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recensioni, commenti e segnalazioni A cura di Federica Napolitani Cheyne DIALOGHI DI UN CATTIVO MAESTRO. Marcello Cini. Torino: Bollati Boringhieri; 2001. 328 p. ISBN 88-339-1337-6. 24,79. Nei suoi Dialoghi di un cattivo maestro, Cini fonde insieme due temi di solito trattati separatamente: da un lato la ricostruzione della propria vita (personale e professionale), attraverso gli episodi chiave che ne hanno provocato le svolte decisive, dall’altro una riflessione sulle amarezze di un impegno civile che non di rado lo ha visto protagonista partecipe. Il “manifesto” del volume sgorga già nell’introduzione, dove l’autore dichiara “Non sono queste le memorie di una celebrità, né di un protagonista della vita pubblica. Non ho rocambolesche avventure da raccontare, né ho vissuto esperienze fuori dal comune. Una sola cosa dunque può giustificare questo tentativo (...): forse è proprio la normalità della mia vita. Le pagine che seguono ricostruiscono le tappe di uno qualsiasi dei cammini percorsi da tante persone normali che si sono trovate a condividere le vicende burrascose del secolo appena concluso.” Tuttavia il suo cammino di vita ha alcuni elementi di eccezionalità: Cini oltre a essere un brillante fisico teorico (professore universitario a soli 33 anni), è anche un intellettuale civilmente impegnato, estremamente attento ai cambiamenti della società e ostinato a capire le ragioni profonde dei fatti e delle trasformazioni italiane, convinto della necessità di trovare spiegazioni “vere”, non convenzionali, che permettessero di collegare eventi solo apparentemente sconnessi. Ed è stato capace di comunicare queste riflessioni, dubbi, intuizioni in maniera accessibile e comprensibile nei numerosissimi interventi su quotidiani e periodici: ma anche attraverso veri e propri volumi e libri, scritti spesso a più mani , il più noto dei quali resta L’ape e l’architetto. Sarebbe difficile esagerare l’impatto avuto da questo libro quando è uscito, specialmente su coloro che, come il più giovane di noi due recensori, allora era sui venticinque anni. Si trattava del primo tentativo non “paleo-positivista” (cioè non biecamente trionfalistico dell’innocenza e utilità del pro- gresso delle conoscenze scientifiche) che incontravamo nel nostro quotidiano lavoro di ricerca e di laboratorio, uno stile di analisi originale da applicare allo studio della scienza dei nostri giorni, in cui non ci si limitasse semplicemente a celebrare le magnifiche sorti e progressive della scienza. Il libro era fortunatamente ben lontano dal prendere posizioni antiscien- tifiche o peggio ancora luddiste. Scritto insieme a G. Ciccotti, D. De Maria e G. Jona-Lasinio suscitò grandi entusiasmi, ma anche grandi riprovazioni. A quelli di noi che allora lavoravano all’università, forniva finalmente un quadro concettuale per interpretare quel che avveniva nel mondo extra-laboratorio che ci circondava. Una delle tesi portanti del libro era che, pur essendo innegabile l’attuale successo della scienza, nel suo processo storico essa era stata influenzata dalla società, dai suoi bisogni: un’altra storia, un’altra società avrebbero prodotto un’altra scienza, anch’essa capace di spiegare i fenomeni ritenuti essenziali da quell’altra società. Questo ci permetteva finalmente di non considerare piú la scienza come un mostro sacro, obiettivo, neutrale, le cui scelte erano perfettamente razionali e quindi comprensibili solo da una logica interna riservata agli specialisti. La scienza diventava un’attività sociale come un’altra (forse, che richiedeva una molto maggiore dedizione) e le sue scelte venivano fatte anche per motivi irrazionali, extrascientifici, a volte apertamente socio-politici. Idee simili non erano nuove: già negli anni trenta Bucharin scriveva che la scienza era un’impresa pratica che aveva lo scopo di estendere il dominio dell’uomo sulla natura; più recentemente, negli anni ’60, Kuhn, nella sua Struttura delle rivoluzioni scientifiche (Einaudi Editore), aveva sottolineato la necessità di usare criteri ascientifici o irrazionali nella scelta tra due possibili linee alternative di sviluppo della scienza. Nei Dialoghi Cini ammette di essere stato profondamente influenzato da Kuhn, ma di aver voluto affrontare specialmente quei temi che da Kuhn erano considerati meno interessanti: soprattutto il nesso tra le rivoluzioni scientifiche e il contesto sociale e culturale, problema che invece occupò Cini per quasi un decennio. L’ape e l’architetto fu estremamente stimolante per parte almeno del mondo della cultura scientifica italiana (la nostra generazione ne risentì certamente molto) e influenzò profondamente alcuni giovani e giovanissimi; fu certamente Ann Ist Super Sanità 2002;38(1):95-104

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A cura diFederica Napolitani Cheyne

DIALOGHI DI UNCATTIVO MAESTRO.Marcello Cini.Torino: Bollati Boringhieri;2001. 328 p.ISBN 88-339-1337-6.€ 24,79.

Nei suoi Dialoghi di un cattivo maestro, Cini fonde insiemedue temi di solito trattati separatamente: da un lato laricostruzione della propria vita (personale e professionale),attraverso gli episodi chiave che ne hanno provocato le svoltedecisive, dall’altro una riflessione sulle amarezze di un impegnocivile che non di rado lo ha visto protagonista partecipe. Il“manifesto” del volume sgorga già nell’introduzione, dovel’autore dichiara “Non sono queste le memorie di una celebrità,né di un protagonista della vita pubblica. Non ho rocambolescheavventure da raccontare, né ho vissuto esperienze fuori dalcomune. Una sola cosa dunque può giustificare questo tentativo(...): forse è proprio la normalità della mia vita. Le pagine cheseguono ricostruiscono le tappe di uno qualsiasi dei camminipercorsi da tante persone normali che si sono trovate acondividere le vicende burrascose del secolo appena concluso.”

Tuttavia il suo cammino di vita ha alcuni elementi dieccezionalità: Cini oltre a essere un brillante fisico teorico(professore universitario a soli 33 anni), è anche un intellettualecivilmente impegnato, estremamente attento ai cambiamentidella società e ostinato a capire le ragioni profonde dei fatti edelle trasformazioni italiane, convinto della necessità di trovarespiegazioni “vere”, non convenzionali, che permettessero dicollegare eventi solo apparentemente sconnessi. Ed è statocapace di comunicare queste riflessioni, dubbi, intuizioni inmaniera accessibile e comprensibile nei numerosissimiinterventi su quotidiani e periodici: ma anche attraverso veri epropri volumi e libri, scritti spesso a più mani , il più noto deiquali resta L’ape e l’architetto. Sarebbe difficile esagerare

l’impatto avuto da questo libro quando è uscito, specialmentesu coloro che, come il più giovane di noi due recensori, alloraera sui venticinque anni.

Si trattava del primo tentativo non “paleo-positivista” (cioènon biecamente trionfalistico dell’innocenza e utilità del pro-gresso delle conoscenze scientifiche) che incontravamo nelnostro quotidiano lavoro di ricerca e di laboratorio, uno stile dianalisi originale da applicare allo studio della scienza dei nostrigiorni, in cui non ci si limitasse semplicemente a celebrare lemagnifiche sorti e progressive della scienza. Il libro erafortunatamente ben lontano dal prendere posizioni antiscien-tifiche o peggio ancora luddiste. Scritto insieme a G. Ciccotti,D. De Maria e G. Jona-Lasinio suscitò grandi entusiasmi, maanche grandi riprovazioni. A quelli di noi che allora lavoravanoall’università, forniva finalmente un quadro concettuale perinterpretare quel che avveniva nel mondo extra-laboratorio checi circondava. Una delle tesi portanti del libro era che, puressendo innegabile l’attuale successo della scienza, nel suoprocesso storico essa era stata influenzata dalla società, dai suoibisogni: un’altra storia, un’altra società avrebbero prodottoun’altra scienza, anch’essa capace di spiegare i fenomeniritenuti essenziali da quell’altra società. Questo ci permettevafinalmente di non considerare piú la scienza come un mostrosacro, obiettivo, neutrale, le cui scelte erano perfettamenterazionali e quindi comprensibili solo da una logica internariservata agli specialisti.

La scienza diventava un’attività sociale come un’altra(forse, che richiedeva una molto maggiore dedizione) e le suescelte venivano fatte anche per motivi irrazionali,extrascientifici, a volte apertamente socio-politici. Idee similinon erano nuove: già negli anni trenta Bucharin scriveva che lascienza era un’impresa pratica che aveva lo scopo di estendereil dominio dell’uomo sulla natura; più recentemente, negli anni’60, Kuhn, nella sua Struttura delle rivoluzioni scientifiche(Einaudi Editore), aveva sottolineato la necessità di usarecriteri ascientifici o irrazionali nella scelta tra due possibililinee alternative di sviluppo della scienza. Nei Dialoghi Ciniammette di essere stato profondamente influenzato da Kuhn,ma di aver voluto affrontare specialmente quei temi che daKuhn erano considerati meno interessanti: soprattutto il nessotra le rivoluzioni scientifiche e il contesto sociale e culturale,problema che invece occupò Cini per quasi un decennio.

L’ape e l’architetto fu estremamente stimolante per partealmeno del mondo della cultura scientifica italiana (la nostragenerazione ne risentì certamente molto) e influenzòprofondamente alcuni giovani e giovanissimi; fu certamente

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uno dei testi principali per la formazione dei fondatori delmovimento ambientalista e di molti altri. La reazione dellevisioni più conservative e sfortunatamente di gran partedell’establishment accademico fu furiosa: i più famosi e i piùautorevoli commentatori italiani (Lucio Colletti, Giorgio Bocca)trovarono la tesi della non neutralità della scienza completamenteintollerabile e cercarono di smontarla con una serie di banalitàimpressionanti del tipo “i corpi cadono nello stesso modo sottol’azione della forza di gravità nei paesi socialisti e nei paesicapitalisti”. Marcello Cini fu messo nella lista dei CattiviMaestri da Bocca come responsabile ultimo di nefaste tendenzeantiscientifiche e derive irrazionali. In realtà sembra oggi atanti anni di distanza vero tutto il contrario: ci sono fortitendenze antiscientifiche nella società attuale, il prestigio e lafiducia nella scienza sta diminuendo, le pratiche astrologiche eomeopatiche si diffondono, ma questa sfiducia di massa nellascienza è proprio dovuta anche al fatto che la scienza insiste apresentarsi come neutrale, quando in realtà non lo è affatto.Proprio il rifiuto caparbio di non accettare la propria nonneutralità indebolisce il prestigio degli scienziati che sbandieranouna obiettività che non è loro, davanti a un’opinione pubblicache in qualche modo ne avverte la parzialità di vedute.

È molto interessante leggere nei Dialoghi come oggi sianettamente percepibile il cambiamento, anche profondo, nelruolo dell’intellettuale “organico” in Italia, così come invecesi esprimeva a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, per quantoemerge dalla vita vissuta, e narrata, dell’autore. Dal testoaffiora anche la inesauribile capacità dell’autore nel fare almomento appropriato una azzeccatissima citazione deiGrundrisse, a studiare, ad assimilare e a fare il portavoce delpensiero di autori come lo psichiatra evoluzionista GregoryBateson e il bioeticista Hans Jonas per i quali la biologia el’antropologia assumono un ruolo centrale. Questo cambio diprospettiva è necessario, secondo Cini, anche perché “il mioè stato il secolo nel quale la civiltà umana ha appreso atrasformare la materia interte in modo di riuscire a progettaree costruire un mondo artificiale destinato a soddisfare sempremeglio i suoi crescenti bisogni materiali. Il dramma del nostrosecolo è stato però il fallimento del tentativo di rovesciaresull’umanità intera i benefici di questo accresciuto potere (...)Il nuovo secolo sarà il secolo del dominio dell’uomo sullamateria vivente e del controllo sui fenomeni mentali e sullacoscienza. Cresceranno ancora, con il benessere di pochi,anche le violenze e le diseguaglianze? Arriverà la specieHomo sapiens a usare questo potere per autodistruggersi?”

Gregory Bateson, amatissimo sia da Cini che daMichelangelo Notarianni, resta un autore estremamente attualee rilevante, la cui comprensione richiede un notevole sforzo,specialmente da parte di un certo benpensantismo intellettuale,in quanto affronta temi cruciali che da molti ricercatori sonostati a lungo rimossi. La società è un sistema complesso, comed’altronde lo è la stessa biosfera, e non può essere compresa afondo se non si usano per analizzare gli strumenti concettualiappropriati. Bisogna per esempio rendersi conto della necessitàdella moltiplicazione di linguaggi diversi per la descrizione di

un dato fenomeno: ognuno di essi è al tempo stesso “oggettivo”perché riproduce alcune proprietà del reale, e “soggettivo”perché la scelta del punto di vista é stata condizionata dalcontesto in cui agisce il soggetto.

Secondo Cini, il tentativo di fondare il “sacro” nell’immanenzadei processi della vita, evitando di cadere nella trappola dellatrascendenza, è certamente uno dei contributi piú fecondi delpensiero di Bateson. Nonostante che a molti di noi attori delmondo scientifico venga ben poco spontaneo trattare di temiquali la sacralità, ha probabilmente ragione l’autore quandoafferma che “la sfera del Sacro è innegabilmente una componentefondamentale dell’essere umano. Miliardi di uomini hannobisogno di qualche forma di pensiero religioso e di ricorrere inqualche modo al soprannaturale, o per lo meno al trascendente,per sopravvivere (...) Capirne le origini e le funzioni non è soloessenziale per formulare una qualunque ipotesi sul futuro dellasocietà contemporanea, ma aiuta anche chi, come me è del tuttoestraneo ad ogni idea di trascendenza, a scoprire l’origine dinorme morali alle quali non possiamo in nessun modo rinunciare.(...) Se non impariamo a rispettare la sfera del “sacro” che c’è inogni essere umano, tutta la nostra scienza non servirà a nulla”.

Nelle attuali difficoltà epistemiche e di cornice di riferimentola grande domanda che ci spaventa tutti e alla quale nonsappiamo come rispondere è “Che fare?”. Cini suggerisce,secondo un adagio corrente: “Pensa globalmente e agiscilocalmente” e ci ricorda che bisogna procedere accettando ilfatto che la natura umana esiste, rinunciando a cambiarla inquanto tale, ma piuttosto cercando di comprendere più a fondocosa può essere considerato davvero naturale e cosa no,incanalando la competizione verso obiettivi socialmente utili,continuando a sostenere i valore tradizionali della solidarietà,ma valutando più attentamente quali cambiamenti sociali edeconomici siano davvero in grado di migliorare la situazionedei poveri, dei disagiati, dei perseguitati. Cini inoltre testimoniadi una, ieri impercettibile, oggi prorompente, tendenza dellafisica (cui la biofisica fu prolegomeno) nel far suoi i temidarwiniani contemporanei: per esempio l’analisi tipo “Armi,acciaio e malattie” del brillante primatologo Jared Diamond[1], alla cui lettura incita il noto genetista Luca Cavalli-Sforza.

È raro trovare un’autobiografia di uno scienziato in cuil’autore parli senza eccessivi pudori anche della propria vitapiù personale e più intima. Qui nei Dialoghi invece i variepisodi della vita dell’autore, pubblici e privati (la missione inVietnam per conto del tribunale Russell, il ’68 francese, lalunga analisi con Matte Blanco, i rapporti con Giulio Maccacaroe Franco Basaglia e il cambiamento di interessi professionali)si intrecciano tra di loro in un nesso quasi inestricabile di causee di effetti, che non è facile raccontare ed è estremamenteinteressante per il lettore, anche perché Cini non usa indulgenzacon se stesso e non esita ad affrontare anche punti sensibili delvissuto personale se servono a capire meglio e a far comprendereil lettore mediante spunti “agiografici”. Colpisce per esempioquanto Cini senta di essere stato condizionato dalla figuramaterna; infatti, come lui stesso scrive “Un altro elementofondamentale della mia educazione è stato quello di non dire

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mai bugie alla mamma. Questo culto della verità mi ha dato unavisione del mondo estremamente semplificata, in bianco e innero, dove c’è solo l’ambiguità tra il vero e il falso. Fare dellaverità un feticcio ti porta da un lato a cercare di capire a fondosoltanto quei fenomeni che sembrano poter essere spiegati edescritti attraverso fatti certi e deduzioni non contraddittorie, edall’altro a semplificare drasticamente.” Un orientamento chepoi concorre alla scelta di fare fisica: Cini nota infatti cheparecchi fisici teorici avevano una mamma, diciamo così,onnipresente.

Questa spinta alla ricerca della verità, anche quando èsgradevole, insieme a un impulso altrettanto forte a mettereordine nei fenomeni con gli strumenti della ragione, si sonoaffinati col tempo e si sono fatti accorti dei propri limiti, ma nonsi sono attenuati e traspaiono ancora in tutto il libro, ormaiinseparabili da una macerata consapevolezza della complessitàdei problemi da affrontare.

Per questo Cini può essere orgoglioso di continuare aessere un cattivo maestro, con questo libro in cui ha volutoespressamente rivolgersi ai giovani che si avvicinano a prendereil posto della sua e della nostra generazione. Mostrandodall’interno i limiti e le ragioni del proprio itinerario intellettualee scientifico, affrontando le proprie sconfitte e delusioni con ilmassimo di razionalità possibile - ossia riconoscendo i limiti diquesto atteggiamento - Marcello mette in pratica e trasmetteuno sguardo critico su se stesso e sul mondo, senzacompiacimenti pessimisti, che è probabilmente il miglioratteggiamento per mantenere aperta qualche ragionevolesperanza per l’avvenire.

Dulcis in fundo il libro tratteggia della vita vissuta, e deglioriginali contributi del biofisico Mario Ageno [2]. Ageno hafondato, o meglio rifondato, il Laboratorio di fisica dell’ISS,quello che quando diretto da Trabacchi finanziò le ricerche diEnrico Fermi, cui ebbe l’onore e il merito di “imprestare” un(irresistibile!) grammo di Radio. Quel grammo senza il qualeFermi non avrebbe praticamente potuto condurre quegliesperimenti sui neutroni che gli valsero il Nobel. Cini sisofferma a lungo sulla figura di Ageno nel terzo paragrafo “Ilpensiero evoluzionista” del quarto capitolo “I cammini dellaconoscenza”. Anche per questo il libro andrebbe letto da chi èinteressato alla storia delle istituzioni scientifiche del ‘900, ISSin testa. Rimandiamo perciò il lettore all’opera “conclusiva”,del 1992, del pensiero ageniano [2].

BIBLIOGRAFIA

1. Diamond, J. Armi, acciaio e malattie. Torino: Einaudi; 2000.

2. Ageno, M. Punti cardinali: dal mondo della fisica al mondo dellavita. Milano: Sperling e Kupfer; 1992.

Enrico Alleva (a) e Giorgio Parisi (b)

(a) Istituto Superiore di Sanità, Roma(b) Università degli Studi "La Sapienza", Roma

LA SPECIESIMBOLICA.COEVOLUZIONEDI LINGUAGGIOE CERVELLO.Terrence W. Deacon.A cura di Silvio Ferraresi.Roma: Giovanni FioritiEditore; 2001. 488 p.ISBN 88-87319-16-2.€ 35,12.

Era il 1866 quando la Société de Linguistique de Parisapprovava una delibera in cui si mettevano all’indice gliarticoli che affrontavano questioni legate all’evoluzione dellefacoltà linguistiche umane. Oggi paradossalmente il temadell’origine del linguaggio torna al centro dell’attenzione quasiper gli stessi motivi per cui venne messo al bando nella secondametà dell’ottocento.

Negli ultimi dieci anni il tema dell’origine del linguaggio,infatti, è diventato sempre di più il luogo di confronto tra iprincipali paradigmi e modelli teorici che si contendono ilprimato nell’ambito delle scienze linguistiche e in filosofiadella mente.

Si tratta, in effetti, come è facile intuire, di un temaaltamente speculativo rispetto a cui i riscontri empirici e leevidenze sono di difficile reperimento. L’accumularsi, nelsecolo scorso, di dati e di scoperte teoriche fondamentali indiscipline quali la paleoantropologia, la genetica, la neurobio-logia, e la zoosemiotica ha ribaltato i termini della questione:quello che alla fine dell’800 appariva come un campo d’indagineprivo della possibilità di incidere realmente sui dibattiti incorso, diventa oggi il luogo in cui è possibile tentarespeculativamente la conciliazione tra le prospettive offerte dadiscipline che sempre di più negli ultimi anni si sono dimostraterilevanti allo studio del rapporto tra linguaggio e mente.

Già poco dopo la sua pubblicazione, nel 1997, il testo diTerrence W. Deacon The symbolic species. The coevolution oflanguage and the brain si era affermato come un punto diriferimento centrale nel dibattito sul rapporto tra linguaggioumano e cervello, in una prospettiva evolutiva. L’autore è unneurobiologo che ha passato gran parte della sua vita inlaboratorio a studiare il cervello dei primati e di altri animali,e si occupa di trapianti di tessuto neurale. A distanza di quattroanni questo suo testo è diventato un punto di riferimento anchein molti altri ambiti, dalla filosofia del linguaggio alla filosofiadella mente.

Il lavoro di Deacon che appare oggi in traduzione italianaper i tipi delle edizioni di Giovanni Fioriti (con il titolo Laspecie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello e con

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una prefazione di Silvio Ferraresi che ne ha curato anche latraduzione), merita per diversi motivi questa sua collocazionecentrale: per l’ampiezza teorica e la capacità di mettere insiemei risultati di discipline così diverse come la biologia evolutiva,la neuropsicologia, la paleoantropologia, la linguistica, lasemiotica e l’etologia. Ma anche per il tentativo di prendere daognuna di queste discipline delle idee proficue nel confrontocon altri campi, vagliandole con attenzione per costruire unaprospettiva nuova.

Si tratta, inoltre, di un lavoro che, a differenza di altri sullostesso argomento, si avvale di una fine sensibilità epistemo-logica, una capacità di riflettere sulla legittimità e sui limitidella poderosa opera di ricostruzione necessaria a prospettareuno scenario evolutivo plausibile per eventi che possono essersisvolti dai due milioni ai centomila anni fa.

Il libro è diviso in tre parti: il linguaggio, il cervello e la lorocoevoluzione. Deacon si schiera da subito contro la posizionemaggioritaria condivisa da diversi autori che si sono occupatidel tema dell’evoluzione del linguaggio: Derek Bickertonl’autore di Language and human behaviour e, insieme aWilliam Calvin, del recente Lingua ex machina, Steven Pinkerautore di The language instinct e più recentemente di How themind works, Philip Lieberman con i suoi Uniquely human eHuman language and our reptilian brain: the subcorticalbases of speech, syntax, and thought hanno tutti sostenuto chel’evoluzione del linguaggio umano andrebbe riportata adun’unica mutazione genetica che deve aver favorito lo sviluppodelle facoltà linguistiche come sua conseguenza indiretta.

Per Deacon questa visione è tipica di una certa forma diortodossia darwinista, ma non è certo corroborata dalle evidenzeempiriche accumulatesi sul modo in cui le diverse aree cerebralisono coinvolte nell’uso del linguaggio e dai più recenti lavoridi genetica e di neurobiologia, come quelli del premio nobelGerald M. Edelman.

Secondo l’autore nel caso del linguaggio è, in effetti, piùprobabile pensare ad una serie baldwiniana di adattamentiprogressivi che hanno selezionato mutazioni genetiche legateinsieme al nostro cervello e alla nostra struttura anatomica.Queste mutazioni “parzialmente vincenti” hanno favoritol’emergere di un comportamento adattivo di tipo nuovo: lacomunicazione umana. A loro volta, i vantaggi che ne sonoderivati hanno progressivamente selezionato quelle mutazionigenetiche, legate in particolare alla corteccia frontale del nostrocervello, in grado di favorire il pieno sviluppo dellacomunicazione simbolica.

Linguaggio e cervello hanno dato vita, dunque, ad unprocesso di coevoluzione ponendo le basi di quella che è la piùtipica forma attuale di adattamento e di dominio dell’uomosull’ambiente circostante: l’adattamento tecnologico e culturale.La base di evidenze empiriche a partire dalla quale il libroprocede è costituita dagli studi comparativi sul cervello deiprimati e quello dell’uomo e dalle conoscenze neuroembrio-logiche e genetiche sul cervello. Per tracciare il percorsoteorico del testo conviene, dunque, partire da quella che è anchela sezione più ampia del libro: la parte sul cervello.

In questa sezione Deacon smonta, in primo luogo, ilpregiudizio teorico sul rapporto diretto tra le capacità cognitiveumane e l’ampiezza del suo cervello. Non è, infatti, l’ampiezzadi per sé ad essere significativa quanto piuttosto il modo e itempi in cui il cervello dell’uomo cresce rispetto alle suedimensioni corporee. Il cervello umano cresce in maniera piùlenta e più a lungo protratta nel tempo di quello degli altriprimati: ciò comporta un periodo di plasticità e dei rapporti tradimensioni cerebrali e corporee del tutto peculiari.

Secondo Deacon, inoltre, i dati che possiamo ricavare dallericerche sulla genetica dello sviluppo cerebrale fanno propendereper l’ipotesi che una mutazione rilevante per l’evolversi delcervello umano possa essere ascritta alla duplicazione dei geniomeotici responsabili di una maggiore crescita di determinatearee del cervello. In particolare, la crescita delle dimensionidella corteccia cerebrale e del cervelletto dell’uomo rispetto adaltri primati potrebbe essere ascritta ai geni homeobox Otx eEmx che agiscono modificando i tempi di crescita delle strutturea cui danno espressione.

Sono queste le precondizioni delle caratteristiche peculiaridel cervello umano, tra cui Deacon annovera la straordinariaplasticità e il fenomeno che egli definisce dello “spiazzamento”.Per spiazzamento si intende la natura latamente distribuitadelle connessioni neuronali e la tendenza del cervello amoltiplicare le connessioni neuronali anche nelle regioni chenon sono legate direttamente a gestire le proiezioni degli inputsensoriali. Questa tendenza porta a intere regioni in cui ilcervello umano si autocostruisce e in cui il rafforzamento ol’indebolimento delle connessioni sinaptiche è legato a processidi selezione interni all’ambiente neurale, ciò che Edelman chiama“selezione di popolazioni neuronali”. Un esempio delleconseguenze nell’uomo dello spiazzamento è la straordinariacapacità umana di controllo dei suoi organi vocali: questa capacità,tuttavia, non è che una delle tante tipiche dell’uomo, parallelaad esempio a quella del controllo fine delle dita delle mani.

Sulla base di questa impalcatura fondata sulle sueconoscenze neuroanatomiche e neurobiologiche Deaconcostruisce il percorso dell’argomentazione principale del suolibro: la natura plastica e distribuita del cervello umano, ilrapporto tra spiazzamento e corteccia cerebrale sono tutti indizia favore di un progressivo adattamento tra cervello e capacitàlinguistiche e della loro coevoluzione. Il perfetto contraltarealle caratteristiche di plasticità del cervello umano è, infatti, lasua capacità di progettare e gestire simboli. Una capacità cheper Deacon è radicata in un’altra forma di “spiazzamento”,questa volta tra i segni che utilizziamo e i loro referenti. Lacapacità dei simboli umani di persistere e di entrare in relazionetra loro anche a prescindere dalla corrispondenza con unoggetto esterno è un tratto distintivo dei linguaggi umanirispetto a quelli di altre specie animali.

Riprendendo le intuizioni del filosofo pragmaticistaamericano Charles Sanders Peirce, Deacon si sofferma su ciòche differenzia i simboli da altri tipi di segni. Peirce distinguevatra tre tipi di segni che si trovano in natura: icone, indici esimboli. Le prime si fondano su qualche forma di rassomiglianza

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che viene istituita tra il segno e il suo referente, i secondi su unaconnessione reale esistente tra il segno e il referente, i simbolial contrario si fondano su una regolarità interna nel modo in cuisono formati e nel modo in cui entrano in relazione tra loro. PerDeacon è proprio il passaggio tra sistemi comunicativi semplici,basati su una relazione iconica e indicale, a sistemi simboliciciò che distingue il linguaggio umano, con la sua capacità didistanziarsi dagli oggetti che sono l’obiettivo della simboliz-zazione, da altre forme di comunicazione. Inoltre i simbolicoinvolgono a loro volta icone e indici per riuscire a riferirsiagli oggetti e per estendere l’azione dell’uomo sul suo ambiente.Dunque i simboli, da un lato, creano nella mente umana unaseconda natura, un mondo di entità che sono in relazione traloro e che si modificano e persistono, a prescindere dal mondoesterno. Tuttavia proprio questa seconda natura è ciò chepermette all’uomo di tornare a rivolgersi al mondo delle cosee al suo ambiente diventandone padrone. I simboli infattipermettono di distaccarsi dallo stimolo sensoriale immediatotenendo conto di relazioni più generali tra le cose e dando lapossibilità di realizzare dei progetti a lungo termine. Unvantaggio considerevole del simbolo è infatti quello diemancipare l’uomo dall’informazione sensoriale, mettendoglia disposizione un mondo di informazioni autonomo che persistenella sua mente anche a prescindere dall’immediato stimolopercettivo.

Sulla base di questa intuizione e del parallelismo tra lo“spiazzamento” referenziale e quello neurologico Deacon sferrail suo più forte attacco ai paradigmi innatisti e mentalisticisull’origine del linguaggio. Se, infatti, appare indubbio che laspecie umana è dotata sin dall’infanzia di una dotazione innatache le rende facile l’acquisizione di una qualsiasi lingua, non èaffatto detto che questa dotazione innata debba specificare deitratti grammaticali e, in particolare sintattici, universali, comenell’ipotesi chomskiana. Per Deacon, infatti, la grammatica ela sintassi vengono dopo la simbolizzazione e non sono che unaconseguenza della necessità dei simboli di intrattenere molteplicima ben definite relazioni tra loro. La grammatica nascedall’esigenza di ordinare i rapporti tra i simboli come conse-guenza della natura relazionale e sistemica del simbolo stesso.

In questo senso la scoperta della grammatica è un passoulteriore rispetto all’emergere della simbolizzazione. È piùragionevole secondo Deacon pensare che la nostra dotazionecerebrale comune ci mette nelle condizioni di acquisire unacapacità simbolica la quale manifesta poi una sua tendenza acostruire grammatiche in forme quasi universali, piuttosto cheipotizzare il percorso inverso. Qui Deacon mostra il suo debitoconoscitivo verso i principali indirizzi funzionalisti e cognitivistiin linguistica, da Talmy Givón a George Lakoff e MarkJohnson.

Naturalmente è questo anche il punto più controversodell’analisi di Deacon. Su questo punto i chomskiani possonorispondere, ad esempio, che non si capisce come una generica“facoltà del simbolico” possa ingenerare grammatiche tantosimili in culture e lingue diverse. Senza dubbio l’analisi diDeacon trova un limite nella difficoltà a spiegare nei particolari

costruzioni e forme grammaticali che appaiono universali ediffuse. Tuttavia su questo punto il dibattito tra funzionalisti egenerativisti è aperto e Deacon aggiunge un nuovo modo dipensare alla dimensione innata della comunicazione umana,intendendola come qualcosa di non deterministico e di apertoalle potenzialità costruttive che sono legate al rapporto tralingua e cultura.

Potremmo suggerire che il pregio e il difetto al tempostesso dell’impostazione di Deacon consista proprio nella suacapacità di trarre spunto da discipline così distanti e di trovareomologie tra di esse: questa tendenza ha l’indubbio valoreeuristico di aprire prospettive nuove e di suggerire nuovipercorsi di ricerca, ma può trovarsi ogni tanto priva di unterreno solido su cui fondare le sue omologie. Fino a che puntol’analogia tra la plastica autocostruzione del cervello e lacrescita su se stessi dei simboli è una metafora e fino a che puntopuò davvero essere fondata dalle attuali ricerche sulle areecoinvolte dall’uso del linguaggio? Nonostante sia difficilerispondere a una domanda come questa ci sembra che i vantaggispeculativi e le aperture verso nuove prospettive offerte dallibro siano di gran lunga più netti dei rischi speculativi.

Un altro ambito in cui emerge questo equilibrio vantaggiosotra apertura teorica e ricostruzione ipotetica di uno scenario è,infine, quello legato all’interpretazione dei dati paleoantro-pologici. Deacon, infatti, fornisce nel libro un’interpretazionedei dati paleoantropologici, fondata su basi etologiche, che èuno dei grandi valori aggiunti del quadro teorico che emergedal suo testo.

Una delle questioni al centro dei moderni dibattiti inantropologia evolutiva è quella del passaggio tra il periododurato quasi un milione e mezzo di anni in cui svolge il suopercorso evolutivo l’homo erectus e quello risalente ad almenocentomila anni fa in cui si afferma l’homo sapiens. Questoperiodo di relativa stabilità nell’uso della tecnologia e deglistrumenti per intagliare ha suggerito a molti la possibilità dicollocare in date piuttosto recenti l’emergere del linguaggioumano. Deacon avvalendosi anche dei recenti studi paleoan-tropologici che dimostrano l’esistenza di un avanzamentoculturale anche all’epoca dell’homo erectus avanza, invece,l’ipotesi che sia proprio questo il periodo in cui una formaoriginaria di linguaggio, composta da gesti e vocalizzazioni,sia emersa. Per Deacon è il complessificarsi delle strutturesociali che ingenera la necessità di un linguaggio di tiposimbolico. In particolare l’esigenza di rinforzare i vincolisociali con gli altri membri della comunità e di garantire allostesso tempo dei rapporti di tipo monogamico con il propriopartner fa nascere l’esigenza di una comunicazione rituale ingrado di sancire tra i membri della comunità una sorta di“contratto sociale”. Il contratto sociale si fonda sulla reciprocitàtra i membri di una comunità, ma fa sorgere anche la necessitàdi un linguaggio in grado di tener conto dei diritti e dei doveridei singoli individui. Riprendendo la terminologia del filosofodel linguaggio John Langshaw Austin potremmo dire chel’origine del linguaggio è, dunque, di tipo “performativo”,basata su un rituale reciproco e sulla consapevolezza che si può

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agire insieme e coordinarsi attraverso la parola. Il testo diDeacon è, dunque, al contempo un’ampia introduzione aiproblemi legati alla riflessione evolutiva sull’origine dellinguaggio e una fonte di provocazioni e di stimoli intellettuali.

La traduzione di Silvio Ferraresi, nonostante diversi erroritipografici, restituisce con sostanziale correttezza la prosa avolte condensata, ma efficace dell’originale. La breve prefazionefornisce le coordinate centrali del dibattito teorico in cui siinscrive il lavoro del neurobiologo statunitense. Il testo appareuno strumento imprescindibile per neurobiologi,neuropsichiatri, psicologi, filosofi del linguaggio e per chiunquenutra un interesse per il tema del rapporto tra linguaggio ecervello, in una prospettiva evolutiva.

Tommaso RussoUniversità degli Studi, Bologna

SOCIOLOGIADELLA SALUTE.Massimiano Bucchie Federico Neresini (Ed.).Roma: Carocci Editore;2001. 323 p.ISBN 88-430-1814-0.€ 21,69.

In un periodo nel quale come mai accaduto prima la culturadella salute è divenuta pienamente patrimonio del sociale, ilvolume di Bucchi e Neresini costituisce un contributo attento,esaustivo, arguto.

La pressante domanda di ben-essere nella società attualesupera il mero concetto di assenza/cura della malattia e si diramanei molteplici aspetti della vita quotidiana, accompagnando ilpercorso esistenziale dell’individuo dalla fecondazione alla mortee abbracciando aspetti sociali, filosofici, culturali oltre che idiversi campi della medicina e della scienza.

Il “mercato del benessere fisico” è alimentato dai continuimessaggi salutistici diramati dai mass-media. Programmiradiofonici e televisivi in cui si parla di medicina, alimentazioneo benessere psico-fisico assumono posizioni sempre più rilevantinei palinsenti, facendo aumentare gli indici di ascolto di retipubbliche e private; un numero crescente di articoli, supplementisettimanali (offerti ormai da quasi tutte le testate quotidiane) eriviste interamente dedicate a temi di salute e benessere, e apratiche largamente diffuse (diete dimagranti, chirurgiaestetica), alimentano la “cultura del fitness” per il grandepubblico e incrementano vendite e tirature.

Tutto ciò, da una parte, nasconde il rischio del diffondersiuna cultura di terapeutizzazione della vita quotidiana, cheaumenta la pressione sui servizi socio-sanitari, nonché leaspettative di prevenzione e di cura e dall’altra fa profondamenteriflettere su un tema la cui attualità cresce parallelamente alcrescere del concetto di salute nella società: la comunicazionedella salute.

Tema complesso cui M. Bucchi dedica il quinto capitolodel volume, corredato da un interessante “percorsobibliografico” (p. 178-180). L’idea che a una comunicazionesociale di carattere sanitario (ad es. una campagna informativa)segua un più o meno immediato effetto non solo di tipocognitivo, ma comportamentale, è stata abbandonata fin dalsecondo dopoguerra. Il diffondersi di nuove tecnologie allaportata di tutti (personal computer, internet, posta elettronica)e le recenti trasformazioni politico-culturali che hanno vistouna crescente “tendenza all’intersezione tra sapere esperto eistanze dell’opinione pubblica” (vedi caso Di Bella) costitui-scono due profonde trasformazioni che hanno fatto decadere lavisione tradizionale di comunicazione della salute, aprendo ildibattito verso nuovi processi e forme di comunicazione. Ilruolo della comunicazione sanitaria tramite mass-media si èdilatato, ma anche il ruolo della comunicazione medico-pazientesi è ridefinito nel tempo: “il suo compito comunicativo non siesaurisce quindi nell’aiutare il paziente a scegliere un deter-minato percorso terapeutico, ma a modellarlo e descriverlo inmodo che il paziente lo riconosca come il percorso più adattoalle proprie esigenze”.

Basti dare uno sguardo all’indice del volume, per rendersiconto della varietà degli aspetti e dei temi chiamati in causa. Illibro è diviso in tre parti, di cui la prima (Salute e ricercasociale), attraverso uno sguardo sociologico e un excursusstorico, analizza argomenti quali: la nascita e evoluzione dellamedicina moderna, il legame originario tra medicina esociologia, il sistema sanitario italiano, le rilevazioni periodichein campo sanitario, gli indicatori della salute. La seconda parte(Pensare la salute) è particolarmente stimolante. Questi alcunidei temi trattati: essere sani e malati in culture e epoche diverse;le rappresentazioni sociali della malattia; sentirsi/riconoscersisani o malati; comunicare la salute; il rischio (analisi sociale,comunicazione del rischio, i risultati di alcune ricerche suopinioni, atteggiamenti e comportamenti a rischio). La terzaparte infine (I confini del corpo e dell’identità) affronta altritemi di grande attualità: il rapporto tra bioetica, medicina esocietà, la costruzione sociale della gravidanza, il corpo.L’ultimo argomento trattato nel volume è anche il più scabroso:L’ultimo tabù: individuo e società di fronte alla morte. Moltointeressante questo capitolo a firma di Stefano Allievi (anch’essocorredato, come tutti gli altri, da una interessante bibliografia)dedicato al “problema che sta dietro ad ogni rapporto con lamalattia: quello della morte” (come si legge nella prefazione alvolume). Qui interrogativi quali: cos’è la morte, di che cosa simuore, perché si muore, vengono esaminati con un approccioin cui si mescolano filosofia e scienza, tecnica e religione. Alladefinizione di morte di Agostino di Ippona si affianca quella del

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Comitato Nazionale di Bioetica “tutt’altro che univoca” (adetta dell’autore) che anima il dibattito bioetico anche in temadi trapianto di organi. E il paradosso tra la morte “gravata dainibizione comunicativa” (propria della nostra “societàanalgesica” in cui essa costituisce, appunto, “l’ultimo tabù”) ela morte spettacolarizzata, televisiva e cinematografica trovauna sua spiegazione proprio nel fatto che quest’ultima costituiscala banalizzazione della prima e dunque “l’altra faccia della suarimozione”.

In ultima analisi, Sociologia della salute offre interessantispunti di riflessione, di analisi e di studio su questioni fonda-mentali e di grande attualità, offrendo altresì una panoramicaampia sul dibattito in corso su salute e ben-essere, con approccioeminentemente, ma non esclusivamente, sociologico.

Federica Napolitani CheyneIstituto Superiore di Sanità, Roma

LA QUALITÀ DELLAVITA NEL MONDO.Social Watch - Rapporto2001.Bologna: Editrice Missio-naria Italiana; 2001. 204 p.ISBN 88-307-1101-2.€ 12,50.

Il Rapporto 2001 di Social Watch, pubblicato con il titoloLa qualità della vita nel mondo è senza dubbio da apprezzarecome un serio contributo alla cultura della solidarietà e dellacooperazione sociale. E’ stato realizzato da una rete interna-zionale di organizzazioni della società civile (le coalizioniSocial Watch) che operano in cinquanta paesi. L’edizioneitaliana e lo specifico capitolo sull’Italia sono a cura di ManiTese, un’organizzazione non governativa (ONG), impegnatanella cooperazione internazionale, di Movimondo, un’associa-zione di solidarietà attiva in venticinque paesi, delle ACLI(Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani) e dell’ARCI.

Il Rapporto prende in considerazione gli obiettiviinternazionali, in tema di lotta alle povertà, definiti in terminiquantitativi e stabiliti dalle Conferenze mondiali sullo svilupposociale e dal Millennium Summit delle Nazioni Unite svoltosinel settembre dello scorso anno. Riguardano sia aspetti disviluppo esclusivamente economico - la riduzione del 50% trail 1990 e il 2015 del numero delle persone che vivono incondizione di povertà assoluta (cioè con < 1 dollaro al giorno,

soglia da molti considerata troppo bassa), sia diritti umanifondamentali, giacché “ La povertà deve essere vista come unaprivazione delle capacità fondamentali piuttosto che come unasemplice scarsità di reddito” secondo l’affermazione di AmartyaSen, premio Nobel per l’economia, citata nell’introduzione.

Il volume pertanto, attraverso un’ampia sezione di tabelledettagliate, fa il punto sullo stato di attuazione degli obiettivi disviluppo sociale, quali la frequenza della scuola primaria daparte del 100% dei bambini entro il 2015 e la pari partecipazionedelle bambine all’educazione primaria e secondaria, unasperanza di vita superiore ai 60 anni (limite peraltro moltobasso per molti paesi), la riduzione della mortalità infantile trail 1990 e il 2015, di due terzi e di tre quarti della mortalitàmaterna, la sicurezza alimentare, l’accesso per tutti all’acquapotabile, ai servizi igienici, e ai servizi sanitari per laprogrammazione familiare, l’eliminazione o riduzione econtrollo delle principali malattie che costituiscono veriproblemi sanitari a livello mondiale. Tali obiettivi, riferiti adiritti umani fondamentali, sono stati monitorati tramite uno opiù indicatori concordati a livello internazionale. Specificamentesono stati confrontati per ciascuno di questi parametri i datirecenti disponibili (al massimo riferiti al 1999) con quellirelativi al 1990 e calcolato per ogni nazione l’indice di progressoo regresso, prendendo come punto di confronto gli obiettiviquantitativi stabiliti per l’anno 2000 nella Conferenza mondialesullo sviluppo svoltasi a Copenaghen nel 1995.

Gli indici sono indicati sotto forma di simboli con una scaladi riferimento da 1 (notevole regresso) a 5 (notevole progressoo obiettivi già raggiunti). La scelta riflette, come precisano gliautori, i limiti della metodologia adottata, a partire dalle difficoltàdi reperire e mettere a confronto dati provenienti da fontidiverse e di diversa autorevolezza. Nello stesso tempo facilitala lettura delle tabelle.

Il rapporto documenta una realtà nella quale sono staticompiuti, complessivamente, dei progressi negli indicatorimonitorati, ma largamente insufficienti. Infatti i paesi chehanno raggiunto gli obiettivi stabiliti per l’anno 2000 o sono sulpunto di raggiungerli sono meno di un quarto nei settoridell’educazione primaria, della salute infantile, e dellasostenibilità ambientale (accesso all’acqua potabile). In Africail tasso di iscrizione dei bambini alla scuola primaria è passatonello scorso decennio dal 58 al 60%, mentre negli altri continentiè superiore all’80%, obiettivo stabilito per il 2000. Sempre inAfrica la mortalità infantile, pur in lieve diminuzione, rimanesempre la più alta (92/1000 nati vivi) del mondo, anche lasituazione di degrado ambientale appare stazionaria: soltanto il46% della popolazione ha accesso all’acqua non inquinata.

Nell’ambito della sicurezza alimentare e della salute ripro-duttiva le statistiche riportano valori coerenti con gli obiettiviprefissati soltanto in poco più di un terzo dei paesi del mondo.

Il raggiungimento degli obiettivi richiede programmi, erisorse destinate. Il Rapporto passa quindi ad analizzare lemodifiche intervenute negli anni novanta nella percentuale delPIL destinata da ciascun governo alle spese militari e a quellesociali (istruzione e sanità), e nei paesi OCSE al finanziamento

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dell’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps). Lo stanziamento inbilancio dell’Italia destinato all’Aps in termini percentuali diPIL si è ridotto dallo 0,27% del 1990 allo 0,15% del 1999, conun conseguente penultimo posto tra i paesi OCSE. Nei paesimembri i livelli globali degli aiuti variano: dall’1% del PIL daparte della Danimarca allo 0,1% degli Stati Uniti, con unamedia dello 0,24%.

Il quadro della situazione è completato da un’ampiapanoramica sullo stato di attuazione dei trattati richiamati nelladichiarazione del Millennium Summit delle Nazioni Unite.

La seconda parte del rapporto raccoglie una serie dicontributi di autori diversi, i “Rapporti tematici”, su argomentistrettamente complementari per una strategia di perseguimentodegli obiettivi internazionali di sviluppo: dalla regolamentazionedei mercati finanziari, alla cancellazione dei debiti dei paesi in viadi sviluppo, alle problematiche connesse agli accordi commercialiin materia di brevetti, alle discriminazioni di genere ed altriancora. Queste complesse questioni sono affrontate, spesso,attraverso un’analisi che appare anche un racconto di esperienze.

Seguono i “Rapporti paese” redatti da osservatori nazionaliindipendenti che hanno esaminato l’operato dei governi inquarantadue paesi rispetto agli impegni assunti per la riduzionedella povertà nella Conferenza mondiale sullo sviluppo socialedel 1995 e nella Conferenza mondiale sulle donne di Pechino.Riportano, in un bilancio riferito all’anno 2000, ritardi einadempienze nella azioni dei governi. Il capitolo dal titolo“Diseguaglianze e povertà nel sesto paese più ricco del mondo”è dedicato ad un attento esame della situazione in Italia.

Cecilia BedettiIstituto Superiore di Sanità, Roma

HANDBOOK OF SOILINVERTEBRATETOXICITY TESTS.Hans Løkke e CornelisA.M.van Gestel.Chichester: John Wiley& Sons; 1998. pp. 281ISBN 0-471-97103-0£ 55.00.

Il suolo rappresenta un ecosistema complesso e per moltiversi ancora imperfettamente noto, le cui caratteristichedipendono largamente dall’azione della comunità ecologicache in esso dimora. La presenza di contaminanti ambientali puòincidere negativamente sulla qualità dei suoli in quanto

determina mutamenti di composizione della comunità degliorganismi decompositori, che possono tradursi in modificazionidel ciclo dei nutrienti e del profilo pedologico, con conseguentiperdite di produttività e di fertilità.

La diffusione ormai generalizzata di fitofarmaci,geodisinfestanti e di altre sostanze xenobiotiche potenzialmentetossiche per la pedofauna, che rappresenta una componenteessenziale del biota edafico, impone l’adozione di metodologied’indagine standardizzabili che consentono di effettuare unarigorosa valutazione ecotossicologica dell’impatto dei contami-nanti di origine antropica sulla vita degli organismi del terreno.

Purtroppo, a differenza di quanto si è verificato perl’ambiente acquatico e per l’atmosfera, nel caso del suolo lemetodologie di bioindicazione e l’impiego di strumenti biologicinella valutazione dei rischi derivanti dalla diffusione di sostanzexenobiotiche sono rimaste a lungo in uno stato quasi embrionale,spesso a causa della frammentarietà delle conoscenzesull’ecologia degli organismi insediati nell’habitat del terreno.Un contributo fondamentale, in grado di fornire nuovo senso atutta l’ecotossicologia del suolo, è offerto ora dall’Handbook ofsoil invertebrate toxicity tests del danese Hans Løkke edell’olandese Cornelis A.M. van Gestel, un manuale unico eindispensabile che sintetizza i risultati dei programmi di ricercasulla sensibilità della meso-macrofauna dell’ambiente edafico,portati avanti da dieci laboratori leader in questo settorenell’ambito del progetto di ricerca SECOFASE (Sublethaleffects of chemicals on fauna in the soil ecosystem, 1993 -96)dell’Unione Europea.

Il risultato principale scaturito da queste indagini paralleleè stato l’elaborazione di una serie di protocolli standard daseguire nei saggi di tossicità effettuati su organismi appartenentiai principali gruppi di invertebrati del terreno. Le 14 specieutilizzate, selezionate nell’ambito di 10 dei taxa più significatividella pedofauna europea, rappresentano in maniera esaustiva ilcomplesso dei livelli trofici occupati dalla comunità animalenell’ecosistema lettiera-suolo. La scelta di tali specie si èbasata, oltre che su esperienze pregresse, sulla facilità diriconoscimento e sull’ampiezza della loro distribuzione innatura, superando in tal modo alcuni dei limiti dell’approccioecotossicologico al biomonitoraggio dei suoli nel contestoitaliano. Tra i taxa specifici selezionati come bioindicatorifigurano così organismi comuni come l’isopode Porcellioscaber e l’oligochete Eisenia foetida, ma il panorama spaziadagli Enchitreidi ai Collemboli e dai Nematodi agli Acari, pergiungere ai Diplopodi ed ai Coleotteri Stafilinidi. Per tutte lespecie suggerite viene fornita inoltre una rassegna completa dinotizie sulla storia naturale e le abitudini trofiche, aggiungendoprecise indicazioni sulle modalità di mantenimento ed eventualeallevamento in condizioni di laboratorio.

Particolarmente agile ed efficace risulta l’esposizione deiprotocolli sperimentali proposti, nei quali la precisione formalee la cura puntuale dei dettagli si accompagnano ad una funzionaleschematicità.

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La valutazione delle concentrazioni di contaminanti nelsubstrato che compromettono o alterano le funzioni fisiologichedegli organismi prescelti viene espressa tramite parametriconsueti come il 50% di concentrazione letale (LC50) o il 50%di concentrazione efficace nel determinare effetti subletalimisurabili (EC50). In quest’ultimo caso l’orizzonte dellasperimentazione spazia considerevolmente tra disparati aspettidella biologia degli organismi presi in esame, fino a sondare ilcampo delle interazioni tra le specie, attraverso lo studio deglieffetti sui rapporti di competizione e di predazione, attenendosicostantemente a criteri di sostanziale realismo ecologico. Atitolo paradigmatico nei test proposti vengono vagliati glieffetti di tre composti appartenenti a importanti categorie dicontaminanti xenobiotici: i detergenti, con i sali di alchilben-zensolfonato a catena lineare (LAS), gli insetticidi, con ildimetoato, i sali contenenti metalli pesanti, come il cloruro dirame.

Il grande spazio che viene dedicato nella parte preliminaredel manuale all’analisi dei requisiti che devono contraddistin-guere i test di ecotossicità del suolo per conseguire validazionee diffusione a livello internazionale è indicativo dei criteri a cuis’informano le metodiche scaturite dal programma di ricercaSECOFASE. Tra di essi figurano in primo luogo la rapidità diesecuzione, i costi ridotti, la riproducibilità, la standardizzazione,la sensibilità e la validità dal punto di vista ecologico, biologicoe statistico. La prima parte della guida è dedicata inoltre ad unainteressante ricognizione sullo “stato dell’arte” dell’analisiecotossicologica del suolo, condotta tramite test di tossicità, inambito europeo, alla luce della crescente messe di dati inerentialla contaminazione chimica dell’ambiente edafico da parte diprodotti talora completamente nuovi. Le conoscenze ancoracarenti sull’ecologia e la sensibilità verso gli inquinanti dimolte componenti della pedofauna che ne emergono, lascianotrasparire i limiti sostanziali dell’approccio alla valutazionedello stato di salute del suolo basato sul calcolo di indici diqualità che si fondano prevalentemente su variazioni quantitativedella biodiversità. La disponibilità di metodiche finalizzate asceverare l’impatto dei vari prodotti xenobiotici sui singolitaxa potrebbe aprire ora nuove prospettive di sviluppo ancheper le metodologie di biomonitoraggio a carattere olistico,grazie alla possibilità di elaborazione di indici biotici relativialla comunità animale del terreno che tengono in considerazionesia il numero delle unità sistematiche presenti, sia le loroproprietà indicatrici.

La pubblicazione di H. Løkke e C.A.M. van Gestelrappresenta quindi una tappa fondamentale nel campo dellericerche, non prive di importanti risvolti di ordine economico,sulle interazioni tra le attività antropiche e le dinamichedell’ecosistema vegetazione-suolo ed uno strumento indispen-sabile per quanti in Europa sono impegnati nel monitoraggiodello stato di salute dell’ambiente.

Nicola OlivieriIstituto Tecnico Industriale Statale "E. Alessandrini",

Teramo

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RISK ANALYSISIN AQUATIC ANIMALHEALTH.Proceedings of anInternational Conference(8-10 February 2000, Paris).C.J. Rodgers (Ed.).Paris: Office Internationaldes Epizooties; 2001. 346 p.ISBN 92-9044-521-1.€ 40,00.

Il volume riporta le relazioni presentate alla ConferenzaInternazionale promossa dall’Office International des Epizooties(OIE) su: Risk analysis in aquatic animal health, (8-10 febbraio,2000, Parigi). La tematica proposta e gli argomenti trattatirappresentano una novità assoluta nell’impostazione dei dibattitiscientifici sulle problematiche sanitarie degli animali acquatici,intesi qui pesci, molluschi e crostacei prodotti in allevamentoe di interesse alimentare per l’uomo. Per l’OIE, le patologieittiche (lista B) costituiscono importanti epizoozie da teneresotto sorveglianza, sia per i danni socioeconomici cheprovocano, sia per l’introduzione di nuovi agenti eziologici inaree indenni. I prodotti acquatici hanno avuto uno sviluppoproduttivo enorme negli ultimi anni con relativo incremento discambi commerciali tra tutte le aree continentali. Alla luce diquesti cambiamenti l’OIE stila già da alcuni anni l’Internationalaquatic animal health code, una guida che contiene una seriedi raccomandazioni, misure, metodi diagnostici, rivolta a tuttii paesi al fine di assicurare e proteggere lo stato sanitario deglianimali, lo stato zoosanitario dei paesi importatori e la sanitàpubblica; preoccupandosi allo stesso tempo di non crearebarriere commerciali tra paesi. Questo, è stato un puntofondamentale di negoziazione nell’ambito del WTO del 1994,in Uruguay, che ha prodotto uno specifico documento:Agreement on the application of sanitary and phytosanitarymeasures (SPS agreement). Ed è con lo spirito di individuareun nuovo approccio alle valutazioni sanitarie, non solorigidamente restrittive, che si è proposto in questo meeting, diverificare la validità dell’analisi del rischio applicato ai problemisanitari degli animali acquatici. Il processo di analisi del rischioper le patologie ittiche segue gli stessi percorsi: individuazionedel rischio (hazard); valutazione del rischio (risk assessment);gestione del rischio (risk management); comunicazione delrischio (risk communication). Numerose esperienze e modellisono stati presentati da autorevoli studiosi sulla valutazione delrischio per diverse patologie ittiche; anche se subito è statosottolineato che un limite a questa metodologia è rappresentatodalle scarse conoscenze sui cicli biologici di molti agentieziologici. I punti presi maggiormente in esame e sui quali si è

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sperimentata la metodologia della valutazione del rischio,hanno riguardato il passaggio di patogeni di pesci in allevamentoalle popolazioni ittiche selvatiche, e la valutazione del potenzialeinfettivo di nuovi agenti eziologici in aree indenni. Ad esempio,è stato proposto il modello di simulazione Monte Carlo nellavalutazione del rischio all’introduzione di Aeromonassalmonicida e Gyrodactylus salaris attraverso l’importazionedi salmoni.

Dunque una raccolta di studi, proposte e modelli di notevoleinteresse soprattutto per chi opera nel comparto dell’acquacol-tura, come studioso, operatore, legislatore, e per chi ha compitidi prevenzione nell’ambito della sanità pubblica veterinaria.

Emilio GuandaliniIstituto Superiore di Sanità, Roma

BIOLOGIADELLO SVILUPPO.Dalla cellula all’organismo.Edoardo Boncinelli.Roma: Carocci editore;2001. 2. ed. 287 p.ISBN 88-430-1835-3.€ 10,85.

Biologia dello sviluppo è un piccolo volume pubblicato daCarocci editore che amplia e aggiorna un’edizione precedentedel 1994.

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L’aggiornamento riguarda le nuove scoperte dei processiregolativi e come questi sistemi si presentano neimammiferi, in particolare nell’uomo, dove negli ultimianni sono stati individuati i loci di numerose patologie diorigine genetica.

Il capitolo finale sulla clonazione è molto attuale edovrebbe essere letto soprattutto da chi su questo argomentone discute, spesso a sproposito. Lo stile del libro è colloquialee di tipo divulgativo ma con una terminologia essenziale erigorosa e con numerosi e interessanti spunti aneddotici sucelebri scienziati. Non è molto fruibile da chi non conosca lamateria. L’autore si rivolge, infatti, a chi già possiede basi inbiologia e voglia approfondire come il destino embriologicodelle varie cellule sia descritto nei cromosomi in sequenzespazio temporali ben strutturate. Da questo punto di vista illettore ideale, che può trarre dalla lettura il massimo vantaggio,è colui che, per professione o altro, desideri avere una tracciao trovare spunti per rendere più affascinante una lezione, unseminario o altro su queste tematiche.

La bibliografia è piuttosto essenziale e cita libri di testouniversitario e non articoli o rassegne specifiche su rivistespecializzate. Bibliografia e grafica costituiscono, a mio avviso,i punti più carenti del libro e avrebbero richiesto una maggioreattenzione.

Dopo una panoramica generale sui metodi sperimentali esui rudimenti conoscitivi della biologia dello sviluppo, chedescrive in maniera esaustiva il modello della Drosophila, illibro affronta il tema dei geni omeotici e più in particolarequelli delle omeobox (Emx-1, Emx-2, Otx-1 e Otx-2) che sonouna delle più importanti scoperte dell’autore.

La descrizione dei meccanismi biologici che sottendono laregionalizzazione del cervello embrionale è appassionata edavvincente e rende questo libro “degno di essere letto”.

Maurizio TomasiIstituto Superiore di Sanità, Roma