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Introduzione A trent’anni dal convegno sulla Megalopoli mediterranea, 1 promosso dall’Università degli Studi di Bergamo, la manifestazione odierna ha un duplice significato: opportunità di confronto, per specialisti di diversa formazione e provenienza, sui percorsi di ricerca e azione relativi agli spazi urbani e occasione di ricordo del carissimo prof. Lelio Pagani che attivamente contribuì alla realizzazione dell’incontro del 1977. Prima della sua prematura scomparsa, nel gennaio 2006, Lelio Pagani, in col- laborazione con Calogero Muscarà, aveva avviato, nell’ambito delle at- tività del Centro Studi sul Territorio dell’Università degli Studi di Be- gamo, il progetto di una manifestazione culturale nel trentesimo anniver- sario della riflessione sulle ‘megalopoli in formazione’. L’odierno conve- gno Gli spazi urbani tra immaginario e realtà ha ripreso e attuato tale in- tento. L’attività scientifica di Lelio Pagani, professore straordinario di geogra- fia presso l’Ateneo di Bergamo, si è articolata intorno a numerosi filoni di ricerca: la cartografia storica, la geografia storica (con particolare attenzio- ne alle fonti per lo studio del territorio), la geografia regionale, la geogra- fia del turismo, l’analisi dei processi formativi del territorio e del paesag- gio, la tutela del patrimonio paesaggistico, la pianificazione urbanistica e territoriale, la letteratura di viaggio, le aree protette e l’educazione am- bientale. La valorizzazione e la piena consapevolezza degli apporti forniti dal prof. Pagani in tali settori di ricerca potranno e dovranno essere og- getto di specifici percorsi culturali. 1 Gli esiti di tale appuntamento culturale sono confluiti nel volume curato da C. Muscarà, Megalopoli mediterranea, Milano, Franco Angeli, 1978. Renato Ferlinghetti Paesaggi minimi e spazi urbani DINTORNI VI (2009), pp. 273-296

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Introduzione

A trent’anni dal convegno sulla Megalopoli mediterranea,1 promossodall’Università degli Studi di Bergamo, la manifestazione odierna ha unduplice significato: opportunità di confronto, per specialisti di diversaformazione e provenienza, sui percorsi di ricerca e azione relativi aglispazi urbani e occasione di ricordo del carissimo prof. Lelio Pagani cheattivamente contribuì alla realizzazione dell’incontro del 1977. Primadella sua prematura scomparsa, nel gennaio 2006, Lelio Pagani, in col -laborazione con Calogero Muscarà, aveva avviato, nell’ambito delle at -tività del Centro Studi sul Territorio dell’Università degli Studi di Be -gamo, il progetto di una manifestazione culturale nel trentesimo anniver-sario della riflessione sulle ‘megalopoli in formazione’. L’odierno conve-gno Gli spazi urbani tra immaginario e realtà ha ripreso e attuato tale in-tento.

L’attività scientifica di Lelio Pagani, professore straordinario di geogra-fia presso l’Ateneo di Bergamo, si è articolata intorno a numerosi filoni diricerca: la cartografia storica, la geografia storica (con particolare attenzio-ne alle fonti per lo studio del territorio), la geografia regionale, la geogra-fia del turismo, l’analisi dei processi formativi del territorio e del paesag-gio, la tutela del patrimonio paesaggistico, la pianificazione urbanistica eterritoriale, la letteratura di viaggio, le aree protette e l’educazione am-bientale. La valorizzazione e la piena consapevolezza degli apporti fornitidal prof. Pagani in tali settori di ricerca potranno e dovranno essere og-getto di specifici percorsi culturali.

1 Gli esiti di tale appuntamento culturale sono confluiti nel volume curato da C.Muscarà, Megalopoli mediterranea, Milano, Franco Angeli, 1978.

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DINTORNI VI (2009), pp. 273-296

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Costante nei suoi percorsi di ricerca fu l’attenzione alla cultura deiluoghi, anche in conseguenza degli esiti delle profonde trasformazioni delpaesaggio non sempre adeguate al portato naturale e culturale che carat-terizzano il nostro territorio. Se espresse speranza verso i nuovi comporta-menti in campo ecologico che evidenziano come stia maturando unanuova sensibilità “sul fronte dei valori di natura e di storia combinati in-sieme come scenario delle nostre vite, sui valori di paesaggio”, egli af-fermò “la sensibilità è invece molto debole, il cammino da compiere, intermine di cultura dei luoghi e di costruzione del comportamenti, è anco-ra molto lungo: anzi sembra non sia dato intravedere una meta”.2

L’impegno per favorire la crescita delle nostre sensibilità sui valori se-dimentati nel paesaggio è l’elemento che probabilmente più distinguel’opera intellettuale di Lelio Pagani.3 La sua capacità di ricercatore, che hasaputo mettere in evidenza il ruolo di nuove o poco conosciute fonti perl’analisi geografica, si intreccia intimamente al dovere morale e civile diun’attenta e capace azione di gestione dei beni territoriali.

La sua posizione non fu mai marcatamente difensiva o strettamenteprotezionistica, generalmente si schierava per la novità, l’innovazione, ac-cettando la sfida che ogni cambiamento comporta,4 ma nel contemposollecitava in modo continuo collaboratori, cittadini e istituzioni affinchél’azione territoriale, generatrice di nuovi segni, dialogasse in modo ade-guato con l’armatura storico-paesaggistica locale al fine di generare esitidi qualità.

Dagli interventi trasformativi particolarmente intensi del nostro tempopossiamo infatti ricavare lo stimolo per approfondire la conoscenza della

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2 L. Pagani, “Premessa”, in R. Ferlinghetti, M. Fiorina, L. Pagani, Paesaggio ambiente,Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. Studi e analisi, vol. D3, Bergamo, Pro-vincia di Bergamo, 2002, pp. 1-4.

3 Per una raccolta degli scritti di Lelio Pagani relativa ai temi del restauro, tutela e va-lorizzazione del paesaggio si veda R. Ferlinghetti (a cura di), Per una cultura dei luoghi.Antologia di scritti di Lelio Pagani, Monumenta Bergomensia, LXXIII, Bergamo, Univer-sità degli Studi di Bergamo, Provincia di Bergamo, Ateneo di Scienze lettere e Arti di Ber-gamo, 2008.

4 Nel suo testamento culturale così si è espresso “A bivi, ho cercato quasi sempre dischierarmi dalla parte del nuovo, del progresso, ma chiedendo il dono del giudizio, dellaprudenza. Su questa base sento di chiudere i miei giorni con fiducia nel futuro che vieneincontro, convinto della forza della grazia proveniente dalle grandi trasformazioni: le no-vità, anche se talvolta stravolgenti, del tempo e dei luoghi non possono non portare unoslancio vivificatore nella storia e, nello specifico, nella storia della salvezza”.

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specificità dei luoghi, per non interrompere la linfa che può andare dalpassato al futuro, per guidare la costruzione illuminata di una novità de-gna della storia.5

La tensione per un’integrazione feconda tra “vecchio” e “nuovo” lospinse a un ampio e defatigante impegno sociale e politico, oltre che cul-turale. Articolata fu la sua azione diretta in campo amministrativo, espli-cata a diverse scale territoriali e in numerosi ambiti istituzionali, spesso inconcomitanza di fasi di particolare difficoltà.

Rigore scientifico, impegno civile, apertura e azione attiva e consape-vole per la costruzione del futuro ci permettono di sottolineare che LelioPagani ha saputo esprimere al meglio le proprie potenzialità, i suoi talen-ti, in ‘primis’, come ebbe modo di augurare ai Soci dell’Ateneo di ScienzeLettere e Arti di Bergamo, in qualità di presidente, nella seduta di apertu-ra dell’anno accademico 2004/2005, il talento del tempo, da spenderebene, per la realizzazione di sé, dei propri sogni, dei propri progetti, se-condo un disegno il più possibile alto.

Tali qualità personali, come ha acutamente espresso monsignore LorisFrancesco Capovilla, nell’omelia tenuta nel primo anniversario della suamorte, hanno reso il prof. Lelio Pagani “…maestro credibile. (Egli n.d.a.)incarnava la formula dell’ordinazione diaconale che gli si attagliava apuntino: assimila il Vangelo di Cristo di cui sei costituito annunciatore.Credi a ciò che leggi, insegna ciò che credi, pratica ciò che insegni.”

I relatori che mi hanno preceduto, molti dei quali legati al prof. Paganida rapporti scientifici e di sincera stima e amicizia, hanno fornito spuntipreziosi per la comprensione degli aspetti materiali e immateriali e delledinamiche degli spazi urbani contemporanei. Il loro approccio ha general-mente privilegiato la scala vasta, il mio intervento, anche per un completa-mento dell’analisi, utilizza invece una lente di maggior dettaglio, quella delsguardo, della dimensione puntuale di carattere fisico-spaziale. Dietro edentro l’ipermodernità dei contesti urbani vi sono i luoghi messi ‘sottosforzo’ dalle potenti e spesso prepotenti dinamiche territoriali. Le continuee pervasive trasformazioni generano più ferite che segni nel territorio, nonriconoscendone i valori antropologici, fisici e biologici. La progettualitànon persegue il dialogo con la realtà tangibile, l’in te ra zio ne feconda con i

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5 L. Pagani, Storia e caratteri del territorio bergamasco, in Piano Territoriale di Coordi -namento Provinciale. Studi e analisi, vol. D0, Bergamo, Provincia di Bergamo, 2002, p. 3.

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caratteri locali6 dei quali spesso non sa, né vuole, leggere la trama, limitan-dosi a una sostituzione generatrice di atopie e omologazione.

Negli ultimi anni, in una prospettiva geografica, mi sono interessatodi luoghi e di biodiversità, con particolare attenzione ai contesti urbaniz-zati.7 Con insistenza ho constatato come i due aspetti siano strettamente

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6 Così descrive il disincanto tra pianificazione e paesaggio M. Quaini, per la Liguria,“…ciò che mi faceva paura non era soltanto la macchinosità del progettare oggi – una mac-china che nella babele dei piani, dei livelli istituzionali e dei linguaggi delle diverse compe-tenze disciplinari ti può schiacciare, se non riesci a controllarne la complessità per ridurla al-la dimensione dell’abitare. (…). Mi è bastato “scollinare” di là dalla dorsale del castello, percominciare a capire la distanza che può correre, fra i progetti fatti a tavolino e oggettivatisulle carte e la realtà percepita e vissuta, fra il paesaggio – il “vestito” che ci rende riconosci-bile il territorio – che nessuno sembra curarsi di conoscere e tanto meno “curare” o lo spazioprogettato dalla folla (o follia?) di tecnici che come stilisti impazziti si affannano a rivestire ilterritorio di un nuovo abito, accorciandolo qui, tagliando là… senza avergli preso le “misu-re” e averlo minimamente “ascoltato.” M. Quaini, “Forse una mattina andando…”, in A.Turco (a cura di), Paesaggio: pratiche, linguaggi, mondi, Reggio Emilia, Diabasis, p. 146.

7 R. Ferlinghetti “Ambiti significativi del pianalto lombardo: storia, dinamiche, criti-cità, potenzialità”, in L. Pagani (a cura di), Vegetazione e paesaggio. Valori, potenzialità efunzioni del verde per un paesaggio di qualità nell’alta pianura lombarda, Quaderni, Berga-mo, Università degli Studi di Bergamo - Centro Studi sul Territorio, Bergamo, 2005; M.Lorenzi, R. Ferlinghetti (a cura di), Rete Natura 2000. I Siti di Importanza Comunitaria inprovincia di Bergamo, Bergamo, Provincia di Bergamo - Servizio Aree Protette, Universitàdegli Studi di Bergamo - Centro Studi sul Territorio, 2006; R. Ferlinghetti (a cura di), Iltorrente Morla. Caratteri - valori - prospettive, Quaderni, 16, Bergamo, Università degli Stu-di di Bergamo - Centro Studi sul Territorio “Lelio Pagani”, Provincia di Bergamo - SettoreTu tela Risorse Naturali, Servizio Aree Protette, 2007; R. Ferlinghetti, M.R. Baldini, E.Marchesi, “Azioni per la qualità ambientale nei paesaggi urbani: alcune esperienze lombar-de”, in J. Schiavini Trezzi (a cura di), Il paesaggio tra realtà e rappresentazione, Bergamo,Bergamo University Press - Sestante edizioni, 2008, pp. 207-230; F. Adobati, A. Arzuffi, A.Azzini, R. Ferlinghetti, E. Marchesi, G. Mazza, A. Oliveri, Linee guida per il dimensiona-mento e l’individuazione degli sviluppi insediativi, per la verifica dell’impatto ambientale e del-la qualificazione architettonica ed urbanistica degli interventi di trasformazione territoriale ededilizia. Addendum Abaco progettuale, LGSvL - Linee guida del PTCP della Provincia di Ber-gamo, Bergamo, Provincia di Bergamo, 2008, pp. 1-208; R. Ferlighetti, “Introduzione”,pp. 1-2, “Reti ecologiche: una trama di significati in continua evoluzione”, pp. 25-33, “Re-ti ecologiche percorsi primari verso la sostenibilità territoriale”, pp. 34-41, “La strutturaecologico-ambientale”, pp. 43-62, “L’armatura storico-paesaggistica”, pp. 63-72, inAA.VV., Piano di settore della rete ecologica provinciale. Documento preliminare di piano. Ot-tobre 2008, PdSRE - Piani di Settore del PTCP della Provincia di Bergamo, Bergamo, Pro-vincia di Bergamo, 2008, pp. 1-74; R. Ferlinghetti (a cura di), Dalla flora ai paesaggi diqualità. Lorenzo Lotto e il nostro tempo, Quaderni, 17, Bergamo, Università degli Studi diBergamo - Centro Studi sul Territorio “Lelio Pagani”, 2009. Assai significativi sono risul-tati gli esiti della ricerca: “Progetto di verifica degli aspetti naturalistici, paesaggistici eideologici dei fontanili della pianura bergamasca, con formulazione di proposte gestionalifinalizzate alla loro conservazione e valorizzazione” (Fasi I - VI - Bergamo 2007-2008)

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correlati: gli artefatti sia fisici che biologici che più caratterizzano i luoghisono generalmente quelli più dotati di varietà di specie, dimostrando unintreccio tra artificialità e naturalità che, per certi aspetti, già esemplificagli esiti a cui deve tendere l’attuale esigenza di rafforzamento e valorizza-zione degli aspetti paesaggistico-identitari e biologici dei luoghi urbani.

Ho definito paesaggi minimi le tessere territoriali, costituite da super-fici esigue, frutto della trasformazione umana, inserite in contesti ad ele-vata antropizzazione e caratterizzate da originalità, specificità geografica,valore storico-paeaggistico e identitario, habitat di biocenosi di pregio na-turalistico poco diffuse nei contesti contermini.

Il contributo vuole illustrare i loro caratteri e le loro potenzialità neicontesti della proliferazione insediativa. La riflessione muove da un esplici-to ‘posizionamento’, cioè da un osservatorio determinato, la Lombardiache, oltre ad essere l’area laboratorio delle mie ricerche, costituisce uno deicontesti di maggior vivacità territoriale in senso urbanistico e non solo ascala europea.

Lo scritto si apre con un ampio preambolo che, forse in modo didascali-co, ma penso utile, richiama alcune invarianti del territorio lombardo, spes-so sottaciute o poco considerate, che costituiscono lo sfondo, il portato sto-rico-paesaggistico e biologico, con il quale dobbiamo relazionarci al fine diun suo attivo rafforzamento nella prassi territoriale. Verranno richiamatil’ele vata varietà fisica e biologica regionale, la profonda stratificazione storicae gli elementi della ‘lombardità’ secondo il piano territoriale paesistico regio-nale. Infine prima di affrontare i paesaggi minimi saranno sottolineate alcu-ne peculiarità del percorso delle politiche ambientali regionali.

Le invarianti strutturali: elevata varietà fisica e biologica

Lombardia terra piatta, Lombardia terra di nebbie, Lombardia terradella Padania, Lombardia terra povera di biodiversità, Lombardia territo-rio monotono ed omogeneo, sono questi alcuni luoghi comuni che inte-ressano la nostra regione. Invece oltre il 50 per cento della superficie lom-barda è costituita da colline e montagne; le nebbie, pur presenti, sonoben lungi dall’essere comuni, si pensi, ad esempio, alla loro comparsa spo -radica nei settori montani e collinari e nell’alta pianura.

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commissionata dalla Provincia di Bergamo, Settore Tutela Risorse Naturali - Servizio AreeProtette, al Centro Studi sul Territorio “L. Pagani” dell’Università degli Studi di Bergamo,coordinata da R. Ferlinghetti.

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Nel territorio lombardo sono rappresentati i settori alpini e prealpini,nell’Oltrepò Pavese, anche quello appenninico. La pianura è a sua voltaarticolata in alta e bassa, divise a loro volta in numerosi subambiti, sipensi, per l’alta pianura, ai pianalti fenettizzati (groane, bedesco, brughie-re), alle valli escavate, agli anfiteatri morenici, ai magredi, alla campagnabresciana, ai monti orfani ed altro ancora. Manca dal territorio lombardosolo il mare, i cui caratteri sono in parte evocati dai grandi bacini lacustri,Como, Iseo, Garda, le cui sponde presentano numerosi lineamenti sub-mediterranei.

Tale diversità si riflette sui processi di reificazione territoriale che neiloro aspetti tradizionali presentano elevata specificità geografica, nell’usodei materiali, nelle tecniche edificatorie, nell’organizzazione della tramadegli insediamenti e del mosaico agricolo.

Le Prealpi Lombarde, con particolare enfasi nelle aree perilacustri, so-no tra le zone del nostro Paese più ricche di forme viventi, molte dellequali esclusive di tale settore geografico. Per numero di specie e di ende-miti le Prealpi Lombarde costituiscono un punto caldo (hot spot) dellabiodiversità di livello continentale.8 La flora e la fauna sono talmente ric-che e diversificate che alcuni definiscono le Prealpi Lombarde ‘l’Amaz zo -nia’ d’Europa, per sottolineare, forse con eccessiva enfasi, la notevole bio-diversità di quest’area.

Un altro aspetto significativo è che la realtà geografica tradizionale ècaratterizzata da naturalità diffusa, sono cioè presenti discreti valori dibiodiversità in presenza di attività antropiche.

La naturalità diffusa è un valore ambientale decisivo per la qualitàcomplessiva del territorio,9 è la base necessaria per il mantenimento diun’elevata varietà di specie ed è condizione indispensabile alla riduzionedella vulnerabilità degli ecosistemi.

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8 L’Italia è il paese europeo con la maggior biodiversità accoglie infatti in una superfi-cie che è solo 1/30 di quella continentale oltre il 50% del patrimonio biologico europeo.Quest’ultimo non è uniformemente distribuito sulla superficie nazionale ma si addensa inalcune aree tra le quali l’Insubria, l’area compresa tra i grandi laghi lombardi. S. Pignatti,Ecologia del paesaggio, Torino, UTET, pp. 31; AA.VV. “Il valore biodiversità”, in E. Ronchi(a cura di), Il territorio italiano e il suo governo. Indirizzi per la sostenibilità, Milano, Am-biente, 2005, pp. 31-38;

9 AA.VV. “Il valore naturalità diffusa”, in E. Ronchi (a cura di), Il territorio italiano eil suo governo. Indirizzi per la sostenibilità, Milano, Ambiente, 2005, pp. 39-46; G. Ferra-ra, G. Campioni, Tutela della naturalità diffusa. Pianificazione degli spazi aperti e crescitametropolitana, Milano, Il Verde, 1998.

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Le invarianti strutturali:profonda stratificazione storica ed elevato valore paesaggistico

L’Italia, ci ricorda Rombai,10 è il paese più “costruito” d’Europa: dallaPianura Padana, per secoli sommersa dalle acque, ai litorali della Sicilia, untempo infestati dalla malaria. Esso è stato sottoposto, nel corso di (circatre) millenni, a un’opera colossale di plasmazione e di adattamento che hacoinvolto più civiltà. Dai Greci agli Etruschi, dai Romani ai monaci bene-dettini, dagli Stati preunitari sino ai governi repubblicani del secondo do-poguerra, un’opera ininterrotta di bonifiche ha adattato l’habitat naturaleai bisogni di abitabilità delle popolazioni e alle pressioni dello sviluppo.

Gli esiti dei processi di reificazione territoriali nell’ambito lombardo epadano hanno assunto rilevante valore paesaggistico, come ci testimonial’ampia letteratura di viaggio. Il paesaggio lombardo frutto e scena dell’a-zione territoriale delle comunità locali è stato considerato tra i più bellid’Italia e il tema della “bella natura lombarda” fu assai caro ai viaggiatoridel Gran Tour. Nel XVII secolo il Coryat, ad esempio, esclamava consguardo rivolto all’intera Padania “Italy is the garden of the world, so isLombardy the garden of the Italy…”,11 e la campagna lombarda evocavain molti viaggiatori il concetto di “giardino perpetuo”.

Di fronte alle articolate condizioni naturali e ai diversificati percorsistorico-culturali che hanno investito gli ambiti e i subambiti dell’arealombarda (fig. 1) diviene particolarmente difficoltoso indicare le specifi-cità del territorio lombardo. Possiamo a questo fine seguire il Piano terri-toriale paesistico regionale che riconosce quale carattere comune e distin-tivo dei paesaggi tradizionali della regione, quale tratto e segno della‘lombardità’

il modo di utilizzare le risorse e gli spazi naturali in modi semplici, razio-nali, pragmatici, e attraverso una artificializzazione dell’elemento di natu-ra che non è mai sconvolgente, troppo soverchiante. Basti pensare alla

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10 L. Rombai, Geografia storica d’Italia. Ambienti, territori, paesaggi, Firenze, Le Mon-nier, 2002.

11 Coryat, Crudities, London, William Stansby, 1611, ed. W. Carter, London, 1776,vol. I, p. 109. Per una sintesi della letteratura di viaggio relativa al paesaggio vegetale dellapianura lombarda si veda P. Gelmi “Testi letterari e verde”, in L. Pagani (a cura di), Vege-tazione e paesaggio. Valori, potenzialità e funzioni del verde per un paesaggio di qualità nel-l’alta pianura lombarda, Quaderni, Bergamo, Università degli Studi di Bergamo - CentroStudi sul Territorio, pp. 37-53.

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meravigliosa semplicità e funzionalità insieme del sistema irrigatorio. Edanche agli stili dei monumenti lombardi, al senso rinascimentale che lipervade in quanto fanno sentire l’uomo nella natura in modi misurati.Già a suo tempo Carlo Cattaneo, che più di altri è riuscito a penetrarenell’anima profonda della Lombardia, sosteneva che l’ordine rinascimen-tale impostosi in Italia tra ’400 e ’500 ha avuto il suo primo afflato creati-vo in Lombardia, dove l’uomo era abituato sin dai tempi antichi ad agirein spazi ordinati, geometrizzati, che sono l’essenza stessa dell’opera uma-na nella natura, il suo segno distintivo. Un segno che si ritrova ancor ogginelle campagne lombardo-padane, nei loro elementi rettilinei, piantate,viali, cavedagne, canali irrigatori, ecc., e nelle architetture in laterizi, ma-teriali che già plasmati “a regola d’arte” impongono geometrie ordinate,forme pulite, essenziali.12

Le trasformazione e le politiche ambientali lombarde

Ampi settori del territorio lombardo, particolarmente dell’alta pianurae degli sbocchi vallivi, sono soggetti a forti pressioni di sviluppo e trasfor-mazione che determinano intensa utilizzazione e consumo di suolo; l’ur -ba nizzazione e l’edificazione prevalgono sugli spazi aperti che assumonocarattere di residualità.

Tale dinamica ha generato un’ampia area metropolitana che compren-de, secondo l’interpretazione dei documenti preparatori al Piano territo-riale regionale, l’interland milanese, l’asse del Sempione, la Brianza e lacittà lineare che si estende tra Bergamo, Brescia e Verona.13

La conurbazione, che ha un’estensione di circa 170 chilometri ed una

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12 Regione Lombardia, Piano Territoriale Paesistico Regionale - Piano del Paesaggio lom -bardo. I paesaggi della Lombardia: ambiti e caratteri tipologici, vol. 2, Milano, B.U.R.L., 32,2001, p. 15.

13 Nel corso degli anni Novanta alla lettura del territorio lombardo articolata sui clas-sici quadri ambientali (montagna, collina e aree lacustri, pianura asciutta e pianura irri-gua) si sono affiancate nuove interpretazioni elaborate sulla base di una lettura multidisci-plinare di elementi insediativi, sociali, economici, che propongono una rappresentazionedi sintesi della struttura e della forma del territorio lombardo. Cfr. A. Lanzani, “Milano ecintura. Una geografia mutevole e plurale di centri e periferie”, in Id., I paesaggi italiani,Roma, Meltemi, 2003, pp. 369-413; L. Mazza, G. Pasqui, “Trasformazioni del territoriolombardo”, in IRER, Lombardia 2005. Società, governo e sviluppo del sistema lombardo:dieci anni di esperienze, Milano, Guerini, pp. 331-334. Il Documento programmatico delPiano territoriale regionale (2003) identifica quattro tipologie principali: sistemi a urba-nizzazione diffusa a elevata densità; sistemi che presentano un elevato grado di urbanizza-zione ma minore densità edilizia, sistemi a bassa densità insediativa della pianura; zonerurali investite da processi di degrado e abbandono.

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profondità massima di 90 chilometri, è parte di un più vasto tessuto ur-bano interpretato da numerosi autori in termini megalopolitani.14

Il contesto metropolitano lombardo genera numerose criticità, sia diquadro o scenario, per le quali, a causa della loro natura complessa, tal-volta difficilmente definibile, è possibile intervenire solo su alcuni aspetti

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Fig. 1. Stratificazione storica del paesaggio lombardo. Isola Bergamasca tra Adda, a si-nistra, e Brembo, a destra. La pianura al centro è solcata dal geometrico disegno dellacenturiazione romana che s’interrompe al margine del Bedesco, pianalto ferrettizzatoriconoscibile per le marcate cortine vegetali che segnano il reticolo idrografico mino-re. La trama paesistica del Bedesco è di origine alto-medievale. Sulla sponda idrografi-ca sinistra del Brembo gli ampi appezzamenti rettangolari dei “livelli” attuati in epocamoderna. La macchia nera oscura la caserma di Presezzo. (Aerofoto I.G.M. 1954, daR. Ferlinghetti, “Il paesaggio vegetale”, in L. Pagani, F. Adobati, Le aerofotografie IGMdel 1954. Per una lettura del territorio e del paesaggio bergamasco prima delle grandi tra-sformazioni, Quaderni, Bergamo, Università degli Studi di Bergamo - Centro Studisul Territorio, Bergamo University Press, 2004, p. 54.

14 G. Corna Pellegrini, Milano, megalopoli padana, valli alpine, Milano, Vita e Pensie-ro, 1977; J. Gottmann, “Verso una megalopoli della Pianura Padana?”, in C. Muscarà (acura di), Megalopoli mediterranea, op. cit.; E. Turri, La megalopoli padana, Venezia, Marsi-lio, 2000; L. Pagani, “Evoluzioni territoriali e paesaggistiche”, in V. Zamagni (a cura di),Dalla ricostruzione all’euro. La politica e il territorio, Bergamo, Fondazione per la Storiaeconomica e sociale di Bergamo, 2002, pp. 319-416; A. Bonomi, A. Abruzzese (a curadi), La città infinita, Milano, Mondadori, 2004.

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(in genere le loro manifestazioni pratiche sul territorio), sia di settore, sul-le quali, invece, possono risultare efficaci interventi limitati a uno o piùambiti specifici.

Tra l’ampio repertorio delle criticità generate dalle intensissime trasfor-mazioni che hanno investito il territorio lombardo, in questa sede vengo-no svolte alcune considerazioni relative alla biodiversità e al paesaggio.

La Regione Lombardia ha affrontato i problemi ambientali già a parti-re dalla sua istituzione, nel 1970, cercando misure di contenimento e dicontrollo del tumultuoso sviluppo urbano, privilegiando politiche relativealle aree protette che videro la regione raggiungere livelli di primato na-zionale15 per la creazione di un’articolata tipologia di aree protette (parchinaturali, parchi regionali, riserve, monumenti naturali, zone di particola-re rilevanza naturale e ambientale, parchi locali d’interesse sovracomuna-le), per la superficie vincolata, circa il 22% del territorio regionale, per lalocalizzazione delle aree protette collocate strategicamente nei contesti dimaggior problematicità (alta pianura, fascia prealpina, cinture metropoli-tane) al fine di mitigare gli squilibri ambientali determinati dallo svilup-po della regione urbana.16

Ampia l’applicazione, a partire dagli anni Novanta, anche di strategiedi pianificazione territoriali che andassero oltre i parchi. Ci si riferisce inparticolare allo strumento delle reti ecologiche che hanno trovato applica-zione sia in sede regionale che provinciale e, in seguito alla legge regionale12 del 2005 per il governo del territorio, anche in quella comunale.

Tale strategia permette di superare lo stato d’isolamento e di insularitàdelle aree protette e contribuisce a diffondere anche nel territorio esternole attenzioni ai valori di natura e cultura perseguiti nelle aree protette.17

Negli ultimi anni si è manifestato un approccio ampiamente interdiscipli-

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15 A. Songia, “La politica regionale della Lombardia in materia di protezione dell’am-biente, in L. Pagani (a cura di), Parchi ed educazione ambientale, Bergamo, Consorzio Par-co dei Colli di Bergamo, 1996, pp. 93-111; C. Cencini, B. Menegatti, “Per un’applicazio-ne dello sviluppo sostenibile a scala regionale. Il caso della Pianura Padano-Veneta”, in Ri-vista Geografica Italiana, 1997, pp. 247-257; O. Senn, Il territorio: una risorsa per lo svi-luppo, in IRER, Lombardia, 2005…, cit., pp. 321-330.

16 M. Di Fidio, “La politica regionale del verde nell’area metropolitana lombarda”, inIl parco, la città, il paesaggio. Una rassegna dei piani dei parchi metropolitani della Lombar-dia, Pisa, Parchi, 1995, Allegato al. n. 14, pp. 4-36.

17 S. Malcevschi, Le reti ecologiche come strumento di sostenibilità dello sviluppo, in D.Bianchi, E. Zanchini (a cura di), Ambiente Italia 2001, Milano, Ambiente, 2001, pp. 37-52; R.H.G. Jongman, G. Pungetti (a cura di), Ecological Networks and Greenways: concept,design, implementation, Cambridge UK, Cambridge University Press, 2004; C. Battisti,

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nare del concetto di rete ecologica, al fine di ridefinire il ruolo e i conte-nuti delle “infrastrutture ambientali”.18

Le nuove finalità individuate sono il frutto di un contesto politico-culturale che ha visto dilatarsi progressivamente il principio di conserva-zione per effetto di due movimenti convergenti, quello della conservazio-ne della natura e quello della salvaguardia del patrimonio culturale.19

In campo naturalistico le istanze di conservazione per isole (le areeprotette) si sono estese all’intero territorio, nel contempo le politiche ditutela del patrimonio culturale hanno allargato il loro raggio d’inte res sedal monumento al suo contesto territoriale.20

Nel quadro d’integrazione tra natura e cultura, le reti ecologiche, purmanifestando il loro prioritario ruolo di salvaguardia naturalistica, am-pliano la loro finalità al di là di quella strettamente inerente la funziona-lità ecosistemica. Le reti ecologiche divengono ambientali e mirano a“realizzare un sistema integrato di conservazione e valorizzazione delle ri-sorse naturali e culturali e a promuovere i processi di sviluppo locale”.21

Nel quadro delle nuove prospettive appaiono irrinunciabili le connes-sioni con azioni di tutela e valorizzazione della armatura storico-paesaggi-stica e dei percorsi di fruizione paesaggistica come proposto in numerosidocumenti d’indirizzo regionale.22

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Frammentazione ambientale, connettività, reti ecologiche. Un contributo teorico e metodologi-co con particolare riferimento alla fauna selvatica, Roma, Provincia di Roma, Assessorato al-le Politiche ambientali, Agricoltura e Protezione civile, 2004.

18 R. Ferlinghetti, “Dalle reti ecologiche alle reti ambientali”, in R. Ferlinghetti, M.Fiorina, L. Pagani, Paesaggio ambiente, Bergamo, Piano Territoriale di CoordinamentoProvinciale della Provincia di Bergamo, Studi e analisi, vol. D3, Provincia di Bergamo,2002, pp. 139-164. M. Angrilli, Reti verdi urbane, Roma, Palombi, 2002; APAT (Agenziaper la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici), Gestione delle aree di collegamentoecologico funzionale. Indirizzi e modalità operative per l’adeguamento degli strumenti di pia-nificazione del territorio in funzione della costruzione di reti ecologiche a scala locale, Manua-li e linee guida, 26, Roma, APAT, 2003.

19 R. Gambino, “Conservazione e pianificazione dei sistemi di area vasta”, in Ecore-gioni e reti ecologiche: la pianificazione incontra la conservazione, Atti del convegno nazio-nale Roma, 27-28 maggio 2004, Roma, WWF Italia, 2005, pp. 34-36.

20 M.C. Zerbi, “Il paesaggio nell’approccio della geografia e dell’architettura”, inM.C. Zerbi, L. Scazzosi (a cura di), Paesaggi straordinari e paesaggi ordinari. Approcci dellageografia e dell’architettura, Milano, Guerini, 2005, pp. 15-28.

21 R. Gambino, “Reti ecologiche per il territorio europeo”, in J. Negri (a cura di), Re-ti ecologiche. Azioni locali di gestione territoriale per la costruzione dell’ambiente, Quadernidi Gargnano, Milano, Centro Studi “Valerio Giacomini”, 2001, pp. 139-144.

22 Regione Lombardia, Deliberazione della Giunta Regionale 7 aprile 2000 - N.6/49509 “Approvazione delle linee generali di assetto del territorio lombardo”, B.U.R.L.,

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Dalle reti ecologiche ai paesaggi minimi verso una qualificazione polisemicadella matrice territoriale delle aree a forte urbanizzazione

Nei contesti di forte urbanizzazione, quali quelli in esame, caratteriz-zati da elevata stratificazione storica e una persistenza, per ‘inerzia territo-riale’,23 di frammenti e tracce di contesti tradizionali è necessario un con-tinuo adeguamento di sensibilità ai valori ambientali, paesaggistici e geo-grafici locali, spesso messi in discussione dalle intensissime contempora-nee dinamiche territoriali. Le eredità del portato naturale e storico-cultu-rale lombardo in ampia parte del territorio regionale si presentano inglo-bate dentro gli accrescimenti urbani (industriale e residenziale) verificatisi

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2° Suppl. Straordinario al n. 22, 1.6.2000; Regione Lombardia, Deliberazione della Giun-ta Regionale 26 novembre 2008 - N. 8/8515 “Modalità per l’attuazione della Rete Ecolo-gica Regionale in raccordo con la programmazione territoriale degli enti locali”, B.U.R.L.,1° Suppl. Straordinario al n. 3, 20.1.2009.

23 E. Turri, La conoscenza del territorio. Metodologia per un’analisi storico-geografica,Venezia, Marsilio, 2002, p. 12.

Fig. 2. La cinta muraria di Bergamo nella prima metà del secolo scorso. Il tessuto ur-bano è compenetrato da un articolato sistema verde caratterizzato da quinte vegetalidi elevato valore paesaggistico e naturalistico. Le densa rete di siepi raccorda l’isolatadorsale collinare su cui sorge la città ai serbatoi di naturalità del fronte prealpino.

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nella seconda metà del secolo scorso. Come ci ricorda ancora il Piano ter-ritoriale paesistico lombardo, non solo sono state obliterate od umiliate lesingole testimonianze del passato, ma è anche andato perduto il contestoin cui si inserivano e nel quale le popolazioni del passato trovavano i mo-tivi della propria appartenenza e della propria identità.

Il soffocamento delle eredità del passato è stato ovviamente tantomaggiore quanto più intensamente si è fatto uso dello spazio (in generaletanto più ricercato quanto più dotato di servizi, cioè quanto più urbaniz-zato). Nella complessa relazione tra “vetera et nova” è necessario indivi-duare, nei contesti a maggior criticità, alcuni elementi di ancoraggio suiquali basare un ridisegno, una ricomposizione capace di accogliere il nuo-vo, di metterlo fin dove possibile in dialogo con le preesistenze, di ordi-narlo su una costruzione di senso.

Negli ultimi anni sono stati proposti nuovi concetti e punti di vistache tendono a superare gli steccati delle maglie delle reti e si rivolgono atutto il territorio con una scala di lettura dettagliata. Ricordiamo in parti-colare, il Terzo paesaggio, il paesaggio terzo, il paesaggio invisibile e i pae-saggi minimi.24

Per paesaggio minimo si intende, come accennato nell’introduzione,un’area costituita da superficie esigua, frutto della trasformazione umana,inserita in contesti ad elevata antropizzazione e caratterizzata da origina-lità, specificità geografica, valore storico-paesistico e identitario, habitat

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24 G. Clément, Manifesto del Terzo paesaggio, Macerata, Quodlibet, 2005; D. Paglie-rini, Il paesaggio invisibile. Dispositivi minimi di neo-colonizzazione, Melfi, Libra, 2008; G.Ferrara, “Per una fondazione disciplinare”, in Architettura del Paesaggio, Atti del Conve-gno dell’Istituto italiano-britannico, Bagni di Lucca, aprile 1973, Firenze, La Nuova Ita-lia, 1974, pp. 129-144.

“Il paesaggio terzo è, anzitutto, un paesaggio sostenibile: il processo progettuale su cuisi basa, infatti, è finalizzato a fare in modo che l’entità delle variazioni, apportate dalle at-tività antropiche per rispondere a determinate necessità, si mantenga entro limiti tali danon danneggiare irrimediabilmente le risorse naturali e culturali. In realtà “fare paesaggioterzo” significa spingersi oltre l’obiettivo della sostenibilità, ossia leggere nel processo ditrasformazione anche un’opportunità, un’occasione per la progettazione di nuovi scenaripaesistici.” M. Ercolini, “Difesa del suolo e progettualità del paesaggio fluviale, tra esigen-ze e opportunità” in G. Ferrara, G. Rizzo, M. Zoppì, Paesaggio: didattica, ricerche e proget-ti, Firenze, Firenze University Press, p. 189. Il paesaggio terzo è un paesaggio nuovo, volu-to, cercato, pensato, in una parola progettato, risultato ultimo di un progetto culturale eprogettuale costituito attorno a tre criteri guida “Salvaguardia”, “Equilibrio”, “Dinami-cità”, contrapposto al paesaggio ‘altro’ che risponde a esigenze di settore e parziali, cfr. M.Ercolini, Dalle esigenze alle opportunità. La difesa idraulica fluviale occasione per un progettodi “paesaggio terzo”, Firenze, Firenze University Press, 2006.

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Figg. 3 e 4. Esempi di pae-saggi minimi in ambito ur-bano. In alto (fig. 3) siepi sumuri a secco in pietra locale;sotto (fig. 4) selciato in ciot-toli locali colonizzato da spe-cifica florula.

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Figg. 5 e 6. Esempi di paesaggi minimi in ambito urbano. In alto (fig. 5) muro di unbrolo; sotto: stralcio cartografico dell’ottocentesco Catasto Lombardo-Veneto con in-dicazione di rovari, siepi polispecifiche insediate sui cumuli di borlanti generati dallaplurisecolare spietratura dei campi adiacenti. I rovari gestiti con apposite norme neicontratti agrari sono colonizzati da una vegetazione più simile a quella collinare ri-spetto a quella dell’alta pianura in cui si collocano.

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di biocenosi di pregio naturalistico poco diffuse nell’ambito territorialecontermine.

Rientrano nei paesaggi minimi i muri e i selciati tradizionali, le siepiinterpoderali, l’equipaggiamento vegetale del reticolo idrografico minore(rogge, canali, fontanili), i numerosi manufatti tradizionali disseminatinel paesaggio rurale ed urbano ed altro ancora (figg. 3, 4, 5, 6).

Il termine paesaggio minimo è ripreso da una serie di pubblicazioni diMario Sturani (1906-1978), scrittore ed entomologo, che intitolò un suapubblicazione proprio Paesaggi Minimi. Amico di Cesare Pavese che lodefiniva “il mio fratello maggiore”, fu importante esponente dell’art déco,particolarmente interessato alla lavorazione della ceramica, collaborò findagli anni ’30 con la ditta Lenci, punto di incontro degli artisti del tem-po e fucina di idee, della quale divenne poi direttore artistico tra il 1940 eil 1964.

Accanto all’attività artistica Mario Sturani coltivò la passione perl’entomologia e per gli aspetti, i dettagli e le singolarità che la natura pre-senta in ambito urbano. Tra i suoi scritti naturalistici, oltre a Paesaggi Mi-nimi si possono annoverare Caccia grossa fra le erbe del 1942, La vita dellefarfalle del 1947 e “Osservazioni e ricerche biologiche sul genere CarabusLinnaeus” del 1962.

Nell’accezione qui proposta il termine paesaggi minimi si stacca dalladimensione entomologica e naturalistica di Sturani e assume un significa-to più ampio riferito a contesti di scala territoriale e a una dimensionegeografica.

Carattere distintivo dei paesaggi minimi è l’essere frutto della trasfor-mazione umana e quindi di non costituire elemento della matrice origi-nale del luogo, ma di essere frutto della sua reificazione antropica25 instretto collegamento con il contesto tradizionale, dotato cioè di particola-ri caratteri, per le tecniche esecutive, per i materiali utilizzati che lo ren-dono specifico in senso geografico.

I paesaggi minimi sono caratterizzati da una lunga persistenza e daforme di gestione costanti. Tali aspetti hanno determinato la stabilizzazio-ne del popolamento biologico, normalmente costituito da specie d’in te -resse naturalistico, in continuità con le biocenosi degli ambienti tradizio-nali, in forte contrazione nei grandi territori urbanizzati.

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25 A. Turco, Verso una teoria della complessità, Milano, Unicopli, 1998.

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Una siepe interpoderale, ad esempio, presente spesso da secoli, si per-petua attraverso periodici tagli delle specie arboreo-arbustive e il conteni-mento dello sviluppo vegetativo. In tale contesto stabilizzato dal lavoroumano è facile osservare numerose specie nemorali che, in seguito alla re-gressione e all’eliminazione delle foreste e poi dei boschi, hanno trovatorifugio in questo ambiente creato dall’uomo. Sui manufatti tradizionalidistribuiti alla testa o lungo l’asta dei fontanili e nell’equipaggiamento ve-getale che spesso li accompagna si rinvengono specie animali e vegetalirare, tipiche di ambienti umidi, pressoché scomparse dalle piattaformeagricole che caratterizzano l’adiacente paesaggio rurale. I muri in matto-ni, in borlanti o in pietra che cingono broli, ortaglie, parchi storici o pre-senti nei nuclei rurali sono colonizzati da specie spesso originarie dellepareti rocciose montane o dei suoli primitivi pietrosi, ambienti general-mente assenti nei centri lombardi, ma che l’artefatto umano surroga per-mettendo l’insediarsi nel contesto urbano di entità altrimenti escluse.Città Alta, magnifico e integro esempio di città murata, presenta nume-rosissimi casi di naturalità che si appoggia all’artificialità. Eclatante il casodelle cinquecentesche mura venete che, dal punto di vista ecologico costi-tuiscono un ecosistema primario per la biodiversità della città: dal medi-terraneo cappero, alla montana cannella argentea, alla steppica campanu-la sibirica, alla subtropicale capelvenere si inseriscono, in funzione dell’e-sposizione, della presenza di stillicidi, di ampi squarci ombreggiati e fre-schi o di superfici assolate e aride una florula e un popolamento animalespecifico di alto valore naturalistico spesso unico in ambito urbano, conelementi talvolta assenti o che si rinvengono con difficoltà anche negliambiti a naturalità diffusa della fascia collinare e montana. Pregnanteesempio è il caso del tulipano dei campi (Tulipa sylvestris L.), liliacea dallavistosa corolla gialla, tipica dei prati aridi, rarissima nel nord Italia, consi-derata estinta nella bergamasca e invece rinvenuta pochi mesi fa, con unacospicua colonia, in un altro paesaggio minimo, le ripe erbose dei ronchiche cingono la città sul colle.

Nei paesaggi minimi la naturalità si appoggia all’artificialità dimo-strando che la contrapposizione natura-cultura, società-ambiente era giàampiamente superata nella storia del paesaggio lombardo.26

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26 Sulla nascita e il necessario superamento del bi-polarismo città/natura si veda inquesto volume il contributo di R. Gambino.

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Un paesaggio minimo scaturisce dal fondersi e confondersi della ra-zionale progettualità umana con l’imprevedibile azione della natura. L’at -tività antropica è quindi capace di generare paesaggi minimi, quando nonpretende di esaurire la totalità della progettualità, ma, più o meno con-sciamente, lascia che la natura partecipi liberamente completando l’operadell’uomo, arricchendola e caratterizzandola. Un Paesaggio Minimo èquindi un paesaggio a progettazione e a realizzazione compartecipata uo-mo – natura, è il risultato di un sinergico connubio tra attività umana enaturale.

I paesaggi minimi, tessere minute, ma non minori del paesaggio con-tribuiscono a definire l’armatura storico-paesistica locale, sono cioè fruttodel particolare e specifico rapporto tra società e ambiente e assumono si-gnificato patrimoniale e identitario.

Rispondono a logiche di accumulo in essi si sedimentano le testimo-nianze del paesaggio tradizionale e peculiari espressioni della diversitàbio logica. Questa innovativa chiave di lettura non è stata ancora fattapropria dalla prassi territoriale. Spesso gli interventi di manutenzionestraordinaria o la realizzazione di nuovi paesaggi minimi sono attuati conmateriali e tecniche che non consentono più l’insediamento di questi pre-ziosi popolamenti vegetali e non dialogano, e non fanno proprie alcunidei caratteri materici o delle tecniche locali.

In tale modo il manufatto si svincola dalla storia del luogo, diviene unelemento neutro, paesaggisticamente delocalizzato e incapace di ospitarele fitocenosi sopra descritte. Come per i centri storici si è evoluta una sen-sibilità nella progettazione e nella realizzazione degli interventi così ancheper i paesaggi minimi sarà necessario acquisire nuovi comportamenti edalle suggestioni che essi ci forniscono imparare o, meglio, ri-imparare arealizzare manufatti che oltre alle necessarie qualità tecniche sappiano in-serirsi con maggior garbo nel portato storico-paesaggistico e naturalisticodei luoghi al fine di implementarne i tratti caratteristici e distintivi e lafunzionalità ecologica.

In sintesi i paesaggi minimi:– sono frutto di un’originale e specifica relazione società-ambiente;– sono habitat di biocenosi di pregio naturalistico spesso poco diffuse

nei contesti urbanizzati contermini;– sono di immediata lettura, fruibilità e riconoscibilità perché attrattivi

e distribuiti nell’interfaccia tra spazio pubblico fruibile e aree riservate;– presentano elevata capacità penetrativa nei tessuti urbani densi, eserci-

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tando un rilevante ruolo di continuità e connettività tra sistemi semi-naturali, rurali e urbani;

– sollecitano un recupero del rapporto visivo ed esplorativo invece dellaprospettiva zenitale;

– necessitano di un’elevata cultura dei luoghi;– possono essere oggetto di percorsi di restauro e risignificazione attenti

alla valorizzazione di pratiche di reificazione territoriale autocentrante,rivitalizzando economie di nicchia a basso impatto ambientale;

– non godono di forme di protezione e/o salvaguardia.Per un’approfondita comprensione del concetto di paesaggio minimo

può essere di particolare utilità la sua comparazione con il concetto diTerzo paesaggio proposto da G. Clément ed in particolare con la sua de-clinazione nei tessuti urbanizzati. Questo non per una contrapposizionetra i due punti di vista, ma per una l’integrazione delle loro potenzialitàsia biologiche che funzionali.

Con l’espressione “Terzo paesaggio”, Gilles Clément indica tutti i luo-ghi abbandonati o non utilizzati dall’uomo: i parchi e le riserve naturali,le grandi aree disabitate del pianeta, ma anche spazi più piccoli e diffusi,quasi invisibili: le aree industriali dismesse dove crescono rovi e sterpaglie;le erbacce al centro di un’aiuola spartitraffico… Sono spazi diversi performa, dimensione e statuto, accomunati solo dall’assenza di ogni attivitàumana e dall’essere territori di rifugio per la diversità. In termini di mas-sima sintesi possiamo definire Terzo paesaggio l’insieme degli spazi nonpiù oggetto dell’attività umana, privi di funzioni antropiche, strategiciper la conservazione della diversità biologica. Nelle aree urbane il Terzopaesaggio è costituito dai cosiddetti residui corrispondenti a “terreni inattesa di una destinazione o in attesa dell’esecuzione di progetti sospesiper ragioni finanziarie o di decisione politica…”.27

Confrontiamo, in modo schematico, i due concetti da tre punti di vi-sta: biologico, dinamico-territoriale, culturale. Si è utilizzato il linguaggiosintetico proposto nel manifesto del Terzo paesaggio, da cui sono state ri-cavate le affermazioni riportate nella colonna sinistra delle tabelle.

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27 G. Clément, op. cit., p. 14; ed ancora “la città produce tanti più residui quanto piùil suo tessuto è rado. I residui sono scarsi e piccoli nel cuore delle città, vasti e numerosi inperiferia”, ivi, p. 14.

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Geografia dei paesaggi minori: aspetti biologici

Geografia dei paesaggi minori: aspetti dinamici e territoriali

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Terzo paesaggio

Il terzo paesaggio si manifesta in rife-rimento al territorio organizzato e inopposizione a quest’ultimo

Il paesaggio minimo è parte integran-te, testimonianza, memoria storica,del territorio organizzato

In ambito urbano corrisponde a terre-ni in attesa di una destinazione o inattesa dell’esecuzione di progetti so-spesi per ragioni finanziarie o di deci-sione politica

In ambito urbano corrisponde a con-testi artificiali con funzione attiva opassiva

La crescita della città e degli assi dicomunicazione induce una crescitadel numero di residui

La crescita della città e degli assi dicomunicazione non induce una suacrescita

Il disinteresse per il Terzo paesaggioda parte delle istituzioni non modificail suo divenire, lo rende possibile

Il disinteresse da parte delle istituzioniper i paesaggi minimi rende più incer-to il loro divenire

Paesaggio minimo

Terzo paesaggio

Vita breve

Instabile e caotico

Le biocenosi non sono in continuitàcon quelle degli ambienti tradizionali

Elevata frequenza di specie esotiche,spesso dominanti

Agisce su flora e fauna in modo selet-tivo – scomparsa per competizione –e in modo dinamico: nuovi compor-tamenti, ibridazione, mutazione, ecc.

Risponde a logiche di trasformazionee mutazione (evoluzione)

Costituisce il territorio per eccellenzadella mescolanza planetaria

Costituisce il territorio per eccellenzadella specificità naturale locale

Le biocenosi sono in continuità con ipopolamenti degli ambienti tradizionali

Contenuta presenza di specie esoti-che, generalmente minoritarie

Agisce su flora e fauna in modo con-servativo

Risponde a logiche di accumulo: con-servazione delle biocenosi e dei valoristorico-paesaggistici e identitari

Paesaggio minimo

Vita lunga (secolare)

Stabile e ordinato

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Nell’evidenziare le peculiarità dei due approcci si è data particolare en-fasi alle differenze, altri aspetti accomunano i due approcci. In particolare:– la creazione e la persistenza dei paesaggi minimi e dei residui del terzo

paesaggio sono legate alle pratiche messe in opera dall’uomo;– la trasformazione territoriale determina l’evoluzione dei paesaggi mi-

nimi e del Terzo paesaggio;

PAESAGGI MINIMI E SPAZI URBANI / 293

Terzo paesaggio Paesaggio minimo

Geografia dei paesaggi minori: aspetti culturali

Il Terzo paesaggio è la parte del nostrospazio di vita affidata all’inconscio

Uno spazio privo di Terzo paesaggiosarebbe come uno spirito privo di in-conscio

Il Terzo paesaggio persegue la creazione

Il Paesaggio minimo è la parte del no-stro spazio in cui è sedimentata la sa-pienza e la conoscenza locale (raziona-lità territorializzante)

Uno spazio privo di Paesaggi minimisarebbe come uno spirito senza storiané memoria territoriale

Il Paesaggio minimo persegue la com-prensione

In ambito urbano di difficile lettura,fruibilità e riconoscibilità, perché re-spingente e distribuito in aree non ac-cessibili spesso socialmente ed ecolo-gicamente critiche

Di immediata lettura e riconoscibilitàperché attrattivo e di mediazione traspazio pubblico e aree riservate

Non ha scala (gli strumenti di osser-vazione vanno dal satellite al micro-scopio)

Presenta la scala dello ‘sguardo’

Le modifiche delle forme, la succes-sione delle specie, il meccanismo del-l’evoluzione, proprio del Terzo pae-saggio, sono incompatibili con la no-zione di patrimonio

La specificità e la costanza delle for-me, la leggibilità e l’accumulo di valo-ri in essi sedimentati rende il Paesag-gio minimo compatibile con la nozio-ne di patrimonio

Il Terzo paesaggio è animato da prin-cipi di evoluzione (mutazione e cam-biamento) e favorisce l’invenzione

Il Paesaggio minimo è animato daprincipi di accumulazione (valore sto-rico-paesaggistico, identitario, biolo-gico) e favorisce la conservazione

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294 / RENATO FERLINGHETTI

Fig. 7.

Fig. 8.

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– entrambi sono più diffusi nei contesti territoriali morfologicamentemossi;

– la proliferazione insediativa e la crescita degli assi di comunicazioneinduce un aumento della funzione di serbatoio e di connettività eser-citata dai Paesaggi minimi e dal Terzo paesaggio;

– la moltiplicazione e la salvaguardia dei paesaggi minimi e del Terzo pae-saggio nei tessuti urbani densi permette di conservare rifugi per la di-versità biologica e direttrici di permeabilità ecologica;

– la loro ricchezza biologica è, nei contesti urbani densi, superiore aquella degli ambienti contigui;

PAESAGGI MINIMI E SPAZI URBANI / 295

Figg. 7, 8 e 9. Esempi di interventi sul paesaggio minimo in area urbana caratterizzatada marcata presenza di siepi polispecifiche (si veda figg. 2 e 3). Fig. 7, chiusura diun’area residenziale di pregio in cui sono state mantenute, pur attualizzandone la ge-stione e la forma, le siepe polispecifiche; fig. 8 alle siepi polispecifiche, ancora presentisul lato opposto della strada, è stata preferita una cortina monospecifica di laurocera-so; fig. 9, recinzione di un parco di quartiere realizzata con muri in cemento e cancel-lata metallica. Gli interventi, attuati nella stessa località, presentano esiti diversi: il pri-mo riconoscendo il valore del paesaggio minimo salvaguardia la trama storico-paesag-gistica, la funzionalità ecologica e la cospicua dotazione biologica, gli altri, pur riguar-dando interventi più leggeri e compatibili (realizzazione di un vivaio e di un parco diquartiere), hanno sensibilmente indebolito il quadro paesaggistico, identitario e natu-ralistico del luogo.

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– raramente sono considerati nella pianificazione e nella progettazioneterritoriale.Se la progettazione e la gestione territoriale recupererà lo sguardo ver-

so i paesaggi minimi potrà avvalersi di un importante strumento sia permantenere la trama fine dell’armatura storico-paesaggistica dei luoghi e ilrecupero del ‘racconto identitario’20 ad essi intrecciato, sia per permearecapillarmente il tessuto urbano di una infrastruttura ambientale sottile eleggera, ma pervasiva e fitta, in contesti quali quelli dell’urbanizzato den-so dove, per mancanza di superfici e contesti adeguati, difficilmente sipossono stendere le infrastrutture ambientali costituite dalle aree protettee dalle reti ecologiche convenzionalmente considerate (figg. 7, 8, 9).

L’avvio di una serie di analisi nel contesto lombardo per verificare ladiffusione e la capacità pervasiva dei paesaggi minimi, sta dimostrando laloro efficacia ecologica e paesaggistica, e il loro contributo nel caratterizza-re ambienti di vita in cui il radicamento e l’identità passi anche per la di-mensione territoriale e non solo per quella affettiva o sociale. Inoltre ilconfronto con la sapienza materiale e ambientale racchiusa nei paesaggiminimi è fondamentale per ri-imparare a lavorare con e per la natura, inun’ottica che sappia superare lo sguardo nostalgico verso il passato e cheraccolga la sfida dei saperi tradizionali contestualizzati al fine di progettaree realizzare nuovi paesaggi minimi capaci di soddisfare necessità tecniche esettoriali e di sviluppare un’efficace sintesi tra passato e futuro, tra natura etecnica tra conoscenza e comprensione. Spesso l’esito di progettazioni chesi propongono obiettivi di riqualificazione ambientale (aree verdi, zona atrenta, arredo urbano) nella loro attuazione territoriale, non essendo sup-portate da adeguata cultura dei luoghi cancellano o indeboliscono i pae-saggi minimi preesistenti. Si acquisisce l’obiettivo specifico preventivato, lamitigazione del traffico, l’aumento di superficie di aree verdi, ecc., ma alprezzo di un’omologazione che determina, alla luce delle perdite paesaggi-stiche, identitarie e biologiche, l’indebolimento della struttura territoriale.

Lo sguardo attento e consapevole verso i paesaggi minimi presupponeun cambiamento di scala d’attenzione e una crescita di sensibilità al fine dimuoverci nella comprensione dei valori, come sostenuto con forza da Le-lio Pagani a cui il nostro convegno è dedicato, per seguire e guidare i cam-biamenti, per agire responsabilmente e adeguatamente dentro i luoghi.

296 / RENATO FERLINGHETTI

28 Massimo Quaini, L’ombra del paesaggio. Orizzonti di un’utopia conviviale, ReggioEmilia, Diabasis, 2006.