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PROGETTO
Misura 124 – Cooperazione per lo per sviluppo di nuovi prodotti, processi e
tecnologie nei settori agricolo e alimentare, e quello forestale
ECODENS – ecostabilizzazione delle sanse mediante densificazione
RELAZIONE TECNICA
(Biomasse)
Dott. Rappa Vito
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PREMESSA
Il termine biomasse residue del settore agricolo e forestale, inteso come insieme delle sostanze
organiche di origine vegetale o animale, racchiude un’ampia gamma di prodotti o derivate da scarti e
residui di varie produzioni, che spaziano da quelle agricole‐forestali e quelle agroindustriali (Mc
Kendry,2002; Klass, 1998).
Le biomasse sono definite dal D.Lgs. n. 28/2011 ‘Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla
promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle
direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE’ come “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di
origine biologica provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla
silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura, gli sfalci e le potature
provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”.
Fra le filiere corte che possono contribuire ad attivare la multifunzionalità agricola legata alla tutela e
alla riqualificazione territoriale si inserisce la valorizzazione energetica della sansa e dei residui di
potatura delle specie legnose e non, che viene presentata nella presente relazione.
La questione energetica rappresenta un elemento strategico delle politiche di sviluppo e delle
politiche ambientali. L’Unione Europea (EU) importa oltre il 50% dell’energia e la dipendenza, in
mancanza di interventi significativi, potrà raggiungere il 70% nel 2030. La condizione deficitaria è molto
grave nel nostro paese: l’Italia attualmente importa dall’estero oltre l’82% del proprio fabbisogno
energetico, che in larga misura è coperto da combustibili fossili, e ha ratificato il protocollo di Kyoto, che
la obbliga a uno sforzo effettivo di riduzione dei gas serra del 6,5%. L’Unione Europea, e di conseguenza
l’Italia, prevedono sostegni sempre più significativi per stimolare l’impiego delle fonti di energia
rinnovabile. Il legno rappresenta la più importante fonte energetica rinnovabile europea, in Italia
seconda solo all’idroelettrico. Ciò nonostante, le filiere legno‐energia si stanno sviluppando in maniera
modesta nel nostro Paese.
La biomassa è una fonte largamente presente sul nostro pianeta: si posso utilizzare la piante
estirpate, e quindi inutili, o piantarle appositamente, magari vicino agli impianti che le utilizzeranno per
ridurre i costi. La biomassa la possiamo definire una forma indiretta di energia solare accumulata in
qualsiasi materiale organico vegetale (alberi,erbacce) tramite il processo della Fotosintesi; i vegetali
infatti utilizzano i raggi solari per trasformare acqua e anidride carbonica in sostanze energetiche che
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servono alle stesse per autoalimentarsi. Oltre ad essere un’ulteriore fonte di energia utilizzabile
dall’uomo, questa fonte di energia costituisce una grande risorsa per l’ambiente: la sua più importante
caratteristica è infatti quella di non alterare il bilancio di anidride carbonica nell’atmosfera; l’anidride
carbonica immessa nell’atmosfera, quando le bruciamo ad esempio, è la stessa quantità che queste
hanno assorbito durante la loro crescita! Notevole differenza con i combustibili fossili che producono
CO2 in grande quantità durante la combustione, ma non c’è modo di completarne il ciclo riportandola
alla forma organica.
La biomassa può essere ricavata da numerose fonti naturali, oltre che dagli scarti dell’agricoltura,
dell’allevamento e dell’industria, come ad esempio: le piante e gli alberi (scarti di lavorazione del legno o
della cellulosa, residui di potature, legname coltivato allo scopo, residui agricoli), scarti dell’industria
alimentare (noccioli, vinacce, gusci, fieno, sansa), reflui degli allevamenti e delle discariche, rifiuti urbani
(frazione organica), rifiuti industriali (cascami di cotone, canapa). Esistono inoltre vere e proprie colture
energetiche che si differenziano in tre classi a seconda dell’utilizzo: colture zuccherine (mais, cereali,
sorgo), colture oleaginose (girasole, colza, soia), colture ligno‐cellulosiche (sorgo da fibra, kenaf, canapa,
canna comune, miscanto, panico, falaride, cardo, pioppo, salice, robinia).
Esistono diverse tipologie di biomassa legnosa utilizzabile per scopi energetici. Una categorizzazione
può partire dalla provenienza: dagli scarti delle lavorazioni agricole, dagli scarti delle lavorazioni agro‐
industriali, dalla gestione dei boschi. Le biomasse combustibili provenienti dall’agricoltura sono
costituite dai residui colturali ovvero da tutte quelle parti della pianta che non riguardano il “prodotto
principale” generalmente destinato ad usi alimentari.
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Filiere
principali
Settori di
provenienza
Prodotti di partenza Prodotti finali
Forestazio
ne
Essenze
impiegate per
scopi energetici
Residui
industriali della
lavorazione della
cellulosa
Residui
industriali della
lavorazione del
legno
Pioppo,salice,eucalipto e
legna da ardere in generale
Black‐liquor
Segatura e truciolato da
segherie
Pellet e cippato
Colture
agricole
Essenze
coltivate proprio
per scopi
energetici
Residui di
piantagioni e di
lavorazioni
agricole
Scarti dei
prodotti
agroalimentari
Girasole, mais,
cardo,ricino, colza e soia
Fieno , paglia, bagasse,
gusci di nocciole, mandorle e
noci, potatura vite e alberi da
frutto, raccolta legumi e residui
di canapa e cotone.
Lolla, pula, sansa
esausta,semi d’olive ed uva,
noccioli e scarti di lavorazione
frutta
Olio vegetale,
biodisel, bioetanolo
e pellet
Rifiuti Prodotti
organici derivati
dall’attività
biologica degli
animali e
dell’uomo
Rifiuti urbani
Rifiuti e liquami da
allevamento degli animali e
discariche dei rifiuti
Sfalcio erbe e potature,
Biogas e
termovalorizzazione
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di origine
vegetale
scarti mercati ortofrutticoli e
frazione organica RSU
1. Obbiettivi del progetto.
Il progetto si pone l’obiettivo di dimostrare la fattibilità‐tecnico economica di un processo innovativo
e perfettamente compatibile di trattamento delle sanse vergini mediante co‐densificazione con le
potature di fruttiferi in modo da produrre un innovativo pellettato di sansa vergine che diventerà una
importante fonte energetica pulita e a basso costo che dovrà rimpiazzare in parte le tradizionali fonti
fossili con una evidente ricaduta positiva per quei comparti agricoli particolarmente energivori quali
quello lattiero‐caseario e zootecnico. Nel raggiungere questo traguardo ambizioso una delle materie
prime fondamentali è data dai residui delle potature dei fruttiferi.
2. Residui di potature
I residui agricoli, generalmente costituiti dalle strutture di supporto e protezione degli organi di
produzione della pianta oltre che dalle foglie, derivano dall’operazione di taglio a fine ciclo colturale per
le colture annuali (ad esempio cereali) e dalle operazioni di potatura effettuate con varia periodicità
sulle colture poliennali (ad esempio frutteti). La raccolta delle potature nei vigneti, negli oliveti e nei
frutteti da destinare all’alimentazione di impianti termici, può rappresentare una valida opportunità per
la valorizzazione economica di un prodotto legnoso che, solo fino a poco tempo fa, era considerato un
ingombrante scarto di produzione, da eliminare con costi non trascurabili. La quantità di residui colturali
recuperabile e, quindi, la stima della disponibilità territoriale di biomassa dipendono da numerosi
fattori, quali l'estensione delle superfici coltivate, la produttività delle colture, le caratteristiche
agronomiche della coltura, la modalità di raccolta, le condizioni di operatività, la stagionalità della
raccolta, lo stoccaggio del sottoprodotto, l’organizzazione aziendale e i possibili utilizzi del
sottoprodotto.
Tradizionalmente, gli agricoltori considerano i residui di potatura come un problema di smaltimento
piuttosto che una fonte energetica potenzialmente produttiva. Per esempio negli oliveti tutto il
materiale con un diametro superiore ai 5 cm è utilizzato come legna da ardere e pertanto viene
recuperato senza problemi. Il materiale più sottile non ha ancora sbocchi commerciali e generalmente
viene smaltito in due modi: triturazione in campo o combustione. In realtà, il residuo di potatura è un
ottimo combustibile che può essere impiegato da una considerevole varietà di utenze.
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I residui delle potature attualmente non rappresentano per le aziende interessate una fonte di
reddito ma costituiscono nella maggior parte dei casi un problema e allo stesso tempo un costo di
produzione.
Fino a oggi lo smaltimento di tali residui prevedeva e prevede due soluzioni principali:
‐ trinciatura in campo lungo gli interfilari e loro conseguente interramento;
‐ bruciatura dei residui.
Figura 1‐ A)Trincitura , B) Bruciatura dei residui
La trinciatura con conseguente interramento si può rivelare utile in presenza di vigneti e colture sane: in
questi casi la biomassa derivante da potature non costituisce fonte d’infezione o diffusione di patologie
ma anzi possono svolgere funzione di apporto di nutrienti e di sostanza organica al terreno. Questa
pratica tuttavia può presentare un ritorno fitosanitario negativo nel caso di i residui siano infettati con
marciume radicale o mal dell’esca iodio, peronospora ecc. In queste circostanze l’interramento dei
residui è da evitare, in quanto il patogeno trova nel terreno un ambiente favorevole per svernare e
infettare nuovamente, nella primavera successiva, i germogli. In queste circostanze quindi
l’interramento dei residui trinciati potrebbe risultare problematico per il controllo fitosanitario. In molti
casi invece i residui delle potature sono raccolti con un rastrello applicato a un trattore e portati nelle
aree perimetrali degli appezzamenti per essere successivamente bruciati. Allo stato attuale in molte
regioni questa soluzione è vietata per i suoi ritorni ambientali negativi, sia per motivi di qualità dell’aria
legati alle emissioni dovute a questa pratica colturale, sia a scopo cautelativo per prevenzione degli
incendi.Inoltre la bruciatura richiede un lavoro manuale con produttività media di 0,5 t/h. I costi dello
smaltimento sono riassunti nella tabella 1, da cui risulta che la gestione di questo materiale ha
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comunque sempre un costo intorno a 100‐150 €/ha nel caso del vigneto, a cui non corrisponde alcun
ricavo, perché il materiale viene semplicemente distrutto. Negli oliveti i costi sono ancora maggiori, a
causa della maggior quantità di residuo da smaltire.
Tabella 1. Costo smaltimento residui di potature.
Bruciare i sarmenti a bordo campo è spesso interdetto da molte amministrazioni comunali (anche se
poi in realtà si riscontra spesso un mancato rispetto di tali regolamenti).
Ai sensi del D. Lgs. n. 22/97 (decreto Ronchi), i residui delle potature, quando devono essere smaltiti,
rientrano nella categoria dei rifiuti. Se contrariamente a ciò viene loro conferita una destinazione
energetica, come da D. Lgs. n. 152/06 (ex DPCM 8 marzo 2002), possono essere considerati combustibili
a tutti gli effetti.
3. Biomassa ottenibile
La variabilità nella produzione di residui ottenibili dalle pratiche di potatura è legata a molteplici
fattori, tra cui in particolare la metodologia di allevamento per la vite (spalliera, pergola, tendone) a
vaso a parete per i fruttiferi, dal tipo di varietà, dall’ubicazione e la giacitura, dalla fertilità del terreno,
dall’agrotecnica, potatura verde, dall’età delle piante ecc..
COLTURE Biomasse
ottenibile t/ha Biomassa Kg/p.
Vite 1,5‐2,7 0,6
Olivo 1,7‐2,4 8,7
Pero 2 3,6
Pesco 2,9 5,2
Agrumi 1,8 4,5
Mandorlo 1,7 4,9
Tabella 2. Produzione di residui ottenibili dalle pratiche di potatura.
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Un aspetto importante è rappresentato dalla stagionalità del lavoro, perché il periodo favorevole per
la raccolta delle potature va da dicembre a marzo (con prolungamenti ad aprile per l’olivo), e una
stagione molto piovosa può determinare la raccolta di materiale anche molto umido. D’altra parte, in
questo periodo la richiesta di calore raggiunge i valori massimi, e si potrebbe pensare all’invio della
biomassa direttamente in caldaia, evitandone lo stoccaggio e la manipolazione intermedia. Un’opzione
del genere può essere messa in pratica solo nell’eventualità di disporre di caldaie in grado di accettare
combustibile relativamente umido o di miscelare la biomassa fresca con materiale più asciutto, di altra
provenienza.
La raccolta automatizzata delle potature dipende da vari fattori, e in particolare da:
- condizioni del terreno, e in particolar modo dalla sua giacitura: solo le macchine più
compatte possono operare nei terrazzamenti, inaccessibili agli altri modelli. Su terreni piani o
moderatamente pendenti invece è possibile entrare con tutti i tipi di attrezzatura;
- sesto d’impianto e forma di allevamento: soprattutto nei vigneti, lo spazio tra le file e la
forma di allevamento possono costituire altrettanti fattori limitanti. L’ingombro delle
attrezzature più comuni rende difficile l’accesso negli impianti dove l’interfila è inferiore ai 3 m,
e in quelli allevati a tendone o a pergola. L’ideale sono gli impianti a spalliera con distanza tra le
file di almeno 3 m. Negli oliveti si adottano sesti più ampi e lo spazio generalmente non è un
problema, anche se gli impianti con chiome basse e aperte possono porre qualche problema
alla circolazione dei trattori cabinati;
- ampiezza delle capezzagne: la manovra delle macchine giunte a fine fila richiede la
disponibilità di capezzagne sufficientemente ampie, adeguate al cantiere utilizzato. Sono anche
necessari spazi per il trasferimento del prodotto nei mezzi adibiti al trasporto, o per lo scarico in
terra;
- caratteristiche delle potature: le dimensioni massime delle potature condizionano il tipo di
tecnologia impiegata, perché non tutte le macchine hanno la stessa capacità diametrica. Le
piccole trinciacaricatrici possono trattare un diametro massimo di circa 5 cm, mentre le
macchine industriali accettano facilmente anche rami di diametro maggiore. La quantità di
potature per unità di superficie è un altro fattore importante, checondiziona la possibilità di
impiego delle macchine e la produttività conseguibile. Logicamente, le macchine retroportate
non possono trattare andane più alte della luce libera da terra del trattore, perché in tal caso il
trattore non riesce a scavalcare l’andana, ma la spinge avanti con il muso. Al contrario, andane
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troppo magre impediscono il raggiungimento di buoni livelli produttivi. Anche la disposizione
delle potature ha un ruolo importante nel successo della raccolta: per facilitare il lavoro delle
macchine e ridurre le perdite, le potature devono essere concentrate ordinatamente al centro
dell’interfila.
In linea generale possiamo descrivere quattro diverse tecniche di raccolta meccanizzata delle
potature:
Imballatura in campo
Trinciatura in campo
Triturazione o cippatura in capezzagna
4. ‐ Imballatura in campo
L’imballatura è una tecnica di lavorazione adatta al residuo legnoso sottile altrimenti difficile da
manipolare. Essa consente di organizzarlo in unità omogenee, facilitandone la movimentazione e lo
stoccaggio. Il mercato offre da anni modelli efficienti e collaudati, sviluppati a partire da normali presse
da foraggio. Le imballatrici esistenti si possono distinguere in tre gruppi:
- piccole imballatrici parallelepipede
- rotoimballatrici leggere
- rotoimballatrici industriali.
Le piccole imballatrici parallelepipede sono delle pressa‐foraggi modificate, che confezionano balle
parallelepipede tramite un normale dispositivo a stantuffo con moto rettilineo alternativo. Sono
macchine leggere, applicate a un trattore agricolo da 40‐ 60 kW e capaci di lavorare su un fronte di 1
metro e 1 metro e mezzo. Le balle hanno dimensioni variabili, ma tutte vicine ai valori standard di 45 x
35 x 70 cm. Il peso varia tra i 20 e i 40 kg in funzione del tipo di materiale raccolto e della sua umidità. La
produttività di queste macchine dipende dal modello, dal tipo di coltura trattata e dalle condizioni di
lavoro. Si va da 600 a 1000 balle al giorno con una squadra composta da due operatori – uno che
conduce il trattore e l’altro che agevola la raccolta con un forcone. La produttività oraria si aggira sui 10
q/ora lorda a fronte di un costo orario di circa 50 €. Il prezzo di un’attrezzatura di questo tipo varia da
8.000 a 15.000 € a seconda del modello.
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Figura 2‐ Foto di una imballatrice parallepipede.
Le rotoimballatrici leggere utilizzano lo stesso principio di funzionamento dei modelli standard, ma
cercano di rimediare ai problemi di ingombro attraverso una generale miniaturizzazione: il peso della
macchina infatti è ridotto a un quinto e l’azionamento avviene tramite un piccolo trattore da frutteto
capace di erogare 25‐30 kW. A seconda del tipo di materiale, le balle appena confezionate pesano da 30
a 40 kg. La macchina è servita da un solo operatore e raggiunge una produttività oraria di 1,6 t/ora, a
fronte di un costo orario stimato a 38 €/ora. Il prezzo di queste macchine si aggira intorno ai 10.000‐
12.000 €.
Figura 3‐ A) Esempio di rotoimballatrice, B) Esempio di balla.
Anche le rotoimballatrici industriali impiegate per raccogliere i residui di potatura derivano da
attrezzature agricole modificate. La differenza è che si tratta di grosse attrezzature da impiegarsi
esclusivamente in impianti moderni e razionali, anche perché le notevoli dimensioni del cantiere
richiedono spazi di manovra adeguati. Il diametro delle balle è compreso tra 1 metro e 1 metro e mezzo,
per un volume totale di 1‐2 mc a seconda dei modelli. Il peso unitario delle balle varia da 200 a 700 kg,
in base al tipo di imballatrice, alla regolazione della camera di compressione, al tipo di materiale
raccolto. Tutte le funzioni dell’imballatrice sono controllate da un computer impostato direttamente dal
trattorista, che effettua da solo tutto il lavoro. Queste macchine possono essere azionate da un trattore
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da 60 kW, e raggiungono una produttività compresa tra 35 e 70 q per ora lorda. Il loro prezzo si aggira
intorno ai 35.000 €, e il costo di esercizio è pari circa a 60 €/ora.
Figura 4‐ Esempio di imballatrice azionata da un trattore.
In linea generale le imballatrici sono molto efficienti, e il loro principale punto debole sta nella
movimentazione delle balle, piuttosto che nell’imballatura in sé. Allo stato attuale mancano ancora le
tecnologie per razionalizzare la raccolta delle balle, che generalmente è effettuata a mano o con trattori
muniti di forca. Le balle successivamente devono essere cippate, adottando in fase di cippatura tutti gli
accorgimenti necessari a produrre un materiale il più possibile omogeneo.
5. ‐ Trinciatura in campo
La tecnica è estremamente interessante, perché consente di “fluidificare” la biomassa,
semplificandone la movimentazione. Il trinciato può essere poi impiegato direttamente in caldaie ad alta
efficienza energetica. La distinzione principale tra i diversi modelli disponibili sta nella derivazione della
macchina e nel carattere industriale o semi‐industriale del relativo cantiere. In particolare, sono
disponibili:
- le trinciasarmenti semi‐industriali: a mazze con contenitore ribaltabile;
- le trinciacaricatrici industriali: in Italia si sono affermate solo recentemente e in genere derivano
dalla modifica di trinciasarmenti commerciali, a cui è stato applicato un dispositivo per la raccolta del
trinciato.
Le trinciasarmenti semi‐industriali sono normali trinciasarmenti a mazze a cui è stato applicato un
contenitore ribaltabile nel quale si accumula il materiale trinciato. Infatti, oltre a trinciare i sarmenti, il
rotore a mazze produce un flusso d’aria in grado di spingere il trinciato verso il contenitore ribaltabile, di
capacità compresa tra i 2 e i 7 mc. Taluni costruttori hanno sostituito il cassone con sacchi in tela (tipo
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big‐bag), mentre altri hanno riprogettato la macchina dotandola di una ventola e di un tubo di lancio,
per avviare il trinciato al cassone di un rimorchio affiancato. Quest’ultima opzione costituisce un
cantiere più ingombrante, ed è adatta agli impianti industriali in terreno pianeggiante. In ogni caso, la
potenza richiesta varia dai 40 ai 70 kW in funzione del modello, e il diametro massimo del materiale
trattato si aggira intorno ai 5 cm. Alcuni costruttori hanno applicato alla macchina un pick‐up frontale
che solleva i sarmenti prima di inviarli alle mazze: originariamente questa configurazione era stata
sviluppata per la trinciatura su terreni sassosi, allo scopo di mantenere le mazze rialzate da terra ed
evitare il contatto con le pietre, che possono danneggiare le mazze o compromettere l’equilibratura del
rotore. Con il recupero di biomassa, la lavorazione sopraelevata evita la contaminazione del legname da
parte di erba e terra, con risultati favorevoli sulla qualità del cippato. Si tratta sempre di cantieri semi‐
industriali condotti da un solo operatore e capaci di conseguire una produttività compresa tra i 10 e i 15
q di trinciato fresco per ora lorda di lavoro, a fronte di un costo orario stimato intorno a 45 €/ora. Il
prezzo dell’attrezzatura è variabile e oscilla tra i 10.000 e i 20.000 €.
Figura 5‐ Esempio di trinciasarmenti semi‐industriale.
Le trinciacaricatrici industriali sono macchine costruite apposta per trattare i residui di potatura.
Queste macchine possono essere semoventi, o applicate a un trattore agricolo, ma richiedono sempre
potenze elevate, intorno ai 150 kW. Una caratteristica fondamentale di queste macchine è l’applicazione
frontale, che le rende capaci di trattare anche le andane più alte, dove è impossibile impiegare
attrezzature retroportate. Inoltre, il trituratore a mazze di cui sono provviste consente di ottenere un
prodotto più omogeneo e regolare, che può essere movimentato con maggiore facilità. La grande
potenza disponibile e le generose dimensioni del pick‐up permettono di trattare anche i rami più grossi
(diametro 8 cm), e consentono il raggiungimento di produttività molto elevate, comprese tra i 20 e i 40
q di trinciato fresco per ora lorda di lavoro quindi almeno 2 volte maggiore rispetto a quelle ottenibili
con cantieri semi‐industriali. Il costo di acquisto della sola macchina operatrice si aggira sugli 20.000 €,
mentre quello di esercizio oscilla intorno ai 100 €/ora, incluso il trattore e il conducente. Le
trinciacaricatrici industriali sono macchine molto efficienti, adatte soprattutto agli impianti intensivi di
pianura, che offrono gli spazi di manovra e l’estensione necessari per un loro impiego razionale.
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Figura 6‐ Esempio di trinciacaricatore industriale.
6. ‐ Triturazione o cippatura in capezzagna
La triturazione o cippatura in capezzagna è una modifica del vecchio sistema impiegato negli anni
passati per disfarsi dei residui di potatura, che consisteva nel concentramento del materiale a bordo
campo e nella successiva bruciatura. Nel caso specifico, si sostituisce la bruciatura con la triturazione,
ottenendo al contempo lo smaltimento del residuo e la sua valorizzazione commerciale. Normalmente il
concentramento in capezzagna è effettuato dallo stesso proprietario del fondo, impiegando attrezzature
già disponibili in azienda: nel caso specifico il trattore è equipaggiato con una forca frontale, per
spingere i rami fino alla capezzagna. Il vantaggio di questo sistema consiste in una notevole flessibilità,
perché il proprietario può svolgere l’operazione nel momento più opportuno, quando è libero da altri
lavori. Oltretutto, in questo modo il proprietario ha il pieno controllo di tutte le operazioni fatte nel suo
impianto, e non deve preoccuparsi che altri possano danneggiare le piante a causa di manovre
frettolose o approssimative. La produttività ottenibile in questa fase è di 9‐12 q di biomassa fresca a ora,
in funzione della lunghezza dei filari e della quantità di potature presenti sul terreno. Se il lavoro non è
effettuato con risorse marginali (ad esempio, “a tempo morto”), il costo orario oscilla intorno ai 35‐40 €.
La cosa più importante è che il trattorista faccia attenzione a non sporcare i residui di potatura,
calpestandoli con le ruote del trattore o tirando su terra con i denti della forca. La trinciatura può essere
effettuata con un trituratore a martelli, data la possibile contaminazione con terra o sassi, che in una
certa misura è inevitabile nonostante tutte le attenzioni del trattorista. I modelli con imboccatura a
vasca sono probabilmente i più adatti a questo lavoro, perché in grado di gestire abbastanza facilmente
anche il materiale disposto in modo disordinato. In ogni caso, la macchina deve essere alimentata con
una gru idraulica, incorporata al trituratore o montata su un altro mezzo di appoggio. Vista l’ampiezza
limitata delle capezzagne è preferibile impiegare trituratori relativamente compatti, magari azionati da
un trattore con potenza di circa 100‐120 kW. Una macchina così leggera può raggiungere una
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produttività di 35‐ 50 q di trinciato per ora di lavoro, a fronte di un costo orario intorno agli 80 €.
Macchine di questo tipo sono reperibili sul mercato a un costo di circa 80.000 € incluso il motore
autonomo e la gru. In ogni caso, il trituratore leggero è una macchina molto versatile, che può essere
impiegata non solo per lavorare i residui di potatura, ma anche per triturare un’ampia varietà di scarti
verdi o legnosi disponibili in azienda, o presso le aziende vicine.
7. Campo dimostrativo
La superficie agrumicola siciliana è di circa 70748 ettari presenti prevalentemente in provincia di
Catania, Agrigento e Palermo. Dalla potatura di questi agrumeti, si potrebbe ottenere
potenzialmenteun quantitativo di biomassa (residui di potatura) pari a 9000 – 12500 tonnellate, range
variabile in funzioni ai sopraddetti motivi dovuti principalmente alle scelte agrotecniche di ogni singola
azienda. Va considerato che non tutti gli agrumeti si prestano al passaggio della macchina
trinciacaricatricei motivi che ne limitano l’utilizzo sono sia di natura morfologica, eccessiva pendenza dei
terreni sia di natura logistica, vecchi impianti troppe densi, poco spazio di manovra nelle capezzagne
ecc.
Il primo campo dimostrativo sarà realizzato presso l’azienda Inghilleri sul sistema di raccolta e
trinciatura delle potature nell’occasione verrà presentata e saggiata la macchina trinciacaricatrice della
BERTI MACCHINE AGRICOLE S.p.A.. La prova verrà eseguita in un appezzamento di terreno coltivato ad
agrumeto. L’impianto ha circa 25 anni è allevato a vaso, forma di allevamento a volume caratteristica
delle nostre zone con sesto quadrato m 6x6 dove è stata eseguita un potatura primavera‐estiva. Per
permettere l’utilizzo della macchina e facilitarne l’intervento il materiale di potatura è stato posto in
andane nell’interfila.
Figura 7‐ Esempio di potatura.
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Scheda tecnica della Trinciacaricatrice BERTI
Accoppiamento alla trattriceportato
Potenza richiesta dal trattore
minimo: 45,00 kW ( 61,18 CV) ( 60,35 HP)
massimo: 104,00 kW ( 141,40 CV) ( 139,46 HP)
Presa di potenza
Velocità pdp minimo: 540 rpm
Dimensioni e pesi
Larghezza di lavoro1,20 m ( 120,00 cm) ( 1.200,00 mm)
Peso 1.460 kg