Diuresi ok in respiro spontaneo con FiO2 ~ 0,3 SpO2 99%, meccanica

respiratoria buona. Secrezioni bronchiali fluide e biancastre. Dieta enterale tenuta… 1600 Pz

lasciato [illeggibile] in respiro spontaneo per il tubo a T FiO2 31%. Bene la Sat 100%. Clinicamente

[illeggibile]. h 24 Apiretico. Pz sveglio, a tratti agitato. Il respiro spontaneo con T-tube, buona

meccanica respiratoria, tosse valida, SpO2 98% con FiO2 30%. Circolo stabile, PA sempre elevata.

Diuresi ok. Addome ndp. Gli 128";

- Il 24.5 fu eseguita nuova TC encefalo, che evidenziò: "Quadro invariato nel confronto con il

precedente del 19 maggio scorso". Dal diario clinico: "h 800 T° 365, FC 72, PA 150/100, PVC +2,

FR 22, SpO2 99%, QU 1920 BI //. Apiretico. Giace ad occhi chiusi, risvegliabile, esegue ordini

semplici con fatica. A tratti agitato. In respiro spontaneo con tubo a "T", buona meccanica

respiratoria, buoni gli scambi all'emogasanalisi. Circolo autonomo, pressione arteriosa

tendenzialmente elevata, diuresi spontanea. Al torace: MV normotrasmesso bilateralmente. Addome

trattabile, apparentemente non dolente. Alvo chiuso. h 16 Endoscopia laringea a fibre ottiche:

motilità e pervietà laringea normale [dott. E. C.];

-Il 25.5 vi fu nuova visita neurologica del dott. A. P., che scrisse: "Oggi pz vigile, con occhi esplora

ambiente, localizza stimolo doloroso, non risponde a domande e non esegue ordini semplici

(stanotte sedazione con Valium), sempre evidente lieve risparmio motorio a dx senza comparsa di

piramidalismi. TAC di controllo invariata, in particolare non comparsa di lesioni ischemiche. Utile

trasferire appena possibile il pz in Reparto riabilitativo". Vi fu anche valutazione fisiatrica, svolta

dal dott. A. S., delle cui annotazioni: "…Esegue ordini semplici con latenza… Non ipertono alle

estremità"; fu programmato trattamento fisiochinesiterapico di mobilizzazione passiva tal

prevenzione di retrazioni muscolari. Dal diario clinico: "800 Apiretico, reattivo, contattabile, esegue

ordini complessi con latenza. Valori di PA sempre tendenzialmente elevati si associa β-bloccante in

terapia. Buona saturazione respiro spontaneo aria ambiente con tracheo fenestrata chiusa da

tappuccio. Alimentazione ben tollerata. Diuresi un po' contratta nelle ultime ore. Effettua carico di

CO. Si richiede valutazione neurologica prima di trasferimento in ORL. Attivata richiesta per FKT

motoria di supporto. 1200 Esegue visita neurologica. 1500 Come da accordi si trasferisce in Otorino

per il prosieguo delle cure".

-Nella lettera di trasferimento fu scritto: "Diagnosi di ingresso: Encefalopatia

metabolica/postanossica, arresto cardiaco ripreso, ostruzione alte vie aeree, patologia ORL/maxillo-

facciale, nessuna infezione. Motivo di ammissione: Insufficienza respiratoria, insufficienza

neurologica (coma post-anossico). Patologie croniche preesistenti: ipertensione. Anamnesi

patologica prossima: sottoposto a tiroidectomia totale per nodulo; sanguinamento nel postoperatorio

con insufficienza respiratoria bradiaritmia. Effettuata tracheostomia d'urgenza al letto e revisione

chirurgica. Trasferimento in Rianimazione per monitoraggio postoperatorio… Situazione attuale:

Stato di coma post anossico esegue ordini semplici in modo incostante. Crisi di ipertono;

- Il pomeriggio del 25.5 il paziente fu trasferito presso il Reparto di Otorinolaringoiatria. Nel diario

clinico della cartella già aperta per l'iniziale ricovero si legge che il paziente permane in stato

soporoso e alle h 2100 “pz soporoso non risvegliabile. Ripetuta alle h 2115 pz non risvegliabile né a

stimoli meccanici, né a stimoli verbali. Si avvisa Medico di Guardia dott. T. si contatta Anestesista

dott. [illeggibile]. Arriva in Reparto alle h 2125 Sat. 90 in aria 98% in O2 T. PA 140/100 x ordine

Anestesista si esegue TAC urgente alle h 2230 e si trasferisce il pz in Rianimazione". Alla TC

encefalo urgente fu rilevato: "Quadro tonodensitometrico sostanzialmente invariato rispetto

all'analogo esame eseguito il 24 maggio 2010"

- Nel diario clinico fu scritto: "Ore 23.20 Il pz entra in rianimazione proveniente dalla Str.

Complessa ORL dopo esecuzione TAC, accompagnato dal sottoscritto. Il pz è stato valutato in

Reparto ORL su chiamata dell'infermiere: neurologicamente peggiorato rispetto all'obiettività

del mattino, non eseguiva alcun ordine verbale, non apertura degli occhi allo stimolo, allo

stimolo nocicettivo debole attività finalistica in flessione senza localizzazione. SpO2 99% con

O2, abbondanti secrezioni dalla tracheostomia, buoni valori di PA e FC. Si esegue quindi TAC

encefalo (non refertata per assenza del radiologo in orario notturno) apparentemente sovrapponibile

alla precedente di ieri. Si ritiene opportuno monitoraggio e osservazione in Rianimazione, anche per

il sopraggiungere della notte. In Rianimazione il pz si presenta leggermente più reattivo,

accenna a eseguire solamente di "sporgere la lingua", non altri ordini semplici. Apiretico. PA

142/94 FC 74. Si collega al ventilatore in PS +8, FiO2 0,40, PEEP 5. Diuresi sufficiente". Fu

impostata terapia con soluzione RA con KCl 40 mEq 40 ml/h, Rocefin 2 g x 2/die, Eutirox 100,

Antra, Capoten 50 x 3/die, Tenormin 100/die, Clexane;

- Il giorno seguente: "h 2.30… Allo stimolo esegue qualche ordine semplice. Tende ad agitazione

motoria. Scambi respiratori buoni… h 1600… Giace ad occhi chiusi. Alla chiamata apre gli occhi.

Esegue ordini semplici con latenza. Discreta meccanica respiratoria…"..

- Il 27.5 vi fu valutazione specialistica endocrinologica, dal cui referto risulta: "Paziente affetto da

gozzo multinodulare pretossico sottoposto ad intervento di tiroidectomia totale. Presa visione esami

di funzione tiroidea (ormoni liberi inferiori ai limiti di norma) consiglio di aumentare la dose di

levofloxacina a 125 mcg/die. Tra 10 giorni ripetere prelievo per FT-3 e FT-4". Dal diario clinico: "h

1.00 Pz ad occhi aperti a tratti esegue ordini semplici… h 0900 Giace ad occhi aperti, esegue

ordini semplici, muove 4 arti, atteggiamento spastico…".

- si rilevava peraltro, con RM encefalo con mezzo di contrasto eseguita il 27.5.2010 la presenza di

una grossolana cisti aracnoidea nella fossa cranica media di destra con ipoplasia del lobo temporale;

anche il verme cerebellare presentava un discreto grado di atrofia; all’indagine non venivano

riconosciuti segni di lesioni di significato anossico in regione cerebrale; a livello sottocorticale

erano evidenziate multiple piccole aree ipertense nelle sequenze TR lungo, sostanzialmente di

significato aspecifico;

-Il 28.5 vi fu nuova visita neurologica del dott. A. P.; dal foglio di visita risulta: "Quesito

diagnostico: Paziente noto, obiettività neurologica fluttuante, valutazione opportunità RMN"; il

Sanitario a referto della visita scrisse: "Si prende visione della RM cerebrale che non mostra

lesioni post-anossiche, oggi clinicamente il pz appare vigile, esegue qualche ordine semplice,

invariata restante obiettività". Dal diario clinico: "Ore 9.30… Pz ad occhi aperti, non segue con lo

sguardo l'interlocutore, esegue come unica richiesta verbale di sporgere la lingua, non esegue altri

ordini. Marcato ipertono muscolare in flessione, allo stimolo flessione finalistica… 1600

Neurologia invariata… h 24… Quadro clinico invariato. Esegue qualche ordine verbale semplice.

Invariato l'ipertono muscolare in flessione agli arti superiori…";

Il 31.5: "h 10.00… Pz vigile, alla chiamata apre gli occhi, accenna a seguire con lo sguardo

l'interlocutore, esegue qualche ordine semplice (sporge la lingua), flessione finalistica poco

coordinata con marcato ipertono in flessione agli arti superiori… h 1530 Presi accordi con la

Medicina d'Urgenza, si trasferisce il paziente…";

-ricoverato in Medicina di Urgenza il paziente Il 2 e il 3.6 non furono registrate variazioni cliniche

di rilievo; …Deglutisce cibi semisolidi…"; il 5.6: "Pz sveglio, risponde alle domande. Eloquio

[illeggibile],disartrico. Dismetrie agli arti con contratture e spasmi…". Il dosaggio di

ciprofloxacina fu aumentato a 500 mg x 2/die; il paziente viene descritto Vigile, collaborante,

orientato nel tempo e nello spazio. L'eloquio non è fluente, ma i contenuti sono appropriati.

Persiste ipertono alle estremità che presentano mobilità attiva con importante componente

spastica. Trasferimenti posturali da supino seduto possibili con assistenza intensa.

Deambulazione non possibile. Non presenti, apparentemente, turbe disfagiche". Fu

programmata prosecuzione dei trattamenti riabilitativi dal diario clinico: "…Ipotrofia muscolare ai

4 arti. Pz sveglio, lucido, collaborante, orientato nel T/S. Deviazione [illeggibile] sguardo occhi

a dx. Disartrico. Movimenti spastici emisoma dx… ; l'8.6 vi fu rivalutazione neurologica del dott.

A. P. "Molto migliorato rispetto ai precedenti controlli. Vigile, collaborante, disartria spastica,

distonie distali agli arti sup con minimi movimenti coreo-atetosici. Il quadro clinico conferma

postumi di sofferenza anossica cerebrale in miglioramento. Potrebbe essere utile inserire

Lioresal 10 mg 1 cp x 3/die"

-Il 9.6 il paziente venne trasferito nuovamente nel reparto di Medicina Riabilitativa del medesimo

nosocomio. Alla valutazione obiettiva di ingresso: "Controllo del capo non completo… Paz

vigile, collaborante, orientato nello spazio. Eloquio non fluente ma i contenuti sono

appropriati. Persiste ipertono alle estremità che presentano mobilità attiva con importante

componente spastica. Trasferimenti posturali da supino a seduto possibili solo con assistenza

intensa. Deambulazione non possibile. Non presenti, apparentemente, turbe distoniche; lo

stesso giorno vi fu valutazione logopedica, dal cui referto risulta: "…(Scolarità 10 anni, lateralità

manuale 8 + 2/12) è stato sottoposto a valutazione neuropsicologica in merito agli esiti di coma

postanossico. Il paziente presenta ipovisus, è orientato nel tempo e nello spazio collabora con

lieve discontinuità alle sedute necessarie alla valutazione. Il paziente è affetto da disturbo

aprassico ai 4 arti che ha inficiato e a volte impedito la somministrazione di test scritti. L'impegno

cognitivo non supera il tempo di 20-30 minuti. L'eloquio spontaneo presenta segni di disprosodia

e alcune note disartriche che rallentano la fluenza normale; non vi sono pause anomiche e

sostituzioni lessicali. Le frasi sono di lunghezza normale e corrette sinteticamente. Nel complesso

linguaggio spontaneo del paziente risulta rallentato… Conclusioni: la somministrazione di alcuni

test di memoria non ha registrato una piena collaborazione da parte del paziente che ha interrotto in

modo deciso la somministrazione del test di MLT spaziale. In altri casi ha dimostrato insofferenza e

nervosismo, pur terminando la prova richiesta. Il test per l'acalculia è stato somministrato a mente

indicando la completa normalità della capacità di calcolo. Nel complesso si sottolinea la ridotta

capacità di impegno cognitivo che tuttavia migliora di giorno in giorno, parallelamente al recupero

dell'autonomia sia per la cura personale, sia nella capacità di scrittura. Il comportamento del

paziente è tendenzialmente normale con note depressive e, più spesso, di euforia. Il quadro

neuropsicologico non è definitivo, evolvendo giorno dopo giorno con il progredire del recupero

neuromotorio. Attualmente non si rilevano gravi disturbi nelle abilità testate. Utile un controllo fra

circa 3 mesi".

- Il 12.7 fu stilata relazione clinica, nella quale si legge: "…Allo stato attuale il paziente ha

presentato un notevole miglioramento clinico e neuromotorio riacquisendo la completa

autonomia nei trasferimenti posturali e miglioramento della fluenza del linguaggio. La

deambulazione avviene senza ausilio, per tratti lunghi, con supervisione per persistenza di

instabilità posturale. Prosegue con il training per i disturbi cognitivi presentando, comunque, un

netto miglioramento delle funzioni cognitive superiori: non disturbi di acalculia, memoria

integra…"; il 21.7 "…Soggettivamente bene, lieve miglioramento del quadro motorio durante la

deambulazione…". Il giorno seguente: "…Il pz è stato autorizzato a deambulare

autonomamente in camera;

- Il 24.8 il paziente fu dimesso dal reparto riabilitativo, per prosecuzione completamento delle cure

otorinolaringoiatriche. Nella lettera di trasferimento fu segnalato: "…Alla dimissione il paziente è

in buone condizioni generali, lucido e collaborante, in buon compenso metabolico, deambula

autonomamente senza ausili, presenta base allargata in assenza di pendolarismi degli arti

superiori, buona la resistenza alle prove di spinta in stazione eretta;

- trasferito nuovamente nel reparto di otorinolarigoiatria Il 15.9 vi fu rivalutazione neurologica,

svolta sempre dal dott. A. P., che scrisse: "Pz vigile, collaborante, orientato, lucido, risponde a tono

alle domande. Parola lievemente rallentata con [illeggibile], lieve dismetria I/N bilat, lieve

distonia emisoma sin. Strabismo presente dalla nascita. Tali disturbi, anche a detta del pz e

anche in considerazione della RM cerebrale, sono a mio avviso antecedenti all'intervento

subito dal pz".

- seguivano alterne vicende con riguardo alla situazione neurologica del paziente definita

altalenante; fino alla sua dimissione dalla struttura ospedaliera in data 16.9.2010;

-in data 14.9.2011 il paziente veniva ricoverato presso la casa di cura privata S. G. di P. per una

valutazione logopedica della disfagia al fine di stabilire le abilità di deglutizione insicurezza; il

percorso veniva dichiarato “concluso” in data 19.10.2011 pur nel rilievo di un persistente lieve

disturbo neurologico;

- all'esame obiettivo, eseguito dai CTU in data 5.2.2015 il paziente si presentava in buone

condizioni generali. Riferiscono i CTU che “Tiene la stazione eretta a piedi uniti con incertezze e

oscillazioni in tutte le direzioni, che si attenuano allargando la base d'appoggio. La deambulazione è

possibile, ma con caratteri nettamente pareto-atasso-spastici bilateralmente specie a destra; i

movimenti automatici di pendolarità degli arti superiori sono alquanto ridotti specie a destra, ove

l'arto è tenuto in anomalo atteggiamento di semiflessione dell'avambraccio sul braccio. Molto

problematica è la marcia del funambolo; impossibile il saltellamento su un solo arto

indipendentemente. Nel territorio cranico è d'immediato rilievo un netto strabismo divergente di

OS; l'esame dell'oculomozione estrinseca evidenzia una paralisi coniugata dello sguardo verso

destra; sono deficitari anche i movimenti di elevazione e abbassamento degli occhi; l'oculomozione

intrinseca è conservata; le pupille sono eguali, reagiscono bene alla luce e all'accomodazione

convergenza. L'eloquio è rallentato, disartrico e poco articolato. Agli arti superiori la stenia globale

e segmentaria non è significativamente ridotta, mentre è compromessa la coordinazione dei

movimenti nella indice naso e indice-lobo dell'orecchio, in particolare a destra. Sono, altresì,

compromessi i movimenti fini delle dita delle mani, specie a destra. Alla mobilizzazione passiva il

tono muscolare è nettamente aumentato in senso spastico, maggiormente agli arti di destra. I riflessi

osteotendinei sono vivacissimi, policinetici, specie agli arti di destra, in particolare i rotulei. Sul

piano psichico e cognitivo i test eseguiti il 23.9.2011, vale a dire a distanza di un anno e mezzo

dall'evento, quindi a condizione clinica in sostanza stabilizzata, sono da ritenersi validi. Da essi

risulta una compromissione di modesta entità a carico di molteplici aree della sfera cognitiva, tra cui

la memoria visuo-spaziale differita e la memoria prospettica, deficit attentivi, disturbi nella figura

complessa di Rey, delle funzioni prassiche e delle funzioni esecutive. Tale esame conclude per

"compromissione mediolieve a carico della funzionalità esecutivo-comportamentale".

I CTU hanno riferito che al colloquio nell'attualità il sig. L. lamenta difficoltà a deambulare

autonomamente per ipostenia agli arti inferiori, mancanza di equilibrio con sbandamenti in tutte le

direzioni: alterazioni motorie alle mani con difficoltà alla prensione di oggetti e impossibilità alla

guida di autoveicoli. Riferisce, inoltre, un indebolimento delle proprie capacità intellettive, in

particolare della memoria e precoce affaticabilità mentale. Il soggetto ha, altresì, dichiarato che per

il persistere di tali disturbi non ha più potuto riprendere la propria attività lavorativa.

Tanto ripercorso i consulenti hanno sottolineato diversi aspetti “procedurali” di rilievo anche ai fini

della risoluzione del caso specifico.

Essi hanno ripetutamente segnalato la grave carenza documentale della cartella clinica e del diario

clinico; alcune sezioni non sono complete ( come la sezione relativa all’obiettività all’ingresso e

quella relativa alle “patologie concomitanti”); la descrizione delle operazioni avvenute in sala

operatoria è ridotta al minimo (“limitatezza delle descrizioni operatorie”) e per quanto attiene al

periodo post operatorio i CTU hanno sottolineato come manchi del tutto la documentazione

anesteseologica relativa al periodo di risveglio e dell’invio del paziente in reparto; il diario clinico

del giorno dell’operazione reca una sola annotazione alle ore 14,25 e in essa non è fatta menzione

della condizione oggettiva del paziente ; nessuna annotazione in ordine ai controlli infermieristici in

quella giornata risulta anche dai diari infermieristici; le annotazioni presenti in cartella e relative

alla fase della urgenza recano due indicazioni temporali ( 17,50 e 17,55) che i CTU in una prima

fase hanno considerato scarsamente attendibili da un punto di vista temporale alla luce della

complessità degli interventi svolti e comunque anche dei dati derivanti dalla emogasanalsi delle

18.55 che evidenziava un’acidosi assai grave; quest’ultimo aspetto è stato poi oggetto di revisione

da parte dei CTU ma resta il fatto che la incuria nella tenuta della documentazione clinica sia dato

oggettivo innegabile. Ciò ha portato i CTU alla seguente drastica affermazione “Ciò pone

irrisolvibili dubbi su quale sia stata la reale tempistica con la quale venne a rendersi manifesta

l'emorragia e con la quale venne ad instaurarsi la secondaria asfissia, nonché dubbi sulle

registrazioni orarie stesse”, incertezza che è rimasta anche a seguito della richiesta di chiarimenti.

Peraltro i dubbi espressi dai CTU in parte traggono fonte anche da alcune circostanze allegate dalle

parti ma poi non confermate dalla istruttoria (né tra l’altro quella articolata dalle difese nelle

memorie istruttorie poteva sopperire a tale mancanza stante la formulazione di circostanze

incongrue e generiche al proposito) in ordine ad una seconda visita che sarebbe stata effettuata dal

dott. C. a metà pomeriggio e alla circostanza che il sig. L. ebbe a comunicare con il fratello a mezzo

sms in un momento immediatamente successivo alle ore 17.55.

I CTU hanno quindi rilevato, anche avvalendosi del contributo specifico offerto dalla ausiliare

dott.ssa C., che l’atto chirurgico non può considerarsi criticabile atteso che la tecnologia utilizzata

(Ultracision) offre migliori garanzie di tenuta nelle manovre di dissezione e di coaguli ( cit.

Lombardi et al., Contin P et al; Pons Y et al, Ecker T et al); la sinteticità delle annotazioni del diario

chirurgico non ha tuttavia consentito di approfondire la concreta dinamica dell’intervento e delle

fasi di chiusura degli strati; in ogni caso la dott.ssa C. ha escluso che la successiva emorragia sia di

per sé segno di una cattiva sutura avvenuta in sede di intervento; infatti l’evento emorragico è

sempre possibile né evitabile con il posizionamento di un drenaggio chirurgico il cui utilizzo sulla

base della scienza medica attuale (Samraj K; Gerusamy KS, Cochrane Database Syst. Rev) non si

ritiene possa evitare o ridurre le complicanze emorragiche post operatorie. Inoltre i consulenti

dell’ufficio hanno rilevato che, alla luce di quanto descritto nel diario operatorio del secondo

intervento di revisione, si deve ritenere che il sanguinamento postoperatorio sia stato effettivamente

"a nappo", vale a dire in forma di stillicidio plurifocale e non di sanguinamento discreto di tipo

arterioso peduncolare e che tale tipo di sanguinamento, per quanto rapido possa essere, non

può determinare un'asfissia così rapida da potersi dire improvvisa.

I CTU hanno quindi testualmente osservato che “Vero è, nel contempo, che l'Asfissiologia Forense

insegna che possono essere sufficienti anche solo pochi minuti di ostacolo acuto al flusso

respiratorio per avere ripercussioni non solo gravi, ma addirittura mortali. L'Ausiliario Chirurgo

ha commentato che la tipologia di sanguinamento e l'eccezionalità delle asfissie in correlazione ad

esso fanno ritenere che esso non sia stato intercettato in tempo a causa di una

assistenza/sorveglianza, clinica e soprattutto infermieristica, non adeguata. Su tale punto,

purtroppo la grossolana carenza documentale non consente di appurare in alcun modo quale sia

stata l'effettiva assistenza/sorveglianza. Per completare il ragionamento da svolgere su tale aspetto,

si deve, però, da un lato considerare che i sanguinamenti hanno una prima fase occulta, nella quale

non danno segni apprezzabili di sé, e solo in secondo momento si rendono manifesti sul piano

clinico; dall'altro è necessario contestualizzare il giudizio tecnico, tenendo in debito conto che non

vi era indicazione a ricovero del paziente in Terapia Intensiva Post- Operatoria, dato il carattere

"locale" della procedura chirurgica, e che al di fuori degli ambienti di Terapia Intensiva non è

possibile sorvegliare ogni singolo paziente minuto per minuto o comunque con controlli

clinici/infermieristici ripetuti tra loro ad intervalli di pochi minuti l'uno dall'altro. Pertanto, è da

ritenersi che, anche con una situazione di Reparto non intensivo "media", in termini di

assistenza/sorveglianza dei pazienti degenti, un tale tipo di evento asfittico potrebbe essere

intercettato quando ormai ha già esplicato in suoi gravi effetti. Sulla base di quanto sopra esposto,

circa l'an debeatur, gli scriventi non possono derivare una ferma censura in termini di inadeguata

assistenza/sorveglianza postoperatoria, proprio perché, come detto, eventi asfittici possono causare

danni anche gravi nell'arco di pochi minuti, quindi anche tra un controllo clinico/infermieristico e

l'altro. Resta il fatto che la grave carenza documentale non consente di verificare se vi sia stata o

no un'assistenza/sorveglianza almeno "media"..”.

Quanto alle conseguenze dell’evento asfittico i CTU hanno peraltro rilevato che il paziente risultava

affetto da macroscopiche alterazioni encefaliche senza dubbio preesistenti agli eventi per cui è

causa, rappresentate da una grossolana cisti aracnoidea e da discreta atrofia del verme cerebellare e

dell’emisfero cerebellare di destra ( pag. 36 della relazione).

I CTU hanno dato conto dei possibili danni derivanti dalla sofferenza encefalica che può seguire un

arresto cardiocircolatorio; hanno precisato ( pagg. 38 e ss della relazione) il meccanismo chimico

che segue all’arresto cardio circolatorio ed hanno legato al tempo di arresto la maggiore o minore

estensione della necrosi cellulare encefalica cui consegue il rilievo nella mobilità e nell’eloquio.

Hanno anche rilevato peraltro che le conseguenze encefaliche nella fase acuta e sub acuta

dell’enecefalopatia ipossico ischemica non sono rilevabili da TAC encefalo ed anche da RMN a

sequenze convenzionali ma solo con sequenze DWI; il medesimo esito è riconducibile anche alle

fasi successive rispetto all’evento; diversamente detti esami sono importanti per evidenziare

l’atrofia corticale e sottocorticale.

Hanno quindi evidenziato con specifico riguardo al caso esaminato che la durata dell’arresto

cardiocircolatorio non è chiaramente definibile ma comunque non può considerarsi superiore ai

dieci minuti con conseguente grave sofferenza cerebrale di natura ipossica ischemica con stato di

coma protrattosi per tre giorni a seguito del quale si è registrato un graduale miglioramento;

quest’ultimo tuttavia è stato interrotto da un brusco e repentino peggioramento della coscienza in

ottava giornata, peggioramento del quale i CTU non sono riusciti a dare una certa eziologia, sulla

base dei dati disponibili.

I CTU hanno avanzato, quale ipotesi più ragionevole, quella di una crisi epilettica, “ipotesi

avvalorata dal fatto che le condizioni del sig. L. migliorano nettamente già dopo le 24 ore e da

allora sono andate poi nuovamente migliorando grazie alle cure mediche e riabilitative. D’altra

parte l’ipotesi che si sia trattato di una crisi comiziale è supportata dall’importanza delle lesioni

encefaliche riportate dal L. in seguito all’arresto cardiocircolatorio e dimostrate non tanto dalle

indagini neuro- radiologiche quanto dalla gravità del quadro clinico durante i 4 mesi di degenza nei

vari reparti ( ORL, Anestesia e rianimazione, Riabilitazione motoria). La patologia encefalica non

evidenziata dalle TAC e dalla RMN era tuttavia ben presente, altrimenti come spiegare il quadro

clinico del L.? Focolai di sofferenza ischemica cerebrale possono essere punto di partenza di

scariche epilettiche, senza considerare il possibile ruolo epilettogeno della cisti aracnoidea

temporale ( Koch C.A. e coll. 1995)…. È, quindi, da ritenersi che il danno ipossico ischemico

causato dall'arresto cardiorespiratorio abbia compromesso il precario equilibrio funzionale

dell'encefalo del sig. L. sotteso dalla grossolana cisti aracnoidea e dell'atrofia cerebellare,

evidentemente di origine disembriogenetica, e dai correlati sovvertimenti strutturali e funzionali tra

il lobo temporale e gli altri centri nervosi.

Infatti, benché apparentemente asintomatica, risulta in modo inequivocabile che il L. presentava una

cisti aracnoidea e discreta atrofia del verme cerebellare: i CTU alle pagg. 36 e 37 ne descrivono le

caratteristiche e qualificano la cisti “comunicante” alla luce della asintomaticità ( sono stati acquisiti

documenti anche dal medico di base che nulla rilevano quanto a sintomatologia); l’unico aspetto

evidente è quanto segnalato dal dott. P. in data 15.9.2010 il quale per l’appunto evidenzia “parola

lievemente rallentata, lieve dismetria i/N bilaterale, lieve distonia emisoma sinistra, strabismo

presente dalla nascita; disturbi che a detta del paziente e in considerazione della RM cerebrale sono

ad avviso del dottore antecedenti all’intervento”.

Anche in questo caso i consulenti hanno rilevato come sia fonte di incertezza la grave carenza

documentale: nella redazione della anamnesi manca qualsiasi annotazione sulla condizione

oggettiva del paziente al suo ingresso (espressa critica dei CTU).

Da tali annotazioni, svolte da un medico che risulta avere seguito il L. sotto il profilo neurologico

per tutta la durata del post intervento, nonché dalla ampiezza della cisti i CTU hanno ritenuto che

tale condizione, benché sostanzialmente asintomatica abbia inciso sulla attuale condizione psico

fisica del sig. L. quale fattore scatenante la grave compromissione neurologica attuale.

Quanto ai danni eziologicamente ricollegabili alla condotta negligente i CTU hanno accertato in

primo luogo un rilevante prolungamento della vicenda clinica tale da configurare un periodo di

invalidità temporanea in forma assoluta di circa 4 mesi ( corrispondenti al periodo di

ospedalizzazione) e quindi un restante periodo di due mesi al 75% ( corrispondenti al periodo di

riabilitazione assistita).

Quanto ai postumi permanenti i CTU hanno a lungo valutato l’incidenza della presenza della cisti

aracnoidea e della distrofia del verme cerebellare.

Hanno preliminarmente osservato che la condizione attuale ( alla visita peritale) del paziente è da

ritenersi ben più grave di quella rilevata dopo le cure riabilitative dell’epoca. “L'evoluzione del

quadro clinico è, infatti, peggiorata, dopo il suddetto miglioramento, per sviluppo di encefalopatia

epilettica postanossica, che ha richiesto la somministrazione di farmaci specifici (levetiracetam e

Conazepam) a partire dal 2011. Anche le condizioni motorie ed in particolare la spasticità,

l'ipostenia e la scarsa coordinazione dei movimenti e la compromissione dell'equilibrio sono

peggiorati nel corso di questi anni, per fenomeni da ricondurre a degenerazione transinaptica e

transneurale, correlate al danno della corteccia cerebrale e della sostanza bianca sottocorticale. Uno

studio recente con tecnica MR di Diffusion Tensor Imaging e controllo autoptico post mortem in un

caso di arresto cardiaco ha evidenziato che il danno della sostanza bianca aumenta

progressivamente nel corso dei mesi (Gerdes J.S. e coll., 2014).

Tale stato di cose appare in linea con quanto rilevato all'esame clinico del sig. L. indicativo di

diffuso danno cerebrale, con interessamento delle vie cortico spinali, delle vie cerebellari, della

coordinazione dei movimenti e dell'andatura che ha caratteristiche nettamente pareto-spastiche,

oltre alla compromissione delle funzioni psichiche superiore di grado medio lieve”.

Alla visita peritale la compromissione psicofisica dell’attore è stata valutata pari al 70% ( barème

medico legali da Luvoni, Bargagna e Ronchi).

Su tale percentuale i CTU hanno ritenuto incidere per il 20% la situazione preesistente;

nell’incertezza dovuta alla apparente asintomaticità comportamentale ed alla mancata corretta

compilazione della cartella clinica in anamnesi all’entrata, i CTU hanno tenuto conto della oggettiva

lesione alla “integrità neuroanatomica del soggetto” situazione che configura una lesione

suscettibile di apprezzamento medico legale.

Il punto è stato fortemente criticato dai consulenti di parte; quelli di parte attrice hanno segnalato

come la storia naturale della cisti aracnoidea in pazienti adulti e selezionati per il trattamento non

chirurgico è generalmente benigna ( W. N. Al.Holou, S. Terman; C. Kiburg et al) e come i segnali

rilevati dal dott. P. nel settembre 2010 se presenti all’ingresso non avrebbero potuto non essere

notati ed annotati nella anamnesi con la conseguenza che una percentuale del 20% apparrebbe

eccessiva a fronte di una sintomatologia non rilevabile; i consulenti di parte convenuta hanno invece

rimarcato la maggior rilevanza della condizione preesistente che, anche a fronte della estesa

alterazione atrofica, “se di natura metatraumatica” singolarmente considerate porterebbe ad una

compromissione al 30% .

I CTU hanno ampiamente ripercorso il punto nelle osservazioni finali rilevando come “per quanto

attiene alla valutazione del danno preesistente si ribadisce che non vi sono motivi per dubitare sulla

buona fede delle annotazioni del dott. P., peraltro svolte mesi dopo il ricovero in causa. E ad ogni

modo la stima delle preesistenze è incentrata sulle anomalie encefaliche, così rilevanti che

quandanche pauci- o asintomatiche sarebbero state da ritenersi menomative per la precarietà

dell'equilibrio encefalico e l'aumentata suscettibilità a sequele negative. Occorre, infatti, ricordare in

accordo con la letteratura in precedenza citata, che le cisti aracnoidee non sono tutte eguali né per

sede né per dimensione. Esistono cisti di dimensioni modeste, ma esistono cisti di dimensioni molto

vaste, come quella del sig. L., che abbiamo collegialmente visionato, che occupa buona parte del

lobo temporale di destra, determinando una grave ipoplasia del medesimo, nonché atrofia del verme

cerebellare e dell'emisfero cerebellare omolaterale. La pauci/asintomaticitià della patologia,

correlata all'origine disembriogenetica e alla grande plasticità del sistema nervoso nella fase del suo

sviluppo, non né inficia l'importanza sotto il profilo menomativo biologico, con particolare

riferimento alla risultante meiopragia e particolare vulnerabilità ad eventi patogeni importanti come,

nel caso in specie, un insulto ischemico-anossico. Da qui l'apprezzamento di uno stato menomativo

preesistente. Circa la quantificazione di quest'ultimo, si è concordi con il prof. M. che lesioni di

consimile entità, se derivanti da fatti traumatici o iatrogeni, le si potrebbe valutare anche nella

misura del 30 (trenta) % di menomazione biologica. Ma nel caso in specie si deve tener conto che le

alterazioni presenti del sig. L. non sono di natura acquisita, ma di natura disembriogenetica, vale a

dire sviluppatesi già durante la vita intrauterina. E tale aspetto, a parità di alterazione anatomica, per

questioni di plasticità neuronale rende ragione di un maggior compenso funzionale da parte

dell'organismo, anche se instabile e precario e, quindi, una preesistenza di minore entità”.

La complessa ed approfondita ricostruzione valutativa dei consulenti dell’ufficio, alla luce della

incisiva critica svolta dal consulente di parte attrice e di parte convenuta della documentazione

medica in atti merita di essere solo parzialmente condivisa.

Secondo il regime dell’onere della prova in tema di responsabilità contrattuale deve ritenersi che la

parte attrice abbia dimostrato l’accesso alla struttura sanitaria per ottenere un trattamento medico e

un serio aggravamento delle proprie condizioni psico fisiche avvenuto successivamente

all’intervento; la parte poi allega una inadeguata sorveglianza nel corso del post operatorio quale

condotta colpevole e negligente che ritiene causa dell’aggravamento.

Tanto basta per ritenere soddisfatto l’onere di allegazione e probatorio gravante sull’attrice; a fronte

di ciò grava sulla struttura convenuta l’onere di dimostrare di avere agito con la diligenza

qualificata del professionista sanitario ( tra l’altro l’addebito di inadeguata sorveglianza attiene

specificatamente agli oneri della struttura sanitaria che nell’ambito della organizzazione delle

risorse interne deve assicurare adeguata sorveglianza ai pazienti, tenuto conto del grado di rischio

specifico di ciascun paziente).

Tanto premesso va anche osservato che come ribadito a più riprese dai CTU e facilmente

constatabile dalla lettura della cartella clinica oggetto della vicenda sanitaria che ha riguardato il

sig. L., la documentazione delle attività sanitarie svolte è stata nella specie molto carente. Non solo

alcune parti non sono state compilate ( anamnesi all’ingresso ad esempio) ma anche laddove

risultano compilate la descrizione è stata limitata all’essenziale con la conseguenza di non rendere

possibile ai CTU ed all’ausiliario di comprendere come si presentasse il paziente e quali attività

esattamente fossero state compiute. La carenza ben si rileva anche dal semplice raffronto tra la fase

pre critica e quella successiva dove le annotazioni sulla cartella appaiono invece frequenti e

dettagliatissime.

Come è noto l’incompletezza della cartella clinica è circostanza che ricade sulla struttura sanitaria

onerata di documentare precisamente l’attività posta in essere quando il paziente è sotto la propria

responsabilità. Sul punto chiare sono le indicazioni offerte dal Supremo Collegio nell’accertamento

della responsabilità professionale sanitaria: Cass. sez. 3, Sentenza n. 6209 del 31/03/2016 (Rv.

639386 - 01) ha affermato che “In tema di responsabilità medica, la difettosa tenuta della cartella

clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in

ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la

prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto

invocato. Tali principi operano non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del medico,

ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la sua condotta e le

conseguenze dannose subite dal paziente” e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1538 del 26/01/2010 (Rv.

611334 - 01) che ha precisato che “In tema di responsabilità professionale del medico, le omissioni

nella tenuta della cartella clinica al medesimo imputabili rilevano sia ai fini della figura sintomatica

dell'inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale dell'art.

1176, secondo comma, cod. civ., sia come possibilità di fare ricorso alla prova presuntiva, poiché

l'imperfetta compilazione della cartella non può, in linea di principio, tradursi in un danno nei

confronti di colui il quale abbia diritto alla prestazione sanitaria”).

Per quanto attiene quindi al caso di specie, sarebbe stato onere di parte convenuta dimostrare che il

pacifico arresto cardiocircolatorio dovuto ad emorragia conseguente all’intervento sia avvenuto

senza addebito colposo per avere la struttura posto in essere una adeguata sorveglianza idonea ad

evitare l’intervento posto in essere ormai al limite dell’arresto cardiaco.

La prova liberatoria non è stata offerta.

Le annotazioni inerenti alla tipologia di controllo del paziente dopo l’intervento ( mancanza di

relazione sul “risveglio “ e sulle condizioni del paziente all’atto del ritorno nel reparto di OTL-

l’unica annotazione avviene ad opera del chirurgo alle ore 14,25 e quindi a circa tre ore di distanza

dal termine dell’intervento senza peraltro alcuna indicazione in ordine allo stato psicofisico del

paziente) sono già di per sé significative di una sostanziale assenza di monitoraggio. L’assenza di

annotazioni non consente di utilizzare alcun altro elemento per provare che l’assistenza ci sia

viceversa stata ( di modo che inammissibile è la circostanza capitolata sul punto dalla convenuta,

peraltro in modo irrilevante in quanto riferita ad un solo ulteriore accesso del medico e formulata in

modo valutativo) ed è chiaro sintomo di un vero e proprio abbandono del paziente a se stesso,

abbandono particolarmente grave se si considera che si trattava della stessa giornata dell’intervento.

Infatti, come ha ben spiegato la dott.ssa C., a seguito di un intervento di tiroidectomia totale i

fenomeni emorragici sono frequenti con la conseguenza che, anche se non vi era indicazione per il

posizionamento del paziente in reparto di terapia intensiva ( come sottolineato dai CTU), tuttavia

egli meritava un monitoraggio in reparto attento e certamente più frequente di quello che emerge

dalla cartella clinica.

Un tale monitoraggio peraltro non appare inesigibile all’interno di un reparto ove il personale

infermieristico e medico presente deve essere posto in condizione, dalla struttura sanitaria, di

effettuare puntuali e frequenti controlli anche non a mera chiamata del paziente o per somministrare

“terapie”, soprattutto durante la giornata di un intervento ad altro rischio emorragico.

Va a questo punto considerato quale sarebbe stata l’efficacia di un controllo effettivo e continuato,

se svolto, in termini di evitabilità dell’evento.

I CTU hanno ritenuto che, data la scarsa attendibilità delle risultanze della cartella, i valori

emogasanalitici sarebbero stati l’unico elemento valutabile per apprezzare la tempestività del

soccorso e poiché questi devono essere letti alla luce dell’accertato arresto cardiocircolatorio non

possono spiegare effetto dirimente nell’accertare la tardività dell’intervento del personale sanitario

nel senso di affermare che l’arresto circolatorio fosse già in corso prima dell’intervento .

Il ragionamento logico non convince. Trattandosi di ragionamento logico e non solo tecnico

scientifico, questo giudice ritiene di poterne rilevare la incongruità e di aderire a diversa tesi logico

ricostruttiva.

Al fine di evitare il coma post anossico sarebbe stato necessario evitare l’arresto cardiocircolatorio e

non solo “prenderlo in tempo” nel corso del suo verificarsi; sul punto può aderirsi alla risultanza

documentale della cartella in base alla quale il sig. L., al momento dell’arrivo del primo medico

fosse cosciente essendo stato trovato seduto seppure in condizioni limite.

Tuttavia tale intervento deve considerarsi tardivo; infatti immediatamente il medico di guardia pose

in essere tutte le manovre richieste come gold standard in casi di specie senza poter evitare che

intervenisse l’arresto cardiocircolatorio a dimostrazione dell’intempestivo accertamento dello stato

di sofferenza respiratoria con conseguente parziale inutilità dell’intervento ( comunque salvavita

atteso che consentì la ripresa del polso dopo circa dieci minuti e cioè con una tempistica che, sulla

base della letteratura citata dai CTU, consentirebbe la produzione di danni cerebrali minimi) .

Le condizioni fisiche del sig L. tuttavia rendevano evidente lo stato di sofferenza e lo avrebbero

reso anche in un periodo antecedente alla chiamata ormai in emergenza; egli viene infatti descritto

dallo stesso medico di guardia come soggetto che presentava una evidente tumefazione cervicale in

sede di intervento , rigonfiamento generato, come si evince dall’esito della immediata tracheotomia,

da granuli di sangue. Orbene tale condizione ad avviso della scrivente ben poteva essere apprezzata

anche tempo prima della chiamata, tenuto conto del tempo che richiede la formazione di un granulo

di sostanza ematica e di quanto affermato dalla dott.ssa C. secondo la quale “si deve ritenere che il

sanguinamento postoperatorio sia stato effettivamente "a nappo", vale a dire in forma di stillicidio

plurifocale e non di sanguinamento discreto di tipo arterioso peduncolare e che tale tipo di

sanguinamento, per quanto rapido possa essere, non può determinare un'asfissia così rapida

da potersi dire improvvisa”.

Tutti questi elementi consentono di affermare che un migliore monitoraggio del paziente avrebbe

potuto rilevare la formazione della occlusione alle vie respiratorie prima di quando essa è stata

ravvisata nel concreto e quindi determinare un intervento di rimozione dei coaguli più tempestivo

ed evitare, in definitiva, l’arresto cardiocircolatorio.

In conclusione si può ritenere che vi sia stato un ritardo nell’intervento a seguito di emorragia per

carente monitoraggio, ritardo a causa del quale il sig. L. patì un arresto cardiocircolatorio che

provocò il coma successivo e sofferenza encefalica.

Quanto ai danni va invece del tutto condivisa la ricostruzione, anche in termini eziologici, dei CTU.

Essi infatti hanno affrontato in modo specifico ed approfondito il tema della riconducibilità delle

gravi lesioni psico-fisiche oggettivamente riscontrate anche nel corso della visita peritale all’evento

accaduto ed in particolare all’arresto cardio circolatorio ed al successivo impatto cerebrale.

L’analisi puntuale dei CTU ha consentito di individuare un danno neurologico ( tra l’altro in

progressivo aggravamento rispetto al momento della dimissione dalla struttura sanitaria convenuta)

quantificato nel 70% della integrità psicofisica. La percentuale non è stata contestata dai CTP e

trova significativo riscontro anche nella documentata inabilità lavorativa al 100% .

I CTU hanno anche puntualmente esaminato il dato in ordine all’assenza di lesioni prospettato dalle

TAC e RM encefaliche eseguite sia immediatamente dopo l’arresto cardio circolatorio sia a distanza

di quattro mesi evidenziando come gli strumenti diagnostici in esame non siano generalmente in

grado di rilevare lesioni cerebrali del tipo di quelle provocate dallo stato di coma e dalla

conseguenze della sofferenza cerebrale di natura ipossico-ischemica ma che tali conseguenze sono

chiaramente evincibili dalla gravità del quadro clinico manifestato dal sig. L. nei quattro mesi di

degenza successivi all’arresto cardio circolatorio.

La riconducibilità di tali danni alla sola cisti aracnoidea temporale non è mai stata neppure ventilata.

Tale risultanza, tuttavia, che costituisce di per sé sola una lesione anatomica della regione cerebrale,

unita alla atrofia cerebellare, è stata ritenuta dai consulenti rilevante quale fattore “scatenante” la

grave situazione attuale dell’attore avendo gli stessi ricostruito, con argomentazioni logico

scientifica non scalfite da una diversa ed altrettanto coerente ricostruzione in termini simili,

l’insorgenza altamente probabile della sofferenza neurologica riscontrata alla visita.

E quindi deve ritenersi che i focolai di sofferenza ischemica propri dell’arresto cardio circolatorio,

durato all’incirca dieci minuti, abbiano “attivato” una scarica epilettica in ottava giornata che ha

determinato il grave ed attuale peggioramento delle condizioni psico- fisiche del sig. L.,

impedendogli una ripresa completa delle precedenti funzionalità.

A questo proposito va osservato che, non essendovi elementi desumibili dalla anamnesi

all’ingresso, del preesistere di comportamenti patologici rilevanti in capo all’attore, deve

condividersi l’assunto espresso dai CTU che la compromissione neurologica prestata dal L. fosse

del tutto asintomatica e che non vi sarebbero state conseguenze tanto apprezzabili sulle funzioni

motorie, cognitive e lessicali in assenza dell’evento ischemico ( per la sua genesi disembriogenetica

rispetto alla quale i CTU hanno convincentemente ritenuto si sarebbe verificato un compenso

funzionale da parte dell’organismo, anche se instabile e precario).

Quindi del tutto condivisibile è la tesi in base alla quale solo una modestissima parte – comunque

sussistente ed imputabile alla pregressa patologia - del danno oggi rilevato sia riferibile alla cisti

aracnoidea ed alla atrofia cerebellare, parte individuata nel 20%. Infatti i CTU hanno evidenziato

che a causa della vastità della cisti essa non avrebbe avuto ragionevolmente una storia futura ancora

asintomatica, esponendo comunque il paziente ad una reazione grave in ipotesi di situaizoni

neurologicamente pericolose.

In definitiva la compromissione alla integrità psico fisica rilevato ed accertata dai CTU è pari al

70% di cui 20% imputabile alla pregressa patologia.

Vale solo ribadire che la compromissione della capacità lavorativa e la sua allegata perdita non

costituiscono, per come accertati, danno patrimoniale autonomo rispetto al danno biologico; la

difesa della parte attrice ha allegato tale danno in citazione in modo del tutto generico (in citazione

si legge soltanto un riferimento incidentale alle conseguenze del danno sulla “attitudine al lavoro

”del sig. L., nulla più ( pag. 8 della citazione)) di modo che detta compromissione può essere

ritenuta già ricompresa nella generale compromissione alla attività lavorativa propria del danno

biologico soprattutto quando accertato con i caratteri di gravità propri del caso di specie.

3. La liquidazione dei danni

L’accertamento del postumo permanente in termini di “danno incrementativo” di una patologia

preesistente impone una breve premessa ai fini della sua liquidazione.

Vale richiamare quanto già affermato e del tutto condiviso da questo giudicante dalla sezione prima

del Tribunale sull’argomento. “.. qualunque impostazione e soluzione voglia darsi alle

problematiche proprie del danno iatrogeno incrementativo, comunque si pone la necessità – anche

là dove si segua l’indirizzo di cui a Cass. 15991/2011- di procedere , sotto il profilo della causalità

giuridica, ad una selezione, nell’ambito della complessiva situazione di invalidità della parte lesa ,

delle conseguenze considerabili per individuare il danno alla persona oggetto dell’obbligo

risarcitorio a carico del medico operante. Principio che inevitabilmente deve riflettersi anche sui

criteri liquidatori di esso che non possono prescindere dal rilievo che assume la situazione

preesistente sotto due principali profili: a) non può farsi gravare sul medico, in via automatica, una

misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori estranei alla sua condotta, così come

verrebbe a determinarsi attraverso una pedissequa applicazione di tabelle con punto progressivo,

computato a partire, in ogni caso, dal livello di invalidità preesistente; b) la liquidazione va

necessariamente rapportata ad una concreta verifica, secondo le allegazione delle parti, delle

conseguenze negative “incrementative” subite dalla parte lesa. Profili che – ad avviso del tribunale

– nell’ambito del danno iatrogeno difficilmente sono rapportabili ad uno schema rigido

liquidatorio, proprio per la variabilità dei casi: si pensi ai diversi effetti che possono determinarsi

a seconda che la complessiva invalidità, sia la risultante della sommatoria di lesioni coesistenti che

colpiscono diverse funzionalità, ovvero la condotta del sanitario abbia determinato una

concorrente lesione che incide sulla medesima preesistente disfunzianiltà. Distinzione, anche

questa, certo non risolutiva ove si consideri che anche fatti negativi riguardanti funzionalità

diverse possono risolversi non in una mera sommatoria di distinti effetti negativi – da valutarsi in

via autonoma ai fini risarcitori - ma possono comportare un effetto pregiudizievole sinergico, tale

da incidere sulla concreta conduzione di vita della parte elsa, a seconda dell’età, del tipo di vita ,

della sua condizione familiare ecc..

Già questo Tribunale ha avuto modo di evidenziare che il dato relativo concernente la misura

differenziale , coerentemente con i principi sovra espressi , va considerato nel suo rilievo di base e,

quindi, adeguatamente rimodulato in considerazione della vicenda clinica e della situazione

concreta della parte lesa, sotto ogni profilo rilevante attinente ai riflessi sulla sua integrità psico-

biologica, al condizionamento e al pregiudizio dello svolgimento delle sue attività areddituali, ad

ogni ulteriore aspetto morale che concorre a descrivere il danno non patrimoniale. Ciò,

necessariamente, sulla base delle risultanze e delle allegazioni anche presuntive offerte dalla parte

(va ricordato, infatti, che il danno non patrimoniale anche quando sia determinato dalla lesione di

diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato,

con la conseguenza che la parte lesa dovrà comunque allegare tutti gli elementi idonei a fornire,

nella concreta fattispecie, la serie concatenata di fatti che permettano di presumere e individuare i

vari profili di danno(Cass. S.U. 11 novembre 2008, n. 26973, n. 9528/2012).Tale rimodulazione

risponde a quella esigenza di “personalizzazione” del danno che la stessa Suprema Corte, pur

riaffermando l’utilità-in difetto di criteri di legge- dell’applicazione delle Tabelle, specificatamente

del Tribunale di Milano , pur tuttavia pone ripetutamente quale operazione imprescindibile” (

Presidente Bichi sent. 8447/2013).

Del resto la citata pronunzia della Suprema Corte distingue le peesistenze in due differenti categorie

e quella presente nel sig. L. appare appartenere alla seconda delle categorie ivi individuate (“

dall'altro quelle in cui il danneggiato già presenti, prima dell'evento dannoso, una reale e

conclamata patologia, tale (in base a prova da fornirsi dal danneggiante, anche attraverso la

documentazione di quella complessa vicenda relazionale che conduce al cd. Consenso informato)

da rendere le conseguenze dell'evento rigorosamente configurabili, sul piano probabilistico, alla

stregua di un aggravamento dello stato patologico pregresso (o della perdita di chance di evitare o

differire la degenerazione della situazione preesistente): in tal caso, la valutazione del quantum

risarcitorio, con un suo eventuale adeguamento alla situazione de qua, deve ritenersi astrattamente

legittimo, pur se l'eventuale riduzione del risarcimento dovrà seguire un iter ben preciso, non

potendosi né ipotizzarne una automatica riduzione, né una quantificazione secondo un criterio

strettamente proporzionale, espresso, cioè, in termini strettamente percentualistici della

conseguenza naturale rispetto alla conseguenza dannosa imputabile”.

Nel caso di specie è significativo il fatto che il grado di lesione permanente attuale appare grave ma

non comportante il totale azzeramento delle attività della persona che interagisce con le persone in

modo critico, è in grado di esprimere una discreta autonomia nella mobilità e mantiene funzioni

cognitive relativamente valide; l’influenza che deve essere comunque riconosciuta alla pregressa

situazione invalidante nella misura del 20%, è –rispetto al complesso della situazione esistenziale

dell’attore – di non relativa marginalità, giacché l’aggravamento successivo ha reso attivo e

progressivamente in maggior peggioramento le capacità di espressione della personalità e della vita

di relazione dell’attore, persona di età adulta ma con una rete di relazioni significative anche

familiari ed una operatività anche nel mondo del lavoro che, sulla scorta di quanto rilevato dai

consulenti dell’ufficio con alta probabilità si sarebbero potute verificare anche se ragionevolmente

con minore gravità ed intensità.

Sulla base delle tabelle equitative milanesi, (assunte a ragionevole parametro di riferimento

secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, cfr Cass. sentenza n. 12408 del

7.6.2011).l’invalidità del 70% per una persona dell’età del sig. L. ( 45 al 17.5.2010) individua un

danno base di 619.590,00 euro, comprensivo anche del cd danno morale, nella specie senza dubbio

sussistente in termini di sofferenza per l’evento traumatico vissuto e per il manifestarsi delle sue

inaspettate conseguenze.

In considerazione tuttavia della diminuzione da riconoscersi per la autonoma e pregressa situazione

di invalidità del 20% ( e del parametro tabellare per essa prevista ) e in riferimento alla applicazione

di una adeguata personalizzazione del danno ( che la parte attrice ha documentato attraverso le

produzioni allegate alla memoria 183 sesto comma n. 2 c.p.c. in relazione al vissuto amicale e

familiare nonché lavorativo compromesso), ritiene il tribunale di poter riconoscere l’importo

complessivo di euro 700.000,00, importo che tiene conto di ogni profilo del danno, anche sotto il

profilo della valutazione afflittiva morale soggettiva e della ridotta attitudine alla attività lavorativa.

Non risultano documentate spese.

Quanto all’invalidità temporanea i CTU hanno individuato un periodo di mesi quattro al 100% e di

mesi due al 75%; per tale periodo si liquidano complessivamente euro 23.925,00 ( sulla base del

parametro pro die di euro 145,00 di cui alle richiamate tabelle da individuarsi nella sua misura

massima anche in ragione del calcolo su di esso della rilevante sofferenza morale nel periodo di

ospedalizzazione e immediatamente successivo).

Su tale complessivo importo di euro 723.925,00 liquidato al valore attuale della moneta non

possono essere riconosciuti i c.d. interessi (legali) compensativi con decorrenza dall’illecito (alla

luce dell’insegnamento risalente a Cass. Sez. Un. 17/2/1995 n.1712), giacché si verte in tema di

debito di valore. Si ritiene tuttavia, in considerazione del lasso di tempo trascorso dall’illecito (7

anni), che vada riconosciuta al danneggiato un’ulteriore somma a titolo di lucro cessante provocato

dal mancato tempestivo risarcimento del danno da parte dei responsabili (e conseguentemente dalla

mancata disponibilità dell’equivalente pecuniario spettante ai danneggiati), potendo

ragionevolmente presumersi che il creditore ove avesse avuto la tempestiva disponibilità della

somma spettante l’avrebbe certamente impiegata in modo fruttifero. Ai fini della liquidazione

equitativa del lucro cessante derivato dal mancato tempestivo risarcimento per equivalente si ritiene

di far ricorso al criterio degli interessi legali da calcolarsi sull’importo riconosciuto e “devalutato”

fino all’illecito e poi “rivalutato” annualmente con l’aggiunta degli interessi legali fino alla

decisione giudiziale ovvero sul capitale “medio” rivalutato, adottati dalla giurisprudenza.

Sulla somma risultante, corrispondente all’intero danno risarcibile liquidato a parte attrice, sono

altresì dovuti gli interessi al tasso legale sino al saldo e con decorrenza dalla data della presente

pronuncia, coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta.

Il consenso informato

Parte attrice ha anche lamentato l’assenza di consenso informato, chiedendo il risarcimento del

danno relativo alla sua violazione.

La violazione è stata ricondotta sia alla lesione del diritto alla salute, sotto il profilo della mancanza

di consenso alla esecuzione del trattamento sanitario, sia alla lesione del diritto alla

autodeterminazione.

Vale preliminarmente osservare che la principale doglianza, attinente alla assoluta mancanza di un

valido consenso informato, è stata superata dalla produzione da parte della convenuta del modulo di

consenso all’intervento chirurgico , debitamente sottoscritto dal paziente.

La sua lettura evidenzia che al paziente era stato ben rappresentato il tipo di intervento al quale

sarebbe stato sottoposto nonché le varie possibili complicanze tra le quali la possibile emorragia.

Ciò che impone, tuttavia, il rigetto della domanda è il rilievo dell’assenza di idonea allegazione in

ordine al danno patito. Invero la pur in ipotesi accertata violazione del diritto alla salute, sotto forma

di mancanza di espressione di valido ed informato consenso, o del diritto alla autodeterminazione,

sotto il profilo della libertà di scelta in ordine alle cure cui sottoporsi, impone che la parte,

quantomeno sotto il profilo della stretta allegazione, evidenzi il concreto profilo di danno patito non

potendosi in alcun modo ritenere sussistente un danno “in re ipsa”.

Orbene nel caso che oggi occupa il Tribunale manca del tutto una allegazione sotto il profilo del

patito danno; parte attrice non ha allegato né che, in ipotesi prospettandosi un’evenienza come

quella che si è in concreto verificata, non si sarebbe sottoposta ad intervento ( peraltro di cura

essenziale) o non si sarebbe sottoposta a quel determinato tipo di intervento né ha allegato di avere

patito una particolare sofferenza per la lesione del diritto alla autodeterminazione.

Ne consegue che la domanda va respinta.

La regolamentazione delle spese di lite

Le spese di lite nei rapporti tra l’attore e convenuta seguono la soccombenza e si liquidano come in

dispositivo in relazione al valore della causa come determinato in sentenza.

Le spese di CTU, già liquidate con separato provvedimento, devono essere poste definitivamente a

carico della convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza od eccezione

disattesa, così provvede:

1) In parziale accoglimento delle domande di parte attrice, condanna l’Ospedale F. O. a risarcire

il danno cagionato a A. L. , liquidato in euro 723.925,00 , oltre interessi come in motivazione

determinati dal fatto alla odierna liquidazione, oltre interessi al tasso legale dalla data della

presente pronuncia sino al soddisfo;

2) Condanna l’Ospedale F. O., a rimborsare all’attore le spese di lite, che liquida in complessivi

10.709,00 per compensi oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali al 15% come per legge; oltre spese per

contributo unificato.

3) Pone definitivamente a carico della convenuta le spese di c.t.u, già liquidate con separato

provvedimento;

Milano, 4 settembre 2017

Il Giudice

Valentina Boroni