Relazione demolizioni

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TECNICHE DI DEMOLIZIONE Studente: Claudio Migliorini Università di Pisa Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile e delle Costruzioni Civili Insegnamento: Tecnologia delle Costruzioni Docente: Prof. Ing. Mauro Sassu a.a. 2011/2012

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Relazione sullo stato dell'arte delle tecniche di demolizione in ambito civile con particolare attenzione alle tecniche di demolizione con esplosivi.

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TECNICHE DI DEMOLIZIONE

Studente:

Claudio Migliorini

Università di Pisa Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile e delle Costruzioni Civili Insegnamento: Tecnologia delle Costruzioni Docente: Prof. Ing. Mauro Sassu a.a. 2011/2012

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Sommario Sommario ......................................................................................................................................... 21.INTRODUZIONE ................................................................................................................................. 32.TIPOLOGI DI DEMOLIZIONE: ............................................................................................................. 43.TECNICHE DI DEMOLIZIONE TRADIZIONALE .................................................................................... 5

Demolizione per trazione o spinta ................................................................................................... 5Demolizione mediante uso di sfere metalliche ................................................................................ 6Demolizione mediante uso di martelli demolitori ........................................................................... 7Demolizione mediante uso di Pinze e Cesoie ................................................................................... 8Flying Demolition System ................................................................................................................. 9

4.TECNICHE DI DEMOLIZIONE CONTROLLATA ................................................................................... 10Demolizione con agenti meccanici espansivi ................................................................................ 10Demolizione con malte espansive .................................................................................................. 10Demolizione per mezzo di spacca roccia a sparo ........................................................................... 11Demolizione con attrezzi che sfruttano l’utilizzo del diamante ..................................................... 13Troncatrici manuali ........................................................................................................................ 13Seghe a binario ............................................................................................................................... 14Seghe taglia-giunti .......................................................................................................................... 15Seghe a catena ............................................................................................................................... 16Seghe a filo diamantato .................................................................................................................. 17Carotatrici ....................................................................................................................................... 18Demolizione tramite idroscarifica e idrodemolizione .................................................................... 19

5.TECNICHE DI DEMOLIZIONE SPECIALI ............................................................................................. 20Esplosivi .......................................................................................................................................... 20

Definizioni .................................................................................................................................. 20Proprietà degli esplosivi ............................................................................................................. 21Classificazione ............................................................................................................................ 22Applicazioni alle demolizioni civili .............................................................................................. 23

Innesco per esplosivi da mina ........................................................................................................ 24Esploditori .................................................................................................................................. 24Miccia detonante ....................................................................................................................... 25Detonatori .................................................................................................................................. 26

Dimensionamento delle cariche .................................................................................................... 286. PROGETTO DELLA DEMOLIZIONE CON ESPLOSIVI ......................................................................... 30

Percorso del processo di demolizione ............................................................................................ 30Calcolo della forza di impatto ......................................................................................................... 33Ritardi ............................................................................................................................................. 35Effetti indesiderati .......................................................................................................................... 37

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1.INTRODUZIONE

Nella pratica delle costruzioni civili è consuetudine dare particolare attenzioni alle fasi che

precedono e portano a compimento la costruzione di un opera.

La ricerca tecnologica inoltre ha permesso dagli ultimi decenni del secolo scorso di costruire

manufatti sempre più imponenti e duraturi, ma per quanto queste opere siano progettate per

resistere anche centinaia di anni, sia per i fenomeni di degrado dei materiali che li compongono,

sia per il cambiamento del gusto e per motivazioni utilitaristiche spesso è necessario che tali

strutture vengano demolite prima del tempo.

Le operazioni di demolizione, in passato erano eseguite senza particolari accorgimenti, da

operatori poco qualificati spesso nemmeno supervisionati da tecnici, il che ha portato a numerosi

problemi dovuti agli incidenti sul lavoro, nonché ad ingenti danni a manufatti adiacenti le

costruzioni da abbattere.

Attualmente sono sempre più numerosi gli studi che si occupano di valutare a priori le possibilità

offerte dalla tecnologia per effettuare demolizioni, per limitare danni materiali a persone e cose e

per limitare al massimo il disturbo alle normali attività che si svolgono nelle zone contigue ai

cantieri dove vengono effettuati gli abbattimenti.

Di seguito saranno indagati i principali metodi di demolizione che vengono usati attualmente nel

panorama mondiale, a partire da quelli più classici fino ad arrivare a i più moderni.

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2.TIPOLOGI DI DEMOLIZIONE:

Oggi giorno è possibile scegliere tra numerosi metodi di demolizione in funzione della complessità

dell’opera da abbattere, dell’estensione, dell’altezza, della vicinanza o meno da altri manufatti e

ovviamente dai tempistiche e dalle risorse economiche a disposizione.

Si posso osservare tre macro-categorie di interventi:

− Tecniche di Demolizione Tradizionale

Prevedono utilizzo di mezzi meccanici semoventi (quali gru, escavatori, bulldozer, ecc..) di mezzi

utilizzabili da operatori (come troncatrici manuali, martelli pneumatici ecc…).

In genere sono operazioni dai costi contenuti ma dai tempi piuttosto lunghi, sono le tecniche più

antiche e le più rischiose per gli operatori che sono a diretto contatto sia degli attrezzi da lavoro

che delle macerie.

− Tecniche di Demolizione controllata

Sono i metodi più recenti, si avvalgono di utensili controllabili a distanza quali seghe semoventi su

binari, carotatrici, seghe diamantate, in genere movimentate con dispositivi a controllo numerico,

hanno il pregio di essere progettate per produrre poche vibrazioni, poche polveri disperse.

− Tecniche di Demolizione Speciali

Rientrano in questa categoria le demolizioni con esplosivi, utilizzate in genere per strutture molto

alte o per strutture che usano il principio della pre/post compressione.

Hanno il vantaggio di avere effetto praticamente immediato, non richiedere la presenza di

operatori durante la fase di crollo, di avere illimitata.

Hanno lo svantaggio di dover essere eseguite dopo accuratissime analisi in sito e studi finalizzati a

valutare ogni aspetto dell’operazione, richiedono operatori specializzati nell’applicazione delle

cariche e pruducono forti vibrazioni e ingenti quantità di polvere e detriti subito dopo il crollo.

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3.TECNICHE DI DEMOLIZIONE TRADIZIONALE

Demolizione per trazione o spinta Tecnica eseguita (oggi raramente) con mezzi meccanici per abbattere strutture di modesta altezza o per far cadere al suolo residui di demolizioni ottenute con altri metodi.

Il D.P.R. 164/96 aggiornato con decreti successivi regola nell’art.76 tale arte. Impone che si possano abbattere con tale metodologia parti di strutture che non superino i 5 m di altezza, salvo disposizioni legislative locali.

La spinta o la trazione devono essere quanto più possibile graduali, senza strappi improvvisi e meglio se su elementi isolati.

L’operatore deve stazionare ad una distanza pari ad almeno 1,5 volte l’altezza del manufatto da abbattere per evitare il coinvolgimento nel crollo.

E’ possibile asportare terreno alla base del manufatto per favorirne il ribaltamento solo previa disposizione di puntelli e sostegni rimovibili con funi a distanza.

Figura 1. abbattimento di un muro per spinta

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Demolizione mediante uso di sfere metalliche Questa tecnica sfrutta la capacità distruttiva che una sfera di peso variabile tra 5 kN e 50 kN può avere se fatta oscillare o se fatta cadere dall’alto.

Nel primo caso, utilizzabile per altezze fino ai 15 m si sfrutta l’oscillazione per far compiere lavoro alla sfera che viene fatta impattare con la struttura da demolire nel momento i cui l’energia cinetica del sistema è massima. L’urto sprigionerà una grande forza impulsiva (e vibrazioni) che permettono di far crollare la struttura.

Nel secondo caso, per altezze superiori a 15 m, la sfera viene fatta cadere da un altezza superiore di almeno 3 m dalla cima della struttura da demolire,l’energia cinetica necessaria a produrre una grande forza impulsiva si ottiene qui semplicemente grazie alla forza di gravità.

Questo metodo presenta l’inconveniente di richiedere grandi spazi i manovra e di movimentazione della palla metallica, nonché l’utilizzo di mezzi molto pesanti e quindi la necessità di avere terreni circostanti adeguatamente preparati.

Figura 2. Demolizione di un fabbricato con sfera metallica

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Demolizione mediante uso di martelli demolitori Il metodo di demolizione a percussione è il metodo più diffuso e utilizzato per l’abbattimento di piccole costruzioni o di parte di esse.

Viene eseguita questa tecnica per mezzo di martelloni azionati ad aria compressa, oppure idraulicamente oppure elettricamente.

La porzione di materiale distaccatasi dal resto della massa da demolire può essere valutata secondo il modello analitico di Evans, dove la superficie di distacco si ha secondo una direttrice arcuata tangente all’asse di simmetria della punta perforante. Il collasso del materiale avviene dunque per trazione lungo tale direttrice.

I martelli demolitori possono essere a loro volta suddivisi in due categorie a seconda che vengano utilizzati manualmente (attrezzi manuali) , oppure azionati meccanicamente una volta montati su bracci di escavatori (martelloni).

I primi hanno un peso che varia da 10 a 30 kg e alimentazione generalmente elettrica, i secondi invece hanno dimensioni nettamente superiori, si arriva a raggiungere il peso di diverse tonnellate e vengono generalmente azionati idraulicamente con sistemi in grado di fornire energia di colpo di 1000-10000 J con una frequenza di centinaia di colpi al minuto.

Nonostante la facile reperibilità di tali utensili, la tecnica presenta alcuni inconvenienti, quali le forti vibrazioni, che in caso di demolizioni parziali possono risultare dannose, l’elevata quantità di polvere alzata (controllabile però getti di acqua in pressione) e la poca precisione nelle operazioni (che ovvie mante dipende dall’operatore).

Hanno però il pregio di avere un elevata potenza distruttiva un basso rischio per gli operatori e dei rapporti costi/benefici molto favorevoli.

Figura 3. Martello pneumatico manuale (sinistra) e martellone montato sul braccio di un escavatore (destra)

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Demolizione mediante uso di Pinze e Cesoie Questa tecnica sempre più diffusa per l’abbattimento di opere intelaiate (con scheletro in conglomerato armato) prevede il montaggio di due robuste ganasce mobili (pinze) o una mobile e una fissa (frantumatori) in grado di ruotare di 360° per permettere il tranciamento di travi pilastri o puntoni variamente inclinati.

Questo metodo consente dei rapidi tempi di demolizione con minime spese e assenza di vibrazioni ma produce delle notevoli quantità di polveri che possono essere abbattute con getti d’acqua.

In genere le pinze sono utilizzate per quella che viene definita demolizione primaria, ovvero l’ abbattimento e la rimozione di grandi residui, i frantumatori invece vengono utilizzati per separare il conglomerato (poi riutilizzato come inerte) dai tondi di armatura a demolizione completata, o semplicemente per ridurre le dimensioni delle macerie per facilitarne il trasporto.

Fattori importanti nella scelta di tali apparecchiature sono:

− l’apertura della pinza o frantumatore, che è legata alla dimensione massima dell’oggetto da tranciare;

− la forza di chiusura massima esercitata dalla pinza, la rottura avverrò per tensioni d trazionje indiretta provocate dalla compressione diametrale dell’elemento (come nella prova brasiliana);

− il peso, che vincola la classe dei mezzi di supporto da utilizzare in genere 10-20 volte superiore;

Agli albori di questa tecnica, come i martelloni le pinze erano montate su usuali escavatori, i quali, progettati per operazioni di scavo, non prevedevano il raggiungimento di grandi altezze con la distensione del braccio meccanico. Si sono così sviluppati vari tipi di bracci da escavatore specifici per le pinze troncatrici che permettono di raggiungere altezze fino ai 25 m, i quali però possono anche essere utilizzati per sorreggere attrezzi per il movimento terra.

Figura 4.Escavatore con pinza troncatrice

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Flying Demolition System

Questa tecnica è indicata per strutture turriformi quali ciminiere o serbatoi.

Il braccio di un autogrù semovente o una gru a torre, sorregge un unità di demolizione indipendente dove si trovano un motore endotermico, un gruppo di raffreddamento e un serbatoio d’acqua del peso complessivo di circa 50 kN, questo a sua volta è in grado sostenere frantumatori o pinza del peso limite di 40 kN.

Il controllo della posizione avviene per mezzo di due pale studiate per l’industria aereonautica che permettono di far ruotare il blocco attorno al sistema di sostegno ruotandone una per volta.

Il sistema si adatta bene anche a situazioni particolari, consente di raggiungere grandi altezze (pari all’altezza delle strutture di sostegno) e ha un definita un peso relativamente contenuto il che favorisce il trasporto tra i vari cantieri.

Figura 5.Blocco di demolizione in sommità di una ciminiera

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4.TECNICHE DI DEMOLIZIONE CONTROLLATA

Demolizione con agenti meccanici espansivi Si tratta di creare delle linee di frattura all’interno di materiali lapidei o cementizi (dalla elevata fragilità) inserendo dei cunei divaricatori metallici all’interno di fori precedentemente eseguiti.

I cunei possono essere dei divaricatori oppure dei cilindri possono essere azionati per battitura oppure idraulicamente.

L’uso principale che si fa di tale metodo è l’abbattimento secondario, la riduzione delle dimensioni delle macerie di elementi in conglomerato armato, oppure per la frantumazione di fondazioni superficiali , permette di limitare l’impiego di mezzi e mano d’opera, è di rapida esecuzione e può essere eseguito anche in ambienti sottomarini.

Affinché possa essere utilizzata questa tecnica è necessario che gli elementi da demolire non siano ritenuti lateralmente, non sia possibile utilizzare agenti espandenti chimici per motivi di tempo.

Resta il problema di separare dopo la rottura il conglomerato dalle barre di armatura.

Figura 6. Cunei cilindrici azionati idraulicamente (sinistra) e divaricatore idraulico manuale (destra)

Demolizione con malte espansive Valgono le considerazioni fatte per il metodo precedente, questa volta però le forze che permettono di ottenere un distaccamento del materiale sono ottenuto grazie all’aumento di volume di malte espansive composte in genere da una miscela di acqua,legante e aggregato fine (composte da materia inorganica, silicati e additivi in soluzione detti cracking agents) che arrivano ad esercitare pressioni dell’ordine di 40-90 MN/m2

Fattori determinanti nella scelta della malta sono la consistenza che essa deve avere al momento dell’utilizzo (fluida o plastica) e il tempo di indurimento richiesto che varia da 1 a 24 ore.

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Demolizione per mezzo di spacca roccia a sparo (boulder-buster) Lo spacca roccia è un dispositivo portatile dotato di cartucce simili a quelle dei fucili veri e propri che va collocato in appositi fori ciechi dal diametro di 26-40 mm e dalla profondità variabile in funzione dell’elemento da demolire che deve però essere riempito d’acqua prima dell’introduzione della canna, questo per far si che la pressione generata dall’esplosione venga trasmessa dall’acqua (incomprimibile) al conglomerato senza che si dissipi nell’aria circostante.

Lo spacca roccia deve essere azionato a distanza, quelli in commercio attualmente prevedono azionamento meccanico per mezzo di un cordino ad una distanza di circa 6 metri.

L’esplosione della cartuccia provoca pressioni dell’ordine di 100 – 200 MPa sufficienti a disgregare il materiale da demolire.

Inoltre è possibile aumentare la distruttività del operazione inserendo nella cavità delle cariche sommergibili le quali esploderanno per simpatia (si vedrà in seguito la spiegazione del termine) al momento dello sparo .

Data la facilità di operazione e la minima preparazione (foro con trapano) da eseguire, la demolizione con questo metodo risulta poco dispendiosa, inoltre non si ha con tale metodo proiezione di materiale ne eccessiva formazione di polvere.

La rumorosità è limitata a ai colpi ed è molto attutita dall’acqua presente nella cavità.

Nonostante sia possibile utilizzare delle cariche esplosive non è richiesta la licenza di fochino data la semplicità delle operazioni da eseguire.

Figura 7. Esempio di spacca roccia a sparo

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Demolizione per mezzo di esplosivi non detonanti

Si tratta di composti chimici non detonanti, racchiusi in cartucce che reagiscono molto velocemente quando vengono innescate, producendo un elevato volume di gas non nocivo, principalmente composto da azoto ed anidride carbonica.

Quando la cartuccia è chiusa ermeticamente in un foro, il gas fa pressione sui lati del foro e produce una rottura della roccia o del calcestruzzo; tale rottura viene spesso chiamata scissione. La cartuccia si avvale di una tecnologia brevettata che aumenta la cessione di energia all’interno della roccia o calcestruzzo per accrescerne l’efficacia di rottura.

Attualmente in commercio si trovano con il nome di NONEX per il nome della fabbrica produttrice che ne possiede il brevetto.

Le cartucce NONEX sono impermeabili e possono essere usate in fori umidi od in situazioni quali quelle che si trovano nelle dighe, nelle quali è richiesto di effettuare un tipo di rottura che tiene conto del fattore tempo.

Sono disponibili con diametri che variano da 12 a 60 mm e possono contenere da 2 a 500 g di polvere esplosiva.

Il sistema di innesco è semplice; è necessario soltanto un comune conduttore di linea di tiro (filo elettrico) al quale vengono collegati i reofori della cartuccia ,che viene poi attaccato ad un economico dispositivo di accensione (esploditore), il quale manda un impulso di corrente al sistema di innesco delle cartucce.

Derivante dal Nonex, un altro tipo di esplosivo non detonante il GREEN BREAK TECNOLOGY, risulta essere sicuramente più efficace grazie al tipo di polvere contenuta al suo interno ed all’innovativo sistema di innesco. Rispetto alle cartucce Nonex una cartuccia Green Break con il 20% di polvere in più sviluppa una resa maggiore di demolizione al m3 ed costo inferiore del 30%.

Figura 8. Gamma cartucce Nonex

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Demolizione con attrezzi che sfruttano l’utilizzo del diamante Le principali tecniche di demolizione per taglio diretto impiegano utensili al diamante raffreddati ad acqua.

Tali diamanti industriali vengono sinterizzati a temperature intorno ai 1000°C su elementi in leghe speciali di metallo al cobalto,bronzo,tungsteno e titanio permettendo di ottenere degli ottimi risultati in funzione dei materiali da demolire.

Oltre a ciò base alla durezza del materiale vengono scelte le dimensioni che devono avere i cristalli: più grandi per i materiali più friabili, più piccoli per i materiali meno friabili.

Gli attrezzi che sfruttano tali principi sono le seghe murali dotate di dischi diamantati, le carotatrici e le macchine dotate di fili diamantati, utilizzate più nel’industria mineraria che nelle demolizioni.

L’importanza che hanno assunto negli ultimi anni questi macchinari è dovuta al fatto che è possibile utilizzarli a distanza o elettronicamente se montati su binari o se sorretti da apposite strutture semoventi; questo fa si che il numero degli operatori sia limitato a poche unità e che non ci sia diretto contatto degli stessi con attrezzature pericolose e materiale di risulta. Vediamo nello specifico tali utensili

Troncatrici manuali In gergo chiamati frullini o mole, sono utensili di piccole dimensioni che raramente possono raggiungere il quintale, in genere si attestano sui 10 kg, dotati di motori elettrici,ad aria compressa, raramente a scoppio, sono equipaggiati con dischi diamantati scelti in base all’elemento da tagliare.

Si raggiungono in genere con gli attrezzi più comuni profondità di taglio di 20-25 cm in funzione delle dimensioni massime dei dischi montabili sull’attrezzo, la larghezza del taglio dipende anch’essa dal disco ma si aggira sui 5-6 mm.

Vengono usati in genere per piccole lavorazioni, tracce murarie, foratura e apertura vani in elementi di piccolo spessore, sono molto maneggevoli e non producono vibrazioni dannose ma al contempo producono elevata rumorosità, grande quantità di polveri e difficoltà di lavoro nel caso si voglia operare dal basso vero l’alto.

Figura 9. Troncatrice manuale elettrica di modeste dimensioni

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Seghe a binario Sono utensili che vengono montati su rotaie e permettono di eseguire tagli su superfici verticali o molto inclinate.

Anch’esse utilizzano dischi diamantati di dimensioni maggiori delle troncatrici manuali, comprese fra i 300 e i 1800 mm di diametro, che permettono di raggiungere profondità di taglio pari a 75 cm.

Sono alimentate per mezzo di motori elettrici o centraline idrauliche con motore elettrico o a scoppio che sono in grado di fornire potenze variabili da 3 a 35 CV.

Scorrendo su rotaie è possibile eseguire tagli dalla precisione millimetrica e quindi vengono utilizzate nelle operazioni dove tale precisione è maggiormente richiesta, come nell’apertura di porte e finestre, rimozioni di pareti, sezioni su solette in elementi di calcestruzzo armato.

Hanno come vantaggio la quasi totale assenza di vibrazioni dannose, la possibilità di tagliare in ogni condizione, ma producono un’elevata rumorosità; inoltre è necessario un continuo raffreddamento dei dischi diamantati, che si surriscaldano eccessivamente.

Figura 10. Sega a binario idraulica

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Seghe taglia-giunti Il principio di funzionamento è lo stesso delle seghe a binario solo che queste lavorano in piano. In genere si trovano a dover tagliare strati di conglomerato molto più armato di quelle a binario, per questo necessitano di potenze erogate dai motori maggiori.

I motori sono generalmente alimentati con carburanti o elettricità e sviluppano potenze dai 7 ai 65 CV. Il peso di queste macchine varia tra i 30 e i 2000 kg e possono essere movimentate sia manualmente sia meccanicamente in funzione del peso, dato che sono dotate di ruote.

Possono compiere anche dei percorsi non rettilinei a differenza delle precedenti, anche se con raggi di curvatura molto grandi, nel caso i tagli fossero rettilinei è possibile eseguirli con guida a laser senza bisogno di un operatore che movimenti l’attrezzo.

Il taglio ha una profondità massima di 60 cm e viene eseguito con dischi che variano tra i 300 e i 1200 mm di diametro.

In genere queste seghe vengono utilizzate per il sezionamento dei manti stradali, per il taglio di fondazioni superficiali, per il taglio di pavimentazioni industriali.

Come tutte le tecnologie che sfruttano il diamante, producono poche vibrazioni e poche polveri, ma elevato tasso di rumorosità.

Figura 11. Sega taglia-giunti a movimentazione manuale

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Seghe a catena Derivano direttamente dai macchinari industriali utilizzati nelle cave di marmo, sono composte da catene, in genere metalli al widia, somigliano agli utensili usati per gli abbattimenti degli alberi chiamati in gergo “motoseghe” con la differenza che hanno catene appositamente studiate per i conglomerati o le murature.

Possono avere movimentazione sia manuale che automatica, se montate su apposite guide, il che limita le dimensioni e le profondità di taglio dell’apparecchio.

Il taglio ha una larghezza che varia in funzione del trefolo ed è compreso tra i 6 e i 15 mm in genere, può raggiungere delle profondità dell’ordine del metro se praticato su binari; se praticato con attrezzature speciali, può arrivare anche a 3-4 m.

Queste segatrici necessitano di potenze elevate per il funzionamento: si va dai 2000 W per le più piccole fino ai 20 000 W per quelle più grandi.

Generalmente vengono utilizzate nelle costruzioni civili per praticare tagli orizzontali nei muri dove è necessario bloccare la risalita capillare di acqua, o nel caso di tagli delle falde di tetti e laterizi. Sono particolarmente indicate per strutture in calcestruzzo armato, come tutti gli utensili che utilizzano il diamante.

Figura 12. Esempio di sega a catena

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Seghe a filo diamantato Anche questa tecnologia come la precedente deriva direttamente dalle cave di pietra, ma negli ultimi anni è stata adoperata con successo anche nelle costruzioni civili, per la demolizione totale o parziale di manufatti in calcestruzzo armato.

Il sistema è composto da un cavo (trefolo) di acciaio ricoperto da cristalli di diamante, tramite un processo di sinterizzazione, chiuso ad anello ed azionato da una puleggia.

Il cavo scorre dentro il materiale da sezionare creando un taglio spesso circa 1 cm e dalla lunghezza praticamente illimitata.

L’estensione del filo che permette tali lunghezze di taglio deve essere valutata accuratamente per evitare eventuali colpi di frusta in caso di rottura improvvisa del cavo; per evitare ciò gli operatori sono comunque posti al riparo da schermature di legno.

Esistono due metodi per praticare le incisioni di manufatti:

− taglio a strappo, quando il filo può essere sistemato liberamente intorno alla struttura; − taglio a tuffo, quando la struttura da sezionare non può essere abbracciata dal cavo e il filo

viene fatto passare in fori precedentemente eseguiti.

Procedendo ad una velocità di 20-50 m/s il filo produce una notevole quantità di calore, per questo è richiesta un abbondante raffreddamento con acqua. Il metodo non produce vibrazioni né rumorosità rilevanti.

Oggi è utilizzato per il taglio di grandi manufatti quali ponti, stadi, centrali elettriche, silos, dove si raggiungono spessori di cemento superiori al metro.

Figura 13. Particolare della puleggia di una sega a filo diamantato

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Carotatrici Il metodo si avvale dell’utilizzo di “tazze” circolari dentate all’estremità a contatto con il materiale da forare, che, posto in rotazione da un motore generalmente elettrico, produce un foro cilindrico del diametro di 100-200 mm, in alcuni casi è possibile adoperare carotatrici speciali che raggiungono diametri superiori al metro.

La tecnica di demolizione che sfrutta tali utensili si avvale dell’indebolimento della struttura ottenuto eseguendo tanti fori in successione, fino ad ottenere una superficie di taglio continua.

L’ortogonalità al muro viene assicurata fissando la carotatrice alla struttura mediante tasselli ad espansione o mediante ventose, sotto le quali viene creato il vuoto per mezzo di una pompa.

Vengono utilizzate per estrazione di carote da sottoporre a prove di laboratorio o per eseguire aperture di vani per porte e finestre; tali operazioni non sono ostacolate da difficili posizionamenti o da elevati spessori.

Anche questo metodo produce un’elevata rumorosità e necessita di acqua per il raffreddamento e l’abbattimento di polveri.

Figura 14. Esempio di carotatrice manuale

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Demolizione tramite idroscarifica e idrodemolizione Il sistema nasce per asportare le zone più superficiali delle costruzioni cementizie ovvero quelle che più di tutte possono essere aggredite dai cloruri, dalla fessurazione o dai fenomeni di degrado in genere. L’idroscarifica è dunque una rimozione selettiva e superficiale del conglomerato dall’armatura, che consente il successivo ricoprimento e risanamento dell’armatura stessa. Vengono utilizzate motopompe capaci di sviluppare pressioni che variano tra 1200 e 2500 bar, comportate di acqua comprese tra i 20 l/min e 35 l/min, con potenze di circa 90-110 kW.

Incrementando la potenza dei getti d’acqua la pressione levata fa sì che venga aggredito non solo il calcestruzzo friabile, ma anche le barre di acciaio: si ha così l’idrodemolizione. In questo caso le potenze raggiungono e superano i 350 kW con pressioni attorno ai 1500 bar e portate dell’ordine di 130 l/min. La potenza distruttiva del getto dipende dalla durezza del materiale da demolire, per materiali più friabili la tecnica è molto efficace, per quelli meno friabili servono potenze maggiori o tempi più lunghi.

La tecnica presenta numerosi vantaggi, quali la rapidità nei tempi di esecuzione, l’assenza di danni alle strutture sulle quali si opera e la sicurezza per gli operatori.

Si trovano sul mercato sia utensili manuali, sia utensili predisposti per il montaggio su guide automatiche di movimentazione, con adeguati ancoraggi che evitano lo spostamento dovuto alle forze reattive esercitate dall’acqua in pressione.

Sono necessari infine grandi spazi di manovra, manodopera specializzata e possibilità di smaltire rapidamente l’acqua utilizzata.

Figura 15. Idrodemolitrice su guida orizzontale

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5.TECNICHE DI DEMOLIZIONE SPECIALI Nelle demolizioni speciali rientrano tutte quelle tipologie che fanno uso in larga parte, almeno come elemento di abbattimento primario di esplosivi.

Tali metodologie sono da preferirsi nei casi in cui le altezze elevate dei manufatti da abbattere rendano le demolizioni con metodi tradizionali o controllati impraticabili dal punto di vista tecnico o economico; si parla di altezze superiori 15 m, dove la rapidità nell’esecuzione ben compensa una maggiore dispendio progettuale e di mezzi.

Se la costruzione di un edifico non è cosa semplice e immediata, la demolizione con esplosivo è di per se ancora più complessa, si necessita infatti di una quantità di dati sia teorici che pratici notevoli, nonché di tecnici che sappiano gestire grandi quantità di materiali esplosivi e una certa previdenza nei confronti di precauzioni atte a non danneggiare le proprietà limitrofe al momento del crollo.

Vediamo qui di seguito ciò che è necessario per una corretta demolizione.

Esplosivi

Definizioni Si definisce esplosivo qualsiasi sostanza o miscuglio di sostanze che, dietro idonea azione innescante, è capace di trasformarsi, in tempi brevissimi, in gas ad alta temperatura, con formazione di altissime pressioni e, quindi, con produzione di lavoro.

Il fenomeno esplosivo può avvenire nell’ordine di:

− decimi di secondo, si parla allora di deflagrazione, che avviene a velocità subsonica e con carattere progressivo seguendo tre fasi: accensione da parte di un innescante, infiammazione della superficie esterna, combustione con carattere progressivo dall’esterno verso l’interno.

− Millesimi di secondo, si parla allora di detonazione; avviene con carattere istantaneo, dal punto di vista di innesco iniziale all’intera massa della sostanza con velocità di 5000-8000 m/s.

L’esplosione genera un aumento improvviso del volume di gas che provoca un onda di pressione che si ripercuote sul mezzo a contatto (il potere dirompente che viene sfruttato nelle demolizione è proprio questo), se tale mezzo è solido viene deformato a volte fin oltre il limite di rottura; nell’aria si crea invece un picco di pressione (onda diretta) che può raggiungere le centinaia di migliaia di atmosfere e che decresce allontanandosi dal centro dell’esplosione.

All’esaurirsi dell’onda diretta l’aria torna ad occupare lo spazio vuoto, quella che si forma viene chiamata onda retrograda che completa la demolizione delle strutture già compromesse dall’onda diretta; la somma delle due onde viene definita onda d’urto.

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Proprietà degli esplosivi

Bilancio di ossigeno (B.O.) Detto negativo quando l’esplosione assorbe ossigeno dall’aria (ossidazione incompleta e quindi necessità di uso soltanto all’aperto); è detto positivo quando l’esplosione cede ossigeno all’aria (ossidazione completa, con possibilità di impiego in galleria). Calore di esplosione: quantità di calore sviluppato nell’esplosione da un kg di sostanza; oscilla a temperatura di 20 °C e a volume costante tra i 400 e 1500 Kcal/kg.

Densità Assoluta: peso di un litro di esplosivo (Ps) e può variare da 0.9 a 1.8 kg/l; di carica: peso dell’esplosivo contenuto in un litro di foro da mina; Distanza di colpo: Sensibilità all’esplosione di una carica a non immediato contatto; viene anche chiamata esplosione per simpatia, dipende dalla natura dell’esplosivo, dalla sua densità,dalla conduttività del mezzo interposto tra le cariche. Forza: Energia di esplosione misurata al pendolo balistico e convenzionalmente espressa in Strenght, attribuendo il valore 100 alla gelatina di gomma. Da tale grandezza si valutala dirompenza dell’esplosivo. Igroscopicità: Capacità dell’esplosivo di resistere all’umidità senza perdita delle qualità esplodenti Pressione di esplosione: Fenomeno complesso, dipende dalla densità di carica esplosiva; misurato in kg/cm2 non ha valore mai inferiore a 290 e nelle dinamiti può raggiungere 85 000. Sensibilità: Attitudine ad esplodere più o meno facilmente all’inizio dell’azione esplosiva, per effetto di una causa specifica: urto, frizione, temperatura,pressione, innescamento. La sensibilità all’urto (Su) si misura in centimetri ed è valutata tramite un apparecchio detto “berta” nel quale un peso cade sotto l’azione della gravità su una quantità predeterminata di esplosivo. I valori variano da 4 cm ( molto sensibile) a 110 cm (poco sensibile). Stabilità: Attitudine dell’esplosivo a mantenere inalterate nel tempo le sue caratteristiche chimico-fisiche, in normali condizioni di umidità temperatura,luce. Può variare in funzione di tali parametri.

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Temperatura di accensione: Temperatura alla quale l’esplosivo inizia a bruciare, è inferiore alla temperatura necessaria a dar luogo all’esplosione, dipende dalla pressione, varia tra i 210°C e 350°C. Temperatura di esplosione: Quella raggiunta dalla fiamma in fase di esplosione, varia tra i 900°C e i 4000°C. Velenosità: Tendenza di un esplosivo ad originare fumi tossici, e particolarmente gas nitrosi e ossido di carbonio.

Classificazione Gli esplosivi possono essere classificati in vari modi. Secondo lo stato fisico:

− Gassosi − Liquidi − Gelatinati − Solidi (pulverulenti o compatti)

Secondo la composizione chimica:

− Composti esplosivi o esplosivi chimici fondamentali; − Miscele esplosive, composte da esplosivi chimici di vario genere e altre sostanze inerti o

attive Secondo la destinazione di impiego:

− Di lancio, deflagranti − Dirompenti ( di scoppio, esplosivi detonanti in granate e bombe, da mina detonanti e di

rado deflagranti usati per lavori e demolizioni) − Innescanti, sempre detonanti

Secondo l’ambiente di lavoro (solo quelli da mina):

− Per cava o lavori all’aperto (avvolti in carta gialla) − Per lavori in sotterraneo (avvolti in carta rossa) − Di sicurezza o antigrisoutosi (avvolti in carta verde)

Secondo le leggi di Pubblica Sicurezza (allegato A), suddivisi in categorie che vanno da I a V.

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Applicazioni alle demolizioni civili In genere nell’ingegneria civile si utilizzano degli esplosivi che appartengono alla classe dei gelatinati, poiché hanno una densità e una velocità di detonazione elevata.

In tali composti il fondamentale componente è la nitroglicerina cui vengono addizionate nitrocellulosa, sostanze inerti,additivi minerali e nitrati di ammonio.

Presentano in genere un colorito bianco rosato costellato di puntini più scuri, si trovano commercializzati in confezioni di carta paraffinata sotto forma di cartucce cilindriche di diametro variabile tra 25 e 90 mm.

Nei casi in cui il composto ha composizione prossima al 100 % di nitroglicerina, i gelatinati prendono il nome di gomma; viene confezionato sotto forma di parallelepipedi (panetti) irregolari destinato a svolgere la funzione di carica appoggiata.

Nella preparazione di una cartuccia detonante oltre all’esplosivo sono di fondamentale importanza anche le micce e i detonatori che forniscono l’impulso.

Si riportano in seguito le specifiche tecniche degli esplosivi più utilizzati nelle demolizioni:

Nitroglicerina (Ngl, trinitroglicerina)

Scoperta nel 1847 da Ascanio Sobrero, appare come un liquido oleoso incolore allo stato pure, diventa giallo nella produzione commericiale. Poco solubile in acqua,ma solubile in alcool.

Stabile allo stato puro. Molto velenosa per contatto e nei suoi vapori. Brucia all’aria libera. Ps=1,6.

Congela a 8°C. Detona a 218°C. Detona nell’urto tra metalli. Vd=7400m/s; Su=6; Te=4200°C; BO positivo. A causa della sua elevata Su, non si impiega mai da sola, ma miscelata ad altre sostanze esplosive o inerti.

Pentrite (tetranitropentaeritrite,PETN,nitropenta)

Scoperta nel 1891 da Tollens e Wigland. Polvere bianca a cristallina. Insolubile in acqua e in alcool. Ps=1,76. Fonde a 140°C. A 215°C brucia all’aria libera ed esplode in involucro chiuso. Vd=8600. Su=27. BO negativo. Siccome può detonare in masse di piccolo diametro, è impiegata nelle micce detonanti.

Tritolo (TNT, trinitrotoluene)

Scoperto nel 1863 da Wilbrand. Si presenta sotto forma di cristalli gialli che tendono a scurire se esposti alla luce. Fonde a 80°C circa. Insolubile in acqua. Ps.1,1, ma fuso può raggiungere una densità di 1,6. A 150°C inizia a decomporsi, a 300°C brucia con fiamma gialla e fuligginosa. Vd=6800. Su=110. Te=2800°C. B.O. fortemente negativo. E’ velenoso sia per contatto prolungato che nei fumi. Grazie alla sua scarsa sensibilità può essere segato, sbriciolato o fresato.

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Nitrato di ammonio

Cristalli bianchi. Ps. 1,74. Assai igroscopico. Fonde a 170°C. A 200°C inizia a decomporsi. Brucia con difficoltà e, se umido, attacca alcuni metalli e forma acido nitrico. Poco sensibile, detona se fortemente innescato. Scarse qualità esplosive. Vd= 2500 m/s. Viene sempre impiegato in miscela con altri esplosivi in virtù del basso costo.

Se miscelato con un 5% di gasolio da autotrazione si ha l’ AN.FO. che sta per Ammonium Nitrate Fuel Oil, inventato negli U.S.A nella seconda metà del ‘900.

Innesco per esplosivi da mina Per far detonare una certo tipo di esplosivo serve una quantità di energia di energia di innesco caratteristica di ogni tipo di esplosivo e in funzione delle componenti con le quali è miscelato.

Per esempio l’energia d’innesco per gli AN.FO. e per TNT da fusione è molto alta, mentre è più bassa per i PETN.

Negli ultimi anni le case produttrici di esplosivi hanno cercato di ridurre al minimo la sensibilità dell’innesco per limitare al minimo il rischio di esplosioni durante il trasporto o la messa in opera.

Tale energia di detonazione si ottiene mediante una sequenza pirotecnica a rilascio crescente di energia attivata da una sorgente iniziale a bassa energia che può essere racchiusa in unico elemento, il detonatore, mentre altre volte necessita di cariche di rinforzo (quando l’esplosivo ha bisogno di una grande energia di innesco).

Il sistema di innesco è così composto:

− espolditore (fonte di energia trasferita alla miccia)

− Miccia ( di vario tipo, trasporta energia)

− Detonatore ( esplode grazie all’energia trasportata dalla miccia)

Esploditori Dipende ovviamente dal tipo di miccia scelto per il trasferimento di energia al detonatore.

I più comuni sono:

− esploditori elettrici, trasmettono un impulso elettrico alla miccia, composta in questo caso da cavi elettrici.

− esploditori termici, attivano per combustione micce a lento avanzamento

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− esploditori meccanici, spingono delle masse d’aria all’interno di micce cave e causano esplosione del detonatore per pressione.

Miccia detonante La miccia detonante è abitualmente usata per l'innescamento delle cariche esplosive ad essa collegate.

Le più comune è costituita da un'anima di pentrite avvolta da più strati spiraliformi di filati e da un rivestimento di materiale plastico che proteggono l'esplosivo dall'umidità e dai tormenti meccanici e assicurano la flessibilità del cordone e la stabilità dell'esplosivo, sia alle basse che alle alte temperature.

Per trasmettere la detonazione da uno spezzone di miccia ad un altro è sufficiente collegarli tra loro con un nastro adesivo, nodo, o specifici connettori.

In relazione agli impieghi, il contenuto di pentrite può variare da 12-15 g per metro ma sono possibili anche cariche maggiori

La miccia detonante è avvolta su bobine sufficientemente robuste per resistere alle normali sollecitazioni di cantiere ed all'azione dell'umidità.

Può essere usata come innesco direttamente inserendone le estremità nella carica da far esplodere se l’esplosivo è sufficientemente sensibile, oppure può essere usata direttamente come carica di taglio avvolgendola o appoggiandola sul corpo da tranciare.

Data l’elevata velocità di detonazione, che si aggira sui 7 km /sec, è possibile realizzare volate sequenziali con un numero di colpi in successione teoricamente infinito; per ottenere un effetto sequenziale la miccia è interrotta da de relais che fungono da micro ritardi di 25-50 ms.

Esiste in commercio un alternativa valida a tale tipo di miccia, il Nonel.

Consiste in un tubicino di plastica da 3 mm simile alla miccia detonante, contenente una miscela che innescata trasmette l’onda d’urto ad uno speciale detonatore Nonel di piccola potenza (1/7 di un detonatore ordinario), con velocità di 2000 m/s.

La reazione esplosiva rimane contenuta nel tubicino, non è quindi utilizzabile direttamente.

Il sistema Nonel potrebbe sostituire i circuiti elettrici in quanto non teme correnti vaganti ne di altri generi, ha anche il vantaggio di assicurare inneschi di fornelli in una volata con intervalli ottimali.

Si trova in commercio in spezzoni di svariata lunghezza con moduli da 60 cm, ma ha un costo elevato.

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Figura 16. Matassa di miccia detonante tipo PETN

Detonatori Gli elementi che costituiscono il detonatore sono racchiusi all’interno di una capsula di alluminio o, nel caso di ambiente saturo di gas grisou, di rame.

La potenza d’innesco propria dei detonatori viene quantificata secondo la scala Sellier-Belliot con una numerazione che va da 1 a 12 in funzione del peso equivalente del fulminato di mercurio.

Nelle demolizioni civili si usano detonatori che variano nel range della scala sopracitata tra 6 e 8.

I detonatori come detto precedentemente possono esplodere istantaneamente (detonatori istantanei) oppure differiti nel tempo fino ad un massimo di 15 secondi (detonatori ritardati).

Essi sono composti da un meccanismo di accensione, che sfrutta l’energia trasportata dalla miccia per far detonare la carica primaria in genere composta da 0,4-0,5 g di fulminato di mercurio (se l’involucro è di rame) o da una miscela di azoidrato e stifnato di piombo (se l’involucro è di allumino).

Questa a sua volta serve da innesco ad una carica secondaria costituita da 0,8-1 g di PETN, o TNT o T4 che altrimenti non sarebbero innescabili con una semplice miccia.

Tra l’accensione e la carica primaria può trovarsi un ritardo, un materiale deflagrante che trasmette energia con dei tempi prestabiliti, la qual cosa è molto utile nelle demolizioni dove le cariche vengono fatte esplodere con sequenze temporali ben determinate.

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Figura 17. Rappresentazione di due detonatori tipo.

I detonatori elettrici non hanno bisogno di una miccia PETN, ma di un semplice doppio cavo elettrico che congiunge la testina, nella quale è presente una resistenza a incandescenza che innescherà la carica primaria, con l’esploditore.

Ne esistono di vari tipi di detonatori primari e vengono suddivisi in classi in funzione delle correnti di accensione utilizzate che variano da 0,25 A fino a 25 A.

Per tali detonatori però è necessario calcolare quella che viene definita “linea di tiro” ovvero il percorso dei cavi elettrici che collegano esploditore e detonatore.

E’ necessario che durante la scarica nessun collegamento tra reofori (cavi portatori di corrente) tocchi terreno o acqua (e non ci siano dunque dispersioni); questo in cantiere può essere verificato tramite la misurazione del circuito con degli ohmmetri omologati.

La resistenza del circuito che viene sottoposto a misurazione deve essere pari alla resistenza totale della linea sommata alla resistenza dei detonatori.

L’interruttore o esploditore si posizionano in genere a circa 100 m di distanza per evitare che la proiezione di frammenti danneggi gli operatori.

Attualmente il collegamento più utilizzato tra i detonatori è quello in serie anche se possono essere disposti a seconda delle esigenze anche in parallelo o a disposizione mista.

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Dimensionamento delle cariche Il dimensionamento delle cariche nelle demolizioni con esplosivi è una delle fasi più delicate che si devono affrontare, un incongruo quantitativo di carica può portare al fallimento dell’operazione di abbattimento.

Cariche poco potenti possono demolire parzialmente la struttura da abbattere e non portarla al collasso, ma allo stesso tempo renderla instabile e difficilmente avvicinabile in seguito; cariche troppo potenti possono portare alla proiezioni di frammenti anche di grandi dimensioni a distanze considerevoli e arrecare danni anche gravi alle strutture limitrofe.

L’esperienza del dimensionamento delle cave arriva direttamente dalle tecniche del Genio militare che fino a pochi fa era l’unico ente in grado di operare con materiale esplosivo.

Le formule di calcolo adoperate per dal Genio erano però approssimative e volte più alla distruzione del manufatto che all’abbattimento con salvaguardia delle strutture vicine.

I valori di riferimento delle quantità di esplosivo erano tabellate in funzione della geometria e delle caratteristiche degli elementi da demolire.

Oggi si utilizzano due metodi principalmente per il calcolo:

− metodo del raggio di azione della carica

In genere utilizzato per le murature non armate, prevede che la disposizione sia superficiale che in foro delle mine generi delle superfici equipotenziali sferiche e che il collasso avvenga solo se tali sfere sono tra loro secanti.

Si applica per il calcolo della quantità di carica la formula di Weichelt:

𝐿 = 𝑊3 ∙ 𝑐 ∙ 𝑑

Dove : L = carica in kg W = Burden (distanza in m tra la carica e la superficie libera) c = dipende sensibilmente dal carico gravante sul muro e i valori si trovano tabellati in funzione dell’esplosivo utilizzato d = può assumere valori che vanno da 1 per un borraggio (sigillatura del foro dopo l’inserimento della mina) di almeno 30 cm ben eseguito fino a 1,25 nei casi peggiori.

− metodo della carica specifica

Si utilizza per ogni tipo di demolizione, molto adatto per il calcestruzzo armato.

Si valuta l’entità del volume di materiale che è necessario distruggere affinché la struttura collassi, in base a questo dato viene ricavata la quantità necessaria di esplosivo in funzione di alcuni

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coefficienti che tengono conto dell’esplosivo stesso, della resistenza del muro e dei carichi applicati, del tipo di detonazione usata (in foro o appoggiata).

Per le costruzioni in muratura non armata la densità di carica con cariche in foro si attesta sugli 0,5 kg/m3 che può variare leggermente a seconda della finezza delle macerie che si vuole ottenere, se si vogliono utilizzare delle cariche appoggiate la quantità di esplosivo deve essere 4 volte superiore.

Quest’ultimo metodo è sconsigliato perché produce eccessiva rumorosità e un notevole airblast (spostamento d’aria)

Per tali costruzioni sono presenti anche dei tabellari dove sono riportate anche le distanze tra i fori ottimali e le profondità degli stessi ( ICI Blasting Practice, 1972 )

Per le costruzioni armate la densità di carica aumenta e la distanza tra i fori diminuisce; Hempill nel trattato Blasting Operation (Ed. McGraw Hill, New York, 1981) consiglia i seguenti valori:

− 0,15 kg/m3 per calcestruzzo non armato − 0,3 -0,45 kg/m3 per calcestruzzo debolmente armato − 0,6 kg/m3 per calcestruzzo fortemente armato − Densità di perforazione che passa da 1 a 2 fori al m2

Nelle strutture intelaiate è essenziale stabilire quanti siano i m3 effettivi di materiale da far esplodere per far collassare la struttura, cercando di sfruttare al massimo i meccanismi di collasso della struttura stessa; per esempio un pilastro tozzo che difficilmente andrà in crisi per raggiungimento del carico di punta (carico critico) andrà minato in tutta la sua altezza, all’opposto invece, un pilastro snello, può essere minato quel tanto che basta a far si che il collasso avvenga per svergolamento.

Infine, nelle costruzioni in calcestruzzo è sconsigliato l’utilizzo di cariche superficiali perché difficilmente arriverebbero a tranciare l’armatura interna.

Per le strutture metalliche composte da profilati sagomati e tubolari, dati gli esigui spessori di tali elementi è difficile pensare di eseguire dei fori nei quali disporre le mine.

Per tali elementi ci si avvale dell’ausilio di cariche superficiali appositamente studiate che possono avere la carica sagomata in modo da ridurre al minimo la dispersione di energia durante l’esplosione, altre ancora sono dotate di lamine ad l che durante l’esplosione s chiudono ad U e proiettate contro il laminato lo recidono, sono le “cariche forma lineari” (linear shaped charge).

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6. PROGETTO DELLA DEMOLIZIONE CON ESPLOSIVI

Percorso del processo di demolizione

Fase I: scelta del tipo di demolizione

Come già riportato precedentemente la scelta di operare con gli esplosivi viene fatta in basa ad alcune caratteristiche essenziali dell’opera quali la sua altezza (superiore a quella dei mezzi da demolizione meccanica presenti in cantiere o reperibili) e quando si presenta un articolazione tale della struttura tale da rendere poco agevole o addirittura pericoloso il lavoro meccanico.

Lo scopo dell’ esplosivo, è quello di rendere labili alcune parti della struttura tali che, creando dei cinematismi, si trovino a muoversi sotto l’azione della gravità, facendo perno su un lato ed allora avremo un caduta laterale oppure cedendo all’improvviso su se stesse e allora avremmo una caduta verticale o implosione.

La forza distruttiva che porterà a compimento la demolizione del manufatto non è quella dell’esplosivo come era da immaginarsi ma le forze che si generano dall’impatto della struttura in caduta libera col terreno sottostante.

Il terreno comportandosi come una molla sarà parte essenziale della demolizione, più esso è rigido, più la reazione all’impatto sarà elevata, più il potere distruttivo del crollo sarà grande, più il terreno sarà “flessibile” minore sarà la forza di impatto e minore è la possibilità le macerie collassino su se stesse.

Prima di operare con le cariche è sempre necessario smantellare quelle strutture secondarie che possano anche in parte collaborare alla statica dell’edificio da abbattere, quali pannelli murari di tamponamento, divisori interni attraverso mezzi demolitori meccanici manuali.

In secondo luogo è doveroso eliminare tutti quegli elementi che una volta esplose le cariche potrebbero comportarsi come dei proiettili vaganti, quali vetrate, macerie di elementi già abbattuti ed oggetti vari.

Fase II: Analisi della struttura

Per abbattere una struttura nel miglior modo possibile è necessario conoscere come questa struttura è realizzata, quando è possibile operare con i progetti originari e le varianti eseguite in corso d’opera è di grande aiuto, soprattutto perché semplifica le fasi preliminari del calcolo della demolizione.

Come per la costruzione di un edificio si provvede a costruirne un modello tridimensionale per mezzo di programmi ad elementi finiti, a valutarne le resistenze di progetto e a stabilire quali

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potrebbero essere i meccanismi di collasso o cinematismi a cui la struttura potrebbe essere più sensibile per ottenere il risultato voluto.

Tenendo conto però che le indicazioni progettuali non vengono alcune volte seguite alla lettere e oltre a ciò che durante la vita utile della struttura potrebbero essersi formati dei meccanismi pr i quali i componenti della struttura analizzati non si comportano come dovrebbero, risulta necessario effettuare delle verifiche in loco.

Tali verifiche possono essere sia distruttive, nei casi in cui la struttura portante non sia così danneggiata da pregiudicare un ulteriore indebolimento dovuto a tali indagini, si procede dunque con carotaggi, test di resistenza della malta cementizia impiegata, verifica della conformità delle armature presenti.

Quando invece la struttura risulta talmente compromessa da non poter eseguire delle indagini distruttive sulle parti principali si utilizzano delle tecniche meno invasive ma ugualmente efficaci, come tecniche radiografiche, ultrasuoni o elettromagnetiche.

Fase III: preparazione della struttura

Come abbiamo già detto, vanno eliminate tutte quelle parti “superflue” che possono interagire negativamente con l’esito della demolizione, ma spesso questo non è sufficiente.

A volte le strutture da demolire risultano così sovradimensionate a causa di scelte progettuali troppo conservative, a causa dei coefficienti di sicurezza imposti dalle normative o semplicemente dall’utilizzo di materiali che hanno resistito meglio del previsto che è necessario indebolire la strutture portanti al fine dio utilizzare quanto meno esplosivo possibile.

In genere si tratta di forare pareti calcestruzzo armato in modo da creare delle linee di frattura preferenziali, ridurre la sezione di travi e pilastri in modo da facilitarne il collasso o anche tranciare le armature per mezzo di cesoie in modo da facilitarne la rottura fragile al momento della detonazione.

Inoltre vanno preparati gli alloggiamenti per le cariche, vanno dunque eseguiti i fori (in genere inclinati a 45° ) nei quali saranno calate le cariche detonanti a seconda della disposizione progettuale.

In questa fase è sempre bene tenere conto di vari eventi eccezionali che possono occorrere quali venti eccessivi o lievi scosse sismiche che potrebbero far collassare in maniera inadeguata la struttura in una fase molto delicata della sua esistenza.

Fase IV: il crollo

Il crollo può essere di due tipi

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Crollo per caduta verticale

Scelta consigliata per strutture particolarmente elevate o particolarmente sviluppate lungo una direzione ma dal aspetto tozzo, strutture circolari e cupole

Questa tipo di collasso si ottiene minando con adeguate sequenze temporali i primi due piani dell’edificio da abbattere, in questo modo la struttura soprastante si troverà dopo la detonazione ad accelerare verso il basso spinta dalla forza di gravità, trasformerà il suo potenziale in energia cinetica fino al momento dell’impatto al suolo dove si scaricherà.

L’impatto però considerata la grandezza dell’energia liberata al momento del crollo dalla struttura, produrrà un onda di pressione che percorrerà dal basso verso l’alto la struttura frantumandola mentre ancora questa scende verso il basso.

Va tenuto conto quando si ha a che fare con edifici particolarmente il volume delle macerie al suolo sarà elevato e se non si dispongono delle paratie o degli argini circostanti è possibile che tali macerie vengano sospinte lateralmente per decine di metri.

Per ottenere una migliore frammentazione delle macerie e una minore scossa sismica all’impatto della struttura al suolo negli edifici più alti vengono minati anche dei piani intermedi.

Crollo per caduta laterale

I crolli per caduta laterale vengono in genere utilizzati per ciminiere o torri o per edifici che presentano zone di rispetto capaci di accogliere la notevole dispersione di macerie.

Per questo vengono stabilite delle aree di rispetto classificate come:

− Designed drop area: area di caduta delle macerie previste dal progetto − Predicted debris area: zona nella quale si prevede possano giungere frammenti volanti − Buffer area: franco di sicurezza contro gli imprevisti − Exclusion zone: l’intera area che deve essere lasciata libera e inaccessibile sl momento del

crollo.

A differenza della tipologia precedente in questo caso non si minano interamente dei piani, ma si minano delle strutture portanti tali da formare un cuneo nell’intero edificio tale da provocare la rotazione della struttura sotto l’azione del peso proprio e la demolizione al momento dell’impatto col suolo; oppure creando una o più linee di taglio oblique tali da permettere alla struttura di scorrere su tali piani e cadere lateralmente.

Per il calcolo approssimativo delle distanze di rispetto, per edifici di forma semplice (parallelepipeda) ai procedimenti di calcolo elaborati da Feng Shuyu nel trattato “A study on the piling size of direct demolition” (Ed. ICEBT, Pechino, 1991).

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Calcolo della forza di impatto E’ il procedimento più delicato perché consente di valutare le forze che entrano in azione sulla struttura al momento dell’impatto con il suolo e che devono essere necessarie a disgregare la conformazione rigida della struttura stessa. Facciamo riferimento ad un caso applicativo per spiegare meglio tale procedimento. Supponiamo di dover abbattere un edificio a scheletro in calcestruzzo armato multipiano sfruttando la tecnica dell’abbattimento verticale. Supponiamo inoltre che al momento dell’esplosione delle cariche i pilastri che vengono fatti detonare perdano improvvisamente la loro resistenza e la loro conformazione nello spazio. Istantaneamente la massa dell’edificio soprastante sarà accelerata dalla forza di gravità di un vettore pari a 9,81 m/s2. Con le leggi della meccanica classica, supposta la struttura avente un abbrivio h1 (altezza del piano che viene a mancare), trovandosi in un condizione di moto uniformemente accelerato possiamo dire che:

𝑠 = 𝑣0𝑡 +12𝑔𝑡2

Dove: s: spazio percorso in funzione del tempo v0 : velocità del corpo all’istante iniziale Considerando le condizioni iniziali:

𝑣0 = 0 Il tempo necessario per percorrere la distanza s è:

∆𝑡 = �2ℎ1/𝑔 Se consideriamo il sistema isolato, possiamo sfruttare il principio di conservazione dell’energia meccanica e affermare che :

𝐸𝑘,1 + 𝐸𝑝,1 = 𝐸𝑘,2 + 𝐸𝑝,2 Dove Ek,i e Ep,j sono l’energia cinetica e l’energia potenziale del sistema. Sostituendo con i valori noti otteniamo che:

12𝑚𝑣22 = 𝑚𝑔ℎ1

Ovvero: 𝑣2 = �2𝑔ℎ1

La velocità media dell’oggetto sarà nell’intervallo Δt=t2-t1:

𝑣𝑚 =12𝑣2

Al momento del contatto col suolo la struttura subirà u improvvisa decelerazione portandola da un valore finito di v2 diverso da zero a un valore di v3=0.

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Il tempo di arresto è un parametro difficile da calcolare che dipende dalla natura litologia del terreno, dal materiale di cui può essere ricoperto, dai materiali di cui è composta la costruzione ed è esprimibile come :

∆𝑡𝑖𝑚𝑝𝑎𝑡𝑡𝑜 = ∆𝑡𝑖 = 𝑓(𝑚𝑒𝑡𝑜𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑒𝑚𝑜𝑙𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒,𝑔𝑒𝑜𝑚𝑒𝑡𝑟𝑖𝑎, 𝑡𝑒𝑟𝑟𝑒𝑛𝑜,𝑚𝑎𝑡𝑒𝑟𝑖𝑎𝑙𝑖)

In fase progettuale rifacendosi ad esperienze passate, a librerie tecniche riguardanti l’argomento è possibile determinarne il valore in modo poi da calcolare il valore della decelerazione:

𝑎𝑎𝑟𝑟𝑒𝑠𝑡𝑜 = −𝑣𝑖𝑚𝑝𝑎𝑡𝑡𝑜/∆𝑡𝑖𝑚𝑝𝑎𝑡𝑡𝑜

Questa decelerazione modifica la quantità di moto del sistema sul quale dovrà agire un forza impulsiva di intensità pari a :

𝐼 = 𝐹∆𝑡𝑖𝑚𝑝𝑎𝑡𝑡𝑜

Applicando il teorema della quantità di moto si ottiene:

∆𝑄 = 𝑚∆𝑣 = 𝐼 = 𝐹∆𝑡𝑖𝑚𝑝𝑎𝑡𝑡𝑜

Dalla quale si ottiene che :

𝐹 = 𝑚∆𝑣/∆𝑡𝑖𝑚𝑝𝑎𝑡𝑡𝑜

Dove:

m: massa dell’edificio

Δv: variazione di velocità

A questo punto conoscendo le resistenze di progetto dei materiali utilizzati nella costruzione della struttura, conoscendo i coefficienti di sicurezza ϒ dati dalle normative vigenti, è possibile determinare quale è la forza necessaria affinché la struttura collassi e quindi invertendo la formula precedente determinare quale è l’abbrivio (altezza di caduta libera) necessario.

ℎ1 =𝛾2∆𝑡𝑖𝑚𝑝2𝑔

2

Tale valore dovrà essere maggiorato in funzione della probabilità che il sistema opponga resistenza in fase di caduta, ovvero che la stessa non sia libera come da ipotesi ma sia smorzata da qualche evento imprevisto, come la mancanza di cedimento di uno o più vincoli.

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Ritardi Con il generico termine ritardo si intende la procedura di controllo temporale delle esplosioni, cioè la sequenza temporale delle esplosioni.

Tale temporizzazione è necessaria in quanto consente di far seguire alla struttura una traiettoria predefinita in fase di caduta (specialmente se laterale) grazie al controllo che è possibile dare alla ridistribuzione delle caratteristiche della sollecitazione al momento delle esplosioni.

I ritardi hanno lo scopo dunque di sequenziare la distribuzione delle sollecitazioni in maniera progressiva e lineare.

Esistono due tipi di ritardi che si differenziano in base alla loro durata:

− 20/30 ms per i micro ritardi − 0,5 s per i ritardi

Sui detonatori si trovano le indicazioni su quanto posso essere ritardati, su quelli dotati di micro ritardi può variare da 1 a 18 volte il tempo “base” di 20/30 ms (si può avere al massimo quindi un ritardo di 18 x 30 ms = 540 ms dopo lo 0), oppure per i ritardi può variare da 1 a 12 volte il tempo base di 0,5 s ( si può avere dunque un ritardo massimo di 12 x 0,5 s = 6 s dallo 0).

L’esplosione di una carica, come già accennato in precedenza produce un alterazione dello stato di tensione che si palesa con un onda di pressione all’interno degli elementi strutturali contigui.

La massima distanza che tali onde di pressione devono percorrere viene definita dimensione caratteristica.

Nelle demolizioni laterali, dato che il collasso assume valori significativi solo per quei telai traversali che sono soggetti a perdita di equilibrio la dimensione caratteristica sarà valutata solo su quei piani.

LA velocità di propagazione delle onde primarie (o di pressione o longitudinali) in un mezzo elastico, isotropo e omogeneo come è il calcestruzzo nelle nostre schematizzazioni può essere così espressa:

𝑣𝑝 = �𝜆 + 2𝜇𝜌

Dove:

𝜇 = 𝐺 = 𝐸2∙(1+𝑣)

modulo di elasticità trasversale

𝜆 = 𝑣∙𝐸(1+𝑣)(1−2𝑣)

E= modulo di elasticità normale ν= modulo di Poisson ρ= densità del materiale

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Per soddisfare l’equilibrio interno. Le tensioni normali di flessione generano degli sforzi di scorrimento (ovvero delle tensioni tangenziali) che si propagano all’interno del corpo come onde trasversali con una velocità:

𝑣𝑠 = �𝐺𝜌

Esaminando poi il comportamento delle onde primarie che sono caratteristiche della sollecitazione flessionale, si individua nel telaio la distanza massima dmax che esse dovranno percorrere.

Con tali grandezze è possibile determinare il tempo impiegato dalla sollecitazione per coprire la distanza dmax :

𝑡 =𝑑𝑚𝑎𝑥𝑣𝑝

= 𝑑𝑚𝑎𝑥 ∙ �𝜆 + 2𝜇𝜌

Andando a modificare la formula del tempo percorso, si ottiene l’intervallo di tempo che dovrà avere il ritardo in funzione della geometria del sistema e delle caratteristiche del materiale:

∆𝑡𝑟𝑖𝑡𝑎𝑟𝑑𝑜 = 2 ∙1 + 𝑣𝐸

�𝜌𝑣

(1 − 2𝑣) ∙ 𝑑𝑚𝑎𝑥

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Effetti indesiderati Per questo tipo di demolizione che vanno tenuti sotto controllo e che riguardano le conseguenze che ha sull’ambiente circostante (edificato o meno) il crollo dell’edificio che viene abbattuto.

I principali aspetti da osservare e da cercare di ridurre al minimo sono:

− Sconfinamento delle macerie dall’area prevista − Proiezioni di frammenti a grande distanza − Emissione di polveri − Rumore − Vibrazioni trasmesse dalla struttura o dalle esplosioni al suolo − Sovrapressioni

Il primo accorgimento utile è quello di maggiorare le aree di teoriche di accumulo macerie preventivamente valutati in fase progettuale, in seguito poi è bene creare dei letti di caduta, realizzati per mezzo di materiali a fine granulometria come sabbia e terra, dallo spessore di 1-2 m.

Sconfinamento delle macerie

E’ bene inoltre per evitare il rotolamento a terra di detriti anche di grandi dimensioni creare dele barriere ai limiti delle aree di accumulo in grado di resistere alle pressioni dei detriti in massa o agli urti con detriti in velocità.

Maggiori preoccupazioni destano però i detriti volanti, quei frammenti che durante l’esplosione delle cariche possono essere eiettati a velocità molto elevate, fino a 100 m/s.Si riporta il metodo più utilizzato nell’ingegneria civile per valutare la gittata massima di un frammento.

Proiezione di frammenti

Il metodo di G.Berta elaborato nel trattato “Proiezioni a distanza di frammenti rocciosi in relazione all’esplosivo da mine” (Congresso di Geo-ingegneria, Torino , 1991) per il calcolo della gittata teorica si basa sulla relazione esistente tra il consumo specifico medio di esplosivo e la velocità media assunta dalla massa frammentata.

Si valuta il valore massimo locale della carica specifica (quantità di esplosivo/volume da demolire) relativo all’elemento da cui si presuppone la proiezione di materiale, a questo punto si calcola un valore definito come incidenza di esplosivo:

𝑐 =𝑞

0,54 𝑊2

Dove: q : rapporto tra il peso della carica utilizzata e la lunghezza della stessa W : distanza della carica dalla superficie libera ( burden ).

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Passiamo al calcolo della massima velocità iniziale che i frammenti possono acquisire:

𝑣0 = 23 √𝑐

Con la velocità espressa in m/s.

Una volta stabilità la velocità iniziale del frammento è possibile stabilire la gittata massima attraverso le leggi della meccanica classica considerando che l’ipotesi più sfavorevole prevede un inclinazione di partenza sull’orizzontale di 45°.

L a gittata teorica va poi ridotta con un coefficiente minore di 1 al fine di considerare tutti i fenomeni dissipativi legati alla geometria del frammento e alla viscosità dell’aria.

Sicuramente per evitare la proiezione incontrollata di frammenti è bene ricorre a protezioni che limitino il numero di tale fenomeni a poche unità.

In genere è consuetudine rivestire le aperture e gli elementi minati con tessuto geotessile ed reti metalliche in modo che permettano alle murature di sgretolarsi e allo stesso tempo trattengano le macerie al loro interno.

All’esterno si utilizzano stuoie, pannelli in legno rivestiti e protetti da balle di paglia, sia intorno all’edificio da demolire sia nelle adiacenze di edifici da proteggere dagli urti con oggetti volanti.

Come per tutte le attività che concernono la frantumazione di materiale lapideo, con la demolizione per mezzo di esplosivi si ha una grande produzione di polveri disperse nell’aria, come per le demolizioni meccaniche, con la maggiorazione che qui la dispersione viene concentrata in un unico momento mentre nelle demolizioni meccaniche viene distribuita per più giorni.

Emissione di polveri

Può risultare utile quando scritto nelle “Linee guida per la valutazione delle emissioni di polveri provenienti da attività di produzione, manipolazione, trasporto, carico o stoccaggio di materiali pulverulenti” redatto dall’ Agenzia Regionale per la Protezione ambientale della Toscana: “Anche le demolizioni di edifici e manufatti per mezzo di esplosivi (implosioni) costituiscono una fonte di emissione di particolato. Al riguardo si possono fare alcune considerazioni: - In generale l’evento implosivo ha una durata estremamente limitata nel tempo (dell’ordine di qualche minuto), mentre sono le successive operazioni di rimozione dei detriti che hanno maggiore durata temporale; le emissioni di queste fasi possono essere trattate facendo riferimento alle attività precedentemente esaminate. - Durante la fase di implosione si ha una emissione significativa di particolato; tuttavia gli studi disponibili indicano che l’impatto in termini di qualità dell’aria è molto limitato: si hanno infatti concentrazioni estremamente elevate di PM10 sottovento alla sorgente per tempi molto ridotti, e la situazione ritorna in poche ore su livelli di concentrazione analoghi a quelli precedenti l’evento (Beck C.M. et al. 2003).

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- Allo stato attuale delle conoscenze l’importanza di queste emissioni appare circoscritta ai singoli eventi e, in relazione al numero di eventi che possono verificarsi, di eventuale rilevanza inventariale.” Da questo si può dedurre che le emissioni pulverulente risultano dannose solo alla funzionalità dell’ambiente circostante la zona di dismissione dell’edificio (che ricordiamo sarà opportunamente sgomberata e interdetta al pubblico) che dovrà essere successivamente ripristinato per mezzo di idropulitura di strade, aree verdi manufatti edilizi o artistici. E’ comunque indispensabile prevedere un azione di abbattimento delle polveri subito in fase di crollo per evitare che si disperdano in quantità eccessive o fuori dall’area di rispetto. Per fare ciò è possibile utilizzare appositi macchinari chiamati “cannoni” che spruzzano acqua nebulizzata, ovvero gocce di minuscole dimensioni che attraggono le particelle di polvere e le fanno precipitare al suolo riducendo al minimo l’effetto bagnato. Tali dispositivi, dalle dimensioni modeste, trasportabili su gomma arrivano a coprire distanze di oltre 200 m e sono dotati di cisterne d’acqua, quindi non richiedono allacciamenti a impianti idrici locali. Un altro utile accorgimento per evitare un eccessivo sollevamento di polveri è di evitare che il terreno o la superficie che raccoglierà le macerie non ne emetta di per se; anche in questo caso si ricorre all’umidificazione di tale superficie prima della fase di demolizione.

Figura 18. Cannone nebulizzatore di medie dimensioni.

L’impatto delle macerie al suolo durante il collasso mette in agitazione le particelle di terreno coinvolte, queste oscillando secondo armoniche (onde sinusoidali) che si sommano fra loro, generano delle vibrazioni che possono essere accomunate a quelle sismiche anche se di durata molto più limitata e di entità ridotta.

Vibrazioni nel terreno

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Queste vibrazioni pongono dei quesiti che possono essere inseriti e approssimativamente studiate nell’ambito delle piccole oscillazioni di sistemi elastici smorzati che si propagano in un mezzo elastico e continuo.

Come visto in precedenza è possibile calcolare la velocità di propagazione delle onde longitudinali o di compressione in un mezzo omogeneo, isotropo e elastico:

𝑐𝑝 = Φ(𝑣) ∙ �𝐸𝜌

Dove: E: modulo di elasticità (o di Young) ρ: densità del materiale Φ(𝑣) : funzione che descrive la variazione del coefficiente di Poisson, per le rocce e i materiali cementizi si può considerare pari a 1. Analogamente la velocità delle onde trasversali (o di taglio) è:

𝑐𝑡 = �𝐺𝜌

Facendo il rapporto di questi due valori trovo un funzione che dipende solo da v:

𝑐𝑝𝑐𝑡

= �2(1 − 𝑣)1 − 2𝑣

Se consideriamo poi che la velocità delle onde di superficie Cs è circa il 90 % delle onde trasversali vediamo che tutte dipendono solamente dal tipo di materiale che attraversano.

Le variazioni di materiale che ci sono tra struttura e terreno o tra i vari strati del sottosuolo provocano delle rifrazioni e delle riflessioni che sono descrivibili con le leggi di Schnell, esse spiegano come le onde che continuano il loro percorso di propagazione (onde rifratte) nel passaggio da un strato (caratterizzato da una certa impedenza acustica) ad un altro, si attenuano.

Lo studio delle vibrazioni di un mezzo complesso come il terreno rimane comunque legato alle esperienze pratiche che sono state eseguite in passato, essendo infatti un materiale anisotropo, non lineare, e anche difficilmente elastico è difficile valutare a priori il suo comportamento.

In genere i danni che tali vibrazioni artificiali possono comportare possono essere riferiti alla statica locale o ai rivestimenti e agli intonaci, sono i cosiddetti danni cosmetici.

Il parametro che viene utilizzato ai fini del controllo delle vibrazioni è la massima velocità particellare (p.p.v. : peak particle velocity) che in alcune normative viene limitato entro valori tabellati come nella norma tedesca DIN 4150 e in quella svizzera SN 640312a.

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Il valore di picco della velocità particellare è in genere una funzione che dipende da:

Effetto delle esplosioni

− CPDmax (charge per delay maximum): massima quantità di esplosivo che brilla simultaneamente

− R: distanza in metri tra la sorgente del disturbo e il punto in osservazione.

Le formule utilizzate più frequentemente sono:

𝑝.𝑝. 𝑣. = 𝐾 ∙ �𝐶𝑃𝐷𝑚𝑎𝑥𝑅3/2 (formula di Langerfors)

𝑝.𝑝. 𝑣. = 𝐾1 ∙ ��𝑅

𝐶𝑃𝐷𝑚𝑎𝑥1/2�

𝑎

𝑝.𝑝. 𝑣. = 𝐾2 ∙ ��𝑅

𝐶𝑃𝐷𝑚𝑎𝑥1/3�

𝑏

Dove:

K,K1,K2 e a e b : sono coefficienti ottenuti statisticamente.

𝑅𝐶𝑃𝐷𝑚𝑎𝑥

1/2, 𝑅𝐶𝑃𝐷𝑚𝑎𝑥

1/3 sono note come distanze scalate alla carica

Per calcolare in prima approssimazione il valore della frequenza che ha la vibrazione prodotta dall’esplosione si usa la seguente formula:

𝑓 =1

0,1 ∙ 𝑙𝑜𝑔𝑅

Valutabile in genere in un intorno di 50 m dal luogo di partenza dell’oscillazione in un valore di circa 20 Hz.

Una formulazione semplificata per la valutazione degli effetti del crollo è stata fornita dall’ Accademia delle scienze cinese.

Effetto del Crollo

Considerando che l’impulso è dato da:

𝐼 = 𝑚 ∙ �2 ∙ 𝑔 ∙ ℎ [𝑘𝑔 ∙𝑚𝑠

]

Dove: m = massa elementare [kg] h = altezza di caduta [m]

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Il valore massimo della velocità particellare (p.p.v.) può essere espresso come:

𝑝.𝑝. 𝑣. = 0,08 ∙ �𝑅

𝐼13�−1,67

�𝑐𝑚𝑠�

I valori esponenziali sono ottenuti mediante sperimentazioni.

Nei casi in cui le vibrazioni trasmesse al suolo debbano essere attentamente valutate si deve ricorrere a dispositivi quali i geofoni, i sismografi e gli accelerometri sismici in grado di misurare tutte le componenti dell’accelerazione impressa dalle vibrazioni nello spazio.

La norma UNI 9916 spiega puntualmente quali sono le metodologie più appropriate per la misurazione, il trattamento dei dati e gli effetti delle vibrazioni sugli edifici.

Infine possiamo suddividere in alcune tipologie il modo in cui l’eccitazione prodotta da una sorgente vibrante si manifesta.

In funzione dei meccanismi di azione:

− Trasmissione di energia tramite il t erreno

− Trasmissione di energia per via aerea

In funzione del tempo di durata del fenomeno perturbatore.

prendendo come parametro di valutazione la seguente grandezza:

𝜏0 =1

2 ∙ 𝜋 ∙ 𝜉0 ∙ 𝑓0

Abbiamo che i fenomeno può essere considerato:

− Continuo: durata dell’eccitazione superiore a 5 volte 𝜏0. − Transitorio: durata della forzante limitata nel tempo minore di 5 volte 𝜏0. − Impulsivo: durata molto breve paragonata al valore di 𝜏0.

Per operazioni di entità notevole è bene ricorrere a software che permettano di schematizzare i modelli secondo la teoria degli elementi finiti, in modo da avere una migliore approssimazione del livello delle vibrazioni indotte.

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Bibliografia

G.BRANDIMARTI,R.GIACCHETTI , “Ingegneria delle Demolizioni”, Dario Flaccovio Editore, 2008

GEN.LORENZO GOLINO , “Manuale per l’esame di fochino”, Bolzano, 2000

MANCINI R.,MICHELOTTI E. , “Scienza delle distruzioni”, Politeko, 2002

Riferimenti Normativi:

“Linee guida per la valutazione delle emissioni di polveri provenienti da attività di produzione, manipolazione, trasporto, carico o stoccaggio di materiali pulverulenti” redatto dall’ Agenzia Regionale per la Protezione ambientale della Toscana

Articoli e Pubblicazioni:

S.SCAINI , “Utilizzo di esplosivi in scenari di intervento complessi”, Università degli Studi di Genova, Master in sicurezza in materiali esplosivi

AA.VV., “Journal of explosive engineering”, numeri vari

M.CARDU, A.GIRAUDI,E.MICHELOTTI,”The ‘slicing and blasting’ demolition method for civil buildings: conditions for application, design criteria and practical advice, in the light of the analysis of actual cases”, European Federation of Explosives Engineers ,2007.

M.CARDU, A.GIRAUDI,E.MICHELOTTI,”Combined use of explosives and cutting machines in urban demolition”,GEAM, 2010.

Siti web consultati:

www.nonex.it

www.stevanato.com

www.demolizioni-controllate.com

www.controlled-demolition.com

www.esplosivi.it

www.tecnomine.it

www.tagliomuri.com