RELIGIONE DEL MEDIOEVO - IIS CREMONA · pellegrinaggi, che erano già molto diffusi nel IV secolo....

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RELIGIONE DEL MEDIOEVO Rapporto religione malattia nel medioevo A.S. 2018-19 Classe 3F Alfano-Andreoli-Peschini

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RELIGIONE DEL MEDIOEVO

Rapporto religione malattia nel medioevo

A.S. 2018-19

Classe 3F

Alfano-Andreoli-Peschini

• RAPPORTO RELIGIONE-MEDICINA

• CONCEZIONE DI MALATTIA-PECCATO NEL MEDIOEVO

• EPIDEMIE E RELIGIONE DEL MEDIOEVO NEL MEDIOEVO / COMPAGNIE DI AUTOFLAGELLANTI

• NASCITA DI OSPEDALI (MONACI CHE CURANO CON LE ERBE )

• PIANTE OFFICINALI

• La più comune base per la medicina medievale erano i trattati di Galeno, che però ponevano grande attenzione all'anatomia esterna dell’uomo, ma non contribuivano molto ai processi che hanno luogo all’interno del corpo.

• Ad esempio la loro grande carenza riguardava la circolazione sanguigna.

• D’altra parte alcune funzioni basilari, quale la respirazione, erano descritte meglio che nelle teorie ampiamente diffuse di Platone.

• Galeno prese in considerazione, distinguendole, le funzioni volontarie e le involontarie, e indicò la mancanza di sincronismo fra il battito del polso e la respirazione, ma non tanto più di questo…

• Nel Medioevo lo sviluppo della medicina subì l’influenza di almeno tre fattori, che modificarono le cure, la figura del medico ed i suoi compiti, le metodologie di cura e diagnosi.

• Galeno è stato un medico greco antico ( nato nel 130 d.C. a Pergamo e morto nel 210 a Roma), i cui punti di vista hanno dominato la medicina occidentale per tredici secoli, fino al Rinascimento, quando cominciarono lentamente e con grande cautela a essere messi in discussione.

• 1.

Le condizioni igieniche ed alimentari costituirono il primo fondamentale fattore d’azione: la morbilità alta di quei secoli era dovuta ai regimi alimentari poveri, basati quasi unicamente sul consumo di cereali e legumi e alle condizioni igieniche pessime; non esistevano, infatti, sistemi di fognatura efficiente, e l’igiene personale non era per nulla curata. Tutte queste cause ebbero come effetto lo svilupparsi di infezioni, di epidemie, come le pestilenze che decimarono la popolazione, e lo stabilizzarsi in forma cronica di forme morbose.

• 2 Il secondo fattore fu la religione: il cristianesimo aveva insegnato agli uomini dei valori, delle ideologie che ne avevano determinato la formazione sociale, il modo di pensare ed intendere la realtà. Infatti, in un’era in cui il genere umano stava attraversando un periodo critico, per le continue pestilenze e gli sconvolgimenti bellici, la Chiesa e la religione davano all’uomo una speranza a cui aggrapparsi, e questo determinò l’espansione del campo d’azione dell’ambiente ecclesiastico anche in materie profane come la scienza medica. Il fatto che il malato e le malattie fossero all’ordine del giorno, portò l’uomo medievale a considerare il morbo come una peculiarità dell’umanità, erede del peccato originale di Adamo ed Eva. Le epidemie perciò diventano il flagello con cui Dio punisce i suoi figli, e proprio per questo vengono viste come un valore positivo; ecco che si profila quindi la pedagogia della sofferenza che influenzerà le riflessioni religiose sulla malattia e le stesse pratiche assistenziali, soprattutto nelle popolazioni cristiane.

• 3 Nasce così anche il concetto di hospitalitas, terzo fattore, che prevedeva l’accoglienza, l’assistenza e l’ospitalità per i malati; di conseguenza monaci e religiosi organizzarono, con il Concilio di Orléans (571), degli ospizi lungo gli itinerari di pellegrinaggio, situati vicino a chiese e monasteri. A poco a poco si formò una rete ospitaliera che attraversava l’intera Europa, seguendo maggiormente gli itinerari dei pellegrinaggi, che erano già molto diffusi nel IV secolo. Lungo gli itineraria romani si snodavano le vie dei santi viaggi con mete Gerusalemme, Roma, Santiago in Galizia. Lungo queste vie si sostituivano così ai vecchi xenodochi (xeno-dokèin, ospitare gli stranieri) i più nuovi hospitalia; gli edifici che erano adibiti a questi servizi erano dotati di un infirmarium, o infermeria con un cubiculum valde infirmorum, o sala di degenza per malati gravi, un giardino di piante medicinali, una stanza adibita a clisteri e salassi ed un ultimo locale dotato di armarium, che poteva essere o un armadio di libri, oppure una specie di proto-farmacia.

• In questi luoghi venivano ospitati i pellegrini in viaggio, i bambini senza famiglia, i vecchi senza risorse, e soprattutto gli infirmi. I pazienti degli hospitalia venivano curati ed assistiti dai monaci delle congreghe, che secondo la medicina monastica praticavano l’arte medica, ma allo stesso tempo provvedevano alla sua conservazione, attraverso la copiatura dei testi classici.

• I monaci utilizzavano per le terapie soprattutto le erbe, secondo la tradizione antica, a cui facevano già ricorso gli Egiziani, che erano le stesse classificate nella Historia plantarum da Teofrasto e coltivate ed impiegate dai Romani.

• Come testo di riferimento avevano il «De simplicium medicamentorum temperamentis et facultatibus» di Galeno e il «De materia medica» di Dioscoride.

• Non si limitavano però solo all’esercizio della medicina semplice, ma impomatavano, massaggiavano e, essendo insigniti dei titoli tonsor rasor et minutor, potevano radere, tonsurare, ma era anche abile nel minuere sanguinem, cioè salassare nella giusta misura, estraendo con il sangue anche il presunto peccato del malato, che era naturalmente la reale causa dell’infermità.

• Infine i monaci crocesegnavano, applicavano toccasana, lenivano i dolori con gesti rituali ed elisir, facevano sorbire acquasanta e baciare le reliquie dei santi, facendo sì che la restitutio ad integrum della salute fisica coincidesse con la salvaguardia di quella spirituale.

Medicina nel Medioevo • Nel Medioevo, la medicina occidentale era una medicina teurgica ( «teurgia»=

Pratica magica, tipica dell'ermetismo pagano, con la quale si presumeva di mettersi in relazione con gli dèi e con i genii benefici e di potere agire sulla loro volontà in modo da effettuare, col loro aiuto, cose miracolose, soprannaturali) in cui la malattia era considerata un castigo divino, concetto che si trova anche in moltissime opere greche.

Col passare del tempo la medicina prese però sempre più le distanze dalla religione sino ad arrivare alla medicina razionale di Ippocrate, che segnò il limite tra razionalità e magia.

• Pitagora portò nella scienza naturale, ancora non definibile medicina, la teoria dei numeri: secondo Pitagora alcuni numeri avevano significati precisi e, fra questi, i più importanti erano il 4 e il 7.

• Il 7 ha sempre avuto un significato magico, infatti nella Bibbia un numero infinito è indicato come 70 volte 7. Tra l'altro il 7 moltiplicato per 4 dà 28, cioè il mese lunare della mestruazione, e 7 per 40 dà 280, cioè la durata in giorni della gravidanza. Sempre per la connotazione magica del 7 si diceva che era meglio che il bambino nascesse al 7° mese piuttosto che all'8°.

• Anche il periodo di quarantena, cioè i 40 gg che servirebbero per evitare il contagio delle malattie, è derivato dal concetto di sacralità del numero 40.

•La medicina medievale in Europa Occidentale fu una mistura di idee preesistenti fin dall'antichità ;

un generale concetto filosofico per cui anima (immateriale) e corpo (mortale, creato e materiale)

siano indissolubili; una globale rinuncia al godimento nella vita sociale e del corpo in genere.

In questa era non esisteva ancora alcuna tradizione scientifica e le osservazioni andavano mano a mano con influenze spirituali.

Nell'Alto Medioevo, a seguito della caduta dell'impero romano, la conoscenza medica standard era basata principalmente sui testi sopravvissuti greci e romani, preservati in monasteri.

Le idee circa le origini di cure e malattie non erano comunque puramente secolari, ma basate su una visione della vita in cui il destino, il peccato, e le influenze astrali giocavano un grande ruolo. L'efficacia di una cura era più correlata alle credenze del paziente e del medico, piuttosto ad una evidenza empirica, cosicché i rimedi fisici erano spesso subordinati ad interventi spirituali.

COMPAGNIE DI AUTOFLAGELLANTI

• I flagellanti furono un movimento cattolico costituito da varie sette religiose durante il Medioevo.

• Caratterizzati dalla pratica dell'autoflagellazione in pubblico; la flagellazione era una forma di penitenza e devozione impiegata da numerosi ordini religiosi.

Essa serviva non solo come pratica religiosa ma anche come mezzo attraverso cui ottenere da Dio la cessazione di catastrofi, guerre o epidemie. L'autoflagellazione era una pratica auto-punitiva consistente nel colpire ripetutamente il proprio corpo con uno strumento chiamato flagello, allo scopo di provare dolore.

• Ebbero il proprio apice verso la metà del XIV secolo, in seguito all'esplosione della Peste nera. Si pensava infatti che le pestilenze fossero punizioni inviate da Dio per i peccati compiuti dai membri della comunità sociale. Poiché, quindi, il peccato veniva compiuto col corpo, ecco che si riteneva necessario punire ed autopunire il corpo ( ad esempio flagellandolo) pregando Dio affinchè, in seguito a questa dichiarata consapevolezza della reale causa della malattia ( i peccati compiuti) ponesse fine all’epidemia in corso.

Nascita ospedali

• Con il termine ospedale nel Medioevo si indicava un luogo destinato a offrire ospitalità a chi ne avesse bisogno (domus ospitalis).

• L'ospedale, perciò, non era propriamente inteso come luogo di cura degli ammalati come per noi oggi.

• Solo nel Quattrocento furono fondati ospedali che, come il Sant'Anna a Ferrara (1440) e il San Matteo a Pavia (1449), divennero luoghi di cura per i malati, cioè ospedali nel senso che noi diamo oggi alla parola.

• La funzione principale di un ospedale era quella di accogliere i pellegrini, in particolare quelli che non erano in grado di pagarsi un letto in una locanda. Per questo motivo, spesso gli ospedali si trovavano lungo le strade che portavano, da tutta Europa, verso le grandi mete di pellegrinaggio: Roma, Gerusalemme, Santiago de Compostela, ecc. Vi erano ospedali nelle città, ma anche fuori dalle mura, per permettere ai pellegrini di trovare rifugio anche se fossero giunti a tarda sera, quando le porte della città erano ormai chiuse.

• Nel Medioevo, si trovano tre tipi di ospedali: gli "xenodochii" per i forestieri, gli "ptochi" ( dal latino «ptochium» = «ospizio per gli indigenti) per i poveri e quelli per gli infermi, cioè poveri che avevano malattie o menomazioni non curabili (ciechi, storpi, ecc.). Spesso però si trovano due o tutte e tre le funzioni presso lo stesso ospedale, offerte in locali separati.

Xenodochio (= nel Medioevo, ospizio

gratuito per forestieri e pellegrini) di Santa Perpetua a Tirano

Campanile della chiesa di Ossuccio, xeniodochio di Santa Maria Maddalena

Xenodochio a Onno di Oliveto Lario

Gli ospedali erano istituzioni religiose, spesso appartenenti ad un monastero o a una parrocchia e vivevano di redditi prodotti da lasciti di cittadini e di elemosine. Non erano in grado di offrire molto: generalmente un letto o, più spesso, un pagliericcio in uno stanzone comune. Quando non erano adiacenti ad un monastero o ad una chiesa, avevano una cappella. Di solito non era prevista l'offerta di cibo ai pellegrini, mentre per i poveri e gli infermi ogni ospedale si comportava secondo le proprie possibilità. In un documento del 16 gennaio 1346, relativo all'Ospedale della Misericordia in Ivrea, si legge: "si dà a ciascun infermo da mangiare secondo le possibilità della casa e, quando ciò non è possibile, si preparano loro dei buoni letti… ai poveri non si dà il vitto tutti i giorni, perché, quando possono camminare, vanno a chiedere l'elemosina e alla sera tornano ai loro letti". Inoltre, per quanto riguarda gli infermi, si legge: "quando è necessario, si manda a chiamare il medico per curarli". Questa frase è interessante perché aiuta a precisare che anche l'ospedale per gli infermi non era, come intendiamo noi, un luogo di cura, ma soltanto un luogo di assitenza e il medico veniva chiamato solo in caso di bisogno. Un po' diversa era la sorte degli ammalati ricoverati negli ospedali dei monasteri e delle abbazie, perché qui vi erano monaci esperti nella raccolta e coltivazione di erbe medicinali e nella preparazione di medicine.

• Per poter prescrivere una terapia occorre, è evidente, prima effettuare LA DIAGNOSI. Quali erano i metodi diagnostici nel Medioevo? La diagnosi consisteva principalmente nel considerare visivamente l’apparenza esterna del malato, nell’ascoltare la descrizione dei sintomi da parte del paziente, nella ispezione di urina, feci, e sangue che misuravano l’equilibrio degli umori in un individuo, nell’esame del polso. L’uroscopia era forse il mezzo diagnostico preferito, per cui il colore, odore, densità, sapore(!), presenza di inclusi ecc. delle urine del paziente erano esaminati per determinare il trattamento. Il sangue poteva essere valutato per la viscosità, temperatura, scivolosità, schiumosità, rapidità di coagulazione ecc. L’esame del polso non era per valutare e misurare il flusso ematico, non essendo i medici medievali al corrente della circolazione, ma piuttosto per la forza e la regolarità del battito cardiaco. L’osservazione che includeva tutti i precedenti era cosa rara, e più spesso un medico prescriveva un trattamento solamente sulle richieste scritte di un collega o del paziente stesso. I libri di medicina erano consultati per definire se e quale tipo di terapia, dieta, norme di comportamento ecc. fosse opportuno per quella malattia.

PIANTE OFFICINALI

• Quali erano i criteri con cui venivano scelte le erbe? Per tentare una cura o almeno un sollievo alle sofferenze dei malati si usavano le erbe e le virtù

attribuite ai rimedi naturali si basavano moltissimo sulle qualità simboliche

che erano loro assegnate (ad esempio la forma della foglia a cuore o rene implicava che la pianta avesse effetti su tali organi; la celidonia curava l’itterizia per analogia con i suoi sugo e fiori di colore giallo; il cavolo rosso sanava le ferite perchè del colore del sangue).

• Si pensava che tutto ciò che vi era nella natura fosse ad uso e consumo dell’uomo e, per farne capire l’utilizzo, Dio avesse posto un segno su ogni creatura o pianta. Questa è la “dottrina delle segnature” che, pur presente in parte già nella medicina grecoromana, ebbe però grande sviluppo e teorizzazione dal XVI secolo con Paracelso e il suo tentativo di renderla “scientifica”.

• Nell’Alto Medioevo proliferavano i trattati che collegavano piante (e soprattutto animali) a valori simbolici e religiosi. Un altro uso dell’erboristeria, quasi altrettanto diffuso della produzione di medicamenti, fu l’utilizzo delle piante per l’estrazione di veleni, ovviamente con motivazioni opposte.

Quali erano le specie botaniche presenti nell’orto dei monasteri? Probabilmente:

• salvia per confortare i nervi e guarire dai veleni,

• basilico, menta e altre specie delle Labiate;

• iris da cui si ricavava l’olio essenziale dal caratteristico profumo;

• anice (Pimpinella anisum, da non confondere con l’ ‘anice stellato’ di origine orientale) come carminativo e antispasmodico,

• melissa e lavanda che calmano;

• rosmarino che tonifica,

• menta digestiva e rinfrescante,

• finocchio in grado di assorbire le putrefazioni intestinali,

• agnocasto (che significa: agnello casto) usato dai monaci come anafrosdisiaco e molte altre specie anche legate al luogo ove sorgeva il monastero.

Altre piante comunemente usate per scopi medicinali erano, in ordine sparso:

avena, iperico, altea, betonica (usatissima per molte patologie), parietaria, aristolochia,

malva, filipendula ulmaria, liquirizia, valeriana, consolida, camomilla, aloe, papavero

(una specie europea contiene una piccola quantità di oppiacei).

• La mandragola (o mandragora) chiamata ancora oggi in Germania “erba delle streghe”, è una radice con una vaga forma umanoide che ha portato la fantasia antica e medievale a rappresentarla come una sorta di omuncolo vegetale. Veniva usata per curare infezioni agli occhi, ferite, morso di serpenti, mal d’orecchie, gotta e calvizie. Le venivano attribuite proprietà magiche (come nell’omonima commedia di Machiavelli), quindi era ovviamente più usata nell’ambito della medicina popolare.

• La lachnunga è una pianta con usi magico-medicinali ed è anche il titolo di un libro scritto nel secolo XI in ambiente anglosassone che contiene rimedi alle malattie e in particolare preghiere in latino da recitare sugli ingredienti, per difendersi da agenti invisibili e spiriti ostili, quali elfi, demoni e veleni.

M A N D R A G O L A

Gli Egizi dedicarono la camomilla al Sole e l’apprezzarono fra tutte le piante per le sue proprietà terapeutiche; I Greci la consigliavano per i disturbi ginecologici e nelle febbri. Tra le “nove piante sacre” del Lacnunga, un antico manoscritto anglosassone, la camomilla è la “più potente”. Infine a questa pianta si ispira

betonica

1.Pianta erbacea medicinale con foglie

ovali e fiori riuniti a formare una falsa

spiga; usata fin dall'antichità per le sue

presunte proprietà terapeutiche.

Avere le virtù della betonica = avere molte

buone qualità.

Conosciuto più della betonica= di persona

o cosa molto conosciuta.

L'altea (Althaea officinalis) è una pianta

della famiglia delle Malvaceae. Utile in

caso di disturbi alle vie respiratorie, ha

anche proprietà emollienti, lenitive e

protettive.

L'iperico (Hypericum perforatum) è una

pianta della famiglia delle Hypericaceae.

Le sue sommità fiorite sono ricche

di flavonoidi e svolgono un'azione antidepressiva e sedativa.

L’erboristeria nei conventi Nell’Alto Medioevo. le conoscenze teoriche e pratiche di erboristeria diventarono appannaggio dei monaci. I monaci andavano per boschi e foreste, che al tempo erano molto fitte e coprivano gran parte del territorio, alla ricerca di ogni sorta di pianta utilizzabile in ogni periodo dell’anno, poiché ogni pianta ha un suo ciclo vitale e i suoi principi terapeutici sono maggiormente presenti, a seconda della specie e della parte vegetale usata (radici, fiori, frutti, foglie), nei mesi più disparati. Solo successivamente i monaci presero a coltivare le specie più utili all’interno del monastero, (mentre per quelle non coltivabili vi era sempre la ricerca nei boschi). Venne così creato l’“hortus sanitatis”, che nel Rinascimento prese poi il nome di “orto dei semplici”. All’interno dei monasteri, usualmente l’erboristeria era una piccola stanza dove erbe e piante di ogni genere venivano trattate, essiccate, bollite, lavorate e conservate. Normalmente l’uso era destinato all’infermeria del monastero stesso. La conservazione delle erbe, in un primo tempo, veniva effettuata riponendole in un armadio buio ed areato, ma non troppo. Col passare degli anni comparvero scaffali con vasi, vasetti ed ampolle, per la maggior parte non trasparenti per evitare che la luce ne deteriorasse il prezioso contenuto.