REPORT "La conciliazione Possibile"

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POR CRO Regione Toscana 2007-2013 ASSE V - Transnazionalità – Interregionalità REPORT FINALE DEL PROGETTO Progetto La Conciliazione PossibileProject “The Possible work/Life balance” PROVINCIA DI LIVORNO POR FSE 2007-2013 Fondo Sociale Europeo Programma Operativo Regione Toscana FSE Investiamo nel vostro futuro Cresce l’Europa. Cresce la Toscana

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Report del Progetto della Provincia di Livorno Sviluppo sulla Conciliazione Possibile

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POR CRO Regione Toscana 2007-2013 ASSE V - Transnazionalità – Interregionalità

REPORT FINALE DEL PROGETTO

Progetto“La Conciliazione Possibile”

Project“The Possible work/Life balance”

PROVINCIADI LIVORNO

POR FSE2007-2013Fondo Sociale EuropeoProgramma OperativoRegione Toscana

FSE Investiamo nel vostro futuroCresce l’Europa. Cresce la Toscana

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Il presente Report è a curadella Dott.ssa Sara Calosci

Si ringrazia:Regione Toscana,

i partecipanti,le strutture ospitanti,

i numerosi collaboratori che, a vario titolo,hanno consentito la realizzazione del progetto

Un ringraziamento particolarealla Dott.ssa Cristina Calvanelli

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“ Già esserci è l’ottanta per cento del lavoro” W. Allen

REPORT FINALE DEL PROGETTO

“La Conciliazione Possibile”“The Possible work/Life balance”

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Indice

Prefazione 3

La transnazionalità: un valore aggiunto per lo sviluppo locale 4

1. Introduzione al progetto 5

2. Obiettivi e risultati attesi 7

3. Attività realizzate 8

3.1 Visita di studio a Helsinki (Finlandia) 9

3.1.1 Il modello finlandese di conciliazione 10

3.1.2 Politiche attive di sostegno alla famiglia 11

3.1.3 Punti di forza e di debolezza del sistema di conciliazione finlandese 13

3.1.4 Buone pratiche di conciliazione 14

3.1.5 Livello di adattabilità e trasferibilità del modello di conciliazione finlandese 15

3.2 Visita di studio a Rotterdam (Olanda) 17

3.2.1 Il modello olandese di conciliazione 18

3.2.2 Politiche attive di sostegno alla famiglia 19

3.2.3 Punti di forza e di debolezza del sistema di conciliazione olandese 21

3.2.4 Buone pratiche di conciliazione 22

3.2.5 Livello di adattabilità e trasferibilità del modello di conciliazione olandese 23

3.3 Visita di Studio a Vejle (Danimarca) 24

3.3.1 Il modello danese di conciliazione 25

3.3.2 Politiche attive di sostegno alla famiglia 27

3.3.3 Punti di forza e di debolezza del sistema di conciliazione danese 29

3.3.4 Buone pratiche di conciliazione 30

3.3.5 Livello di adattabilità e trasferibilità del modello di conciliazione danese 31

3.4 Visita di studio istituzionale a Helsinki (Finlandia) 33

3.4.1 In sintesi 34

4. I partecipanti 35

5. Impatto atteso 36

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Prefazione

La Transnazionalità rappresenta uno strumento trasversale per promuovere la realizzazione e lo sviluppo di iniziative e di reti su base comunitaria con l’intento di contribuire alla qualità e all’efficacia delle politiche del lavoro e ai loro processi di riforma. Nella programmazione del Fondo Sociale Europeo 2007/2013 la Transnazionalità deriva e raccoglie le pratiche e le esperienze realizzate attraverso i precedenti programmi comunitari. Tra questi sicuramente il legame più forte è quello con l’Iniziativa Comunitaria Equal, dove la transnazionalità da condizione necessaria per l’ammissione a finanziamento del progetto è divenuta, in maniera crescente, l’opportunità di creare relazioni e collaborazioni con altri Paesi che nel tempo si sono consolidate e ampliate. La Provincia di Livorno ha sempre dimostrato grande impegno in questo ambito. Due furono i progetti realizzati attraverso Equal e sono in essere cinque progetti transnazionali finanziati dalla Regione Toscana che proprio alla Transnazionalità ha riservato una misura specifica dedicata ai progetti delle Province.

Il progetto La Conciliazione Possibile ha trattato il difficile tema della conciliazione tra lavoro e famiglia coinvolgendo direttamente le aziende del territorio toscano e le istituzioni locali. Complessivamente 104 persone hanno partecipato a 4 visite di studio in 3 Regioni Europee che eccellono in materia di politica di Conciliazione e che, come evidenziano i dati occupazionali e sociali, hanno i più alti tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro . Qui attraverso presentazioni, visite in aziende e negli enti pubblici, tavoli di lavoro ed esperienze pratiche, è stato possibile attivare un confronto aperto e costruttivo che ha gettato le basi per future collaborazioni.

La realizzazione del progetto La Conciliazione Possibile è indice dell’importanza che la Regione Toscana e le otto Province partner riconoscono alla cooperazione transnazionale come opportunità di sviluppo e di innovazione e come strumento per la definizione di politiche e prassi innovative anche su temi attuali e complessi quali quelli legati ai nuovi assetti familiari nel loro rapporto con il mercato del lavoro.

Ringo Anselmi

Assessore al Lavoro e formazione professionale della Provincia di Livorno

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Progetto: La Conciliazione possibile | Rapporto Finale

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La transnazionalità:un valore aggiunto per lo sviluppo locale

Il quadro nazionale

L’esperienza maturata nel quadro della Programmazione comunitaria 2000-2006 ha evidenziato le opportunità connesse alla cooperazione transnazionale.

Il valore aggiunto conseguito attraverso la dimensione transnazionale può tradursi in concreti benefici sia per le istituzioni, con il rafforzamento delle politiche, sia per i cittadini e le organizzazioni, con il miglioramento delle prassi.

Nella rinnovata impostazione del Fse 2007-2013, con il maggior coinvolgimento delle Regioni nello sviluppo delle iniziative di cooperazione, appaiono amplificate le opportunità di realizzare iniziative di impatto ed interesse. È in tal modo possibile rafforzare il principio comunitario della doppia sussidiarietà, attuando le politiche al livello che consente maggiore efficacia e potenziando il coinvolgimento della società civile e delle parti sociali. La cooperazione transnazionale consente, inoltre, di acquisire e sviluppare una mentalità europea, in grado di supportare il perseguimento di risultati sociali, di crescita ed inclusione, coerenti con il modello sociale europeo, fondato su obiettivi condivisi e diversità e specificità dei differenti territori dell’Unione. La cooperazione permette inoltre di conseguire un valore aggiunto sia in termini di migliori e maggiori soluzioni, approcci, metodologie e strumenti, sia in termini di apprendimento reciproco ed innovazione di politiche e governance.

La Toscana

La Regione Toscana ha riservato particolare attenzione alla misure della transnazionalità, prevedendo all’interno dell’Asse V del POR FSE 2007 – 2013 bandi mirati alla partecipazione delle Province e dei Circondari. La Toscana è peraltro una Regione molto attiva nella definizione di progetti ed iniziative di livello europeo. Basti ricordare che, su impulso della Regione Toscana, è nata l’associazione europea EARLALL, un organismo che offre occasione di incontro e di sviluppo di politiche regionali e locali sul tema dell’apprendimento permanente e che oggi raccoglie Regioni ed Enti Locali della UE a 27.

Livorno e la Toscana

La Provincia di Livorno ha partecipato, con il supporto progettuale e gestionale di Provincia di Livorno Sviluppo a bandi regionali, ottenendo risultati ragguardevoli. Difatti ha ottenuto l’approvazione e il relativo finanziamento di cinque progetti: “LA CONCILIAZIONE POSSIBILE” “TTRN”, “TRASVIT”, “TRASPOLIV” e “LA. SID. PI”.

Il progetto La Conciliazione Possibile è un progetto che ha visto la Provincia di Livorno nel ruolo di capofila di sette Province della Toscana (Grosseto, Pisa, Lucca e Massa-Carrara, Arezzo, Siena, Firenze): il tema del progetto sono le misure di conciliazione. Il progetto ha previsto visite di studio e tirocini in 3 realtà dell’Europa del Nord che applicano politiche per la conciliazione che riguardano soprattutto l’innovazione di modelli sociali, economici e culturali tali da rendere compatibili la sfera familiare e sfera lavorativa migliorando la qualità della vita dei singoli.

Alle visite hanno partecipato le aziende, gli enti locali, gli organismi di parità, e altri soggetti pubblici e privati interessati al tema della conciliazione dei territori delle Province partner, per un numero complessivo di 104 partecipanti.

Ritengo che sia stata una preziosa occasione per conoscere “dall’interno” le politiche locali adottate dai vari Paesi in materia di Conciliazione e la loro reale applicazione. Questa conoscenza non deve essere altro che il punto di partenza per tracciare possibili percorsi per realizzare concrete misure di conciliazione in grado di impattare positivamente sull’occupazione femminile, sul mercato del lavoro e sul sistema sociale.

Maria Giovanna Lotti

Presidente di Provincia Livorno Sviluppo

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1. Introduzione al progetto

Il progetto “La Conciliazione Possibile”, è stato finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito del POR FSE ob.2 2007-2013 – anni 2007-2009, Asse V Transnazionalità – Interregionalità (Azione “Progetti presentati dalle Province/Circondari toscani” – Tip.Az. 1. creazione di partenariati transnazionali tra istituzioni per lo svolgimento di attività\azioni in altre regioni e Paesi europei).

Il POR FSE 2007-2013 l’Asse V (Transnazionalità – Interregionalità) intende sostenere progetti di intervento finalizzati a sostenere i processi di policy learning e policy transfer, di cooperazione rafforzata, di benchmarking e trasferimento di buone pratiche, sia di livello interregionale che intercomunitaria. In questo senso, l’Asse V assume a livello di PO nazionali e/o regionali compiti e responsabilità affidati nella precedente programmazione alla Commissione Europea, attraverso l’ideazione e la gestione di programmi o iniziative comunitarie (ad esempio Equal, Azioni Innovative ecc.).

All’apertura del bando, rivolto alle Province/Circondari toscani la Provincia di Livorno, assieme a altre sette Province della Toscana (Grosseto, Pisa, Lucca e Massa-Carrara, Arezzo, Siena, Firenze) ha elaborato e presentato una proposta progettuale che valorizzava il know how maturato in precedenti esperienze europee (ed in particolare il patrimonio conoscitivo ed il networking sviluppato nell’ambito delle Azioni Innovative del FSE) e, soprattutto, si confrontava con le prime avvisaglie di quella che sarebbe divenuta la più grande crisi economica internazionale dal dopoguerra.

La Provincia di Livorno, utilizzando risorse proprie, nazionali, regionali e di FSE realizza da anni iniziative per favorire sia al suo interno che sul territorio amministrato, organizzazioni del lavoro rispondenti alle esigenze emergenti dalle donne, dagli uomini e dalle famiglie.

Si segnalano, tra gli altri, il progetto “Il gioco degli Incastri” finanziato dal Ministero del Lavoro, i progetto ADO (POR RT 2000-2006) e EGO (Programma lifelong learning – Leonardo). Recentemente la Provincia ha approvato le procedure di erogazione di “Voucher alla persona per la conciliazione tra i tempi di vita e i tempi di lavoro”, al fine di promuovere la partecipazione femminile al mercato del lavoro e consentire un accesso paritario alle attività formative ed alle iniziative cofinanziate con il FSE. Inoltre è in realizzazione un registro di tate familiari, sono in programma attività formative di vario livello a rafforzamento dell’occupabilità della componente femminile del mercato del lavoro. È tra l’altro da segnalare l’accordo con il Comune di Livorno per la partecipazione al bando regionale (DD5602/09) per la realizzazione di un nido aziendale.

Le Province partner, analogamente hanno realizzato iniziative e progetti in tema di conciliazione. Molte di loro da anni lavorano a progetti relativi alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro attraverso sportelli presso i Centri Pari Opportunità e i Centri per l’impiego per coadiuvare le/i singole/i lavoratrici/tori sulle opportunità di presentare progetti sulla L. 53/2000; percorsi di animazione e informazione sulla tematica e altre iniziative vote a tutelare dalle possibili discriminazioni. Sono stati, inoltre, realizzati seminari e corsi formativi per favorire l’inserimento lavorativo e la crescita professionale della componente femminile nel Mercato del lavoro.

Il progetto ha voluto rafforzare le competenze degli imprenditori, dei manager e dei responsabili delle Risorse Umane attraverso nuove opportunità di formazione/studio presso strutture di altre aree europee al fine di acquisire nuove conoscenze e far proprie metodologie e buone pratiche e verificarne il grado di trasferibilità nella propria azienda/territorio.

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Estratti dalla proposta progettuale:

“La grande crisi incide, indubbiamente, sulle rilevazioni del mercato del lavoro relative all’anno 2009, con una sensibile contrazione del tasso di occupazione e un incremento del tasso di disoccupazione. Nel 2009 infatti si è registrato a livello nazionale un tasso di disoccupazione del 7,8% rispetto al 6,7% del 2008 (in toscana il tasso di disoccupazione è salito al 5,8 % rispetto al 5,0 % del 2008). In questo contesto particolare attenzione merita l’andamento del tasso di disoccupazione femminile che sale in Italia nel 2009 al 9,3% (7,8% in Toscana). A tal proposito, specialmente in Toscana, la contrazione del tasso di occupazione risulta maggiore per quanto concerne il dato femminile (-0,6 % contro il – 0,4 % del dato maschile).

Rispetto alla Unione Europea a 27 l’Italia registra tuttavia un tasso di occupazione femminile più basso di circa 12 punti percentuali e distante di quasi 14 punti percentuali dagli obiettivi fissati a Lisbona per il 2010. Nel complesso il divario occupazionale tra i generi è assai più marcato in Italia rispetto agli altri Paesi europei. Il tasso di occupazione maschile è, infatti, di 22,20 punti percentuali superiore rispetto a quello femminile (dato al 31 dicembre 2009). Tra i 25 e i 44 anni – e tra i 25 e i 34 in particolare – appare inoltre fortemente marcato il divario occupazionale delle donne single o nell’ambito di una coppia senza figli rispetto a una coppia con figli. A conferma della circostanza, ribadita dal Rapporto CNEL sul mercato del lavoro 2008/2009, che a influire sulla minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro è anche una specificità di genere legata all’evento della maternità e alle esigenze di cura e di assistenza. La difficile conciliazione tra lavoro e famiglia non interessa peraltro solo le madri lavoratrici. Come indicano i dati sul tasso di invecchiamento della popolazione, sempre maggiore è il numero di persone anziane non autosufficienti. Anche in questo caso sono prevalentemente le donne (in particolare di età superiore ai 45 anni) a prendersene cura e a dovere spesso rinunciare a opportunità lavorative.” (...)

“Conciliazione: Nel panorama europeo le donne italiane hanno due primati assoluti: la più bassa partecipazione al mercato del lavoro (il tasso di attività femminile è di poco superiore al 50%, ben lontano dai livelli finlandesi, danesi, olandesi, svedesi, oltre il 70%) e un bassissimo livello di fecondità (1,3 figli a testa, contro una media europea di 1,6). Fecondità e occupazione femminile sono più basse che altrove perché sono meno conciliabili tra loro. Sulla conciliazione pesano tre ordini di fattori: la scarsità dei servizi all’infanzia, i fattori culturali (in Italia è più radicata che altrove l’idea che la donna debba occuparsi prima di tutto della famiglia e dei figli), un sistema di genere molto asimmetrico e di tipo prevalentemente tradizionale” (...)

La conoscenza, l’approfondimento e quindi la valutazione di significative buone pratiche maturate negli altri Paesi europei è funzionale alla successiva condivisione di queste esperienze a livello territoriale e alla possibile elaborazione di linee guida per l’adattamento e l’implementazione.

Il progetto ha individuato come suoi beneficiari le aziende, gli enti locali, gli organismi di parità, e altri soggetti pubblici e privati interessati al tema della conciliazione. Questi soggetti sono stati interessati da azioni di mobilità a carattere transnazionale (workshop di apprendimento/condivisione/formazione) e da iniziative territoriali per la disseminazione e la valutazione di adattabilità

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2. Obiettivi e risultati attesi

Gli obiettivi principali dell’esperienza transnazionale si sono concentrati principalmente su 3 aspetti:

a. conoscenza ed analisi del contesto dei paesi oggetto della visita, considerati come modelli altamente positivi a livello europeo rispetto a occupazione femminile e politiche attive di conciliazione vita professionale - vita personale;

b. costruzione di un network per rafforzare e consolidare le competenze e le professionalità dei beneficiari del viaggio di studio, tutti/e operatori/trici di settori rilevanti del mondo aziendale e degli enti locali;

c. analisi dei punti di forza e di debolezza delle politiche di conciliazione del Paese oggetto della visita di studio di attuazione delle pari opportunità, al fine di evidenziare una possibile trasferibilità del modello nella realtà italiana.

In termini di risultati attesi il progetto ha inteso perseguire:

1. il pieno coinvolgimento, politico ed operativo, delle istituzioni locali, dei soggetti partner e delle aziende per favorire il rafforzamento della qualità ed efficienza dei sistemi di organizzazione del lavoro e gestione delle risorse umane, favorendo la crescita della partecipazione e dell’occupazionale femminile;

2. la condivisione di modelli e buone pratiche sperimentate in altri Paesi europei affinché gli indirizzi e le soluzioni operative approfondite nel corso delle attività progettuali possano applicarsi a livello sia istituzionale, grazie ad un’azione di mainstreaming verticale, che operativo, mediante un’azione di mainstreaming orizzontale (adesione a codici di comportamento - firma di protocolli - definizione di accordi sindacali che permettano l’attuazione di misure ritenute idonee al contesto toscano);

3. il rafforzamento delle competenze e delle professionalità dei manager e dei responsabili delle risorse umane che saranno coinvolti in esperienze di tirocinio presso le aziende dei paesi coinvolti.

4. Attivazione di concrete misure in materia di conciliazione in aziende che hanno attuato positive politiche.

È stato inoltre realizzato, il 13 aprile 2012 a Livorno, il convegno conclusivo, a carattere transnazionale, con l’intento di analizzare attraverso tre focus, le misure di conciliazione attivate nei Paesi visitati, gli elementi di innovazione, verificarne il grado di trasferibilità e individuare proposte concrete di quegli elementi favorevoli alla riproducibilità.

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Di seguito una tabella riepilogativa delle attività esterne che hanno caratterizzato lo sviluppo del progetto e una presentazione delle 4 visite di studio effettuate nell’ambito del progetto.

Date Nazione Luogo Partecipanti coinvolti

25 settembre

5 ottobre 2011Finlandia Helsinki

Rappresentanti di realtà aziendali, di organismi di parità, di centri per l’impiego, di enti locali, di agenzie di formazione oltre che di organizzazioni datoriali e realtà cooperative

9-16 dicembre 2011 Olanda Rotterdam

Rappresentanti di realtà aziendali, di organismi di parità, di centri per l’impiego, di enti locali, di agenzie di formazione oltre che di organizzazioni datoriali e realtà cooperative

07-18 marzo 2012 Danimarca Vejle

Rappresentanti di realtà aziendali, di organismi di parità, di centri per l’impiego, di enti locali, di agenzie di formazione oltre che di organizzazioni datoriali e realtà cooperative

12-15 marzo 2012 Finlandia Helsinki

Assessori provinciali e comunali; consigliere di parità, referenti di Comitati di Pari oppor tunità e referenti degli uffici Pari Opportunità delle Province; Presidente del Consiglio della Provincia di Pisa.

Ciascuna missione1 viene descritta attraverso:• il programma delle attività;• una sintesi del modello di conciliazione del Paese oggetto di studio;• le relative politiche attive di sostegno alla famiglia;• analisi dei punti di forza e di debolezza del sistema oggetto della visita di studio;• buone pratiche di conciliazione;• livello di adattabilità e trasferibilità del modello di conciliazione del Paese nella realtà italiana.

La visita istituzionale, realizzata a Helsinki, viene descritta attraverso un breve excursus delle giornate che hanno visto i partecipanti visitare alcune realtà specifiche al fine di creare un quadro generale e completo del sistema attuale applicato in Finlandia in merito alle misure di conciliazione.

1 A cura della Dott.ssa Cristina Calvanelli, tutor scientifico delle mobilità

3. Attività realizzate

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Programma delle attività

3.1 Visita di studio ad Helsinki (Finlandia)

Lunedì 26 settembre

9.00 Seminario di orientamento - Lettura e spiegazione dell’agenda Ms Henna Laukka - La città di Helsinki Ms Elisabeth Heinrichs, Tourist information

of the city of Helsinki

10.30 Väestöliitto (The Family Federation) - Statistics, Finnish families, Finnish work Ms Anna Rotkirch, Director and Mr Lassi

Lainiala, researcher of families, Population research institute

13.30 Terveyden ja hyvinvoinnin laitos (The National Institute for Health and Welfare)

Martedì 27 settembre9.30 Kela (The Social Insurance Institute of

Finland) Ms Johanna Aholainen, Specialist of the

Families benefits

13.00 Elinkeinoelämän keskusliitto (Confedera-tion of Finnish Industries)

Ms Anu Sajavaara, Specialist of developing work and equality

14.45 STTK, (Finnish Confederation of Professionals) Ms Riitta Työläjärvi, Specialist of social

and health affairs

Mercoledì 28 settembre9.30 Visit to maternity and child health clinic Ms Marjo Lepistö, Project Coordinator

13.30 Visit to a day care center15.30 Ms Eeva Kaukoluoto, The City of Helsinki

Giovedì 29 settembre9.30 Kallio comprehensive school, lower stage

(age group 7-12) Principal Mr Tuomo Säävälä Health care in schools Ms Tuula Salmivaara-Pesonen, Head of

school health

10.30 School-meals Ms Airi Rintamäki, Manager responsible

for school meals in the City of Helsinki

11.30 Lunch (Participating at school meal)12.30 Pupils’ afternoon activities Ms Leena Palve-Kaunisto, Specialist in pupils’

afternoon activities in the City of Helsinki

13.30 Visiting afternoon activities at a playground15.00 Workshop: Una prima discussione sulle attività svolte

e le strutture visitate Ms Henna Laukka

Venerdì 30 Settembre9.30 Haartman Hospital Ms Anne Lunden, Head nurses

13.30 Kuntaliitto (Association of Finnish local and regional authorities):

Municipalities’ part in combining work and family

Lunedì 3 Ottobre9.00 Workshop: Examples of services that help combining

work and family - Mannerheimin lastensuojeluliitto, Ms Eeva

Suhonen - Keittiökaveri, Mr Markus Haakana

13.30 Interviews –assignment: Visite in alcuni negozi, bar, supermarket

e incontro con i dipendenti per avere testimonianze dirette sulla modalità di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.

Martedì 4 Ottobre9.00 Incontro con I genitori che lavorano: How do they do it, combine work and family? Ms Meri Virta (has lived in Italy for 5 years) Ms Anu-Riikka Lehtola

14.00 Helsingin kaupungin henkilöstökeskus (Human resources center of the City of Helsinki)

Mr Hannu Tulensalo, Human resources Director and Ms Leena Mattheiszen, Leading labour lawyer, City of Helsinki

Mercoledì 5 ottobre09.00 Yliopiston apteekki (a chain of Pharmacies) Ms Riitta Uhrman, Human resources Director

11.30 Riflessione e discussione circa le politiche di conciliazione

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La Finlandia è divisa in cinque Province, i cui rappresentanti supervisionano e dirigono i servizi sociali di assistenza e le politiche per la salute all’interno del proprio territorio provinciale. L’erogazione di tali servizi è di competenza dei Comuni, che hanno l’obbligo di fornire adeguata assistenza per la salute e la sicurezza sociale dei propri residenti. La copertura di tali servizi deriva in parte da tasse locali pagate direttamente ai Comuni, in parte da contributi stanziati dal governo centrale, sulla base di parametri quali età della popolazione in una determinata area, densità della popolazione oltre che situazione finanziaria del Comune in questione. Mediamente, il contributo statale copre il 33% dei costi.

La Finlandia ha una popolazione di circa 5.300.000 abitanti; da un punto di vista geografico, si rileva una grande mobilità interna e la presenza di province più densamente popolate rispetto ad altre, con una larga estensione territoriale, come la Lapponia, che vedono una popolazione decrescente e una forte emigrazione interna verso aree che offrono maggiori possibilità di formazione e di impiego. La grande mobilità geografica rappresenta un primo punto di interesse nell’analisi del modello finlandese di conciliazione: come è stato più volte sottolineato nel corso dei nostri incontri, il ruolo dei nonni nella cura e nella gestione dei nipoti non appare così basilare per la determinazione di politiche di conciliazione di successo. La generazione dei nonni è ancora attiva nel mondo del lavoro al momento della nascita dei nipoti, o altrimenti si trova geograficamente lontana, a causa della forte mobilità interna della popolazione cui si accennava sopra, quindi nell’impossibilità di garantire un sostegno costante ai bambini in vista del rientro dei genitori sul posto di lavoro.Di conseguenza, lo Stato si è preso carico, al posto della famiglia e come supporto attivo a politiche per l’incremento della natalità, di tutti gli aspetti riguardanti la cura e l’assistenza a bambini ed a genitori lavoratori, con l’obiettivo primario di consentire il rientro dei genitori sul posto di lavoro nel minor tempo possibile garantendo al tempo stesso assistenza professionale e continuativa al bambino. Il modello nordico di conciliazione promuove sia la fertilità, in altre parole l’incremento della natalità, sia l’occupazione femminile retribuita.

Un dato interessante da evidenziare riguarda la considerazione che l’aumento della fertilità in Nord Europa, diversamente da quanto avviene nell’Europa del sud, è collegato all’aumento del lavoro femminile, anzi ne è la diretta conseguenza. Come elemento a supporto di tale affermazione, il tasso di occupazione delle coppie con figli in Finlandia appare mediamente più elevato di quelle senza figli (nel 2009, il tasso di occupazione di coppie con figli era dell’83% a fronte del 75% di quelle senza figli), a riprova che le politiche per l’aumento della fertilità vanno di pari passo con la considerazione che le lavoratrici madri hanno diritto al mantenimento del posto di lavoro e rappresentano per l’azienda non un peso ma una risorsa da valorizzare. Il benessere della famiglia è quindi legato al numero desiderato di figli; a partire dagli anni ‘80/’90 sono state messe in atto politiche sociali per permettere alle donne di restare sul mercato del lavoro pur creandosi una famiglia e aumentando il tasso di natalità (ad oggi le coppie finlandesi hanno mediamente 1,8 figli, e un numero crescente arriva fino a tre figli indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza), tramite anche un maggior coinvolgimento dei padri nella gestione della vita familiare. Un ulteriore elemento da sottolineare per una corretta analisi del contesto riguarda la considerazione che le donne finlandesi hanno acquisito storicamente una forte posizione nella società e nella vita lavorativa; molte donne sono attivamente presenti in politica (per esempio, 42% dei membri del Parlamento finlandese sono donne, negli ultimi anni la maggioranza dei ministri sono state donne, così come l’attuale Presidente della Repubblica, la precedente Presidente del Consiglio e la presidente della Corte Suprema), ed anche se tale livello di parità effettiva non è ancora stato pienamente raggiunto all’interno dei consigli di amministrazione delle imprese, anche in questo settore, come ci è stato confermato dalla rappresentante della confederazione delle industrie, la presenza femminile è in costante incremento.

A partire dagli anni ’70, le donne finlandesi sono entrate nel mondo del lavoro retribuito in grande quantità, e a partire da allora lavorano a tempo pieno e sono per il 90% occupate. La possibilità di scelta del lavoro a tempo pieno per le lavoratrici finlandesi è determinata anche dal fatto che esiste ormai da tempo una perfetta condivisione dei compiti domestici: uomini e donne finlandesi concordano sul fatto che le responsabilità della gestione della casa e della cura dei figli debbano essere equamente condivise, ed il trend in questi ultimi anni mostra come le donne diminuiscano il tempo dedicato ai compiti domestici mentre gli uomini se ne incaricano sempre più frequentemente, fino ad arrivare ad una condivisione al 50% di tali oneri. Le infrastrutture di supporto alla famiglia che sostengono l’occupazione femminile con successo sono, in particolare: un sistema di cura dei bambini accessibile, di alta qualità e che non grava troppo sul bilancio familiare; un sistema di congedi di maternità flessibile e finanziariamente supportato dall’istituto nazionale di sicurezza sociale; il più antico congedo di paternità all’interno dell’UE, determinante per un effettivo cambiamento culturale e per il superamento dei ruoli stereotipati di genere all’interno della famiglia.

3.1.1 Il modello finlandese di conciliazione

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Il cammino verso l’uguaglianza e le pari opportunità fra uomini e donne vede la Finlandia come uno dei primi paesi in Europa a garantire il diritto di voto alle donne nel 1906.

Da tale basilare principio di effettiva democratizzazione di un paese deriva la successiva normativa per il raggiungimento di una parità di genere nell’ambito del lavoro, per un superamento delle discriminazioni e per l’attivazione di politiche di conciliazione fra vita lavorativa e vita familiare.

Sono del 1948 i primi atti che costruiscono il sistema di supporto alle politiche familiari attraverso l’introduzione dell’assegno familiare; a partire dagli anni ’70, con il crescente ingresso delle donne nel mondo lavorativo, molte delle politiche per la famiglia sono state rivisitate ed integrate, in particolare con l’introduzione nel 1973 dell’ “Atto per la Cura giornaliera del bambino”, che stabilisce la responsabilità del Comune nell’organizzazione di centri di assistenza per bambini in età prescolare o, in alternativa, nel fornire un’assistenza qualificata in famiglia.

Inoltre, se da un lato la Costituzione finlandese stabilisce il divieto di ogni discriminazione sulla base del sesso, nel 1986 viene emanata una legge sulla parità di genere, poi revisionata nel 2005, e nel 2004 entra a far parte dell’ordinamento finlandese una legge per il contrasto alla discriminazione, di chiara ispirazione comunitaria.

Infine, a partire dagli anni ’70 in avanti, le problematiche connesse ad una effettiva parità di genere nel mondo del lavoro sono entrate a far parte delle previsioni dei contratti collettivi di lavoro, comprendendo sia la necessità di una reale parità salariale che la previsione di piani operativi per una effettiva uguaglianza di genere sul posto di lavoro. I principali strumenti per la conciliazione fra vita lavorativa e vita familiare comprendono supporti finanziari diretti alle famiglia, tramite sussidi e assegni familiari per i figli a carico; la predisposizione di un sistema di congedi di maternità, di paternità e parentali retribuiti; servizi pubblici di sostegno e di cura per i bambini in età prescolare.

Rispetto ai supporti finanziari alle famiglie, i principali dispositivi comprendono:

Assegno di maternità:Ogni donna in stato di gravidanza da almeno 154 giorni, legalmente residente in Finlandia, ha diritto ad un

assegno di maternità, al fine di promuovere il benessere e la salute della madre e del bambino. L’assegno può essere costituito da una somma di denaro (intorno ai 140 w) o da un “pacco di maternità”,

contenente indumenti, coperte, giocattoli e libri per il primo anno della vita del bambino. Il pacco, gestito da Kela (istituto per la sicurezza sociale) che apre un bando ogni anno per stabilire quali

aziende forniranno i prodotti da inserirvi, in genere viene preferito dalle madri perché il prezzo dei prodotti ivi contenuti eccede i 140 w dell’assegno. L’assegno di maternità può essere fruito anche dai genitori adottivi di figli sotto i 18 anni di età.

Sussidi familiari:A partire dal primo mese della nascita di un bimbo fino ai suoi 17 anni lo Stato paga i sussidi familiari,

costituiti da una somma di denaro fissa e non dipendente dalla condizione finanziaria della famiglia.La somma dipende esclusivamente dal numero di figli presenti nella famiglia, e prevede un supplemento

di circa 46,60 w in caso di genitore single.La cifra è fissa ed esentasse, nell’ordine di: 100,00 w per il primo figlio, 110,50 w per il secondo figlio,

141,00 per il terzo figlio, 161,50 w per il quarto figlio,182,00 w dal quinto figlio in poi.

Assegno per adozioneI genitori adottivi possono richiedere a Kela un supporto per coprire alcuni dei costi dell’adozione,

specialmente in caso di adozioni internazionali.Si tratta di un pagamento unico, esentasse, e l’ammontare dipende dal paese di provenienza del bambino,

variando da 1.900 w se il bimbo viene adottato in Estonia ai 4.500 w se si tratta di Sud Africa, Kenya, Cina o Colombia.

Se si adotta più di un bambino, si ha diritto ad un aumento dell’assegno del 30%.Il sistema di congedi retribuiti si inserisce nella scia di quanto previsto a livello comunitario, pur mantenendo

delle peculiarità nazionali che sono interessanti da evidenziare.

3.1.2 Politiche attive di sostegno della famiglia

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Progetto: La Conciliazione possibile | Rapporto Finale

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I congedi familiari consistono in:

Congedo di maternità:Il congedo obbligatorio di maternità dura 105 giorni lavorativi, considerati a partire dai 50 ai 30 giorni lavorativi

precedenti alla data presunta del parto.In caso di gravidanze a rischio o di lavori pericolosi per madre e/o bambino, la lavoratrice in gravidanza ha

diritto al congedo anticipato, che può coprire anche l’intero periodo di gravidanza.Durante il congedo la madre riceve un’indennità, il cui ammontare è proporzionale al reddito, ma che non può

comunque essere inferiore a 22,13 w al giorno. Il sussidio è coperto da Kela.

Congedi parentaliSuccessivo al congedo di maternità obbligatorio, i genitori maturano la possibilità di usufruire dei congedi

parentali, fino a 158 giorni lavorativi da sfruttare dopo la fine del congedo di maternità.Entrambi i genitori hanno diritto ad usufruire del congedo parentale; la legislazione finlandese prevede la

possibilità di dividere il periodo di congedo fra padre e madre, di usarlo alternativamente o anche di ridurre le ore lavorative giornaliere o settimanali di entrambi i genitori per permettere loro di rimanere con i figli a turno (per esempio, un genitore può usufruire del congedo parentale a tempo parziale per due giorni lavorativi a settimana e l’altro genitore per i restanti tre giorni lavorativi).

Anche l’indennità per il congedo parentale è calcolata sulla base del reddito, e non può essere inferiore a 22,13 w al giorno.I padri usufruiscono del congedo parentale in proporzione molto inferiore rispetto alle madri (nel 2006 solo 9,5% dei padri), ma il numero è in crescente aumento.

Congedo di paternitàIl padre lavoratore ha diritto ad un congedo di 18 giorni lavorativi dopo la nascita del figlio contemporaneamente

al congedo di maternità della madre.Inoltre, se il padre usufruisce degli ultimi 12 giorni del congedo parentale, ha diritto ad un extra di 24 giorni

aggiuntivi del congedo di paternità, raggiungendo quello che viene chiamato il “mese del padre”.

Congedi di curaFino ai tre anni di vita del bambino, i genitori sono autorizzati a prendere congedi non retribuiti per prendersi

cura del figlio. I congedi non devono essere presi contemporaneamente da entrambi i genitori. Terminato il congedo di cura, i genitori hanno il diritto di tornare al posto di lavoro che occupavano in precedenza, o ad uno equivalente. I congedi di cura sono non retribuiti, ma la famiglia può ricevere un sussidio per l’assistenza domiciliare al bambino (di cui parleremo più avanti) per l’intero periodo.

Inoltre, un genitore ha diritto ad una riduzione delle ore di lavoro, o congedo di cura parziale, fino alla fine del secondo anno di scuola del bambino (la scuola elementare inizia a 7 anni in Finlandia, quindi il congedo può arrivare fino ai 9 anni del bambino). Anche in questo caso il congedo non è retribuito, ma si può accedere ai sussidi per l’assistenza domiciliare. I genitori di un bambino fino a 10 anni possono infine assentarsi in caso di malattia del bambino fino a quattro giorni lavorativi (congedo di cura temporaneo). Il congedo non può essere usufruito contemporaneamente da entrambi i genitori ed è retribuito fino al 100% secondo quanto stabilito dai contratti collettivi di lavoro.

Infine, occorre soffermarsi sui servizi di cura e di assistenza ai bambini in età prescolare, che costituiscono una rete capillare e ben organizzata di strutture con l’obiettivo di permettere ai genitori di reinserirsi in tempi brevi nel posto di lavoro offrendo al tempo stesso al bambino le strutture adeguate per sviluppare autonomia e capacità psico-attitudinali. Il sistema sopra descritto favorisce ed incrementa il rientro al lavoro dei genitori di figli in età prescolare, garantendo assistenza capillare e qualificata ai bambini sia in città che nelle zone rurali (dove è garantito, per esempio, un servizio per il trasporto dei bambini all’asilo), al tempo stesso fornendo un sostegno reale ai genitori single, perché il fatto che ogni bambino ha un diritto soggettivo all’asilo evita alle madri single di divenire un rischio sociale (anche se in questi anni sono proprio le famiglie monoreddito a registrare il più alto tasso di povertà dagli anni ’90) e determina le condizioni per aumentare il numero dei figli indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza.

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Gli strumenti che i cittadini finlandesi ritengono più utili per le politiche familiari, secondo quanto riferito da uno studio realizzato dall’Istituto statistico di ricerca sulla popolazione, sono essenzialmente tre: la flessibilità oraria, il ricorso sempre maggiore al part-time, un aumento dell’assegno familiare

È interessante notare come l’accento venga posto più su misure concrete ed efficaci di conciliazione sul posto di lavoro, come per esempio il part-time ma soprattutto la flessibilità oraria in entrata e in uscita e l’autonoma organizzazione dell’orario di lavoro, piuttosto che su un mero incremento dell’assegno per il mantenimento del minore. Riprova che il lavoro salariato rappresenta per uomini e donne finlandesi un importante strumento di partecipazione attiva alla vita sociale ed economica del paese, ed uno strumento di identità sociale cui non vogliono rinunciare e che desiderano rendere conciliabile con una famiglia.

I punti di forza del sistema di conciliazione vita personale-vita lavorativa, così come concepito nella realtà finlandese, risiedono principalmente nel valorizzare le donne in gravidanza all’interno delle organizzazioni non come un peso ma come una risorsa da sfruttare; avere figli non deve essere un problema per il datore di lavoro ma piuttosto un valore aggiunto, la lavoratrice che affronta una maternità acquisisce delle competenze specifiche extracurriculari che saranno successivamente spendibili sul luogo di lavoro.

Questa effettiva rivoluzione culturale è resa possibile dal fatto che tutti i cittadini hanno l’indipendenza economica e cercano una realizzazione personale e professionale; le donne finlandesi, in particolare, possiedono un alto livello di istruzione, sono mediamente più preparate e si laureano più velocemente dei loro colleghi uomini, e, in mancanza di meccanismi distortivi e discriminatori nell’accesso al lavoro e nell’avanzamento di carriera, riescono ad avere reali prospettive di carriera, pur formando una famiglia con figli.

Inoltre, importante punto di forza del sistema è il raggiungimento di una effettiva parità nella condivisione dei compiti domestici; studi statistici sulla popolazione hanno mostrato come uomini e donne finlandesi si dividano equamente la gestione della casa e l’accudimento ai figli, spartendoli esattamente al 50%.

La condivisione dei compiti domestici è ritenuta anche dall’Unione europea come uno dei più significativi prerequisiti per il raggiungimento di una reale parità di opportunità fra uomini e donne all’interno del mercato del lavoro, ed è il risultato della destrutturazione e del superamento di ruoli stereotipati di genere che evidentemente in Finlandia sta operando con successo. Inoltre, come più volte sottolineato in precedenza, l’acquisizione da parte del bambino di un diritto soggettivo all’assistenza è un principio essenziale per una società paritaria, perché pone l’accento sull’autonomia dei bambini e sulla loro esistenza come cittadini in divenire, portatori di diritti da tutelare e da rispettare.

Infine, resta importante da sottolineare come la conoscenza e l’utilizzo dei diritti e degli strumenti di conciliazione previsti dalla legislazione finlandese siano largamente diffusi fra la popolazione, prova evidente di una informazione corretta e capillare nel paese ed di una coscienza sociale e civica molto sviluppata.

L’aspetto sicuramente più significativo riguarda il fatto che il sistema di assistenza che prevede gli strumenti di conciliazione sopra descritti è largamente diffuso a livello nazionale, non si tratta di realtà virtuose che si confrontano con realtà ancora anacronistiche come in Italia, dove la conciliazione si realizza “a macchia di leopardo” nelle aziende; in Finlandia si evidenzia un sistema-paese che funziona seguendo le regole e le misure previste dalle politiche sociali di conciliazione, traendone benefici a livello di occupazione e di crescita della popolazione.

Pur mostrando un quasi totale raggiungimento delle pari opportunità fra uomini e donne nel paese, tanto da risultare fra le prime a livello europeo, la Finlandia presenta anche problemi e punti di debolezza nell’applicazione degli strumenti di conciliazione che ha così accuratamente e capillarmente predisposto. Innanzitutto, nonostante la presenza del congedo di paternità da un periodo di tempo molto lungo e la predisposizione di congedi parentali al fine di aumentare il numero di padri lavoratori che si astengono dal lavoro per la cura dei figli, il numero di padri che usufruiscono di tale opportunità rimane ancora relativamente basso, ed è condizionato al verificarsi di determinate condizioni.

Il periodo di congedo per maternità e parentale, che può arrivare fino ad un anno della vita del bambino, inoltre, viene considerato di durata eccessiva per un corretto reinserimento nel mondo del lavoro; le madri lavoratrici, che in genere utilizzano l’intero periodo, testimoniano di impedimenti ai loro avanzamenti di carriera che portano anche, in prospettiva, alla maturazione di pensioni più basse rispetto ai loro colleghi uomini. La presenza di un sistema capillare e ben organizzato di asili comunali e di sussidi per l’assistenza familiare dei bambini al di sotto di tre anni ha impedito la nascita e lo sviluppo di asili aziendali, che sono quasi completamente assenti

3.1.3 Punti di forza e di debolezza del sistema di conciliazione finlandese

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nel paese; questo aspetto, unitamente al fatto che le donne finlandesi utilizzano pochissimo il part-time, non favorisce il reinserimento in tempi brevi delle donne in ambito lavorativo, rallentando le loro prospettive di carriera.

Il sistema dei congedi parentali, considerato un po’ troppo rigido, assume un carattere problematico se analizzato dai responsabili della gestione del personale, che lamentano le difficoltà in caso di assenza di personale chiave in azienda, nella riorganizzazione dei compiti e nel reperimento e formazione dei sostituti, oltre che nei costi economici della sostituzione e nella perdita di relazioni con clienti importanti.

Inoltre, nonostante politiche condivise di conciliazione e di rimozione di ostacoli discriminatori nel settore lavorativo, le donne finlandesi si scontrano tuttora con le problematiche della segregazione, sia orizzontale che verticale, nel mondo del lavoro, così come con le difficoltà a raggiungere posizioni apicali all’interno della loro professione.

Nell’ambito degli incontri conoscitivi del gruppo di lavoro, ci sono state illustrate delle esperienze di buone prassi messe in atto con successo all’interno delle organizzazioni, come nel caso della S Group o della Yliopiston apteekki (catena di farmacie universitarie), o direttamente dal Mannerheimin lastensuojeluliitto (Istituto per il benessere dell’infanzia) al fine di promuovere il benessere del bambino e dei genitori e di fornire servizi qualificati e professionali di assistenza ed educazione per l’infanzia.

I principali strumenti di conciliazione messi in atto da S Group, la maggiore corporazione di cooperative della Finlandia, si concentrano essenzialmente sulla autonoma gestione del tempo di lavoro da parte di genitori che lavorano; il punto da sottolineare, che corrisponde ad una corretta e funzionale applicazione delle politiche di conciliazione, riguarda la constatazione che tali interventi non sono rivolti alle lavoratrici madri, ma ai genitori, quindi non sono misure indirizzate alle donne, ma a donne ed uomini che si trovano nella condizione di dover gestire al meglio la loro vita personale e la vita lavorativa. Questo aspetto è centrale perché buone pratiche di conciliazione che non si rivolgano ad entrambi i genitori rischiano di ottenere l’effetto opposto e di emarginare la lavoratrice madre dal posto di lavoro, accentuandone la segregazione occupazionale e rallentando le sue prospettive di carriera.

Le buone prassi messe in atto da S Group possono essere riassunte come segue:

• disponibilità ad una flessibilità oraria dei/delle lavoratori/trici in entrata ed in uscita: l’ingresso può avvenire fra le 7h00 e le 9h00 del mattino, deve essere garantita una fascia di presenza obbligatoria dalle 9h00 alle 15h00, per il resto il lavoratore o la lavoratrice gestiscono il loro orario, considerando che il lavoro giornaliero è di 8 ore e che la pausa pranzo è di ½ ora;

• predisposizione di una Banca delle Ore, dove si possono capitalizzare le ore maturate oltre le 8 ore di lavoro giornaliero e si possono poi utilizzare per giornate di recupero;

• il ricorso al telelavoro, che può arrivare a coprire anche l’intera durata della giornata lavorativa, previo accordo con il datore di lavoro;

• ricorso crescente ai congedi parziali, di cui si accennava sopra, per la cura dei figli fino ad 8 anni di età; i congedi parziali possono prevedere una diminuzione dell’orario di lavoro giornaliero o la concentrazione del lavoro in 3-4 giorni a settimana;

• nel caso di congedo parziale o di congedo per la cura, che può variare da 90 giorni ad un anno senza stipendio ma con la conservazione del posto di lavoro, la S Group si impegna ad assumere un lavoratore momentaneamente disoccupato per sostituire il lavoratore assente.

Si tratta di politiche di conciliazione realizzate in maniera capillare nella maggior parte delle realtà lavorative del paese; riprova ne è stata la presenza di strumenti di conciliazione e di gestione dell’orario di lavoro del tutto simili, ed in parte sovrapponibili, anche all’interno di Yliopiston apteekki.

Importante sottolineare come la catena di farmacie presenti, oltre a tutte le misure sopra descritte, anche la predisposizione di un contributo annuale di circa 280 w da destinare al benessere del dipendente, e che può essere speso per attività sportive, escursioni, cure termali, e così via.

Si tratta della presa in carico del benessere lavorativo del dipendente in ogni suo aspetto; accanto alle problematiche della conciliazione con la famiglia viene considerata importante anche la salute psicofisica del dipendente per un suo effettivo rendimento maggiore sul posto di lavoro.

3.1.4 Buone pratiche di conciliazione

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Infine, gli strumenti e le buone pratiche adottate dal Mannerheimin lastensuojeluliitto (Istituto per il benessere dell’infanzia) rappresentano un modello interessante e riproducibile anche nella realtà italiana, pur con gli adattamenti che ogni processo di trasferibilità presuppone. La struttura è finanziata dalle quote associative, dagli sponsor, da campagne di raccolta fondi, in parte da istituzioni pubbliche e una parte dei finanziamenti deriva addirittura direttamente dai proventi dell’associazione nazionale delle slot machines.

L’Istituto predispone opuscoli e brochures che distribuisce nel centri per la cura della salute della madre e del bambino, organizza corsi per le gestanti e gruppi di sostegno cui possono partecipare i genitori con i loro bambini.

Accanto a questa attività informativa e formativa, le principali buone pratiche che ci sono state illustrate riguardano:

• la creazione e la gestione dei “Family Cafè” (439 attivi sul territorio nazionale), luoghi di incontro con genitori e figli dove molta rilevanza viene data all’insegnamento “peer to peer” (alla pari, fra coetanei) e dove vengono organizzate molteplici attività per bimbi e per genitori (anche gruppi di sostegno e conferenze informative per genitori su vari aspetti legati alla relazione con i loro figli ed alle problematiche connesse alla genitorialità);

• realizzazione di corsi di ginnastica per mamme e bimbi insieme;

• il “Villaggio dei Nonni” (294 attivi al momento), luogo dove persone anziane e bambini possono trascorrere del tempo insieme, fornendo al tempo stesso un supporto ai genitori che lavorano e che non hanno i propri genitori vicini per accudire i nipoti;

• la predisposizione di corsi di formazione per baby sitter “d’emergenza”: in caso i genitori avessero bisogno di una babysitter in tempi brevi, si possono rivolgere all’Istituto che è in grado di fornire personale qualificato “d’urgenza” e risolvere in questo modo problemi di conciliazione senza rinunciare all’aspetto didattico e pedagogico dell’accudimento del bambino;

• servizi di sostegno e di assistenza ai bambini ed agli adolescenti nel loro percorso scolastico e di vita; fra le altre iniziative, l’Istituto prevede un servizio di counseling telefonico, una helpline dedicata esclusivamente agli adolescenti, una campagna, denominata “A Good Start for Going to School” per l’inserimento dei bambini nel primo anno di scuola elementare e per la corretta informazione ai genitori circa diritti e prospettive educative dei loro figli.

Livello di adattabilità e trasferibilità del modello di conciliazione finlandese

Rimane da valutare il livello di trasferibilità e la possibilità di modellizzazione delle buone pratiche viste durante il periodo di studio in Finlandia; il compito è reso più difficile dalla considerazione che tali buone prassi ci sono state presentate ed illustrate con precisione e professionalità, ma è mancata la possibilità di vederle in atto, di conseguenza non abbiamo potuto valutare la reale efficacia operativa dei progetti e la loro riuscita nel favorire politiche di conciliazione atte a migliorare il benessere lavorativo e familiare dei lavoratori e delle lavoratrici.

Fatta tale doverosa premessa, occorre evidenziare le principali differenze fra il contesto socio-politico della Finlandia e quello dell’Italia, differenze che potrebbero impedire una perfetta trasferibilità dei modelli di conciliazione e necessitare al tempo stesso un adattamento alle differenti condizioni del paese dove tali interventi vengono attuati.

In Finlandia, come analizzato in precedenza, il 90% delle donne sono occupate, hanno un lavoro a tempo pieno e prevedono una realizzazione professionale correlata al loro percorso di studi e che implichi un avanzamento di carriera basato sul merito e privo di discriminazioni.

Inoltre, il paese ha una popolazione molto inferiore rispetto all’Italia e una delle priorità a livello nazionale rimane l’aumento della natalità; l’elemento interessante da sottolineare non riguarda tanto questo aspetto (anche in Italia, del resto, avendo una natalità molto bassa l’aspetto dell’aumento del numero delle nascite è una questione da affrontare a livello di politiche sociali), quanto la correlazione fra aumento della natalità e tasso di occupazione. Si tratta di una grande differenza di tipo culturale rispetto all’Italia; il sistema di sicurezza sociale finlandese permette alle coppie di aumentare il numero dei figli senza che la lavoratrice madre, in particolare, sia costretta a scegliere fra la maternità e il lavoro, anzi la donna riesce generalmente a fare carriera conciliandola con successo con due o più figli. Tale conciliazione è possibile grazie ad una capillare rete di sostegno e di cura per i bambini in età prescolare; lo Stato si prende carico dell’assistenza qualificata all’infanzia permettendo ai genitori il rientro sul posto di lavoro in tempi brevi. L’accento è posto sulla necessità di predisporre un sistema statale di sostegno alle famiglie che lavorano, senza mettere in discussione le capacità e le competenze che le lavoratrici acquisiscono con

3.1.5 Livelllo di adattabilità e trasferibilità del modello di conciliazione finlandese

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Progetto: La Conciliazione possibile | Rapporto Finale

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la maternità e che possono essere spendibili anche sul luogo di lavoro. Si tratta di un cambiamento di tipo culturale che destruttura i principali stereotipi legati ai ruoli di genere all’interno di una società; in Italia tali stereotipi sono tuttora presenti, specialmente nel percorso educativo-formativo, quindi un intervento di conciliazione in ambito lavorativo presupporrebbe un’azione di formazione precedente, che produca un cambiamento di medio- lungo periodo nella società. Se questo aspetto non viene preso in considerazione, il rischio è che tali interventi di buone pratiche restino “a macchia di leopardo” e non acquisiscano un aspetto sistemico, essenziale per la loro efficacia nel tempo e per una effettiva trasformazione dell’organizzazione del lavoro.

Accanto a tali aspetti, occorre evidenziare come tra i lavoratori e le lavoratrici finlandesi la conoscenza dei diritti e delle diverse opportunità offerte dalle politiche di conciliazione e dalle leggi sui congedi sia capillare; soprattutto, le informazioni sono facili da reperire e concordanti, sono chiare e accessibili le strutture che forniscono tali informazioni, sia i lavoratori che i datori di lavoro sanno a chi rivolgersi per essere indirizzati verso la migliore soluzione conciliativa o verso il miglior canale di accesso a fondi per politiche di sostegno alla maternità o per la sostituzione della lavoratrice in congedo. In Italia, talvolta, permane uno scollamento ed una mancanza di coordinamento fra gli organismi preposti ad informare su tali aspetti del rapporto di lavoro ed i fruitori del servizio, le aziende ed i lavoratori; di fronte ad un moltiplicarsi di strutture che forniscono informazioni a vario titolo manca una politica di trasparenza e di coordinamento a livello nazionale, che impedisce talvolta sia la conoscenza dei propri diritti, con la conseguente difficoltà nel mettere in atto efficaci politiche di conciliazione, sia la possibilità di usufruire degli strumenti finanziari e formativi per cambiare l’organizzazione del lavoro dall’interno in un’ottica di maggiore parità di genere e di aumento del benessere lavorativo. Per poter progettare una reale trasferibilità del modello finlandese sul territorio nazionale, occorre anche essere consapevoli del fatto che il modello sociale finlandese non è ancora stato pienamente investito dalla crisi economica mondiale, la cui onda d’urto raggiungerà i paesi del nord Europa probabilmente nei prossimi anni; non è possibile ancora prevedere se il sistema di previdenza sociale del paese reggerà o se avrà bisogno di politiche di aggiustamento finanziario che potrebbero incidere sui costi delle politiche di conciliazione e di assistenza sociale.

Una corretta ed efficace trasferibilità del modello finlandese in Italia, considerate anche le differenze di popolazione e di tasso di occupazione femminile descritte sopra, dovrebbe porsi i seguenti obiettivi:

• mettere il diritto soggettivo del bambino all’assistenza ed alla cura in età prescolare al primo posto; in questa ottica, lo Stato matura un dovere nei confronti del bambino e si deve prendere carico delle sue esigenze pedagogiche in accordo con la famiglia, che in tal modo non si vede costretta a rimediare alle assenze del servizio di assistenza statale con l’ausilio dei nonni o lasciando il posto di lavoro per tempi lunghi o, talvolta, per sempre;

• sviluppare e diffondere una maggiore conoscenza dei diritti di lavoratori e lavoratrici nel poter conciliare la vita lavorativa e la vita personale; l’aspetto di una informazione capillare e precisa è necessario per determinare un reale cambiamento culturale nel paese. In Italia abbiamo leggi analoghe a quelle presenti in Finlandia circa congedi, flessibilità oraria, contrasto alle discriminazioni, quindi non va incrementata o modificata la normativa vigente, piuttosto deve essere messo in atto un ribaltamento dei ruoli stereotipati tuttora presenti nel nostro paese che porti ad una maggiore condivisione dei compiti domestici e ad una presenza maggiore delle donne nei posti di lavoro;

• favorire l’empowerment femminile, attraverso una presenza sempre maggiore di donne ai livelli apicali della vita politica ed aziendale; la presenza delle donne in ambito lavorativo e rappresentativo deve essere considerata una risorsa da valorizzare e non un problema da risolvere, perché la differenza di approccio e di organizzazione del lavoro di cui sono portatrici possono favorire un ambiente di lavoro più efficiente e produttivo. Inoltre, la realtà finlandese ci ha dimostrato come anche in un paese molto avanzato dal punto di vita della parità fra uomini e donne permangano tuttora problematiche significative come la segregazione orizzontale e verticale delle donne nel lavoro e la presenza di un differenziale salariale di genere difficile da eliminare; per la corretta applicazione di politiche di conciliazione, questi aspetti devono essere affrontati e risolti per poter operare in un sistema non discriminatorio e paritario per tutti e tutte;

• infine, l’obiettivo di medio-lungo periodo dovrebbe essere quello di creare un sistema capillare di politiche sociali che indirizzi le strategie e gli interventi non “a macchia di leopardo”, con la presenza di realtà virtuose a fianco di situazioni nelle quali gli strumenti di conciliazione sono a malapena conosciuti e raramente applicati, bensì in maniera sistematica e coordinata, con l’obiettivo principale di garantire un miglioramento del benessere lavorativo e la possibilità di conciliare con successo vita lavorativa e vita personale contribuendo in tal modo alla crescita economica e sociale del paese nel suo insieme.

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Programma delle attività

3.2 Visita di studio a Rotterdam (Olanda)

Lunedì 12 dicembre

Ore 8.30 Partenza pullman per Den Haag (l’Aia)Ore 10.00 Incontro con dr.ssa Catherina Bij de Vaart, direttrice di E-Quality,centro di ricerca e

informazione olandese in ambito gender, famiglia e diversità, sull’implementazione in pratica della politica ministeriale e di quella della UE, sui dati e fatti quantitativi, sulle best practices.

Ore 13.30 Incontro con Dr. Charles de Vries, direzione emancipazione ambito internazionale del Ministero di Educazione, Cultura e Scienze Diritti femminili, emancipazione, partecipazione donne al mondo del lavoro, strategia politica, obiettivi, best practices Olanda, problematiche attuali, soluzioni

Ore 16.00 Transfer in pullman ad albergo Eden Savoy di Rotterdam

Martedì 13 dicembre

Ore 9.00 Partenza pullman (Rotterdam)Ore 10.00 incontro con Ms. Noella de Jager, direttrice Good Place 2 WorkOre 13.00 Pranzo offerto da SWKGroepOre 14.00 Incontro con Sig.aMarja Hopmanssig.a Mirjam van Leeuwen di SWKGroep Organizzazione

nazionale di servizi all’infanzia, asili e accoglienza dopo-scuolaOre 15.00 Visita guidata a due tipologie di asili nidi associati a SWKGroep

Mercoledì 14 dicembre

Ore 8.30 Partenza pullman per AmsterdamOre 11.00 Incontro con dr.ssa Vreneli Stadelmaier, direttrice di She Consult , società di servizi epresso

sala di ristorante Amuse-LunchtimeOre 12.30 PranzoOre 13.30 Incontro con dr.ssa Marike Vroom, caporedattrice Rivista specializzata ‘ Management

Kinderopvang’ (Rivista rivolta al management di centri per l’infanzia e di asili e nidi d’infanzia)Ore 14.45 Transfer in pullmanOre 15.30 Incontro con ms. Jolanda Holwerda e Willeke de Groot, editrice e caporedattrice di LOF

Magazine, LA rivista olandese specializzata in Work-Life Balance. Iniziatrici dell’iniziativa nazionale ‘Maatwerken’, voluto dal Ministero (lavoro su misura, con orari e luogo di lavoro flessibili) Joke Holwerda ha vinto nel 2010 il Premio Nazionale per la Conciliazione

A marzo 2012 faranno per la prima volta uno special internazionale!!Ore 17.00 Transfer in pullman ad albergo Eden Savoy di Rotterdam

Giovedì 15 dicembre

Ore 8.30 Partenza pullman per Amsterdam Ore 10.30 Incontro con alcune donne lavoratrici dell’azienda ENIOre 11.30 Visita all’asilo nido De Droomplaats (il posto dei sogni) all’interno del World Trade Center di

Rotterdam. L’asilo fa parte di una catena di 6 asili collocati in diverse zone su Rotterdam. Incontro con la signora Klein, direttrice dell’asilo.

Ore 17.00 Briefing Delegazione per condividere risultati ed esperienze

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Progetto: La Conciliazione possibile | Rapporto Finale

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L’ingresso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro sono collegati strettamente, nell’esperienza olandese, all’utilizzo del lavoro part-time; resta da analizzare se tale soluzione alle esigenze di conciliazione delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri rimanga un modello sostenibile nel mercato del lavoro odierno e se abbia costituito un trampolino di lancio per le donne o piuttosto non si sia rivelato un boomerang per le loro ambizioni lavorative. Considerando l’importanza che il modello del lavoro part-time assume nel contesto olandese, appare necessario un breve excursus storico sulle ragioni dell’introduzione di tale strumento in Olanda e sulla legislazione che lo regola.

Il part-time è stato introdotto in Olanda dopo la II° Guerra mondiale; il primo dato da rilevare è che tale strumento non nacque come misura del governo ma piuttosto scaturì da logiche di mercato, per ovviare alla mancanza di manodopera dovuta alla guerra.

Industrie come Philips o Verkaade, fra le altre, favorirono l’assunzione di lavoratrici nei loro reparti di produzione, pur se con alcune restrizioni come per esempio il divieto di avere asili nido aziendali, la separazione di donne sposate e non sposate in reparti differenti, la necessità del consenso del marito all’assunzione, e così via.

Il modello prese comunque sempre più piede, a partire dagli anni ’60 anche per le lavoratrici del pubblico impiego; nel 1960 le lavoratrici part-time erano in Olanda il 9%, nel 1971 raggiungevano già il 22%.

Fino all’inizio degli anni ’80 il modello del part-time crebbe in maniera indipendente, ma a partire dagli anni ’80 si registrò un’enorme crescita dovuta al supporto del governo e delle parti sociali.

Proprio grazie ad un fattivo accordo fra sindacati e datori di lavoro le condizioni di lavoro dei/delle lavoratori/trici part-time migliorarono notevolmente, ed i loro diritti furono equiparati a quelli di cui godevano i lavoratori a tempo pieno; per i datori di lavoro il part-time rimaneva all’epoca comunque lo strumento preferito perché meno costoso. Fra il 1990 e il 2004 vennero emanate le principali leggi a tutela della posizione legale dei/delle lavoratori/trici part-time. Per esempio, il Wet Aanpassing Arbeitsduur del 2000 stabilì il diritto del lavoratore e della lavoratrice di aumentare o diminuire le proprie ore di lavoro in maniera autonoma.

È solo a partire dal 2005 che il modello del part-time inizia a essere rimesso in discussione dal governo olandese, che vede in tale strumento un problema economico e un peso eccessivo per lo stato sociale e spinge perché lavoratori e soprattutto lavoratrici olandesi optino per un impiego a tempo pieno.

Accanto all’utilizzo del part-time, altro strumento di conciliazione essenziale per l’ingresso e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro è il diritto ai congedi di maternità e ai congedi parentali. L’Olanda prevede il diritto per la madre lavoratrice di usufruire di un congedo di maternità fino a 16 settimane a stipendio pieno. La legge olandese prevede due giorni di congedo di paternità per il padre alla nascita del bambino, sempre a stipendio pieno; anche se il dibattito in Olanda si concentra sulla considerazione che due giorni siano troppo pochi, tale congedo risulta un diritto acquisito, comunque non presente in molte delle normative degli altri paesi comunitari. A questo diritto si aggiunge la possibilità di accedere ai congedi parentali; entrambi i genitori possono usufruire di un massimo di 26 settimane di congedo parentale fino agli 8 anni di età del bambino.

I congedi parentali, al contrario dei congedi di maternità, possono essere o meno retribuiti secondo quanto stabiliscono i contratti collettivi di categoria. Il pagamento di tali congedi non è però previsto in tutti i settori. Tale situazione è il motivo per cui molti genitori preferiscono prendere il congedo per malattia (10 giorni in un anno per malattia del figlio, retribuiti) piuttosto che usufruire del congedo parentale, non retribuito.

Nonostante tali evidenti problematiche, è interessante rilevare come ben il 52% degli uomini olandesi usufruiscano del congedo parentale, una percentuale alta rispetto alla media europea che si attesta intorno al 33%.

Inoltre, a tali congedi si aggiungono anche i congedi speciali, per calamità o lutto di un congiunto, che, al pari dei congedi parentali, possono essere o meno retribuiti a secondo di quanto stabiliscono i contratti di categoria.

Infine, è importante rilevare come l’accesso a tutti i congedi sia garantito anche ai lavoratori ed alle lavoratrici autonomi/e.

Nel 2009, il tasso occupazione dei lavoratori padri con figli sotto i 6 anni era del 95%, mentre quello delle lavoratrici madri si attestava intorno al 77,9%; tale dato dimostra in modo evidente come non ci sia una fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro retribuito alla nascita dei figli, ma tale trend positivo deve essere incrociato con la considerazione che l’Olanda è terzultima (prima solo di Italia e Malta) nel numero di ore lavorative delle donne in una settimana. (circa 25 h a settimana).

3.2.1 Il modello olandese di conciliazione

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3.2.2 Politiche attive di sostegno della famiglia

Quindi, le donne restano nel mercato del lavoro alla nascita dei figli ma riducendo le ore lavorative a settimana, quindi utilizzando quasi esclusivamente lo strumento del part-time.

È possibile a questo punto rilevare come in Olanda non sia difficile per le donne entrare nel mondo del lavoro, mentre, anche in considerazione della loro opzione per il part-time, permane difficile l’avanzamento di carriera; poche sono le donne che arrivano alle posizioni dirigenziali, anche se in questi ultimi anni si registra un aumento, seppur lieve, di donne nei consigli di amministrazione e nelle cattedre universitarie (nel 2009, si registrava un 9% di donne manager e un 12% di donne in ruoli accademici), così come la percentuale di donne nella politica nazionale rimane invariata da anni al 41%. A ciò va aggiunto l’impegno che le donne olandesi dedicano alla cura della casa, all’educazione dei figli ed all’assistenza agli anziani; tale presa in carico, che in Olanda viene descritta con un termine traducibile come “cura del cappotto”, indicando in tal modo il ruolo di assistenza e cura delle donne nell’avvolgere e proteggere, come un cappotto appunto, i loro cari, riduce il tempo di lavoro retribuito delle donne, e non permette loro di conciliare vita lavorativa e vita personale in maniera soddisfacente. Anche in considerazione di tali aspetti, il governo olandese ha approntato delle politiche per favorire la conciliazione e permettere una migliore condivisione degli compiti domestici.

Le più significative riguardano:

• servizi per l’infanzia più accessibili e flessibili. Il “Childcare Act” del 2005 rende tali servizi più accessibili alle famiglie con basso reddito e impegna i datori di lavoro a prendersi carico di 1/3 delle spese di cura (la restante somma va divisa in 1/3 alla famiglia e 1/3 allo Stato);

• un aumento delle settimane di congedo parentale da 13 a 26 a partire dal gennaio 2009;

• l’introduzione, sempre nel 2009, di una disposizione di tipo creditizio indirizzata al partner che guadagna meno, in genere una donna che lavora part-time, al fine di incoraggiarla ad aumentare il suo numero di ore di lavoro;

• Inoltre, piani operativi e di prevenzione sono stati presentati dal governo olandese per aiutare le coppie ad aumentare le loro capacità genitoriali e a ridurre l’impatto negativo dei divorzi. Per esempio, nel 2009 è stato presentato un atto che obbliga i genitori che stanno divorziando a redigere un “piano genitoriale”, con accordi specifici circa la cura, lo sviluppo e l’educazione dei loro figli.

In questi ultimi anni, si è sviluppata una sempre maggiore richiesta di lavoro flessibile (incluso il telelavoro) e di lavoro “su misura”, nel quale il lavoratore o la lavoratrice organizzano in maniera autonoma le ore di lavoro settimanali; l’importanza di tale richiesta risiede nel fatto che essa proviene dal mercato, che la ritiene una modalità di organizzazione del lavoro altamente efficiente e competitiva, e non dalla politica, riproducendo lo stesso schema che ha portato all’enorme utilizzo del part-time in Olanda, sviluppatosi anch’esso, come detto sopra, non da normative statali ma da esigenze del mercato.

Di conseguenza, molti dei progetti di conciliazione e delle buone pratiche di successo nel paese sono rivolti a donne con alta formazione che possono organizzare liberamente il loro tempo di lavoro e desiderano una maggiore conciliazione con la loro vita personale.

Le donne olandesi dedicano più tempo alla cura della casa e dei bambini piuttosto che al lavoro retribuito, diversamente dagli uomini. Di conseguenza, passano meno tempo rispetto agli uomini in formazione, lavoro retribuito, accesso a servizi per l’infanzia.

Le donne con un basso livello di istruzione abbandonano il lavoro in una percentuale più alta (27%) rispetto a quelle con istruzione media o alta (rispettivamente 12% e 6%). Solo il 9% delle donne smettono di lavorare alla nascita del primo figlio.

Un’alta percentuale di donne riduce le proprie ore lavorative alla nascita del figlio (40%), ma è da rilevare come il numero di donne che mantengono le ore lavorative invariate anche alla nascita di un figlio sia aumentato dal 43% nel 2007 al 50% nel 2009.

Più del 50% di donne con figli piccoli lavora meno di 25 ore a settimana, mentre l’80% di donne con alta formazione lavora più di 24 ore a settimana ed ha sviluppato un forte orientamento al lavoro retribuito, la preferenza per l’indipendenza economica e per una equa distribuzione dei compiti domestici fra uomini e donne. Ciò è dovuto ad un aumento dei servizi per l’infanzia, a partire da una legge del 2005 che stabilisce l’erogazione di sussidi per il pagamento degli asili nido pubblici e privati.

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Di conseguenza, l’utilizzo di servizi per l’infanzia è aumentato in maniera evidente dal 2006 al 2008; le donne con alta educazione usufruiscono maggiormente del servizio, mentre le donne con formazione più bassa rimangono ancorate ai servizi informali di cura dell’infanzia, tramite la disponibilità della famiglia d’origine o di amici e vicini a prendersi cura del bambino durante le ore di lavoro della madre.

Sono principalmente le madri lavoratrici ad usufruire dei congedi parentali, in percentuale maggiore dei padri lavoratori; allo stesso tempo, la grande maggioranza della popolazione olandese ritiene che le donne siano più adatte ad occuparsi di bambini piccoli rispetto agli uomini.

Questi pregiudizi sociali hanno conseguenze rilevanti sulle politiche attive del lavoro e sul livello di occupazione femminile. Infatti, una significativa percentuale della popolazione olandese ritiene che donne con figli piccoli non dovrebbero lavorare per più di tre giorni a settimana; le donne che lavorano a tempo pieno e lasciano il figlio all’asilo nido per cinque giorni lavorativi sono considerate delle “cattive madri”. Di conseguenza, molte lavoratrici olandesi riducono il loro orario di lavoro all’arrivo dei figli fino a tre o massimo a quattro giorni a settimana, mentre il padre continua a lavorare a tempo pieno o anche lui lavora quattro giorni a settimana, sfasando il giorno di riposo con la madre così da mandare il figlio all’asilo nido per tre giorni a settimana e tenerlo a casa per gli altri due, un giorno con la madre e un giorno con il padre. Il sistema più usato è 1/50; un genitore lavora a tempo pieno (generalmente il padre), l’altro a tempo parziale. La maggior parte dei padri e circa la metà delle madri ritengono che i bambini sotto i due anni siano meglio accuditi dai propri genitori piuttosto che in strutture di asilo nido; questo perché i servizi per l’infanzia sono concepiti in Olanda come un mezzo per permettere alle donne di rimanere nel mondo del lavoro, ma non presentano al contempo nessun intento di tipo educativo-pedagogico nei confronti dei bambini, riducendosi a volte a veri e propri baby-parking. Nonostante ciò, la resistenza ad utilizzare servizi per l’infanzia pubblici e privati si sta progressivamente riducendo in questi ultimi anni, grazie anche alla legge del 2005 (che adesso il governo olandese sta rimettendo in discussione). La struttura degli asili nido prevede, accanto ad asili pubblici, che però garantiscono un servizio di sole 3 ore al giorno, la forte presenza di asili a gestione privata; manca la presenza di asili nido aziendali. Il servizio per l’infanzia non è un diritto soggettivo del bambino, quanto piuttosto una necessità sorta nel momento in cui le donne sono entrate nel mondo del lavoro. Il principale problema connesso alla conciliazione di genitori che lavorano riguarda gli orari scolastici: la scuola inizia alle 9 e finisce alle 12, per poi riprendere alle 13 fino alle 16. La questione concerne la mancata previsione di una mensa scolastica; sono i genitori che si devono occupare di gestire questa fase della giornata del figlio, a volte tramite buone pratiche messe in atto dalla scuola ma certamente non con una soluzione generale, pensata dal governo a livello nazionale. Mancano anche i bus scolastici, quindi i genitori si devono organizzare privatamente per il trasporto.

Questi aspetti rilevano in maniera evidente come la società olandese si sia trasformata in una società lavorativa senza aver previsto un conseguente cambiamento del sistema sociale. L’educazione dei bambini e la gestione di parte del loro percorso scolastico rimane responsabilità dei genitori, che devono trovare delle soluzioni personali per ovviare alle mancanze dello Stato, che, diversamente dalla Scandinavia, non prevede soluzioni politiche al problema. I costi della retta degli asili nido (0-4 anni) sono di circa 6,36 w l’ora, ma con l’obbligo di comprare 10 ore al giorno, quindi di pagare 60 w anche se non si usufruisce di tutto il servizio. Il pagamento varia sulla base del reddito; genitori con reddito molto basso possono vedersi rimborsato fino al 90% della retta dallo Stato. Requisito essenziale per accedere al servizio è che lavorino entrambi i genitori. La rimessa in discussione della legge del 2005 che garantisce sussidi statali per i genitori che usufruiscono dei servizi dell’infanzia potrebbe avere conseguenze negative sull’occupazione femminile; molte lavoratrici part-time non guadagnerebbero a sufficienza per pagare le rette degli asili nido, e probabilmente uscirebbero dal mercato del lavoro per accudire i figli piccoli con prevedibili difficoltà a rientrarvi in una fase successiva.

Rimane da rilevare come la grande maggioranza della popolazione sia in favore di una equa distribuzione di compiti domestici e di un equilibrio fra lavoro pagato e non pagato fra uomini e donne. Tre quarti delle donne amerebbe tornare al lavoro o aumentare il numero di ore lavorative a settimana, dietro determinate condizioni.

La principale di tali condizioni riguarda la flessibilità dell’orario di lavoro e la possibilità di lavorare anche da casa o di prendere dei permessi quando il figlio ha una malattia. Altro punto importante riguarda la condivisione dei compiti domestici con il partner, considerato requisito essenziale per un impegno maggiore delle donne in ambito lavorativo.

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Le politiche di conciliazione e di ingresso attivo delle donne nel mondo del lavoro, ottenute attraverso lo strumento del contratto part-time, hanno avuto come primo risultato estremamente positivo un alto livello di occupazione femminile, inferiore solo, in Europa, a quello di Svezia e Danimarca.

Per rimarcarne l’importanza, tale dato va incrociato con un tasso di natalità di 1,8 figli per famiglia, che, oltre ad essere alto per gli standard europei, risulta anche in costante aumento. Particolarmente significativa è la considerazione che, in seguito al sempre maggiore l’utilizzo del part-time, specialmente con il suo fiorire negli anni ’80, decresce il numero di donne che abbandonano il lavoro dopo la nascita dei figli. La modalità di impiego a tempo parziale permette loro di conciliare vita lavorativa e vita familiare, prevenendo la loro momentanea fuoriuscita dal mondo del lavoro che spesso rende difficoltoso un reinserimento lavorativo successivo. Basilare risulta anche il coinvolgimento dei padri nella predisposizione e realizzazione di politiche efficaci di conciliazione; il fatto che il 52% dei lavoratori padri olandesi usufruiscano dei congedi parentali, che spesso non sono neppure retribuiti, dimostra come si stia sviluppando una maggiore sensibilità verso la centralità del ruolo genitoriale, e non solo materno, nello sviluppo e nell’educazione dei figli, a partire dalla più tenera età. Tale è l’importanza della responsabilità genitoriale che il governo olandese, come ricordato in precedenza, nel 2009 ha emanato un atto che obbliga i genitori in fase di divorzio a redigere un “parenting plan”, un piano genitoriale con accordi specifici circa la cura, l’educazione e lo sviluppo dei loro figli.

Il rapporto UNICEF del 2007 sul benessere dell’infanzia ha evidenziato come i bambini olandesi siano ai primi posti riguardo a benessere, salute, sicurezza, educazione, relazioni familiari, comportamento e protezione dai rischi, oltre ad avere una percezione positiva del loro benessere, tanto da risultare i più felici nel mondo.

Evidentemente, il modello di conciliazione concepito dalle politiche del lavoro olandesi risulta vincente sotto questo aspetto; appare anche estremamente positivo da un punto di vista economico, perché mantiene alta la competitività del paese, che risulta il più produttivo in Europa, concependo modalità di organizzazione del lavoro flessibili e capaci di fronteggiare le esigenze dei lavoratori o delle lavoratrici.

Infatti, un punto di forza del sistema olandese, che ne garantisce il buon funzionamento, risiede nel fatto che le politiche di pari opportunità e di conciliazione sono sempre state dettate dalle esigenze economiche del mercato, e non sono state imposte dall’alto tramite una legislazione nazionale; ciò le ha rese sicuramente più efficaci e soprattutto maggiormente accettate dalla popolazione, che le percepisce in un’ottica non di tutela della parte debole del paese ma piuttosto come un volano di sviluppo delle competenze e di progresso economico. Proprio tale ottica è alla base delle più recenti prospettive di superamento del modello del part-time e di sviluppo di politiche per una nuova e flessibile modalità di organizzazione del tempo di vita e di lavoro; la predisposizione del cosiddetto lavoro “su misura”, adattato in maniera perfetta alle esigenze specifiche di ogni lavoratore, rappresenta un’evoluzione della flessibilità data dal lavoro part-time e concepisce un nuovo modello di organizzazione del lavoro che unisce esigenze di conciliazione e alta competitività del sistema economico, dimostrando già dalle buone pratiche messe in atto fino ad ora il suo alto livello di successo e le sue potenzialità future. L’utilizzo del part-time come principale politica di conciliazione risulta però essere una questione complessa e presenta sfaccettature e punti di debolezza che il sistema sociale non riesce a gestire in maniera efficace.

Innanzitutto, spesso le donne che lavorano part-time non riescono a raggiungere una vera indipendenza economica; se colleghiamo questo dato alla maggiore facilità di tali lavoratrici di perdere il posto di lavoro in situazione di crisi economica, vediamo come la situazione finanziaria delle donne che lavorano part-time può diventare molto critica, specie in conseguenza di un divorzio, altro punto estremamente critico del sistema, considerando che i divorzi sono in costante aumento nel paese, e portare ad un progressivo e costante impoverimento dei bambini olandesi. A ciò si deve aggiungere il fatto che in Olanda i lavoratori del settore pubblico e quelli del settore privato maturano diversi diritti pensionistici e soprattutto che gli uomini, che lavorano maggiormente a tempo pieno, maturano pensioni più alte della media delle donne, che lavorano part-time, come evidenziato dai dati statistici che mostrano come gli uomini intorno ai 40-45 anni abbiamo maturato livelli pensionistici di due volte superiori a quelli delle donne della medesima fascia di età.

La società olandese, per quanto molto avanzata e progredita, presenta ancora dei retaggi culturali e dei pregiudizi riguardo il ruolo della donna nella società; alla donna è demandato l’accudimento dei figli, che deve essere prioritario rispetto alle ambizioni professionali, ed anche tutta la rete informale di cura e di assistenza a bambini ed anziani è presa in carico quasi completamente dalle donne, mentre gli uomini si impegnano maggiormente nel lavoro retribuito. La debolezza del sistema di conciliazione basato sul part-time risiede anche nello spreco delle competenze femminili e nella scarsità di manodopera di alto livello a tempo pieno, problematica particolarmente evidente nelle professioni che richiedono un’alta specializzazione e una formazione superiore.

3.2.3 Punti di forza e di debolezza del sistema di conciliazione olandese

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Nella seconda parte del viaggio di studio sono state visitate realtà operative che hanno messo in pratica le possibilità offerte dal sistema di conciliazione olandese, sia per evidenziarne l’efficacia che per verificarne la possibile trasferibilità nella realtà italiana.

Ovviamente, si tratta di un panorama non esaustivo di tutte le buone pratiche realizzate nel paese, che, in mancanza di politiche di conciliazione condivise, presenta un mosaico di esperienze differenti e tutte egualmente significative, tuttavia ci permette di iniziare una prima analisi comparativa e di comprendere le importanti ripercussioni di tali esperimenti sulla vita lavorativa e personale degli olandesi e delle olandesi.

L’esperienza messa in atto da “Good Place 2 Work” si basa essenzialmente sulla promozione di un nuovo modo di lavorare, sul concepire un lavoro flessibile che stimoli l’imprenditoria femminile e l’aiuti nella realizzazione di progetti condivisi. L’impresa supera il concetto di lavoro part-time e si concentra sull’evoluzione di tale modello, cioè sull’organizzazione del proprio tempo di lavoro in maniera flessibile ed individuale. “Good Place 2 Work” consiste in uno spazio di lavoro “su misura”, dove le imprenditrici possono affittare un ufficio in maniera flessibile e solo per il tempo di cui ne hanno effettivamente bisogno. Lo spazio è dedicato a quelle donne che hanno la possibilità di organizzare il proprio tempo di lavoro in maniera autonoma, ed ospita sia imprese che libere professioniste, come psicologhe, avvocate, scrittrici, illustratrici, artiste, e così via. Le utenti sono in genere donne di circa 40 anni con figli, che hanno una formazione di alto livello e che vogliono intraprendere una nuova attività imprenditoriale oppure svolgono un lavoro autonomo. Gli uffici della “Good Place 2 Work” sono aperti dalle 9h00 alle 18h00 dal lunedì al venerdì; gli spazi possono essere affittati per 2-3 giorni a settimana, solo per un giorno, o anche per poche ore, secondo le esigenze della persona, e sono dotati di tutte le facilitazioni (pc, wireless, ecc..) utili per il lavoro. Il costo orario dell’affitto è di 2,50 w. Durante i fine settimana possono essere organizzati dei seminari di formazione, dei meeting o dei pranzi di lavoro. Il valore aggiunto di un’esperienza del genere riguarda la possibilità di condividere le conoscenze, di creare una rete di contatti in grado di aiutare altre donne a creare attività imprenditoriali e di presentare dei modelli di successo per stimolare altre donne a cambiare la loro vita lavorativa ed a sviluppare le loro potenzialità.L’importanza di avere uno spazio condiviso dove svolgere il proprio lavoro fuori dalle mura domestiche è basilare anche per le lavoratrici flessibili che possono “telelavorare” da casa; il tempo di lavoro retribuito che si svolge da casa spesso genera una moltiplicazione di compiti ed una sovrapposizione fra sfera lavorativa e sfera di gestione della casa e di cura dei figli che non permette una vera concentrazione e non stimola la capacità imprenditoriale.

Altra esperienza altamente significativa riguarda la rivista “LOF”, nata circa 4 anni fa per occuparsi esplicitamente di donne che lavorano. Fra gli obiettivi della rivista c’è il superamento dei pregiudizi di genere nella società e nei media, anche attraverso articoli e immagini che rappresentino la donna che lavora in maniera meno stereotipata, al fine di produrre un vero e proprio cambiamento culturale in una società come quella olandese che, apparentemente molto emancipata, mantiene al suo interno sacche di maschilismo e conservatorismo molto difficili da superare. Una buona pratica messa in atto dalla rivista “LOF” è rappresentata dalla pubblicazione di una lista annuale di aziende “gender friendly”, dove le problematiche dei genitori lavoratori vengono tenute in dovuta considerazione dai datori di lavoro. La lista, che evidenzia le 70 aziende “più virtuose” in tutto il paese, viene redatta sulla base di parametri quali la flessibilità oraria, la possibilità di usufruire o meno di congedi retribuiti, la presenza di servizi per l’infanzia, la predisposizione di politiche di conciliazione in azienda. La rivista elegge anche delle donne particolarmente influenti e significative come modelli di ispirazione per le altre donne al fine di incoraggiarle a sviluppare le proprie potenzialità ed a portare il proprio talento al top. Una volta all’anno la rivista “LOF” (che in olandese significa “lode, gloria”) pubblica un numero dedicato agli uomini, ed in quell’occasione il titolo diventa “LEF” (“coraggio” in olandese).

Infine, abbiamo incontrato la fondatrice di “SheConsult”, società di orientamento e formazione dedicata esclusivamente a donne con alta professionalità che vogliono migliorare la loro condizione lavorativa.

Gli obiettivi di “SheConsult” riguardano la formazione di donne alle politiche di conciliazione e la consulenza rivolta ad aziende ed a datori di lavoro al fine di migliorare la condizione lavorativa delle lavoratrici dipendenti e permettere un equo avanzamento di carriera. La società offre un supporto concreto alle donne nella conoscenza dei loro diritti di lavoratrici, e dispone anche di una banca dati on-line per donne che sono in cerca di un lavoro.

3.2.4 Buone pratiche di conciliazione

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La possibilità di riprodurre il modello di conciliazione olandese in Italia è resa difficoltosa dalle diverse concezioni di stato sociale nei due paesi, che li rendono difficilmente comparabili; lo stato sociale in Olanda risulta molto meno presente rispetto all’Italia, e la preferenza per soluzioni individuali alle esigenze di conciliazione di lavoratori e lavoratrici, insieme con l’assenza di politiche statali concertate e condivise, rende la trasferibilità del modello in Italia abbastanza scarsa. A tali considerazioni si deve aggiungere il diverso livello di competitività e di produttività dei due paesi, che li mette in condizione di affrontare la crescente crisi economica con risorse e potenzialità non paragonabili. Inoltre, lo strumento del part-time, misura preferita nelle politiche di conciliazione olandesi, rappresenta una scelta a tratti controversa, sia per quanto riguarda l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro che per il loro avanzamento di carriera; tale modello non regge alle crisi del mercato e crea al tempo stesso un progressivo impoverimento delle donne e, in prospettiva, un abbassamento delle pensioni delle lavoratrici rispetto a quelle dei lavoratori a tempo pieno.

Una buona prassi adattabile in Italia con successo concerne quanto messo in pratica da “Good Place 2 Work”; un luogo di lavoro che permette di sviluppare un organizzazione del proprio tempo “su misura” rappresenta una ottima soluzione conciliativa da importare, con l’avvertenza che si rivolge a lavoratrici che possono, per il tipo di lavoro che svolgono, organizzare in maniera autonoma il loro tempo di vita e di lavoro. Tale buona pratica è altamente significativa perché permette alle donne di lavorare in maniera flessibile ma al tempo stesso non le relega fra le mura domestiche, dove sono distratte da mille altre incombenze, inserendole piuttosto in una rete di collaborazioni e conoscenze utili anche per la realizzazione delle loro aspirazioni professionali.

Altra esperienza riproducibile con successo in Italia, e che potrebbe avere un forte impatto simbolico, riguarda la redazione e pubblicazione di una lista di aziende virtuose, impegnate in politiche di conciliazione e nella flessibilità oraria di lavoratori padri e lavoratrici madri; questa buona pratica, insieme con la pubblicizzazione di modelli vincenti di donne realizzate nel lavoro lontane dagli stereotipi di genere tuttora presenti nella società, potrebbe contribuire a destrutturare i pregiudizi ancora legati all’ingresso delle donne nel mercato del lavoro ed a cambiare in maniera significativa la cultura aziendale e statale rispetto alla valorizzazione delle competenze e della diversità femminile nei luoghi di lavoro. Nonostante la positività e adattabilità di queste ed altre buone pratiche analizzate, rimangono, sia in Olanda che in Italia, alcuni punti nodali che indeboliscono l’operatività e l’efficacia delle politiche di conciliazione, diminuendo, per il momento, il loro impatto positivo sul cambiamento sociale.

Le principali problematiche riguardano:

• la permanenza di una scarsa condivisione dei compiti domestici, che vede le donne maggiormente impegnate nel lavoro informale in casa e nel lavoro di cura, mentre gli uomini rimangono i “breadwinner” con un’occupazione retribuita fuori casa. Tale situazione impedisce la realizzazione di politiche di conciliazione realmente efficaci e che riequilibrino i carichi familiari e lavorativi;

• la segregazione orizzontale e verticale delle donne nel mercato del lavoro, presente in Olanda nonostante l’alto livello di occupazione femminile e permanente pure in Italia, che pone le lavoratrici in una posizione di maggiore debolezza, anche economica, e non permette loro di sviluppare pienamente le loro potenzialità;

• il differenziale retributivo, misura della discriminazione tuttora vigente in ambito lavorativo fra lavoratori e lavoratrici, che ribadisce le difficoltà che incontrano le donne ad inserirsi in un’organizzazione del lavoro concepita in un periodo storico in cui lavoravano solo gli uomini e di conseguenza refrattaria a politiche, come quelle di conciliazione, indirizzate a fronteggiare le problematiche delle lavoratrici madri;

• il perdurare di stereotipi e pregiudizi sui ruoli predeterminati di donne e uomini nella società, che ostacolano il cambiamento e identificano come “cattiva madre” una lavoratrice che lascia il figlio all’asilo nido per più di tre giorni a settimana; tali stereotipi sono molto difficili da modificare, l’aspetto positivo della realtà olandese, molto meno presente in Italia, è che le logiche di mercato guidano e parzialmente accelerano tali processi di mutamento sociale per esigenze di tipo economico;

• infine, la predisposizione di servizi per l’infanzia efficaci ed efficienti, accessibili anche alle famiglie a reddito basso, che rimane lo strumento principale per una reale partecipazione delle donne al mercato del lavoro, svolgendo al tempo stesso una essenziale funzione pedagogica nell’educazione dei bambini; l’assenza, la scarsa accessibilità o il costo eccessivo di tali servizi rappresentano il primo grande ostacolo alla realizzazione di politiche di conciliazione realmente efficaci e capaci di favorire un effettivo equilibrio fra vita lavorativa e vita personale.

3.2.5 Livelllo di adattabilità e trasferibilità del modello di conciliazione olandese

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Programma delle attività

3.3 Visita di studio a Vejle (Danimarca)

Wednesday March 7th – Arrivals17.00 – 18.00 Welcome to Vejle Going through the program for the

visit, by Ib Jespergaard, manager of Centre of Resource Centre for Integration (VIFIN)

Thursday March 8th – Introduction to the Danish Labour Market10.00 Meeting the Mayor of Vejle

Municipality, Arne Sigtenbjerggaard.11.00 – 12.00 Project Eurobalance, an EU- LLP

project on work life balance across Europe by Elizabeth Gregersen, VIFIN

13.30 – 15.30 Group 1: The Danish welfare model and

flexicurity system by Per H. Jensen, Professor of Social Policy, Centre for Comparative Welfare Studies, (Aalborg University)

Group 2: The role of trade unions in employee policies and well-beeing in Denmark by Poul Winther Jørgensen, Union Secretary in 3F union

Friday March 9th – Physical and mental well-being at work9.30 – 12.00 Improving skills and confidence of

employees. “Netværkslokomotivet” (The

Network Locomotive is a network of companies, institutions etc. who promotes continuous learning of adults in companies) by Jonna Bach, Consultant at Netværkslokomotivet

13.00 – 15.00Group 1: Adult service in Vejle Municipality (deals

with adult disabled, mentally ill or those with special needs) -participated in project “Healthy Workplace” (involved learning to plan your work, humour at work, good breaks, having better meetings) by Rolf Dalsgaard Johansen, chief of staff

Group 2: “Spinderihallerne” – an untraditional creative working environment

by Majbritt Chambers, project manager Monday March 12th - HR and environment10.00 – 15.45 Givskud ZOO, The day will have

presentations on the ZOO’s HR, their environment/CSR policy and a tour of the workplace

Tuesday March 13th – Work life balance workshop9.30 – 16.00 Presentation and workshop on WLB

issues by Helle Lund, Director of Centre for

Balance between Work- and Family Life (CBAF)

Wednesday March 14th – Company policies and CSR9.30 – 12,30 Meeting of the 2 groups to report

to each other the experiences done up to now, examination of the study visits carried out and report of the transferable best practices

13.00 – 15.00 IKEA Odense, company CSR, WLB and environment

by Helle Madsen, HR manager Thursday March 15th – WLB in the health sector/ Applying WLB to your own life9.30 – 11.30 Regional Hospital Horsens, HR

policies by Christel Beck, HR consultant13.00 – 15.00 Balancing career, family and personal

life by Jette Hammer, Director AU Career Friday March 16th – Families and work life balance9.30 – 10.30 MED-system, employee influence

in public work places by Helene S. Mørk, MED-

representative in VIFIN. Danish family life – from the

perspective of a working parent By Camilla Reenberg, VIFIN11.30 – 13.00 Nør remarkens Fr i t idscenter

(Childrens day care institution)14.00-15.00 Region of South Denmark, work

life balance project for employees (healthy living, exercise, stress management, etc.)

By Rikke Lykke Ravn, Head of Secretariat and Heidi Illum Vendler, project manager

Sunday March 18th – Day of departure11.00-13.30 Økolariet (Nature, environment,

climate and innovation science centre) Ole Due, Manager, and Karen Margrethe Due, assistant manager VIFIN

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3.3.1 Il modello danese di conciliazione

Le politiche di flexicurity giocano un ruolo chiave nella modernizzazione del mercato del lavoro danese, rappresentando al tempo stesso un esempio adottato dalla stessa politica sociale europea, che raffigura il modello danese come il prototipo vincente di tale strategia di conciliazione.

Per garantire il reale successo di una efficace politica di flexicurity, appare necessaria la presenza di tre prerequisiti fondamentali:

• le minori garanzie contro il licenziamento e il relativo scarso periodo di preavviso richiedono, per non destabilizzare il mercato, una equa compensazione durante i periodi di disoccupazione al fine di garantire la sicurezza finanziaria del lavoratore e favorirne la relativa flessibilità;

• un mercato del lavoro con un’alta protezione statale deve prevedere un massiccio investimento nell’educazione, nella formazione continua e nella formazione degli adulti al fine di rimanere competitivo nel panorama nazionale ed europeo;

• sia i datori di lavoro che i lavoratori, rappresentati dai sindacati, devono avere potere contrattuale e consultivo su regolamenti e normative che riguardano le modifiche ed il funzionamento del mercato del lavoro, ed a tale fine un alto livello di organizzazione, sia a livello datoriale che dei lavoratori, appare necessario.

Le principali caratteristiche del sistema danese di flexicurity si basano sui seguenti pilastri:

• bassa protezione del posto di lavoro, risultante in una ampia libertà di licenziare sia nel settore pubblico che in quello privato;

• un welfare generoso comprendente indennità di disoccupazione relativamente alta e benefici sociali adeguati;

• politiche attive del mercato del lavoro incentrate su un forte investimento in capitale umano e nella promozione del lavoro flessibile e della mobilità lungo l’intero arco della vita lavorativa.

La combinazione di un mercato del lavoro flessibile basato sulla competenza e sulla meritocrazia e di un generoso sistema di welfare rappresenta il nodo centrale di politiche di flexicurity realmente efficaci per il benessere e per le esigenze di conciliazione del lavoratore ed al tempo stesso economicamente vantaggiose anche per le aziende.

Un aspetto particolarmente importante della flexicurity in Danimarca appare essere il vantaggio economico che tale tipo di strategia ha per le aziende stesse; perfino le scuole di economia aziendale iniziano a prendere seriamente in considerazione il valore della flessibilità unita all’attenzione verso politiche di conciliazione e di sicurezza sociale perché l’esperienza delle buone pratiche aziendali ha dimostrato come l’attenzione verso tali aspetti del benessere lavorativo aumenti notevolmente la produttività dei lavoratori stessi.

Il miglioramento della performance lavorativa influenza di conseguenza in maniera positiva anche la conciliazione personale e familiare del lavoratore. Gli aspetti legati alla flessibilità dell’orario di lavoro rientrano nelle politiche di responsabilità sociale d’impresa e vengono incontro al tempo stesso alle esigenze lavorative della generazione che si immette adesso nel mercato del lavoro e che avrebbe serie difficoltà ad inserirsi fruttuosamente in un’organizzazione del lavoro costruita su modelli generazionali antecedenti, che non condividevano le medesime aspirazioni di vita e necessità di conciliazione della nuova forza lavorativa.

Inoltre, la flessibilità nell’orario di lavoro riduce l’utilizzo da parte del lavoratore di permessi retribuiti o non; il lavoratore può organizzare liberamente il proprio tempo di lavoro in modo da non dover usufruire dei permessi, conciliando quindi le sue esigenze personali con la produttività lavorativa. La conseguenza più evidente di tale aspetto appare essere la diminuzione del livello di assenteismo dei lavoratori e la conseguente presenza di maggiori benefit per i lavoratori medesimi.

Infine, un mercato del lavoro basato su politiche di flexicurity appare particolarmente includente nei confronti dei lavoratori più adulti, supportati nelle loro esigenze di formazione continua e di organizzazione di un orario di lavoro compatibile con le esigenze delle diverse fasi della vita personale e professionale.

Il ruolo della contrattazione collettiva fra sindacati e datori di lavoro assume in Danimarca un significato centrale per la protezione e la regolamentazione dei diritti dei lavoratori; i sindacati sono organizzazioni private che hanno acquisito personalità giuridica e possono recepire perfino le direttive europee (competenza che in Italia, per esempio, è riservata alle sole leggi e non agli accordi sindacali). Il successo del modello di flexicurity

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danese risiede anche nell’assunzione di responsabilità del benessere lavorativo da parte sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori tramite i rappresentanti sindacali. I lavoratori in Danimarca sono 2.900.000 e più la metà sono iscritti al sindacato (suddivisi in un 75% nel settore privato, 25% nel settore pubblico).

Ogni uno o due anni, ha luogo una nuova contrattazione fra datori di lavoro e sindacati in favore delle categorie tutelate dal sindacato in questione.

Una caratteristica specifica e particolarmente rilevante per l’analisi del mercato del lavoro danese riguarda il fatto che gli accordi sindacali si applicano solo nei confronti delle aziende che li firmano ed esclusivamente nei confronti dei lavoratori iscritti al sindacato coinvolto; la conseguenza di tale situazione è che due lavoratori che svolgono lo stesso lavoro possono aver accesso a diritti e maturare indennità di pensione diversi a seconda che siano iscritti o meno al sindacato o che il datore di lavoro abbia o meno firmato l’accordo con il sindacato di riferimento.

Basilari sono le conquiste che la contrattazione fra sindacati e datori di lavoro ha ottenuto a partire dal primo accordo sindacale del 1899; fra le più rilevanti per il mercato del lavoro danese, ricordiamo:

• la durata della settimana lavorativa non può superare le 37 h

• sono previste come minimo 5 settimane di ferie pagate all’anno

• i lavoratori iscritti al sindacato maturano un 12% di pensione in più rispetto agli altri (8% pagato dal datore di lavoro e 4% dal sindacato).

Inoltre, in un paese come la Danimarca dove il preavviso di licenziamento può avvenire da 0 giorni fino a 4 mesi dopo la decisione datoriale, appare molto importante la previsione di una assicurazione di disoccupazione denominata “Cassa A”: si tratta di una forma di indennità di disoccupazione finanziata da versamenti mensili dei lavoratori iscritti al sindacato e che formano un fondo gestito direttamente dallo Stato. Nel momento della entrata in disoccupazione, il lavoratore ha maturato in tal modo un sussidio di disoccupazione che gli garantisce due anni di salario (circa il 60-70% del salario originale) pagato direttamente dallo stato tramite la Cassa A.

La Danimarca, come accennato in precedenza, presenta un tasso di occupazione femminile molto alto, che supera il 70%. Le donne hanno avuto anche storicamente un ruolo attivo nel mercato del lavoro, che ha visto nel decennio fra il 1970 ed il 1980 il momento di maggior ingresso di forza lavoro femminile nel mondo del lavoro.

Gli effetti principali della presenza delle donne nel lavoro hanno avuto ripercussioni sia a livello di orientamento culturale del paese, che ha riconosciuto il ruolo di cittadinanza attiva delle donne, sia nello sviluppo di uno specifico modello nordico di conciliazione, che permettesse alla forza lavoro femminile di lavorare a tempo pieno senza rinunciare a figli ed esigenze familiari.

Il sistema danese di conciliazione si basa sui seguenti aspetti:

• potenziamento di servizi di cura per i bambini, che iniziano a frequentare l’asilo nido a partire da 6 mesi, facilitando in tal modo il rientro delle donne sul posto di lavoro a tempo pieno;

• presa in carico e responsabilizzazione di famiglie e Stato nell’educazione ed assistenza ai bambini e nella cura della popolazione anziana.

Supportate da servizi di cura efficienti e da un mercato del lavoro che non le discrimina nell’accesso, le lavoratrici danesi sperimentano però una maggiore difficoltà nel conquistare posizioni apicali e di responsabilità decisionale.

Nonostante le importanti politiche di conciliazione, permane anche in Danimarca una forma di segregazione verticale della forza lavoro femminile; si registra infatti, come illustratoci dai diversi relatori, la presenza di un numero esiguo di donne nei consigli di amministrazione e una scarsa percentuale di donne top manager.

Tale bassa percentuale di donne in posizioni apicali va letta in correlazione con una insufficiente condivisione dei compiti domestici con il partner e con la considerazione che ancora pochi padri usufruiscono del congedo di paternità, che risulta inoltre, come vedremo in seguito, di durata molto inferiore a quello di maternità.

Proprio per ovviare a tali criticità dell’organizzazione del lavoro, i lavoratori danesi chiedono politiche di conciliazione soddisfacenti, unite ad una riduzione dello stress lavoro-correlato ed alla eliminazione delle cattive abitudini lavorative. Le leggi nazionali offrono significativi strumenti di conciliazione, al tempo stesso le aziende, sia pubbliche che private, hanno maturato la convinzione della necessità, anche economica, di sviluppare sistemi di conciliazione vita lavorativa-vita personale per aumentare la produttività aziendale ed il benessere lavorativo, quindi appare basilare potenziare l’informazione sulla conciliazione presso i lavoratori danesi, che spesso sono i primi a non conoscere i propri diritti. Le politiche di conciliazione si incentrano principalmente su una diversa organizzazione del lavoro, che permetta una migliore qualità di vita del lavoratore o della lavoratrice unita ad un miglior rendimento lavorativo e ad una paga adeguata.

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Al/alla lavoratore/trice viene offerta la possibilità di organizzare il proprio tempo di lavoro in maniera quasi “automanageriale”, senza bisogno di un forte controllo da parte della direzione superiore. L’accento viene posto sulla produttività del lavoratore e non sulla quantità di tempo trascorsa in azienda, così come un maggiore livello di responsabilizzazione del lavoratore su tempi e forme del suo impiego riduce lo stress lavoro-correlato e permette una reale conciliazione con la vita familiare e personale.

Appare necessario sottolineare come le strategie di conciliazione riguardino la presa in carico delle esigenze del lavoratore e non della persona; si tratta quindi di vere e proprie politiche attive del lavoro, e non semplicemente di politiche di inclusione sociale o di assistenzialismo.

Il sistema di conciliazione danese è incentrato su un’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro, sul benessere lavorativo, sulla predisposizione di un ambiente di lavoro sano e sicuro e di servizi aggiuntivi, oltre che su un aumento della produttività basato sulla capacità dei lavoratori di autogestire le proprie funzioni in maniera autonoma. Dal modello di conciliazione tradizionale, che poneva l’accento sulle esigenze di conciliazione fra vita lavorativa e vita familiare, maggiormente a carico delle lavoratrici, si è passati a politiche di conciliazione fra vita lavorativa e vita personale, che tengono in maggior conto il rispetto e la valorizzazione delle differenze di ogni lavoratore o lavoratrice, non esclusivamente legate al genere di appartenenza o alle problematiche familiari, bensì che riguardino le esigenze personali specifiche di ciascun lavoratore o lavoratrice.

Ciò che emerge da una prima analisi del sistema danese si può riassumere con la considerazione che una conciliazione reale ed efficace presuppone un coinvolgimento costante e coordinato a livello europeo e nazionale attraverso la predisposizione di normative adeguate, accanto ad una presa in carico da parte delle aziende, dove le strategie di conciliazione mostrano la loro reale efficacia e i punti di debolezza sistemica, e ad una responsabilizzazione in capo al singolo lavoratore a migliorare la propria performance lavorativa e ridurre il tasso di assenteismo, in cambio della possibilità di organizzare autonomamente il proprio orario di lavoro e di avere accesso a sempre maggiori benefit aziendali.

A livello del singolo lavoratore, la possibilità di rendere reale il miraggio di una effettiva conciliazione fra vita lavorativa e vita personale si basa sulla combinazione di una serie di condizioni, tutte ugualmente necessarie ed importanti:

• una effettiva e costante condivisione dei compiti domestici con il proprio partner; l’assunzione delle responsabilità familiari non deve essere un ruolo prefissato ma può variare secondo le esigenze lavorative e personali di uno dei due partner al fine di costituire un equilibrio in continuo mutamento;

• la possibilità di ottenere condizioni di lavoro flessibili e di poter al tempo stesso avere avanzamenti di carriera e un salario adeguato; a tal fine il coinvolgimento attivo delle aziende è basilare;

• la predisposizione di servizi di assistenza e di cura per bambini ed anziani, che siano adeguati ed economicamente accessibili; la presenza di un sistema di welfare statale predisposto a fornire tale tipo di sostegno lungo tutto l’arco della vita lavorativa ne rappresenta la precondizione essenziale.

Politiche attive di sostegno alla famiglia

Le esigenze di flessibilità in ambito lavorativo unite alla sicurezza della presenza di ammortizzatori sociali si riflettono anche nella predisposizione dei congedi retribuiti cui lavoratrici e lavoratrici danesi hanno accesso per motivi legati alla nascita di un figlio o ad altri eventi straordinari (malattia, formazione, ecc.)

Il congedo di maternità obbligatorio è di 26 settimane a stipendio pieno; durante questo periodo il salario della lavoratrice resta interamente a carico del datore di lavoro. La lavoratrice in gravidanza può rimanere sul posto di lavoro fino ad un mese prima del parto, e usufruire dei quattro mesi di congedo dopo la nascita del bambino.

Il sistema danese prevede anche la possibilità di estendere il periodo di congedo di maternità fino ad arrivare a 46 settimane, con l’accordo preventivo dell’azienda presso cui la donna lavora; oltre le 26 settimane, però, non si percepisce lo stipendio pieno, bensì una indennità di maternità (che copre comunque l’80% dello stipendio) che viene coperta non più dal datore di lavoro ma dallo Stato. Lo Stato però non ha l’obbligo bensì solo la facoltà di pagare tale indennità di maternità, quindi si possono verificare situazioni disomogenee, dove in alcuni casi lo Stato copre finanziariamente l’indennità di maternità mentre in altri non lo fa.

La lavoratrice può comunque usufruire di questo ulteriore congedo entro i 9 anni di vita del figlio o della figlia.

La constatazione del fatto che una lavoratrice possa astenersi dal lavoro fino a quasi un anno di vita del bambino con una retribuzione pari all’80% rappresenta un’applicazione molto efficace di politiche attive di sostegno alla

3.3.2 Politiche attive di sostegno della famiglia

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famiglia; le donne in tal modo non fuoriescono dal mercato del lavoro perché possono conciliare il loro ruolo di madre con quello di lavoratrice con una perdita minima di guadagno durante il periodo di congedo.

A ciò si aggiunge la facoltà da parte della lavoratrice madre di rientrare sul posto di lavoro anche subito dopo il parto, se lo ritenga compatibile e necessario per la sua carriera. Secondo le esperienze illustrateci dai vari relatori, molto raramente si ha discriminazione delle donne in età fertile nel mercato del lavoro, e la gravidanza non è vista come un ostacolo per l’avanzamento di carriera o il presupposto per un licenziamento illegittimo.

In caso in cui una donna sia licenziata per cause legate alla maternità, anche in Danimarca c’è la possibilità di ricorrere al Giudice del lavoro e vige il sistema dell’inversione dell’onere della prova.

Qualora si presenti una gravidanza a rischio, la lavoratrice si avvale del congedo per malattia.

Anche il padre lavoratore usufruisce di un congedo di paternità obbligatorio a stipendio pieno; si tratta delle due settimane successive alla nascita del bambino. Il padre ha inoltre la possibilità di disporre di altri due mesi di congedo di paternità al 100% dello stipendio, periodo da condividere con la madre e non in alternativa ad essa.

È interessante registrare come in Danimarca sia molto acceso il dibattito se due sole settimane di congedo di paternità obbligatorio siano sufficienti o se sarebbe invece necessario aumentare tale periodo di congedo; la questione verte sulla considerazione che, in un’ottica di reale conciliazione fra vita lavorativa e vita personale, il coinvolgimento dei padri nella gestione degli obblighi domestici e nella educazione dei figli deve assumere un peso maggiore sia quantitativamente sia qualitativamente, in modo da permettere una più continuativa presenza delle donne sul posto di lavoro e una condivisione delle responsabilità di cura da parte degli uomini.

Il congedo per malattia del lavoratore prevede 9 settimane all’anno a stipendio pieno pagate dal datore di lavoro; oltre le 9 settimane l’onere di retribuire il lavoratore in malattia passa al Comune.

Se si usufruisce di un congedo per la malattia del figlio (fino ai 14 anni del bambino) solo il primo giorno (o in alcuni casi anche il secondo) viene pagato al 100%, per il resto bisogna usufruire di congedi non retribuiti o di ferie.

Inoltre, i lavoratori e le lavoratrici hanno diritto a 14 giorni retribuiti ogni anno per frequentare corsi di formazione e aggiornamento professionale. Accanto a questi diritti dei lavoratori, predisposti anche in seguito al recepimento delle direttive europee in materia, il lavoratore danese ha la possibilità di sfruttare l’ampia flessibilità nell’orario di lavoro per evitare di prendere i congedi e organizzare il suo tempo di lavoro in modo da poter conciliarlo con le esigenze familiari e personali. In tal senso, le politiche di flexicurity sostituiscono in parte l’apparato dei congedi retribuiti, rappresentando un vantaggio per l’azienda che trattiene manodopera sul posto di lavoro e favorendo al tempo stesso l’avanzamento di carriera dei lavoratori e la loro fidelizzazione all’azienda.

In definitiva, le politiche di sostegno al lavoratore padre ed alla lavoratrice madre risultano efficaci perché uniscono ad un periodo lungo di maternità la presenza di buoni servizi all’infanzia e un’assistenza agli anziani di qualità. La percentuale di bambini che accedono ai servizi di cura risulta essere molto elevata: nel 2006 si attestava intorno al 63,2% dei bambini da 0 a 2 anni e nel 96% dei bambini da 3 a 5 anni. La presenza e l’utilizzo in forma elevata di tali servizi di cura permette alle madri di rientrare al lavoro a tempo pieno, anche in virtù degli orari degli asili nido compatibili con gli orari di lavoro, e rappresenta al tempo stesso un settore di occupazione in ascesa, che impiega quasi il 3% dei lavoratori danesi.

Accanto a tali aspetti di tipo strutturale, occorre anche rilevare come in Danimarca non esista nessun pregiudizio negativo rispetto ad una madre che, lavorando a tempo pieno, inserisce il proprio figlio in una struttura di cura.

Tale dato è da attribuirsi da un lato al rilevante cambiamento culturale del paese, che sempre di più percepisce il lavoro femminile come basilare per lo sviluppo economico, e dall’altro alla marcata impronta educativo-pedagogica dei servizi per la cura dei bambini, che vengono aiutati anche dall’apprendimento fra pari ad uno sviluppo equilibrato ed alla socializzazione attiva. Anche le politiche per un invecchiamento attivo della popolazione si basano sul modello della flexicurity, garantendo speciali benefit in capo ai lavoratori adulti e assicurando la possibilità di una formazione ed un aggiornamento continuo di tale fascia di manodopera, al fine di renderla competitiva sul mercato in ogni fase della vita lavorativa. A ciò si aggiungono i servizi di cura e di assistenza per gli anziani, che vengono garantiti dal Comune (la Danimarca conta 98 comuni e 5 regioni) e finanziati attraverso tasse municipali. Anche i servizi di cura agli anziani, sia domiciliari che nelle strutture residenziali, rappresentano un forte settore di occupazione, testimoniando ancora una volta la grande presa in carico delle politiche sociali e delle strategie di welfare da parte dello stato danese.

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Il modello di conciliazione danese vede il suo punto di maggior forza nell’applicazione del sistema di flexicurity, che permette al lavoratore una estrema mobilità lungo tutto l’arco della vita lavorativa e soprattutto gli garantisce, a fronte di basse tutele contro il licenziamento o perdita di lavoro, un sistema di welfare che lo sostiene economicamente nelle fasi di disoccupazione e la forte probabilità di rientrare nel mondo del lavoro in tempi molto brevi.

Accanto a tali aspetti di tutela, una attenzione crescente viene posta al benessere del lavoratore quando il rapporto di lavoro è in atto.

I lavoratori vengono formati durante tutto l’arco della loro vita lavorativa, e le aziende hanno interesse a creare condizioni di lavoro ottimali per trattenere il personale nell’impresa, considerando la scarsità di manodopera che non riesce a coprire le richieste del mercato. Vista la necessità di trattenere le professionalità nelle aziende, al personale viene offerta la possibilità di organizzarsi autonomamente pause ed orari di lavoro, accanto ad ulteriori benefit connessi a servizi, come l’asilo aziendale per esempio, o alla riduzione dello stress lavoro-correlato ed al miglioramento della salute del lavoratore tramite cibo salutare nelle mense o possibilità di esercizio fisico durante le ore di lavoro. La flessibilità dell’orario di lavoro e l’attenzione verso il benessere psico-fisico del lavoratore rappresentano sicuramente due punti di forza del sistema. Ad essi va aggiunta la mancanza apparente di discriminazione nell’accesso e di problematiche nella permanenza delle donne nel mercato del lavoro; l’occupazione femminile si attesta su dati molto alti, quasi raggiungendo in anticipo il traguardo europeo del 2020, e le donne in Danimarca lavorano prevalentemente a tempo pieno, riuscendo ad avere prospettive reali di carriera ed a conciliarle con le responsabilità familiari. Ciò è dovuto prevalentemente alla presenza di servizi di cura per bambini efficienti ed accessibili, che offrono al tempo stesso un progetto pedagogico adeguato; anche la predisposizione di servizi statali di assistenza alla popolazione anziana contribuiscono a facilitare le esigenze di conciliazione della popolazione attiva danese ed a permettere la permanenza delle donne nel mercato del lavoro.

In definitiva, il principale punto di forza nel sistema danese di conciliazione risiede, secondo quanto appreso nel corso degli incontri in Danimarca, in una crescente e continuativa assunzione di responsabilità da parte dello Stato rispetto al benessere ed alla crescita professionale dei lavoratori ed alla valorizzazione delle differenze.

Il sistema nazionale si basa su una forte valutazione della meritocrazia e sullo sviluppo delle competenze del lavoratore; il punto di forza di tale modello risiede nell’influenza che il miglioramento della performance lavorativa ha nella sfera personale e familiare del lavoratore da un lato, ma anche nel vantaggio economico che ricade sulle aziende dall’altro. Un sistema di flessibilità che venga incontro alle esigenze di vita dei lavoratori permettendo al tempo stesso di aumentare l’efficienza dell’azienda senza gravare finanziariamente su di essa rappresenta un obiettivo di crescita sociale ed economica che pone la Danimarca come modello da imitare a livello comunitario. Nonostante gli innumerevoli aspetti positivi di un sistema sociale così concepito, esso presenta anche alcuni punti di debolezza strutturale e organizzativa.

Innanzitutto, un sistema che personalizza al massimo la negoziazione sulle condizioni di lavoro è sicuramente in grado di raggiungere un livello di flessibilità e di elasticità molto alto, ma rivela anche un forte fattore di rischio, perché attribuisce al singolo lavoratore diritti e privilegi che non sono validi per tutti, in quanto scaturiscono da un dialogo personale fra il lavoratore ed il datore di lavoro e non da una contrattazione collettiva. Ciò può creare delle situazioni di disuguaglianza e delle tensioni fra colleghi che possono rendere l’ambiente lavorativo poco collaborativo e ostile.

Inoltre, particolare attenzione deve essere posta nei confronti dei lavoratori che non possono, a causa della loro funzione, svolgere il proprio orario di lavoro in maniera flessibile; tale situazione può portare a possibili tensioni interne all’ambiente di lavoro ed al rischio di conflitto se la strategia aziendale e la leadership non riescono a far accettare a tutto il personale, soprattutto a coloro che non ne beneficiano, la cultura della conciliazione e della flessibilità. Nella stessa ottica può essere vista come un fattore di debolezza interna la considerazione che i diritti dei lavoratori dipendono da accordi generali siglati fra aziende ed organizzazioni sindacali, ma che risultano applicabili sono per i lavoratori che sono iscritti al quel determinato sindacato ed esclusivamente nei confronti delle aziende che firmano l’accordo. Anche questo aspetto può provocare delle sensibili disuguaglianze di trattamento fra lavoratori, ed acuire un senso di ingiustizia sociale che potrebbe scatenare un conflitto fra lavoratori, qualora il sistema non fosse in grado di autoregolamentarsi in maniera corretta e provocasse situazioni di disagio sociale.

3.3.3 Punti di forza e di debolezza del sistema di conciliazione danese

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Infine, occorre porre l’accento sulle possibili evoluzioni future del sistema di flexicurity, che, dopo essere riuscito a costruire un modello di organizzazione del lavoro altamente efficiente e competitiva senza diminuire per questo il livello di sicurezza del lavoratore, si trova adesso ad affrontare la crisi economica mostrando segni di affaticamento organizzativo e strutturale.

Il modello di flexicurity, concepito per una società post-industriale, si trova adesso a fronteggiare una serie di rilevanti tagli al sistema sociale, in particolare rispetto al sostegno alla popolazione più anziana ed al sostegno al lavoratore in disoccupazione. Il pilastro della sicurezza nella flessibilità sembra così vacillare sotto i colpi della crisi economica; anche i tagli alle politiche attive del lavoro sembrano andare nella stessa direzione, verso una tendenza che predilige l’accesso al posto di lavoro anche con diritti e benefici ridotti o parzialmente accantonati piuttosto che il mantenimento di garanzie di tutela sociale ed economica in un’economia che offre sempre minori possibilità d’impiego. A fronte di ciò, i lavoratori danesi iniziano a chiedere sempre maggiori protezioni ed ammortizzatori sociali rispetto alla perdita del posto di lavoro, segnale evidente che il binomio “flessibilità” e “sicurezza” sta mostrando le prime crepe a livello applicativo e strutturale.

Nel corso degli stimolanti confronti sulle politiche di conciliazione avuti con aziende pubbliche e private danesi, ci sono state presentate numerose esperienze applicative, la maggior parte delle quali incentrate sulla possibilità da parte del lavoratore di organizzare il proprio tempo di lavoro in maniera flessibile, sull’attenzione da parte delle aziende nei confronti dei/delle lavoratori/trici con figli e delle problematiche dei lavoratori adulti.

La direttrice del CBAF (Centro per l’equilibrio fra vita lavorativa e familiare) ci ha presentato uno spettro altamente significativo di buone pratiche messe in atto da importanti aziende presenti sul territorio nazionale, come la IBM, la catena Best Buy o la banca City Group, solo per citarne alcune.

Ciò che è emerso dalla illustrazione di tali esperienze è che l’attenzione è posta sul nesso fra conciliazione ed aumento della produttività del lavoratore; alla Best Buy, per esempio, l’introduzione di una flessibilità nell’orario di lavoro ha aumentato la produttività fino al 35%.

Altro elemento rilevante è la valorizzazione delle competenze e delle differenze dei lavoratori; la diversità viene vista non come un ostacolo ma come un fattore di innovazione e di sviluppo, che ha come ricaduta una maggiore assunzione di responsabilità del lavoratore nell’azienda. In questo senso, molti sono i programmi che mirano a far tornare le donne sul posto di lavoro in tempi brevi dopo la nascita di un figlio o che stimolano le aziende ad assumere personale femminile.

Inoltre, molte aziende prevedono per lavoratori con figli piccoli la presenza di asili aziendali all’interno della struttura, asili con la particolarità di restare aperti anche in estate, quindi di permettere una reale conciliazione.

Infine, le esigenze nelle diverse fasi della vita e della carriera del lavoratore e della lavoratrice sempre più vengono prese in considerazione dalle imprese, che, come mostratoci da alcuni esempi operativi, evidenziano una sorta di “onda della carriera” lungo tutto l’arco della vita lavorativa, all’interno della quale il lavoratore può esprimere opportunità e bisogni differenti, che devono essere debitamente accolti dal datore di lavoro.

Una buona pratica in sé è rappresentata dall’incubatore d’impresa, “Spinderihallerne”, la filanda di cotone riconvertita in uno spazio destinato a piccole imprese culturali e di design. La struttura è concepita per essere usufruita in maniera flessibile dalle piccole imprese che affittano degli spazi al suo interno e che possono accedervi 24h/24. Inoltre, l’obiettivo del progetto è proprio di offrire assistenza, formazione ed occasioni di sviluppo e di lavoro per giovani imprese di design e di innovazione creativa al fine di sostenere il lavoro autonomo ed attirare altre imprese sul territorio.

Particolarmente rilevanti si sono mostrate le buone pratiche illustrateci dalla responsabile delle risorse umane di IKEA. Accanto ad un costante impegno nei confronti della responsabilità sociale d’impresa e della sostenibilità ambientale, l’azienda ha posto particolare attenzione alle esigenze dei lavoratori padri e delle lavoratrici madri, oltre che dei lavoratori adulti.

Nei confronti dei lavoratori con figli i principali interventi di conciliazione si incentrano su:

• in accordo con il sindacato di riferimento, i lavoratori con figli piccoli non possono lavorare per più di due giorni a settimana dopo le 18h00 (IKEA è aperta dalle 4h00 di mattina alle 23h30); i turni dopo le 18h00 vengono coperti dai lavoratori part-time, con la possibilità di organizzarli autonomamente in maniera flessibile;

3.3.4 Buone pratiche di conciliazione

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• inoltre, 4 giorni su 5 l’orario del lavoratore con figli piccoli deve risultare compatibile con gli orari di chiusura dell’asilo (molti asili rimangono aperti fino alle 17h00, mentre le casse dell’IKEA chiudono alle 21h00);

• particolare attenzione viene rivolta ai lavoratori padri: il congedo di paternità obbligatorio di 2 settimane viene esteso da IKEA fino a 4 settimane a stipendio pieno. Questa buona pratica è stata apprezzata ed utilizzata da tutti i dipendenti, evidenziando come le politiche di conciliazione siano concepite per favorire un maggiore coinvolgimento del lavoratore padre nella vita familiare alla nascita del figlio.

Accanto a politiche che si occupano in generale del benessere psico-fisico dei lavoratori (la predisposizione di servizi di massaggi o di attività fisica dopo l’orario di lavoro, oltre che un turno di riposo di 11 ore ogni due turni di lavoro), interessante risulta la buona pratica rivolta ai lavoratori con più di 60 anni; ad essi viene concesso un benefit di una settimana in più di ferie all’anno.

IKEA non utilizza, invece, alcuni strumenti di conciliazione adottati da altre aziende in Danimarca, come per esempio la possibilità di lavorare da casa o la predisposizione di un asilo aziendale.

Le buone pratiche scelte dall’ospedale di Horsens, invece, si preoccupano di aumentare la qualità del servizio offerto attraverso politiche del personale che si incentrano su dialogo, sviluppo delle competenze e valorizzazione dell’intraprendenza.

Il sistema che regola l’organizzazione del lavoro viene altamente personalizzato e risulta essere elastico e flessibile; il personale organizza i propri turni di lavoro in maniera autonoma, in modo da venire incontro alle esigenze di conciliazione di ognuno. Prova ne è che non esiste all’interno dell’ospedale alcuna regola prestabilita rispetto ai permessi retribuiti; essi vengono accordati o meno a seguito di un dialogo individuale fra il lavoratore ed il responsabile del personale, e possono prevedere, per esempio, un giorno di permesso retribuito per la malattia del figlio del proprio convivente (verso il quale il lavoratore o la lavoratrice non ha vincolo di genitorialità). Non esistono quindi norme valide per tutti, il rapporto di lavoro si basa piuttosto su un dialogo costante con gli impiegati. Molte energie sono spese nella formazione e riqualificazione del personale più adulto, oltre che nell’affiancamento nei confronti del personale di origine straniera. L’ospedale soffre di una carenza di personale rispetto all’aumento costante di affluenza dei pazienti, quindi mette in pratica buone pratiche per mantenere il personale adulto sul posto di lavoro più a lungo possibile attirando al tempo stesso nuovo personale, anche attraverso benefit come il mentoring per personale straniero o appena laureato o come la possibilità da parte del personale di avere influenza crescente sui processi decisionali, seguendo una metodologia di decisioni prese bottom-up e non top-down.

Infine, numerose sono le buone pratiche connesse al benessere sul posto di lavoro, come per esempio l’opportunità di usufruire di una palestra all’interno dell’ospedale durante l’orario di lavoro o la predisposizione di una stanza per il rilassamento con la possibilità di avere massaggi o di avere un colloquio con un consulente per il benessere.

Una buona pratica che univa benessere psico-fisico e conciliazione vita lavorativa-vita personale riguardava un accordo stipulato fra l’ospedale ed un supermercato che permetteva ai lavoratori di fare la spesa on-line e di farla poi recapitare direttamente in ospedale. L’iniziativa, per il momento sospesa, verrà ripristinata a breve, così come la possibilità di usare la mensa dell’ospedale come un take-away per due volte alla settimana, in modo da poter acquistare una cena già pronta per ogni membro della propria famiglia e non dover cucinare.

La possibilità di trasferire le buone pratiche di conciliazione osservate durante il periodo di studio in Danimarca prevede necessariamente una fase di adattamento alla realtà sociale e lavorativa italiana, che risulta essere molto diversa dal modello danese. Inoltre, la reale efficacia operativa dei progetti e la loro riuscita nel favorire politiche di conciliazione atte a migliorare il benessere lavorativo e familiare dei lavoratori e delle lavoratrici dipende anche dalla presa in carico e dall’assunzione di responsabilità da parte di tutte le parti sociali, datori di lavoro e lavoratori in primo luogo, prerequisito chiave per ogni eventuale progetto di conciliazione. Le principali differenze fra il contesto socio-politico della Danimarca e quello dell’Italia riguardano sia una diversa composizione della forza lavoro sia una cultura aziendale e sindacale solo parzialmente sovrapponibili.

3.3.5 Livelllo di adattabilità e trasferibilità del modello di conciliazione danese

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In Danimarca l’occupazione femminile raggiunge oltre il 70%, le lavoratrici sono prevalentemente a tempo pieno e non si registrano particolari ostacoli al loro avanzamento di carriera, che risulta basato sul merito e privo di discriminazioni. La possibilità di conciliare vita lavorativa e vita familiare è resa possibile da una capillare rete di sostegno e di cura per i bambini in età prescolare; è lo Stato in prima persona che si prende carico di tale assistenza qualificata all’infanzia, permettendo ai genitori il rientro sul posto di lavoro in tempi brevi.

In tal modo le madri lavoratrici non sono costrette a scegliere fra la maternità e il lavoro, ma soprattutto le politiche di conciliazione si concentrano sempre di più sul maggiore impegno che il padre lavoratore dovrebbe mettere nella condivisione degli obblighi domestici e familiari, predisponendo strumenti e sostegno specificamente rivolti al padre. Molti sono gli esempi di buone pratiche, soprattutto con riferimento ad un’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro, che potrebbero essere trasferite in Italia con successo; in tal senso, l’illustrazione delle esperienze danesi può offrire ottimi spunti di partenza che possono essere implementati con successo nelle nostre realtà aziendali. Di più difficile realizzazione è la trasposizione in Italia del sistema di flexicurity sviluppato in Danimarca; solo la compresenza di una mobilità dei lavoratori unita ad un buon livello di sicurezza garantito da forti ammortizzatori sociali rende la flessibilità all’interno del mercato del lavoro accettabile e quasi auspicabile, perché non la trasforma in precarietà. Tali condizioni non sono per il momento presenti in Italia, dove permangono inoltre relazioni fra sindacati e datori di lavoro molto più conflittuali rispetto alla realtà danese e dove sono diversamente articolati i rapporti ed i contratti di lavoro.

Risolvere le problematiche lavorative attraverso un dialogo individuale fra lavoratore e responsabile del personale rappresenta un modello difficilmente percorribile nel nostro paese, perché da una parte indebolisce le rivendicazioni collettive dei lavoratori e dall’altra crea possibili situazioni di disuguaglianza scarsamente tollerabili. Sarebbero invece estremamente interessanti delle buone pratiche aziendali che prendessero in considerazione il benessere psico-fisico del lavoratore sul posto di lavoro e le ripercussioni che lo stress lavoro-correlato può avere sulla vita personale e familiare. A ciò si deve aggiungere la necessità di aumentare significativamente il tasso di occupazione femminile nel nostro paese, grazie anche ad un miglioramento e ad un maggiore accesso ai servizi di cura per bambini e di assistenza per la popolazione anziana.

In entrambi gli aspetti l’esempio della Danimarca offre interessanti spunti di analisi e buone pratiche di successo, anche se la minore densità demografica della Danimarca rispetto all’Italia rende tali politiche più facili da realizzare ed economicamente più vantaggiose nel breve periodo.

In definitiva, per una efficace trasposizione del modello danese in Italia, occorrerebbe porre l’accento su:

• maggior accesso e più capillare presenza sul territorio di servizi di cura per bambini in età prescolare, in modo da permettere ai genitori lavoratori di rientrare sul posto di lavoro nel minor tempo possibile dopo il congedo di maternità o paternità;

• lo sviluppo di modelli di flexicurity che permettano la mobilità dei lavoratori garantendo loro un alto livello di sicurezza e di protezione sociale e che non si traducano in un forte tasso di precarietà;

• una sempre maggiore presenza di donne ai livelli apicali della vita aziendale; la presenza delle donne in ambito lavorativo deve essere considerata una risorsa da valorizzare e non un problema da risolvere. In tal senso, l’Italia dovrebbe aumentare il livello dell’occupazione femminile e favorire un maggiore coinvolgimento degli uomini nella sfera domestica e familiare;

• l’utilizzo di strumenti di conciliazione, quali la flessibilità nell’organizzazione del proprio orario di lavoro, dovrebbero rendere il lavoratore in grado di guadagnare maggiore autonomia e renderlo maggiormente partecipe dei processi organizzativi della propria azienda. Ciò è possibile solo se il datore di lavoro accorda piena fiducia al lavoratore e se si istaura un clima di collaborazione tale da poter realizzare strategie di conciliazione realmente efficaci e capaci di trasformare l’organizzazione del lavoro nel medio-lungo periodo.

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Programma delle attività

3.4 Visita di studio istituzionale a Helsinki (Finlandia)

Martedì 13 Marzo Seminar: Possible work/life balance

9.00 Welcome to Finland and Helsinki. Orientation at the hotel

- A short summary about the Finnish work/life balance

Ms Henna Laukka

9.45 Work/life balance from a cultural point of view

- the strengths of Finnish culture and the Italian culture in combining work and family

Ms Meri Virta has lived in Italy for 5 years

10.45 Let´s go through the Agenda of your Study visit

Let´s get to know each other a bit

Ms Henna Laukka

11.15 Meeting mothers and fathers

- How do they do it, combine work and family?

Mr Lasse Johansson

13.30-15.00 Ministry of Social Affairs and Health

Ms Tarja Kahiluoto, Ministerial adviser, meets the group at the hotel

15.00-15.30 Trip to SOK, Ässäkeskus, Fleminginkatu 34

15.30-17.00 Work and family balance at SOK (Finland’s central organization for co-ops)

- A large chain of supermarkets, restaurants, hotels, gas-stations etc.

Ms Sirkkaliisa Kulmala, HR Manager

Mercoledì 14 Marzo9.00-9.30 Trip to Kela, Nordenskiöldinkatu 12

9.30-11.30 Visit to Kela (The Social Insurance Institute of Finland)

Ms Ulpu Juvalainen, Attorney

11.30-12.00 Trip to the Human resources center of the City of Helsinki

12.00-13.30 Meeting with the local governmental bodies

- Human Resources Center of the City of Helsinki, meeting with Human resources Director Mr Hannu Tulensalo and Attorney Ms Päivi Rissanen

A short walk to a close by playground

13.45-14.45 Visit to Pupils´afternoon activities at a playground

Ms Laura Laitala, Social welfare Supervisor

Giovedì 15 Marzo9.00-9.30 Trip to Kuntatalo, Toinen Linja 14

9.30-10.30 Visit to Kuntatyönantajat (Local government employers)

Ms Henrika Nybondas-Kangas,Chief Negotiator

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Progetto: La Conciliazione possibile | Rapporto Finale

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3.4.1 In sintesi

La visita istituzionale, prevista dalle attività del progetto, ha avuto una durata di 3 giorni ed ha visto la costituzione di una delegazione di 17 soggetti quali consigliere di parità provinciali, assessori comunali e provinciali, presidenti del consiglio provinciale, referenti degli uffici delle Pari Opportunità appartenenti alle Province partner del progetto.

L’agenda ha previsto incontri sia con organismi istituzionali che con realtà operative, offrendo così un duplice approccio agli argomenti oggetto di interesse che ha permesso di analizzarne l’aspetto normativo e sistemico senza dimenticare le problematiche attuative e le difficoltà operative.

La delegazione ha potuto conoscere dall’interno il sistema legislativo previdenziale e sociale grazie ad incontri specifici, come quello avvenuto al Kela ( istituto previdenziale finlandese), così come l’applicazione delle politiche del lavoro intraprese da soggetti pubblici e da privati; a questo proposito, interessante è stata la visita presso la più grande cooperativa di Helsinki, la SOK, e la visita presso la City of Helsinki.

La visita ha fornito, nel suo insieme, lo spunto per analizzare e mettere a confronto il sistema Italiano e quello finlandese e valutare quanto gli aspetti legislativi differiscano tra loro: da tale comparazione è emersa una sostanziale pariteticità a livello normativo e giuridico mentre il divario maggiore è stato riscontrato nell’applicazione quotidiana, nell’organizzazione del lavoro, nella messa a disposizione dei numerosi servizi di cura, oltreché nella mentalità e nella cultura delle due popolazioni.

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Al programma di visite di studio hanno partecipato in totale 104 rappresentanti: 20 alla visita di studio in Finlandia, 28 alla visita di studio in Olanda, 39 alla visita di studio in Danimarca e 17 sono stati i soggetti istituzionali coinvolti nella mobilità di Helsinki. Le numerosità delle delegazioni ha oscillato da un minimo di 19 unità ad un massimo di 39 unità.

La composizione dei partecipanti per rappresentanza risulta coerente con gli obiettivi ex ante del progetto. In particolare, è stata raggiunta una significativa partecipazione dei principali gruppi target del progetto stesso (manager e responsabili delle risorse umane, oltre a settore pubblico e privato).

Come previsto dal piano di progetto, a conclusione di ogni visita di studio, è stato proposto ai partecipanti un questionario anonimo di gradimento. Il questionario (scala 1-10) si proponeva di rilevare la soddisfazione dei partecipanti rispetto ad alcuni item ritenuti rilevanti quali il grado di interesse dell’esperienza; la qualità dei materiali informativi; il livello dell’accoglienza; il livello dell’assistenza tecnico-scientifica da parte del tutor; la significatività dell’esperienza a livello personale; la significatività dell’esperienza a livello professionale; il livello di interazione e socialità di gruppo; la valutazione della logistica (viaggio ed alloggio).

Nel complesso il livello di soddisfazione espresso è più che soddisfacente.

Inoltre, sono state predisposte dai partecipanti delle relazioni individuali al fine di verificare gli aspetti più rilevanti dell’esperienza e cogliere suggerimenti, critiche e grado di interesse delle persone coinvolte.

Estratti dalle “schede di analisi delle esperienze” dei partecipanti:

- “la visita ha rappresentato un momento importante anche per la costruzione di una rete tra i partner italiani del progetto, che spero possa consolidarsi ed essere operativo”;

- “ su alcuni aspetti scontiamo in Italia un’arretratezza culturale”;

- “le risorse economiche più risicate non consentono la totale trasferibilità dell’esperienza nel contesto locale in cui opero. Tuttavia, alcune idee sono a livello di politiche locali perseguibili e realizzabili, come, ad esempio, il maternity package”;

- “ottima sistemazione, organizzazione e gestione da parte della Provincia di Livorno. La varietà delle visite programmate mi ha permesso di avere un quadro piuttosto completo della situazione locale del welfare. Il gruppo è stato molto piacevole ed interessante, ottima la tutor”;

- “ripetere l’esperienza: in fondo il mare è fatto di gocce, e far presente l’esperienza di altre realtà nel contesto locale può se non altro, indurre un inizio o implemento (la realtà della Toscana è variegata a sua volta) di cambiamento”.

La struttura delle mobilità ha fornito lo scambio tra portatori d’interesse delle varie Province partner. Sono stati, infatti, organizzati tavoli di lavoro e poste le basi per successive collaborazioni e scambi al fine di trasferire sul territorio toscano alcune delle pratiche studiate.

4. I Partecipanti

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Progetto: La Conciliazione possibile | Rapporto Finale

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La transnazionalità costituisce l’elemento cardine per favorire processi di comparazione, adattamento e trasferimento di know-how e di buone pratiche dai paesi europei partner verso la realtà toscana. L’analisi e lo studio di buone pratiche attivate in altre realtà con problematiche affini favorisce infatti l’elaborazione di strategie valide per il rafforzamento degli interventi locali. Attraverso processi di policy learning e di policy transfer sarà possibile attivare l’apprendimento reciproco e lo scambio al fine di rimodulare e trasferire modelli e pratiche di intervento.

Il progetto ha voluto avviare e gettare la base per la creazione di un network transnazionale composto da istituzioni locali che per dimensioni territoriali, esperienze maturate e specializzazioni rendano possibile uno scambio proficuo e possano avere un ruolo attivo nell’individuazione delle strutture ospitanti.

In tal senso, il progetto contribuisce alla diffusione ed al consolidamento di politiche, di approcci e di strategie finalizzate alla crescita della qualità e dell’occupazione femminile, confermando la necessità di una dimensione operativa europea, che renda possibile il confronto con le esperienze di eccellenza maturate negli altri Paesi europei e la collaborazione con gli stessi. Promuovere la conoscenza dei servizi e delle strutture presenti nel territorio, potenziare la cultura della conciliazione e della valorizzazione della diversità di genere, sono strumenti attraverso i quali sarà possibile favorire lo sviluppo di nuove strategie di gestione del personale e la crescita della competitività delle aziende del territorio livornese.

In termini di impatto, il progetto avrà ricadute in relazione a:

• incremento della partecipazione in attività di apprendimento permanente;

• impulso all’occupabilità e adattabilità femminile;

• incremento di iniziativa di conciliazione tra politiche occupazionali e politiche sociali;

• miglioramento delle condizioni lavorative femminile;

• crescita della competitività complessiva del territorio toscano;

• innalzamento della qualità di genere del territorio.

Nel medio periodo, infine, si auspicano esperienze pilota in aziende oltreché lo studio di protocolli operativi tra i diversi soggetti istituzionali.

5. Impatto atteso

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Finito di stamparenell’Aprile 2012

da Arti Grafiche Federico FredianiLivorno

Progetto grafico:Melazeta Grafica di Ilaria Manetti

www.melazetagrafica.itLivorno

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“La presente pubblicazione è stata realizzatacon il contributo del POR CRO FSE 2007-13

della Regione Toscana”

POR FSE2007-2013Fondo Sociale EuropeoProgramma OperativoRegione Toscana

FSE Investiamo nel vostro futuroCresce l’Europa. Cresce la Toscana

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