Recenti pronunzie della Corte di Cassazione in materia di ... giurisprudenziali II... · Diritto...

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ASSOCIAZIONE GIAN FRANCO CAMPOBASSO per lo studio del Diritto Commerciale e Bancario www.associazionegfcampobasso.it 1 Recenti pronunzie della Corte di Cassazione in materia di Diritto Commerciale e Bancario. Rassegna (II – 2007) I. DIRITTO SOCIETARIO CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 15 luglio 2004, n. 13106 (Pres. OLLA Est. CRISCUOLO), in Banca e borsa, 2006, II, 1, con nota di G.P. LA SALA. Azioni – Legittimazione all’esercizio dei diritti sociali – Annotazione nel libro soci – Rifiuto illegittimo – Condanna all’iscrizione con efficacia ex tunc – Ammissibilità. (codice civile, artt. 2021, 2023). Azioni – Circolazione in violazione del diritto di opzione – Applicabilità dell’art. 1994 c.c. – Esclusione. (codice civile, artt. 1994, 2441). In tema di azioni di società, il compimento delle formalità previste dalla legge (art. 2021-2023 c.c.: c.d. transfert) - e tra esse, l’iscrizione nel libro dei soci - come necessarie per l’esercizio dei diritti sociali non è affidato ad un potere discrezionale della società, la quale è tenuta a dar corso ai relativi adempimenti, una volta verificata la conformità a diritto del trasferimento dei titoli; ne consegue che, ove la società rifiuti il transfert richiesto dall’alienante o dall’acquirente, e il rifiuto si riveli ab origine illegittimo, la società medesima non può addurre tale rifiuto per paralizzare il legittimo esercizio dei diritti (tra cui quello di opzione, di cui all’art. 2441 c.c.) spettante all’acquirente dei titoli cui legalmente competeva la qualità di socio. In tema di effetti del possesso di buona fede di titoli di credito, l’acquisto di azioni di nuova emissione non può considerarsi avvenuto «in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione», come prescrive l’art. 1994 c.c., allorché tali azioni siano state illegittimamente considerate non optate (nella specie, per la presunta estraneità alla compagine sociale di coloro che avevano effettuato richiesta di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, e che, invece, all’esercizio di questo diritto erano legittimati). CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 22 febbraio 2005, n. 3577 (Pres. CAPPUCCIO Est. RORDORF), in Giur. comm., 2007, II, 591, con nota di C. CINCOTTI.

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Recenti pronunzie della Corte di Cassazione in materia di

Diritto Commerciale e Bancario.

Rassegna (II – 2007)

I. DIRITTO SOCIETARIO

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 15 luglio 2004, n. 13106 (Pres. OLLA

– Est. CRISCUOLO), in Banca e borsa, 2006, II, 1, con nota di G.P. LA SALA. Azioni – Legittimazione all’esercizio dei diritti sociali –

Annotazione nel libro soci – Rifiuto illegittimo – Condanna

all’iscrizione con efficacia ex tunc – Ammissibilità.

(codice civile, artt. 2021, 2023). Azioni – Circolazione in violazione del diritto di opzione –

Applicabilità dell’art. 1994 c.c. – Esclusione.

(codice civile, artt. 1994, 2441).

In tema di azioni di società, il compimento delle formalità previste dalla legge (art. 2021-2023 c.c.: c.d. transfert) - e tra esse, l’iscrizione nel libro dei soci - come necessarie per l’esercizio dei diritti sociali non è affidato ad un potere discrezionale della società, la quale è tenuta a dar corso ai relativi adempimenti, una volta verificata la conformità a diritto del trasferimento dei titoli; ne consegue che, ove la società rifiuti il transfert richiesto dall’alienante o dall’acquirente, e il rifiuto si riveli ab origine illegittimo, la società medesima non può addurre tale rifiuto per paralizzare il legittimo esercizio dei diritti (tra cui quello di opzione, di cui all’art. 2441 c.c.) spettante all’acquirente dei titoli cui legalmente competeva la qualità di socio.

In tema di effetti del possesso di buona fede di titoli di credito, l’acquisto di azioni di nuova emissione non può considerarsi avvenuto «in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione», come prescrive l’art. 1994 c.c., allorché tali azioni siano state illegittimamente considerate non optate (nella specie, per la presunta estraneità alla compagine sociale di coloro che avevano effettuato richiesta di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, e che, invece, all’esercizio di questo diritto erano legittimati). CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 22 febbraio 2005, n. 3577 (Pres. CAPPUCCIO – Est. RORDORF), in Giur. comm., 2007, II, 591, con nota di C. CINCOTTI.

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Società per azioni – Capitale sociale – Aumento – Sottoscrizione

– Adempimento da parte di un terzo – Conformità della

prestazione all’obbligazione del debitore – Legittimità.

(codice civile, artt. 1180, 2439). Società per azioni – Capitale sociale – Aumento – Sottoscrizione

– Adempimento da parte di un terzo – Compensabilità del

credito da fornitura con debito da sottoscrizione di azioni da

liberarsi in denaro – Illegittimità.

(codice civile, artt. 1180, 1246, 2342, 2343, 2439).

La riferibilità unicamente al socio dell’obbligo di versamento della quota di capitale sociale da lui sottoscritta non esclude che la relativa obbligazione possa essere adempiuta, con effetto solutorio, da un terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., salva restando l’eventuale rivalsa del solvens nei riguardi dell’effettivo obbligato; tuttavia, perché l’effetto solutorio si verifichi, è necessario che la prestazione sia effettuata dal terzo in modo conforme all’obbligazione del debitore; ne consegue che, in presenza di un obbligo conseguente alla sottoscrizione di una quota di aumento del capitale sociale, da attuarsi mediante versamento in denaro, una diversa prestazione del terzo - quale, nella specie, la consegna di beni in natura o la compensazione con crediti di regresso derivanti dall’estinzione di debiti della società verso terzi - non produce alcun effetto liberatorio nei confronti del socio obbligato, essendo del tutto differenti la tipologia e la disciplina dell’aumento del capitale sociale mediante conferimento di beni in natura o di crediti rispetto all’aumento di capitale con conferimento di denaro. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 8 novembre 2005, n. 21641 (Pres. OLLA – Est. RORDORF), in Banca e borsa, 2007, II, 1, con nota di A. TUCCI.

Società – Società di capitali – Recesso – Presupposti – Titolarità

delle azioni al momento della deliberazione assembleare –

Necessità.

(codice civile, artt. 2437).

In tema di società per azioni, il 1º comma, art. 2437 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.leg. 17 gennaio 2003 n. 6, applicabile nella specie ratione temporis) attribuisce il diritto di recesso al socio dissenziente da deliberazioni assembleari riguardanti il mutamento dell’oggetto sociale, il cambiamento del tipo di società o il trasferimento della sede all’estero; presupposto affinché il diritto sorga è, dunque, un dissenso che necessariamente postula la qualità di socio al momento in cui sia assunta la deliberazione della quale si discute: con la conseguenza che

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il diritto stesso non compete a chi abbia acquistato le azioni della società in data successiva a quella di adozione della deliberazione stessa, ancorché anteriore a quella della sua iscrizione nel registro delle imprese, senza che possa farsi leva, in senso contrario, sul rischio che detto socio ignori la modificazione del contratto sociale frattanto intervenuta, dovendo la corrispondente tutela essere ricercata nella sfera dei rapporti contrattuali tra venditore ed acquirente delle azioni, o comunque su un piano che non coinvolga la società. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 12 dicembre 2005, n. 27387 (Pres. DE MUSIS – Est. DEL CORE), in Giur. comm., 2007, II, 86, con nota di G. FRISOLI.

Società – Società di capitali – Società per azioni – Delibera

assembleare – Scioglimento anticipato – Conflitto di interessi -

Inconfigurabilità.

(codice civile, artt. 2484, 2373). Società – Società di capitali – Società per azioni – Delibera

assembleare – Scioglimento anticipato – Abuso di maggioranza –

Configurabilità ai sensi dell’art. 1375 c.c. – Perseguimento

dell’interesse al disinvestimento – Insussistenza – Esercizio

fraudolento del diritto di voto – Ingiustificato vantaggio dei soci

di minoranza – Sussistenza.

(codice civile, artt. 1375, 2377, 2484). Con riguardo alla deliberazione di assemblea di società per azioni,

la doglianza che la maggioranza dei soci non abbia consentito alla minoranza ampia informazione e discussione su un argomento all’ordine del giorno attiene a disciplina etica e di merito e non a questione di legittimità sindacabile da parte del giudice e non può di per sé costituire ragione di invalidità della delibera, denunciabile con l’impugnazione prevista dall’art. 2377 c.c., a meno che non si deduca e dimostri che proprio l’indicato comportamento prevaricatore, frutto di un disegno della maggioranza di realizzare propri interessi particolari oggettivamente in conflitto con quello sociale, abbia determinato in concreto scelte contrastanti con tale ultimo interesse.

Ai fini dell’annullamento per conflitto di interessi ai sensi dell’art. 2373 c.c., è essenziale che la delibera sia idonea a ledere l’interesse sociale, inteso come l’insieme di quegli interessi che sono comuni ai soci, in quanto parti del contratto di società, e che concernono la produzione del lucro, la massimizzazione del profitto sociale (ovverosia del valore globale delle azioni o delle quote), il controllo della gestione dell’attività sociale, la

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distribuzione dell’utile, l’alienabilità della propria partecipazione sociale e la determinazione della durata del proprio investimento; pertanto, si ha conflitto di interessi rilevante quale causa di annullabilità delle delibere assembleari quando vi è, di fatto, un conflitto tra un interesse non sociale e uno qualsiasi degli interessi che sono riconducibili al contratto di società.

Non è impugnabile per conflitto di interessi la delibera di scioglimento anticipato della società ex art. 2448 n. 5 c.c. (ora art. 2484 n. 6 c.c.) in quanto la situazione di conflitto rilevante ai fini dell’art. 2373 c.c. deve essere valutata con riferimento non già a confliggenti interessi dei soci, bensì a un eventuale contrasto tra l’interesse del socio e l’interesse sociale inteso come l’insieme degli interessi riconducibili al contratto di società tra i quali non è ricompreso l’interesse della società alla prosecuzione della propria attività, giacché la stessa disciplina legale del fenomeno societario consente che la maggioranza dei soci ponga fine all’impresa comune senza subordinare tale decisione ad alcuna condizione.

Le determinazioni prese dai soci durante lo svolgimento del rapporto associativo vanno considerate, a tutti gli effetti, come veri e propri atti negoziali di esecuzione del contratto sociale, perché preordinati alla sua migliore attuazione; da ciò consegue che le delibere soggiacciono alle regole ermeneutiche dettate per i contratti quando se ne deve interpretare il contenuto dispositivo.

In applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo al quale deve essere improntata l’esecuzione del contratto di società, la c.d. regola di maggioranza consente al socio di esercitare liberamente e legittimamente il diritto di voto per il perseguimento di un proprio interesse fino al limite dell’altrui potenziale danno; l’abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere) è, quindi, causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società - per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale - oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli; l’onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto di voto grava sul socio di minoranza che assume l’illegittimità della deliberazione; nel concreto suo atteggiarsi, detta prova non deve ritenersi limitata ai «sintomi» dell’abuso della regola di maggioranza manifestatisi prima dell’adozione della delibera impugnata, potendo, viceversa, farsi leva su comportamenti o indizi cronologicamente successivi, in grado di rivelarne ex post la sussistenza.

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La deliberazione di scioglimento anticipato di una società può essere invalidata, in difetto delle ragioni tipiche all’uopo previste, sotto il profilo dell’abuso della regola di maggioranza, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci; la relativa prova incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i «sintomi» di illiceità della delibera - deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione, ma anche da circostanze verificatesi successivamente - in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente abuso vi sia stato; peraltro, all’infuori della ipotesi di un esercizio «ingiustificato» ovvero «fraudolento» del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all’economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva.

Anche con riguardo a una deliberazione dell’assemblea di una società per azioni con la quale si decida la proposizione dell’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore è configurabile un conflitto d’interessi nei sensi previsti dall’art. 2373 c.c. con la conseguente possibilità d’impugnazione della delibera medesima ove si accerti, attraverso obiettive circostanze di fatto, che l’azione di responsabilità, prevista in astratto a favore e a tutela della società, sia stata in concreto deliberata nell’interesse particolare dei soci che intendono promuoverla e che questo interesse sia confliggente con quello sociale. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 12 dicembre 2005, n. 27389 (Pres. SAGGIO – Est. RORDORF), in Giur. comm., 2007, II, 369, con nota di A. ANGELILLIS.

Società – Società per azioni – Sindaci – Azione sociale di

responsabilità – Revoca.

(codice civile, artt. 2393, 2400, 2407).

La deliberazione con la quale l’assemblea di una società per azioni autorizzi l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro i sindaci, anche se adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale, non determina la revoca automatica dei sindaci dalla carica e non ne implica l’immediata sostituzione, così come avviene per gli amministratori ai sensi dell’art. 2393, 3º comma, c.c. (ora 4º comma, a seguito della riforma attuata con il d.leg. n. 6 del 2003), atteso che, sul piano letterale, il

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rinvio a detta norma operato dall’art. 2407, ult. comma, c.c. non può essere utilizzato, essendo la disposizione relativa all’automatica revoca estranea, propriamente, alla disciplina dell’azione di responsabilità e rientrando, invece, in quella della revoca dell’organo societario, e che, sul piano logico, l’automatica revoca implicherebbe la esclusione del controllo del tribunale sulla giusta causa di revoca dei sindaci, imposto dall’art. 2400, 2º comma, c.c. a garanzia della loro indipendenza anche nei confronti dell’azionariato di maggioranza; resta, ovviamente, salvo il potere dell’assemblea di deliberare altresì, anche contestualmente all’azione di responsabilità, la revoca dei sindaci per giusta causa, ferma però la necessità di sottoporre detta deliberazione di revoca all’approvazione del tribunale ai sensi del richiamato art. 2400, 2º comma, c.c. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 20 dicembre 2005, n. 28242 (Pres. DE MUSIS – Est. GILARDI), in Giur. comm., 2007, II, 339, con nota di G. GUERRIERI.

Atto di scissione – Iscrizione nel registro delle imprese –

Domanda di invalidità – Dedotti vizi di procedimento –

Inaccoglibilità.

(codice civile, artt. 2504-quater, 2506-ter). Atto di scissione – Iscrizione nel registro delle imprese –

Domanda di invalidità meramente strumentale a una futura

azione risarcitoria – Inaccoglibilità.

(codice civile, artt. 2504-quater, 2506-ter). La disposizione di cui all’art. 2504 quater c.c.prev., richiamata

anche per le operazioni di scissione dall’art. 2504 novies c.c. prev. (oggi art. 2506 ter c.c.), secondo cui, una volta eseguita l’iscrizione dell’atto di fusione delle società, l’invalidità dello stesso non può più essere dichiarata, pone una preclusione di carattere assoluto, che riguarda tanto il caso in cui si deducano vizi inerenti direttamente all’atto di fusione, quanto l’ipotesi in cui i vizi concernano il procedimento di formazione dell’atto e della sua iscrizione; tale preclusione rimane operante anche nel caso in cui si asserisca che l’impugnativa è meramente preordinata ad una futura ed ipotetica azione di risarcimento del danno nei confronti degli amministratori o di terzi. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 26 gennaio 2006, n. 1525 (Pres. CRISCUOLO – Est. MARZIALE), in Giur. comm., 2007, II, 599, con nota di A. GARGARELLA MARTELLI.

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Società – Società per azioni – Organi sociali – Amministratori –

Rappresentanza della società – In genere – Amministratore –

Compimento, da parte sua, in mancanza di una delibera del

consiglio di amministrazione, di un atto con il terzo rientrante

nella competenza di tale organo ed in conflitto di interessi con la

società rappresentata – Disciplina applicabile – Individuazione.

(codice civile, artt. 1394, 2384, 2391). Società – Società per azioni – Organi sociali – Amministratori –

Rappresentanza della società – In genere – Dissociazione tra

potere di gestione e potere di rappresentanza risultante dallo

statuto – Disciplina ex art. 2384, 2° comma, c.c. – Applicabilità.

(codice civile, art. 2384, d.p.r. 29 dicembre 1969, n. 1127, art. 5). In tema di società per azioni, quando il singolo amministratore

ponga in essere, in mancanza di una delibera del consiglio di amministrazione, un atto con il terzo che rientri, invece, nella competenza di tale organo, l’incidenza del conflitto di interessi sulla validità del negozio deve essere regolata sulla base, non già dell’art. 2391 c.c. (il quale, riferendosi al conflitto che emerge in sede deliberativa, concerne l’esercizio del potere di gestione, in un momento, quindi, anteriore a quello in cui l’atto viene posto in essere, in nome della società, nei confronti del terzo), ma della disciplina generale di cui all’art. 1394 c.c.; al riguardo, costituendo il divieto di agire in conflitto di interessi con la società rappresentata un limite derivante da una norma di legge, la sua rilevanza esterna non è subordinata ai presupposti stabiliti dal 2º comma, art. 2384 c.c., il cui ambito di applicazione è riferito alle limitazioni del potere di rappresentanza derivanti dall’atto costitutivo o dallo statuto, che abbiano, cioè, la propria fonte (non nella legge, ma) nell’autonomia privata.

Nella disciplina delle società per azioni, tra le limitazioni del potere di rappresentanza contemplate dal 2º comma dell’art. 2384 c.c. rientrano anche quelle derivanti dalla dissociazione tra potere gestorio e potere di rappresentanza, quando esse trovino fondamento in una disposizione statutaria.

CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni Unite, 8 febbraio 2006, n. 2637 (Pres. CARBONE – Est. PROTO), in Società, 2006, 459, con nota di F. DIMUNDO

(pubblicata anche in Riv. dir. soc., 2007, 153, con nota di F. CORSINI). Fusione – Fusione per incorporazione – In pendenza di giudizio

– Conseguenze – Interruzione del processo – Esclusione.

(codice civile, art. 2504 bis, codice di procedura civile, art. 300).

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Ai sensi del nuovo art. 2505 bis c.c., conseguente alla riforma del

diritto societario (d.leg. 17 gennaio 2003 n. 6), la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo; deve pertanto escludersi che la fusione per incorporazione determini l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 300 c.p.c CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 7 marzo 2006, n. 4874 (Pres. CECCHERINI – Est. GILARDI), in Società, 2007, 703, con nota di B. IANNIELLO.

Società di capitali – Società per azioni – Bilancio di esercizio –

Redazione – Principi di chiarezza e verità – Disciplina anteriore

al D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127 – Supremazia del criterio di verità

– Non sussiste – Rapporto di simmetria tra i due criteri –

Sussiste – Disciplina attuale – Rapporto di simmetria – Sussiste –

Conseguenze – Bilancio veritiero ma non chiaro – Delibera di

approvazione – Nullità.

(codice civile, artt. 2423, 2423 bis). Società di capitali – Società per azioni – Bilancio di esercizio –

Redazione – Principio di continuità – Limiti.

(codice civile, art. 2423 bis). Società di capitali – Società per azioni – Bilancio – Redazione –

Principio di chiarezza – Informazioni contenute in documenti

separati – Non allegazione al bilancio – Insufficienza.

(codice civile, art. 2423). Nella disciplina legale del bilancio d’esercizio delle società, il

principio di chiarezza non è affatto subordinato a quello di correttezza e veridicità del bilancio medesimo, ma è dotato di autonoma valenza, essendo obiettivo fondamentale del legislatore quello di garantire non solo la veridicità e correttezza dei risultati contabili, ma anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio che a quei risultati conducono; conseguentemente, il bilancio d’esercizio di una società di capitali che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, 2º comma, c.c. (anche nel testo anteriore alle modificazioni apportate dal d.leg. 9 aprile 1991 n. 127), è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con

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cui esso è stato approvato, non soltanto quando la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società, e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.

La circostanza che il bilancio d’esercizio di una società di capitali abbia come destinatari non solo i soci, ma tutta una pluralità di terzi, i quali, potendo venire in contatto con la società, abbiano interesse a valutarne la situazione patrimoniale ed economica, rende irrilevante - ai fini della illiceità del bilancio stesso e della conseguente nullità della relativa deliberazione assembleare di approvazione - che il metodo di redazione del bilancio contrario ai principi di chiarezza e precisione sia stato adottato in passato con il consenso o, addirittura, su iniziativa del socio che poi ha impugnato il bilancio; né giova in senso contrario fare appello al principio di continuità formale dei bilanci, il quale comporta solo che non si adottino metodi di rilevazione del bilancio diversi da quelli adottati in passato, senza darne adeguato conto nella relazione degli amministratori, ma non giustifica certo il protrarsi nel tempo dell’adozione di metodi di redazione poco chiari o imprecisi.

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 31 marzo 2006, n. 7693 (Pres. LOSAVIO – Est. RORDORF), in Società, 2007, 43, con nota di S. RIZZINI

BISINELLI. Società di capitali – Società per azioni – Assemblea degli

obbligazionisti – Delibera assembleare – Nullità, annullabilità,

inesistenza – Inesistenza.

(codice civile, artt. 2377, 2379). Nel caso in cui una società abbia posto in essere una pluralità di

emissioni obbligazionarie, aventi caratteristiche diverse, non vi è alcun interesse comune che leghi tra loro i sottoscrittori dei singoli prestiti, ciascuno dei quali è dotato di un proprio specifico regolamento negoziale, al quale risultano estranei i sottoscrittori degli altri prestiti; ciò determina la necessità di dar vita ad altrettante organizzazioni degli obbligazionisti, con distinte assemblee (ed eventualmente distinti rappresentanti comuni), ciascuna delle quali è chiamata a deliberare su materie di interesse comune dei sottoscrittori del prestito al quale afferisce l’organizzazione; l’eventuale modificazione delle condizioni di ogni prestito richiede, pertanto, unicamente il consenso dei sottoscrittori di quella particolare emissione, nella peculiare forma assembleare indicata dall’art. 2415 c.c., poiché

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soltanto ad essi fa capo il relativo rapporto obbligatorio con la società emittente; ne consegue che l’approvazione della modifica con il concorso determinante dei sottoscrittori di obbligazioni rivenienti da un’emissione diversa comporta non già la mera annullabilità, ma l’inesistenza della relativa delibera, la cui impugnazione è sottratta al termine di decadenza previsto dall’art. 2377, 2º comma, richiamato dall’art. 2416, 2º comma, c.c. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 7 aprile 2006, n. 8230 (Pres. LO

SAVIO – Est. PANZANI), in Società, 2007, 698, con nota di M. CUPIDO. Società di capitali – Società per azioni – Organi sociali –

Amministratori – Compensi – Determinazione – Sistema

anteriore al D.Lgs. n. 6 del 2003 – Competenza – Dell’assemblea

ordinaria – Configurabilità – Condizioni – Mancata

determinazione del compenso nell’atto costitutivo – Necessità –

Conseguenze – Attribuzione agli amministratori di un compenso

aggiuntivo a quello previsto nello statuto – Legittimità –

Esclusione.

(codice civile, artt. 2364 e 2389). In base al combinato disposto degli art. 2364, 1º comma, n. 3, e

2389, 1º comma, c.c (nel testo anteriore alla riforma attuata dal d.leg. 17 gennaio 2003 n. 6, applicabile nella specie, ratione temporis), la determinazione del compenso degli amministratori di società per azioni è rimessa in primo luogo all’atto costitutivo e, solo ove esso non provveda, all’assemblea ordinaria; resta di conseguenza escluso che l’assemblea possa accordare agli amministratori un compenso ulteriore rispetto a quello già previsto dallo statuto sociale, a nulla rilevando che quest’ultimo sia eventualmente stabilito nella forma aleatoria della partecipazione agli utili. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 14 aprile 2006, n. 8876 (Pres. PROTO

– Est. NAPOLEONI), in Società, 2007, 159, con nota di R. AMBROSINI. Società di capitali – Società per azioni – Impegno del socio alla

sottoscrizione integrale dell’aumento del capitale sociale prima

dell’approvazione della relativa delibera – Conferimento in

conto futuro aumento di capitale – Configurabilità – Contrasto

con la disciplina del diritto di opzione – Esclusione.

(codice civile, artt. 2438 e 2441).

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Nelle società per azioni, il socio può validamente obbligarsi nei confronti della società a sottoscrivere un determinato aumento di capitale prima che lo stesso sia formalmente deliberato dall’assemblea, dovendosi ritenere siffatto obbligo, in assenza di diverse pattuizioni, subordinato alla condizione sospensiva che la deliberazione di aumento del capitale intervenga nel termine stabilito o in quello desumibile dalle circostanze, e - per la parte in cui l’impegno investa anche le azioni di nuova emissione sulle quali il socio non vanta il diritto di opzione - alla ulteriore condizione che tali azioni non vengano sottoscritte dai soci titolari del predetto diritto nel termine assegnato ai fini dell’esercizio del medesimo.

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 19 aprile 2006, n. 9065 (Pres. MILEO

– Est. VIGOLO), in Società, 2007, 155, con nota di M.M. GAETA. Società – Trasformazione – Effetti – Responsabilità dei soci –

Obbligazioni sociali anteriori alla trasformazione – Liberazione

dei soci illimitatamente responsabili – Condizioni – Consenso dei

creditori alla trasformazione – Necessità – Modalità di

acquisizione - Individuazione.

(codice civile, artt. 2498, 2499 e 2500).

Ai sensi dell’art. 2499 c.c., la trasformazione di una società non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni sociali anteriori all’iscrizione della deliberazione di trasformazione nel registro delle imprese, se non risulta che i creditori sociali abbiano dato il loro consenso alla trasformazione stessa, il quale si presume se i creditori, ai quali la suddetta deliberazione sia stata comunicata, non abbiano negato espressamente la loro adesione nel termine di trenta giorni dalla ricezione della comunicazione medesima. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 26 maggio 2006, n. 12627 (Pres. LOSAVIO – Est. PLENTEDA), in Società, 2007, 574, con nota di M.M. GAETA.

Società – Società cooperative – Status socio – Opponibilità –

Procedura di ammissione – Carattere aperto della società.

(codice civile, art. 2528). Il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di un contratto

dev’essere coordinato con il principio della domanda, sancito dagli art. 99 e 112 c.p.c., in virtù del quale, quando sono in contestazione l’applicazione o l’esecuzione di un contratto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della pretesa, il giudice è tenuto a rilevare la nullità, in ogni

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stato e grado del giudizio, soltanto se la ragione dell’invalidità non sia diversa da quella già prospettata dalla parte, dovendo altrimenti escludersi tanto la possibilità di una sua deduzione per la prima volta in sede di gravame, quanto quella della sua rilevazione d’ufficio (in applicazione di tale principio, la suprema corte, nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto l’accertamento della qualità di socio di una cooperativa, ha confermato la sentenza impugnata, che, in sede di rinvio a seguito della cassazione di una precedente sentenza, aveva escluso l’annullabilità per errore della delibera di ammissione dell’attore nella società, omettendo di rilevare la nullità della medesima delibera per impossibilità o illiceità dell’oggetto, in relazione al divieto di trasferimento delle quote sociali previsto dallo statuto della cooperativa, in quanto tale ragione d’invalidità non era mai stata fatta valere in precedenza). CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 20 giugno 2006, n. 14267 (Pres. PLENTEDA – Est. CECCHERINI), in Società, 2007, 1111, con nota di D. PISELLI.

Società di capitali – Società per azioni – Contratti parasociali –

Contenuto.

(codice civile, artt. 1321, 2341 bis, 2341 ter, t.u.f., artt. 122 e 123).

Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori; pertanto, anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale, può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell’attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto, il cui accertamento, nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 seg. c.c., è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in cassazione ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 20 giugno 2006, n. 14280 (Pres. PROTO – Est. NAPPI), in Società, 2007, 967, con nota di S. PASCALI.

Società di persone – Società di fatto – Prova – Rapporti interni

tra i soci – Rapporti esterni con i terzi – Fallimento –

Applicabilità dell’art. 10 l. fall. prev.

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(codice civile, art. 2247, l. fall. prev., art. 10). [non massimata] CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 28 agosto 2006, n. 18618 (Pres. PROTO – Est. DI AMATO), in Società, 2007, 967, con nota di S. PASCALI.

Società di persone – Società di fatto – Fallimento – Applicabilità

dell’art. 10 l. fall. prev.

(codice civile, artt. 2193, 2290, 2300 e 2495; l. fall. prev., art. 10). In tema di fallimento, il principio, emergente dalla sentenza 21

luglio 2000 n. 319 e dalle ordinanze 7 novembre 2001 n. 361 ed 11 aprile 2002 n. 131 della corte costituzionale, secondo cui il termine di un anno dalla cessazione dell’attività, prescritto dall’art. 10 l.fall. ai fini della dichiarazione, di fallimento, decorre, tanto per gli imprenditori individuali quanto per quelli collettivi, dalla cancellazione dal registro delle imprese, anziché dalla definizione dei rapporti passivi, non esclude l’applicabilità del predetto termine anche alle società non iscritte nel registro delle imprese, nei confronti delle quali il necessario bilanciamento tra le opposte esigenze di tutela del creditori e di certezza delle situazioni giuridiche impone d’individuare il dies a quo nel momento in cui la cessazione dell’attività sia stata portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, o comunque sia stata dagli stessi conosciuta, anche in relazione ai segni esteriori attraverso i quali si è manifestata (in applicazione di tale principio, la suprema corte ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva rigettato l’istanza di fallimento proposta nei confronti di una società di fatto per intervenuta scadenza del termine di cui all’art. 10 cit., facendolo decorrere dalla data dell’atto notarile di trasferimento dell’azienda, da essa ritenuto idoneo a rendere manifesta la cessazione dell’attività).

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 3 novembre 2006, n. 23599 (Pres. DE MUSIS – Est. GIUSTI), in Società, 2007, 1468, con nota di F. DARDES (*)

Società di capitali – Società a responsabilità limitata –

Modificazione atto costitutivo – Aumento del capitale – Diritto di

opzione – Disciplina previgente – Termine per l’esercizio del

diritto di opzione – Decorrenza – Parità di trattamento dei soci

presenti ed assenti.

(codice civile previgente, art. 2495; codice civile, art. 2481 bis). Società di capitali – Deliberazione assembleare – Atto di

autonomia privata – Regole di interpretazione dei contratti –

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Applicabilità – Esame complessivo dell’atto – Interpretazione

secondo buona fede.

(codice civile, artt. 1366, 1375).

In tema di aumento del capitale sociale nelle società a responsabilità limitata (nella disciplina anteriore alle innovazioni introdotte dal d.lg. 17 gennaio 2003 n. 6), nonostante il silenzio dell'art. 2495 c.c. in ordine al termine minimo da riconoscere al socio per l'esercizio del diritto di opzione e l'omissione, in esso, di ogni richiamo al comma 2 dell'art. 2441 c.c. (che, per le società per azioni, stabilisce il termine minimo in trenta giorni dalla pubblicazione dell'offerta), il termine per l'esercizio del suddetto diritto non può essere tanto ristretto da rendere eccessivamente difficile ai soci la possibilità di fatto di avvalersene. Pertanto, ove la delibera assembleare di aumento del capitale sociale preveda, accanto a un termine per l'esercizio del diritto di opzione stabilito in una data fissa, un'autorizzazione agli amministratori ad interpellare i soci assenti, priva tuttavia di un'espressa specificazione sia in ordine al termine entro il quale effettuare detta comunicazione, sia in relazione alla data finale per l'esercizio, da parte di costoro, del diritto di sottoscrizione, correttamente il giudice del merito - allorché motivatamente ritenga sussistente un'oscurità nel tenore complessivo della volontà assembleare in base al solo operare del criterio letterale - ricorre al canone ermeneutico della buona fede, interpretando la delibera nel senso della previsione di un termine per l'esercizio del diritto di opzione eguale per tutti i soci (e pari allo spazio temporale che separa la data della delibera da quella di scadenza per l'esercizio del diritto di opzione), decorrente, per i soci assenti, dal giorno della comunicazione; e ciò, onde evitare che, per coloro i quali non presero parte all'assemblea, la congruità dello spatium deliberandi (e, con essa, la possibilità concreta di avvalersi del termine per l'esercizio dell'opzione) sia rimessa alla tempestività della comunicazione in loro favore effettuata dagli amministratori. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 11 dicembre 2006, n. 26325 (Pres. LOSAVIO – Est. PANZANI), in Società, 2007, 1362, con nota di M.M. GAETA

(*) Società di capitali – Società per azioni – Società collegate –

Oggetto sociale – Vantaggi compensativi.

(codice civile, artt. 2359, 2380 bis, 2384).

L'atto compiuto dagli amministratori in nome della società è estraneo all'oggetto sociale se non è idoneo in concreto a soddisfare un

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interesse economico, sia pure mediato e indiretto, ma giuridicamente rilevante della società. Sebbene l'appartenenza al medesimo gruppo societario consenta, in linea di principio, di riconoscere connessioni economiche rilevanti tra gli interessi, formalmente distinti, dei vari soggetti giuridici che compongono il gruppo (sì da giustificare attività dirette al perseguimento di un interesse che esula da quello proprio e specifico delle singole società, inteso in senso stretto, ma vi è ricompreso in senso mediato), tuttavia la mera ipotesi della sussistenza di vantaggi compensativi non è sufficiente al fine di affermare la legittimità dell'atto sul piano dei limiti imposti dall'oggetto sociale, ma l'amministratore ha l'onere di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta. II. TITOLI DI CREDITO

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 18 gennaio 2005, n. 948 (Pres. DE

MUSIS – Est. CARBONE), in Banca e borsa, 2006, II, 461, con nota di L. FURGIUELE.

Titoli di credito – Assegno bancario – In genere – Privo di valore

cartolare – In conseguenza del suo ammortamento – Natura –

Promessa di pagamento – Effetti – Legittimazione – A favore del

mero possessore del titolo, non prenditore né giratario –

Esclusione – Fondamento.

(codice civile, art. 1988; r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 74). Il mero possessore di un assegno bancario privo di efficacia

cartolare per effetto del suo avvenuto ammortamento, che non sia né prenditore né giratario dello stesso, non può considerarsi legittimato alla pretesa del credito ivi contenuto, avvalendosi - allo scopo - del suddetto titolo quale promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 c.c., atteso che l’inversione dell’onere della prova, prevista da tale disposizione, opera solo nei confronti di colui al quale la promessa sia stata fatta; da ciò consegue che egli non è esonerato dalla prova dell’esistenza del rapporto giuridico dal quale discende l’obbligazione del promittente, non essendo riconducibile, al semplice dato del possesso del titolo all’ordine, univoco significato ai fini della legittimazione, poiché non è possibile escludere che il titolo di credito sia stato acquisito abusivamente.

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CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 15 febbraio 2005, n. 3031 (Pres. PLENTEDA – Est. GILARDI), in Banca e borsa, 2006, II, 133, con nota di R. SENIGAGLIA.

Titoli di credito – Assegno bancario – Avallo – Principio di

accessorietà – Prescrizione dell’azione cartolare – Obbligazione

fideiussoria – Onere probatorio.

(legge assegni, artt. 30, 75; codice civile, art. 1937, 1988).

La sottoscrizione di un assegno bancario per avallo comporta che la garanzia prestata dal terzo non si estende, salva la dichiarazione di una volontà diversa, al rapporto causale intercorrente tra creditore e debitore principale e, quindi, la garanzia cessa nel caso di prescrizione dell’azione cartolare e non può essere invocata dal creditore che esercita l’azione causale; tuttavia, alla dichiarazione di avallo può affiancarsi una promessa extracambiaria di garanzia personale per l’adempimento del debito portato dalla cambiale o di quello risultante da un rapporto causale sottostante, ma l’esistenza di tale obbligazione fideiussoria non è desumibile, in via presuntiva, dalla sola dichiarazione di avallo, dovendo essere fornita la prova di una volontà espressamente diretta ad assumerla, in conformità di quanto previsto all’art. 1937 c.c. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III, 30 marzo 2005, n. 6732 (Pres. VITTORIA – Est. PETTI), in Banca e borsa, 2006, II, 699, con nota di E. FUSCO.

Protesto bancario illecito – Colpa della banca – Risarcimento dei

danni all’imprenditore danneggiato – Risarcimento del danno

morale – Onere della prova a carico del danneggiato.

(codice civile, artt. 2043, 2059; legge assegni, artt. 60 ss.). [non massimata] CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III, 18 aprile 2005, n. 8005 (Pres. FIDUCCIA – Est. DURANTE), in Banca e borsa, 2007, II, 286, con nota di R. LUPOLI.

Titoli di credito – Assegno bancario – Non trasferibile – Banca

girataria per l’incasso – Pagamento a soggetto non legittimato ex

art. 43 legge assegni – Conseguenze – Responsabilità

extracontrattuale della banca verso i danneggiati.

(legge assegni, art. 43; codice civile, art. 2043).

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La banca girataria per l’incasso di assegno non trasferibile non può qualificarsi sostituto di quella trattaria nell’adempimento della convenzione di assegno (e, quindi, in rapporto contrattuale con il traente) ma, in quanto investita della procura all’incasso, deve essere considerata rappresentante del girante in nome e per conto del quale riceve il pagamento; ne consegue che, qualora essa violi l’obbligo legale di pagare l’assegno non trasferibile soltanto ad uno dei soggetti indicati nell’art. 43, 2º comma, r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, sorge a suo carico una responsabilità extracontrattuale verso tutti coloro che possono essere pregiudicati dal pagamento a soggetto diverso, compreso il traente.

In caso di irregolare pagamento, da parte della banca girataria per l’incasso, di assegno bancario recante la clausola di non trasferibilità a soggetto non legittimato, ai fini della configurabilità della responsabilità extracontrattuale in capo alla banca, anche se il pagamento in violazione di una clausola di intrasferibilità configura un illecito bancario astrattamente idoneo a produrre un danno, per la risarcibilità di esso è pur sempre necessario che chi agisce per il risarcimento ne provi l’esistenza e l’ammontare, fermo restando che, per la relativa determinazione, il quantum non necessariamente limitato all’importo dell’assegno, ma può essere eventualmente integrato da ulteriori pregiudizi che siano conseguenza immediata e diretta della violazione della clausola di non trasferibilità.

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 13 maggio 2005, n. 10118 (Pres. LUCCIOLI – Est. SPAGNA MUSSO), in Banca e borsa, 2006, II, 683, con nota di F. ACCETTELLA (*)

Titoli di credito – Assegno bancario – Non trasferibile –

Sottratto da terzi e incassato – Disciplina di cui all’art. 43 r.d. n.

1736 del 1933 – Contenuto – Obbligo per la banca che abbia

pagato al legittimato apparente di pagare all’effettivo e legittimo

prenditore – Affermazione – Fondamento.

(codice civile, art. 1189; legge assegno, art. 43). Titoli di credito – Assegno bancario – Non trasferibile –

Pagamento a soggetto qualificantesi come rappresentante del

prenditore – Oneri di controllo da parte della banca – Portata.

(legge assegno, art. 43).

Quando la banca girataria per l'incasso di un assegno bancario munito di clausola di intrasferibilità abbia eseguito il pagamento nei confronti di un soggetto non creditore e legittimato solo in modo apparente è tenuta ad un nuovo pagamento nei confronti dell'effettivo e legittimo

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prenditore, ai sensi dell'art. 43 del r.d. n. 1736 del 1933, il quale stabilisce che "colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore risponde del pagamento". Tale disposizione costituisce una previsione speciale, sia rispetto alla normativa generale regolante il pagamento dei titoli di credito cosiddetti a legittimazione variabile, sia rispetto all'art. 1189 c.c., riguardante il pagamento al creditore apparente.

Quando l'assegno non trasferibile sia presentato da persona che adduca di agire in nome e per conto del prenditore in forza di rappresentanza negoziale, la banca, in quanto tenuta a controllare la coincidenza del presentatore con il prenditore ai sensi ed agli effetti dell'art. 43 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, ha l'onere di acquisire prova di tale rappresentanza.

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III, 16 giugno 2005, n. 12964 (Pres. VITTORIA – Est. TRIFONE), in Banca e borsa, 2007, II, 162, con nota di L. MAGGIORE.

Pegno di titoli di credito – Pegno regolare e irregolare –

Interpretazione delle clausole del contratto di garanzia –

Qualificazione – Pegno regolare di titoli di credito – Vendita

della cosa oggetto del pegno.

(codice civile, artt. 1851, 1997, 2748, 2797).

È esente da vizi logici o violazione di legge la sentenza di merito che configuri il pegno regolare di titoli di credito (nella specie, relativo a titoli dati in pegno da una compagnia di assicurazione all’Uci, a garanzia di future obbligazioni per sinistri stradali causati all’estero da veicoli suoi assicurati) qualora nel contratto sia previsto: che i titoli vengano immessi in conto a deposito con rubrica a nome della compagnia e con possibilità di sostituzione di essi solo previo accordo; gli incassi di cedole scadute debbano essere rimessi alla società, restando a carico della stessa le spese e gli oneri relativi al pegno; il creditore possa realizzare il pegno solo in caso di mancato pagamento preceduto da richiesta di pagamento formulata a mezzo lettera raccomandata; il creditore, a tal fine, per la vendita del pegno, debba osservare le prescrizioni di cui all’art. 2797 c.c. e sia munito di mandato a vendere in rem propriam, il quale non determina il trasferimento in capo al mandatario della proprietà del bene e non priva il mandante del potere di disporre del suo diritto di proprietà sul bene oggetto del mandato; si esula dall’ipotesi di pegno regolare e si rientra, viceversa, nella disciplina del pegno irregolare, qualora il debitore, a garanzia dell’adempimento della sua obbligazione, abbia vincolato al suo creditore un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati, conferendo

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a quest’ultimo anche la facoltà di disporre del relativo diritto, come delineato dall’art. 1851 c.c., norma (riferita all’anticipazione bancaria, ma che costituisce tuttavia la regola generale di ogni altra ipotesi di pegno irregolare) in base alla quale il creditore garantito acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, che dovrà restituire al momento dell’adempimento o, in caso di inadempimento, dovrà rendere per quella parte eccedente l’ammontare del credito garantito, determinata in relazione al valore delle cose al tempo della relativa scadenza.

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III, 28 giugno 2005, n. 13906 (Pres. VITTORIA – Est. TALEVI), in Banca e borsa, 2007, II, 437, con nota di C.M. DE IULIIS.

Titoli di credito – Assegno bancario – Rappresentanza.

(legge assegni, art. 14).

In tema di assegni bancari, requisiti per la valida assunzione di una obbligazione cartolare in nome altrui sono, ai sensi dell’art. 14 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, non solo l’esistenza di una procura o di un potere ex lege, ma anche (atteso il principio di letteralità, in base al quale solo ciò che sul titolo è scritto determina la sussistenza e le caratteristiche dei diritti sul medesimo fondati) l’apposizione della sottoscrizione con l’indicazione della qualità ancorché senza l’uso di formule sacramentali e con le sole modalità idonee a rendere evidente ai terzi l’avvenuta assunzione dell’obbligazione per conto di altri. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 22 settembre 2005, n. 18642 (Pres. LOSAVIO – Est. RORDORF), in Banca e borsa, 2007, II, 429, con nota di F. ACCETTELLA.

Titoli di credito – Assegno bancario – Sbarrato – Pagamento –

Qualità di cliente – Nozione – Rapporti ripetuti e risalenti –

Necessità – Fattispecie.

(legge assegni, art. 41).

Ai fini della verifica circa la regolarità del pagamento dell’assegno sbarrato, per «cliente», nell’accezione accolta dall’art. 41 r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, deve intendersi la persona già nota al banchiere in virtù di pregressi e reiterati rapporti di affari, tipici del servizio bancario, atteso che la ragion d’essere della clausola di sbarramento riposa proprio in una richiesta di maggiore cautela nell’incasso, che può considerarsi soddisfatta in presenza di un rapporto personale tra banca e cliente; ne consegue che a

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tal fine deve ritenersi insufficiente la pura e semplice apertura di un conto corrente bancario, magari solo poco tempo prima la presentazione all’incasso dell’assegno (nella specie, la suprema corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza di merito che, in forza di un apprezzamento dei fatti incensurabile in sede di legittimità, ha riconosciuto qualità di cliente a chi intrattiene con la banca rapporti di conto corrente ripetuti, facendovi accreditare i ratei della propria pensione, e perduranti da un significativo lasso di tempo).

In tema di responsabilità della banca nel caso in cui sia portato all’incasso un assegno alterato, il principio secondo cui la banca girataria per l’incasso, oltre ad essere mandataria del prenditore girante, è altresì sostituta della banca trattaria nel pagamento cui quest’ultima è obbligata nei confronti del cliente, comporta che su di essa incombe l’onere di verificare quelle condizioni di legittimità dell’operazione che, al momento della presentazione del titolo, sono effettivamente controllabili, quale l’identità del presentatore, ma non anche che ogni verifica necessaria per il pagamento sia a suo carico, non potendosi ritenere che la banca trattaria resti, per parte sua, esonerata dal compito di controllare la materiale genuinità dell’assegno che le è richiesto di pagare e che, proprio per questo motivo, deve essere trasmesso dalla banca girataria a quella trattaria prima che questa provveda al pagamento.

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 6 ottobre 2005, n. 19512 (Pres. CRISCUOLO – Est. DEL CORE), in Banca e borsa, 2007, II, 285, con nota di R. LUPOLI.

Titoli di credito – Assegno circolare – Non trasferibile – Banca

girataria per l’incasso – Pagamento a soggetto non legittimato ex

art. 43 legge assegni – Conseguenze – Responsabilità quasi

contrattuale della banca verso i danneggiati – Termine di

prescrizione ordinario.

(legge assegni, art. 43; codice civile, art. 1173). La banca girataria per l’incasso di un assegno circolare non

trasferibile è responsabile del pagamento del titolo effettuato, in violazione dell’obbligo di diligente accertamento della legittimazione del prenditore, ad un soggetto diverso da quest’ultimo e che abbia apposto la propria firma «per conoscenza e garanzia» al fine non già di attestare l’identità del prenditore, bensì di sostituirlo nell’incasso della somma.

In tema di disciplina dell’assegno bancario non trasferibile, l’art. 43 r.d. n. 1736 del 1933 - concernente anche l’assegno circolare non trasferibile in virtù del rinvio contenuto nell’art. 86 r.d. cit. - nella parte in

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cui stabilisce la responsabilità di colui che paga il titolo a persona diversa dal prenditore è applicabile anche alla banca girataria per l’incasso, benché quest’ultima provveda soltanto ad anticipare la valuta acquistando la legittimazione all’esercizio del diritto cartolare, in quanto la locuzione «colui che paga», contenuta in detta norma, da interpretare in correlazione con l’art. 41 dello stesso r.d., impone di estendere a quest’ultima la succitata responsabilità, anche allo scopo di rafforzare la tutela dei terzi interessati alla regolarità del pagamento, tenuto conto che il trattario non è tenuto a verificare l’autenticità delle firme.

La responsabilità nei confronti del beneficiario di un assegno circolare non trasferibile in cui incorre la banca girataria per l’incasso qualora, violando l’obbligo di diligente accertamento dell’identità e della legittimazione del presentatore del titolo, paghi l’assegno a persona diversa dal predetto (art. 43 ed 86 r.d. n. 1736 del 1933), non ha natura né extracontrattuale, in quanto non consegue dalla violazione di una norma di condotta, né contrattuale, poiché non sussiste tra dette parti alcun rapporto negoziale, dato che detta banca è estranea sia alla convenzione di assegno sia al rapporto di emissione del medesimo, bensì costituisce violazione di un’obbligazione ex lege, riconducibile, in base all’art. 1173 c.c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico, siccome derivante dalla violazione dell’obbligo posto a suo carico dall’art. 43 r.d. cit., di pagare l’assegno esclusivamente all’intestatario, titolare del diritto di agire per il risarcimento del danno eventualmente subìto, con la conseguenza che siffatto diritto è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 9 giugno 2006, n. 13463 (Pres. DE

MUSIS – Est. SPAGNA MUSSO), in Banca e borsa, 2007, II, 553, con nota di N. DE LUCA (*)

Titoli di credito – Assegno bancario – Pagamento – Firma di

remittenza o di girata – Requisiti – Con riferimento agli enti

collettivi – Controllo della banca – Ambito.

(r.d. 14 dicembre 1933, n. 1669, art. 8; r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, artt. 3, 11).

La sottoscrizione (di emittenza o) di girata di un assegno (o di una cambiale), per rispondere ai requisiti prescritti dall'art. 11 r.d. n. 1736 del 1933 (o dall'art. 8 r.d. n. 1669 del 1933), improntati al rigore formale delle obbligazioni cartolari, deve soddisfare le esigenze di chiarezza, univocità e certezza, onde in ogni caso la sottoscrizione stessa deve essere riconoscibile, nel senso che essa deve consentire che sia accertata l'identità

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del sottoscrittore. Dette prescrizioni non vengono meno nel caso in cui l'assegno (o la cambiale) sia emesso o girato da un ente collettivo (persona giuridica, società commerciale) richiedendosi anche, in detta ipotesi che la dicitura di emissione o di girata, se pur non deve necessariamente contenere una specifica formula dalla quale risulti il rapporto di rappresentanza, sia tale da esplicitare un collegamento tra il firmatario e l'ente, cosicché non vi siano dubbi in ordine al fatto che la dichiarazione cartolare sia stata emessa dal sottoscrittore in nome e per conto dell'ente. Incorre, quindi, in responsabilità la banca che, in ordine al pagamento di un assegno ometta l'uno e/o l'altro degli accertamenti suddetti, essendo a suo carico il diligente controllo della legittimazione del presentatore. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 25 agosto 2006, n. 18543 (Pres. DE

MUSIS – Est. SCHIFO), in Banca e borsa, 2007, II, 285, con nota di R. LUPOLI.

Titoli di credito – Assegno bancario – Non trasferibile –

Pagamento a persona diversa dal prenditore o dal banchiere

giratario per l’incasso – Disciplina e conseguenze –

Responsabilità della banca – Obbligazione ex lege - Sussistenza.

(legge assegni, art. 43; codice civile, art. 1189).

L’obbligo di pagare l’assegno non trasferibile esclusivamente all’intestatario del titolo deriva dall’art. 43, 2º comma, r.d. 21 dicembre 1933 n. 1736, che, nel disporre che colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento, regola in modo autonomo l’adempimento dell’assegno non trasferibile, con deviazione sia dalla disciplina generale del pagamento dei titoli di credito con legittimazione variabile, sia dal disposto del diritto comune delle obbligazioni di cui all’art. 1189 c.c., che libera il debitore che esegua il pagamento in buona fede in favore del creditore apparente (con relativo onere probatorio a carico del solvens); nell’ipotesi di pagamento di assegno bancario non trasferibile, invece, la banca che abbia effettuato il pagamento in favore di chi non era legittimato non è liberata dall’originaria obbligazione finché non paghi al prenditore esattamente individuato (o al banchiere giratario per l’incasso), e ciò a prescindere dalla sussistenza dell’elemento della colpa nell’errore sulla identificazione dello stesso prenditore, derivando la responsabilità della banca, che paghi al giratario senza osservare la clausola di non trasferibilità, dalla violazione dell’obbligazione ex lege, posta a suo carico dall’art. 43, 2º comma, cit. r.d., di pagare l’assegno

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esclusivamente all’intestatario, titolare del diritto di agire per il risarcimento del danno eventualmente subìto.

In capo alla banca girataria per l’incasso, la quale, avendo ricevuto l’assegno bancario non trasferibile, non dal prenditore dell’assegno, ma (in violazione del divieto di cui all’art. 43 r.d. 2 dicembre 1933 n. 1736) dal terzo beneficiario di una girata, abbia accettato da questo l’incarico di incassare il titolo presso la banca trattaria, è configurabile una responsabilità contrattuale per inadempimento del mandato (nella specie la banca, dopo aver accreditato, salvo buon fine, la somma portata dal titolo sul conto corrente del beneficiario della girata, aveva stornato la predetta somma, comunicando di non aver potuto presentare l’assegno alla banca trattaria e di essere impedita a procedere all’incasso in conseguenza dello smarrimento del titolo). III. CONTRATTI BANCARI E FINANZIARI

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III, 25 febbraio 2004, n. 3805 (Pres. NICASTRO – Est. AMATUCCI), in Banca e borsa, 2006, II, 155, con nota di S. SANTOCHIRICO.

Fidejussione – Obbligazioni future o condizionali – Previsione di

un limite massimo per il solo debito principale – Caducazione

della garanzia – Esclusione – Estensione del limite massimo della

garanzia anche agli accessori del debito – Sussistenza.

(codice civile, artt. 1938, 1942).

In relazione al contratto di fideiussione, la mancata previsione di un limite la quale attenga ai soli accessori del debito principale non comporta l’effetto della caducazione della garanzia, perché l’estensione della limitazione prevista per il debito principale agli accessori è stabilita dalla legge; ne consegue che, tutte le volte che la garanzia fideiussoria per obbligazioni condizionali o future sia prestata con l’indicazione dell’importo massimo garantito riferito al solo capitale, «oltre accessori e spese», l’importo predetto va inteso come limite della fideiussione per capitale, interessi ed ogni altro accessorio del debito principale.

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III, 20 ottobre 2004, n. 20588 (Pres. VITTORIA – Est. DI NANNI), in Banca e borsa, 2006, II, 138, con nota di A. TUCCI.

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Società di intermediazione mobiliare – Illecito del promotore

finanziario – Responsabilità della Sim per i danni arrecati dai

promotori finanziari – Sussistenza.

(codice civile, artt. 1228, 2049; l. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 5). Ai fini della sussistenza della responsabilità della società di

intermediazione mobiliare per i danni arrecati a terzi dai promotori finanziari nello svolgimento delle incombenze loro affidate è sufficiente un rapporto di «necessaria occasionalità» tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni affidategli, a nulla rilevando che il comportamento del promotore abbia esorbitato il limite fissato dalla società, come si desume dall’art. 2049 c.c., la cui portata è stata estesa dall’art. 5, 4º comma, l. n. 1 del 1991 (nella specie, riferita a versamenti per duecento milioni di lire, effettuati tra il 1990 e il 1992 da un risparmiatore a mani del promotore e affiancati a un primo investimento per trentasette milioni di lire andato a buon fine, la suprema corte ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità della Sim senza considerare che il comportamento del promotore aveva ingenerato nel cliente l’affidamento incolpevole che il suo investimento avesse avuto come destinatario finale la Sim, restando irrilevanti, nel regime di cui alle normative citate, le forme seguite dalle parti per i pagamenti, trattandosi di elementi secondari non idonei a interrompere il nesso di occasionalità necessaria). CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III, 28 giugno 2005, n. 13906 (Pres. VITTORIA – Est. TALEVI), in Banca e borsa, 2007, II, 437, con nota di C.M. DE IULIIS.

Contratti bancari – Conto corrente – Delega – Poteri del

delegato. (codice civile, artt. 1387 ss., 1852 ss.). L’accordo tra il cliente e la banca in base al quale anche altro

soggetto (c.d. delegato) è autorizzato a compiere operazioni sul conto corrente spiega unicamente l’effetto di vincolare la banca, per le operazioni e nei limiti di importo stabiliti, a considerare alla stessa stregua di quella del delegante la firma del delegato, e non comporta anche il conferimento a quest’ultimo di un potere generale di agire in rappresentanza del delegante per il compimento di qualsiasi tipo di atto. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 8 novembre 2005, n. 21641 (Pres. OLLA – Est. RORDORF), in Banca e borsa, 2007, II, 1, con nota di A. TUCCI.

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Contratto di borsa a termine – Compravendita a termine di titoli

azionari – Diritti accessori – Diritto di recesso – Trasferimento –

Momento rilevante – Maturare del termine.

(codice civile, artt. 1531-1533, 2437). Responsabilità civile – Banca – Doveri derivanti dallo status di

soggetto appartenente al sistema bancario – Violazione –

Responsabilità extracontrattuale – Sussistenza.

(codice civile, artt. 1227, 2043, 2056; l. 19 giugno 1986, n. 289, art. 3). Nel caso di vendita a termine di titoli azionari, il diritto di recesso

contemplato dall’art. 2437 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d.leg. 17 gennaio 2003 n. 6, applicabile nella specie ratione temporis) - a differenza del diritto di opzione e degli altri diritti presi in considerazione degli art. 1531 seg. c.c. - non passa immediatamente in capo al compratore, ma resta di spettanza del venditore fino al momento in cui, col maturare del termine, questi non abbia perso la titolarità delle azioni; dai cit. art. 1531 seg. c.c. - destinati a risolvere specifiche situazioni di contrapposizione d’interessi tra compratore e venditore in ipotesi di vendita a termine di titoli di credito - non può infatti dedursi l’esistenza di una regola generale, in forza della quale, nel caso di vendita a termine di titoli azionari, tutti i diritti sociali si trasmettono immediatamente al compratore, con la sola eccezione del diritto di voto menzionato dal 2º comma, art. 1531; né, d’altra parte, è ipotizzabile l’applicazione analogica al diritto di recesso della disciplina prevista per il diritto di opzione - che in pendenza del termine compete al compratore, ai sensi dell’art. 1532 - trattandosi di istituti di fondamento logico ben diverso; giacché l’uno - il diritto di opzione - è destinato ad assicurare a ciascun socio la possibilità di mantenere la preesistente percentuale di partecipazione in caso di aumento del capitale, e dunque esprime un’esigenza di stabilità nel rapporto reciproco tra i soci; mentre l’altro - il diritto di recesso - è finalizzato a porre termine alla partecipazione sociale, consentendo al socio che dissente da determinate decisioni della maggioranza, modificative dell’assetto della società, di fuoriuscire dalla compagine societaria.

Nell’ordinamento giuridico vigente, pur non esistendo a carico di ciascun consociato un generale dovere di attivarsi al fine di impedire eventi di danno, vi sono molteplici situazioni dalle quali possono nascere, per i soggetti che vi sono coinvolti, doveri e regole di azione, la cui inosservanza integra la nozione di omissione imputabile e la conseguente responsabilità civile; tale affermazione si attaglia, in particolare, alla disciplina normativa che regola il sistema bancario, la quale impone, a tutela del sistema stesso e dei soggetti che vi sono inseriti, comportamenti in parte tipizzati ed in parte

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enucleabili caso per caso, la cui violazione può costituire culpa in omittendo e, correlativamente, fonte di responsabilità extracontrattuale (fattispecie di ritenuta responsabilità di una banca per aver rilasciato a propri clienti una dichiarazione attestante la data dell’acquisto di azioni operato in borsa per conto loro, senza specificare che si era trattato di acquisto a termine con scadenza successiva alla data di adozione di una deliberazione assembleare idonea a legittimare l’esercizio del diritto di recesso - al quale la dichiarazione stessa risultava finalizzata - inducendo così in errore i funzionari della società circa l’effettiva esistenza del diritto di recesso in capo ai compratori, che ottenevano conseguentemente il rimborso delle azioni).

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 12 maggio 2006, n. 11004 (Pres. OLLA – Est. SCHIRÒ), in Banca e borsa, 2007, II, 731, con nota di M. DI

PIETROPAOLO (*) Contratti bancari – Deposito pecuniario – A risparmio – Rilascio

di libretto di deposito a risparmio – Soggetto titolare del

rapporto diverso dal possessore del libretto – Qualifica di cliente

agli effetti degli obblighi di informazione gravanti sulla banca -

Spettanza.

(d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385, art. 119; d.lgs. 4 agosto 1999 n. 342, art. 24). Contratti bancari – Diritto di copia previsto dall’art. 119,

comma 4°, d.lgs. n. 385 del 1993 – Applicabilità anche ai

rapporti conclusi - Sussistenza.

(d. lgs. 1° settembre 1993 n. 385, art. 119; d. lgs. 4 agosto 1999 n. 342, art. 24). Contratti bancari – Diritto di copia previsto dall’art. 119,

comma 4°, d.lgs. n. 385 del 1993 – Indicazione, da parte del

cliente, degli estremi del relativo rapporto – Necessità –

Esclusione – Indicazione degli elementi indispensabili per

l’individuazione dei documenti richiesti - Sufficienza.

(codice civile, art. 1375; c.p.c., art. 210; d. lgs. 1° settembre 1993 n. 385, art. 119; d. lgs. 4 agosto 1999 n. 342, art. 24). Contratti bancari – Diritto di copia previsto dall’art. 119,

comma 4°, d.lgs. n. 385 del 1993 – Estensione al successore del

cliente – Sussistenza anche anteriormente alla espressa

previsione di tale estensione ad opera dell’art. 24, comma 2°,

d.lgs. n. 342 del 1999.

(d. lgs. 1° settembre 1993 n. 385, art. 119; d. lgs. 4 agosto 1999 n. 342, art. 24).

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Ai fini dell'applicazione dell'art. 119, comma 1 e comma 4

(quest'ultimo come sostituito dall'art. 24, comma 2, d.lgs. 4 agosto 1999 n. 342) d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) e nel caso in cui sia stato stipulato un contratto di deposito bancario con rilascio di un libretto di deposito a risparmio, deve considerarsi cliente della banca - avente diritto a ricevere per iscritto, alla scadenza del contratto e almeno una volta all'anno, una comunicazione completa e chiara in merito allo svolgimento del rapporto e ad acquisire copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni nell'ambito del suddetto rapporto contrattuale di deposito bancario - non solo il possessore del libretto di deposito, legittimato al compimento delle operazioni riguardanti il titolo, ma anche, se diverso dal possessore del libretto, il soggetto titolare del rapporto di deposito, che, quale parte del rapporto contrattuale con la banca, può comunque avere interesse ad acquisire la documentazione inerente alle operazioni relative al suo svolgimento.

L'art. 24, comma 2, d.lgs. n. 342 del 1999 - che ha modificato, sostituendolo, l'art. 119, comma 4, d.lgs. n. 385 del 1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) - estendendo al successore a qualunque titolo del cliente della banca e a colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni il diritto, riconosciuto al dante causa, di avere copia della documentazione inerente a singole operazioni bancarie poste in essere negli ultimi dieci anni, ha reso esplicito, per il successore a titolo universale, un principio già desumibile dall'art. 119, comma 4, d.lgs. n. 385 del 1993, nel testo vigente antecedentemente alla modifica introdotta dal citato art. 24, comma 2, in quanto il diritto di copia della documentazione relativa a singole operazioni, riconosciuto in favore del de cuius facente parte dei rapporti giuridici a questi intestati, si trasmetteva, anche nel vigore della precedente normativa, al soggetto che fosse succeduto universalmente al cliente della banca.

L'art. 119, comma 4, d.lgs. n. 385 del 1993, come sostituito dall'art. 24, comma 2, d.lgs. n. 342 del 1999, riconoscendo al cliente della banca, al suo successore a qualunque titolo e a colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni il diritto di ottenere copia della documentazione relativa a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, si applica anche a situazioni soggettive che, se pur derivanti da un rapporto concluso, non hanno ancora esaurito nel tempo i loro effetti, con la conseguenza che detto diritto di copia è riconosciuto al cliente della banca e al suo successore prescindendo dall'attualità del rapporto a cui la documentazione richiesta si riferisce.

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L’art. 119, comma 4, d.lgs. n. 385 del 1993, come sostituito dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 342 del 1999, che riconosce al cliente della banca, al suo successore a qualunque titolo e a colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni il diritto di ottenere copia della documentazione relativa a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, va interpretato, alla luce del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), nel senso che esso attribuisce ai suddetti soggetti il diritto di ottenere la documentazione inerente a tutte le operazioni del periodo cui il richiedente sia in concreto interessato, nel rispetto del limite di tempo decennale fissato dalla norma, e che comunque non è necessario che il richiedente indichi specificamente gli estremi del rapporto cui si riferisce la documentazione richiesta in copia, essendo sufficiente che l’interessato fornisca alla banca gli elementi minimi indispensabili per consentirle l’individuazione dei documenti richiesti, quali ad esempio i dati concernenti il soggetto titolare del rapporto, il tipo di rapporto a cui è correlata la richiesta e il periodo di tempo entro il quale le operazioni da documentare si sono svolte.

IV. DIRITTO FALLIMENTARE

CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 19 gennaio 2006, n. 1060 (Pres. LOSAVIO – Est. CELENTANO), in Banca e borsa, 2007, II, 565, con nota di G. TERZINI (*)

Fallimento – Effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori –

Azione revocatoria fallimentare – Atti a titolo oneroso,

pagamenti e garanzie – Accreditamento di somme riscosse dalla

banca per mandato del cliente – Esclusione della compensazione

legale – Rimesse in conto corrente – Natura solutoria – Revoca.

(codice civile, artt. 1243, 1853; legge fallimentare, art. 67, comma 1°). Fallimento – Revocatoria fallimentare – Conoscenza da parte del

terzo dello stato di insolvenza del debitore – Mezzo anormale di

pagamento – Revoca.

(codice civile, art. 2729; legge fallimentare, art. 67, comma 1°).

L'inclusione da parte di una banca nel conto corrente del cliente di somme ad essa rimesse da terzi, per effetto di mandato all'incasso (sia esso o non "in rem propriam") conferitole dal cliente medesimo, non realizza un'obbligazione autonoma della banca, ex mandato di rimettere al mandante le somme riscosse, ma, determinando, nell'ambito dell'unitario

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complesso rapporto di conto corrente, una variazione quantitativa del debito del correntista, non inquadrabile nello schema della compensazione legale che presuppone l'autonomia delle reciproche obbligazioni, configura secondo l'intento pratico perseguito dalle parti, o un atto ripristinatorio della disponibilità del correntista, ovvero un atto direttamente solutorio delle somme mutuate dalla banca al cliente ed addebitate nel conto, con la conseguenza, in questa seconda ipotesi, che, sopravvenuto il fallimento del correntista, quelle rimesse, in quanto atti estintivi di debiti, sono assoggettabili a revocatoria, ai sensi dell'art. 67, comma 2°, l. fall.

In tema di revocatoria fallimentare, la qualificazione dell'atto o del negozio o dei negozi collegati come mezzo anormale di pagamento, e la valutazione degli stessi come indici presuntivi di scientia decoctionis, si pongono su piani diversi e rispondono a finalità altrettanto diverse: pertanto, non contrasta con alcuna regola di diritto la possibilità che proprio la singolarità dell'atto e del negozio o dei negozi collegati, le modalità specifiche della loro stipulazione e la sostanziale configurazione degli stessi come mezzo anormale di pagamento siano assunti quali indici della conoscenza dello stato d'insolvenza . CORTE DI CASSAZIONE, Sezioni Unite, 28 marzo 2006, n. 7028 (Pres. aggiunto CARBONE – Pres. di sez. PRESTIPINO – Est. MORELLI), in Giur. comm., 2007, II, 567, con nota di G. GUERRIERI (*)

Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Vendita di

immobile – Revocabilità – Eventus damni in re ipsa – Coincide

con la lesione della par condicio creditorum – Destinazione

parziale del prezzo al pagamento di creditore privilegiato –

Irrilevanza.

(legge fallimentare, art. 67; codice civile, art. 2901).

Ai fini della revoca della vendita di propri beni effettuata dall'imprenditore, poi fallito entro un anno, ai sensi dell'art. 67, l. fall., comma 2, l'eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum, ricollegabile, per presunzione legale ed assoluta, all'uscita del bene dalla massa conseguente all'atto di disposizione. Per cui grava, in tal senso, sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'acquirente, mentre la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato dall'imprenditore, poi fallito, per pagare un suo creditore privilegiato (eventualmente anche garantito, come nella specie, da ipoteca gravante sull'immobile compravenduto) non esclude la possibile lesione della par condicio, né fa venir meno l'interesse all'azione da parte del curatore,

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ASSOCIAZIONE GIAN FRANCO CAMPOBASSO per lo studio del Diritto Commerciale e Bancario

www.associazionegfcampobasso.it

(*) Indica le citazioni nuove o aggiornate rispetto alla precedente Rassegna.

Ultimo aggiornamento: Domenica 3 febbraio 2008.

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poiché è solo in seguito alla ripartizione dell'attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che anche successivamente all'esercizio dell'azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi. CORTE DI CASSAZIONE, Sezione I, 25 agosto 2006, n. 18550 (Pres. PROTO – Est. PLENTEDA), in Giur. comm., 2007, II, 567, con nota di G. GUERRIERI (*)

Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Pagamento –

Revocabilità – Eventus damni in re ipsa – Coincide con la lesione

della par condicio creditorum – Prognosi di capienza dell’attivo –

Irrilevanza.

Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Pagamento a

creditore privilegiato – Pronuncia di revoca – Insinuazione ex

art. 71 l. fall. – Reviviscenza della prelazione.

(legge fallimentare, art. 67; codice civile, art. 2901)

Ai fini della revoca del pagamento effettuato dall'imprenditore, poi fallito entro un anno, ai sensi dell'art. 67, comma 2, l. fall., l'eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all'uscita del bene dalla massa conseguente all'atto di disposizione: per cui grava, in tal senso, sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'accipiens, mentre la circostanza che il pagamento sia stato effettuato in favore di un creditore privilegiato non esclude la possibile lesione della par condicio, né fa venir meno l'interesse all'azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell'attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che successivamente all'esercizio dell'azione revocatoria potrebbero insinuarsi.

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ASSOCIAZIONE GIAN FRANCO CAMPOBASSO per lo studio del Diritto Commerciale e Bancario

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(*) Indica le citazioni nuove o aggiornate rispetto alla precedente Rassegna.

Ultimo aggiornamento: Domenica 3 febbraio 2008.

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A cura di

FEDERICO BRIOLINI

[email protected]

Associato nell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara

FRANCESCO ACCETTELLA

[email protected]

Dottorando di ricerca nell’Università di Roma “Tor Vergata”