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Franqois Hartog --- Regimi di storicità Presentismo e esperienze del tempo Introduzione di Antonino Buttitta Seller

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Franqois Hartog -----l!

Regimi di storicità Presentismo e esperienze del tempo

Introduzione di Antonino Buttitta

Seller

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Capitolo 5

Patrimonio e presente nuovo morti in suo nome o sotto la sua copertura.50 I nazionalismi et- nici hanno ucciso assai e selvaggiamente. Di forma e intensità va-

Dopo la memoria, passiamo al suo alter ego, il patrimonio, po- nendoci ancora una volta la nostra stessa domanda: che cosa ha si- gnificato dal punto di vista del tempo, del suo ordine, il movimen- to di estensione e di universalizzazione del patrimonio, cui abbiamo assistito da un buon quarto di secolo? Di quale regime di storicità la patrimonializzazione galoppante degli anni '90, come talora è stata definita, può essere il segno? Questo gusto per il passato, per l'an- tico, giungeva improvvisamente a testimoniare una sorta di no- stalgia per un regime di storicità antico, da molto tempo tuttavia non più in uso? Viceversa, come poteva ancora adattarsi a un regime mo- derno, che aveva messo, da due secoli, tutto il suo «fervore di speranza» nel futuro? Contrariamente alle profezie di Marinetti! In- dizio di crisi del tempo, il patrimonio contemporaneo non si può for- se comprendere anche come un segno chiaro, uno dei più chiari, di questo presentismo, il nostro, alla cui comparsa questo libro è de- dicato? La risposta passa di nuovo attraverso i va e vieni tra diversi usi della nozione in tempi diversi, mostrandoci ogni volta attenti al posto riservato al presente.

Nel corso di questo periodo - ricordiamo ancora che il 1980 era stato decretato dal governo francese anno del Patrimonio -, il pa- trimonio si è imposto come categoria dominante, inglobante, se non divorante, in ogni caso evidente, della vita culturale e delle po- litiche pubbliche. Si è rapidamente censito tutto un genere di «nuo- vi patrimoni culturali» e sono stati declinati «nuovi usi» del patri-

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un record da battere alla riapertura successiva. Più lunghe sono le fi- de Gaulle - altri tempi, altri costumi! -, ma del patrimonio cultura- le di attesa, migliori saranno le cifre! Solo l'anno 2001 ha fatto ec- le, con le sue esigenze di conservazione, riabilitazione e commemo- cezione, poiché le Giornate del patrimonio culturale hanno dovuto es- razione. Sempre in quegli stessi anni è apparso in Francia l'eco-mu- sere annullate all'ultimo momento in seguito agli attentati dell' l l set- seo o museo della società, come crogiolo o laboratorio dove si fab- tembre. Le Giornate del patrimonio sono sciamate un po' dappertutto bricava un nuovo patrimonio culturale, all'incrocio tra cultura, società nel mondo, e si parla oggi - segnatamente attraverso le iniziative e le convenzioni dell'Unesco - di universalizzazione del patrimonio, mentre ogni anno si allunga la lista dei siti del patrimonio universa- le dell'umanità. Consultabile sul sito Web del Centro del Patrimonio Storia di una nozione mondiale, essa ne censiva 730 alla fine del 2002. Un'EcoZe nationa- le du Patrimoine, incaricata di formare i futuri conservatori, funzio- na a Parigi dal 1991. Esiste pure, dal 1996, una Fondation du Patri- moine. Ispirata, nelle sue aspettative almeno, al National Trust bri- tannico, si è mostrata in verità assai modesta. Infine, dal 1984 la di- rezione del Patrimoine organizza gli Entretiens du Patrimoine. Si di- batte su tutto ciò che riguarda il patrimonio culturale, ivi compresi ul- timamente i suoi «abusi» (cfr. Debray 1998a e Id. 1998b; ancor pri- ma Todorov 1995).

Les Lieux de mémoire esitano nella diagnosi di una epatrimonia- lizzazione~ della storia di Francia, se non della Francia medesima, nel- la misura in cui il rovesciamento di un regime di memoria in un altro

In questa nuova configurazione, imonio culturale si trova legato al territorio e alla memoria, C rano l'uno e l'altra come

allora come un invito al- emoria, con la sua recen- Secondo un'indagine del Ministero della Cultura s d '

clusione delì'anno del Patrimonio nel 1979 ii patrimonio evoc i beni materiali, re- lativi alla proprietà privata. Dopo ii 1980 più di un terzo de

ome ai tempi del generale intende come «ric-

chezza nazionale, culturale, artistica e altro» Cfr Glevarec

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Questa evidenza del patrimonio, recentemente acquisita e mol- to massiva, non potrebbe tuttavia occultare il fatto che la nozione ha una storia: essa non ha avuto corso né in tutti i luoghi né in tut- ti tempi né alla stessa maniera. Cosi, che cosa ne è stato fuori d'Eu- ropa e, più recentemente, nei vecchi paesi colonizzati? Ponendosi in una prospettiva comparatista, una tale indagine dovrebbe occuparsi di inventariare le condizioni del suo emergere, prima di seguire il percorso della sua diffusione e le modalità della sua ricezione. Nel- la tradizione europea, i1 patrimonio è un miscuglio e il prodotto di una lunga storia. Dagli studi degli esperti che ne hanno rintraccia- to la nascita, risulta in effetti che è stata necessaria la convergenza di numerose condizioni: la pratica della collezione, la preoccupazione per la conservazione e il restauro, la progressiva costituzione della categoria di monumento storico (Babelon - Chastel 1980: 5-32; Guillaume 1980).3 Sono queste altrettante condizioni di possibilità,

' necessarie ma non sufficienti, poiché c'è bisogno di qualche cosa di più: una maniera di essere che colleghi tra loro e dia un senso a que- ste pratiche, una certa modalità di relazione con il mondo e con il tempo, una coscienza, più spesso inquieta] che qualche cosa (oggetto, monumento, sito, paesaggio) sia scomparsa o stia giusto scomparendo dall'orizzonte. E dunque necessaria una crisi del tempo. Se si ri- prende la classificazione proposta da Krzysztof Pomian, gli oggetti del patrimonio sono usemiofori»: «oggetti visibili investiti di si- gnificazione» (Pomian 1999: 215 e, sopratutto Pomian 1978). E un'evidenza che patrimonio e temporalità sono indissolubilmente le- gati, poiché il patrimonio è la riunione dei semiofori che una società si dà! in un momento dato (e per un momento). Essi traducono dun- que il tipo di rapporto che una società decide d'intrattenere con il tempo. I1 patrimonio rende visibile, esprime, un certo ordine del tempio in cui conta la dimensione del passato, ma si tratta di un pas- sato ,da cui il presente non può o non vuole distaccarsi completa- mente, che si tratti di celebrarlo, imitarlo, scongiurarlo, trarne prestigio o, semplicemente, di poterlo: visitare. Considerando il passato, la preoccupazione patrimoniale sarebbe soltanto o anche principalmente passatista? No, giacché si tratta del passato - di un certo passato - di cui al presente importaiuna forma di visibilità (Da- vallqn 2000: 7-16).

E sufficiente allora? Sì, se si vuole semplicemente indicare che ogni essere o gruppo umano si applica ad alcuni oggetti, per miserabili che

o le pubblicazioni si sono moltiplicate. Chastel 1986: 405-450,

2; C , Recht 1998; ultimamente, Leniaud a anche Leniaud 1992)

siano, che ha trovato, ricevuto o sottoposto a bricohge. No, se si vuo- le tentare di cogliere la specificità e il posto che la nozione di patri- monio ha finalmente assunto in Europa. Oltre alle condizioni di pos- sibilità già ricordate, oltre a un certo rapporto con il mondo e con il tempo, essa ha bisogno di una particolare valorizzazione della traccia in quanto tale. Ciò ricondurrebbe sino a quell'evento fondatore che è diventata la vita di Gesù, cioè il passaggio di Cristo sulla terra. Le ca- tegorie della presenza e della assenza, del visibile e dell'invisibile si so- no trovate marcate in modo decisivo. L'imperatore Costantino, come si sa, fece erigere a Genisalemme la basilica del Santo Sepolcro attorno alla tomba vuota, sul luogo stesso della traccia del passaggio, che sarà ormai riconosciuta come l'epicentro della fede cristiana. Abbiamo già rilevato sino a che punto l'ordine del tempo si era trovato tra- sformato da questa storia, preso tra il già e il non ancora; poi, come il peso del già - del compiuto, del passato, della tradizione - si era ac- cresciuto, a mano a mano che la Chiesa diventava quell'istituzione ve- nuta ad abitare nel grande corpo dell'Impero r ~ m a n o . ~

In modo ancora più concreto, il rapporto è passato attraverso gli oggetti che testimoniavano la vita e la Passione del Cristo. L'im- peratrice Elena, madre di Costantino, scoprì sul Golgota la vera croce. Ci furono anche la corona di spine, la pietra tombale, le san- te fasce del Cristo, che giunsero infine a Costantinopoli, la nuova capitale dell'Impero. Le reliquie vetero-testamentarie, come la «verga di Mosè», avevano ugualmente un posto preciso nel ceri- moniale delle grandi feste del calendario religioso. Nuovo Mosè, l'imperatore era l'erede dei re d'Israele ma s'inchinava anche da- vanti alla «croce di Costantino». Studiando in tutte le loro parti- colarità queste processioni, con i loro «luoghi di memoria», Gilbert Dagron ha disegnato i contorni di questa regalità sacerdotale (Dagron 1995: 106-109).

San Luigi seppe riprenderne certi elementi per conto della mo- narchia francese: in particolare nel 1239 la corona di spine, che fece porre nel tesoro della Sainte-Chapelle (Leniaud 2002: 42).5 Queste in- segne di legittimazione di un potere di diritto divino erano state in- nanzitutto i segni per mezzo dei quali si riconosceva la nuova «nazione» di cristiani. S'instaurò così la regola secondo la quale un altare che ser- viva per il culto doveva essere consacrato e, spesso, autenticato da una reliquia. Poi, si sviluppò lungo tutto il Medioevo il culto delle reliquie dei martiri e dei santi. Si andava a vederle, a toccarle, a raccogliersi da-

Si veda szlpra, cap. 2, pp. 76-77. l I1 sovrano capetingio si reputa «erede della corona di Cristo». z

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vanti ad esse. Tesori spirituali e in pari tempo fonti di ricchezze ma- giapponese che visita Parigi sarà (più esattamente lo sarebbe stato un teriali, questi semiofori furono la posta in gioco di furti, di traffici e ge- tempo) colpito Per lo sforzo dispiegato per conservare gli oggetti e i mo- nerarono molteplici donazioni così come pellegrinaggi. Le reliquie numenti storici contro l'usura del tempo (Ogino 1995: 57-63). La po-

appartenevano in pari tempo all'al di qua e all'aldilà: nel gior- Etica culturale giapponese, effettivamente, non aveva come preoccu- no del Giudizio, i santi non mancheranno di rec1amarle ( G e w 1993). pau'one primaria né la visibilità d e a oggetti né manutenzione & que- Tracce del passato che testimoniano della santità dei loro proprietari, sta visibilità. Essa risiedeva su un'altra logica che era piuttosto proprio erano ugualmente dei segni pienamente al presente. Inserite nei rituali quella dell'attualizzazione, deua Chiesa, erano incessantemente riattu&zate e le loro capacità &.n- Questo Permette di capire megho la denominazione di «tesoro tercessione ne faceva «oggetti» sempre contemporanei, imagines agen- nazionale vivo», specificata nella legge del 1950. Essa viene Infatti con- t e ~ 0 <«luoghi di memoria», particolarmente efficaci. ferita a un artista, o a un artigiano non come persona, ma soltanto in

quanto <&tentore di un importante patrimonio culturale intangibile)>, 11 titolo, di cui può beneficiare un individuo o un gnippo, fa obbligo al- l'eletto di trasmettere il suo sapere. Per fare questo, beneficia & un'indennità. Da questa disposizione originale risulta nettamente che roggetto 0 la sua conservazione conta meno che I ' a e z a z i o n e di un'a- batà, che si trasmette appunto attualizzandou. Come il tempio di legno, l'arte tdizionde esiste per quanto è al/nel presente. Ne deriva che le nozioni di o d e , copia, autenticità, così centrali nella costimione del patrimonio in Occidente, in Giappone non hanno corso o non sono, in ogni caso, cariche degli stessi valori. I1 passato sicuramente contava, ma y ~ r h e del tempo operava diversamente che in Europa. Da un tempo che non era lineare derivavano un'dtra ~ ~ n f i g u r a i ~ ~ ~ della permanema e un altro rapporto con la traccia. Si tratta di un abbozzo troppo rapi- do, un semplice schizzo di sguardo da lontano, ma sufficiente a diso- rientare l'evidenza del concetto europeo di patrimonio. Possiamo ri- tOrnare ora su alcuni momenti della sua lunga storia, cominciando con un tempo di prima, quando il tempo non era né attore né processo e regnava il modello della historia magis~a.

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no monumenti, statue, quadri. Proprio come sono sempre le piramidi d'Egitto, dice, ma si dimentica il Tesoro del re stiti e coflezionisti famosi, come gli Attalidi a Pergamo ? Mnyas o le mura di Tirinto, che non sono tuttavia meno meravigliosi Attico, senza &menticare il losco Verre a Roma (Chevaer 1991). E (Pausania, 9,36,5). Pausania, che fa in realtà la memoria dei luoghi, esistita anche tutta una legislazione imperiale sulla protezione dei ceri- sembra sulle tracce & un'identità greca da lungo tempo dimenticata, tri urbani. s i potrebbe evocare infine k biblioteca Alessandria, an- perduta. Egli però sta piuttosto costituendola con i] movimento che se il suo intento era più enciclopedico che patrimoniale: Tacco- stesso del suo itinerario, con cui intende «spingersi oltre nella con-

tutti i libri greci e barbari in vista della produzione di sapere 'inuauone del suo racconto, percorrendo s S m q n t e tutte le cose gre- sul sapere, di sapere meglio e di più (Jacob 1996: 47-56). Ciò che che>> (1,26,4) (cfr. Hartog 1996a: 151-158). E il suo modo di ri- manca però è la categoria di monumento storico, che Presuppone una prendere il programma iniziale di Erodoto, in un tempo in cui non si presa di distanza. Arriva un momento in cui un monumento può es- compiono più q 0 (fatti elevati) che meritano essere preservati da]- sere considerato come altra cosa rispetto a quel che era o è stato per l'oblio, ma in cui sussistono soltanto rovine (precisamente) di altri molto tempo: ridiventa visibile altrimenti, precisamente come se- tempi. Roma regna già da più di tre secoli. rnioforo portatore di «valori artistici e storici». Non bisognerebbe tuttavia immaginarlo, in alcun modo, come un

11 Rinascimento è associato a tale rnohento: «Si può far nascere il lontano predecessore di Prosper Mérimée, sotto l'aspetto ispettore monumento storico a Roma verso l'anno 1420».8 Occorre dunque un dei Monumenti storici in rnissione.1° Per lui, Greco originario del- cambiamento nerordine del tempo, marcato da un doppio movimento l'Asia, non si tratta affatto, nel corso dei suoi dieci libri che iniziano che stesso tempo scava e colma una distanza tra 3 Presente e il Pas- ad Atene e terminano a Delfi, d'inventariare o classificare, meno an- sato.l Questo passato è passato ed è qui, come risorsa o modello. *n ta- cara d'invitare a salvaguardare. Da molto tempo l'Orcomeno del re le rapporto con 4 tempo non ha avuto corso nell'htichità. Forse è ciò & ~ a s e la città di Tirinto sono rovine rovinate e, a dire il vero, seri-

che ha fatto a Roland Moaier, autore di uno studio pioniefsuco za la CO~Oscenza e le parole del viaggiatore, esse non sarebbero che sulla poetica delle rovine, che «la rovina - curiosamente inesistente Per quello che sono: qualche lembo di mura crollate. Spesso sceglie de- i Greci - non interessa i Latini che come kKM&le mat :de dd Destino: scrivere come Se fosse ancora in piedi ciò che il visitatore già da rnol-

t0 tempo non può più vedere in buono stato. E, per di più, non si ri- tiene tenuto a descrivere Ntto ciò che un viaggiatore poaebbe vedere, poiché ignora deliberatamente gli edifici posteriori al 150 a. C-: pe- riodo ellenistico quasi non esiste. Tanto che, ne& sua opera, ci sono, tutto sommato, più cose conosciute (dalle fonti scritte e ora&) che co- se effettivamente viste. Quanto a restaurare o a raccomandare il re- stauro dei templi della Grecia, molto semplicemente non se ne par- la mai.'' Il suo libro deve bastare.

A questo punto rivolgiamoci a colui che è diventato, intorno al 1980, uno dei numi tutekri delle riflessioni sui monumenti e sul pa- trimonio: Alois Riegl. Egli aveva proposto, nel 1903, una classifica- zione dei monumenti in funzione di ciò che chiamava il loro <<valo- re di rimemorazione». Come presidente della commissione dei numenti storici a Vienna, era stato incaricato &concepire una nuo- va legge sulla conservazione dei monumenti. I1 suo punto di partenza

'O Guizot crea la carica d'ispettore dei Monumenti storici, prima affidata a ~ ~ d ~ ~ i ~ vi- e che Prosper Mérhée occupa dal 1834. L'ispettore è colui che i monumen- ti come «storici». " Su Pausania si veda Akock et ahi 2001.

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Ancora, Vespasiano, riferisce Svetonh, intraprese la restjtutio del Campidoglio, devastato da un incendio: lo restaura dunque, ma fe- ce in pari tempo <<restituire>> tremila tavolette di bronzo (degli ar- chivi), che si erano fuse nello stesso incendio (Svetonio, Vita di Ve- ~Pasiano, 8). Come restaurarle se sono scomparse? Evidentemente, . ~ r ~ e n d o s i di copie depositate in un altro luogo. così, stavolta la re- sfitutio non significava un «restauro», ma proprio un ri-facimento, una nuova fabbricazione in realtà a partire da un doppio deposita- to altrove. Restaurare, restituire, ricostruire, rifare di nuovo, tale è l'ambito del rifacimento o della restitutio. Nel Rinascimento gli umarhti si richiameranno a una restitutio di Roma e della sua gloria, giocando su tutti i sensi del termine.

Restaurare un monumento era dunque restituirlo come monu- mento <(intenzionale». Un potere riafferma l'inte-ne &e aveva pre- sieduto alla sua edificazione, facendosene c a r i ~ ~ . Vi iscrive la propria legittimità e rende così manifesto, in particolare, un ritorno deu'ordine che, nel caso di Roma, riafferma solennemente l'eternità del17uybs e la validità del contratto che la lega ai suoi dei. 11 restauro, in questo senso, fa parte del destino del monumento intenzionale. Con ~ ~ ~ ~ ~ t ~ , si 6 spiegata logica del novus ordo saecuZorum e della rifondazione, lui che 6, in tutti i campi - ivi compreso il paesaggio urbano -, il re- stitutor (restauratore) della tradizione (Moatti 1997b: 150-15 1).

C ~ m e il tempo degli Antichi era «inerzia e non evoluzione creatrice* - Per citare Paul Veyne che sta facendo l'occhiolino a Bergson (Veyne 1976: 643) -, costruire voleva dire costruire per l'oggi7 ma dopo tutto Per sempre. Oggi (il nostro) invece si tende a costruire Per l'oggi e per esso soltanto. Gli edifici sono poco du- revoli. Lo si sa, anche se si finge di esserne sorpresi. Fra trenta an- ni, nota uno storico dell'architettura, «essi non esisteranno più [. . .I Non ci si potrà rm-nmeno permettere di mantenerli in buono stato, perché bisogna ricostruirli in permanenza* (Loyer 1998: 187). In modo identico 0, come si dice talvolta, facendo loro «cambiar pelle*? Una maniera d'innovare consiste nel gioqare sul paradosso della durata e dell'effimero, trasformando un mohumento in even- to, COme ha spesso fatto Christo, con i suoi imballaggi. Sottratto al- la sua visibilità ordinaria e alla monotonia del tempo storico, il mo- numento «imballato» riacquista una visibilità e una brillante at- tualità, ma per poco tempo.

Quanto alla preoccupazione di preservare l'aspetto degli edifici e delle città, si può coglierla, datarla, per esempio? Certo, si conosce un senato-consulto imperiale del I secolo, che mira a proteggere i centri urbani, ma il SUO obiettivo, secondo gli specialisti, era prima di tutto

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impedire o controhe la spec~lazione.'~ Yan Thomas ha dedicato, dal punto di vista giuridico, un notevole studio agli arredi urbani in cui Un notevole esempio, ancora a Roma, è la colonna Traiana.

mostra che ~omzatus (i marmi, le colonne) era considerato in massa, co- C ~ m e era percepita dai Romani? Si conosce un editto del 1162 che prevede la sua protezione con questa motivazione: <<Noi vo- me se formasse un'unità non con tale o tal'altro monumento ma con gliamo che essa resti intatta sin quando durerà il mondo». Se R ~ - la Città, e che a questo titolo dipendeva dal potere del principe ma non è più sicura della sua eternità, vorrebbe comunque dura-

(Thomas 2001: 263-283). Così si trova, dal 1 al IV secolo, tutta una re tanto quanto il mondo! Chiaramente, la colonna non può essere legislazione attenta all'aspetto, alla forma, all'apparenza degli edifici più assunta come monumento intenzionale di una Roma trion- e, attraverso essi, allo spettacolo delle città che sono minacciate da fante, ma essa è identificata con qualcos'altro: un emblema di R ~ - smantellamenti, demolizioni e rovine ma, cosa per noi importante, ma e un simbolo patriottico. In questo senso, essa è Roma al pre- «queste degradazi0n.i erano combattute, più che per la loro bruttez- sente, senza che si scavi ancora la distanza che consente di guar- za, a causa dei segni dell'incuria del potere, dei disastri delle guerre darla come monumento storico. Questi pochi esempi sono suffi- civili e dell'impotenza ad assicurare l'eternità del tempo che esse of- cienti a indicare uno stato composito, intermedio, fatto di bri- frivano alla vista: le negligenze o le violenze commesse nei confron- colage diiersi. Se il monumento intenzionale semplicemente non ti degli edifici assicuravano il trionfo di una vetustà (uetustas) dir&- si usa più, il monumento storico sicuramente non è ancora una ca- tamente contraria &'eternità di Roma, dell'Italia, dell'Impero» tegoria disponibile. (nomas 2001: 275). In linea di principio, «utilizzare delle spolia, ri- dare vita ai marmi era un attributo della maestà del principe».

così, <<gli imperatori d'oriente conserveranno per qualche tem- po ancora la giurisdizione sui marmi di Roma, pure se governata dal suo vescovo». Poi, da centrifugo, il moviqento si fece centripeto: non sono più le spoglie a convergere verso Roma, per agglomerarvisi «in una corporale» ma, viceversa, tutto ciò che, <<strappato da essa, va a costituire la sostanza romanaidel mondo cristiano» (ibid.: 283): Con l'assenso del Papa, Carlo Magpo fece trasportare ad Aix- la-Chapeue i mosaici e gli ornamenti dei ,palazzi imperiali di Raven-

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Roma

Ritorniamo, ancora una volta, a Roma e passiamo, grazie a Ci- cerone che rievoca il sapiente Varrone, innanzitutto dall'Urbs della fi- ne della Repubblica romana a quella del Quattrocento, prima di vi- sitare rapidamente quella che Winckelmann per lungo tempo ha desiderato conoscere.

Cicerone ha tracciato un indimenticabile ritratto di Varrone, il santo patrono degli antiquari, autore di un'opera immensa, in gran parte scomparsa, tra cui i quarantatre volumi delle sue Antiquitates: «Erriamo nella nostra città come stranieri, scrive, visitatori di pas- saggio; i tuoi libri ci hanno, in qualche modo, fatto penetrare nella ca- sa, grazie a essi abbiamo conosciuto chi eravamo e dove vivevamo. Tu ci hai rivelato l'età della nostra patria, i periodi successivi del suo svi- luppo, le regole applicabili alle cerimonie religiose e ai sacerdozi, le istituzigni civili e militari, che si trattasse d'insediamenti umani, del- la loro ubicazione nella città, della loro situazione nella città, di tut- ti gli elementi di cui si compongono la vita umana e il culto degli dei, sei tu che ci hai informati (apemisti) sui ter+ni impiegati, le funzioni assegnate, i motivi invocati» (Cicerone, Academica, 1,3,9; cfr. Moat- ti 1991 : 121 sgg.). L'antiquario riveste il ruolo di chi fa aprire gli oc- chi: fa vedere ciò che non si vedeva, comprendere i gesti che si com- pivanoie le parole che si pronunciavano senza veramente sapere. Se scruta il passato e «richiama al ricordo» (commemorat), apporta tut- tavia delle conoscenze utili per agire nella Roma di oggi. Mentre la Repubblica è in crisi e la sua aeternitas è minacciata, non si tratta per nulla di proporre un percorso nostalgico in una Roma di altri tempi, dimen@cata o scomparsa. L'urgenza è un piesente immemore perché in crisi'.

Nella Roma del Rinascimento in che modo si sono articolati il pas- sato e il presente, proprio mentre si configurava questo nuovo valo- re di rimemorazione dei monumenti e dei siti, da cui Riegl è partito per stabilire la sua classificazione? Quale sarà lo statuto di tutti que- sti monumenti in rovina, ma anche di t esti testi che si leggo- no e cfpe si pubblicano con passione ( 69) E questo il mo- mento l del completo trionfo della bis tra attraverso la riat- tivaziobe dei modelli antichi? Se sì, e una visione e un uso passatista dell'historia magistra ?

~dminciamo, nella primavera Petrarca. Mentre que- sti ha $ià riferito con emozione la s aperta di Roma (più grande di quanto pensasse), scrive ondente, il Cbmli- cano Giovanni Colonna, una lung i1 Pretesto di ricor-

dargli le loro passeggiate nella città, gli offre una lunga descrizione della Roma antica, inserita in una meditazione sulla saggezza pagana e sulla saggezza cristiana. I1 percorso inizia con il palazzo di Evandm, prima di attraversare tutto il seguito della storia sino alla grotta in cui Costantino si presume sia stato guarito dalla lebbra, senza dimenti- care il luogo dove Pietro fu crocifisso e Paolo decapitato. Si ha qui tutta la materia di un De vini illust~bus e delle gesta della Chiesa pri- mitiva (Mortier 1974: 30).

Proprio come Varrone, Petrarca vorrebbe dunque fare vedere ciò che era la loro città ai Romani che non sapevano più vederla. Ma ec- co, la lettera è stata redatta non sul posto, ma dopo, e nel suo studio (anche se è datata «in viaggio>>). La rievocazione, soprattutto lette- raria, si fonda «in particolare sui testi di Tito Livio, Floro, Svetonio, degli scrittori della Stoea Augusta e di Plinio il Vecchio» (Petrarca, Lettere familiari, IV-v1i).l5 Questa passeggiata storica è prima di tut- to testuale. Dal punto di vista dell'esperienza del tempo, Petrarca, ne1 corso della lettera, pone una distinzione tra due tempi, diventata fa- mosa: «Noi parliamo molto di storia (historiis), dice [. . .] tu sembra- vi più versato nella storia nuova (in novis), io nell'antica (in antiquk)n. E aggiunge: u Sono detti antichi tutti quei fatti accaduti prima che il nome di Cristo fosse conosciuto e venerato dagli imperatori romani, nuovi quelli che hanno avuto luogo a partire da questa epoca sino al- la nostra (ibid. 6,2) [ed. fran. p. 2521. Cominciata con Costantino, la storia "nuova" dura dunque ancora ».

Per di più, questa lista di nomi famosi, nomi propri e nomi di luo- go non esita in alcuna meditazione sulle rovine, ma al contrario, in una morale ad uso diretto del presente. Petrarca insiste infatti nei confronti del suo corrispondente sull'ignoranza dei Romani di oggi: #Non deploro soltanto 1'ignoranza>>.l6 Appare qui una prima for- mulazione del grande tema, abbondantemente declinato in seguito dall'umanesimo, la renouatio (restaurazione) di Roma. Conoscerla sa- rebbe già ristabilirla, restaurarla presto nel suo imperium e battere in breccia la falsa dottrina della panslitio, del trasferimento dell'Impero, poi degli Studi fuori d'Italia. E l'awio di quegli scambi tra la filologia e la realtà, tra le parole e le cose: ritrovare la purezza del latino sarà (come) ristabilire Roma.

l5 Trad. par A. Longpré, Paris, Les Belies Lettres 2002: 473. l6 16id.: p. 250. La descrizione, invitando alla passeggiata, cioè alla lettura, ma an-

che aiia riforma di sé, è pure inquadrata da riflessioni filosofiche e religiose, in cui il Cri- sto appare come «cittadeiia deiia verità*. Non si potrebbe evidenfemente lasciare questa cittadeiia.

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Come editore di testi Lorenzo Valla si farà, Un secolo più 11 trattato, però, non si ferma qui: non è solo una descrizione. ]Più tardi, campione dell'assimilazione tra il latino e Roma. Per lui la precisamente, la passeggiata acquista senso in rapporto al tema ceri- lingua è il reale stesso: «Se Roma come Impero è scomparsa, Ro- trale dell'irmstanza della fortuna. Le rovine emergenti nella loro gran-

dezza e nella loro miseria testimoniano proprio l'ingiustida della far- tuna. Esse sono dunque qui sia per ciò che sono (monumenti che ci si impegna a identificare il più precisamente possibile) sia come grandiosa ihstrazione di un tema che, ed è qui l'ultimo punto, vale solo Per il passato. Non ci si colloca nella deplorazione.

11 dialogo si conclude in effetti su un rovesciamento accurata- mente condotto. Le macchinazioni contemporanee della fortuna non sono inferiori né per importanza né per risonanza a quelle del passato. Ciò che è mancato e manca ancora sono gli scrittori capaci di farne l'eco, ma d'ora in poi la situazione potrebbe cambiare: <Non sono uomo - precisa con forza Poggio - da dimenticare il pre- sente Per il ricordo del passato, attaccato all'antichità, attento inte- ramente solo ad essa al punto da misconoscere gli uomini del nostro tempo e di giudicare che niente è stato fatto che fosse di comparabile alle epoche anteriori 0 potesse permettere al talento dello storico di brillare» (Poggio, De vagatate fortune, 14, 20-25).l7 Se da una de- scrizione di Roma d'altra, da un secolo all'altro, si mostrano delle nette differenze, resta ugualmente forte, in compenso la preoccupa- zione per il presente.

ggio è salutata ancora la nascita di una ar- ual è, tuttavia, lo sta-

ovine è seguita da una da numerosi autori an- suo amico Antonio Lo-

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viene letto come una lezione di costruzione, poi come un'introduzione al problema della bellezza [. . .] da cui gli architetti del Quattrocento potranno arrivare a formarsi sull'esempio delle sue vestigia)) (Choay 1992: 41).

L'emergere di un «valore artistico e storico» dei monumenti di- venterà allora veramente manifesto solo con i brevi pontifici che sta- biliscono misure di protezione? Quando, nel 1534, Paolo I11 pren- de le prime misure? Yan Thomas ha mostrato però sino a che punto l'ornatus era stato una volta affare degli imperatori. I papi ri- prendono, pure in ciò, la fiaccola. Per di più, affermare una preoc- cupazione per la conservazione non è evidentemente bastato a impedire le spoliazioni e neppure il reimpiego dei materiali: la moltiplicazione dei brevi pontifici ne è d'altronde l'indice. Le an- tichità sono, in tutti i sensi del termine, una risorsa di Roma, che vive di esse e su esse. Cosi, papa Nicola V, che pur si è voluto restauratore della Città antica, non ha esitato a utilizzare il Foro, il Collosseo, il Circo Massimo come cave,di travertino. Parimenti, Pio Il pubblica una bolla contro queste pratiche mentre faceva pre- levare da Vqa Adriana i materiali da costxuzione necessari per i pro- pri palazzi. E significativo che il responsabile delle antichità al Va- ticano abbia portato il titolo, accordato !da una bolla del 1573, di «commissario ai tesori e alle altre antichità e alle miniere)). Met- tendo sullo stesso piano tesori, antichità e miniere, «l'ammini- strazione pontificia svela [. . .] che l'ufficio, delle antichità è uno stru- mento di potere» (Schnapp 1993: 125). '

La cura per la protezione coincide anche con il momento del- la fondazione dei primi musei. Intorno al 1470, papa Sisto IV of- fre «+l popolo romano» una collezione CQ bronzi antichi perché sia- no esposti al Campidoglio. Poco dopo, suo nipote Giulio I1 crea un museo rivale, ma al Vaticano: la collezione del Belvedere (Haskell- Penny 1988: 23). Un secolo più tardi sarà la volta della Galleria de- gli Uffizi di Firenze, ove coesistono opere antiche e moderne ( ~ o G i a n 1990: 186). La loro giustappbsizione è evidentemente un'indicazione significativa. Se il passato non è separato dal pre- sentel, il museo dal canto suo instaura un nuovo regime di visibilità degli/ oggetti. l

Nel 15 15, Leone X affida a Raffaello !'incarico di stilare un pian- ta cobpleta di Roma. Riprendendo, sulle! orme di Poggio, il tema di Roma cadavere, Raffaello si presenta cohe «chi vede con immenso dolore per cosi dire il cadavere di questa dobile patria che fu la regina del mondo, cosi miserevolmente lacerato>%. Incaricato delle Antichità romane, traccia tuttavia una chiara distirdione tra gli edifici «antichi,

molto antichi, che sono durati sino al momento della rovina di Ro- ma», e quelli elevati in seguito sotto l'azione «dei Goti e degli altri barbari*: i primi sono da preservare, gli altri no. S'impone la per- cezione di una cesura: con un prima (valorizzato) e un dopo (senza va- lore). Conservare l'antico, però, non implica in alcun caso che si in- terdica d'intaccarlo. Si può conservare, raccogliendo le iscrizioni, ma niente impedisce di prelevare dal Colosseo, dalle Terme di Diocle- ziano i loro rivestimenti di travertino, proprio per costruire la nuo- va basilica di San Pietro, che d'altronde ricomincia dalla rovine dell'antica basilica di Costantino (Choay 1984: 13).

Montaigne, infine, può essere il nostro ultimo passeggiatore del Rinascimento. Soggiorna a Roma per qualche mese, tra il novembre del 1580 e l'aprile del 1581, e ne riparte con il titolo di «cittadino ro- mano». Gli Essais ricordano la forza del suo attaccamento alla Città e la sua familiarità di sempre con i Romani di una volta, lui che ha potuto scrivere: «Conoscevo e il Campidoglio e la sua posizione pri- ma di conoscere il Louvre, e il Tevere prima della Senna» (Montai- gne, Essais, 111, 9: 440).18 Così, vedere i luoghi stessi «che sappiamo essere frequentati e abitati da persone la cui memoria è onorata, ci commuove e in un certo modo di più che ascoltare il racconto delle loro gesta o leggere i loro scritti» (ibid.: 441). Montaigne sa essere sen- sibile alla memoria dei luoghi, ma stabilisce immediatamente un le- game con il presente. Sarebbe infatti ingratitudine disprezzare «le re- liquie e le immagini di tanti uomini onorati e sì valorosi», che danno «tanti buoni insegnamenti con i loro esempi». Attraverso il relé del- l'esempio da seguire, la «reliquia» acquista dunque senso nel e per il presente. In ciò ripete la lezione di Cicerone e fa proprio il modello della historia magistm.

I1 Journal de Voyage mostra, di fatto, un Montaigne turista in- saziabile, che diventa rapidamente più esperto della sua guida: «in pochi giorni avrebbe potuto agevolmente guidare la sua guida», no- ta il suo segretario ammirato. Della Città antica, diceva «che non si vedeva altro che il cielo sotto cui era un tempo adagiata, e il luogo dove sorgeva E...]; che quanti asserivano esserci di visibi- le almeno le rovine di Roma, dicevano troppo; le rovine d'un or- ganismo sì immane avrebbero infatti recato ben altro onore e ri- spetto per la sua memoria; ma altro non era se non il suo sepol- cro»." Isolata, questa frasc potrebbe far credere che Montaigne si disinteressi delle rovine. E tutto il contrario. Sepolcro, e non ro-

l8 Éd. Garnier. l9 Joumalde Voyage, Paris, PUF, 1992: 111.

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vine di Roma, perché il mondo, «nemico della sua lunga domina- che si compie la successione» (Dupront 2001: 5 1). I1 tempo cri-

zione*, si è incarnato su questo corpo e, dopo averlo fracassato, stiano, questo presente aperto dal Cristo e che si aprirà sull'eter-

«ne ha seppellito le rovine stesse». Ciò che si scorge ancora non è nità del Giudizio, rimane l'orizzonte. dunque niente in confronto a ciò che è seppellito. Vedere la Città come un sepolcro è in realtà una maniera di rendere omaggio alla Quando, quasi due secoli dopo Montaigne, nel 1755, Johann sua gandezza passata e una variante sul tema dell'ingiustizia del- Joachim Winckelmann da Dresda entrò per la prima volta a Roma,

la fortuna, già sviluppata precedentemente da Poggio. tutt'altre erano le sue disposizioni e ben diverso il suo sguardo.

Da Petrarca a Montaigne, le rovine di Roma acquisiscono dun- Non le rovine e il cadavere, ma le statue. Per colui che stava per que sempre più importanza, la loro grandezza resta ma esse sono an- riaprire ai tedeschi il cammino della Grecia, il nome di Roma si- che sempre più rovine. Petrarca le vedeva ancora attraverso Virgilio gnificava l'Antichità stessa, cioè il luogo ove giaceva la Bellezza.

e Tito Livio, Montaigne non scorge che un sepolcro. Da una parte, Per potersi avvicinare aveva abiurato il luteranesimo e si era esse si allontanano e si disincantano; esse richiedono sempre più la convertito al cattolicesimo. Per lui, fare il viaggio a Roma rap-

messa in opera di procedure erudite, come 17epigrafia, perché pos- presentava la promessa di una nuova nascita: una rinascita. Tren- sano parlare. Dall'altra, restano prese, a imitazione di tutto il pas- ta anni più tardi, Goethe tutto commosso scopre Roma e prova, sato antico, in un rapporto stretto con il presente. E qui che in- anche lui, la sensazione di rinascere. Arrivato il 29 ottobre 1786, terviene la forza dell'esempio. L'umanesimo si organizza in effetti scende all'albergo dell'orso, quello stesso in cui Montaigne ave- attorno al paradosso «di un fervore di speranza rivolto al passato», va alloggiato. I1 3 dicembre, si procura la nuova edizione italiana

per riprendere la formula stupefacente di Alphonse Dupront, o «di della Storia deZZ'Arte di Winckelmann e nota: «A questo luogo si

una visione di un mondo nuovo ricostruito su una parola antica», connette tutta la storia del mondo, e conto d'esser nato una se- per attingere questa volta da Francesco Rico (Rico 2002: 19). conda volta, una vera e propria rinascita, il giorno in cui sono ar-

L'audacia del Rinascimento «aveva bisogno di un esempio, e non poteva essere altro [...l che la realtà, letterariamente conosciuta di un mondo antico risplendente di gloria e bdstante a se stessa prima che nascesse il cristianesimo » (Dupront 2001 : 49). L'audacia con- sisteva nello scegliere questo passato. Dal qui «un ordine di ri- spetto», che era anche un ordine del tempo. I1 passato antico è pas- sato e il; suo esempio fa autorità. I

Si va dunque dal passato verso il presente, secondo lo schema

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«Noi non abbiamo, per così dire, che l'ombra dell'oggetto dei nostri desideri; ma la sua perdita accresce i nostri desideri, e contempliamo le copie con più attenzione di quanto avremmo fatto con gli originali se fossero stati in nostro possesso (Winckelmann 1789: 263, t. III)».23 Cosi ogni nascita, foss'anche una nuova nascita, è pure se- parazione e presa di coscienza di una distanza che niente ormai potrà venire a colmare. La rottura è riconosciuta e negata; più esat- tamente, da questa distanza può venir fuori un godimento estetico, ma anche il progetto di una storia dell'arte. I1 tempo è cambiato. Winckelmann è in questo nettamente più vicino a Chateaubriand che a Poggio.

La Rivoluzione francese

In questa breve rievocazione di Ro me luogo effettivo e sim- bolico dove l'Europa ha ampiamente forgiato la sua nozione di pa- trimonio (culturale), fermiamoci su un ultimo episodio, che riconduce al cuore di questo momento di profonda, crisi dell'ordine del tempo: la Rivoluzione francese. l

Nel luglio del 1796, apparivano le Lettres sur le déplacement des monuments de I'art de l'.ltulie, o Lettres d Mfrandu, dal nome del loro de- stinatario, il generale Miranda. I1 loro autore è Antoine Chrysosto- me Quatremère de Quincy, niente affatto sconosciuto all'epoca. Uscito da una famiglia della borghesia parigina, aveva lungamente sog- giornato in Italia (Schneider 1910). Di ritorno in Francia, si era get- tato nella redazione di un Dictionnaire d'architecture, Nel 179 1, l'Assemblea nazionale lo incaricava della ,direzione del cantiere per la trasformazione della chiesa di Sainte-Geneviève in tempio consacrato d a memoria dei grandi uomini. Nelle sue Considérations sur les arts du dess(n, trattato pubblicato parimenti nel, 1791, s'ispirava a Winckel- manin per celebrare la «giusta proporzione» raggiunta dai Greci, che avevano «la natura per modello* (Pommier 1991: 74). Deputato al- la Legislativa, dove siede a destra, è to, poi liberato dopo il 9 ter4idoro; è condannato per aver cato la rivolta armata» contro la Convenzione durante 1 i vendemmiaio anno IV. Cosi si nasconde a Parigi tra l'ott 795 e il luglio del 1796.

23 Si veda anche la descrizione del To Deploro i'irrimediabile altera- zione di questo Ercole, dopo esser giunto a [...l Ma i'aae ci mostra quan- to possiamo ancora conoscere da ciò che rest aie occhio l'artista deve consi- derare queste vestigia» (citato in Décultot

Nelle sue lettere, Quatremère attacca i sequestri (o le appro- priazioni) di opere d'arte praticate dalla «grande Nazione», con la mediazione del suo braccio secolare, l'armata d'Italia, che agiva die- tro istruzione del Direttorio. «Le arti e le scienze formano da molto tempo in Europa una repubblica», scrive, pertanto è come «membro di questa Repubblica*, il cui ideale è stato propagato dai Lumi, che interviene. Chi volesse appropriarsi di questi «beni co- muni» commetterebbe un crimine contro l'istruzione e la ragione e contro il miglioramento della specie umana (Quatremère de Quincy 1989a: 88, 89 e 105). La protesta è scagliata in nome della Re- pubblica delle lettere e invocando i Lumi, ma cita anche Cicerone che, a proposito del trasferimento delle opere d'arte greche, nota- va: «Queste cose [statue greche] perdono il loro valore a Roma*, per gustarle occorre «il riposo e la quiete della filosofia della Grecia» (cit. in Quatremère de Quincy 1989a: 116). Quatremère fa inoltre appello alla autorità di Winckelmann, di cui è un lettore e un ammiratore. Giacché Winckelmann è «il primo che abbia portato il vero spirito d'osservazione in questo studio [dell7Antichità1, il pri- mo che abbia badato ad analizzare il tempo e a;bbia scoperto un me- todo» (Quatremère de Quincy 1989a: 103). E allo storico dell'ar- te, scopritore di un «metodo» per «analizzare il tempo», che si ren- de omaggio. Ora, ovviamente, senza Roma gli fu impossibile con- cepire il suo progetto e sarà impossibile proseguirlo. Come ci si può aspettare, Quatremère loda Nicola V, il primo ad avere avuto «l'idea di ristabilire la Roma antica in tutti i suoi edifici». Qui sia- mo all'interpretazione della restitutio o della renouatio come unico restauro dei monumenti antichi per se stessi.

Le Lettres non si abbandonano tuttavia a una ulteriore deplo- razione dello scempio del cadavere di Roma. Tutt'altro: Qua- tremèo considera l'avvenire dell'arte e argomenta in vista del fu- turo. E, difatti, dal dissodamento del campo dell'Antichità, così co- me è attualmente condotto con ardore, e che lui segue da vicino, che domani le arti assumeranno in Europ& un «volto nuovo» (ibid. : 97). Ecco perché Roma è e deve restare il solo «domicilio» dell'Antichità. La dottrina dell'imitazione si trova chiaramente riaf- fermata. Che cosa è dunque l'antico a Roma se non un «gran li- bro», di cui il tempo ha distrutto e disperso le pagine? 0, secon- do un'altra immagine, la Città è, in se stessa, un vero «museo», «inamovibile nella sua totalità*. Più ancora, il paese stesso, con la sua luce e i suoi paesaggi, appartiene pure al museo. Fuori dal suo ambiente e dal suo contesto, «il popolo di statue» di cui Pirro Li- gorio, antiquario e architetto al servizio del cardinale d'Este, alla

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metà del xv secolo, si diceva lo storico,24 «morirebbe, per così di- Roma alle Antichità nazionali, dall'Antichità al Medioevo e «dall'i- re, una seconda volta». conoclastia al patrimonio culturale».26

tosi, per gli artisti sarà sempre necessario fare il viaggio a R ~ m a In termini di grandi categorie organizzatrici del pensiero e alfine di «imparare a vedere». I1 museo, come è stato concepito dal- zione, ciò dire che si passò molto rapidamente da un'intensa p. la Rivoluzione, in nome della ragione e in vista dell'educazione, non liticizzazione a una temporalizzazione sempre più attiva. I1 decreto del può perciò che essere fermamente ricusato: in nome della memoria dei 14 agosto 1792 ne è un buon rivelatore. I1 suo preambolo afferma che luoghi e di una certa concezione del patrimonio. Questa ostilità di non bisogna <(lasciare più a lungo sotto gli occhi del popolo francese, i principio al museo, d a stessa azione museale, Si focalbzerà Presto sul Kmxmenti elevati all'orgoglio, d pregiudizio, alla tirannia». I1 tema del- museo dei Monumenti francesi ma, nell'immediato, è di Roma e del- lo <<Sguardo ferito» è ripreso ancora attraverso gli emblemi del dispo- 171talia che si tratta. Contro coloro che vogliono smembrarla e rim- tismo, ma tutti gli articoli che seguono non raccomandano la sop- patriarla a Parigi, bisogna conservare l'unità di questo museo che è pressione o 1% distruzione di questi segni, alcuni fanno contradditto- Roma, e il paese nella sua interezza: «Roma è diventata per noi ciò mente valere la preoccupazione di preservare e di conservare. Nei che la Grecia era un tempo per Roma» (Quatremère de Qu inc~ mesi che seguono, in modo singolare attraverso gli intementi di Roland, 1989a: 116). Contro la dottrina, prodotta nello stesso momento a Pa- il ministro degli Interni, si formula un discorso sulla conservazione in rigi, dell'«ultimo domicilio» per i capolavori dell'arte dell'umanità, nome della gloria della Francia e della preoccupazione per l'educazio- Quatremère difende una concezione localizzata e radicata del patri- ne, 11 museo s'impone do ra come lo strumento stesso di questa poli- rnonio culturale: trasferire sarebbe mutilare. Ogni progetto di m~em- tica. per Roland, il Louvre ha la vocazione a diventare un «Monumento bramento «è un attentato contro la scienza, un crimine di lesa istru- nazionale» dove, come in Grecia, brilleranno le arti, zione pubblica» (ibid.: 105). La vera istruzione passa e deve passare In quei mesi di dibattiti vivaci e contraddittori emerge un nuovo per Roma. Ne va del progresso delle arti. Due secoli più tardi Ma- argomento che sta Per congiungere la rivoluzione stessa e il patri- rinetti «sbarazzare l'Italia dai musei innumerevoli che la rito- monio culturale, o meglio, sta per fare uscire il patrimonio naziona- pgono di innumerevoli cimiteri». 1 le dalla stessa rivoluzione. Le arti, le scienze, la filosofia sono infat-

ti Presentate come altrettanti creditori cui la rivoluzione deve resti- tuire quanto essi hanno fatto per preparare il suo awento. Essa ha un debito nei loro riguardi. I1 nuovo presente si riconosce indebitato. Giunge 1'1nstruction de I'an I1 (15 marzo 1794) sur h d'in- uentorier et de conserver, dans toute I'étendue de h Republique, togs les obieh qui Peuvent sewir aux arts, aux scimces et à fenseignement. Questo testo capitale fissa la dottrina e permette una articolazione dei due discorsi. Non si deve più essere «feriti» dalla vista di questi mo- numenti del passato per il fatto che ormai li si vede come apparte- nenti alla nazione. Queste testimonianze possono servire invece al- lYism.uione di tutti. <<Le lezioni del passato possono essere raccolte dal nostro secolo che potrà trasmetterle, con nuove pagine, d ricordo del- la posterità». L71nstmction precisa, in particolare, che i popoli liberi possono trovare nelle arti dell'Antichità dei «mode&». Cosl «questo genere di studi, che lega la Grecia e l'Italia repubblicane alla Francia rigenerata, è uno di quelli cui importa di più espandere il gusto e fa- vorire l'insegnamento» (Pomrnier 1991: 142, 143).

veda Schnapp 1993: traduttore di Wincke t. da Pommier 1988: 9. Ozouf 1989. 26 Per riprendere il titolo di un capitolo di Pommier 1991: 93-166.

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Esattamente nello stesso momento (13 febbraio 1794), Franqois La combinazione della dottrina della libertà, incarnata dalla Étienne Boissy d'Anglas porta a conoscenza della Convenzione un trat- nuova Francia, e della teoria del deposito, di cui essa è responsabile tato intitolato Quehues idées sur les arts, sur h nécessité de les encouragm, nei riguardi della posterità, trova la sua formulazione più straordinaria sur les institutions qui peuuent en assurer le pe8ectionnement et sur divers nell'affermazione dell'«ultimo domicilio», al quale abbiamo già fat- établissements néccessaires à I'enseignement (Pommier 199 1 : 153- 166). to allusione, in cui si mescolano mistica della nazione, mistica della In questo testo dedicato alle arti, è fatto posto al tempo e alla storia: libertà e sottigliezze per coprire un puro e semplice saccheggio. I ca- al futuro e al passato. I1 tempo, scrive, «può completare la grande ope- polavori del passato erano come in attesa che la Francia venisse a «li- ra di rigenerazione dello spirito umano». La rigenerazione non è berarli», accogliendoli infine nel suo territorio. Qui solamente po- istantanea come l'unzione del battesimo o la discesa dello Spirito San- tranno consegnare pienamente il messaggio di cui, sin dalla loro

concezione, erano portatori. «I capolavori delle repubbliche greche - di- chiarava l'abbate Grégoire - dovevano decorare i paesi degli schiavi?» (cit. in Leniaud 2002: 87). No, e il Louvre ove essi «dovevano suc- cedere ai tiranni» era pronto a riceverli. All'inizio è contro questa ma- niera estrema di intendere il museo e di concepire il patrimonio cul- turale che ha voluto lottare Quatremère de Quincy lanciando il suo pamphlet, anche se in fondo è ostile a ogni museo.

La festa del 9 termidoro 1798 rivela il risultato di questi raziocini. In questa occasione, Francois de Neufchiiteau, il ministro degli Interni di allora, pronuncia uno stupefacente discorso per celebrare l'entra- ta trionfale delle opere d'arte sequestrate in Italia da Bonaparte: «Cu- stodite religiosamente queste proprietà che hanno legato alla Re- pubblica i grandi uomini di tutti i secoli, questo deposito che vi è af- fidato per la stima dell'universo [. . .] i loro quadri sublimi furono il te-

re subito che si tratta erso. Si è lontani dall'

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Lenoir, a cominciare d d a raccolta dei beni nazionali nel convento dei Petits-Augustins. Tenuto un po' ai margini da Napoleone, che non gli ha perdonato le sue Lettres, Quatremère è colmato di onore dalla Re- staurazione, che lo nomina nel 1816 segretario perpetuo dell'A- cadémie des Beaux-Arts. Egli dispone allora di tutti i mezzi per agire. Parecchi testi hanno preparato l'offensiva, come le sue Considérations morales sur h destination des ouurages de l'art pubblicate nel 1815, do- ve denuncia quei depositi chiamati «conservatoires», in cui tutti gli og- getti che vi sono trasferiti hanno «perduto il loro effetto perdendo il loro motivo»: «Chi farà conoscere al nostro spirito, domanda, ciò che significano queste statue, i cui atteggiamenti non hanno oggetto, le cui espressioni non sono che smorfie, i cui accessori sono diventati enigmi? [. . .] Che mi dicono questi mausolei senza sepolture, questi cenotafi doppiamente vuoti, queste tombe che la morte non anima piÙl?» (Quatremère de Quincy 1989b: 48; cfr. Schneider 1910: 179-197; Fluckiger 2000).

E per essere, se ce ne fosse bisogno, ancora più preciso, poiché ogni parola già prende di mira Lenoir: «Spostare tutti i monumenti, raccoglierne così i frammenti scomposti, classificarne metodicamen- te i frantumi, e fare di una tale raccolta un I corso pratico di cronologia mdderna; è, per una ragione esistente, costituirsi in stato di nazione morta; è assistere da vivi ai suoi funer l ; è uccidere l'Arte per farne la storia; non è punto farne la storia, ma l'epitaffio~ (Quatremère de Quincy1989 b: 48). L'epitaffio di Lenoir e del suo museo è, in ogni caso, già pronto. l

i Allievo di David, Lenoir si è in effetti completamente identificato coh il destino del convento dei Petits-Augustins. All'inizio nomina- t o ~ nel 1791, «custode» del Deposito harigino dei monumenti delle arai, divenuti beni nazionali, Lenoir ottiene, nel 1794, il titolo di con- servatore di ciò che riuscì a far riconoscere dopo molteplici tribola- zioni, nel 1795, come museo dei Montmenti francesi (Poulot 1986: 497-531,II, 2; Poulot 1997: 285-3311. Tra queste date, Lenoir si è d a ~ o a un'intensa attività di lobbying, ma inoltre non ha smesso d'in- vehtariare, acquistare, salvare, restauTare, ricostituire e anche fab- bricare ogni sorta di oggetti, statue, ritratti, cenotafi, che riconoscono a Poco a poco un posto crescente a3, Medioevo (Pommier 1991: 371-379). Ora, proprio come Quatremère, Lenoir si richiama a Winckelmann, il cui busto accoglie il visitatore d'entrata del museo. Illsolo straniero presente è sicuramente qui a un duplice titolo: in- nanzitutto e ancora, come profeta di Atene e della libertà, ma anche, e 'forse soprattutto, come scopritore della storia dell'arte, nel con- tempo come l'uomo della civilizzazione e come quello della tempo-

ralizzazione, quello delle Considerazioni sull'imitazione e quello della Storia dell'arte.

Sotto i suoi auspici, Lenoir sta per riuscire a trasformare il suo «deposito» in museo, cioè in un percorso di storia, una storia che pur non essendo quella dell'arte, offrirà poco a poco alla vista, secondo le sue stesse parole, «una vera storia monumentale della monarchia francese* (Poulot 1986: 305, II,2), ciò che Quatremère denigrava co- me «corso pratico di cronologia moderna». Tuttavia, non è proprio visitando questo museo e «nessun altro» che Michelet racconterà di aver ricevuto «la viva impressione della storia»?: «Riempivo queste tombe con la mia immaginazione, sentivo quei morti attraverso i mar- mi, e non era senza alcun terrore che entravo sotto le basse volte ove dormivano Dagoberto, Chilperico e Fredegonda» (Michelet 197413: 67-68). Così, partito da Winckelmann e accompagnato da lui Lenoir incontra cammin facendo le Antichità nazionali e organizza il viaggio, come dice nella sua Awertenza, procedendo «successivamente di se- colo in secolo». L'ordine del tempo si mette in marcia attraverso i se- coli mentre il visitatore cammina verso la luce. L'antichità che ci ap- partiene storicamente in proprio, il nostro patrimonio non è in fin dei conti né la Grecia né Roma, ma il Medioevo. Nell'ammasso del suo deposito, questo uomo ampiamente autodidatta fantastica, fa bnco- hge, restaura, fabbrica un contesto e, per finire, produce la prima rap- presentazione visuale di una «storia nazionale» post-rivoluzionaria (Hartog 199513: 141).

Quatremère, nondimeno, non ha avuto requie nel cercare di chiudere questo primo museo storico, anche se questo era assai lon- tano, in verità, dal Louvre di Vivant Denon e non aveva niente a che vedere con la dottrina dell'«ultimo domicilio». Ci riesce per fi- nire nel 1816: dispersione delle collezioni, restituzione dei monu- menti alle chiese e alle famiglie, assegnazione delle costruzioni al- 1'Ecole des Beaux-Arts. Essere uscito dal vandalismo era un pecca- to non espiabile per il museo. Che dalla rottura siano finalmente scaturite una teoria dell'eredità e una filosofia1 del tempo, poco im- porta, anche se, accanto al museo dei Monumenti francesi, era pa- tente che tra il 1793 e il 1795 la Rivoluzione si era trovata spinta a creare parecchie istituzioni che si facevano carico o almeno te- nevano conto della dimensione della conservazione: il Muséum central des arts, l'antica Bibliothèque du roi, gli Archiues nationales, il Conseruatoire des arts et métiers. Creati per rispondere a bisogni precisi, queste istituzioni nazionali erano in eguale misura uno dei crogioli dove nuovi rapporti con il tempo, che collegavano passato e futuro, stavano formulandosi.

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La Rivoluzione è questo momento di appropriazione collettiva, in me possibili. Dal 1802, tuttavia, pubblicando il Genie du chbstiani- cui i suoi attori avvertono «l'orgoglio di vedere un patrimonio di fa- sme, Chateaubriand ottiene un immediato riconoscimento pubblico miglia diventare un patrimonio collettivo».27 Come C'$ stato trasfe- e anche politico. Quando era persino «una sorta di divertimento an- rimento di sovranità, così c'è stato,trasferimento di proprietà: nel no- dare a passeggiare tra quelle rovine» che chiese e monasteri erano &- me e sotto i1 nome della Nazione. E il primo tempo, propriamente Po- ventati, egli esorta i suoi lettori «a rivolgere con rimpianto lo sguar- litico e presentista, presto seguito da un altro che ~ ~ n d u c e a rito- do al passato»: tutto il passato (Chateaubriand 1978a: 459, 460). vor- nascere il tempo come attore. Un attore totale dell'operazione, in mo- rebbe convertire il divertimento (che è solo una versione soft dello do duplice: vi è un tempo lungo, quello che restituisce e cui bisogna sguardo ferito) in rimpianto. restituire, e il tempo immediato, quello dell'esperienza inedita del- Con le chiese gotiche, si perviene, infatti, a un passato lontano, l'accelerazione. L'antico ordine del tempo si infrange e, una volta Pas- addirittura molto lontano, giacché «le foreste dei Ga& sono passate» saio il momento della tabuh rasa, l'ordine moderno non sa ancora be- nelle loro architetture. Quando si passeggia a Versaaes, è di passa- ne come formularsi. t0 recente che si tratta: là dove «le pompe dell'età religiosa della Fran-

Come passare da sopprimere a conservare quando, all'evidenza cia si erano riunite. Un secolo è appena trascorso, e questi boschet- febbrile, ottusa o esaltata dell'imperativo principale, ne succede un ti, che risuonano del brusio delle feste, sono animati solo dalla voce altro, che chiede nondimeno di essere argomentato? In quale ma- della cicala e del17usignolo». I1 passato immediato sorge con niera? Facendo appello alle categorie dey'eredità e soprattutto con- cazione di Saint-Denis deserto: «l'uccello l'ha preso per passo, l'er- ferendo al tempo lo statuto di agente. E questo che dà, è a questo ba cresce sugli altari sgretolati, e al posto del cantico della morte che che bisogna rimettersi. Si trova così una maniera di collegare Pas- risuonava sotto le sue cupole, si odono solo le gocce di pioggia, che sato al presente, ma anche al futuro. Una fprma di bistona magistra cadono sul suo tetto scoperto, la caduta di qualche pietra che si di- può perFiò riprendere servizio, ma profondainente riorganizzata, poi- stacca dai suoi muri in rovina, o il suono del suo orologio, che sta gi-

essa apre suravvenire e non nega la rottura con il presente, an- rancio per le tombe vuote e per i sotterranei devastati» (&id.: 802, al contrario (è proprio perché la Francia è rigenerata che essa può 799, 939). In breve, tutto il passato dell'antica Francia, un passato re-

questo deposito di capolavori del passato). Una historia ma- ligioso, può essere l'oggetto della conversione. Le rovine si succedono gntra che si accorda con il regime moderno: sulla sua stessa linea, su- alle rovine che i passi del passeggiatore collegano le une alle altre, fi- yettibile di esprimerlo, articolandone altrimenti le categorie tem- no alle tombe vuote, che segnalano la morte della monarchia e porali. Quatremère rimane un classico, almeno per ciò che concerne del17«età religiosa». Nondimeno, a colui che sa lasci&ene penetrare, le arti: l il rapporto con il passato non è cambiato. Non c'è una vorrebbe di nuovo credere Chateaubriand, questo p breccia del tempo, né intermezzo, esco non ]può né deve averne. Per un avvenire, che dovrà essere religioso. colui è diventato, dal 1816, il segretario perpetuo del17Académie des B ~ ~ ~ ~ - A ~ ~ ~ , tutte le strade partono dall'Académie de Rame e la storia dell'arte deve fare il suo cammino, dbl passato, con le sue le- Verso I'uniuersalizzazione zioni, verso il presente.

11 XIX secolo è certamente un periodo essenziale forgiano e si mettono a punto gli strumenti e gli or-e politica del patrimonio; ma per queste stesse ragioni esso ha ampia- mente attirato l'attenzione dal momento in cui memoria e patrimo- nio hmno finito con l'occupare tanto posto nel nostro bazio pubblico e mlle nostre agende di ricerca. Così, per ritrovare il nostro punto di Partenza, la patrimonializzazione contemporanea e i rapporti con il tempo che la sottendono, possiamo procedere velocemente. Les lieux de mémoire hanno proceduto alle necessarie localizzazioni, as- segnando in particolare alla monarchia di Luglio rl posto che le

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spetta, con le sue istituzioni di storia, la sua preoccupazione per gli titre anni più tardi, 10 stesso ministero, con Jack Lang come titola-

inventari e la sua politica della memoria nazionale. A f ~ ~ n c o di re, riceve l'incarico di «preservare il patrimonio culturale, regiona-

Fran@ Guizot, principale organizzatore del movimento, sono sta- le 0 dei diversi gruppi sociali per il profitto comune deu'intera

ti giustamente riconosciuti i nomi di d'Arcisse de Caumont, Mérimée collettività>> (Leniaud 2002: 287, 298). I1 patrimonio è rnoltipli-

e poi VioUet-le-Duc. cato e decentralizzato: il 1980, anno del Patrimonio, è passato da

jj 1830 viene creato un servizio dei Monumenti storici di- qui. Da parte loro, i Tedeschi erano già inclini all'auargamento

pendente dal Ministero degli Interni. Per la classificazione e il re- della nozione di monumento, mentre gli Inglesi non avevano mari-

stauro, jj passato &D'antica Francia diviene affare dello Stato ceri- cato d'interrogarsi sull'apparizione di questa He&age ~ ~ d ~ ~ t ~

trale. Luigi-Fdippo decide di trasformare Versailles in un n~useo (Sauerlander 1993: 120-149; Hewison 1987).

storico, per la gloria di un passato nazionale: la Galerie des Batailles Nel corso di questi anni, la vague patrimoniale, in linea con

conduce di quadro in quadro fino al 1830. Dopo il 1840, Viollet-le- quella della memoria, si è ampliata sempre di più sino a tendere ver-

si lancia nei gandi restauri, da Vézelay a Carcassonne, passan- SO quel limite che sarà il upatrimonio totalen, Proprio come si an-

do per Notre-Dame de Paris e tanti altri. Proust o Rodin deplorano nunciano 0 si rivendicano memorie di tutto, così tutto sarà patrimonio

che egli abbia tosi «rovinato la Francia».28 Con la fissazione di Una o sarà suscettibile di diventarlo. L'inflazione sembra persino regna-

storia nazionale, la Terza Repubblica prosegue il nov vi mento.^^ Le 1%- re. La patrimonializzazione o la museificazione ha vinto, avviti-

$ del 1887, poi del 1913 stabiliscono per molto tempo la dottrina in Sempre di più al presente (Cauquelin 1994: 195-198). Si è do-

materia di monumenti storici. vuto stabilke, per esempio, «che nessuna opera di architettura viva

Inizialmente molto restrittiva con la legge del 1887, poiché si ind sarà legalmente considerata come monumento storico» (Choay 1984:

terveniva solo in nome del17«interesse nazionale*, la nozione di clas- 9). Qui c'è un indizio molto netto di questo presente, già rievocato,

sificazione viene un po' allargata con quella del 19 13, che mmette di che storicizza se stesso.

prendere in considerazione «l'interesse pubblico dal punto di vista del- la storia o dell'arte». Solo i monumenti d'interesse nazionale erano, però, protetti dalla classificazione. In s e d t b alla separazione di Chie- sa e Stato, la campagna di Barrès sulla «grande pietà delle chiese di Francia» (19 11) arriva improvvisamente a proporre un'dtra d ~ ? f i i o n e del patrimonio culturale: bisogna salvaguardare tutte le chiese, non sol- tanto le più belle o le più rappresentative, perché «generazioni di an- tenati, la cui polvere forma la collinetta sulcui la chiesa poggia le sue fondamenta, tornano grazie ad essa ancora $a vita, e quanto essa Pro- clama & proclamato da monumenti simili in tutti i villaggi di Francia at-

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turale»." I1 monumento stesso tende ad essere soppiantato dal me- moriale: più che luogo di memoria, monumento dove ci si impegna a fare vivere la memoria, a mantenerla viva e a trasmetterla. Quanto al- la storia, secondo l'osservazione di Daniel Fabre, essa tende a fondersi con il passato, percepito come unY«entità poco differenziata, situata più dal lato della sensazione che del racconto, suscitatrice più di par- tecipazione emozionale che di aspettativa di un'analisi». Meno sto- ria, nota ancora giustamente, che «passato sensibile» di cui il pro- duttore di storia locale cerca di fare sentire la presenza con l'aiuto di tutte le tecniche di ~resent~cazione (Fabre 2001: 32, 33). Si è a que- sto punto in pieno uso presentista del passato. Dal 1980 al 2000, si sono contate 2.241 associazioni il cui obiettivo dichiarato è il patri- monio o il quadro di vita: il «piccolo patrimonio». Nella stragrande maggioranza si tratta di associazioni giovani, create dopo il 1980. Poi- ché esse talvolta hanno dato.definizioni molto estensive della nozione di patrimonio, non collimanti per forza lcon le categorie ufficiali del- l'amministrazione, occupata dal «grande patrimonio», esse tendono a destabilizzare la macchina amministrativa della classificazione. Per esse, difatti, il valore degli oggetti cbe scelgono risiede, in parte, nel fatto che siano esse stesse d'origine ;del loro riconoscimento (Gle- varec - Saez 2002: 129-193). Si tratta, a conti fatti, più che altro del patrimonio culturale locale, che associa memoria e territorio, e di ope- razioni miranti a produrre territorio e continuità per coloro che og- gi vi abitano: «Le associazioni mostraqo la costruzione di una me- moria che non è data, dunque non è nealhe perduta. Esse aprono al- la costituzione di un universo simbolico. Così, il patrimonio non de- ve essere più osservato dal passato ma piuttosto dal presente, come categoria di azione del presente e sul $resente» (ibid.: 263). Infine, il Qatrimonio, diventato una branca maestra dell'industria dello sva- go,, è l'oggetto di poste in gioco economiche importanti. Il «da non perciere» delle guide, ripreso da tutti gliioperatori turistici, lo inscrive nella mondializzazione. La sua «valorizSazione» si inserisce allora di- rettamente nei ritmi e nelle temporalità rapide dell'economia di mercato odierna, sia che vi si scontri sia che vi si avvicini.

1 I1 XX secolo è quello che ha invochto di più il futuro, costruito e rhassacrato di più in suo nome, che ha spinto più lontano la pro-

e di una storia scritta dal pun vista d ~ l futuro, conforme icità. E pure quello però a dato alla categoria del

nel 1960 a 44.709 nel 1996.

presente l'estensione maggiore: un presente massivo, invadente, on- nipresente, che ha come orizzonte solo se stesso e fabbrica quoti- dianamente il passato e il futuro di cui ha bisogno, giorno dopo gior- no. Un presente già passato prima di essere completamente awenu- to. Dalla fine degli anni '60, questo presente si era però scoperto in- quieto, alla ricerca di radici, ossessionato dalla memoria. Se si cercava allora, per riprendere il vocabolario di Michelet del 1830, di rian- nodare il filo della tradizione, bisognava quasi inventare e la tradi- zione e il filo. Alla fiducia nel progresso si è sostituita la preoccu- pazione per la salvaguardia, per la preservazione: preservare che cosa e chi? Questo mondo, il nostro, le generazioni future, noi stessi.

Da qui questo sguardo museale diretto su ciò che ci circonda. Ci piacerebbe preparare oggi il museo di domani e riunire gli archivi di oggi come se fosse già ieri, presi come siamo tra l'amnesia e la volontà di non dimenticare niente. Per chi, se non, già, per noi? La distru- zione del muro di Berlino, seguita dalla sua museificazione istantanea, ne è stato un bell'esempio, con la sua altrettanto immediata com- mercializzazione. Sono stati subito messi in vendita campioni debi- tamente stampigliati di Original Berlin Mauer. Se il patrimonio è or- mai ciò che definisce chi siamo oggi, il movimento di patrimonia- lizzazione, questo imperativo, preso esso stesso nell'aura del dovere di memoria, resterà un tratto distintivo del momento che stiamo vi- vendo, o abbiamo appena vissuto: un certo rapporto con il presente e una manifestazione di presentismo.

Il tempo dell'ambiente

Nell'esame della traiettoria della nozione di già segnalato e incontrato una componente, a C

ancora del tutto preso le misure: la patrimo biente. L'Unesco fornisce un buon accesso, perché esso è nello stes- so tempo una potente cassa di risonanza e un vasto laboratorio mondiale, ove si elabora una dottrina e si proclamano principi.34 Nel 1972, la conferenza generale ha adottato la «Convenzione per la pro- tezione del patrimonio mondiale culturale e naturale». I1 testo non sembra lasciare fuori nulla: il patrimonio è mondiale, esso è culturale e naturale. Perché una convenzione internazionale? Perché il pream-

34 Isabeiie Vinson ha sostenuto, nel 2001, un DEA ali'E international: théorie et praxis.

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bolo comincia dalla constatazione che il patrimonio universale è sempre più minacciato di distruzione «non soltanto per le cause tradizionali di degrado ma anche per l'evoluzione della vita sociale ed economica che le aggrava a causa dei fenomeni di alterazione o di di- struzione ancor più temibili*. Queste considerazioni portano così a introdurre una nuova nozione: la protezione. Essa compete all'inte- ra internazionale-e deve riguardare il «patrimonio cultu- rale e naturale di valore universale ed eccezionale».

Che cosa è un patrimonio di valore universale e eccezionale? Co- me si articolano l'universale e l'eccezionale? Quali sono i criteri? Co- me stabilire una lista del patrimonio mondiale ? Altrettante questioni su cui si sono intavolate numerose riunioni di esperti, tutte proce- denti nel senso di un allargamento dei criteri di selezione. Non at- tribuire più tutto al monumento storico (e dunque all'Europa), ma

Si tratta allora di un museo al «grado zero» o un museo «fuori le mura». Esso non deve accontentarsi - si indica - di «cullare nostal- gicamente il rimpianto di un patrimonio naturale, materiale e umano in via di sparizione, o già scomparso - e che ha certo bisogno di essere memorizzato, come costitutivo delle radici senza le quali nulla si può costniire. E.. .l Esso ha il dovere, con la sua conoscenza del passato e con la spiegazione delle lezioni che se ne traggono, di aiutare a co- struire l'avvenire; ha il dovere di essere uno degli strumenti (agente e luogo nello stesso tempo) delle mutazioni nel contempo tecnologiche e sociali. Bisogna sapere spiegare lo spirito di adattamento e l'inge- gnosità degli antenati perché servano d'esempio a coloro che si trovano

35 Un decreto interministeriale del 1967 ufficializza la nozione di «parco naturale regio- nale»; si veda Davailon et alzi 1992: 64-66, in cui è ricordato il molo di Georges-Henri Risere. Esisteva già una legge del 21 aprile 1906 sulla «protezione dei siti e dei monumenti natutali di

SU un anno o due ma « carattere artistico».

1972 almeno, cultura e j%a denominazione «ecomuseo» è coniata nel 1971. Cfr. Debary 2002, 37 Presidente della "Caisse des Monuments historiques", Querrien aveva redatto, nel

1982, un rapporto diretto al Ministro della Cultura intitolato «Pour un nouvelle politique du Patrimoine».

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attualmente a confronto con difficili mutamenti [.. .l Al l ' f~~museo ha fatto il punto di partenza del suo interrogativo.39 11 percorso spetta insegnare a conoscere per non disperarsi e per rivivere» (De- della nozione ha indubbiamente mostrato che il patrimonio non si è svauées 1985: 84-85). Era un capitolato d'oneri tanto prescrittivo (de- mai nutrito della continuità ma, proprio al contrario, di cesure e ri- ve, bisogna) quanto ambizioso, poiché secondo i suoi teorici l'ecomu- messe in questione dell'ordine del tempo, con tutti i giochi dell'as- se0 voleva sfuggire al passatismo, d a nostalgia, al turismo, per operare Senza e della presenza, del visibile e dell'invisibile che hanno segnato come spazio interattivo e filtro tra passato e futuro. Doveva esserci e guidato gli incessanti e sempre cangianti modi di produrre se- una pedagogia dell'ecomuseo, una lezione da produrre in modo con- n~iofori. A cominciare dall'intrusione di quell'assente inaugurale

se non ludico. Non si trattava di imitare il passato, poiché l'e- rappresentato da Gesti per quella che è diventata, molto tempo fa e comuseo parte d d a rottura, prende atto della fine di una attività (in- a lungo, la tradizione occidentale, mettendo in moto un nuovo ordine

artigianale, agricola), di un modo di vita. Museo al presente, del tempo. Una traccia ineffabile, indimenticabile: h traccia stessa. esso intende essere produzione di un luogo di memoria vivo. 11 patrimonio è un modo di vivere le cesure, di riconoscerle e di

vuole essere una provocazione per la memoria e 10 ridurle, individuando, eleggendo, producendo semiofori. Iscritto strumento di una presa di coscienza. Qui, la società (una c m ~ u - nella lunga durata della storia occidentale, l'emersione della nozione

" s t à ) è essa stessa invitata a prendere coscienza di un patrimonio- 11 ha conosciuto numerosi stati, sempre correlati con tempi forti di pro- museo, si dice, non ha visitatori, ha «abitanti». Lo SCOPO: «mobilitare blematizzazione dell'ordine del tempo. Il patrimonio è un rimedio per fi patrimonio a fini creativi e non più solamente rnuseali» (Querrien un tempo di crisi. Se, così, ci sono momenti del patrimonio, sarebbe 1987: 265).38 Si vede bene di quale speranza è stato investito l'eco- illusorio fermarsi su un'accezione unica della parola. Nel corso dei se- museo. ,Segno della crisi del regime moderno di storicità, il suo appello coli, pratiche di tipo patrimoniale disegnano tempi del patrimonio, da memoria è una risposta del presente, destinata innanzitutto al ??re- corrispondenti a certi modi di articolare innanzitutto presente e sente ma ansiosa tuttavia di sfuggire al presentismo. La ~~cmmessa è Passato ma anche il futuro, con nuove messe in causa della Rivolu- stata tentata, era tentabile, mentre gli «abitanti» divenivano «visi- zione: presente, passato e futuro. tatori)> e anche turisti in mezzo ad altri turisti? Parchi naturali, eco- Abbiamo delineato i contorni di alcune delle configurazioni musei hanno, in ogni caso, contribuito a rendere visibile il passaggio temporali. Quando Varrone si dedica a raccogliere per iscritto le an- da unal percezione estetica della natura a una rappresentazione Pa- tichiti di Roma, lo fa perché è convinto che la crisi della Repubbli- trimoniale dell'ambiente, che lega con forza memoria e territorio. 11 ca rischia di mettere in pericolo l'eternità dell'UPbs. Quando gli rapido corso di questa patrimonializzazioner ha spinto al suo termine umanisti del Rinascimento ambiscono una renovati0 di Roma, il loro l'universalizzazione della nozione di patrimonio, con la Preoccupa- <<favore di speranza» rivolto al passato ha per destinatano principale zione, persino il dovere, di preservare ciò che è già scomparso, sta giu- il presente. Restando interamente nell'ordine cristiano del tempo, la sto per, scomparire, scomparirà domani, quasi anticipando il Passag- historid magistra può essere ancora pienamente in carica, con il rele del- gio dalivalore d'uso a quello di antichità. / l'esempio e dell'imitazione. In risposta alle fratture rivoluzionarie e

al punto di vista del rapporto con il tempo, di che cosa questa au'esperienza traumatica dell'accelerazione del tempo, i rivoluzionari prolifeiazione patrimoniale è ed è stata il degno? Essa è s h ~ a m e n - riescono a formulare, nello spazio di alcuni anni, una proposta di hi- te segno di rottura tra un presente e un passato, poiché il sentimento storia magistra rinnovata, in cui il tempo diventa un attore. Passato e vissutd dell'accelerazione è una maniera di farne l'esperienza: il ri- futuro si trovano collegati ma la circolazione può farsi solo per baltamento di un regime di memoria in un( altro, di cui Pierre Nera n~ezzo del setaccio del presente rigenerato (la Francia della libertà).

38 Quali monumenti pre '9 Per la diagnosi di una etnologa, si veda Zonabend 1999: 9: «Negli anni '70, la società 1984 (Querrien 19871, muove francese incomincia a prendere coscienza dei formidabili cambiamenti provocati dalla cresci- rien notava che uscendo da ta economica degli anni del dopoguerra La modernizzazione delle campagne comporta la mi- zione si facevano più numero grazione nelle città delle popolazioni mal i e si assiste in ogni luogo &a fine di un certo genere gdicato del patrimonio pe «un sussulto sa- di vita: si rompono le solidarietà tradizionali, laiche o religiose, scompaiono i saperi artigianali iutare di una collettività de ristabilendo il le- e tecnici, si sfaldano i particolarismi regionali e comunali. 1l mondo in cui si è vissuto, che i no-

stri avi hanno conosciuto, vacilla verso un mondo che abbzamo perduto».

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Spetterà al XIX secolo assumere, classificare, restaurare, limitare que- di cui siamo stati gli iniziatori e di cui dobbiamo riconoscerci, oggi già sto patrimonio moderno anche riprendendolo nei grandi racconti del- in mancanza di ieri, responsabili. Così, interrogare il patrimonio e i la storia nazionale: dalla Restaurazione alla Terza Repubblica. Con il suoi regimi di temporalità ha condotto, in maniera inattesa, dal monumento storico, che la legge del 1887 decreta d'interesse na- Passato al futuro, ma un futuro che non è più da conquistare o da ia- zionale, entriamo nell'era della nazione «compiuta». Se il monumento re accadere, senza esitare, se è il caso, di bnit&zare il presente. Que- impressiona, poiché è storia, non invita il visitatore all'identificazione. sto futuro non è più un orizzonte luminoso verso cui si cammina, ma

Dopo la catastrofe del XX secolo, le numerose lacerazioni, le for- una linea d'ombra che abbiamo messo in movimento verso di noi, ti accelerazioni cosi percepibili nell'esperienza del tempo vissuto mentre sembriamo calpestare l'aia del presente e ruminare un passato non sorprende né il sorgere della memoria né quello del patrimonio. La domanda potrebbe pure essere: perché è stato necessario attendere così a lungo? Sicuramente perché è necessario tempo, ma forse anche perché non c'è stata la possibilità né il tempo di fare più presto? L'or- dine del mondo e del tempo quasi non 110 rendeva possibile. E ne- cessaria tutta una serie di condizioni ivi comprese quelle generazio- nali, ricordate in apertura di questa traversata dei tempi. In com-