REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano Corte dei ... · delle attività universitarie”,...

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SENT. N. 14/14/R 1 REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano la Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Regionale per l'Emilia-Romagna composta dai seguenti magistrati: dott. Luigi Di Murro Presidente dott. Marco Pieroni Consigliere dott. Francesco Maria Pagliara Consigliere relatore Visto l’atto di citazione in data 31 maggio 2013; Visti gli altri atti e documenti di causa; Uditi nella pubblica udienza dell’11 dicembre 2013, con l’assistenza del Segretario dott.ssa Nicoletta Natalucci, il Consigliere relatore dott. Francesco Maria Pagliara, il Pubblico Ministero nella persona del Procuratore Regionale dott. Salvatore Pilato e l’avv. Marcello Mendogni per il dott. G. S.; ha pronunciato la seguente SENTENZA sul giudizio iscritto al n. 43719/R R.G. instaurato dal Procuratore Regionale nei confronti del dott. G. S., nato il Omissis, rappresentato e difeso dagli avvocati Marcello Mendogni e Roberto Manservisi ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Bologna via Santo Stefano n. 16;

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SENT. N. 14/14/R

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REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

la

Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale Regionale

per l'Emilia-Romagna

composta dai seguenti magistrati:

dott. Luigi Di Murro Presidente

dott. Marco Pieroni Consigliere

dott. Francesco Maria Pagliara Consigliere relatore

Visto l’atto di citazione in data 31 maggio 2013;

Visti gli altri atti e documenti di causa;

Uditi nella pubblica udienza dell’11 dicembre 2013, con l’assistenza

del Segretario dott.ssa Nicoletta Natalucci, il Consigliere relatore

dott. Francesco Maria Pagliara, il Pubblico Ministero nella persona

del Procuratore Regionale dott. Salvatore Pilato e l’avv. Marcello

Mendogni per il dott. G. S.;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul giudizio iscritto al n. 43719/R R.G. instaurato dal Procuratore

Regionale nei confronti del dott. G. S., nato il Omissis, rappresentato

e difeso dagli avvocati Marcello Mendogni e Roberto Manservisi ed

elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Bologna via

Santo Stefano n. 16;

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Ritenuto in

FATTO

In data 31 maggio 2010 il II Gruppo della Guardia di Finanza di

Omissis inoltrava alla Procura Regionale della Corte dei Conti presso

questa Sezione Giurisdizionale una “segnalazione di iniziativa per

danno erariale” (nota prot. 0216968/10 del 28 maggio 2010) nei

confronti del dott. G. S., Docente Universitario Associato presso

l’Università degli Studi di Omissis.

Come rappresentato in detta segnalazione, la Presidenza del

Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica –

Ispettorato aveva delegato il Nucleo Speciale Spesa Pubblica e

Repressione Frodi Comunitarie della Guardia di Finanza di Roma ad

eseguire nei riguardi del dott. G., quale docente universitario di 2^

fascia dell’Università degli Studi di Omissis, le previste verifiche (di

cui agli artt. 1, commi da 56 a 65, della legge n. 662/1996 e 53 del

d.lgs. n. 165/2001) in materia di incompatibilità e cumulo di impieghi

dei dipendenti pubblici.

A sua volta, il Nucleo Speciale sopra indicato aveva sub-delegato per

competenza il Reparto di Omissis, che aveva quindi eseguito le

verifiche richieste dal citato Dipartimento della Funzione Pubblica,

accertando quanto segue.

Da una preliminare indagine espletata tramite la banca dati

dell’Anagrafe Tributaria, era emerso che il dott. G., docente

universitario associato e coordinatore del Corso di Omissis presso la

Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Omissis,

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era titolare di Partita IVA a far data dal 1° gennaio 1993, in relazione

all’esercizio di attività di lavoro autonomo ex artt. 5 del d.P.R. n.

633/1972 e 53 del d.P.R. n. 917/1986 avente ad oggetto “Altri studi

medici e poliambulatori specialistici”.

Inoltre, il sunnominato aveva dichiarato redditi da lavoro autonomo

derivanti dall'esercizio di arti e professioni, come da modello unico

per le persone fisiche degli anni dal 2003 al 2008, e aveva percepito

redditi da lavoro dipendente dall'Università degli Studi di Omissis,

quali risultanti dai CUD relativi agli anni dal 2003 al 2009.

Presso l’Università degli Sudi di Omissis era poi acquisita varia

documentazione amministrativa comprendente: 1) decreto rettorale

n. 123 del 31 marzo 1990, con il quale l'Università di Omissis aveva

nominato il dott. S. G. nel ruolo di ricercatore universitario all'esito di

procedura per pubblico concorso; 2) decreto rettorale n. 39 del 5

maggio 1994, con il quale il dott. G. era immesso nella fascia dei

“ricercatori confermati” con decorrenza dall'1 aprile 1993, con

l'attribuzione dalla data di adozione dello stesso decreto del

trattamento economico previsto per il regime di impegno “a tempo

definito”, in conformità alla dichiarazione di opzione presentata dal

docente per il biennio accademico 1993/1995; 3) istanza datata 16

luglio 2003 dichiarativa dell'opzione, da parte del dott. G., per il

regime di impegno “a tempo pieno” relativamente al biennio

accademico 2003/2005; 4) decreto rettorale n. 1330 del 24 luglio

2003 di attribuzione al dott. G. della variazione stipendiale

conseguente al passaggio dal regime di impegno “a tempo definito”

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al regime di impegno “a tempo pieno”; 5) comunicazione prot. n.

21326 del 24 luglio 2003, con la quale l’Università degli Studi di

Omissis comunicava all’Ordine dei Medici Chirurghi e degli

Odontoiatri di Omissis l’opzione a tempo pieno operata dal dott. G.;

6) decreto rettorale n. 285 in data 30 dicembre 2004 di nomina del

dott. G. a professore associato di seconda fascia a decorrere dal 30

dicembre 2004 con attribuzione di una variazione stipendiale per la

qualifica ricoperta e l’opzione di regime a “tempo pieno”.

Successivamente, dalla documentazione fiscale prodotta dal dott. G.

erano desunti i redditi di lavoro autonomo dichiarati dal predetto

nell’esercizio di arti e/o professioni per gli anni d’imposta 2003 –

2008, complessivamente ammontanti a circa € 440.000,00.

Lo stesso dott. G., in merito alle indagini svolte dalla Guardia di

Finanza, aveva a dichiarare quanto segue: “…non ho mai svolto altri

incarichi retribuiti o in maniera occasionale alle dipendenze di

soggetti pubblici o privati che non rientrano nella mia attività libero-

professionale per la quale emetto regolare fattura. In particolare ho

espletato attività di medico competente del lavoro presso aziende

private che lo richiedevano per sottoporre a visite mediche i propri

lavoratori dipendenti. Per le prestazioni eseguite da medico del

lavoro emetto regolare fatturazione per i compensi percepiti in

quanto titolare di partita IVA” (v. processo verbale redatto il 25

febbraio 2010 presso gli uffici del II Gruppo di Omissis della Guardia

di Finanza).

Infine, dagli accertamenti esperiti presso l’Ordine Provinciale dei

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Medici e Chirurghi di Omissis il dott. G. risultava: 1) iscritto all’albo

del predetto Ordine Provinciale di Omissis dal 17 gennaio 1984; 2)

iscritto nell’elenco speciale previsto, ai sensi dell’art. 11, ultimo

comma, del d.P.R. n. 382/1980 e degli artt. 1 e 2 della legge n.

158/1987, per i professori (ordinari, straordinari e associati) e i

ricercatori universitari che hanno optato per il tempo pieno; 3) iscritto

nell’elenco dei medici specializzati in Medicina del lavoro ai sensi

dell’art. 55, comma 1, del d.lgs. n. 277/1991.

Pertanto, nella citata segnalazione prot. 0216968/10 del 28 maggio

2010 - considerato che il dott. G. “ha continuato ad esercitare in

modo abituale e professionale, nel regime di impegno a tempo pieno,

dall’anno 2003 l’attività di lavoro autonomo attraverso prestazioni di

servizi nella medicina del lavoro rese nei confronti di dipendenti

relative ad imprese ubicate nella regione Emilia Romagna a fronte

delle quali emette fatturazioni esenti ai fini dell’imposta sul valore

aggiunto, ex art. 10 D.P.R. n. 633/1972, come si evince dalle

Dichiarazioni dei Redditi nel quadro RE”, e “in data 17/02/2010 ha

optato per il regime a tempo definito come da apposita istanza in

autocertificazione …presentata all’Università degli Studi di Omissis

non appena sono state iniziate le verifiche in materia di

incompatibilità di cui all’art. 1 c. da 55-65 Legge 23 dicembre

662/1996 ed art. 53 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165” – si

concludeva che “lo stesso non ha osservato le disposizioni contenute

nell’art. 11 del D.P.R. n. 382/1980, integrato dagli artt. 3 e 4 Legge

18/03/1989 n. 118 e dell’art. 3 Legge 09/12/1985 n. 705 in

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conseguenza del rapporto di esclusività con la Pubblica

Amministrazione”.

Di quanto sopra si informava la Procura Regionale “per l’eventuale

recupero degli emolumenti percepiti quale differenza tra il regime di

impegno a tempo pieno ed il regime di impegno a tempo definito”,

allegandosi un prospetto rilasciato dall’Università degli Studi di

Omissis evidenziante la differenza stipendiale tra il regime a tempo

pieno e il regime a tempo definito.

Da ultimo, si precisava che “l’Università degli Studi di Omissis,

essendo una Pubblica Amministrazione, è tenuta ad effettuare

verifiche a campione, sui propri dipendenti (personale

contrattualizzato e non contrattualizzato), aventi ad oggetto

l’osservanza della disciplina in materia di incompatibilità e cumulo

impieghi e incarichi”, soggiungendosi che “da accertamenti esperiti è

stato appurato che il citato ateneo non ha istituito i Servizi Ispettivi

come stabilito dalla Legge n. 662/1996 art. 1 comma 62 finalizzato

ad effettuare le verifiche in argomento”.

All’esito, poi, dell’attività accertativa demandata dalla Procura

Regionale al II Gruppo di Omissis della Guardia di Finanza, erano

appurate ulteriori prestazioni professionali di natura didattica, rese

dal prof. G. in favore del Omissis e consistenti nella tenuta di corsi in

materia di Omissis nonché nell’effettuazione degli esami di profitto

finali, con conseguente emissione di regolare fattura al termine delle

prestazioni medesime, assoggettate sia ad IVA che a ritenute

d’acconto (v. nota prot. n. 0361326/11 del 15 settembre 2011 della

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Guardia di Finanza – II Gruppo Omissis).

Era inoltre accertato, in riferimento all’attività da espletare presso

l’Università di Omissis, che i docenti universitari, fino alla data del 1°

marzo 2009, non avevano nessun obbligo di rilevamento degli orari

circa il lavoro svolto presso l’Università medesima, mentre a partire

da quella data, in accordo con l’Azienda Ospedaliera, “i soli docenti

che oltre all’attività didattica e di ricerca effettuano attività

assistenziale medica nei confronti dei pazienti, hanno l’obbligo di

timbrare il cartellino ovvero di utilizzare l’apposito badge elettronico

al fine di rilevare l’orario di entrata e di uscita dai locali lavorativi” (v.

nota prot. n. 0361326/11 del 15 settembre 2011 della Guardia di

Finanza – II Gruppo Omissis).

Pertanto, secondo quanto relazionato dalla Guardia di Finanza, il

prof. G., non avendo espletato alcuna attività assistenziale medica,

ma solo la docenza universitaria e l’annessa attività di ricerca

scientifica, non era mai stato assoggettato alla timbratura del

cartellino o all’utilizzo del badge elettronico, per cui l’unico strumento

utile al rilevamento dell’effettiva presenza del docente presso

l’Università era costituito dal “registro delle attività didattiche”, nel

quale sono annotate le ore di lezione svolte, ma non gli orari di

svolgimento.

Dai riscontri e raffronti effettuati non erano comunque emerse

discrasie tra le annotazioni apposte dal dott. G. sul “registro delle

attività didattiche” e le dichiarazioni rese dai soggetti economici che

avevano beneficiato delle prestazioni sanitarie nonché le relative

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fatture emesse.

Espletata l’istruzione documentale, la Procura Regionale ravvisava a

carico del dott. G. un’ipotesi di danno erariale per infrazione del

regime dell’incompatibilità e per il cumulo dell’attività libero-

professionale con il rapporto di lavoro pubblico in regime di tempo

pieno.

Tale danno era quantificato nella misura delle differenze retributive

tra il regime di impiego “a tempo pieno” e il regime “a tempo definito”

nel periodo temporale compreso dal 1° novembre 2003 fino al 31

dicembre 2009, ed era quindi stimato nell’importo di € 77.302,64

risultante “indebitamente percepito per effetto dell’opzione in favore

del regime a tempo pieno in costanza dell’esercizio dell’attività libero

professionale, mai interrotta neppure dopo l’istanza del 16 luglio

2003”, cui era da aggiungere, secondo la prospettazione accusatoria,

“il danno da disservizio arrecato all’amministrazione di appartenenza

preposta alla vigilanza sul buon andamento della organizzazione

delle attività universitarie”, da stimarsi nella misura approssimativa

del 5% circa delle somme indebitamente percepite.

Con atto del 25 gennaio 2013, notificato il 5 febbraio successivo, la

Procura attrice - in conformità a quanto stabilito dall’art. 5, 1° comma,

del decreto-legge 15 novembre 1993 n. 453, convertito, con

modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994 n. 19, come sostituito

dall’art. 1, comma 3-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996 n. 543,

convertito, con modificazioni, nella legge 20 dicembre 1996, n. 639 -

invitava dunque il dott. G. a depositare deduzioni a sua difesa in

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ordine ai fatti contestati.

Le controdeduzioni addotte non sono state, tuttavia, ritenute idonee a

definire il procedimento con provvedimento di archiviazione, sicché

con atto di citazione datato 31 maggio 2013, ritualmente notificato, il

Procuratore Regionale ha chiamato il dott. G. S. a comparire davanti

alla Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per l’Emilia-

Romagna, all’udienza poi fissata dal Presidente della stessa Sezione

per la data odierna, per ivi sentirlo condannare al pagamento in

favore dell’Università degli Studi di Omissis della somma di

complessivi € 77.302,64 “oltre al risarcimento del danno da

disservizio quantificabile con stima equitativa fino alla concorrenza di

euro 4.000,00, oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese del

presente procedimento”.

A fondamento della domanda, al fine della valutazione della

fattispecie emergente dall’espletamento della istruttoria documentale

come descritta nello stesso atto di citazione, è stata premessa una

ricostruzione del quadro normativo di riferimento facendosi anzitutto

richiamo al contenuto dell’art. 53 del decreto legislativo 30 marzo

2001, n. 165 (“Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle

dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), del quale sono state

evidenziate le seguenti disposizioni:

- “I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che

non siano stati conferiti o previamente autorizzati

dall'amministrazione di appartenenza. Ai fini dell'autorizzazione,

l'amministrazione verifica l'insussistenza di situazioni, anche

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potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai professori

universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei

disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione

nei casi previsti dal presente decreto. In caso di inosservanza del

divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità

disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente

svolte deve essere versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del

percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di

appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del

fondo di produttività o di fondi equivalenti” (comma 7);

- “Gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono

conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa

autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti

stessi….Le somme riscosse sono acquisite alle entrate del Ministero

delle finanze”.

Si è rilevato che le medesime disposizioni sono, nei principi generali,

applicabili anche ai rapporti di lavoro nel settore sanitario, alla luce di

quanto statuito dall’art. 1 (“Misure in materia di sanità, pubblico

impiego, istruzione, finanza regionale e locale, previdenza e

assistenza”) della legge 23 dicembre 1996 n. 662 (“Misure di

razionalizzazione della finanza pubblica”), nella parte in cui contiene

la disciplina inerente la costituzione dei rapporti di lavoro a tempo

parziale nelle pubbliche amministrazioni, ovvero la trasformazione

degli stessi da tempo pieno a tempo parziale.

Sono state quindi richiamate le relative disposizioni di cui al citato art.

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1 (commi 56, 58, 59, 60, 61, 62 e 63) sottolineando, in particolare,

quanto previsto dai commi 58 e 60: “La trasformazione del rapporto

di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa

dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella

quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo

che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il

predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui

l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un

conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal

dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in

relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal

dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione

stessa…”(c. 58); “Al di fuori dei casi previsti al comma 56, al

personale è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro

subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa

ne prevedano l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di

appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa. La richiesta di

autorizzazione inoltrata dal dipendente si intende accolta ove entro

trenta giorni dalla presentazione non venga adottato un motivato

provvedimento di diniego” (c. 60).

Secondo la Procura attrice, dunque, dalla ricostruzione del panorama

legislativo vigente si desume che lo status giuridico ed economico

dei dipendenti pubblici è contraddistinto da uno specifico divieto,

poiché i medesimi non possono svolgere incarichi retribuiti che non

siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di

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appartenenza, e “dalla inosservanza di tale divieto discende - salve

le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare –

l’obbligo, con adempimento a cura dell’erogante od in difetto del

percettore, di versare il compenso dovuto per le prestazioni

eventualmente svolte nel conto dell’entrata del bilancio

dell’amministrazione di appartenenza del dipendente, per essere

destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi

equivalenti”.

Si è arguito che i medesimi principi e la stessa ratio delle disposizioni

normative sono ravvisabili nello status giuridico ed economico del

docente universitario, il quale è assoggettato alla medesima

disciplina giuridica in materia di incompatibilità e di cumulo di

incarichi a garanzia del buon andamento dell’attività didattica, di

ricerca e di studio, anche con riferimento al regime di impiego a

tempo pieno (cit. art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165/2001; d.P.R.

382/1980).

Si è soggiunto che il quadro normativo dei principi e delle

disposizioni vigenti in materia di cumulo di incarichi, di incompatibilità

e di conflitto d’interessi tra funzioni e incarichi, non è stato modificato

con apporti innovativi, ma anzi è stato “rafforzato e consolidato nei

più recenti interventi del legislatore in materia”.

In particolare, sono state ricordate la legge 30 dicembre 2010 n. 240

(“Norme in materia di organizzazione delle università, di personale

accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per

incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario”), che

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all’art. 6, comma 12 ha richiamato il principio del divieto di conflitto

d’interesse tra funzioni didattiche e incarichi professionali, e tra

questi ultimi e le cariche accademiche, e la legge 6 novembre 2012

n. 190 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della

corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”), che

all’art. 1, comma 42, nell’apportare alcune modifiche all’art. 53 del

d.lgs. n. 165/2001, “conferma la giurisdizione della Corte dei conti

sulla responsabilità patrimoniale del dipendente pubblico gravato

dall’obbligazione restitutoria dei compensi illegittimamente percepiti

(dopo il comma 7 è inserito il seguente: ‘7-bis L’omissione del

versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito

percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla

giurisdizione della Corte dei conti’)”.

Si è dedotto che il quadro interpretativo e giurisprudenziale esposto

sulla disciplina vigente in materia di incompatibilità e di cumulo di

impieghi (art. 53 d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165), nella ipotesi della

infrazione del divieto di svolgimento di incarichi preventivamente non

autorizzati, “ha trovato piena e definitiva conferma nella soluzione

data alla questione sulla spettanza della giurisdizione in ordine

all'obbligo di riversamento degli emolumenti percepiti in situazione di

conflitto d'interesse, la quale è stata risolta dalla Corte di Cassazione

in favore della competenza della Corte dei conti nell'ambito della

distinzione (ritenuta utile) tra obblighi interni ed obblighi esterni al

rapporto di servizio” (cit. Cassazione – Sezioni Unite, 2 novembre

2011 n. 22688), e la richiamata modifica introdotta all’art. 53 del

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d.lgs. n. 165/2001, secondo la quale “l'omissione del versamento del

compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore

costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla

giurisdizione della Corte dei conti” (c.7-bis), “chiude definitivamente

qualsiasi spazio di dubbio o di oscillazione sui principi e sulle

disposizioni applicabili alla fattispecie introdotta in giudizio”.

E’ stato poi osservato come l’esercizio dell’attività libero-

professionale da parte dei medici appartenenti al Servizio Sanitario

Nazionale sia stato assoggettato ad una disciplina normativa

“fondata sul principio di esclusività del rapporto di lavoro con la P.A.

(art. 4 comma 7 legge 30 dicembre 1991 n. 412, ‘Disposizioni in

materia di finanza pubblica’, legge finanziaria per l’anno 1992), il

quale è compatibile - in relazione di alternatività e non di cumulabilità

- o con il ‘regime extramurario’ (in costanza del quale il rapporto di

lavoro si converte -in ‘forma non esclusiva’), oppure con il regime

intramurario (in costanza del quale il rapporto di lavoro conserva ‘la

forma esclusiva’; v. art. 1, comma 5 legge 23 dicembre 1996 n. 662,

‘Misure di razionalizzazione della finanza pubblica’, legge finanziaria

per 1' anno 1997).

In tal modo – si è soggiunto – il Legislatore è intervenuto per

determinare gli unici regimi di esercizio della libera professione

ritenuti compatibili con il rapporto di lavoro dei medici dipendenti

dalle pubbliche amministrazioni appartenenti al SSN: 1) un regime

extramurario, ove il rapporto di impiego a tempo parziale con la

struttura pubblica è caratterizzato dalla possibilità di svolgere attività

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quale libero professionista al di fuori della struttura pubblica (attività

extramoenia); 2) un regime intramurario, caratterizzato da un

rapporto di esclusività, a tempo pieno, con il servizio sanitario

nazionale e dalla possibilità di svolgere, al di fuori del monte ore di

lavoro, attività quale libero professionista all'interno della struttura

sanitaria con delle tariffe prestabilite (attività intramoenia).

Si è inoltre rilevato che la legge finanziaria per il 1999 (l. n. 448/1998)

ha demandato alla contrattazione collettiva la regolamentazione degli

aspetti economici del rapporto dei sanitari che optano per il regime

extramurario, disponendo, comunque, delle decurtazioni retributive

(art. 72 commi 4 e 5), ed ha previsto, altresì, incentivi economici per i

dirigenti del ruolo sanitario che optano per l’esercizio della libera

professione intramuraria, fermo restando, per costoro, il divieto di

effettuare “alcuna altra attività sanitaria resa a titolo non gratuito”,

laddove “alla violazione degli obblighi connessi alla esclusività del

rapporto di lavoro, corrisponde un regime sanzionatorio poiché il

legislatore ha previsto ‘…la risoluzione del rapporto di lavoro…’ e la

‘restituzione’ dei benefici economici ricevuti, connessi al rapporto di

esclusività (art. 72 commi 7, L. 23 dicembre 1998 n. 448)”.

Per quanto concerne la posizione di servizio del dott. G., si è

evidenziato che lo stesso, nonostante l’opzione in data 16 luglio 2003

per il regime di impiego a tempo pieno, si è avvantaggiato della

retribuzione incrementale riconosciuta con decorrenza dal 1°

novembre 2003 (in conformità al decreto rettorale n. 1330 del 24

luglio 2003), senza cessare contestualmente dall’esercizio, in forma

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abituale e continuativa, dell’attività di lavoro libero-professionale nel

settore della Medicina del lavoro, in favore di aziende con sede nella

regione Emilia Romagna.

E’ stata quindi prospettata la sussistenza del danno erariale “nella

misura pari alle differenze di trattamento economico con stipendio

computato al netto d’imposta, tra il regime di impiego ‘a tempo pieno’

ed il regime di impiego ‘a tempo definito’”, quali risultanti dal

prospetto delle retribuzioni percepite, predisposto dall’Università di

Omissis.

Ciò in quanto il dott. G. non avrebbe osservato le disposizioni

normative espresse nell’art. 11 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382,

come integrato dagli artt. 3-4 della legge 18 marzo 1989, n. 118 e

dall’art. 3 della legge 9 dicembre 1985, che disciplinano il rapporto di

esclusività del lavoro nei confronti della pubblica amministrazione.

Pertanto, secondo la Procura attrice, dal computo delle cennate

differenze retributive “è configurabile la sussistenza di una ipotesi di

danno erariale maturato nel periodo temporale compreso dall'1

novembre 2003 fino al 31 dicembre 2009, per il maggiore importo di

€ 77.302,64, che risulta indebitamente percepito per effetto

dell'opzione in favore del regime a tempo pieno in costanza

dell'esercizio dell'attività libero professionale, mai interrotta neppure

dopo l'istanza del 16 luglio 2003 nonostante il divieto contemplato

dalla disciplina vigente in materia di incompatibilità e di cumulo di

impiego e lavoro autonomo e/o professionale”.

A tale danno patrimoniale, secondo la prospettazione accusatoria, è

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cumulabile il danno da disservizio arrecato all’amministrazione di

appartenenza preposta alla vigilanza sul buon andamento della

organizzazione delle attività universitarie.

Danno inteso quale “mancato conseguimento del buon andamento

dell’azione pubblica”, quantificabile in via equitativa nella misura del

5% circa delle somme indebitamente percepite, o in altra misura

dipendente dall’adozione di diverso parametro economico,

considerando comunque che il risparmio di spesa poteva essere

destinato ad economie di bilancio utilizzabili per misure di efficienza

amministrativa.

Con riguardo, poi, agli argomenti addotti dal dott. G. in sede di

controdeduzioni all’invito a dedurre, quanto all’eccepita prescrizione

del diritto al risarcimento dell’eventuale danno erariale, con la sola

eccezione del periodo compreso tra il 5 febbraio 2008 e il 31

dicembre 2009, si è rilevato che tale eccezione non prende in

considerazione il principio di diritto secondo il quale la prescrizione

inizia a decorrere dal momento in cui il fatto è conosciuto o diviene

conoscibile dalla parte danneggiata.

Si è fatto presente che, nella specie, l’amministrazione universitaria

non ha ricevuto alcuna richiesta di autorizzazione all’esercizio della

libera professione, ed anzi ha fatto affidamento sulla dichiarazione di

opzione per il regime di impiego a tempo pieno, e “solo dalla

successiva opzione per il regime a tempo definito può ritenersi

pervenuta alla parte danneggiata la informazione sull'interesse del

dott. G. all'esercizio della libera professione, ma neppure da tale

SENT. N. 14/14/R

18

momento l'esercizio non autorizzato – per il periodo pregresso –

entra nella cerchia di conoscenza dell’amministrazione universitaria,

la quale – quindi – non è stata mai posta in condizione di far valere il

diritto al risarcimento del danno (art. 2935 cod. civ.)”.

A parere del requirente ne conseguirebbe, dunque, l’infondatezza

della eccezione in questione, “poiché il dies a quo riceve la sua

decorrenza dalla data di avviamento degli accertamenti informativi

della Guardia di Finanza”.

In merito, poi, al criterio utilizzato per la quantificazione del danno

erariale, si è evidenziato che non è giuridicamente rilevante la

deduzione dell’esatto adempimento delle prestazioni di lavoro in

regime a tempo pieno, poiché l’esercizio della libera professione –

non contestato dalla parte convenuta – rende obbligatoria l’opzione

per il tempo definito, con la conseguente riduzione del trattamento

economico, la cui maggiore misura liquidata nella specie costituisce

danno erariale, in conformità alla giurisprudenza consolidata negli

orientamenti della Corte dei Conti (cit. Sezione giur. reg. Emilia

Romagna, sent. n. 209/12 del 6 settembre 2012).

Argomentando diversamente – si è soggiunto – “ne discenderebbe

non l’esclusione del danno erariale (come si sostiene nei motivi di

difesa), ma l’applicazione della più grave sanzione del riversamento

dei compensi percepiti nell’esercizio di incarichi non autorizzati”, e

“tuttavia, l’autorizzabilità dell’esercizio della libera professione con

l’opzione vincolante per il regime di lavoro a tempo definito, a

garanzia della prevenzione da situazioni di conflitto d’interesse e da

SENT. N. 14/14/R

19

situazioni di incompatibilità nel cumulo di impieghi e di attività,

consente la taxatio del danno erariale nella misura delle differenze

retributive percepite” (v. pagg. 20 – 21 atto di citazione).

Da ultimo, sul danno da disservizio si è sottolineato che il dott. G.,

non avendo svolto attività assistenziale ma solo attività di docenza e

di ricerca scientifica presso l’Università di Omissis, non è mai stato

assoggettato all’obbligo di timbratura del cartellino o all’utilizzazione

del badge elettronico, salvo il rilevamento delle presenze dal “registro

delle attività didattiche”, il che “non esclude, tuttavia, la stima del

danno da disservizio quantificabile, con criteri equitativi, nella misura

che si approssima al 5% circa delle somme indebitamente percepite,

od in altra misura dipendente dall’adozione di diverso parametro

economico, considerando che il risparmio di spesa connesso alla

conversione del rapporto in regime di tempo definito, poteva essere

destinato ad economie di bilancio utilizzabili per misure di efficienza

amministrativa” (v. pag. 21 citazione).

Con lo stesso atto di citazione il Procuratore Regionale ha chiesto al

Presidente di questa Sezione giurisdizionale il decreto di

autorizzazione a procedere, nei confronti del dott. G. S., alla

esecuzione del sequestro conservativo in favore della Università

degli Studi di Omissis sui crediti di natura retributiva, per i ratei

mensili nella misura del quinto, sul trattamento economico in

godimento nei confronti della medesima amministrazione, fino alla

concorrenza della misura di € 77.302,64, con conseguente istanza

“di fissazione della udienza di comparizione delle parti e dei terzi

SENT. N. 14/14/R

20

dinanzi al giudice all’uopo designato per la conferma dell’emanando

decreto, previa assegnazione alla Procura regionale del termine per

la notificazione alla parte esecutata ed ai terzi del provvedimento

cautelare e del presente ricorso”.

Il richiesto sequestro è stato autorizzato con decreto presidenziale

del 5 giugno 2013, poi confermato con ordinanza n. 83/13/R

depositata il 15 luglio 2013.

Il dott. G. S. si è costituito in giudizio con memoria depositata il 21

novembre 2013, recante a margine procura defensionale in favore

degli avvocati Marcello Mendogni e Roberto Manservisi.

In detta memoria, riepilogata la vicenda di causa, è stata anzitutto

eccepita la prescrizione per le somme relative al periodo fino al 5

febbraio 2008, in quanto l’invito a dedurre è stato notificato

solamente il 5 febbraio 2013.

Al riguardo, si è rilevato che, contrariamente a quanto affermato dalla

Procura attrice, “la prescrizione è quinquennale e decorre dal

momento in cui è stato commesso il fatto, non certo dal momento in

cui diviene evidente il (contestato) danno”, e solo nel caso in cui vi

fosse stato un comportamento dolosamente preordinato ad occultare

i fatti si potrebbe argomentare su una diversa decorrenza del termine

di prescrizione.

Si è evidenziato che nel caso in esame non vi è stato alcun

comportamento volto a celare l’attività svolta, peraltro sempre

accompagnata da regolare fattura, ed “a riprova della buona fede

dell’odierno convenuto, vi è il comportamento tenuto dallo stesso,

SENT. N. 14/14/R

21

assolutamente non idoneo ad occultare lo svolgimento di una attività

libero professionale”.

Il prof. G. – si è soggiunto – era infatti intestatario di una partita IVA,

sicché tutte le attività svolte ed i relativi compensi percepiti erano

facilmente riscontrabili, e dalle dichiarazioni rese dal predetto alla

Guardia di Finanza in data 25 febbraio 2010 “emerge l’assoluta

limpidezza della condotta dello stesso, che dichiarava senza alcuna

reticenza di aver svolto attività di medico del lavoro presso aziende

private, emettendo regolare fattura”.

Si è quindi dedotto che nessun occultamento doloso dell’attività

libero professionale è stato mai posto in essere dal convenuto, “il

quale era infatti fermamente convinto della liceità del suo operato”, e

si è osservato, con richiamo ad alcune pronunce della Sezione

giurisdizionale della Corte dei Conti per la regione Calabria (sent.ze

n. 239/2012, n. 366/2012 e n. 533/2011), come la giurisprudenza sia

“assolutamente concorde” nello stabilire che la prescrizione inizia a

decorrere dalla effettiva conoscenza del fatto solo in caso di doloso

occultamento dello stesso, altrimenti si fa riferimento al criterio della

obiettiva conoscibilità.

Pertanto, non potendo essere mosso alcun addebito all’odierno

convenuto in tema di doloso occultamento del danno, sarebbe “del

tutto evidente che si versa nell’ambito di applicazione della regola

generale di cui all’art. 2934 c.c.”.

E’ stato inoltre sottolineato che se l’Università di Omissis avesse

tempestivamente istituito al suo interno gli organismi di vigilanza

SENT. N. 14/14/R

22

previsti dalla legge n. 662 del 1996, l’eventuale irregolarità sarebbe

stata immediatamente rilevata, e a tale proposito è stato richiamata

la sentenza n. 533/2011 della Sezione giurisdizionale della Corte dei

Conti per la regione Calabria, laddove si afferma che “in ragione del

criterio della conoscibilità obiettiva e non effettiva del danno, il

Collegio non può considerare un impedimento della conoscibilità il

fatto che l’Azienda sanitaria non avesse ancora approntato l’Ufficio

ALPI; tale circostanza, infatti, ha piuttosto causato, per l’indolenza

amministrativa, una tardiva presa d’atto del danno”.

Si è poi segnalata l’“assoluta insussistenza” in capo al prof. G. del

requisito della colpa grave, che per giurisprudenza “ormai costante”

ricorre in caso di comportamenti caratterizzati da inescusabile

negligenza, e non anche nei casi di mera violazione della legge o

delle regole di buona amministrazione.

In particolare, si è dedotto che “il comportamento del professore

potrebbe definirsi negligente, in quanto lo stesso ha omesso di

controllare accuratamente la normativa posta a regolamentazione

dell’incarico di professore universitario a tempo pieno”, e tuttavia “egli

ha agito nella erronea convinzione che il passaggio da un incarico a

tempo parziale ad un incarico a tempo pieno non avrebbe

comportato alcun mutamento nella disciplina delle incompatibilità”,

essendo il medesimo - si è precisato - un medico e professore

universitario, per cui “è del tutto comprensibile che egli ignori alcune

disposizioni di legge, peraltro prettamente settoriali”.

Si è soggiunto che la giurisprudenza più recente è chiara nel

SENT. N. 14/14/R

23

differenziare espressamente le posizioni dei pubblici dipendenti che

operano negligentemente in settori conosciuti o alla cui gestione

sono addirittura preposti da quelle di chi invece si occupa di ambiti

completamente differenti, affermando che non ogni condotta

divergente da quella doverosa implica colpa grave, ma solo quella

caratterizzata, nel caso concreto, dalla mancanza del livello minimo

di diligenza, prudenza o perizia dei dipendenti, dal tipo di attività

concretamente richiesto all'agente e dalla sua particolare

preparazione professionale nel settore della P.A. al quale è preposto

(cit. Corte dei Conti – Sezione giur. reg. Sicilia, sent. n. 417/2010).

Di conseguenza – si è argomentato -, la condotta del convenuto

potrà apparire caratterizzata da “colpa lieve”, intesa quale violazione

delle regole di ordinaria diligenza, ma non possono essere mosse

contestazioni fondate sul ben più grave presupposto della colpa

grave, presupponente “una inescusabile negligenza, chiaramente

non presente nel caso di specie”.

Si è anche sottolineato che il preteso danno appare, come

prospettato dalla stessa Procura Regionale, ascrivibile non

esclusivamente al prof. G., nel senso che l’Università di Omissis ben

avrebbe potuto istituire tempestivamente fin dal 1997 il servizio

interno di controllo e monitoraggio sulla libera professione, che

invece è stato istituito solo nel 2010.

Parrebbe evidente, quindi, come il comportamento omissivo

dell’Università di Omissis abbia “quanto meno concorso alla

realizzazione del danno, che pertanto non potrà in ogni caso

SENT. N. 14/14/R

24

ammontare alla somma richiesta al prof. G.”, in quanto, se il predetto

Ateneo avesse ottemperato agli obblighi di legge, “la vigilanza

operata sulle attività libero professionali avrebbe potuto rendere

edotto il prof. G. della erroneità delle proprie supposizioni e impedirgli

di svolgere tale attività nel regime a tempo pieno”.

Per ciò che concerne, infine, il danno da disservizio, sono state

contestate sia le ragioni poste a fondamento della relativa richiesta

risarcitoria, sia l’entità della richiesta stessa “arbitrariamente”

quantificata nella somma di € 4.000,00.

Al riguardo si è osservato, con richiamo a giurisprudenza di questa

Corte (Sezione giur. reg. Emilia Romagna, sent.ze n. 130/2013 e n.

210/2012; Sezione giur. reg. Umbria, sent. n. 511/2001), che si ha

disservizio quando l’azione pubblica non raggiunge, in termini di

efficienza e di efficacia, “le utilità ragionevolmente dovrebbe

raggiungere in considerazione delle risorse impiegate, determinando

così uno spreco di tali risorse”, mentre il prof. G. “pur svolgendo

attività di consulenza presso alcune aziende private, non ha mai

trascurato in alcun modo la propria professione, adempiendo

scrupolosamente ai doveri di professore universitario, seguendo con

attenzione le ricerche del suo Dipartimento e rendendosi sempre

disponibile per gli studenti”.

Sarebbe, pertanto, del tutto evidente che l’Università non è stata in

alcun modo danneggiata dall’odierno convenuto, con conseguente

venir meno dei presupposti propri del danno da disservizio, “che non

sono in alcun modo collegati ad un ipotizzabile risparmio di spesa”.

SENT. N. 14/14/R

25

Si è altresì evidenziato che il danno non è automatica conseguenza

di un comportamento negligente del dipendente occorrendo, invero,

che il disservizio si sia prodotto, e tuttavia “nessuna prova sul punto

viene fornita dalla Procura, così come non è in alcun modo provato

che l’Università avrebbe utilizzato diversamente le somme in

questione o quale maggior beneficio avrebbe potuto trarne”.

Al contrario – si è soggiunto – è del tutto provato che nessuna

conseguenza dannosa si è concretamente prodotta, ed anzi

l’Università stessa, nell’anno 2008, ha pubblicamente elogiato il prof.

G. per l’attività svolta, come da allegato verbale del Consiglio di

Facoltà.

Inoltre, “nella non creduta ipotesi in cui tale danno dovesse ritenersi

sussistente”, si è fatto presente che certamente l’Università di

Omissis ha contribuito alla verificazione dello stesso, omettendo di

istituire il previsto meccanismo di vigilanza, che avrebbe potuto

tempestivamente individuare l’irregolarità e quindi limitare il

“(preteso)” disservizio.

Si è quindi sostenuto che “anche nella denegata ipotesi in cui

dovesse ritenersi provato il danno da disservizio”, la somma richiesta

appare eccessiva in considerazione del fatto che eventuali

responsabilità non sono da addebitarsi al solo convenuto, ma anche

e soprattutto all’organo preposto al controllo.

Da ultimo, si è sottolineata l’insussistenza di qualsiasi ragione

cautelare a sostegno di un provvedimento di sequestro, non

risultando dimostrato il periculum connesso al comportamento e alla

SENT. N. 14/14/R

26

personalità del prof. G..

Conclusivamente, si è chiesto a questa Corte di volere:

1) in via preliminare: “dare atto dell’avvenuta prescrizione

quinquennale e per l’effetto dichiarare prescritti tutti i crediti

antecedenti al 5 febbraio 2008”;

2) in via principale. “assolvere e dichiarare non responsabile il

professor G.”;

3) in via subordinata: “nella denegata ipotesi di condanna, tenuto

conto della effettiva mancanza di disservizio in capo all’Università di

Omissis nonché della mancanza di prova contraria, assolvere e

dichiarare non responsabile il convenuto relativamente a tale voce di

danno”;

4) in via ulteriormente subordinata “alla luce della particolarità della

vicenda, fare uso del potere riduttivo”.

In ogni caso: “Revocare il sequestro delle somme sottoposte a

provvedimento cautelare, o in subordine ridurne l’ammontare in

relazione alla somma eventualmente riconosciuta in sentenza”.

All’odierna pubblica udienza il Pubblico Ministero ha rilevato,

anzitutto, che in base alla nota del 17 giugno 2013 dell’Università

degli Studi di Omissis l’importo del danno erariale oggetto di causa è

da rettificare in € 84.605,48; riguardo, poi, all’eccezione di

prescrizione sollevata da controparte, ha sostenuto che al fine della

decorrenza del relativo termine quinquennale non è sufficiente la

carenza di occultamento doloso ma occorre verificare anche

l’adempimento degli oneri di comunicazione; ha inoltre ribadito la

SENT. N. 14/14/R

27

illiceità del comportamento dell’odierno convenuto e la sussistenza,

nella specie, del danno da disservizio consistente nella mancata

realizzazione di economie di spesa da parte dell’Università; ha quindi

concluso confermando la domanda risarcitoria e chiedendo, altresì,

la conversione del sequestro conservativo in pignoramento.

L’avv. Marcello Mendogni, in difesa del convenuto, si è opposto alla

rettifica dell’importo del danno indicato in citazione, assumendo che

la domanda risarcitoria deve considerarsi come richiesta in forma

specifica e dunque non è modificabile; ha poi confermato l’eccezione

di prescrizione sulla base degli argomenti svolti nella memoria di

costituzione, evidenziando che da parte del dott. G. non vi è stato

alcun occultamento doloso del fatto; ha osservato che la violazione

“inconsapevole” della legge da parte del suo assistito costituisce

semplice negligenza, per cui nella specie può configurarsi la colpa

lieve ma non la colpa grave, soggiungendo che il medesimo ha

rispettato i propri doveri d’ufficio; ha anche ripreso le considerazioni

svolte in memoria per escludere il danno da disservizio rilevando, in

proposito, che non c’è stata alcuna inefficienza ed i compensi

corrisposti al convenuto erano correlati all’attività svolta, sicché nella

specie si tratta di danno ipotetico, mancando la prova dello stesso;

ha poi concluso facendo riferimento, per tutto il resto, alla memoria di

costituzione.

La causa è quindi passata in decisione.

Considerato in

DIRITTO

SENT. N. 14/14/R

28

La fattispecie di danno erariale sottoposta all’esame della Corte è

causalmente collegata, secondo la prospettazione accusatoria, alle

differenze di trattamento economico tra il regime di impiego “a tempo

pieno” e il regime di impiego “a tempo definito” che l’odierno

convenuto dott. G. S., Docente Universitario Associato presso

l’Università degli Studi di Omissis, avrebbe “indebitamente” percepito

per l’inosservanza, da parte dello stesso, delle disposizioni normative

espresse nell’art. 11 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, come integrato

dagli artt. 3-4 della legge 18 marzo 1989, n. 118 e dall’art. 3 della

legge 9 dicembre 1985, disciplinanti il rapporto di esclusività del

lavoro nei confronti della pubblica amministrazione, avendo optato “in

favore del regime a tempo pieno in costanza dell'esercizio dell'attività

libero professionale, mai interrotta neppure dopo l'istanza del 16

luglio 2003 nonostante il divieto contemplato dalla disciplina vigente

in materia di incompatibilità e di cumulo di impiego e lavoro

autonomo e/o professionale” (v. pagg. 17 e 18 dell’atto di citazione).

Al danno anzidetto – quantificato in citazione nell’importo di €

77.302,64, e poi rettificato in udienza in € 84.605,48 come da

prospetto allegato alla nota in data 17 giugno 2013 dell’Università

degli Studi di Omissis, – sarebbe cumulabile il danno da disservizio,

quale espressione, nella specie, della misura “dell’aggravamento dei

costi amministrativi connessi alla vigilanza e all’accertamento delle

irregolarità di gestione e agli adempimenti conseguenziali”, nonché

“correlabile all’omesso reinvestimento delle economie di spesa

conseguibili mediante la trasformazione del rapporto di lavoro dal

SENT. N. 14/14/R

29

regime di tempo pieno al regime a tempo definito” (v. pag. 18

dell’atto di citazione).

Così definita la fattispecie di responsabilità amministrativo-contabile

oggetto di causa, ritiene il Collegio che assuma priorità logico-

giuridica l’esame della configurabilità del danno come sopra

individuato e contestato dalla Procura attrice.

A tale proposito, si deve necessariamente partire dalle disposizioni

contenute nell’art. 11 (“Tempo pieno e tempo definito”) del d.P.R. n.

382 del 1980 (sul riordinamento della docenza universitaria), come

novellato dall’art. 3 della legge n. 705 e dall’art. 4 della legge n. 118

del 1989, che per quanto ne occupa ha stabilito:

- “L'impegno dei professori ordinari è a tempo pieno o a tempo

definito” (c. 1);

- “Ciascun professore può optare tra il regime a tempo pieno ed il

regime a tempo definito. La scelta va esercitata con domanda da

presentare al rettore almeno sei mesi prima dell'inizio di ogni anno

accademico. Essa obbliga al rispetto dell'impegno assunto per

almeno un biennio” (c. 2);

- Il regime d'impegno a tempo definito: a) è incompatibile con le

funzioni di rettore, preside, membro elettivo del consiglio di

amministrazione, direttore di dipartimento e direttore dei corsi di

dottorato di ricerca; b) è compatibile con lo svolgimento di attività

professionali e di attività di consulenza anche continuativa esterne e

con l'assunzione di incarichi retribuiti ma è incompatibile con

l'esercizio del commercio e dell'industria (c. 3);

SENT. N. 14/14/R

30

- “Il regime a tempo pieno: a) è incompatibile con lo svolgimento di

qualsiasi attività professionale e di consulenza esterna e con

l'assunzione di qualsiasi incarico retribuito e con l'esercizio del

commercio e dell'industria; sono fatte salve le perizie giudiziarie e la

partecipazione ad organi di consulenza tecnico-scientifica dello

Stato, degli enti pubblici territoriali e degli enti di ricerca, nonché le

attività, comunque svolte, per conto di amministrazioni dello Stato,

enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale purché

prestate in quanto esperti nel proprio campo disciplinare e

compatibilmente con l'assolvimento dei propri compiti istituzionali; b)

è compatibile con lo svolgimento di attività scientifiche e

pubblicistiche, espletate al di fuori di compiti istituzionali, nonché con

lo svolgimento di attività didattiche, comprese quelle di

partecipazione a corsi di aggiornamento professionale, di istruzione

permanente e ricorrente svolte in concorso con enti pubblici, purché

tali attività non corrispondano ad alcun esercizio professionale…” (c.

5);

- “I nominativi dei professori ordinari che hanno optato per il tempo

pieno vengono comunicati, a cura del rettore, all'ordine professionale

al cui albo i professori risultino iscritti al fine della loro inclusione in un

elenco speciale” (c. 6).

Dunque, le disposizioni appena richiamate, nel prevedere per i

professori universitari, disciplinandolo, il duplice regime del “tempo

pieno” e del “tempo definito”, hanno statuito che il regime “a tempo

pieno”, a differenza di quello a “tempo definito”, sia incompatibile

SENT. N. 14/14/R

31

“con lo svolgimento di qualsiasi attività professionale e di consulenza

esterna e con l'assunzione di qualsiasi incarico retribuito”, fatte salve

le attività espressamente previste nelle lettere a) (come modificata

dall’art. 3 l. n. 118/1989) e b) (come sostituita dall’art. 3 l. n.

705/1985) dello stesso art. 11, comma 5.

Il successivo art. 15 del citato d.P.R. n. 382/1980, nel disporre in

ordine all’inosservanza del regime delle incompatibilità, ha poi

previsto – nelle ipotesi di cumulo con impieghi privati (comma 2 e

seguenti) - che il professore ordinario il quale violi tale regime sia

diffidato dal rettore a cessare dalla situazione di incompatibilità, pena

la decadenza dall’ufficio “decorsi quindici giorni dalla diffida senza

che l’incompatibilità sia cessata”.

Occorre altresì ricordare che per i dipendenti pubblici la materia delle

incompatibilità e del cumulo di impieghi e incarichi è ora regolata dal

d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (“Norme generali sull’ordinamento del

lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), il cui art. 53

(riproduttivo dell’art. 58 del d.lgs n. 29 del 1993, come modificato

prima dall'art. 2 del decreto legge n. 358 del 1993, convertito dalla

legge n. 448 del 1993, poi dall'art. 1 del decreto legge n. 361 del

1995, convertito con modificazioni dalla legge n. 437 del 1995, e,

infine, dall'art. 26 del d.lgs n. 80 del 1998, nonché dall'art. 16 del

d.lgs n. 387 del 1998 – tenuta ferma per tutti i dipendenti pubblici la

disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del

d.P.R. n. 3 del 1957, con salvezza della deroga prevista dall’art. 23-

bis dello stesso d.lgs. n. 165/2001, nonché, per i lavori a tempo

SENT. N. 14/14/R

32

parziale, dall’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 117/1989 e dall’art. 1,

commi 57 e seguenti della legge n. 662/1996 -, al comma 7 [come

modificato dall'articolo 1, comma 42, lettera c), della Legge 6

novembre 2012, n. 190] ha disposto l’impossibilità per i dipendenti

pubblici di svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o

previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza, la

quale, ai fini di detta autorizzazione, “verifica l’insussistenza di

situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi”, e con specifico

riferimento ai professori universitari a tempo pieno ha previsto che

“gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le

procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal

presente decreto”.

Lo stesso comma 7 del citato art. 53 ha inoltre stabilito che “in caso

di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma

restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le

prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura

dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del

bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente per

essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi

equivalenti”, e per il comma immediatamente successivo [c. 7-bis

inserito dall'articolo 1, comma 42, lettera d), della Legge 6 novembre

2012, n. 190], “l’omissione del versamento del compenso da parte

del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di

responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei

conti”.

SENT. N. 14/14/R

33

Al precedente comma 6 è invece previsto che “i commi da 7 a 13 del

presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni

pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui

all'articolo 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a

tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta

per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo

definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è

consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-

professionali”, precisandosi che “gli incarichi retribuiti, di cui ai commi

seguenti, sono tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei

compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma,

un compenso”, con esclusione di quelli specificamente indicati dalla

lett. a) alla lett. f-bis) dello stesso comma 6.

Ciò posto, va anzitutto rilevato come nella specie sia fuori

discussione l’inosservanza, da parte dell’odierno convenuto, del

divieto di esercitare attività professionale in costanza del servizio

prestato quale docente universitario in regime d’impegno a tempo

pieno, risultando in atti che nel periodo in contestazione (1°

novembre 2003 – 31 dicembre 2009) il dott. G. ebbe effettivamente a

svolgere, in assenza di qualsivoglia autorizzazione da parte

dell’Università degli Studi di Omissis, prestazioni professionali sia di

natura medica che di natura didattica, con conseguente emissione di

regolare fatturazione.

Rileva peraltro il Collegio che le conseguenze derivanti

dall’inosservanza del divieto in questione trovano compiuta

SENT. N. 14/14/R

34

definizione nel ripetuto art. 53 d.lgs. n. 165/2001, laddove, “salve le

più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare”, si

prevede, appunto, l’obbligo di versamento dei compensi relativi alle

prestazioni svolte “nel conto dell’entrata del bilancio

dell’amministrazione del dipendente” (art. 53 c. 7), nonché

l’assoggettamento alla giurisdizione di questa Corte dei Conti

dell’ipotesi di “responsabilità erariale” costituita dall’omissione di

detto versamento “da parte del dipendente pubblico indebito

percettore” (art. 53 c. 7-bis).

Nel caso che occupa, però, tale particolare fattispecie di

responsabilità non è stata espressamente e specificamente

contestata dal Requirente, e pertanto non può formare oggetto di

esame da parte del Collegio.

Tornando, allora, al danno per cui è causa, come individuato e

dedotto in citazione, va osservato che - stando agli atti versati in

giudizio e alla stessa prospettazione di parte attrice - l’attività

professionale prestata dal convenuto, seppure non consentita, non

risulta comunque avere interferito sul regolare svolgimento

dell’attività di docente universitario a “tempo pieno”, nel senso che

non sono stati rilevati e contestati scostamenti – né sul piano

qualitativo né, soprattutto, su quello quantitativo - tra l’attività

istituzionale resa in concreto dal dott. G. nel periodo controverso (1°

novembre 2003 – 31 dicembre 2009) e quella dovuta in ragione del

regime d’impegno cui lo stesso aveva optato.

Dovendosi, quindi, dare per assodata la conformità dell’anzidetta

SENT. N. 14/14/R

35

prestazione istituzionale rispetto all’impegno lavorativo richiesto dal

regime dianzi specificato, se ne deve dedurre la piena rispondenza

della prestazione medesima al relativo trattamento economico, che

trova appunto giustificazione, quanto al suo più elevato ammontare

rispetto a quello previsto per il regime a “tempo definito”, nel maggior

impegno profuso dal docente a favore della struttura universitaria di

appartenenza.

Nel caso di specie, pertanto, non risulta essersi realizzata alcuna

effettiva alterazione del rapporto sinallagmatico tra retribuzione

percepita e prestazione resa, né una tale alterazione può configurarsi

come effetto automatico della inosservanza del divieto, per il

professore universitario a “tempo pieno”, di svolgere attività

professionale.

In tal senso, del resto, si è espressa la giurisprudenza di questa

Corte secondo la quale “è da escludersi che l’effettiva lesione

dell’Ente possa essere rinvenuta in re ipsa nello svolgimento di

attività non compatibili con lo status di docente a tempo pieno”,

occorrendo invece la prova del nocumento che, in concreto, sarebbe

derivato all’Ateneo di appartenenza dalla corresponsione dello

stipendio a fronte della attività prestata dal docente che abbia

correttamente svolto tutti i compiti spettantigli (cfr. Corte dei Conti –

Sez. giur. di Bolzano, sentenze n. 5 del 19 aprile 2013, n. 2 del 22

febbraio 2013 e n. 18 del 7 settembre 2012).

Né può valere in contrario il richiamo fatto in citazione alla sentenza

n. 209 del 6 settembre 2012 di questa stessa Sezione, riguardante la

SENT. N. 14/14/R

36

diversa fattispecie di un medico dirigente dipendente della A.U.S.L.

di Bologna assoggettato al rapporto di lavoro esclusivo di cui all’art.

15 quater (“Esclusività del rapporto di lavoro dei dirigenti del ruolo

sanitario) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e, come

tale, beneficiario del relativo trattamento economico aggiuntivo di cui

al comma 5 dello stesso art. 15 quater: “I contratti collettivi di lavoro

stabiliscono il trattamento economico aggiuntivo da attribuire ai

dirigenti sanitari con rapporto di lavoro esclusivo ai sensi dell'art. 1,

comma 12, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nei limiti delle

risorse destinate alla contrattazione collettiva”.

Lo specifico regime di tale rapporto, analiticamente richiamato in

citazione e riportato nella narrativa che precede, riguarda, infatti,

unicamente le figure professionali della dirigenza sanitaria, cui non

sono assimilabili i professori universitari che, come l’odierno

convenuto, non svolgano anche “attività assistenziale” presso

aziende ospedaliero-universitarie (ex art. 5 d.lgs. n. 517/1999), ed ai

quali, pertanto, non è applicabile l’art. 72 della legge 23 dicembre

1998 n. 448 (“Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo

sviluppo”) che, come evidenziato dalla Procura attrice, in caso di

violazione degli obblighi connessi alla esclusività del rapporto di

lavoro prevede, al comma 7, “un regime sanzionatorio” consistente

nella “risoluzione del rapporto di lavoro” e nella “‘restituzione’ dei

benefici economici ricevuti, connessi al rapporto di esclusività…)” (v.

pag. 16 dell’atto di citazione).

Alla dedotta insussistenza della voce di danno “principale” si

SENT. N. 14/14/R

37

accompagna, per le medesime ragioni, la mancanza del danno da

disservizio, nel senso che, non risultando, nella specie, essersi

verificate concrete interferenze tra l’attività professionale e la

prestazione istituzionale di docente universitario, non appare

configurabile alcun “mancato conseguimento del buon andamento

dell’azione pubblica”.

Né, d’altra parte, tale figura di danno sembra correlabile “all’omesso

reinvestimento delle economie di spesa conseguibili mediante la

trasformazione del rapporto di lavoro dal regime di tempo pieno al

regime a tempo definito” (v. pag. 18 dell’atto di citazione), stante che,

secondo quanto dianzi osservato, nel caso in esame le differenze di

trattamento economico tra il regime di impiego “a tempo pieno” e il

regime di impiego “a tempo definito non possono ritenersi

“indebitamente” percepite.

Da quanto sopra esposto e considerato conseguono il rigetto della

domanda attrice e l’assoluzione dell’odierno convenuto dott. G. S.

dall’addebito di responsabilità amministrativo-contabile formulato a

suo carico con l’atto di citazione in epigrafe.

Va inoltre disposta la revoca del sequestro conservativo autorizzato

con decreto presidenziale del 5 giugno 2013 e successivamente

convalidato con ordinanza n. 83/13/R del 15 luglio 2013.

Infine, trattandosi di assoluzione nel merito, occorre procedere alla

liquidazione dell’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa

dell’odierno convenuto; ciò ai fini del rimborso delle spese legali ex

articoli 3, comma 2 bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996 n. 543

SENT. N. 14/14/R

38

(convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639)

e 18, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 1997 n. 67 (convertito,

con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997 n. 135), come

autenticamente interpretati dall'art. 10 bis, comma 10 (come

modificato dall’art. 17, comma 30-quinquies, del d.l. 1° luglio 2009 n.

78), del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203 convertito dalla

legge 2 dicembre 2005, n. 248.

Al riguardo, osserva il Collegio che all’odierno processo (contabile di

primo grado) devono applicarsi i valori medi di liquidazione (e relative

percentuali di variazione) - di cui alla Tabella A allegata al decreto

del Ministero della Giustizia n. 140 del 20 luglio 2012 – relativi ai

giudizi innanzi al tribunale ordinario, aumentati del 20%; inoltre,

considerata l’articolazione e il concreto svolgimento del processo

stesso, al suo interno sono individuabili le fasi di studio, introduttiva e

decisoria.

Pertanto, avuto riguardo allo scaglione di riferimento della causa (da

euro 50.001 a euro 100.000) e tenuto conto altresì, ai sensi dell’art.

4, comma 2, del menzionato decreto ministeriale n. 140/2012, del

valore e della natura e complessità della controversia, nonché del

numero e dell’importanza e complessità delle questioni trattate, si

liquida in favore della difesa del dott. G. il complessivo importo degli

onorari e diritti in € 3.300,00 (tremilatrecento/00) – di cui € 1.140,00

per la fase di studio (€ 1.900 + 20% - 50%), € 600,00 per la fase

introduttiva (€ 1.000 + 20% - 50%), ed € 1.560,00 per la fase

decisoria (€ 2.600 + 20% - 50%) - oltre spese generali, I.V.A. e

SENT. N. 14/14/R

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C.P.A. come per legge; fermo restando il parere di congruità

dell’Avvocatura dello Stato previsto dal succitato art. 10 bis, comma

10, del d.l. n. 203 del 2005.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

la Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale regionale per l'Emilia-

Romagna, disattesa ogni contraria domanda ed eccezione,

definitivamente pronunciando:

- assolve il convenuto dott. G. S. dall’addebito di responsabilità

amministrativo-contabile formulato a suo carico con l’atto di citazione

in epigrafe.

- revoca il sequestro conservativo autorizzato con decreto

presidenziale del 5 giugno 2013 e successivamente convalidato con

ordinanza n. 83/13/R del 15 luglio 2013;

- liquida in favore della difesa del predetto convenuto il complessivo

importo di € 3.300,00 (tremilatrecento/00), come determinato in

motivazione, per onorari e diritti, oltre spese generali, IVA e CPA

come per legge, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura

dello Stato.

Non luogo a provvedere sulle spese del giudizio.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti conseguenti.

Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio dell’11 dicembre

2013.

L’Estensore Il Presidente

(Francesco Maria Pagliara) (Luigi Di Murro)

SENT. N. 14/14/R

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f.to Francesco Maria Pagliara f.to Luigi Di Murro

Depositata in Segreteria il 6 febbraio 2014

Il Direttore di Segreteria

f.to Nicoletta Natalucci

Il Presidente

ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del Decreto

Legislativo 30 giugno 2003 n. 196, avente ad oggetto “Codice in

materia di protezione di dati personali”

Dispone

che, a cura della Segreteria, venga apposta l’annotazione di cui al

comma 3 di detto art. 52, nei riguardi dei convenuti e -se esistenti -

del dante causa e degli aventi causa.

Il Presidente

(Dr. Luigi Di Murro)

f.to Luigi Di Murro

In esecuzione del provvedimento del Presidente, ai sensi dell’art. 52

del D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, in caso di diffusione, omettere le

generalità e gli altri dati identificativi dei convenuti e, se esistenti, del

dante causa e degli aventi causa.

Bologna, 6 febbraio 2014

Il Direttore della Segreteria

f.to Nicoletta Natalucci