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CARTA GEOGRAFICA città visibili Nella foto, slum e quartieri ricchi della città brasiliana di Sao Paolo

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cittàvisibiliNella foto, slum e quartieri ricchidella città brasilianadi Sao Paolo

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La più grande novità della globalizzazionesono le città globali, che tendonoa sostituire gli Stati e creano una nuova politica urbana, nuove classi, nuovi conflitti.Saskia Sassen è la più importante analista e narratrice delle metropoli

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HI SI È MESSO alla ricerca di nuove chiavi di lettura per analizza-re le trasformazioni della società globale, a cominciare dalle cit-tà, negli ultimi anni ha trovato negli studi di Saskia Sassen pun-

ti di vista inediti. Sociologa olandese, cresciuta in Argentina, Saskia Sassen in-segna oggi alla Columbia University di New York, ed è tra i più autorevoli stu-diosi internazionali di ciò che ormai molti definiscono, lei per prima, «cittàglobali». Di certo, Saskia Sassen ama ripetere che «siamo all’inizio di un nuo-

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intervista a Saskia Sassen di Gianluca Carmosino e Caterina Gerardi

IL LIBRO «Una sociologia della globalizzazione» [edito da Einaudi] è il nuovo libro di Saskia Sassen, filosofa di formazionema sociologa di mestiere, con il quale l’autrice di «Città globali» [Utet, 1997] e collaboratrice di Le MondeDiplomatique, The Guardian e New York Times analizza le classi sociali figlie del mondo globalalizzato, e le nuove forme di cosmopolitismo.

vo ordine, nel quale non è sempre chiaro cosapossono produrre le microstorie informali che èpossibile rintracciare nelle grandi città, però cisono e cambiano la società».

Abbiamo incontrato Saskia Sassen a Roma,dopo un incontro dedicato al tema delle nuovedemocrazie promosso dalla Fondazione Basso.

Cominciamo dalla definizione di «città globali»:sono soltanto quelle che di fatto ospitano i prin-cipali centri finanziari internazionali, comeNew York, Tokyo, Amsterdam e Londra? Cosaaccomuna queste città?

Le città globali hanno due aspetti, uno economi-co e l’altro politico. Dal punto di vista dell’eco-nomia, una città globale ha tutte le capacità, lerisorse e le cornici funzionali per maneggiare leoperazioni globali delle imprese e dei mercati na-zionali e internazionali. La città globale incarnad’altra parte un tipo nuovo di politica: la compe-tizione per lo spazio urbano. È uno spazio mol-to conflittuale, spesso con contenuti specificata-mente locali, ma nei fatti è una politica globale,non perché tratta con istituzioni globali come ilFondo monetario internazionale o la Wto, ma

perché questi conflitti si ripresentano in tutte le città globali delmondo.

Oggi ci sono circa quaranta città globali, e un numero crescen-te di città che hanno alcune funzioni globali. Come si è diffusa l’eco-nomia globale, così si è allargato il numero di città globali. Secon-do le ultime stime, Londra è oggi la città globale per eccellenza, ha

appena superato New York, che già si sta lamen-tando perché non può pensare di essere null’al-tro che la numero uno. Londra, Tokyo, New York,Hong Kong, Chicago, Parigi, Francoforte sono illivello più alto, tra le città globali. La rapida cre-scita del numero di città che diventano globalicomincia negli anni novanta. San Paolo, Città delMessico, Seul, Sydney, Toronto, Madrid emergo-no come città globali e potenti, anche se non po-tenti come quelle della prima classe. Verso la fi-ne degli anni novanta si sono aggiunte Shanghai,Buenos Aires, Bangkok, Miami e molte altre.

Tutte queste città costituiscono insieme lostato dell’arte del massimo livello della piatta-forma globale, il più complesso e con funzionistrategiche. Per diversi motivi penso che questa

LondraLa capitale della Gran Bretagna, con i suoi 7,5milioni di abitanti, è la città più popolatad’Europa e la prima piazza borsistica mon-diale, avendo superato New York. In realtà,l’area metropolitana conta più di quattoridimilioni di residenti e si estende per svariatedecine di chilometri, superando paesi comeLussemburgo e Svizzera. I suoi cinque aero-porti ne fanno anche il più grande snodo deltraffico aereo globale. A Londra si parlano ol-tre trecento lingue, più che in ogni altra cittàdel mondo, e qui hanno sede molte istituzio-ni e società internazionali.

«Oggi ci sono circa quaranta città globali:un numero crescente, grazie al diffondersidell’economia globale. E Londra è oggila numero uno: ha superato New York.Questo processo comincia negli anni novanta

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Cosa accadrà alla popolazione delle città globa-li nei prossimi anni?

Una de-nazionalizzazione crescente: outsiders,lavoratori migranti, o migranti locali e giovanidelle zone suburbane che diventeranno la nuo-va classe professionale transnazionale. Vi saran-no più ricchi e più poveri, e una maggior quotadi classe media impoverita. Ciò che ci sarà sem-pre di meno, invece, è la piccola classe e le loropiccole attività economiche che una volta eranola presenza dominante in queste città. Dal miopunto di vista, nello scenario più pessimistico, ilconflitto viene adesso trasmesso alle città globa-li. In alcune città, per esempio New York e LosAngeles, prende la forma di una criminalità pic-cola e diffusa e soprattutto della violenza dellosvantaggiato sullo svantaggiato. In alcune cittàeuropee, ma anche a Shangahi, prende la formadi un nuovo tipo di razzismo, che può arrivare al-la violenza fisica. E in ancora altre, ad esempio

DI ABITANTI Le più grandi città del mondo per numero di abitantinel 2015 saranno: Tokyo [28 milioni circa], Bombay [27], Shangai [23],San Paolo [21] e New York [18]. Quelle che più di altre registranoun’immigrazione dalle campagne sono Bombay e Shangai.

seconda fase ora sia completata. In gran parte, il mondo è ora riar-ticolato. Le eccezioni sono zone come Iraq e Iran, dove domina laguerra. Penso che la prossima fase di questo lungo processo sia-no articolazioni più specializzate tra le città secondarie, quelle me-no strategiche.

a Rio de Janeiro, prende la forma di guerra ur-bana sporadica e parziale, che comprende anchelo spazio delle prigioni. Penso che abbiamo biso-gno urgente di innovare il governo urbano. I vec-chi modi burocratizzati non ce la fanno. Questaè un’era urbana interamente nuova.

Nei tuoi libri sostieni che nelle città contempo-ranee stanno emergendo, o meglio si rendonopiù visibili, nuovi attori politici, invisibili inve-ce a livello di stato nazione: gli esclusi e le mi-noranze. Chi sono esattamente questi attori in-formali? Quali opportunità hanno, anche senon detengono il potere?

La grande città complessa, specialmente se glo-bale, è una nuova zona di frontiera. Lì si incon-trano protagonisti di mondi diversi, ma non cisono chiare regole d’ingaggio. Mentre prima lafrontiera era ai margini degli imperi coloniali,la zona di frontiera di oggi è nelle nostre gran-di città. È una zona di frontiera strategica, peril capitale globale. Molto del lavoro per impor-re deregolamentazioni, privatizzazioni e nuovepolitiche fiscali e valutarie devono passare at-traverso gli strumenti formali per costruirel’equivalente del vecchio «forte» sulla frontie-ra: c’è bisogno di uno spazio regolato, città do-po città, che assicuri un più vasto campo di ope-razioni globale.

Ma la città globale è anche una zona di fron-tiera strategica per quelli che non hanno potere,per gli svantaggiati, gli outsiders, le minoranzediscriminate. Lo svantaggiato e l’escluso posso-no guadagnare presenza in queste città, di

New YorkLa città più popo-losa degli Usa,New York, è situa-ta nell’omonimostato e conta ottomilioni di abitantisu poco meno diottocento chilo-metri quadrati.È divisa in cinquedistretti [Manhat-tan, Bronx,Queens, Brooklyne Staten Island].Con il vicinissimodistretto di NewJersey [di fronteall’isola di Man-hattan] che ap-partiene formal-mente a un altrostato, la popola-zione risulta esse-re di quasi diecimilioni. L’interaarea metropolita-na, che si estendesu tre stati [NewYork, New Jerseye Connecticut],conta 21 milionidi abitanti.

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fronte al potere, e l’uno di fronte all’altro. Questo segnala la pos-sibilità di un nuovo tipo di politica, concentrata in nuovi tipi di pro-tagonisti politici. Non è semplicemente una questione di avere onon avere potere. Ci sono nuove basi ibride da cui agire. Stiamo as-sistendo, in una città dopo l’altra, alla costruzione di una politicainformale.

Lo spazio della città è politicamenteuno spazio molto più concreto della na-zione. Diventa uno spazio per attori po-litici non-formali che possono essereparte della scena politica, cosa che èmolto più difficile a livello nazionale. Lepolitiche nazionali hanno bisogno di pas-sare attraverso i sistemi formali esisten-ti come il sistema elettorale o quello giu-diziario. I protagonisti politici non-for-mali sono invisibili, negli spazi della po-litica nazionale.

Nello spazio politico urbano, invece,trova posto un ampio raggio di azioni po-litiche: basta pensare alle occupazioni,alle manifestazioni contro la brutalitàdella polizia, alle lotte per i diritti dei mi-granti e dei senzatetto, alle politiche cul-turali e dell’identità, alle politiche di gay,lesbiche e queer. Gran parte di tutto ciòdiventa visibile sulla strada. Molta po-litica urbana è concreta, determinatadalle persone più che dall’accesso aimass media. La politica di strada rendepossibile la formazione di nuovi sogget-ti politici che non devono attraversare ilsistema della politica formale.

Inoltre, attraverso i network tecnolo-gici le iniziative locali diventano parte diuna rete globale di attivismo, senza per-dere l’attenzione sulle lotte locali speci-

fiche. Ciò crea un nuovo tipo di attivismo politi-co, disperse in diverse località eppure stretta-mente connesse attraverso la rete. Questa è, nel-la mia prospettiva, una delle forme più rilevan-ti di politica critica che Internet e le altre reti ren-dono possibile: una politica del locale sì, ma conuna grande differenza: sono località connessel’una all’altra attraverso regioni, paesi o ilmondo intero.

Anche se la rete è globale, non vuol dire chetutto ciò che accade debba essere globale. Le re-ti web stanno contribuendo alla produzione digeneri nuovi di interconnessioni sottostanti ri-spetto a quella che sembra una topografiaframmentata, sia a livello globale sia a livello lo-cale. Gli attivisti politici possono usare le reti di-gitali per operazioni globali o non-locali e posso-no usarli per comunicazioni strettamente loca-li e per operazioni dentro una comunità rurale ourbana.

La grande città di oggi, specialmente la cittàglobale, emerge come un luogo di strategie per

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FrancoforteHa soltanto 650 milaabitanti, eppureFrancoforte è a tuttigli effetti una «cittàglobale». La sua areametropolitana supe-ra infatti i 5,3 milionidi residenti ed è unodei centri finanziariprincipali d’Europa.Qui ha sede la Bancacentrale europea, laBanca federale tede-sca e la borsa di Fran-coforte [terza almondo per volumedi scambi azionari].L’aeroporto di Fran-coforte sul Meno èuno degli scali piùtrafficati del mondo,la stazione centraledella città è uno deiterminal più grandid’Europa, con oltre130 milioni di pas-seggeri annui, e l’in-terscambio dell’Au-tobahn A3 - A5, chesi trova nell’area ur-bana della città, è ilpiù utilizzato delcontinente.

4,1 MILIARDI Nel 1950, circa 275 milioni di persone vivevano nelle città del sud del mondo. Secondo le stimedelle Nazioni unite, oggi la popolazione urbana mondiale ha superato i tre miliardi: due terzi di questi risiedono in areemetropolitane. Le proiezioni dell’Onu affermano che nel 2025 oltre 4,1 miliardi pari all’80 per cento della popolazioneurbana mondiale risiederà nelle grandi città delle regioni più povere del mondo.

««

La città è politicamente uno spazio moltopiù concreto di quello nazionale: attori politicinon-formali possono diventare parte della scenapolitica, cosa molto più difficile a livello nazionale.Qui si fa largo un ampio raggio di azioni politiche:le occupazioni, le lotte per i migranti e i gay...

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scono in territori locali con obiettivi specifici mache si ripetono in tutto il mondo.

Nelle grandi città occidentali esiste ancheun’economia informale, che coinvolge appun-to comunità di migranti, baraccopoli e reti del-l’altra economia. Condividi l’opinione di chi, co-me Zygmunt Bauman, sostiene che le metropo-li contengono «discariche di rifiuti umani», maanche le «palestre» in cui è possibile sperimen-tare forme nuove di incontro e convivialità?

Sì, io penso che ci siano delle possibilità, anchese non possiamo essere romantici. Per citare unesempio, nei paesi ricchi come gli Stati uniti pos-siamo vedere che al di sotto delle logiche impe-riali rafforzate che organizzano la politica eco-nomica degli Stati uniti di oggi, alcune dinami-che sociali emergenti stanno consentendo agruppi svantaggiati e minoranze di mettere inpratica nuove forme di politica. Nuovi tipi diprotagonisti politici stanno prendendo forma, ecambiano la relazione tra lo Stato e l’individuo.Se consideriamo la cittadinanza come un con-tratto sociale, incompleto e teorico, tra lo Statoe il cittadino, e concentriamo la nostra indagineproprio sul tema dell’incompiutezza, alloraapriamo la possibilità di discutere di politiche.

questi nuovi tipi di operazioni. È un luogo strategico per il capitaleaziendale globale. Ma è anche uno di quei luoghi dove la formazionedi nuove richieste da parte di protagonisti politici informali assumeforme concrete.

Esiste dunque una globalizzazione verticale più evidente, ma neesiste anche una orizzontale, fatta da attori, spesso invisibili, che agi-

Una buona parte di questo processo non è for-malizzato, e si potrebbe pensarlo come pre-po-litico, ma io sostengo invece che sia meglio con-siderarlo come politica informale o «non-anco-ra-formale».

La globalizzazione e le nuove tecnologie infor-matiche e di telecomunicazione hanno reso pos-sibile a una varietà di protagonisti politici loca-li l’ingresso in arene internazionali, una volta ri-servate agli Stati nazionali. Il diventare globaliè stato in parte facilitato e condizionato dall’in-frastruttura dell’economia globale, perfinoquando essa è stata oggetto di opposizione. Inol-tre, dal mio punto di vista, la possibilità di imma-ginari globali ha consentito, anche a chi è geogra-ficamente immobile, di diventare parte della po-litica globale.

I popoli indigeni e le organizzazioni non go-vernative, i migranti e i rifugiati, soggetti delledecisioni sulle politiche dei diritti umani, lotteper i diritti umani e per l’ambiente, le reti dell’al-tra economia e molti altri movimenti di questotipo stanno sempre di più diventando attori del-la politica globale, anche quando sono profonda-mente legati a un solo luogo. In questi processi,

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MadridLa capitale dellaSpagna è il comu-ne più popolosodel paese, il terzodella Ue. La regio-ne autonoma diMadrid occupaun territorio di ot-tomila chilometriquadrati e ha 5,5milioni di abitanti[la sua rete me-tropolitana è laseconda d’Euro-pa]. Negli ultimivent’anni alle tra-dizionali attivitàamministrative efinanziarie si so-no unite altre atti-vità legate al busi-ness del turismo,della cultura e deldivertimento.

PARIGI Dopo Londra, Berlino, Madrid e Roma, Parigi è il quinto comune più popolato dell’Unione europea, ma l’area metropolitana più popolatad’Europa, con circa dodici milioni di abitanti [erano soltanto sei milioni negli anni cinquanta, 9,4 milioni negli anni ottanta], un quinto dei qualidi origine immigrata. La capitale della Francia ospita quasi il cinquanta per cento delle sedi centrali delle compagnie transnazionali francesi[ma anche la sede dell’Unesco] ed è il più grande distretto finanziario d’Europa. Parigi, infine, è la seconda più grande borsa d’Europa.

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Anche lo svuotamento e la crisi di ciò che è «spazio pubblico» sem-bra cambiare il significato dell’azione politica nelle città.

Non c’è dubbio. L’enormità dell’esperienza urbana, la presenza op-primente di architetture massicce e infrastrutture dense, così co-me le logiche utilitaristiche irresistibili che organizzano molti in-vestimenti nelle città di oggi, hanno prodotto il dislocamento e l’alie-nazione di molti individui e di comunità intere. Tali condizioni scon-volgono le vecchie nozioni e le esperienze delle città in generale edello spazio pubblico in particolare. Un aspetto che rende visibilequesto processo è la tanto discussa crisi dello spazio pubblico, cau-

attori non-statali possono entrare sulla scenae guadagnare visibilità in ambito internazio-nale, come individui o come movimenti. Co-sì riescono ad emergere dall’invisibilità del-l’appartenenza collettiva, che negli Stati-na-zione è rappresentata esclusivamente dal so-vrano.

Insomma, la crescita del settore delle infor-mazioni e delle telecomunicazioni non hannoreso obsolete le città come si pensava.

sata dalla crescente commercializzazione,«parchizzazione» e privatizzazione dellospazio pubblico.

Lo spazio pubblico monumentale dellecittà europee resta uno scenario efficaceper i riti urbani, per le manifestazioni e i fe-stival. Eppure, sempre di più, il senso co-mune percepisce lo slittamento da uno spa-zio «civico» a uno più politicizzato, fram-mentato secondo nuove linee di frattura

Buenos AiresCon la crescita demografica esponenziale degli ultimi decenni,la capitale argentina Buenos Aires si è ingrandita tanto da unirsiad altre ventiquattro municipi vicini, creando una caotica metro-poli nella quale vivono 14,3 milioni di abitanti. Buenos Aires diven-ta una città molto popolata all’inizio del XIX secolo, con l’arrivodi una massiccia immigrazione, soprattutto spagnola e italiana.La città delle madri di Plaza de Mayo e dei piqueteros è forse la cit-tà in cui più evidente è la crisi globale dei ceti medi: non è un casoche qui si sia registrata probabilmente la più grande tra le proteste[il «cacerolazo» del 19, 20 e 21 dicembre 2001] delle classi medieimpoverite, dal blocco dei risparmi bancari: facendo risuonarele pentole di casa, il cacerolazo ha provocato la caduta di un gover-no nazionale [quello del presidente De La Rua].

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che rispecchiano la ricomposizione del-la società.

La possibilità di fare politica ha as-sunto nuovi significati, negli ultimi duedecenni, periodo segnato dall’aumentodell’autorità o del potere privati su spa-zi una volta considerati pubblici.

Inoltre, negli ultimi cinque anni gliStati hanno cercato di militarizzare lospazio urbano e di farne un oggetto disorveglianza. Allo stesso tempo, la cre-scente «leggibilità» delle restrizioni,della sorveglianza e delle politiche di di-slocazione forzata rende sempre più po-liticizzato lo spazio urbano. Il caso piùfamiliare, forse, è l’impatto della «riqua-lificazione», in senso residenziale e com-merciale, di interi quartieri, ciò che cau-sa il trasferimento forzato dei vecchi abi-tanti. Da ciò nascono nuovi soggetti po-litici, concentrati sulla contestazionepiuttosto che sull’elaborazione di unnuovo senso civico.

L’espulsione fisica delle famiglie abasso reddito, l’esclusione degli usi noncommerciali e l’estromissione delle atti-vità economiche di quartiere rende visi-bile una relazione di potere, cioè il con-trollo di una parte sull’altra, espresso di-rettamente attraverso lo sfratto o indi-rettamente attraverso i meccanismi delmercato. Questa politicizzazione dellospazio urbano e la sua leggibilità è ancheevidente nella proliferazione delle bar-riere fisiche in spazi una volta pubblici,

80%SU SCALA GLOBALE, il fenomeno dell’urbanizzazione non è uniforme: in paesi del Sud Americacome il Venezuela, l’Uruguay e l’Argentina, la popolazione urbana è superiore all’80 per centodel totale nazionale; in paesi africani quali l’Etiopia, il Mali, l’Uganda, il Burkina Faso, il Burundila popolazione urbana è inferiore al 20 per cento. In India è intorno al 29 per cento, in Cina il 41 per cento.

««Negli ultimi cinque anni gli Stati hanno

cercato di militarizzare le aree metropolitane,di farne un recinto sorvegliato. Questo rendesempre più politicizzato lo spazio urbano.E il caso più frequente, la «riqualificazione»di interi quartieri e il trasferimento degli abitanti,fa nascere nuovi soggetti politici

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un fenomeno forse più pronunciato nelle cittàstatunitensi.

Il «fare» a cui mi riferisco in questo momen-to è quello dell’azione politica su piccola scala,degli interventi locali costruiti attraverso la par-tecipazione delle persone e gli interventi criticie artistici di piccolo e medio livello. Non pensoagli spazi pubblici monumentali o a quelli giàpronti, che sarebbe meglio definire spazi «aper-ti al pubblico» piuttosto che «pubblici» in sensoproprio.

Quali altri significati assume il fare politica nel-le città?

La «creazione» dello spazio pubblico è un lavoropolitico, nelle città globali di oggi. E apre doman-de sulla situazione urbana contemporanea che igrandi spazi della corona e dello Stato, o gli spa-zi «aperti al pubblico», non sono in grado di por-re. Captare questa elusiva qualità che le città ren-dono possibile e leggibile, il lavoro della politicain questa zona intermedia, non è affatto facile. Lalogica utilitaristica non funziona. Non posso fa-re a meno di pensare che l’arte sia parte della ri-sposta, sia che si tratti di occasionali installazio-ni o performance pubbliche, sia che si tratti disculture di tipo più durevole, sia che si tratti di ar-te specifica di una comunità o di una località, oche si tratti di arte nomade, capace di circolare.

Inoltre, le nuove tecnologie aprono ed estendono questa domanda diazione in piccoli spazi e attraverso l’azione dei cittadini. Una doman-da che potrebbe essere posta è come «urbanizzare» l’«open source».

Una nuova forma di disuguaglianza ha a che fare con il tipo di eco-nomia informale che è collegata, direttamente o indirettamente, conil capitalismo avanzato. La crescente «informalizzazione» di un am-pio settore di attività reintroduce la comunità e la famiglia come unimportante spazio economico della città globale. Mi sembra che l’in-formalizzazione, sia nei settori economici a basso costo, spesso fem-minili, sia l’equivalente della «deregulation» in cima alla piramidedel sistema. Come per la «deregulation», l’informalizzazione intro-duce flessibilità, riduce i «fardelli» e abbassa i costi, in questo caso

soprattutto il costo del lavoro. L’informa-lizzazione nelle grandi città dei paesi ric-chi, come New York, Londra, Parigi o Ber-lino, può essere vista come la degradazio-ne di alcune attività per le quali c’è un’ef-fettiva domanda, ma anche un’altissimaconcorrenza e una svalutazione del lavo-ro, a causa dei bassi costi d’ingresso sulmercato e la mancanza di forme alterna-tive di impiego.

Entrare nel «nero» è ormai un modo perprodurre e distribuire beni e servizi a un co-sto molto più basso e con maggiore flessibi-lità. Così, però, queste attività di svalutanoancora di più. Per questo, i migranti e le don-ne sono attori importanti dell’economia in-formale, e ne subiscono il costo. �

Città del MessicoLa città messicana più popolata, Cit-tà del Messico, conta 9,8 milioni diabitanti, ma l’area metropolitanacomplessiva è abitata da 24,8 milio-ni di persone [è così la seconda areapiù grande del mondo dopo quelladi Tokyo].La città è caratterizzata anche dallasua estensione, avendo una longitu-dine di più di cinquanta chilomentrie una latitudine di trentacinque, eda ben cinquecento grattacieli. Cit-tà del Messico è anche il contesto ur-bano più caotico e inquinato del pia-neta, anche per le sue cinquanta-quattro zone industriali.

BangkokLa città che ha conosciu-to il più rapido sviluppoindustriale del mondo èBangkok. Soltanto nel1999, nella città tailan-dese è stata aperta unadoppia e faraonica lineaferroviaria sopraeleva-ta, e soltanto nel 2004la prima linea della me-tropolitana sotterra-nea. L’aeroporto inter-nazionale di Bangkok èuno dei più trafficati delSud Est asiatico.

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TOKYO La capitale giapponese viene oggi considerata come una delle 47 prefetture del Giappone e il governo e l’imperatore risiedono nel quar-tiere di Chiyoda. Con una popolazione superiore ai dodici milioni, è di gran lunga la prefettura più popolosa e più densamente popolata.Secondo il rapporto urbanistico delle Nazioni unite, quello di Tokyo-Yokohama è anche il più grande agglomerato urbano del mondo [poco meno di28 milioni di abitanti] e ha un Prodotto interno lordo pari a quello della Francia [oltre 1.400 miliardi di euro].

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E GRANDI CITTÀ ITALIANE, secondo Saskia Sassen, non so-no «città globali». Ad alcune trasformazioni che attra-

versano le nostre metropoli erano dedicate le analisi di Marco Guer-zoni, Maurizio Pallante e Massimo Ilardi, su «non-luoghi» e «super-luoghi», pubblicate su Carta della scorsa settimana. Un’altra tappa diquesto viaggio tra i mutamenti urbani la facciamo con Antonietta Maz-zette, docente di Sociologia urbana e coordinatrice del Centro studi ur-bani presso l’Università di Sassari [www.centrostudiurbani.it]. Colla-

grandi città italiane. Sia quelle industriali, come Torino, Milano e Ge-nova, che molte delle città medio-piccole. Tutte queste hanno vissu-to una crisi urbana con la delocalizzazzione industriale e poi, alme-no nel caso di Genova e di Torino, una lenta «rinascita» legata alla pro-mozione dei grandi eventi, a cominciare dalle Colombiadi di Genovae dalle Olimpiadi invernali di Torino: le città sono state ripensate, al-cune aree dismesse hanno subito importanti trasformazioni e oggi nonsono più legate alla produzione materiale, ma a quella immateriale.

edili torinesi: hanno costruito per i milanesi che non ce la fanno più astare dietro i costi delle case nel centro di Milano. Del resto, i progettidelle «aree metropolitane» non sono mai decollati perché nessuno vuo-le rinunciare a nulla. E poi, le città italiane hanno una identità forte euna lunga storia alle spalle, rispetto alle altre città del mondo.

D’altra parte, però, il principale cambiamento che ha attraversa-to le città globali, cioè il passaggio dal fordismo al postfordismo e dun-que i mutamenti della produzione e del lavoro, ha coinvolto anche le

intervista a Antonietta Mazzette di G. Ca.

lano è l’unica che si avvicina alle «città globali» in-dividuate da Saskia Sassen, ma fatica ad essere unpolo di attrazione perché ha un potere di control-lo scarso, persino rispetto a Torino, dove la Fiat èriuscita in qualche modo a mantenere un control-lo, se non con la grande fabbrica almeno con l’af-fermazione del proprio marchio. Chi dice che staper nascere la grande città-regione Torino-Mila-no sbaglia: le due città restano in grande compe-tizione tra loro e con altre città. Per ora l’Alta ve-locità ha soltanto favorito alcuni imprenditori

boratrice del sito eddyburg.it, Antonietta Mazzet-te, con Emanuele Sgroi, è anche autrice, di «Lametropoli consumata. Antropologie, architettu-re, politiche, cittadinanze» [Franco Angeli].

Perché le grandi città italiane non sono «cittàglobali»?

Le nostre città non hanno i grandi centri della fi-nanza, non hanno l’alta tecnologia, non hanno igrandi flussi di persone che abbandonano le cam-pagne per rinchiudersi nelle periferie, come adesempio Shangai, e non hanno neanche il nume-ro complessivo di abitanti di altre megalopoli. Mi-

Quali sono le principali forme di esclusione e in-clusione sociale, in questi ambiti urbani?

Tutte le città ormai sono «città del consumo», enon solo in quanto contenitori. Nei contesti ur-bani l’inclusione sociale è legata al consumo, siaccede alla città se si hanno relazioni e beni eco-nomici e culturali sufficienti per consumare. Es-sere cittadini con alcuni diritti e doveri impre-scindibili è cosa diversa dall’esserlo in quantoconsumatori. Per questo gli esclusi sono ovunque

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Metropoliconsumate

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Page 10: REP SASSEN 12-02-2008 17:27 Pagina 18 città · Saskia Sassen è la più importante analista e narratrice delle metropoli REP SASSEN 12-02-2008 17:27 Pagina 19. 20 • CARTA N. 5

Milano Nellafoto, una vedutadel capoluogo lom-bardo, unica cittàitaliana che siavvicina alle «cittàglobali». Ma i flussidella grande finan-za e quelli delleemigrazioni dallecampagne hannoaltre mete.

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ma restano, almeno per un po’ di anni, proprietari di case e dunquerimangono in ambienti non immediatamente identificabili come ter-ritori di esclusione, anche se lentamente lo diventano.

La nostra società si sta «americanizzando»: tra qualche anno tut-to questo, con la perdita delle casa di molte persone, sarà più eviden-te. Ma non c’è attenzione a questi cambiamenti epocali ,da parte del-la politica e delle amministrazioni locali: il loro unico obiettivo restarendere attraenti le città per i consumatori, rifarsi continuamente illook. Per questo sono assillati dal promuovere turismo urbano: così,ad esempio, un quartiere popolare e operaio come l’Isola di Milano di-venta il quartiere dei locali creativi e i suoi vecchi cittadini vengono

nità dei migranti, che sono un universo moltoplurale per storie, lingue e culture e, salvo il ca-so dei cinesi a Milano, dove si sono appropriatidi grandi spazi urbani, non sono ancora un atto-re riconoscibile. Ma penso anche ai movimentisociali, quelli che qualcuno ancora chiama conuna pessima definizione «no global»: sono anco-ra pochi gli elementi per dire che questi movi-menti in Italia, tranne forse in alcune città, so-no usciti dai margini della vita urbana.

in aumento: tutti i dati statistici lo confermano.Del resto, le città chiedono ai cittadini una for-te «identità del consumatore» ma, come pone an-che in evidenza Saskia Sassen, esistono fasce so-ciali che persino visivamente non hanno l’«iden-tità del consumatore».

Nel suo ultimo libro, ancora non tradotto inItalia, Sassen parla di città globali ma anche di«classi globali», per raccontare chi sono i nuoviemarginati. Nelle città italiane, questi nuoviesclusi non coincidono con quelli degli «slums»raccontati e analizzati da Mike Davis, che sonoclassi emarginate più sotterranee: ai migranti ealle persone che vivono forme di povertà estre-ma si affiancano sempre più spesso persone ap-partenenti a ceti medi. È inquietante quanto inItalia si stanno riducendo i ceti che stanno inmezzo, senza che il problema venga sollevato:eppure, un numero crescente di persone scivo-la verso povertà ed esclusione, anche se, ripeto,ciò avviene in modo poco visibile e ovunque inmodo frammentato. Faccio un esempio: moltepersone dei ceti medi possono perdere il lavoro

estromessi o comunque emarginati.

Saskia Sassen parla molto anche di «attori poli-tici informali». E da noi?

Nelle città italiane possiamo osservare alcuni at-tori politici informali che hanno grandi poteri, adesempio alcune imprese multinazionali: se Car-refour o Auchan vogliono aprire un ipermerca-to non hanno bisogno di rispettare Piani regola-tori o di partecipare a negoziazioni con attori po-litici riconosciuti. Lo fanno, consumano suolo, ebasta. Ci sono poi attori non formali che però nel-le città italiane non riescono ancora ad avere unruolo importante: penso ad esempio alle comu-

Perché in molti dei suoi ultimi studi e articoli lei usa la definizione di«metropoli consumate»?

«Metropoli consumata» allude all’idea che il consumo è diventato lamodalità di agire di ogni pratica economica e sociale: è la città stes-sa infatti a innescare processi di consumo. Si è affermata l’idea secon-do la quale «si stanno riducendo i consumi, quindi siamo in crisi». Maquella definizione allude anche alla metropoli che consuma spazi fi-sici come mai prima: lo «sprawl», il consumo senza limiti di suolo, haraggiunto livelli preoccupanti in Italia, lo ha detto anche la Ue, ma sicontinua a ignorare quei richiami. Di certo, il turismo sta acceleran-do questi processi, pensiamo ad esempio a quanto accade alle coste.Metropoli consumate, dunque, significa anche città usurate.�

Le città italiane non hanno i numeri e le caratteristiche delle «città globali», ma il post-fordismo ha comunque cambiato la loro storia e l’idea di cittadinanza.Una sociologa urbana spiega come alle città acceda solo chi può consumare

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