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Relazione su: IL VALORE DELLA VITA: ABORTO ED EUTANASIA. Indice: Introduzione:il valore della vita.................................... da pagina 1 a pagina 3 Riflessione di Sgreccia...................................................da pagina 3 a pagina 5 Aborto............................................................ ..............da pagina 5 a pagina 10 Il Codice di diritto Canonico............................................da pagina 10 a pagina 13 Evangelium Vitae (con citazioni).....................................da pagina 13 a pagina 18 Eutanasia......................................................... .............da pagina 19 a pagina 23 Conclusione....................................................... ............pagina 24 Bibliografia...................................................... ..............pagina 24 Il primo diritto di una persona umana è la sua vita. Essa ha altri beni, ed alcuni sono più preziosi, ma quello è fondamentale, condizione di tutti gli altri, poiché l’uomo è re e signore non solo delle cose ma anche ed innanzitutto di sé stesso e della vita che gli è stata donata. La vita è sacra e inviolabile perché comporta l’azione creatrice di Dio e quindi rimane per sempre in una relazione speciale con il

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Page 1: Relazione su: · Web viewIl rispetto della vita è la prima giustizia da applicare. Per chi ha il dono della fede questo diventa un imperativo inderogabile, perché il seguace di

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IL VALORE DELLA VITA: ABORTO ED EUTANASIA.

Indice:   Introduzione:il valore della vita.................................... da pagina 1 a pagina 3 Riflessione di Sgreccia...................................................da pagina 3 a pagina 5 Aborto..........................................................................da pagina 5 a pagina 10 Il Codice di diritto Canonico............................................da pagina 10 a pagina 13 Evangelium Vitae (con citazioni).....................................da pagina 13 a pagina 18 Eutanasia......................................................................da pagina 19 a pagina 23  Conclusione...................................................................pagina 24 Bibliografia....................................................................pagina 24 

Il primo diritto di una persona umana è la sua vita. Essa ha altri beni, ed alcuni sono più preziosi, ma quello è fondamentale, condizione di tutti gli altri, poiché l’uomo è re e signore non solo delle cose ma anche ed innanzitutto di sé stesso e della vita che gli è stata donata.La vita è sacra e inviolabile perché comporta l’azione creatrice di Dio e quindi rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, unico signore della vita dal suo inizio alla sua fine.Nella visione cattolica i diritti vengono considerati unicamente come strumenti che tutelano la sfera di autonomia dell'individuo rispetto allo Stato, mentre l'insieme dei diritti dell'uomo deve corrispondere, alla sostanza della dignità della persona. Essi devono riferirsi alla soddisfazione dei suoi bisogni essenziali, all'esercizio delle sue libertà, alle sue relazioni con le altre persone e con Dio (Giovanni Paolo II, Discorso ONU 1979).Il fondamento dei diritti umani è basato sul principio che ogni essere umano è persona, e quindi “i diritti appartenendo originariamente e intrinsecamente alle persone, sono perciò naturali e inalienabili” (Giovanni XXIII, Pacem in terris).Come tutti gli esseri umani sono fondamentalmente uguali, così anche il patrimonio dei diritti è uguale in ogni persona e in tutte le persone. Essi, dunque, sono universali (Giovanni XXIII, Pacem in terris), sono presenti in tutti gli esseri umani, senza eccezione alcuna di tempo, di luogo e di soggetti. I diritti fondamentali appartengono, infatti, all'essere umano in quanto persona, ad ogni persona e a tutte le persone, uomini o donne, ricchi o poveri, sani o ammalati.

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Perché  la vita è un bene? Le prime pagine della Bibbia riguardano appunto il bene della vita e ci si trova una risposta efficace e mirabile a tale interrogativo. “La vita che Dio dona all'uomo è diversa e originale di fronte a quella di ogni altra creatura vivente, in quanto egli, pur imparentato con la polvere della terra, è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria. «L'uomo che vive è la gloria di Dio»”. All'uomo è donata un'altissima dignità, che ha le sue radici nell'intimo legame che lo unisce al suo Creatore: nell'uomo risplende un riflesso della stessa realtà di Dio.Il primo libro della Genesi, pone l'uomo al vertice dell'attività creatrice di Dio, come suo coronamento, al termine di un processo che dall'indistinto caos porta alla creatura più perfetta. Tutto nel creato è ordinato all'uomo e tutto è a lui sottomesso. Si afferma così il primato dell'uomo sulle cose: esse sono finalizzate a lui e affidate alla sua responsabilità, mentre per nessuna ragione egli può essere asservito ai suoi simili e quasi ridotto al rango di cosa. Difatti la Chiesa coglie il valore incomparabile di ogni persona umana e si sente chiamata ad annunciare agli uomini di tutti i tempi questo «vangelo», fonte di speranza invincibile e di gioia vera per ogni epoca della storia. È per questo che l'uomo, l'uomo vivente, costituisce la prima e fondamentale via della Chiesa.Benedetto XVI ha fatto un discorso importante ai membri del Movimento per la Vita Italiano (es. Presid. Onorevole Carlo Casini). Ha cominciato facendo una lunga riflessione sulla vita dicendo che difendere la vita umana è diventato oggi praticamente più difficile, perché si è creata una mentalità di progressivo svilimento del suo valore, affidato al giudizio del singolo. Come conseguenza ne è derivato un minor rispetto per la stessa persona umana, valore questo che sta alla base di ogni civile convivenza, al di là della fede che si professa.Bisogna perciò proteggere la vita con coraggio e amore in tutte le sue fasi. Il rispetto della vita è la prima giustizia da applicare. Per chi ha il dono della fede questo diventa un imperativo inderogabile, perché il seguace di Cristo è chiamato ad essere sempre più “profeta” di una verità che mai potrà essere eliminata: Dio solo è Signore della vita. Ogni uomo è da Lui conosciuto e amato, voluto e guidato. Qui soltanto sta l’unità più profonda e grande dell’umanità, nel fatto che ogni essere umano realizza l’unico progetto di Dio, ognuno ha origine dalla medesima idea creatrice di Dio. Si comprende pertanto perché la Bibbia afferma: chi profana l’uomo, profana la proprietà di Dio (cfr Gn 9,5).Il Vangelo della vita non è una semplice riflessione, anche se originale e profonda, sulla vita umana; neppure è soltanto un comandamento destinato a sensibilizzare la coscienza e a provocare significativi cambiamenti nella società; tanto meno è un'illusoria promessa di un futuro migliore. Il Vangelo della vita è una realtà concreta e personale, perché consiste nell'annuncio della persona stessa di Gesù.Ecco quindi che si delinea un diverso fine, un diverso scopo al quale deve tendere la legge morale rispetto alla legge civile.La Chiesa Cattolica sostiene che molte volte si pensa che la legge civile non possa esigere che tutti i cittadini vivano secondo un grado di moralità più elevato che essi stessi riconoscono, poiché la legge dovrebbe sempre esprimere solo l’opinione e la volontà della maggioranza dei cittadini e quindi l’ordinamento giuridico di una società dovrebbe costruirsi solo su quanto la maggioranza riconosce e vede come morale; questo perché si rivendica la completa autonomia di scelta tale che lo Stato non imponga alcuna convinzione etica ma si limiti a garantire il più ampio spazio di libertà per ciascun soggetto.

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Questo può essere definito relativismo etico, che molti sostengono essere condizione per una vera democrazia.La Chiesa Cattolica sostiene invece, che in nessun ambito la legge civile può sostituirsi alla coscienza, dato che lo scopo della legge civile è solo quello di assicurare il bene comune delle persone attraverso il riconoscimento e la difesa dei loro diritti fondamentali, poiché l’uomo ha in realtà già una legge scritta dentro di sé da Dio e la dignità umana è appunto seguire detta legge.Secondo la Chiesa Cattolica, la legge umana deriva dalla legge eterna, quindi se la legge è in contrasto con la ragione, è una legge iniqua , cessa di essere una legge e diviene piuttosto un atto di violenza: “Ogni legge posta dagli uomini in tanto ha ragione di legge in quanto deriva dalla legge naturale. Se invece in qualche cosa è in contrasto con la legge naturale, allora non sarà legge bensì corruzione della legge”(Concilio Vaticano II) .Quindi la Chiesa ritiene che per lo sviluppo di una sana democrazia sia necessario riscoprire i veri valori umani che nascono dentro l’essere umano stesso; detti valori non possono essere creati , modificati o distrutti da nessuno Stato o individuo, ma devono essere solo riconosciuti, rispettati e promossi.Le leggi che autorizzano e favoriscono l'aborto e l'eutanasia si pongono dunque radicalmente non solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune, e poiché non è mai lecito cooperare formalmente con il male, queste leggi, sostiene la Chiesa, non creano nessun obbligo, ma creano un preciso obbligo di opporsi ad esse attraverso le obiezioni di coscienza.Il comandamento «non uccidere»  determina quindi il punto di partenza per un cammino di rispetto della vita, poiché la vita umana è sacra e inviolabile in ogni momento della sua esistenza, anche in quello iniziale che precede la nascita.In questo orizzonte si collocano problemi quali l’aborto, la procreazione medico assistita e l’eutanasia.L’aborto è l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita.Primo e fondamentale tra tutti è l’inviolabile diritto alla vita di ogni essere umano innocente.Il rispetto della vita umana non si impone solo ai cristiani, poiché è sufficiente la ragione a esigerlo basandosi sull’analisi di ciò che è e deve essere una persona: l’uomo è un soggetto personale, capace di riflettere su se stesso, di decidere dei propri atti, e quindi del proprio destino. È, di conseguenza, padrone di sé, o piuttosto, poiché egli si realizza nel tempo, ha i mezzi per diventarlo: questo è il suo compito. Egli è inoltre aperto a Dio e non troverà il suo compimento che in lui. Vi è un complesso di diritti, che non spetta alla società di accordare, perché essi le sono anteriori, ma che la società ha il dovere di tutelare e di far valere: tali sono la maggior parte di quelli che oggi si chiamano i “diritti dell’uomo”, primo tra questi il diritto alla vita.Dalla riflessione di Monsignor Elio Sgreccia si evince come quello della difesa della vita e del diritto alla vita per ogni essere umano, durante il corso della sua esistenza terrena, dal momento del concepimento fino alla morte naturale, è il primo dei valori sociali posti alla base della società stessa.Sgreccia sostiene che la società nel suo insieme, anche globalmente considerata, abbia bisogno di un risveglio del valore vita in ordine anche al valore delle coscienze.Trattando poi dei nuovi e attuali problemi dell’obiezione di coscienza afferma di

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dover irrobustire le coscienze, e sostenerne la continua formazione in relazione al diritto alla vita offeso in modo grave.Questi sono gli scopi primari del Suo messaggio ma ve ne è pure un altro che riguarda l'obiezione di coscienza in campo biomedico.Fino a qualche tempo fa, l'obiezione di coscienza per il cattolico (e per altre persone consapevoli del valore della vita) aveva due sole possibilità applicative: quella relativa al servizio militare e quella in relazione all'aborto. Ora il campo di applicazione si va estendendo anno per anno, e la conflittualità della coscienza cristiana dei professionisti con la legge e la prassi sta crescendo nel quotidiano. Basta ricordare l'estensione dell'aborto, previsto dalle leggi abortiste, in ospedale e con intervento chirurgico, all'aborto chimico:  pillola del giorno dopo e RU486, e in altre forme con contraccettivi: adesivi, strumenti meccanici o vaccini. L'obiezione di coscienza va considerata in un'ottica più vasta, non solo nei singoli settori ma nei confronti di un più vasto delirio di una rivolta contro quello che è sentito come il limite creaturale, che invece è sorgente di un dono che è sempre prezioso, perché dono di Dio, destinato all'eternità. Il tentativo del rifiuto della creazione, e con essa della sacralità della vita, è un assalto non solo a Dio, ma anche alla ragione e alla sana laicità, perché la ragione fonda l'appello al Creatore e la sana laicità riconosce in questa radice la consistenza della realtà, la sua autonomia rispetto al potere abusivo e invasivo dell'uomo che pretendesse infliggere la morte ad un altro uomo. Questo è il grido oggi della coscienza laicamente retta e di quella cristiana che si incontrano nel rivendicare il diritto alla vita, il primo dei beni e dei doni per il laico e per i credenti. Interessante è poi la divisione in tre fasi della morte dell'innocente: la prima nelle coscienze obnubilate, la seconda nel delitto dei singoli, la terza nelle leggi permissive e inique che cancellano l'idea stessa del delitto. Di qui l'importanza che questo valore, quello della vita, il primo dei valori fondamentali nell'ambito sociale, sia tutelato anzitutto nelle coscienze e dalle persone di retta coscienza. Nella enciclica “Evangelium Vitae” di Giovanni Paolo II, si nota come ogni minaccia alla dignità e alla vita dell'uomo non può non ripercuotersi nel cuore stesso della Chiesa, non può non coinvolgerla nella sua missione di annunciare il Vangelo della vita in tutto il mondo e ad ogni creatura. Oggi questo annuncio si fa particolarmente urgente per l'impressionante moltiplicarsi ed acutizzarsi delle minacce alla vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando tale vita è debole e indifesa. Si tratta di tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario. Tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l'intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni disumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili. Tutti questi fatti, e altri simili, sono certamente vergognosi e, mentre guastano la civiltà umana, inquinano coloro che danno luogo a tali comportamenti e ledono grandemente l'onore del Creatore.

Siamo di fronte a una realtà vasta, che si può considerare come una vera e

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propria struttura di peccato, caratterizzata dall'imporsi di una cultura anti-solidaristica, che si configura in molti casi come vera «cultura di morte». Essa è attivamente promossa da forti correnti culturali, economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della società.

Si può parlare di una guerra dei potenti contro i deboli: la vita che richiederebbe più accoglienza, amore e cura è ritenuta inutile, o è considerata come un peso insopportabile e, quindi, è rifiutata in molte maniere. Si scatena così una specie di «congiura contro la vita». Essa non coinvolge solo le singole persone nei loro rapporti individuali, familiari o di gruppo, ma va ben oltre, sino ad intaccare e stravolgere, a livello mondiale, i rapporti tra i popoli e gli Stati.

Per facilitare la diffusione dell'aborto, si sono investite e si continuano ad investire somme ingenti destinate alla messa a punto di preparati farmaceutici, che rendono possibile l'uccisione del feto nel grembo materno, senza la necessità di ricorrere all'aiuto del medico.

Si afferma frequentemente che la contraccezione, resa sicura e accessibile a tutti, è il rimedio più efficace contro l'aborto. Si accusa poi la Chiesa cattolica di favorire di fatto l'aborto perché continua ostinatamente a insegnare l'illiceità morale della contraccezione.

Anche le varie tecniche di riproduzione artificiale, che sembrerebbero porsi a servizio della vita e che sono praticate non poche volte con questa intenzione, in realtà aprono la porta a nuovi attentati contro la vita. Al di là del fatto che esse sono moralmente inaccettabili, dal momento che dissociano la procreazione dal contesto integralmente umano dell'atto coniugale, queste tecniche registrano alte percentuali di insuccesso: esso riguarda non tanto la fecondazione, quanto il successivo sviluppo dell'embrione, esposto al rischio di morte entro tempi in genere brevissimi.

Le diagnosi pre-natali, che non presentano difficoltà morali se fatte per individuare eventuali cure necessarie al bambino non ancora nato, diventano troppo spesso occasione per proporre e procurare l'aborto. È l'aborto eugenetico, la cui legittimazione nell'opinione pubblica nasce da una mentalità, a torto ritenuta coerente con le esigenze della «terapeuticità», che accoglie la vita solo a certe condizioni e che rifiuta il limite, l'handicap, l'infermità.

Minacce non meno gravi incombono pure sui malati inguaribili e sui morenti, in un contesto sociale e culturale che, rendendo più difficile affrontare e sopportare la sofferenza, acuisce la tentazione di risolvere il problema del soffrire eliminandolo alla radice con l'anticipare la morte al momento ritenuto più opportuno.

Una tragica espressione di tutto ciò nella diffusione dell'eutanasia, attuata apertamente e persino legalizzata. Essa, oltre che per una presunta pietà di fronte al dolore del paziente, viene talora giustificata con una ragione utilitaristica, volta ad evitare spese improduttive troppo gravose per la società. Si propone così la soppressione dei neonati malformati, degli handicappati gravi, degli inabili, degli anziani, soprattutto se non autosufficienti, e dei malati terminali.

Un altro fenomeno attuale, al quale si accompagnano frequentemente minacce e attentati alla vita, è quello demografico. Esso si presenta in modo differente nelle diverse parti del mondo: nei Paesi ricchi e sviluppati si registra un preoccupante calo o crollo delle nascite; i Paesi

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poveri, invece, presentano in genere un tasso elevato di aumento della popolazione, difficilmente sopportabile in un contesto di minore sviluppo economico e sociale, o addirittura di grave sottosviluppo. Contraccezione, sterilizzazione e aborto vanno certamente annoverati tra le cause che contribuiscono a determinare le situazioni di forte denatalità. Può essere facile la tentazione di ricorrere agli stessi metodi e attentati contro la vita anche nelle situazioni di «esplosione demografica».

L’aborto è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita. Il Concilio Vaticano II lo ritiene un “delitto abominevole”, una ferita gravissima della società, poiché è un’enorme minaccia contro la vita, non solo dei singoli individui, ma anche dell’intera civiltà ed è un forte segno della crisi morale del momento.

Nelle culture matriarcali, ed in quella celtica, dove la discendenza più importante era quella materna, l'aborto era a discrezione della donna. In genere non veniva praticato poiché considerato un insulto alla divinità femminile della rinascita e della fertilità. Si supponeva che rifiutare una vita donata dalla Dea portasse sfortuna al clan, era invece consentito lasciar morire i propri figli, soprattutto se menomati fisicamente. I vichinghi gettavano i bambini menomati in una fossa con belve feroci. Nell'Antica Grecia e nell'Antica Roma si ha una società di tipo patriarcale; l'aborto era comunemente praticato, soprattutto per figli nati da relazioni extra coniugali. Mentre la donna assira che abortiva e veniva scoperta era impalata.

L'aborto, dal punto di vista morale giuridico, consiste nell'interruzione della gravidanza, quando il prodotto del concepimento non può vivere fuori dell’ utero materno. Quando, invece, l'interruzione della gravidanza porta all’ espulsione di un feto, che può vivere fuori dell'utero materno, si ha il così detto parto prematuro. Dal punto di vista medico legale la differenza fra aborto e parto prematuro è determinata esclusivamente dall'elemento biologico di fatto, l'essersi cioè " avuto un feto morto ovvero un feto vivo e capace di continuare a vivere ", sicché da questo stesso punto di vista l'aborto viene definito: " l'interruzione della gravidanza con morte del prodotto del concepimento ", mentre il parto prematuro consiste nella interruzione della gravidanza con espulsione di un feto vivo e vitale. Invece dal punto di vista ostetrico clinico si tiene conto unicamente dell'elemento cronologico: si ha, infatti, parto prematuro quando il feto viene espulso, vivo o morto, dopo la ventottesima settimana; mentre se l'interruzione della gravidanza avviene prima si ha l'aborto. L'aborto è stato sempre condannato dalla Chiesa, anche nel recente Concilio ecumenico. La S. Congregazione per la dottrina della fede (S, Uffìzio) più volte si è pronunziata in senso di condanna (28 maggio 1884, 19 agosto 1889, 24 luglio 1895), ribadendo la sua posizione di recente nella "Dichiarazione sull'aborto procurato " del 18 novembre 1974. La Chiesa nella sua lunga tradizione ha sempre considerato l’aborto un peccato che toglie la grazia all’anima del peccatore e lo esclude dalla comunione dei fedeli. In primo luogo, come insegna San Tommaso d’Aquino, il peccato mortale “è una specie di morte spirituale dell’anima.” In secondo luogo, è causa delle sanzioni canoniche della scomunica. La Chiesa nella sua

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fedeltà a Cristo non vuole la morte dei peccatori ma la loro riconciliazione. Cristo ha dato alla Chiesa il potere di perdonare i peccatori pentiti, ma non di negare l’esistenza del peccato. Dunque la Chiesa nel riammettere alla comunione quelli che hanno ucciso un bambino nel grembo e si sono pentiti lo fa con la fondata speranza che queste persone eviteranno questa tragica scelta nel futuro. L’immagine di Dio rimane in perpetuo nella persona umana, perché questa è la volontà di Dio nel suo atto creativo. Questo lo impariamo nel ben noto insegnamento del Libro del Genesi, quando il Signore proclama al plurale che farà l’uomo alla sua immagine e somiglianza. L’uccisione del bambino nel grembo o il rifiuto colpevole alla procreazione sono come conseguenza, gravissimi peccati contro il compito di base che Dio dà all’uomo, di essere suo collaboratore nell’opera di continuazione della creazione. Nei nostri tempi con una crescente perdita di una fede forte nella Provvidenza di Dio e nel suo intervento nella storia degli uomini, questa tentazione del rifiuto alla vita diviene più dura. La scelta del peccato fa diventare talmente lontana questa immagine che diviene oscurata e deforme quasi da essere annullata. Se è vero che l’immagine di Dio nell’uomo sta radicata principalmente nella capacità della persona umana di essere co-creatore con Dio, di trasmettere la vita ricevuta che è il dono di base di Dio, la negazione diretta di cooperare con i piani di Dio attraverso l’aborto, la contraccezione, necessariamente sbiadisce l’immagine di Dio. Ogni peccato ha una obiettività e una formalità. L’obiettività è l’azione o l’omissione che sono la manifestazione esterna del peccato. Le formalità sono le diverse motivazioni psicologiche che spingono una persona ad agire in una determinata forma. Queste motivazioni possono aggravare o diminuire la responsabilità dell’autore del peccato. Alcune di queste motivazioni potranno essere conosciute soltanto da Dio, altre invece avranno manifestazioni esterne, le quali potranno anche essere giudicate dagli uomini.

Tanto nel codice del 1917 come nell’attuale codice di diritto canonico promulgato in 1983, la Chiesa punisce l’aborto con la scomunica latae sententiae, ossia la persona che incorre in questo reato, automaticamente riceve questa pena.La Chiesa si sente obbligata ad applicare una gran severità nella punizione di questo reato per tante ragioni. In primo luogo per proteggere la vita degli innocenti. Con questa penalità, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, “la Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.”Secondo, la Chiesa in questo agisce in continuità con una lunga tradizione storica, come è spiegato nella “Dichiarazione sull’aborto procurato” della Congregazione della Dottrina della Fede. Terzo, dinanzi al fenomeno impressionante della crescita degli aborti e della sua legalizzazione in tantissimi ordinamenti civili, la Chiesa è stata indotta ad assumere un atteggiamento di grande fermezza nella difesa della vita. La scomunica colpisce tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato Con tale sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più gravi e pericolosi, spingendo così chi lo commette a ritrovare sollecitamente la strada della conversione. Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un'adeguata conversione e penitenza.Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà

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mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa. Nella pena della scomunica incorrono quelli che con coscienza e volontà procurano e ottengono la morte di un essere umano non nato. Questo può accadere o per la espulsione voluta e causata artificialmente del feto immaturo o anche per l’uccisione del feto medesimo procurata in qualunque tempo dal momento del concepimento.  È senza dubbio un crimine atroce quando si obbliga una donna a patire un aborto contro la sua volontà come accade nella Cina Comunista. Sono anche responsabili tutti coloro senza la cui cooperazione non si potrebbe avere commesso questo reato. Qui possiamo fare riferimento a tutto il personale sanitario che abbia cooperato formalmente con questo reato e a tutte le persone che abbiano una responsabilità determinante nell’indurre la donna a commettere questo reato. A titolo di esempio possiamo menzionare il padre del bambino o i genitori della donna che subisce l’aborto. Si applicano a questo reato le norme generali del codice sulla imputabilità  e attenuazione dell’imputabilità. Dunque non incorrono in questa pena le donne minori di sedici anni, ma chiaramente se praticano l’aborto con coscienza e volontà incorrono in peccato. Abbiamo anche il caso dell’ignoranza della legge che può essere una causa di non imputabilità.    La Chiesa cerca attivamente il pentimento e la riconciliazione delle persone colpevoli di avere commesso aborti. Per questo le penalità canoniche sebbene abbiamo una natura punitiva hanno anche una natura medicinale, cercando la guarigione spirituale. Come questo atto è profondamente antinaturale è logico che la madre che ha commesso questo peccato soffra un senso squarciante di colpa che si manifesta in terribili incubi e in una depressione di natura clinica. In certa forma queste angosciose esperienze sono una grazia del Signore perché possono portare al pentimento e possono evitare che la coscienza della donna sia anestetizzata dai rassicuranti messaggi di una società relativista. Per questo con tutta misericordia la Chiesa la vuole accompagnare nel cammino di pentimento offrendo il sacramento della riconciliazione. Accompagnando questo sacramento con una catechesi chiara sul perdono totale di Dio a tutti quelli che si pentono con sincerità di cuore e anche con l’appoggio fraterno di una comunità cristiana che le permetta di sentirsi appoggiata da altri compagni di cammino nella strada verso il Signore. L’esperienza secolare della Chiesa ci insegna quanto sia insidioso il senso di colpa, perché se per un lato è buono ed apre la strada alla riconciliazione, per un altro lato una persona che abbia commesso un grave peccato e abbia piena consapevolezza della gravità di quello che ha fatto è tentata ad avere dubbi se Dio veramente la perdonerà. Il peccato che portò Giuda al suicidio, non fu tanto il tradimento di Cristo del quale egli si pentì, ma il rifiuto a credere che poteva essere perdonato, è per questo che si tolse la vita. Per una persona che ha la fede, questo sentimento di colpa può essere aumentato dal dubbio riguardo la salvezza dei bambini morti senza il battesimo. Su questo la Chiesa insegna, “Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito dei funerali per loro.” Per questo non si può escludere che un bambino abortito sia alla presenza di Dio. Un rispettato teologo è dell’opinione che i bambini desiderano il pentimento dei loro genitori e stabiliscono una unione di amore con loro.                          Poiché l’aborto è profondamente antinaturale, è logico che abbia conseguenze fisiche e psicologiche. È antinaturale perché ferma in modo artificiale e violento il processo naturale di gestazione. L’interruzione volontaria della gestazione

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aumenta il rischio di gravidanze ectòpiche, infertilità, morte del bambino nel grembo e nascite premature. Già uno studio fatto in Danimarca nel 1975 dimostrava che le donne che avevano aborti, avevano più possibilità di essere ricoverate in ospedali psichiatrici. Nella decade degli anni ottanta del secolo scorso si comincia a parlare della sindrome del post aborto che è un insieme di conseguenze psicologiche e psichiatriche delle quali può soffrire una donna dopo l’aborto. L’ aborto ha tante conseguenze sociali. La incorporazione dell’aborto come un’istituzione del diritto positivo, porta a molte e gravissime conseguenze. La più importante è che l’ aborto ferisce gravemente la legittimità di una società. La società può affermare di essere ispirata e retta dalla giustizia, dalle regole del diritto, ma attraverso il suo diritto positivo è permessa l’uccisione dei membri più piccoli e poveri. Come conseguenza, “l’uomo non può mai ubbidire ad una legge intrinsecamente immorale, una legge che ammette, in linea di principio, la liceità dell’aborto.” Per questo tutto il personale sanitario ha il dovere e il diritto di presentare l’obiezione della coscienza contro l’aborto. Si è sostenuto che la legge rispecchia i costumi, e in conseguenza al fatto che l’aborto è entrato nel costume, per questo motivo esso deve essere legalizzato. In verità quello che accade è il contrario, l’aborto prima della sua legalizzazione ha un’esistenza clandestina nel sottobosco della società, quando è incorporato al sistema giuridico acquista un minimo di apparente rispettabilità sociale. E’ importante considerare che il diritto positivo ha fra i suoi effetti, una funzione di docenza sociale. Dunque quello che viene legittimato dal diritto positivo tende ad essere accettato o come buono o almeno come permissibile per la società. Per questo è fondamentale che il cittadino sia dovutamente formato ad esercitare un giudizio critico sul diritto positivo in forma tale che sia in grado di distinguere quale leggi sono giuste e quali ledono il diritto naturale e in sostanza non hanno la natura di legge. Dobbiamo avere ben presente come insegna San Tommaso D’Aquino che la legge “non è altro che comando della ragione ordinato al bene comune, promulgato da chi è incaricato da una collettività”.  Permettere l’aborto non è basarsi sulla ragione né serve al bene comune.  La depenalizzazione dell’aborto è una tappa verso la coniazione del falso diritto di scelta della donna. Molte persone considerano che obbligare una donna a portare avanti una gravidanza contro la sua volontà sia una violazione di un diritto fondamentale della donna. Su questo dobbiamo capire che se il bambino nel grembo è un essere umano, il suo diritto alla vita sorpassa tutti i diritti che la madre possa avere. Questo supposto diritto entra in collisione con l’inciso 1°, art 6 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici, che stabilisce che “Il diritto alla vita è inerente alla persona umana. Questo diritto deve esser protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita.”  Se la donna avesse un diritto alla scelta, starebbe privando arbitrariamente della vita il bambino che porta nel suo grembo. Insegnando contro questo falso diritto, i vescovi spagnoli recentemente affermavano che, “Ogni essere umano è un dono sacro per i suoi genitori e per tutta la società. Non deve essere considerato mai come un oggetto subordinato al desiderio di altre persone. La sua vita non può dipendere dall’arbitrio di nessuno, tanto meno dello Stato, il cui compito principale è proprio quello di garantire il diritto di tutti alla vita, come elemento fondamentale del bene comune.” La coniazione di questo falso diritto porta a sua volta alla coniazione d’altri falsi diritti. Come il diritto alla libera disposizione della propria vita che apre la porta al suicidio assistito. Quando si dichiara che il bambino nel grembo può essere ucciso legalmente,

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questo apre la porta alla distruzione di tante altre persone che si considera che non hanno una “dovuta qualità di vita” o peggio sono considerate socialmente inutili. All’uccisione delle persone anziane che non sono più in grado di prendersi cura di se stesse, all’uccisione dei malati terminali e anche di persone che hanno delle gravi menomazioni. Ossia si apre la porta all’eutanasia.     Nei rarissimi casi nei quali si deve scegliere fra la vita della madre e la vita del bambino, dobbiamo essere molto chiari, non si può mai uccidere un innocente. Questi casi nei quali la madre riceve una dovuta cura durante la gravidanza, sono quasi inesistenti.  Per questo è evidente che non si può mai abortire anche se questo mette a rischio la vita della madre, questa è una norma morale assoluta e non negoziabile che la Chiesa ha sempre insegnato. E’ necessario distinguere l’aborto da un’operazione chirurgica che possa avere come conseguenza non voluta la morte del bambino in grembo. Qui abbiamo l’applicazione del principio del doppio effetto. Quando il fine che si propone è buono, ad esempio rimuovere un tumore, si può fare l’ intervento anche se consapevoli che ha una conseguenza né voluta né desiderata, che è negativa come è la perdita di un bambino nel grembo. Qui sussiste un problema terminologico, questo aborto non si può definire aborto terapeutico, perché l’obbiettivo dell’intervento chirurgico non è l’uccisione del bambino ma la esportazione di un tumore. Per la dottrina cattolica non esiste l’aborto terapeutico, perché mai si può uccidere un bambino per cercare di guarire la madre. Molte persone hanno utilizzato i casi estremi come spiraglio per giustificare l’aborto ma non si può giustificare l’aborto neanche in caso di violenza sessuale. Non si può porre rimedio ad una grave ingiustizia commettendone una ancora più grave. Questo ci porta all’analisi di un altro argomento considerato in favore dell’aborto, secondo il quale tutti i bambini che nascono devono essere desiderati. Per diverse ragioni una donna si può trovare dinanzi ad una gravidanza non desiderata, come accade quando la gravidanza è causata da violenza sessuale. In questo caso la donna merita tutto l’appoggio della società, ma questa tragedia non dà mai il diritto ad una madre di disporre della vita del bambino. Se una donna non è in grado di curare un bambino può sempre dare il bambino in adozione.  Non  bisogna avere una visione soprannaturale dell’esistenza, per capire che la legalizzazione dell’aborto fortifica la mentalità contraccettiva, che è una delle cause dell’inverno demografico di cui è gravemente affetta l’Europa e tanti altri paesi del mondo. Questo accade perché quando esiste già una mentalità contraccettiva l’aborto diviene il metodo contraccetivo estremo, quando altri metodi falliscono. Dobbiamo ribadire che un popolo che non ha abbastanza bambini per rimpiazzare la futura generazione è un popolo condannato alla morte. La crisi demografica apre anche le porte all’eutanasia perché una società dove ci sia una decrescita costante del numero di lavoratori attivi subirà una forte pressione per diminuire il numero dei pensionati.   L’immoralità dell’aborto, è una posizione condivisa da tante persone di diverse religioni e posizioni filosofiche. Allo stesso tempo è una posizione centrale nella morale Cattolica. Ci professiamo cristiani non soltanto riconoscendo l’esistenza di Dio e tutto quello che Egli ha fatto per noi nel corso della storia della salvezza, ma accettando i suoi insegnamenti e cercando di vivere la nostra vita in conformità con la dottrina Cristiana come è insegnata dalla Chiesa. La Chiesa insegna che, “la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano

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sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti.” Come conseguenza una persona che si consideri Cattolica non può mai favorire l’aborto né appoggiare un dirigente politico che sia in favore dell’aborto. E’ chiaro che la Chiesa, ritiene ogni aborto l’uccisione di un essere innocente, che ha diritto alla vita in quanto è una persona umana. Permettere legalmente la sua morte ferisce tragicamente tutta la società. Dinanzi alla realtà dell’aborto legalizzato, l’unica risposta coerente di un Cattolico, è cercare l’abrogazione di questa legge. Pur consapevole che questo è un traguardo difficile non deve essere perso di vista.   La Chiesa non accetta l'aborto. La Chiesa condanna l'atto, che è sbagliato ma non le persone. Dio è perdono, misericordia e amore e non vuole il male nostro. Difendendo il bambino che deve nascere, la Chiesa difende il diritto di ogni essere umano alla Vita. Per la Chiesa, le leggi che permettono l'aborto violano questo principio che sta alla base di ogni democrazia. Sono leggi gravi quelle che permettono l'aborto perché permettono il crimine - l'uccisione di un innocente senza difesa - e perché scambiano il significato di bene e di male all'interno della società. Per la gente quello che viene permesso dalla legge è bene. Questo è il motivo per cui molta gente critica il Papa e la Chiesa. La legge di Dio è al di sopra della legge umana. Le donne sono invitate a smettere di abortire e ad apprezzare il fantastico dono di Dio: la vita, la quale non può essere distrutta per nessun motivo. La Chiesa può aiutare le persone a capire il grande valore della vita, la sacralità della vita.Nel Codice di diritto canonico, il canone 2273 sostiene: Il diritto inalienabile alla vita di ogni individuo umano innocente rappresenta un elemento costitutivo della società civile e della sua legislazione: "I diritti inalienabili della persona dovranno essere riconosciuti e rispettati da parte della società civile e dell'autorità politica; tali diritti dell'uomo non dipendono né dai singoli individui, né dai genitori e neppure rappresentano una concessione della società e dello Stato: appartengono alla natura umana e sono inerenti alla persona in forza dell'atto creativo da cui ha preso origine. Tra questi diritti fondamentali bisogna, a questo proposito, ricordare il diritto alla vita e all'integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento alla morte" [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, III]. "Nel momento in cui una legge positiva priva una categoria di esseri umani della protezione che la legislazione civile deve loro accordare, lo Stato viene a negare l'uguaglianza di tutti davanti alla legge. Quando lo Stato non pone la sua forza al servizio dei diritti di ciascun cittadino, e in particolare di chi è più debole, vengono minati i fondamenti stessi di uno Stato di diritto. Come conseguenza del rispetto e della protezione che vanno accordati al nascituro, a partire dal momento del suo concepimento, la legge dovrà prevedere appropriate sanzioni penali per ogni deliberata violazione dei suoi diritti" [Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Donum vitae, III].Canone 2272 La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. "Chi procura l'aborto, ottenendo l'effetto, incorre nella scomunica latae sententiae" [Codice di Diritto Canonico, 1398] "per il fatto stesso d'aver commesso il delitto" [Codice di Diritto Canonico, 1398] e alle condizioni previste dal Diritto. La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.

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Purtroppo nella coscienza di molti, la percezione della gravità dell’aborto è andata sempre di più oscurandosi. Si è progressivamente verificato in molti settori della società un crescente disinteresse per questa tragedia. La coscienza di molti ha sofferto una specie di anestesia. Questo si può spiegare per molte ragioni,  probabilmente la principale è la crescita di una visione relativistica della vita, che molte volte si fa presente nell’atteggiamento di alcune persone le quali affermano che loro sono personalmente contrarie all’aborto ma che non hanno diritto di imporre le loro convinzioni personali ad altri. Possiamo menzionare anche un falsa compassione sentimentale per la donna che in circostanze difficili sta portando avanti una gravidanza, ma questa compassione mai può arrivare alla tragica legittimazione dell’uccisione del bambino che porta nel suo grembo. Invece quello che deve fare la società è adoperarsi prendere tutte le misure possibili per aiutare operosamente una madre che si trova in un situazione difficile. Per questo come passo preliminare dobbiamo capire bene che cosa è  l'aborto procurato. È  l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita. Dunque è in diretta e chiara violazione di una delle norme più basilari del diritto naturale e del quinto comandamento del Decalogo, che è non uccidere l’innocente. Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato. Questo insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L'aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale: "Non uccidere il bimbo con l'aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita".  Il Concilio Vaticano II ci indica con totale chiarezza che, "Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli.”  Giovanni Paolo II dichiara in forma solenne, invocando l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi, che l'aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente.L’aborto, e la rinuncia colpevole ad avere figli sono parte anche di una certa tendenza verso l’auto-distruzione che è causata dal peccato originale e dal fatto che siamo stati creati dal nulla.  Il rifiuto di avere figli in certa maniera, è una forma di suicidio. Questa nostalgia per il nulla è una tragica delusione causata dal desiderio di essere liberati dai travagli dell’esistenza, perché non possiamo ritornare al non-esistere dal quale siamo stati creati. Tanto la ragione naturale come la rivelazione ci insegnano che vivremo per sempre o in perfetta beatitudine o nell’angoscia e nel dolore. Quelli che si ribellano contro l’amore di Dio troveranno già in questa vita un vuoto e un’angoscia che grazie alla misericordia di Dio darà loro un’anticipazione dell’inferno cosa che potrà  spingerli alla conversione.        Gli effetti spirituali dell’aborto sono tragici. Questa affermazione è motivata da diverse ragioni. In primo luogo dall’amore di Dio che è il creatore e restauratore della vita. Il Signore deve essere adorato e ringraziato per il suo magnifico impegno nella nostra salvezza che va fino a dare la sua vita per noi nella croce, ma purtroppo molte volte ci dimentichiamo di ringraziare per il dono primario che è la creazione. In secondo luogo per la difesa della vita della persona totalmente indifesa che si trova nel grembo. Il bambino nel grembo di sua madre è la vittima principale dell’aborto. Questo ci porta a ricordare che la nostra principale solidarietà deve essere sempre con la vittima del crimine,

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ossia con il bambino che è ucciso.  In terzo luogo per l’amore e la misericordia che abbiamo come cristiani, per la donna che si trova a rischio di commettere un aborto e anche per l’abortista. Presentando con chiarezza la gravità di questa azione abbiamo certa speranza che questo serva da deterrente.  È chiaro che a causa di diverse circostanze anche la donna può essere una vittima. Il medico invece che commette l’aborto ha una situazione molto diversa e ha una responsabilità che di solito è molto più grave. In fine per l’amore alla società e alla cultura in cui viviamo. Una società dove nel passato si era incarnata la verità della fede e che adesso si sta sgretolando per la mancanza di figli. Una società senza figli è una società senza futuro.  Nella “Dichiarazione sull’ aborto procurato” viene affrontato il problema dell’aborto procurato e della sua eventuale liberalizzazione legale. Questi dibattiti sono accesi ed interessanti, perché riguardano la vita umana, valore primordiale che è necessario proteggere e promuovere. La Chiesa ha il dovere di difendere l’uomo contro tutto ciò che potrebbe dissolverlo dalla rinnegazione dell’ aborto. In numerosi Paesi, i pubblici poteri che resistono a una liberalizzazione delle leggi sull’aborto, sono oggetto di pesanti pressioni, che mirano a condurveli. Numerosi laici cristiani, specialmente medici, ma anche associazioni di padri e di madri di famiglia, uomini politici o personalità in posti di responsabilità, hanno vigorosamente reagito contro questa campagna di opinione. Ma, soprattutto molte Conferenze episcopali, nonché vescovi a proprio nome, hanno giudicato opportuno richiamare senza ambiguità ai fedeli la dottrina tradizionale della Chiesa. La Chiesa predilige il rispetto dell’ uomo e della vita. La Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede è incaricata di promuovere e di difendere la fede e la morale nella Chiesa Universale e si propone di richiamare questi insegnamenti nelle loro linee essenziali a tutti i fedeli. Così, ponendo in risalto l’unità della Chiesa, essa confermerà con l’autorità propria della Santa Sede ciò che i vescovi hanno felicemente intrapreso. Essa confida che tutti i fedeli, compresi coloro che sono stati scossi dalle controversie e dalle opinioni nuove, comprenderanno che non si tratta di opporre una opinione ad altre, ma di trasmettere loro un insegnamento costante del Magistero supremo, che espone la regola dei costumi alla luce della fede. È dunque chiaro che questa Dichiarazione non può non comportare un grave obbligo per le coscienze dei fedeli. Dio non ha fatto la morte, né si rallegra per la fine dei viventi. Dio ha creato degli esseri che vivono per un tempo limitato, e la morte fisica non può essere assente dal mondo dei viventi corporei. Ciò che è, anzitutto, voluto, è la vita. Il comandamento di Dio è “non uccidere” perché la vita è un dono e dev’essere valorizzata. La Chiesa protegge e favorisce la vita perciò l’aborto è un crimine. L’uomo è un soggetto personale, capace di riflettere su se stesso, di decidere dei propri atti, e quindi del proprio destino; egli è libero. È, di conseguenza, padrone di sé, o piuttosto, poiché egli si realizza nel tempo, ha i mezzi per diventarlo: questo è il suo compito. Creata immediatamente da Dio, la sua anima è spirituale, e quindi immortale. Egli è inoltre aperto a Dio e non troverà il suo compimento che in lui. Ma egli vive nella comunità dei suoi simili, si nutre della comunicazione interpersonale con essi, nell’indispensabile ambiente sociale. Di fronte alla società e agli altri uomini, ogni persona umana possiede se stessa, possiede la propria vita, i suoi diversi beni, per diritto; la qual cosa esige da tutti, nei suoi riguardi, una stretta giustizia. Tuttavia, la vita temporale condotta in questo mondo non s’identifica con la persona; questa possiede in proprio un livello di vita più profondo, che non può finire. La vita corporea è un bene fondamentale, condizione quaggiù di tutti gli altri; ma ci sono valori più

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alti, per i quali potrà essere legittimo o anche necessario esporsi al pericolo di perderla. In una società di persone, il bene comune è per ciascuna un fine che essa deve servire, al quale essa dovrà subordinare il suo interesse particolare. Ma esso non è il suo fine ultimo e, da questo punto di vista, è la società che è al servizio della persona, perché questa non raggiungerà il suo destino che in Dio. Essa non può essere definitivamente subordinata che a Dio. Non si potrà mai pertanto trattare un uomo come un semplice mezzo, di cui si possa disporre per ottenere un fine più alto. Sui diritti e sui doveri reciproci della persona e della società, spetta alla morale illuminare le coscienze, al diritto di precisare e di organizzare le prestazioni. Il frutto del concepimento è già una persona umana, è oggettivamente un grave peccato osare di assumere il rischio di un omicidio. «È già un uomo colui che lo sarà». La legge divina e la ragione naturale escludono, dunque, qualsiasi diritto di uccidere direttamente un uomo innocente.In ogni Paese la legge proibisce e punisce l’omicidio; in molti di essi, inoltre, è anche proibito e punito l’ aborto procurato. Molti cittadini e, in particolare, i membri della Chiesa cattolica, condannano l’aborto, molti altri lo ritengono lecito, almeno dal punto di vista del minor male. La legge non ha il compito di scegliere tra le diverse opinioni, o di imporne una a preferenza di un’altra. Nonostante questo la vita del bambino prevale su qualsiasi opinione, e non si può invocare la libertà di pensiero per togliergliela. La funzione della legge non è di registrare passivamente quel che si fa, ma di aiutare a far meglio. La missione dello Stato è quella di tutelare i diritti di ciascun cittadino e di proteggere i più deboli. La legge non è obbligata a punire tutto, ma non può andare contro una legge più profonda e più augusta di ogni legge umana: la legge naturale, la quale è inscritta dal Creatore nel cuore dell’uomo come norma che la ragione discopre e si adopera a ben formulare, che bisogna costantemente sforzarsi a comprendere meglio, ma che è sempre male contraddire. La legge umana può rinunciare a punire, ma non può rendere onesto quel che sarebbe contrario al diritto naturale, perché tale opposizione basta a far sì che una legge non sia più legge. L’uomo non può mai ubbidire ad una legge intrinsecamente immorale, e questo è il caso di una legge che ammettesse, in linea di principio, la liceità dell’aborto. Egli non può né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del suo voto. Non potrà neppure collaborare alla sua applicazione.La vita viene da Dio; la vita corporea rappresenta per l’uomo l’indispensabile inizio. Nella vita sulla terra il peccato ha introdotto, moltiplicato ed aggravato la sofferenza e la morte; ma Gesù Cristo, prendendo su di sé tali pesi, li ha trasformati. Per coloro che credono in lui, la sofferenza e la stessa morte diventano strumenti di resurrezione. San Paolo ha potuto affermare: «Ritengo che le sofferenze del tempo presente non possano essere paragonate con la futura gloria, che si rivelerà a noi».

Papa Giovanni Paolo II nel capitolo III dell’enciclica “Evangelium vitae” descrive l’aborto procurato come un delitto grave e deprecabile la percezione della cui gravità, nella coscienza di molti, è andata progressivamente oscurandosi. Sottolinea che l'accettazione dell'aborto nella mentalità, nel costume e nella stessa legge è segno eloquente di una pericolosissima crisi del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere tra il bene e il male, persino quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita. La gravità morale dell'aborto procurato appare in tutta

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la sua verità se si riconosce che si tratta di un omicidio e, in particolare, se si considerano le circostanze specifiche che lo qualificano. Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in assoluto si possa immaginare. E’ un essere debole, inerme, al punto di essere privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato. È totalmente affidato alla protezione e alle cure della madre. Eppure, talvolta, è proprio lei, la madre, a deciderne e a chiederne la soppressione e persino a procurarla. È vero che molte volte la scelta abortiva riveste per la madre carattere drammatico e doloroso, in quanto la decisione di disfarsi del frutto del concepimento non viene presa per ragioni puramente egoistiche e di comodo, ma perché si vorrebbero salvaguardare alcuni importanti beni, quali la propria salute o un livello dignitoso di vita per gli altri membri della famiglia. Talvolta si temono per il nascituro condizioni di esistenza tali da far pensare che per lui sarebbe meglio non nascere. Tuttavia, queste e altre simili ragioni, per quanto gravi e drammatiche, non possono essere utilizzate per giustificare la soppressione di un essere innocente. A decidere della morte del bambino non ancora nato, accanto alla madre, ci sono spesso altre persone. Può essere colpevole dell’ aborto il padre del bambino, il personale medico sanitario, i legislatori che hanno promosso e approvato leggi abortive e, nella misura in cui la cosa dipende da loro, gli amministratori delle strutture sanitarie utilizzate per praticare gli aborti. Una responsabilità generale non meno grave riguarda sia quanti hanno favorito il diffondersi di una mentalità di permissivismo sessuale e disistima della maternità, sia coloro che avrebbero dovuto assicurare, e non l'hanno fatto, valide politiche familiari e sociali a sostegno delle famiglie, specialmente di quelle numerose o con particolari difficoltà economiche ed educative. Non si può infine sottovalutare la rete di complicità che si allarga fino a comprendere istituzioni internazionali, fondazioni e associazioni che si battono sistematicamente per la legalizzazione e la diffusione dell'aborto nel mondo. In tal senso l'aborto va oltre la responsabilità delle singole persone e il danno loro arrecato, assumendo una dimensione fortemente sociale: è una ferita gravissima inferta alla società e alla sua cultura da quanti dovrebbero esserne i costruttori e i difensori. Giovanni Paolo scrive nella sua “ Lettera alle famiglie” che l’ aborto è una minaccia contro la vita non ancora nata, poiché dal momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura una vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto. A questa evidenza di sempre la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo istante si trovi fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: una persona, questa persona individua con le sue note caratteristiche già ben determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata l'avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo, per impostarsi e per trovarsi pronta ad agire». Anche se la presenza di un'anima spirituale non può essere rilevata dall'osservazione di nessun dato sperimentale, sono le stesse conclusioni della scienza sull'embrione umano a fornire «un'indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?». Del resto, tale è la posta in gioco che, sotto il profilo dell'obbligo morale, basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte a una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l'embrione umano. Proprio per questo, al di là dei dibattiti scientifici e delle stesse affermazioni filosofiche nelle quali il Magistero non si è espressamente

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impegnato, la Chiesa ha sempre insegnato, e tuttora insegna, che al frutto della generazione umana, dal primo momento della sua esistenza, va garantito il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all'essere umano nella sua totalità e unità corporale e spirituale. Secondo la Chiesa l’essere umano deve essere rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento, momento a partire dal quale egli deve vedersi riconosciuti tutti i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano alla vita.  Fin dall’ antichità dove erano ampiamente praticati l'aborto e l'infanticidio, la comunità cristiana si è radicalmente opposta, con la sua dottrina e con la sua prassi, ai costumi diffusi in quella società. I cristiani considerano come omicide le donne che fanno ricorso a medicine abortive, perché i bambini, anche se ancora nel seno della madre, «sono già l'oggetto delle cure della Provvidenza divina». Lungo la sua storia ormai bimillenaria, questa medesima dottrina è stata costantemente insegnata dai Padri della Chiesa, dai suoi Pastori e Dottori. Anche le discussioni di carattere scientifico e filosofico circa il momento preciso dell'infusione dell'anima spirituale non hanno mai comportato alcuna esitazione circa la condanna morale dell'aborto. Il più recente Magistero Pontificio ha ribadito con grande vigore questa dottrina comune. In particolare Pio XI nell'Enciclica “Casti connubii” ha respinto le pretestuose giustificazioni dell'aborto; Pio XII ha escluso ogni aborto diretto, cioè ogni atto che tende direttamente a distruggere la vita umana non ancora nata, «sia che tale distruzione venga intesa come fine o soltanto come mezzo al fine»; Giovanni XXIII ha riaffermato che la vita umana è sacra, perché «fin dal suo affiorare impegna direttamente l'azione creatrice di Dio». Il Concilio Vaticano II, ha condannato con grande severità l'aborto, in quanto la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura e l'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti. La disciplina canonica della Chiesa, fin dai primi secoli, ha colpito con sanzioni penali coloro che si macchiavano della colpa dell'aborto e tale prassi, con pene più o meno gravi, è stata confermata nei vari periodi storici.Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa. La valutazione morale dell'aborto è da applicare anche alle recenti forme di sperimentazione che, pur mirando a scopi in sé legittimi, ne comportano inevitabilmente l'uccisione. È il caso della sperimentazione sugli embrioni, in crescente espansione nel campo della ricerca biomedica e legalmente ammessa in alcuni Stati. Se si devono ritenere leciti gli interventi sull'embrione umano a patto che rispettino la vita e l'integrità dell'embrione, non comportino per lui rischi sproporzionati, ma siano finalizzati alla sua guarigione, al miglioramento delle sue condizioni di salute o alla sua sopravvivenza individuale, si deve invece affermare che l'uso degli embrioni o dei feti umani come oggetto di sperimentazione costituisce un delitto nei riguardi della loro dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto al bambino già nato e ad ogni persona. La stessa condanna morale riguarda anche il procedimento che sfrutta gli embrioni e i feti umani ancora vivi, talvolta «prodotti» appositamente per questo scopo mediante la fecondazione in vitro, sia come «materiale biologico» da utilizzare sia come fornitori di organi da trapiantare, per la cura di alcune malattie. In realtà, l'uccisione di creature umane innocenti, seppure a vantaggio di altre, costituisce un atto assolutamente inaccettabile. Una speciale attenzione deve essere riservata alla valutazione morale delle tecniche diagnostiche prenatali,

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che permettono di individuare precocemente eventuali anomalie del nascituro. Infatti, per la complessità di queste tecniche, tale valutazione deve farsi più accurata e articolata. Quando sono esenti da rischi sproporzionati per il bambino e per la madre e sono ordinate a rendere possibile una terapia precoce o anche a favorire una serena e consapevole accettazione del nascituro, queste tecniche sono moralmente lecite. Dal momento però che le possibilità di cura prima della nascita sono oggi ancora ridotte, accade non poche volte che queste tecniche siano messe al servizio di una mentalità eugenetica, che accetta l'aborto selettivo, per impedire la nascita di bambini affetti da vari tipi di anomalie. Una simile mentalità è ignominiosa e quanto mai riprovevole, perché pretende di misurare il valore di una vita umana soltanto secondo parametri di “normalità” e di benessere fisico, aprendo così la strada alla legittimazione anche dell'infanticidio e dell'eutanasia.  Le fonti dei Canoni CONCILIO DI ELVIRA, Spagna (Concilium Eliberitanum), 305 circa, cann. 63. 68. = MANSI 2,16Sono le più antiche sanzioni canoniche sull’aborto (dell’anno 305 circa). Le pene inizialmente sono di particolare durezza: la scomunica che non può essere tolta neppure in articulo mortis (can. 63); e - per le catecumene che hanno abortito - il Battesimo è rimandato alla fine della vita (can. 68).Can. 63. Sulle donne sposate che uccidono i figli nati da relazioni adulterine. A una donna che, in assenza del marito, abbia concepito un figlio da una relazione adulterina, e dopo aver commesso peccato lo abbia ucciso, non si deve dare la comunione neppure in punto di morte, perché ha perpetrato un duplice misfatto.Can. 68. Sulla catecumena adultera che uccide il proprio figlio.Una catecumena che abbia concepito una creatura da una relazione adulterina, e l’abbia soffocata, sia battezzata solo in punto di morte.

CONCILIO DI ANCIRA, Galazia (Conc. Ancyranum), anno 314, can. 21 = MANSI 2,519In un primo tempo per il peccato di aborto solo in articulo mortis veniva sciolta la scomunica, mentre ora subentra una legislazione più mite (penitenza ridotta nel tempo: 10 anni).Le donne che fornicano e uccidono le creature del loro grembo o tentano di abortire erano scomunicate fino alla fine della loro vita dalle precedenti disposizioni, e ad esse si adattavano; avendo ora pensato a un trattamento più benevolo, si è deciso che si sottomettano per dieci anni alle pratiche penitenziali nei gradi fissati. CONCILIO DI LERIDA (Concilium Ilerdense), anno 524, can. 2 = MANSI 8, 612Il Concilio di Lerida dell’anno 524 recepisce e mitiga ulteriormente i canoni di Ancira. La pena viene ridotta a 7 anni, anche se il pentimento deve durare tutta la vita. I chierici sono sospesi. Chi somministra abortivi potrà essere perdonato solo in exitu, cioè al momento della morte.Can.2. Su quelli che compiono l’aborto, o sopprimono i loro nati. A quelli che hanno fatto in modo di eliminare i feti malamente concepiti da un rapporto adultero, quando erano già usciti alla luce, oppure uccidendoli con qualche veleno negli uteri delle madri, sia all’uomo che alla donna, si conceda la comunione soltanto dopo un periodo penitenziale di 7 anni; facendo però in

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modo che per tutto il tempo della loro vita continuino a pentirsi con lacrime e sentimenti di umiltà. Se costoro fossero dello stato clericale, non potranno più recuperare il loro ufficio ministeriale; tuttavia quando saranno tornati a ricevere la comunione (cioè dopo 7 anni) potranno presenziare in coro per la salmodia. Invece a coloro che somministrano sostanze abortive sia data la comunione soltanto in punto di morte, purché si siano pentiti dei loro delitti per tutto il tempo della loro vita.

I CONCILIO DI MAGONZA (847), can. 21 = MANSI 14,909 Non fa che raccogliere insieme e confermare le pene stabilite dai concili precedenti (Ancira, can.21; Elvira, can.63; Lerida, can.2) contro l’aborto.Can.21: Sulle donne che uccidono i loro parti.GREGORIO III, Excerptum a beato Gregorio Papa III editum, ex Patrum dictis canonumque sententiis, De diversis criminibus et remediis eorum, o Decretum de paenitentia iis imponenda qui tale crimen admisissent (anno 731 d.C.) = MANSI 12,292, can.17.Papa Gregorio III raccoglie in sintesi organica ed armonizzata le diverse sentenze penitenziali dei Padri e dei sacri canoni precedenti; il canone 17 è interamente dedicato alle penitenze canoniche per i casi di aborto e infanticidio, secondo le diverse circostanze in cui avvenga il fatto. E’ espressione di una morale penitenziale di tipo casuistico che allora si stava imponendo.Can. 17: Sulle donne che fornicano e fanno aborto. Se una donna ha commesso fornicazione e ha ucciso l’infante che ne è nato, o ha cercato di fare un aborto, e ha ucciso ciò che è stato concepito, o ha fatto comunque in modo di non concepire, sia in un rapporto adultero, sia nel legittimo coniugio: i precedenti canoni decretarono che donne come queste ricevessero la comunione soltanto in punto di morte; ma noi per clemenza giudichiamo che sia queste donne, sia quelle consapevoli delle medesime colpe, facciano penitenza per 10 anni.Se una donna povera ha ucciso suo figlio, secondo il canone la sua penitenza deve durare 7 anni. La donna che ha concepito e ucciso il figlio o la figlia nell’utero prima di 40 giorni, faccia penitenza come omicida. Se colpevolmente lo ha ucciso e lasciato senza Battesimo, faccia penitenza per 3 anni; se è rimasto senza Battesimo non colpevolmente, faccia penitenza per tre Quaresime. Anche quelle che sopprimono i loro infanti trascurandoli, facciano penitenza come omicide; se avviene in altra maniera, la penitenza è lasciata al giudizio del sacerdote. 

IVO DI CHARTRES (1040-1115), nelle sue opere (Decretum e Panormia) armonizzò tutte le leggi canoniche precedenti.  GRAZIANO (sec.XII), Concordia discordantium canonum o Decretum Gratiani Causa 2, quaestio 5, cap. 20: cita la sentenza di papa Stefano V: «E’ omicida colui che fa perire mediante aborto ciò che era stato concepito»; anche se poi – seguendo IVO DI CHARTRES e sempre in base alla distinzione tra “feto formato” e “non formato” di Esodo 21,22ss - nella causa 32, quaestio 2, cap. 8 non ritiene omicida chi abortisce «prima che l’anima sia infusa nel corpo».  

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Codice di Diritto Canonico 1917 (promulgato da Benedetto XV il 27 maggio 1917): Canone 2350, § 1. Chi procura l’aborto, compresa la madre, ottenendo l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae riservata all’Ordinario; se si tratta di chierici inoltre siano deposti. Codice di Diritto Canonico 1983 (promulgato da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983): Canone 1398. Chi procura l’aborto ottenendo l’effetto incorre nella scomunica latae sententiae. Canone 871. I feti abortivi, se vivono, nei limiti del possibile, siano battezzati.Canone 1041. Sono irregolari a ricevere gli ordini: […] 4° chi ha commesso omicidio volontario o ha procurato l’aborto, ottenuto l’effetto, e tutti coloro che vi hanno cooperato positivamente.Codice dei Canoni delle Chiese Orientali 1990 - CCCO (promulgato da Giovanni Paolo II il 18 ottobre 1990): Canone 1450, § 1. Chi ha commesso un omicidio, sia punito con scomunica maggiore; il chierico sia punito inoltre con altre pene, non esclusa la deposizione. § 2. Nello stesso modo sia punito chi ha procurato un aborto conseguendone l’effetto, fermo restando il can. 728, §2.Canone 728, § 2. E’ riservato al Vescovo eparchiale assolvere dal peccato di aborto procurato, se ne segue l’effetto.Canone 2258 « La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l'azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente ». 2270 La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza, l'essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita. « Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato ». « Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra ».2271 Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato. Questo insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L'aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale:« Non uccidere il bimbo con l'aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita ». « Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come pure l'infanticidio sono abominevoli delitti ». 2272 La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. « Chi procura l'aborto, se ne consegue l'effetto, incorre nella scomunica latae sententiae », « per il fatto stesso d'aver commesso il delitto » e alle condizioni previste dal diritto. La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.2273 Il diritto inalienabile alla vita di ogni individuo umano innocente rappresenta un elemento costitutivo della società civile e della sua legislazione:« I diritti inalienabili della persona dovranno essere riconosciuti e rispettati da parte della società civile e dell'autorità politica; tali diritti dell'uomo non dipendono né dai singoli individui, né dai genitori e neppure rappresentano una concessione della società e dello Stato: appartengono alla natura umana e sono inerenti alla persona in forza dell'atto creativo da cui ha preso origine. Tra

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questi diritti fondamentali bisogna, a questo proposito, ricordare: il diritto alla vita e all'integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento alla morte ». « Nel momento in cui una legge positiva priva una categoria di esseri umani della protezione che la legislazione civile deve loro accordare, lo Stato viene a negare l'uguaglianza di tutti davanti alla legge. Quando lo Stato non pone la sua forza al servizio dei diritti di ciascun cittadino, e in particolare di chi è più debole, vengono minati i fondamenti stessi di uno Stato di diritto. Come conseguenza del rispetto e della protezione che vanno accordati al nascituro, a partire dal momento del suo concepimento, la legge dovrà prevedere appropriate sanzioni penali per ogni deliberata violazione dei suoi diritti ».

2274 L'embrione, poiché fin dal concepimento deve essere trattato come una persona, dovrà essere difeso nella sua integrità, curato e guarito, per quanto è possibile, come ogni altro essere umano. La diagnosi prenatale è moralmente lecita, se « rispetta la vita e l'integrità dell'embrione e del feto umano ed è orientata alla sua salvaguardia o alla sua guarigione individuale. Ma essa è gravemente in contrasto con la legge morale quando contempla l'eventualità, in dipendenza dai risultati, di provocare un aborto: una diagnosi non deve equivalere a una sentenza di morte ». 2275 « Si devono ritenere leciti gli interventi sull'embrione umano a patto che rispettino la vita e l'integrità dell'embrione, non comportino per lui rischi sproporzionati, ma siano finalizzati alla sua guarigione, al miglioramento delle sue condizioni di salute o alla sua sopravvivenza individuale ». « È immorale produrre embrioni umani destinati a essere sfruttati come "materiale biologico" disponibile ». « Alcuni tentativi d'intervento sul patrimonio cromosomico o genetico non sono terapeutici, ma mirano alla produzione di esseri umani selezionati secondo il sesso o altre qualità prestabilite. Queste manipolazioni sono contrarie alla dignità personale dell'essere umano, alla sua integrità e alla sua identità » unica, irrepetibile

Alcuni pensieri sull’ aborto.

"L'aborto è un grave peccato. Dovete aiutare molto le donne che hanno abortito. Aiutate loro a capire che è un peccato. Invitatele a chiedere perdono a Dio e ad andare a confessarsi. Dio è pronto a perdonare tutto, poiché la sua misericordia è infinita. Cari figli, siate aperti alla vita e proteggetela." (1 SET 1992) "I bambini uccisi nel seno materno sono ora come piccoli angeli attorno al trono di Dio." (3 SET 1992) "Milioni di bambini continuano a morire a causa dell'aborto. La strage degli innocenti non è avvenuta soltanto dopo la nascita di mio Figlio. Si ripete ancora oggi, ogni giorno." (2 FEB 1999) (MADONNA DI MEDJUGORJE - Messaggi durante apparizioni ai veggenti) "L'aborto procurato è l'uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita". (GIOVANNI PAOLO II - Evangelium Vitae, Città del Vaticano 1995, n. 58)

"Per questo è necessario aiutare tutte le persone a prendere coscienza del male intrinseco del crimine dell'aborto che, attentando contro la vita umana al suo inizio, è anche un'aggressione contro la società stessa..." (PAPA BENEDETTO XVI - L'Osservatore Romano - 4 Dicembre 2005) "Basterebbe un giorno senza nessun aborto e Dio concederebbe la pace al

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mondo fino al termine dei giorni." (SAN PADRE PIO - risposta ad una domanda del Dott.Lotti) "Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l'aborto è un crimine." (MAHATMA GANDHI)

Dopo aver largamente trattato dell’aborto passiamo adesso ad alcuni cenni sul tema del’eutanasia.Non si può che parlare di “cenni” perché per un tema così vasto e dibattuto sia dentro che fuori dalla Chiesa non basterebbe un’ intero convegno. Si può iniziare col dire che la CEI ( Conferenza Episcopale Italiana) e tutti i vescovi hanno dichiarato che ogni tipo di eutanasia e' sempre e comunque da condannare. La dichiarazione e' stata fatta nel messaggio per la 31° Giornata italiana per la vita (1 Febbraio 2009): secondo la Comunita' episcopale, la vita umana è un bene inviolabile e indisponibile, e non può mai essere legittimato e favorito l'abbandono delle cure.La vita è fatta per la serenità e la gioia. Purtroppo può accadere, e di fatto accade, che sia segnata dalla sofferenza. Ciò può avvenire per tante cause. Si può soffrire per una malattia che colpisce il corpo o l’anima; per il distacco dalle persone che si amano; per la difficoltà a vivere in pace e con gioia in relazione con gli altri e con se stessi.La sofferenza appartiene al mistero dell’uomo e resta in parte imperscrutabile: solo «per Cristo e in Cristo si illumina l’enigma del dolore e della morte».Se la sofferenza può essere alleviata, va senz’altro alleviata. In particolare, a chi è malato allo stadio terminale o è affetto da patologie particolarmente dolorose, vanno applicate con sapienza tutte le cure oggi possibili. Chi soffre, poi, non va mai lasciato solo.L’amicizia, la compagnia, l’affetto sincero e solidale possono fare molto per rendere più sopportabile una condizione di sofferenza. L’appello della Cei si rivolge in particolare ai parenti e agli amici dei sofferenti, a quanti si dedicano al volontariato, a chi in passato è stato egli stesso sofferente e sa che cosa significhi avere accanto qualcuno che fa compagnia, incoraggia e dà fiducia.La via della sofferenza si fa meno impervia se diventiamo consapevoli che è Cristo, il solo giusto, a portare la sofferenza con noi. È un cammino impegnativo, che si fa praticabile se è sorretto e illuminato dalla fede.La CEI denuncia, in tema di testamento biologico, qualsiasi forma di eutanasia. Nel Messaggio per la Giornata per la vita i Vescovi italiani ribadiscono la loro posizione sulla legittimazione dell’eutanasia: “no” in qualsiasi forma. E invitano a “ non rispondere a stati permanenti di sofferenza, reali o asseriti, reclamando forme più o meno esplicite di eutanasia ”. " Vogliamo ribadire con serenita', ma anche con chiarezza – continuano - che si tratta di risposte false: la vita umana e' un bene inviolabile e indisponibile, e non puo' mai essere legittimato e favorito l'abbandono delle cure, come pure ovviamente l'accanimento terapeutico, quando vengono meno ragionevoli prospettive di guarigione ".   Dunque, " la strada da percorrere e' quella della ricerca, che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per combattere e vincere le patologie, anche le più difficili, e a non abbandonare mai la speranza ".

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Per Eutanasia si intende letteralmente "morte dolce".

L'unico paese che, per il momento, ha legalizzato l'eutanasia

è l'Olanda. L'eutanasia è ammessa quando:

la persona che la richiede si trova in uno stato di malattia terminale

e patisce sofferenze tali che gli antidolorifici, gli oppiacei e la

morfina non sono in grado di placare.

Monsignor Elio Sgreccia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in un articolo del 2007 pubblicato sul Corriere della Sera afferma che: ”omettere le cure è eutanasia”.Intervenendo in merito al dibattito sul tema dell’eutanasia e dell’accanimento terapeutico suscitato da un articolo scritto dal Cardinale Carlo Maria Martini e pubblicato su Il Sole 24 Ore, Monsignor Sgreccia ha inteso sviluppare un dialogo con l’ Arcivescovo emerito di Milano, ricordando che secondo l’Evangelium Vitae l’eutanasia è un’azione o un’omissione che per natura sua o nell’intenzione di chi la compie provoca la morte con l’intenzione di alleviare il dolore.Entrando nel merito della definizione di eutanasia, che per il Cardinale Martini sarebbe un gesto che intende abbreviare la vita causando positivamente la morte, monsignor Sgreccia ha definito questa definizione insufficiente, perché riguarda soltanto la cosiddetta eutanasia attiva, mentre è eutanasia anche la ‘omissione’ di una terapia efficace e dovuta, la cui privazione causa intenzionalmente la morte. In questo senso si realizza appunto l’eutanasia omissiva, (non è appropriato chiamarla ‘passiva’, con un termine eticamente debole e neutro). Monsignor Sgreccia ha ribadito quindi che la gravità morale dell’eutanasia omissiva è uguale rispetto a quella dell’azione ‘positiva’ di intervento o gesto che causa la morte: l’una equivale all’altra dal momento che provocano lo stesso effetto e procedono dalla stessa intenzione. Si tratta sempre di morte provocata intenzionalmente. Se accettassimo che l’eutanasia si configura soltanto quando è il risultato di un gesto che causa positivamente la morte, vorrebbe dire che tutto ciò che mira a causare la morte per sottrazione di intervento (per esempio: sottrazione di cibo o una intenzionale mancata rianimazione) non sarebbe eutanasia e, così anche, il rifiuto intenzionale delle terapie valide non costituirebbe un problema morale. Circa l’accanimento terapeutico, ha voluto precisare che se per accanimento terapeutico si intende in sostanza l’impiego di terapie o procedure mediche di carattere sproporzionato questo, come afferma il Catechismo della Chiesa cattolica, è illecito sempre, in quanto offende la dignità del morente. Altra cosa è invece l’insistenza terapeutica, quando esiste cioè una ragionevole speranza del recupero del paziente. Continua sostenendo che il giudizio sulla proporzionalità - sproporzionalità richiede una valutazione che va fatta dal medico, sul piano squisitamente tecnico - scientifico e alla luce dei dati di esperienza. Fatta salva l’esigenza del tener conto della volontà e del parere del paziente,

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esigenza sentita nella dottrina tradizionale della morale cattolica, il Presidente dell’Accademia pro Vita ha affermato che quando si parla del ‘rifiuto delle terapie’ da parte del paziente, il medico, pur avendo il dovere di ascoltare il paziente, non può essere ritenuto un semplice esecutore dei suoi voleri. Se il medico riconosce la consistenza dei motivi del rifiuto, dovrà rispettare la volontà del paziente; se invece vi scorge un rifiuto immotivato, è tenuto a proporre la sua posizione di coscienza e, se del caso, proporre il ricorso all’autorità competente, ed eventualmente, dimettere il paziente che gli è stato affidato come responsabilità. Circa le cure palliative Sgreccia ha detto di essere d’accordo con il Cardinale, sul fatto che esse comprendono anzitutto la sedazione dal dolore, e circa l’obbligatorietà delle cure ordinarie afferma che rimangono obbligatorie sempre, anche qualora si tratti di pazienti in stato vegetativo persistente. Dopo questa breve introduzione per contestualizzare l’eutanasia nella situazione attualmente presente nella nostra società, passiamo adesso ad analizzare punto per punto ciò che di questo delicato tema è stato detto nell’Enciclica Evangelium Vitae da Giovanni Paolo II.“Sono io che do la morte e faccio vivere” (Dt 32, 39): il dramma dell’eutanasia.All’altro capo dell’esistenza, l’uomo si trova di fronte al mistero della morte. Oggi, in seguito ai progressi della medicina e in un contesto culturale spesso chiuso alla trascendenza, l’esperienza del morire si presenta con alcune caratteristiche nuove. Infatti, quando prevale la tendenza ad apprezzare la vita solo nella misura in cui porta piacere e benessere, la sofferenza appare come uno scacco insopportabile, di cui occorre liberarsi ad ogni costo.La morte, considerata “assurda” se interrompe improvvisamente una vita ancora aperta a un futuro ricco di possibili esperienze interessanti, diventa invece una “liberazione rivendicata” quando l’esistenza è ritenuta ormai priva di senso perché immersa nel dolore e inesorabilmente votata ad un’ulteriore più acuta sofferenza.Inoltre, rifiutando o dimenticando il suo fondamentale rapporto con Dio, l’uomo pensa di essere criterio e norma a se stesso e ritiene di avere il diritto di chiedere anche alla società di garantirgli possibilità e modi di decidere della propria vita in piena e totale autonomia. E’ in particolare l’uomo che vive nei Paesi sviluppati a comportarsi così: egli si sente spinto a ciò anche dai continui progressi della medicina e dalle sue tecniche sempre più avanzate. Mediante sistemi e apparecchiature estremamente sofisticati, la scienza e la pratica medica sono oggi in grado non solo di risolvere casi precedentemente insolubili e di lenire o eliminare il dolore, ma anche di sostenere e protrarre la vita perfino in situazioni di debolezza estrema, di rianimare artificialmente persone le cui funzioni biologiche elementari hanno subito tracolli improvvisi, di intervenire per rendere disponibili organi da trapiantare.In un tale contesto si fa sempre più forte la tentazione dell'eutanasia, cioè di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine «dolcemente» alla vita propria o altrui. In realtà, ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano. Siamo qui di fronte a uno dei sintomi più allarmanti della «cultura di morte», che avanza soprattutto nelle società del benessere, caratterizzate da una mentalità efficientistica che fa apparire troppo oneroso e insopportabile il numero crescente delle persone anziane e debilitate. Esse vengono molto

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spesso isolate dalla famiglia e dalla società, organizzate quasi esclusivamente sulla base di criteri di efficienza produttiva, secondo i quali una vita irrimediabilmente inabile non ha più alcun valore. Per un corretto giudizio morale sull'eutanasia, occorre innanzitutto chiaramente definirla. Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un'azione o un'omissione che di natura sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. «L'eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati».Da essa va distinta la decisione di rinunciare al cosiddetto «accanimento terapeutico», ossia a certi interventi medici non più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la sua famiglia. In queste situazioni, quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza «rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all'ammalato in simili casi». Si da l'obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento. La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all'eutanasia; esprime piuttosto l'accettazione della condizione umana di fronte alla morte.Nella medicina moderna vanno acquistando rilievo particolare le cosiddette «cure palliative», destinate a rendere più sopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia e ad assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano. In questo contesto sorge, tra gli altri, il problema della liceità del ricorso ai diversi tipi di analgesici e sedativi per sollevare il malato dal dolore, quando ciò comporta il rischio di abbreviargli la vita. Se, infatti, può essere considerato degno di lode chi accetta volontariamente di soffrire rinunciando a interventi antidolorifici per conservare la piena lucidità e partecipare, se credente, in maniera consapevole alla passione del Signore, tale comportamento «eroico» non può essere ritenuto doveroso per tutti. Già Pio XII aveva affermato che è lecito sopprimere il dolore per mezzo di narcotici, pur con la conseguenza di limitare la coscienza e di abbreviare la vita, «se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l'adempimento di altri doveri religiosi e morali». In questo caso, infatti, la morte non è voluta o ricercata, nonostante che per motivi ragionevoli se ne corra il rischio: semplicemente si vuole lenire il dolore in maniera efficace, ricorrendo agli analgesici messi a disposizione dalla medicina. Tuttavia, «non si deve privare il moribondo della coscienza di sé senza grave motivo»: avvicinandosi alla morte, gli uomini devono essere in grado di poter soddisfare ai loro obblighi morali e familiari e soprattutto devono potersi preparare con piena coscienza all'incontro definitivo con Dio.L’ eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale.Una tale pratica comporta, a seconda delle circostanze, la malizia propria del suicidio o dell'omicidio.Ora, il suicidio è sempre moralmente inaccettabile quanto l'omicidio. La

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tradizione della Chiesa l'ha sempre respinto come scelta gravemente cattiva. Benché determinati condizionamenti psicologici, culturali e sociali possano portare a compiere un gesto che contraddice così radicalmente l'innata inclinazione di ognuno alla vita, attenuando o annullando la responsabilità soggettiva, il suicidio, sotto il profilo oggettivo, è un atto gravemente immorale, perché comporta il rifiuto dell'amore verso se stessi e la rinuncia ai doveri di giustizia e di carità verso il prossimo, verso le varie comunità di cui si fa parte e verso la società nel suo insieme. Nel suo nucleo più profondo, esso costituisce un rifiuto della sovranità assoluta di Dio sulla vita e sulla morte. CCondividere l'intenzione suicida di un altro e aiutarlo a realizzarla mediante il cosiddetto «suicidio assistito» significa farsi collaboratori, e qualche volta attori in prima persona, di un'ingiustizia, che non può mai essere giustificata, neppure quando fosse richiesta. «Non è mai lecito — scrive sant'Agostino — uccidere un altro: anche se lui lo volesse, anzi se lo chiedesse perché, sospeso tra la vita e la morte, supplica di essere aiutato a liberare l'anima che lotta contro i legami del corpo e desidera distaccarsene; non è lecito neppure quando il malato non fosse più in grado di vivere». Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell'esistenza di chi soffre, l'eutanasia deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante «perversione» di essa: la vera «compassione», infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza. E tanto più perverso appare il gesto dell'eutanasia se viene compiuto da coloro che — come i parenti — dovrebbero assistere con pazienza e con amore il loro congiunto o da quanti — come i medici —, per la loro specifica professione, dovrebbero curare il malato anche nelle condizioni terminali più penose.La scelta dell'eutanasia diventa più grave quando si configura come un omicidio che gli altri praticano su una persona che non l'ha richiesta in nessun modo e che non ha mai dato ad essa alcun consenso. Ancora peggiore è quando alcuni, medici o legislatori, si arrogano il potere di decidere chi debba vivere e chi debba morire. Diversa, invece, è la via dell'amore e della vera pietà, che la nostra comune umanità impone e che la fede in Cristo Redentore, morto e risorto, illumina con nuove ragioni. La domanda che sgorga dal cuore dell'uomo nel confronto supremo con la sofferenza e la morte, specialmente quando è tentato di ripiegarsi nella disperazione e quasi di annientarsi in essa, è soprattutto domanda di compagnia, di solidarietà e di sostegno nella prova. È richiesta di aiuto per continuare a sperare, quando tutte le speranze umane vengono meno. Come ci ha ricordato il Concilio Vaticano II, «in faccia alla morte l'enigma della condizione umana diventa sommo» per l'uomo; e tuttavia «l'istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte».Questa naturale ripugnanza per la morte e questa germinale speranza di immortalità sono illuminate e portate a compimento dalla fede cristiana, che promette e offre la partecipazione alla vittoria del Cristo Risorto: è la vittoria di Colui che, mediante la sua morte redentrice, ha liberato l'uomo dalla morte, «salario del peccato», e gli ha donato lo Spirito, pegno di risurrezione e di vita. LaLa certezza dell'immortalità futura e la speranza nella risurrezione promessa proiettano una luce nuova sul mistero del soffrire e del morire e infondono nel credente una forza straordinaria per affidarsi al disegno di Dio.

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L'apostolo Paolo ha espresso questa novità nei termini di un'appartenenza totale al Signore che abbraccia qualsiasi condizione umana: «Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore». Morire per il Signore significa vivere la propria morte come atto supremo di obbedienza al Padre, accettando di incontrarla nell'«ora» voluta e scelta da lui, che solo può dire quando il cammino terreno è compiuto. Vivere per il Signore significa anche riconoscere che la sofferenza, pur restando in se stessa un male e una prova, può sempre diventare sorgente di bene. Lo diventa se viene vissuta per amore e con amore, nella partecipazione, per dono gratuito di Dio e per libera scelta personale, alla sofferenza stessa di Cristo crocifisso. In tal modo, chi vive la sua sofferenza nel Signore viene più pienamente conformato a lui e intimamente associato alla sua opera redentrice a favore della Chiesa e dell'umanità. È questa l'esperienza dell'Apostolo, che anche ogni persona che soffre è chiamata a rivivere: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca alle tribolazioni di Cristo nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa».

In conclusione la valutazione di un cristiano non può limitarsi all’orizzonte della sola vita terrena, ma deve vivere in funzione di una visione più grande di lui, di un disegno divino, ed è per questo che la Chiesa sostiene che non esiste in terra un male assoluto, fosse pure l’orribile sofferenza di allevare un bambino minorato, poiché come annunciato dal Signore: «Beati coloro che piangono, perché saranno consolati».Ciò non significa che si possa restare indifferenti a questi dolori e miserie, ma questo non potrà mai giustificare l’aborto,eutanasia ecc.. ed è quindi necessario, anzitutto, combatterne le cause e nel medesimo tempo, incidere sui costumi,impegnarsi attivamente per tutto quanto può aiutare le famiglie, le madri e i bambini; la Chiesa quindi sostiene che ciascuno deve seguire la propria coscienza nell’obbedienza alla legge di Dio, anche se non è sempre una vita facile e che compito e preoccupazione fondamentale per la Chiesa di Cristo è e rimarrà proteggere e favorire la vita.

Bibliografia

- Giovanni Paolo II, Discorso ONU 1979- Giovanni XXIII, Pacem in terris-Libro della Genesi-Discorsi di Benedetto XVI al Movimento per la Vita Italiano (es. Presid. Onorevole Carlo Casini)-Citazioni del Concilio Vaticano II-www.vatican.va/phome_it.htm:riflessioni di Monsignor Elio Sgreccia-Evangelium vitae, Enciclica di Giovanni Paolo II- S. Congregazione per la dottrina della fede: "Dichiarazione sull'aborto procurato " del 18 novembre 1974- Codice di diritto canonico, il canone 2273, Canone 2272-“Dichiarazione sull’ aborto procurato”- Le fonti dei Canoni:CONCILIO DI ELVIRA, Spagna (Concilium Eliberitanum), 305 circa, cann. 63. 68. = MANSI 2,16CONCILIO DI ANCIRA, Galazia (Conc. Ancyranum), anno 314, can. 21 = MANSI 2,519CONCILIO DI LERIDA (Concilium Ilerdense), anno 524, can. 2 = MANSI 8, 612I CONCILIO DI MAGONZA (847), can. 21 = MANSI 14,909

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GRAZIANO (sec.XII), Concordia discordantium canonum o Decretum Gratiani Codice di Diritto Canonico 1917 (promulgato da Benedetto XV il 27 maggio 1917)Codice di Diritto Canonico 1983 (promulgato da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983)- CEI (Conferenza Episcopale Italiana)

Componenti del gruppo:

VERONICA BORDONI CHIARA MELANI CARLOTTA DE GIGLIO ALICE RONTINI BEATRICE MENNITI NICCOLO’ ADAMI ALBERTO FALAI