Rassegna n. 36 - cidifi.it · scuole delle strutture che possano permettere effettivamente la...

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ISTITUTO PEDAGOGICO Rassegna 36 Il curricolo verticale Periodico dell’Istituto Pedagogico ANNO XVI agosto 2008 Impaginato Rassegna n. 36 6-10-2008 17:08 Pagina 1

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ISTITUTO PEDAGOGICO

Rassegna36

Il curricolo verticale

Periodico dell’Istituto Pedagogico ANNO XVIagosto 2008

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RassegnaPeriodico quadrimestrale dell’Istituto Pedagogicoprovinciale per il gruppo linguistico italianoAnno XVI, n. 36, agosto 2008

Consulenza scientifica per Rassegna n. 36Carlo Fiorentini

Direttore responsabileBruna Visintin Rauzi

Comitato scientificoGianfranco Amati, ex Presidente Istituto pedagogico – Merano; Mario Ambel, Docente di lettere – Torino; SiegfriedBaur, Pedagogia interculturale – Klagenfurt e Bolzano-Bressanone; Giorgio Bissolo, Direttore del Centro di forma-zione professionale in lingua italiana – Bolzano; Stefania Cavagnoli, Lingue e letterature straniere – Macerata e Tren-to; Renza Celli, Direttrice Circolo Didattico scuola materna – Merano; Bruno D’Amore, Didattica della matematica –Bologna e Bressanone; Alberto Destro, Lingue e Letterature straniere – Bologna; Martin Dodman, Scienze della For-mazione – Bolzano-Bressanone; Fiorella Farinelli, Direttore generale studi e programmazione, Ministero P. I. – ri-cercatrice Isfol – Roma; Carlo Fiorentini, Presidente CIDI Toscana – Firenze; Silvio Goglio, Dipartimento di econo-mia – Trento; Luigi Guerra, Scienze della Formazione – Bologna e Bolzano-Bressanone; Dario Ianes, cattedra di Pe-dagogia speciale alla facoltà Scienze della formazione – Trento e Bolzano-Bressanone – Adel Jabbar, Sociologia del-le migrazioni – Venezia e Trento; Claudio Magris, Letteratura tedesca moderna e contemporanea – Trieste; Vito Ma-strolia, vicepresidente Comitato provinciale di valutazione per la qualità del sistema scolastico – Bolzano; Ivo Mat-tozzi, Dipartimento Discipline Storiche – Bologna; Luigina Mortari, Scienze della Formazione – Verona; GüntherPallaver, Institut für Politikwissenschaft – Innsbruck; Mirca Passarella, Dirigente Istituto comprensivo – Bolzano;Daniela Pellegrini Galastri, ex Direttrice Istituto Pedagogico – Bolzano, esperta educazione permanente; AntonioRiccò, ex Dirigente scolastico Merano I – Merano – Daniela Silvestri Lupoli, Scienze della Formazione – Verona;Mario Telò, Istituto di Studi europei – Universitè Libre de Bruxelles; Enrico Tezza, Centro internazionale di forma-zione ILO – Torino; Roberto Toniatti, Diritto costituzionale – Trento; Roland Verra, Intendente scolastico ladino –Bolzano.

Comitato di direzioneCarlo Bertorelle, Michela Benvenuti, Daniela Silvestri Lupoli

CoordinamentoCarlo Bertorelle

Gruppo redazionale Istituto pedagogicoClaudio Cantisani, Liza Centrone, Nicola Gambetti

Segreteria di redazioneSarah Giongo

Direzione e redazionevia del Ronco 2, 39100 Bolzano; numeri telefonici (prefisso 0471) 411440-1-4 (direzione – segreteria),411465 (redazione), 411448 (biblioteca), 411469 (fax);E-mail: [email protected]; Internet: www.ipbz.it

Autorizzazione del Tribunale di Bolzanon. 8 del 17.10.1994

Realizzazione graficaEdizioni Juniorviale dell’Industria, Azzano San Paolo (BG), tel. 035 534123

StampaMaggioni Lino Srl, Ranica (BG)

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Il curricolo verticale

EDITORIALE

Carlo FiorentiniDalla scuola del programma alla scuola del curricolo ...................................................... 5

STUDI

Vanna BoffoI contesti di apprendimento per gli alunni di oggi ................................................................ 8

Lucia BigozziProcesso di costruzione e cambiamento concettuale in contesti di istruzione ........................................................ 19

Carlo FiorentiniIl curricolo verticale. Complessità teorica e pratica ............................................................ 25

Maria PiscitelliConsiderazioni sulla costruzione del curricolo di Lingua italiana .............................................. 34

Brunetto PiochiRiflessioni sul curricolo di matematica.............. 43

Eleonora Aquilini, Leonardo BarsantiniIl curricolo verticale di scienze.......................... 51

Sommario

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INTERVENTI

Roberta BenefortiIl curricolo verticale nel circolo didattico di Vinci................................................................ 60

Gianna CampigliInsegnare in altro modo... si può........................ 66

Simona SacchiniGalileo Galilei. Un caso di argomentazione negata ................................................................ 72

Paola ContiInsegnare scienze nella scuola dell’infanzia...... 79

Rossana NenciniAffinché la matematica non sia necessariamentel’opposto del piacere .......................................... 85

Margherita D’OnofrioLa probabilità .................................................... 90

Giuseppe Bagni, Domenico ChiesaTecnologia. Un fatto di realtà ............................ 97

Rubriche

SCHEDE

Fiorella FarinelliIl “Piano programmatico” Gelmini-Tremonti sulla scuola ........................................................101

Gianfranco AmatiEtica ed economia: una lettura di E. Severino ....107

Gli autori di questo numero ..............................114

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Editoriale

Dalla scuola del programmaalla scuola del curricolo

Negli ultimi decenni, il nodo piùimportante, ma anche più problemati-co e controverso, del processo di de-mocratizzazione della scuola si è rile-vato essere il passaggio dalla scuoladel programma alla scuola del curri-colo. È necessario innanzitutto chiari-re che cosa si intende con questa for-mulazione, con scuola del curricolo.

La scuola del curricolo è la scuoladella complessità: da molto tempo èdiffusa la consapevolezza che per rea-lizzare apprendimenti significativi, equindi competenze culturali durature,occorre contemporaneamente selezio-nare saperi essenziali, strumenti e am-bienti adeguati e praticare metodolo-gie e modalità relazionali innovative.È necessario abbandonare la logicadel programma che si affida essenzial-mente all’organizzazione specialistica,accademica delle discipline.

Le teorie del curricolo affondano leloro origini nella comprensione, svi-luppata dal miglior pensiero psicope-dagogico del Novecento (da Dewey aBruner), che la scuola di massa costi-tuisce uno scenario nuovo e molto più

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complesso della scuola tradizionale, selettiva ed elitaria. In questa situazione, to-talmente nuova nella storia dell’umanità, l’ideale democratico della formazionedi tutti i cittadini impone un ripensamento radicale di consuetudini didattiche,ormai diventate granitiche grazie alle conferme ricevute nel corso dei secoli.

L’idea fondamentale della scuola dei pochi consisteva nell’iniziazione pre-coce dei “capaci” alla cultura; la formazione ed il pensiero critico avrebberopotuto svilupparsi soltanto grazie ad un’ampia conoscenza dell’enciclopediadei vari campi della cultura. L’ispirazione principale della scuola del program-ma risiedeva nel ruolo esclusivo attribuito alle discipline, all’enciclopedia delleconoscenze selezionata dai sacerdoti della cultura alta. Non esisteva sostanzial-mente nessun problema pedagogico: chi non era in grado di capire o di soppor-tare un impegno particolarmente gravoso non era meritevole di accedere allacultura. La cristallizzazione in un modello istituzionale coerente di queste con-cezioni si realizzò con la riforma Gentile, come espressione di una visione eli-taria molto diffusa nella cultura italiana dei primi decenni del secolo.

Nella scuola di tutti, invece, modalità realmente innovative nella conduzionedel processo di insegnamento-apprendimento implicano tempi molto lunghi perpoter prestare attenzione ai processi di costruzione della conoscenza realizzati datutti gli studenti, alle loro difficoltà, agli ostacoli epistemologici che incontranoed ai loro “errori”. Nuove concezioni, nuove conoscenze possono essere, infatti,costruite solo se esse vengono innestate in modo adeguato su quelle precedenti.

Ora una scuola che dia cultura a tutti potrà svilupparsi non aggiungendo co-se nuove ai contenuti tradizionali, ma selezionando gli aspetti fondamentali;occorre individuare saperi essenziali e significativi, e uscire dall’illusione enci-clopedica per non avere più l’incubo del programma, per potere dare spazio ametodologie attive, costruttive, a modalità relazionali innovative, per dare ef-fettivamente centralità alla motivazione e all’interesse dello studente.

Questo numero di Rassegna dedicato alla problematica del curricolo vuoleessere un contributo sia teorico che operativo; il campo di indagine è circoscrit-to, per problemi di spazio, essenzialmente agli ambiti linguistico, matematico escientifico, anche se molte considerazioni hanno un carattere di maggiore gene-ralità e valgono probabilmente per tutti gli ambiti disciplinari ed educativi.

Innanzitutto, il contributo di Vanna Boffo mette in evidenza come le modifi-cazioni degli ultimi venti anni hanno reso ancora più drammatica la lontananzatra le giovani generazioni ed una scuola legata a modelli, paradigmi del passa-to, e ancor più ineludibile la necessità, oggi, della scuola del curricolo rispettoalle pur stringenti motivazioni sociali e culturali dei decenni passati.

Lucia Bigozzi, dopo aver indicato il rapporto proficuo che dovrebbe esisteretra pratiche didattiche e ricerca scientifica nell’ambito della psicologia dell’ap-prendimento, riporta sinteticamente i risultati di ricerche che hanno messo, laprima, a confronto proposte didattiche tradizionali con proposte basate sull’os-

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servazione di fenomeni, la seconda, il ruolo della verbalizzazione scritta indivi-duale come seconda fase del processo di concettualizzazione.

Il mio contributo si propone di analizzare le componenti fondamentali dellascuola del curricolo, sia nelle dimensione teorica che operativa, evidenziando lanecessità – per far uscire la problematica del curricolo dal terreno di disputepuramente accademiche tra diverse scuole pedagogiche – della presenza nellescuole delle strutture che possano permettere effettivamente la progettazionecurricolare.

I tre contributi generali di Piscitelli, Piochi e Aquilini-Barsantini sul currico-lo linguistico, matematico e scientifico approfondiscono in modo esemplare inodi di fondo del curricolo, cioè, da una parte la crisi esistente tra modelli tradi-zionali di insegnamento e le motivazioni e le modalità di apprendimento deglistudenti (come confermato dalle indagini nazionali ed internazionali) e dall’al-tra, i nessi esistenti tra saperi essenziali, metodologie e modalità relazionali inciascun ambito disciplinare.

Nella parte dedicata agli interventi vi sono contributi di vario tipo: 1. I primi due contributi si riferiscono ad un’esperienza sul curricolo vertica-

le di una scuola, la Direzione didattica di Vinci. Il primo, della dirigente scola-stica della scuola Roberta Beneforti, tratta dell’organizzazione adottata dallascuola per dare centralità alla progettazione e sperimentazione curricolare, il se-condo di Gianna Campigli indica le motivazioni e linee essenziali del curricololinguistico sperimentato nella scuola.

2. Sono presentati, seppur in modo sintetico, 2 percorsi significativi nell’ot-tica curricolare, Galileo Galilei: un caso di argomentazione negata di SimonaSacchini e La probabilità di Margherita D’Onofrio, ambedue per la scuola se-condaria di primo grado.

3. Vi sono due approfondimenti relativi a specifici livelli scolari, quello diPaola Conti sull’insegnamento scientifico nella scuola dell’infanzia e quello diRossana Nencini sul curricolo di matematica nella scuola primaria.

4. Segue infine una breve riflessione di Bagni e Chiesa sulla dimensione for-mativa della tecnologia nella scolarità preuniversitaria ed in particolare sulle im-plicazioni negli indirizzi tecnici e professionali della scuola secondaria superiore.

In conclusione, riteniamo opportuno evidenziare l’unitarietà di impostazionepedagogica epistemologica ed operativa che caratterizza tutti gli studi e gli in-terventi qui presentati. Si tratta di un primo avvio, con l’illustrazione di concre-te esperienze tratte dal campo didattico. Altre ne seguiranno, con riferimentoanche alle realtà della scuola altoatesina. È noto che l’impegno sul curricolo,anche a seguito delle Indicazioni nazionali e provinciali, è appena agli inizi eRassegna intende farne, anche in futuro, oggetto specifico di documentazionedidattica e operativa.

Carlo Fiorentini

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Non esiste felicità nell’avere e nel ricevere,ma soltanto nel dare.

Paulo Coelho, Il dono supremo

1. MUTAZIONI ANTROPOLOGICHE: GLI ADOLESCENTI OGGI

«Cara Scuola, ieri i telegiornaliparlavano dell’emozione di noi stu-denti alla vigilia dell’esame che conti-nua a essere popolarmente chiamato“di maturità”. Oggi ti scrivo questalettera, durante l’esame medesimo,poiché me l’hai chiesta. Infatti la“traccia” che ho scelto, quella “di at-tualità”, esordisce così: “Comunicarele emozioni: un tempo per farlo siscriveva una lettera, oggi un sms ouna e-mail”. Quello che mi chiedi,però, non è un sms o una e-mail percomunicarti la mia emozione di matu-rando. Mi chiedi un tema, e il tema,fra le forme di comunicazione, asso-miglia soprattutto alla lettera. [...]

Cosa posso dirti delle lettere? Soche mia madre si è sempre lamentataperché il mio babbo non gliene ha maiscritta una d’amore. So che nell’anto-

logia di letteratura ne abbiamo “fatta”una molto importante, scritta da unoscrittore di Praga a suo padre che sta-va a Recanati. Sotto il banco ho un te-lefonino che la commissione non hascoperto, e ho letto l’sms che mia ma-dre essendo un po’ in ansia mi ha ap-pena mandato: “È difficile? Vuoi 1mano?”. Appena il commissario sivolta le rispondo: “Ho + o - finito.Torno subito”.

Cara Scuola, per concludere io nonso cosa sia una lettera. So che se devodire a un’amica a che ora esco oppurese in televisione passa un video chemi piace, prendo il telefonino e scrivoqualcosa. Tu parli di odori. A cosa tiriferisci? All’inchiostro? Il destinata-rio di una lettera la annusava? Questacosa sarebbe assai curiosa, ma non sodirtene molto. Sai com’è; a te, vogliodire a Scuola, non se n’è parlato mai»(Bartezzaghi, 2008).

Il brano, che Bartezzaghi ha scrittoper commentare una delle proposteper la prima prova degli esami di statodel 18 giugno 2008, risulta davverodenso ed esplicativo del tema che

Studi

I contesti di apprendimento per gli alunni di oggi

VANNA BOFFO

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verrà sviluppato in queste pagine.Certamente, oggi più di ieri, un ieriche arriva ad essere tale fino alla metàdegli anni Ottanta del Novecento, gliadolescenti hanno subito una mutazio-ne antropologica. Le parole riportatela mettono ben in evidenza: forsequalche ragazzo o qualche ragazza,più facilmente, usa scrivere lettere cheprevedono carta da lettere, appunto, epenna, che prevedono lo sviluppo diuna argomentazione al posto di unaparatassi imitativa delle forme di co-municazione orale, che prevedono uninizio e una fine, magari anche unabusta affrancata per la spedizione? Lalettera non esiste più, nemmeno nel-l’immaginario delle ragazze quindi-cenni che, forse, appena venti anni fa,erano le più inclini all’uso di questomezzo di comunicazione. L’analisi deltesto precedente ci conduce, in modoemblematico a evidenziare i dati di uncambiamento epocale che ha coinvol-to i giovani adolescenti, ma non solo,i bambini, gli adulti, le società del be-nessere occidentale.

Lyotard, nel volume La condizionepostmoderna, ci fornisce una chiavedi lettura sapiente e rivelatrice dellasvolta che stiamo vivendo. Nell’inci-pit dell’Introduzione, afferma: «L’og-getto di questo studio è la condizionedel sapere nelle società più sviluppa-te. Abbiamo deciso di chiamarla “po-stmoderna”. La definizione è correntenella letteratura sociologica e critica[...]. Essa designa lo stato della cultu-ra dopo le trasformazioni subite dalleregole dei giochi della scienza, dellaletteratura e delle arti a partire dalla

fine del XIX secolo. Tali trasforma-zioni saranno messe qui in relazionecon la crisi delle narrazioni» (Lyotard,1981, p. 5). Attualmente, siamo inun’epoca che ha già travalicato il po-stmoderno, anche se è da qui che dob-biamo partire per capire la nostra con-dizione attuale di «vita liquida» (Bau-man, 2006).

La fine delle narrazioni rappresen-ta la fine della credenza in una ideolo-gia diffusa che vedeva nel camminodell’uomo un progresso inesorabile ela possibilità del raggiungimento diuna meta, quanto più avanzata possi-bile, ancorché utopica. Il sapere e lacultura non si nutrono più di questaconsapevolezza, non stiamo andandopiù in alcun luogo, non stiamo più di-rigendoci verso un’utopia perché si èperso il carattere disinteressato delraggiungimento del sapere e, con que-sto, della conoscenza. Sapere e cono-scenza sono merci, che si vendono,che si esportano, che si barattano, chesi mostrano, ma non che si raggiungo-no disinteressatamente. Sono due gliaspetti macroscopici di questo cam-biamento epocale: da una parte, la fi-ne delle narrazioni, e dunque, dei rac-conti ideologici, per cui è possibile ri-levare che siamo in presenza di unaincapacità a pensare il futuro, dall’al-tra, la società informatizzata, nei ter-mine della quale la scienza ha prodot-to le sue scoperte ad una rapidità maiconosciuta prima degli anni Cinquantadel Novecento. Ma il discorso scienti-fico è, innanzitutto, un discorso intor-no al linguaggio, ai suoi usi, alle suemodalità di uso.

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Infatti, sottostante al problemadella tecnologia, che domina il mon-do digitalizzato nel quale viviamo,c’è il problema del linguaggio. «Il sa-pere scientifico è una specie di di-scorso. Si può dire che da quarant’an-ni le scienze e le tecnologie cosiddet-te di punta vertono sul linguaggio: lafonologia e le teorie linguistiche [...],i problemi della comunicazione e del-la cibernetica [...], l’algebra modernae l’informatica [...], gli elaboratori e iloro linguaggi [...], i problemi di tra-duzione dei linguaggi e la ricerca dicompatibilità fra linguaggi-macchina[...], i problemi di memorizzazione ele banche dati [...], la telematica e lamessa a punto di terminali “intelli-genti” [...]: e l’elenco non è esausti-vo» (Lyotard, 1981, pp. 9-10). La tra-sformazione, continua Lyotard, nonlascia integra la struttura del sapere,anzi questo potrà circolare solamentese si tratterà di sapere traducibile inquantità di informazioni (ivi, p. 11-12). Viene avanzata una previsioneche ha senso riprendere, oggi, atrent’anni di distanza dalla sua formu-lazione: «[...] tutto ciò che nell’ambi-to del sapere costituito non soddisfatale condizione sarà abbandonato, [...]l’orientamento delle nuove ricerchesarà condizionato dalla traducibilitàin linguaggio-macchina degli even-tuali risultati. I “produttori” di sapereal pari dei suoi utenti devono e do-vranno disporre dei mezzi per tradur-re in tali linguaggi ciò che i primi cer-cano di inventare e i secondi di impa-rare. [...] Attraverso l’egemonia del-l’informatica, si impone una certa lo-

gica, cioè un insieme di prescrizionifondate su enunciati accettati comeenunciati del “sapere”. [...] L’anticoprincipio secondo il quale l’acquisi-zione del sapere è inscindibile dallaformazione (Bildung) dello spirito, eanche della personalità, cade e cadràsempre più in disuso. Questo rapportofra la conoscenza ed i suoi fornitoried utenti tende e tenderà a rivestire laforma di quello che intercorre fra lamerce ed i suoi produttori e consuma-tori, vale a dire la forma valore. Il sa-pere viene e verrà prodotto per esserevenduto [...]» (Ibidem).

Il quadro tracciato da Lyotard si èinfaustamente avverato: siamo in pre-senza di una profezia che apre al futu-ro ulteriore, che ci riguarda, ma chenon vogliamo guardare da vicino, ed èuna profezia che ha origine dalle ce-neri di una epocale credenza, quelladella possibilità per l’uomo di andareavanti, di avere delle certezze, di ave-re delle utopie da raggiungere. Invece,oggi, l’uomo occidentale, come ci haben illustrato Lyotard, ma come Bau-man ci descrive, allestisce la propriavita intorno alla grande illusione dellamerce, in luoghi che sono non-luoghi(Augé, 2005).

Gli adolescenti, oggi, dagli undici-dodici anni fino ai diciotto-venti sonoinconsapevoli di questi mutamenti,ma hanno vissuto con il cambiamentoe sono nel cambiamento, doppiamen-te, per età anagrafica e per condizio-ne sociale. Vivono nella precarietà,precari alla vita, vivono nel mondovirtuale del desiderio e della realizza-zione del medesimo, fanno molta fa-

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tica a riconoscere ed accettare larealtà, comunicano spasmodicamenteimmersi nel mondo della comunica-zione senza fili, un non-luogo per ec-cellenza, ma sono soli e tristi e persipiù a lungo, per molto più tempo, conuna determinazione di angoscia sop-pressa che li rende talvolta troppovuoti, talvolta troppo superficiali, tal-volta inconsapevoli e sconosciuti aloro stessi (Benasayag, Schmit,2003). Stanno vivendo pienamente lascissione fra sapere e conoscenza, ac-quisizione di sapere e cura di sé, cul-tura del sé e formazione. I ragazzinon studiano approfondendo, amanola comunicazione più di ogni altra co-sa, ma sono soli nelle loro vite digita-li. La carta profuma solamente per al-cuni, vale a dire solamente per alcuniha importanza e solamente alcunisanno tirare fuori dalla medesima pa-rola scritta un senso e un significato.Smarrito, per altro, di fronte alla faci-lità del click del mouse o del teleco-mando.

Gli adolescenti, oggi, per la primavolta, iniziano ad essere figli di padrie di madri che vivono il fallimentoeconomico dei grandi sistemi di pro-duzione, dalla Francia, alla Spagna,alla Gran Bretagna, alla Germania(Franceschini, 2008, p. 43). Gli adole-scenti, oggi, incarnano forme vitalilontane, anche, dai loro disinibiti pa-dri e madri che hanno vissuto il post-’68, che hanno visto la caduta del si-stema familiare patriarcale, che hannovisto il mercato mondializzarsi e dive-nire, con la tecnica, padrone delle vitedegli uomini occidentali.

2. APPRENDERE NEL CAMBIAMENTO:COMPLESSITÀ SOCIALE, CULTURALE,AFFETTIVA

Parlare degli adolescenti implica,in primo luogo, parlare dell’ambienteche li ha accolti e li allevati, nel qualesono cresciuti e sono diventati gli es-seri fragili che adesso sono. Tuttavia,una riflessione sulla fragilità richiamala complessità che caratterizza le vitedi questi ragazzi, e che, in primaistanza, influenza quelle degli adultiche dovrebbero saper consegnare loropercorsi da seguire e strade da sceglie-re. Benasayag e Schmit, due psicote-rapeuti francesi che si sono interrogatia lungo, di fronte al dilagare della sof-ferenza che passava per i loro servizipsichiatrici, hanno scelto di procederealla ricerca delle passioni gioiose alposto di quelle passioni tristi che han-no visto albergare in tanti adolescentie in tante loro famiglie alla ricerca disé (Benasayag, Schmit, 2003). Infatti,hanno osservato che «la crisi non ètanto del singolo quanto il riflesso nelsingolo della crisi della società, che,senza preavviso, fa il suo ingresso neicentri di consulenza psicologica e psi-chiatrica, lasciando gli operatori disar-mati» (Galimberti, 2007, p. 26). Lacrisi consiste nel «cambiamento di se-gno del futuro: dal futuro-promessa alfuturo-minaccia. E siccome la psicheè sana quando è aperta al futuro (a dif-ferenza della psiche depressa tutta rac-colta nel passato, e della psiche ma-niacale tutta concentrata sul presente),quando il futuro chiude le sue porte o,se le apre, è solo per offrirsi come in-

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certezza, precarietà, insicurezza, in-quietudine, allora [...] “il terribile ègià accaduto [...], perché le iniziativesi spengono, le speranze appaionovuote, la demotivazione cresce, l’e-nergia vitale implode» (Ibidem).

Il sentimento dominante, in questocontesto, è l’incertezza e l’insicurezzache ne deriva, come cifra comporta-mentale. Tuttavia l’insicurezza nondeve essere motivo per chiudersi allaricerca della base sicura a cui i mag-giori psicoanalisti della seconda metàdel Novecento, da Bowlby a Winni-cott a Bettelheim, hanno alluso, trat-tando il tema dei legami familiari ematerni, in particolar modo. Infatti, laricerca della base sicura rappresenta ilraggiugimento, da parte del bambinoprima, e dell’adolescente poi, di una opiù figure di riferimento che possanopermettere di strutturare il sé, che pos-sono permettere l’accesso ad un possi-bile modello di identità che ciascunbambino e ciascun adolescente devecostituirsi nel proprio immaginarioper non rimane intrappolato nei proprivissuti emotivi e angoscianti. La ricer-ca della base sicura, tuttavia, nonchiude al mondo, non esclude per lapropria sicurezza personale, non al-lontana l’altro e, soprattutto, non hapaura del diverso. Trovare la base si-cura e, dunque, la sicurezza in se stes-si, o anche negli altri e nell’ambientedi vita, vuol dire essere aperti al mon-do, vuol dire essere disponibili all’al-tro, significa agire con la capacità cri-tica della cosciente percezione di sé,significa non aver timore, non esseredominati dalla paura. La sicurezza in-

teriore che richiama sempre quellaambientale, oggi, come sempre, è ilsegno di una maturità e di una saggez-za aperte all’altro, all’altro da sé e alsenso del mondo e delle sue novità.Allora, è importante imparare a convi-vere, ma soprattutto a vivere bene,nell’incertezza saper trovare la basesicura da cui partire per viaggiare nelmondo. La complessità, infatti, non èsolo l’aumento esponenziale dellepossibilità di accesso alla comunica-zione, non è solamente crescita smisu-rata di merci di scambio in un mercatoglobale o beni di consumo che affa-mano chi non li possiede, è anchecomplessità di interpretazione critica,complessità di saperi e di conoscenze,è complessità di affetti e gestionecomplessa della vita emotiva.

Morin, che approfonditamente hastudiato la complessità (2000, 2001),ci ha consegnato un modello per af-frontarla, circolarmente, secondo i ver-santi sociali, culturali, affettivi e cono-scitivi dimostrando come gli uni nonsiano mai separati dagli altri. I sette sa-peri necessari all’educazione del futu-ro rappresentano un canone per gli an-ni duemila, da avere presente per unprogetto di vita: 1. La cecità della co-noscenza, l’errore e l’illusione; 2. Iprincipi di una conoscenza pertinente;3. Insegnare la condizione umana; 4.Insegnare l’identità terrestre; 5. Af-frontare le incertezze, 6. Insegnare lacomprensione; 7. L’etica del genereumano (Morin, 2001, p. 5-6).

Apprendere nel cambiamento, allo-ra, vuol dire avere presente la com-plessità, ma anche sapere che è possi-

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bile abitare questa complessità, comeluogo da vivere e non solo come non-luogo da attraversare.

3. COGNIZIONE, METACOGNIZIONE E

COMUNICAZIONE

La famiglia ha un’importanza fon-damentale per la costruzione di un am-biente di crescita sereno e accogliente,ma non solo nel periodo della primainfanzia. Sappiamo che questo è, pos-siamo dire, propedeutico a ciò che av-verrà, poi, in adolescenza. Come affer-mano gli studi attuali sull’attaccamen-to in età adolescenziale (Allen, Land,2002, pp. 363-381), gli attaccamentisicuri da zero a tre anni, si rifletteran-no anche nell’adolescenza, per non di-re poi nell’età adulta. Questo vale perle dimensioni affettive ed emotive deisoggetti adolescenti e vale come predi-zione di una adolescenza che potrà ri-solversi in senso positivo. La struttura-zione del legame materno, prima, e dellegame familiare, successivamente,fondano le basi della soggettività uma-na, secondo gli ordini cognitivi, socia-li, affettivi. Questo vale, a maggior ra-gione, nell’adolescenza. Ciò che Win-nicott e Dolto avevano scoperto persensibilità clinica, per capacità di os-servazione psicoanalitica, per estremacompetenza educativo/formativa, at-tualmente viene confermato sul frontedelle indagini psicobiologiche e neuro-logiche. Da una parte, gli studi sull’at-taccamento sottolineano l’importanzafondamentale di insegnare a “impararea leggere” la mente dell’altro (Fonagy,

Target, 2001). Gli adolescenti cheavranno vissuto attaccamenti sicuri so-no più disponibili a dialogare, a met-tersi in gioco, a interagire con gli altri,anche se vivranno la loro adolescenzaimmersi nel disagio che l’età compor-terà. Dall’altra, sottolineano che le re-lazioni e i legami familiari sono im-portanti, nella prima infanzia perchéstrutturano le menti, nell’adolescenzaperché hanno la possibilità di operareun contenimento emotivo, sempre chei genitori siano in grado di affrontare ildifficile passaggio adolescenziale deifigli. La lettura della mente dell’altrocomporta l’acquisizione di una capa-cità di osservazione riflessiva e riflet-tente che non solo sostiene il soggettosul piano affettivo, ma lo stimola e lomotiva sul piano cognitivo.

Se la lettura dell’ambiente di ap-prendimento ci ha rimandato un nihi-lismo diffuso e perturbante (Galim-berti, 2007), maggior imputato di undisorientamento individuale, è possi-bile trovare strategie educative chepossano modificare i dati allarmantidel disagio esistenziale e sociale difronte al quale gli adolescenti si trova-no. Il rapporto fra la capacità di usarela propria cognizione, l’esercizio dellametacognizione e la capacità comuni-cativa può essere messo in gioco vir-tuosamente.

Le giovani generazioni hanno unapotenzialità comunicativa infinita-mente superiore a quella delle genera-zioni precedenti, l’uso dei nuovi me-dia come i cellulari, i personal com-puter, i videogiochi, la televisone, gliI-pod, gli I-phone, le PSP, forniscono

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agli adolescenti una vita digitale senzaconfini, hanno possibilità di parola edi contatti di fronte alle quali le lettere“alla Jacopo Ortis”, che hanno segna-to i padri e le madri, almeno fino allafine degli anni Settanta, sembrerebbe-ro mezzi di infinitesima semplicità.

Le giovani generazioni non hannobisogno di lettere, comunicazione cheavviene sempre e comunque, “in dif-ferita”, scrivono nuovi testi, con nuovilinguaggi, ricchi di emoticons che ap-parentemente possono sostituire glisguardi, i non detti, le interiezioni, illinguaggio non verbale che “colora” e“dirige” quello verbale e di contenuto.Si scambiano messaggi on-line, milio-ni di messaggi, e mettono alla prova leloro identità scambiandole al compu-ter, celandosi dietro gli avatar, inmondi virtuali che li nascondono.

Hanno un permesso alla conoscen-za sconosciuto fino a quindici anni fa,dunque, potrebbero avvicinare saperiquantitativamente più ingenti. Tutta-via, i dati delle ricerche comunitarie,come l’OCSE-PISA 2006, ci rimanda-no una situazione poco brillante sulfronte degli apprendimenti, soprattuttoscientifici. Fra la capacità di comuni-care secondo modelli predefiniti dalmezzo che viene usato e la riflessivitàche non è solamente una caratteristicache viene acquisita con il sapere sco-lastico-didattico, c’è una sorta di cortocircuito e gli adolescenti, oggi, ne su-biscono le drammatiche conseguenze.

La complessità delle conoscenze,la complessità dei saperi, la facilitàdegli accessi comunicativi alle une eagli altri non ha comportato una mag-

giore sapienza e nemmeno una capa-cità maggiore di affrontare i disagiesistenziali. La non-linearità dei mo-delli di apprendimento, la possibilitàdi accedere a narrazioni che creanouna mente plurale e dis-morfica (Bru-ner, 1992), non hanno mutato i proble-mi degli adolescenti. I mezzi di comu-nicazione, e la televisione è certamen-te in cima alla classifica, hanno edu-cato i bambini che ora sono ragazzi,che domani saranno adulti. Pochiscambi interpersonali, che invececreano alternativa di pensiero e spaziodel confronto, molte immagini chepassano indistinte, la solitudine dellavisione e la mancanza di amore che licirconda in un universo di distrazionisenza scuse. La capacità critica chepermette di affrontare l’altro, la capa-cità riflessiva, che nasce in famiglia,ma che è distorta dal mezzo, il rigoredella conoscenza che ha luogo sola-mente in un ambiente caldo e affetti-vamente accogliente sono le possibi-lità per l’esercizio di una mente meta-cognitiva, cioè creativa e divergente.

4. UNA POSTILLA PEDAGOGICA PER LA

SCUOLA

«La scuola ha a che fare con quellafase precaria dell’esistenza che è l’a-dolescenza, dove l’identità appena ab-bozzata non si gioca come nell’adultotra ciò che si è e la paura di perdere ciòche si è, ma nel divario ben più dram-matico tra il sapere che si è e la pauradi non riuscire ad essere ciò che si so-gna» (Galimberti, 2007, p. 31). La

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scuola può e deve fare qualcosa, è l’u-nica agenzia educativa rimasta a poterfare qualcosa: se non la scuola, chi?

La scuola era, fino a venti anni fa,un passaggio obbligato e certo, era iltempo necessario ad essere traghettativerso il mondo del lavoro, verso altreresponsabilità, saldando la crescita diuna identità giovanile con un sé aper-to alle responsabilità dell’adulto. Lascuola rappresentava quello che Ga-limberti afferma essere: «La garanziadella realizzabilità del progetto – cheprefigurava, nell’identità futura, quelconcetto di sé indispensabile per nonbrancolare nell’oscillazione dell’in-determinato» (Ibidem). La scuolacreava il contesto nel quale la forma-zione culturale e la formazione del séprocedevano al raggiungimento diquella cura dell’altro che, pur nonesplicitata, era però tacitamente per-seguita.

Il mondo scolastico soffre, invece,nell’attualità di un disagio che rispec-chia, almeno, quello degli allievi. Ver-rebbe quasi da pensare che è il disagioadulto che viene rispecchiato da quel-lo dei ragazzi. I fenomeni di bullismo,le aggressioni fisiche e verbali, la per-dita di ogni inibizione di fronte aqualsiasi manifestazione dissacrantedell’autorità, la caduta dell’autoritàmedesima sono atti e categorie com-portamentali specchio di un danno piùgrave che giace al fondo della perditadi riferimento, non dei ragazzi, ma de-gli adulti che non sono più guide,nemmeno a loro stessi.

Morin afferma, nei suoi ultimissi-mi lavori e nelle conferenze che va

ancora facendo in giro per il mondoche sono tre le condizioni per formarsioggi. La prima è una formazione allacondizione di ambiguità di noi stessi edel mondo, che vuol dire conoscere isistemi logici di verità, conoscere lafalsificabilità, conoscere la fisicaquantistica e la poesia del Novecento,i sistemi politici e la ragione dell’illu-minismo, la scoperta dell’America e ilmovimento del Sessantotto. Non èpossibile insegnare cosa sia l’ambi-guità, cifra moreniana della nostraepoca, uscendo dal contesto di ap-prendimento che ha fatto la storia del-le idee, siano esse scientifiche, stori-che, letterarie o filosofiche. Il sapere èalla base della possibilità di parlare, diragionare, e di utilizzare questo saperee questa conoscenza. Chi, se non lascuola, può consegnare questo sapere?Non ha nulla a che vedere questa co-noscenza con le discipline, ma si apreai saperi. E l’apertura ai saperi impli-ca l’uso di una metodologia narrativa,proprio quella che sembrerebbe veico-lata da alcuni mezzi di comunicazioneodierni. Ma la scuola, dove è la scuo-la, dove sono gli insegnanti che anco-ra usano il sistema logico-inferenzialededuttivo come unica metodologiapossibile, che ancora stanno dentro iprogrammi e non intendono aprirsi aisaperi?

La seconda condizione di forma-zione è l’ambivalenza. Conoscerel’ambivalenza implica conoscere sestessi e la condizione umana. L’uomoè un essere ambivalente, per compor-tamento, per percezione, per differen-za. L’ambivalenza si impara vivendo,

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ma forse la scuola potrebbe aggiunge-re questo sapere alle conoscenze chediffonde: come? Insegnando l’autenti-cità, la congruenza, insegnando l’eticadella responsabilità. La scuola, comecorpo docente, può traghettare questacondizione umana come parte dellaformazione umana dell’uomo. Proprioattraverso i saperi relazioni e comuni-cativi. L’ascolto, l’empatia, il dialogocreano il terreno di coltura dell’eticaresponsabile, del proprio io, del pro-prio sé, dell’altro e del mondo. L’am-bivalenza permette la conoscenza del-l’uomo anche attraverso i saperi, lenarrazioni, le poetiche, le fantastiche,i libri da leggere e l’amore per la let-tura. Tutto ciò non può vivere nei con-testi di insegnamento e apprendimentosenza la passione dell’altro, senza lapassione per l’altro e vissuta con l’al-tro. Dove l’altro è il proprio allievo,sono le classi dei propri studenti.

La terza condizione di Morin è ilricorso al concetto di feedback, ovve-ro la presenza di una ricorsività che sitrova nei processi scientifici e tecno-logici, ma anche storici, letterari, filo-sofici, appunto, nei saperi dell’uomo.Il feedback è ciò tramite il quale siesercita l’empatia, è ciò tramite il qua-le si può comunicare noi stessi, è ciòtramite cui possiamo imparare daglierrori e dagli svantaggi.

Sono tre condizioni che indicanol’uso di un sapere, nel curriculo, pos-sibile e attuabile. Un sapere che narrae che comprende, un sapere costituitoda tanti saperi.

La scuola può consegnare questomodello di formazione umana dell’uo-

mo con la passione che unica sostanziala motivazione ad apprendere. La pas-sione è l’amore per l’uomo, per gli al-lievi, per ogni allievo diverso, che dàla forza e il coraggio di perseguire uncambiamento necessario e inevitabile.

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In questo lavoro intendiamo mette-re in evidenza ed esemplificare comenella pratica didattica sia necessariomuoversi con maggior rigore utiliz-zando i dati di ricerca presenti nellaletteratura scientifica, senza fidarsidelle “mode didattiche”, di quelle pra-tiche didattiche che diventano diffusee che vengono attuate e sostenute sen-za che se ne sia sperimentalmente ve-rificata l’efficacia (Bigozzi 2000).Prestare attenzione alla ricerca e allatraduzione operativa dei risultati di ri-cerca, assumere un metodo sperimen-tale come procedura, rappresenta unasolida base comune a qualsiasi impo-stazione teorica e garantisce la condi-visione di ciò che è già acquisito, la-sciando aperta la possibilità di ricon-trollare il risultato, senza accettare ve-rità assolute e definitive, avvicinando-si gradualmente, con successive ap-prossimazioni al vero (Perini 1998).

Il mondo della scuola è incalzatoda un numero vertiginoso di pubbli-cazioni ed articoli ed il ritmo con cuile conoscenze oggi si rinnovano ri-chiede un atteggiamento consapevole

di ‘gestione delle conoscenze’. La let-teratura scientifica rappresenta un in-sieme di ricerche empiriche volte allaverifica d’ipotesi teoriche. L’inse-gnante ha da acquisire come propriobagaglio metodologico quelle cono-scenze di disegno e conduzione dellaricerca necessarie per valutare critica-mente la letteratura scientifica; devesaper riconoscere uno studio speri-mentale e deve saper tener debita-mente in conto i suoi risultati, even-tualmente deve poterli applicare nelsuo specifico contesto. L’insegnantepuò inoltre utilizzare l’aspetto pubbli-co della ricerca: i ricercatori si con-frontano gli uni con gli altri pubbli-cando i propri lavori, essi si espongo-no al dibattito e sono abituati a ripor-tare le proprie esperienze agli altri.Rendere pubbliche le proprie espe-rienze è un’operazione che richiedel’uso di metodi appropriati per quan-tificare i risultati ottenuti, quantificareper poter confrontare. Pubblicare unapropria esperienza in una rivistascientifica è (dovrebbe essere) un’ot-tima scuola di esercizio critico e di

Studi

Processo di costruzione e cambiamento concettualein contesti di istruzione

LUCIA BIGOZZI

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confronto razionale, tuttavia la comu-nità scientifica tende a rimanere im-prigionata entro gli angusti confiniche si crea: uno dei limiti più impor-tanti della ricerca è la sua autorefe-renzialità. Troppe volte ci è dato dinotare come i ricercatori costituisco-no una comunità a sé stante con pochiagganci o riferimenti pratici. Molti ri-sultati teorici non trovano, se non do-po molto tempo, un’applicazione pra-tica di qualche utilità. Tuttavia vi so-no anche molti lavori che avrebberoimmediata utilità applicativa ma chenon vengono recepiti o semplicemen-te sono ignorati. La letteratura è mol-to più ricca di indicazioni pratiche diquel che appare: il problema fonda-mentale è come riuscire ad utilizzarla.

In Italia manca ancora la figura delmediatore tra ciò che si verifica nei la-boratori di ricerca e ciò che si verificaall’interno della scuola: mediatore nonnel senso di suggeritore di ricette di-dattiche, ma di segnalatore agli inse-gnanti di ciò che può loro interessaredi ciò che succede nel mondo dellascienza. Un simile mediatore non do-vrebbe dire agli insegnanti come devo-no utilizzare gli stimoli provenienti dalmondo della ricerca; semmai potrebbeaiutarli a sceglierli e a controllare se listanno utilizzando in modo corretto(Luccio 1992); proprio in questa dire-zione si muove il lavoro di ricerca chepresento.

Esso propone di mettere in rilievola necessità di costruire un ponte tra laricerca sulla concettualizzazionescientifica, in particolare sulla costru-zione di rappresentazioni di fenomeni

scientifici (Mason 1995) e l’attivitàdidattica. Oggetto di questo lavoro èla valutazione di efficacia di un per-corso di potenziamento del processodi costruzione e cambiamento concet-tuale in contesti d’istruzione. In parti-colare, è stato messo a punto e speri-mentalmente validato un metodo diinsegnamento-apprendimento dei con-cetti scientifici che si fonda su unaconcezione di apprendimento comeeducazione cognitiva integrata, capacedi stimolare conoscenza in molteplicidimensioni di sviluppo del bambino(Bigozzi et alii 2002). Tale percorso dipotenziamento ha come fulcro il ruolodel conflitto tra concezioni nello sti-molare la ristrutturazione di conoscen-ze in classe (Heywood 2007).

Nella scuola italiana la metodolo-gia prevalente attraverso la quale ven-gono appresi i concetti scientifici èquella di tipo “enciclopedico-trasmis-sivo”. Molto spesso i concetti vengonospiegati dall’insegnante, gli alunni stu-diano sul libro di testo nel quale tal-volta vengono descritti alcuni esperi-menti, le nozioni apprese vengono poiesposte all’insegnante oralmente o at-traverso compiti scritti come verificadell’avvenuto apprendimento ed ognitanto vengono svolti sporadici esperi-menti esemplificativi. Da tempo e an-che recentemente autorevoli lavorisperimentali (Lerner,-Neal 2007; Syh-Jong 2007) indicano che la miglioremetodologia per la costruzione deiconcetti scientifici è quella che preve-de l’osservazione di esperimenti con osenza manipolazione diretta di sostan-ze e materiali e discussione in gruppo;

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in quest’ottica è necessario che l’atti-vità scientifica sia autentica, realmentee concretamente realizzata e non rele-gata nell’ambito delle conoscenze “co-me se”. Un punto assai poco indagatosperimentalmente in letteratura riguar-da la tipologia di esperimenti da effet-tuare; le posizioni differiscono, alcuniautori sostengono la necessità di pro-porre ai ragazzi esperimenti dall’osser-vazione dei quali sia direttamenteesperibile il nucleo concettuale chel’insegnante intende far costruire (Fio-rentini et alii 2007). In tale ottica sisceglierà un esperimento anziché unaltro con un criterio di accessibilitàconcettuale da parte del discente piut-tosto che con altri criteri, come adesempio quello della spettacolaritàdell’esperimento stesso. La spettacola-rità in assenza di costruzione concet-tuale, anziché avvicinare i ragazzi almetodo scientifico e aiutarli nel pro-cesso di costruzione concettuale li av-vicina alla scienza dell’occulto e allamagia. Altri autori (Deuschl, Schwein-gruber & Shouse 2008) sostengonoche i ragazzi riescono a comprendereanche concetti molto complessi e nondeducibili dall’osservazione dell’espe-rimento, tuttavia non ci sono verifichesperimentali riguardo a tale possibilità.

È indispensabile che gli esperimen-ti oltre ad essere effettivamente svoltisiano anche progettati realizzati e di-scussi dal gruppo, poiché solo così sipossono facilitare i processi di rifles-sione, consapevolezza ed organizza-zione razionale delle conoscenze checonducono alla costruzione di concettiscientifici (Mason e Santi 1998); la di-

scussione tra coetanei è un importantemetodo di analisi, chiarificazione e di-stribuzione della conoscenza nel grup-po (Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio1991) e attiva dinamiche essenziali nelprocesso di costruzione dei concetti(Takagaki e Tahara 2006). Oltre alladiscussione gioca un ruolo determi-nante anche la scrittura di relazioni de-scrittive dell’esperimento osservato.La scrittura è determinante per la com-ponente di riflessione e sistematizza-zione delle nuove idee relative ai con-cetti scientifici osservati nei fenomeniriprodotti per consolidare i nuovi con-cetti integrandoli con i precedenti(Jaubert e Remiere 2006).

In un nostro lavoro del 2002 svoltocon Conti e Fiorentini (Bigozzi et alii2002), abbiamo verificato se lo svilup-po del ragionamento scientifico comeargomentazione (sapersi spiegare ilperché di un fenomeno), come esten-sione di un concetto a situazioni nuovee previsione circa l’andamento di unfenomeno e come descrizione di un fe-nomeno osservato, dipendesse dallamodalità attraverso la quale si è forma-ta la conoscenza dei fenomeni stessi.Hanno partecipato alla ricerca circa 80studenti di Scuola Elementare di classeIII, divisi in gruppi sperimentali egruppi di controllo. Dal punto di vistadei contenuti i gruppi hanno svolto ilmedesimo programma, mentre il grup-po di controllo ha utilizzato prevalen-temente il libro di testo e lo studio in-dividuale con interrogazioni o compitiper valutare l’avvenuto apprendimen-to, il gruppo sperimentale ha partecipa-to al percorso sperimentale.

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Il percorso sperimentale è volto al-lo sviluppo della capacità di utilizza-zione del metodo scientifico (indivi-duazione del problema, formulazionedi ipotesi, realizzazione dell’esperien-za, verifica delle ipotesi formulate),della capacità di manipolazione, os-servazione, analisi e misurazione, rac-colta sistematica di dati, loro codificae tabulazione, utilizzazione di stru-menti (termometro, lente di ingrandi-mento, microscopio, ecc...), del lin-guaggio scientifico che permetta didescrivere le esperienze osservate se-guendo un metodo sistematico e uti-lizzando termini specifici che vadanoad allargare il patrimonio lessicale.

Tali obiettivi sono stati perseguitiattraverso la cooperazione finalizzataalla realizzazione di esperienze scienti-fiche e la progettazione di gruppo, du-rante la realizzazione e l’osservazionediretta dell’esperimento, attraverso illavoro di piccolo gruppo/coppia, attra-verso la riflessione scritta individualeed il confronto nella discussione col-lettiva seguita da una riformulazionedel testo da parte di tutta la classe.

I due gruppi, sperimentale e con-trollo, sono stati sottoposti alle mede-sime prove oggettive all’inizio e allafine dell’anno scolastico. I due gruppihanno mostrato differenze statistica-mente significative a favore del grup-po sperimentale nella capacità di de-scrizione (stesura di una relazionescritta di tipo scientifico).

Non ci è possibile, in questa sede,esporre tutti i particolari risultati diquesta ricerca per la qual cosa riman-diamo all’articolo pubblicato (Bigozzi

et alii 2002), tuttavia vogliamo porreall’attenzione del lettore alcuni datiparticolarmente interessanti. Tutti ibambini, indipendentemente dalla me-todologia, hanno risposto correttamen-te alle domande sulla conservazionedel liquido, tuttavia solamente i bam-bini del gruppo sperimentale erano ingrado di spiegare il perché della lororisposta. Sempre nella stessa direzionei dati relativi alla capacità presente so-lo nei bambini del gruppo sperimenta-le di riconoscere un fenomeno scienti-fico (evaporazione) in contesti di vitaquotidiana (asciugatura di un lenzuo-lo) e di saper utilizzare il terminescientifico in tale contesto. I dati appe-na riportati ed anche altri risultanti dal-la nostra ricerca evidenziano che lametodologia didattica da noi propostaporta ad un apprendimento qualitativa-mente superiore rispetto a quello tradi-zionale, un apprendimento costruito equindi profondo, duraturo e trasferibilea dominii di realtà più ampi.

Abbiamo anche indagato se la mo-dalità utilizzata influisse sulla compo-sizione di narrazioni scritte struttural-mente adeguate e su competenze co-gnitivo – linguistiche di base: capacitàdi attivare ragionamenti di tipo para-frastico, inferenziale, logico, critico evalutativo, ed estetico-poetico durantela lettura di un brano. Abbiamo potutoregistrare a favore dei bambini “scien-ziati” del gruppo sperimentale, un in-cremento della sensibilità estetico-poe-tica durante la lettura di un brano. Ab-biamo interpretato tale incremento co-me conseguenza di una maggior acu-tezza percettiva sviluppatasi nei bam-

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bini esposti ripetutamente all’osserva-zione di fenomeni scientifici. Del restola parentela tra scienza ed arte non de-ve sorprendere, basti pensare ad illustripersonaggi come Galileo o Leonardo.

In un secondo studio (Bigozzi, Fio-rentini, Vezzani, Tarchi, in pubblicazio-ne) abbiamo voluto provare l’efficaciadi una metodologia che preveda, dopol’osservazione dell’esperimento, duemomenti di scrittura individuale primae dopo la discussione collettiva. Nor-malmente, nella pratica didattica degliinsegnanti che effettuano esperimentiscientifici in classe, l’osservazione del-l’esperimento è seguita dalla discussio-ne e poi dalla stesura della relazione.Noi abbiamo ipotizzato che fosse utilefar precedere la discussione da un mo-mento di scrittura individuale durantela quale i bambini fermassero le loroidee per meglio confrontarle e modifi-carle durante la discussione collettiva.

Anche in questa ricerca abbiamoformato gruppi sperimentali e di con-trollo, somministrato test e re-test, conanalisi statistica della significativitàdelle differenze tra i gruppi. Hannopartecipato alunni di terza, quarta equinta classe elementare. I risultati so-no molto interessanti: solo i bambinidel gruppo che ha scritto prima di di-scutere esplicitano un cambiamento diidea nella seconda stesura della relazio-ne dopo la discussione, questi bambinifanno maggior uso di termini epistemi-ci (lessico indicante stati mentali, come“credere”, “capire”, sembrare” ecc.) escrivono relazioni maggiormente diffe-renziate l’una dall’altra ed originali.

Questi dati c’informano sul valore

costruttivo della scrittura come mo-mento di riflessione del proprio pen-siero, infatti è vero che confrontandola propria idea con quella degli altris’impara purché un’idea si possieda,altrimenti si rischia di assorbire ed ac-cettare ciò che dicono gli altri. Tutta-via i dati di questa ricerca ci diconoche non sempre è necessario metterein atto una procedura così dispendiosain termini di tempo. Nel caso di con-cetti che si riferiscono a fenomeni giàosservati in precedenza (ad esempio lacombustione dell’alcool avendo già la-vorato sulla combustione della carta)risulta ridondante la pratica della scrit-tura prima della discussione e alcunevolte anche della discussione stessa:infatti i bambini, già alla prima stesuradella relazione, dopo l’osservazionedell’esperimento producono relazionisoddisfacenti, dimostrando che unostrumento pur utile come quello delladiscussione, non vada assunto comefosse una panacea, bensì ne vada valu-tata l’efficacia rispettando il principiodi parsimonia quanto ad energie didat-tiche e a tempi di apprendimento.

Nei prossimi lavori abbiamo inprogramma di verificare quali sianogli esperimenti che sono forieri di co-struzione concettuale nei vari ordini egradi di istruzione, vogliamo ancheanalizzare le discussioni con partico-lare attenzione al ruolo dell’insegnan-te ed infine valutare a lungo terminel’efficacia della metodologia da noiproposta, attraverso un follow up, cheevidenzi la durata e la solidità deiconcetti costruiti rispetto ai concettistudiati sul libro di testo.

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LA CENTRALITÀ DELLE DIDATTICHE

LABORATORIALI

In Insegnanti al timone di N. Bot-tani, uno dei più significativi espertiinternazionali dei sistemi scolastici, inun quadro complessivamente a tintefosche, vi è un piccolo paragrafo nel-l’ultimo capitolo caratterizzato da toniidilliaci: è dedicato alle grandi poten-zialità della “rivoluzione pedagogicadel XX secolo” (Bottani, 2002), quel-la del costruttivismo epistemologico epedagogico che pone al centro delprocesso di insegnamento/apprendi-mento l’attività costruttiva dello stu-dente. Per Bottani, la riqualificazionedella scuola potrà avvenire soltanto sei principi del costruttivismo potrannogeneralizzarsi, soppiantando pedago-gie ed approcci metodologici adatti al-la scuola del secolo passato.

Per il costruttivismo, l’apprendi-mento si può realizzare se lo studente èposto al centro del processo di costru-zione della conoscenza, se lo studenteè attivo sul piano cognitivo e se il pro-cesso di insegnamento-apprendimento

tiene conto delle complesse dinamicherelazionali che possono facilitare oostacolare la costruzione della cono-scenza. Il costruttivismo ha rielaborato,realizzandone una sintesi felice, i puntidi forza del contributo pedagogico dialcuni grandi psicopedagogisti del No-vecento, quali Dewey, Piaget, Vygot-skij e Bruner, e lasciando invece caderegli aspetti più effimeri (Calvani, 1998).

Una delle tesi centrali della Cultu-ra dell’Educazione di Bruner è che “latradizione pedagogica occidentalerende poca giustizia all’importanzadell’intersoggettività nella trasmissio-ne della cultura (...) Così il modellodell’insegnamento diventa quello delsingolo docente, presumibilmente on-nisciente, che racconta e mostra inmaniera esplicita ad allievi presumi-bilmente ignari di qualcosa di cui pre-sumibilmente non sanno niente (…)Sono convinto che uno dei più grandiregali che una psicologia culturalepossa fare all’educazione sia la rifor-mulazione di questa concezione ormaisvuotata di significato (...) Questocomporta la costruzione di culture

Studi

Il curricolo verticale

Complessità teorica e pratica

CARLO FIORENTINI

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scolastiche che operino come comu-nità interattive, impegnate a risolvere iproblemi in collaborazione con quanticontribuiscono al processo educativo.Questi gruppi non rappresentano soloun luogo di istruzione, ma anche uncentro di costruzione dell’identità per-sonale e di collaborazione. Dobbiamofar sì che le scuole diventino un luogodove viene praticata (e non semplice-mente proclamata) la reciprocità cul-turale, il che comporta una maggioreconsapevolezza da parte dei bambinidi quello che fanno, come lo fanno eperché… E siccome all’interno diqueste culture scolastiche improntateal reciproco apprendimento si producespontaneamente una divisione del la-voro, l’equilibrio tra l’esigenza di col-tivare i talenti innati e quella di offrirea tutti l’opportunità di progredire vie-ne espressa dal gruppo in una formapiù umanistica: ’da ciascuno secondole sue capacità’” (Bruner, 1997).

Queste considerazioni sono solo unesempio di ciò che è stato teorizzatonegli ultimi decenni da molti psicope-dagogisti ed esperti di problematicheeducative, e che è stato poi riportatonelle indicazioni ministeriali degli ul-timi trent’anni, a partire dai program-mi della scuola media nel 1979, perarrivare alle Indicazioni per il currico-lo del ministro Fioroni. Viene da molticostantemente indicata la necessità dididattiche laboratoriali, di un inse-gnamento laboratoriale in tutte le di-scipline scolastiche, e non tanto di la-boratori, intesi questi come attività ef-fettuate in ambiti specifici extracurri-colari, o anche come attività connesse

alle discipline fondamentali, come illaboratorio scientifico, ma giustappo-ste ad un insegnamento tradizionale,libresco e trasmissivo. Didattiche la-boratoriali come sinonimo, quindi, dimodalità di conduzione del processodi insegnamento-apprendimento cen-trate sul ruolo attivo degli studentinella costruzione della conoscenza,didattiche centrate sui processi, sullaproblematizzazione, sulle ipotesi, su-gli errori, come punti di partenza delprocesso di concettualizzazione e disistematizzazione delle conoscenze,cioè didattiche metacognitive.

LE DIDATTICHE LABORATORIALI SONO

POCO DIFFUSE A CAUSA DEL MODELLO

ENCICLOPEDICO DEI SAPERI

La realtà della scuola sembra, tut-tavia, contraddire la teoria: le didatti-che laboratoriali sono marginali, an-che nella scuola primaria, nell’inse-gnamento delle principali materia sco-lastiche. Quali i motivi?

Una prima difficoltà è quella di in-dividuare le metodologie laboratorialipiù adatte, nei vari ambiti disciplinari,a permettere effettivamente allo stu-dente di essere attivo nel processo dicostruzione della conoscenza. Unaprima difficoltà è, cioè, quella dellaconcretizzazione di considerazioni pe-dagogiche generali in modelli didatticiche tengano conto in modo non estrin-seco delle problematiche epistemolo-giche e psicologiche dei vari saperi.

Una seconda difficoltà è quella diprendere le distanze da modelli didatti-

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ci apparentemente costruttivisti, chesottolineano ad esempio l’importanzadell’apprendimento cooperativo, o altreesigenze pedagogiche importanti, mache rimangono poi su un terreno spon-taneistico, attivistico; questi modelli so-no basati solo apparentemente sull’atti-vità degli studenti, ma non sono poi ingrado di far sì che gli studenti siano at-tivi sul piano cognitivo, che partecipinoin prima persona al processo della con-cettualizzazione (Dewey, 1949).

La causa principale, tuttavia, a mioparere, della limitata diffusione di di-dattiche laboratoriali consiste nel fattoche, in generale, non è stata individua-ta come altra faccia della medaglia del-la realizzazione della scuola del curri-colo verticale (cioè della scuola di qua-lità per tutti), la necessità di ripensareprofondamente i saperi disciplinari chesi propongono alle varie età.

L’utilizzo non occasionale di meto-dologie e modalità relazionali innova-tive non si è generalmente verificatoneppure nella scuola primaria (lascuola che è stata riformata in modopiù profondo) (OCSE, 1998), da unaparte per mancanza di risorse adegua-te (strumenti, ambienti, seria forma-zione in servizio), dall’altra soprattut-to per la permanenza in molti inse-gnanti, dirigenti scolastici e genitori,della visione nozionistica-enciclopedi-ca della scuola tradizionale (bisogna“svolgere il programma”).

Spesso le discipline scolastiche con-tinuano, infatti, a non essere centratesull’apprendimento dello studente, masulla loro struttura specialistica, enciclo-pedica, nozionistica, libresca, su saperi

incomprensibili; saperi manualistici, si-stematico-deduttivi, formalizzati, sape-ri, cioè, adatti a menti già formate; essinon possono essere insegnati con didat-tiche costruttiviste, possono soltanto, inmodo illusorio rispetto all’apprendi-mento degli studenti, essere trasmessi.Le discipline scolastiche, spesso, nellaloro organizzazione tradizionale, sononoiose, non coinvolgenti, non motivan-ti, e molto distanti dalle strutture cogni-tive degli studenti, costituiscono conse-guentemente per molti studenti un muroinvalicabile e sono, quindi funzionali adun a scuola selettiva. Se il rinnovamen-to dell’insegnamento delle disciplinecurricolari non diventa il nodo fonda-mentale dell’innovazione di sistema(senza il passaggio, cioè, dalla scuoladel programma alla scuola del curricoloverticale) tutte le altre innovazioni sonoun dettaglio, bello o brutto, ma inessen-ziale. E la scuola potrà anche diventaredi tutti, ma come parcheggio.

Modalità innovative di fare scuolache vogliano sintonizzarsi con le mo-tivazioni, gli interessi e le cognizionidella maggior parte degli studenti ri-chiedono conseguentemente e neces-sariamente un profondo ripensamentodel che cosa si insegna, sia dal puntodi vista quantitativo che qualitativo,che organizzativo. L’aspetto quantita-tivo è quello più evidente: se non ci siconcentra su una minore quantità disaperi non è possibile realizzare nes-sun rinnovamento metodologico-rela-zionale (cioè curricolare). Occorre, in-nanzitutto, abbandonare l’illusionedell’enciclopedismo, che si traduce inun insegnamento basato prevalente-

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mente sul manuale, sul prodotto, sullamemorizzazione cieca.

Diceva Ernesto Codignola, addirit-tura nel 1949, nell’introduzione ad“Esperienza e educazione di J,Dewey: “La vera originalità della pe-dagogia attiva è nel bando dato all’i-deale enciclopedico, il vero cancrodella scuola moderna, nel nuovo spiri-to introdotto nelle relazioni tra inse-gnante e alunno, nella rivoluzione co-pernicana che ha fatto del discente edelle sue esigenze vitali il vero centrodell’attività didattica” (Codignola,1949).

Vi è poi l’aspetto qualitativo. Anzi,noi riteniamo che questo problema co-stituisca il nodo fondamentale del rin-novamento del curricolo, ma anchequello più complesso. La soluzionenon risiede infatti in una bignamizza-zione (che corre spesso il rischio di tra-sformarsi in semplificazioni banaliz-zanti) della struttura (o organizzazioneo canone) tradizionale del sapere deivari ambiti disciplinari, ma in una lororadicale destrutturazione e riorganizza-zione, passando così dalla loro struttu-

ra specialistica ad una loro organizza-zione educativa (Dewey. 1961).

Saperi essenzali delle diverse disci-pline (il che cosa insegnare alle varieetà) e metodologie e modalità relazio-nali innovative sono le due facce inse-parabili della medaglia della costruzio-ne del curricolo (Fiorentini, 2000),cioè, della scuola di qualità per tutti.

COME SI INDIVIDUANO I SAPERI

ESSENZIALI?

Come si fa ad individuare i saperiessenziali, in una prospettiva di curri-colo verticale? Essi non sono banal-mente i saperi minimi; essi, per essereformativi, per riuscire, cioè, a svilup-pare contemporaneamente conoscenzedurature, competenze trasversali ecomportamenti adeguati sul pianoeducativo, devono essere significativida due punti di vista; devono essere,contemporaneamente, fondamentalinella cultura, nelle discipline, ed ade-guati alle strutture motivazionali e co-gnitive dello studente.

(METODOLOGIE E MODALITÀRELAZIONALI INNOVATIVE) COMPETENZE

TRASVERSALI

CONOSCENZE DURATURE

COMPORTAMENTI ADEGUATISUL PIANO EDUCATIVO

SAPERI ESSENZIALI

SAPERI SIGNIFICATIVI

CONOSCENZEFONDAMENTALINELLA CULTURA,NELLE DISCIPLINE

CONOSCENZE ADEGUATEALLE STRUTTURECOGNITIVE E MOTIVAZIONALI DEGLI STUDENTI

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La loro individuazione è un’opera-zione molto impegnativa, che si collo-ca sul terreno della complessità educa-tiva; può essere condotta soltanto concompetenze multidisciplinari ed inter-disciplinari. Il curricolo può quindi es-sere rappresentato con lo schema sot-tostante, dove ai quattro lati del qua-drilatero sono indicate le competenzeindispensabili per la sua costruzione:

QUALI CONDIZIONI

PER LA GENERALIZZAZIONE

DELLA SCUOLA DEL CURRICOLO?

Con le nuove Indicazioni per ilcurricolo per il primo ciclo di istruzio-ne dell’agosto 2007 del ministro Fio-roni la problematica del curricolo è ri-tornata centrale in modo indubbia-mente significativo. È quindi possibileaffermare che con le nuove Indicazio-ni è tutto risolto, sia l’annoso proble-ma della selezione, che più in genera-le il nodo di fondo della scuola di qua-lità per tutti?

Non pensiamo, perché fare scuolaè sempre più difficile, impegnativo, e

le risorse sono sempre più limitate.Tuttavia, delle Indicazioni nazionali diquesto tipo, invece di essere un osta-colo, costituiscono un aiuto importan-te per affrontare il problema. Il compi-to principale è, tuttavia, delle scuoleche possono fare molto (questa è lamia opinione sulla base delle tantebuone pratiche che conosco) se si in-camminano in modo serio sulla strada

del curricolo, abbandonando con legradualità necessarie, la scuola tradi-zionale, la scuola del programma.

Seriamente non significa, ad esem-pio, continuare a tenere in piedi dopo15 anni dalla circolare del 1992 sullacontinuità, commissioni per la conti-nuità che si limitino allo scambio diinformazioni o a fare progetti per glianni ponte. Nelle indicazioni delGruppo di lavoro ministeriale sullaContinuità educativa, coordinato daClotilde Pontecorvo, la cui Relazioneaveva costituito la base delle Circola-re, vi erano queste considerazioni:“Una particolare attenzione, anche senon esclusiva sarà dedicata al coordi-

DISCIPLINE:Discipline linguistichediscipline scientifichediscipline storiche, ecc.,

EPISTEMOLOGIA E DIDATTICA DISCIPLINARE

SCIENZE DELL’EDUCAZIONE:pedagogiapsicologia dell’apprendimentostoria della scuolasociologia dell’educazione

RIFLESSIONISULL’ESPERIENZA DIDATTICA

IPOTESI DI CURRICOLO(che cosa, come e con quali relazioni, insegnare alle varie età)

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namento dei curricoli degli anni ini-ziali e terminali (art. 2, comma 1c).Questa indicazione specifica non vavista in opposizione con una imposta-zione complessiva, coordinata in sen-so verticale, di tutto o di ampia partedel curricolo della scuola di base (…)Piuttosto una sintonia nei curricoli de-gli anni terminali e iniziali e nelle mo-dalità di verifica è da interpretare co-me una indicazione minima indispen-sabile in modo da eliminare recrimi-nazioni, malintesi e delusioni degli in-segnanti dei diversi gradi con riper-cussioni negative sul rendimento deglialunni, che spesso già vivono con an-sia e difficoltà il momento di passag-gio al grado successivo (…).

Seriamente non significa, d’altraparte, pensare che fare il curricolo si-gnifichi mettere su una commissionedi 10-15 insegnanti che nell’arco di unpaio di anni abbia il compito di sten-dere l’elenco degli obiettivi, anno peranno. Questa è la sciagura principaleche potrebbe verificarsi nei prossimianni, come è già accaduto ai tempidelle indicazioni della commissioneDe Mauro, perché ridurrebbe il lavorosul curricolo ad adempimenti cartacei.

Lavorare sul curricolo – fare ilcurricolo – significa impegnarsi comescuola tutta per il costante migliora-mento dell’insegnamento delle mate-rie scolastiche per far sì che tutti glistudenti raggiungano le competenze

IL POF PUÒ RAPPRESENTARE UNO STRUMENTOPER IL RINNOVAMENTO DELLA SCUOLA

SE È CENTRATO

SUL RINNOVAMENTO DEL CURRICOLO

CIOÈ

SULL’ARTICOLO 6 DEL REGOLAMENTO:AUTONOMIA DI RICERCA, SPERIMENTAZIONE

E SVILUPPO

QUINDI

SUI LABORATORI CURRICOLARI-DISCIPLINARISTRUTTURE DA SOSTENERE CON

LA FORMAZIONE IN SERVIZIO:AGGIORNAMENTO, PROGETTAZIONE

SPERIMENTAZIONE, RIFLESSIONEMONITORAGGIO, VALUTAZIONE, DOCUMENTAZIONE

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sufficienti. Tutto ciò potrà effettiva-mente avvenire se la maggior partedelle risorse umane e finanziarie sa-ranno indirizzate a questo obiettivo:come lo schema sottostante suggeriscequesto impegno prioritario dovrà esse-re esplicitato nel Piano dell’offertaformativa (POF), dovrà costituire ilcuore del POF, nella parte di questodocumento dove sono indicati gli im-pegni di miglioramento all’interno diuna prospettiva strategica (di piccolipassi all’interno di tempi lunghi).

Nelle nuove Indicazioni vi sonoqueste importanti considerazioni: “Lacostruzione del curricolo scolastico èil processo attraverso il quale si svi-luppano e organizzano la ricerca el’innovazione scolastica”. Ciò puòavvenire solo se nelle scuole esistonogià o vengono messe in piedi dellestrutture che siano in grado di garanti-re “la ricerca, l’innovazione educati-va” e la sperimentazione. Queste nonpossono essere le strutture tradiziona-li: 40 anni di consigli di classe, diclassi parallele, ecc. hanno dimostratoche queste strutture non possono ga-rantire la ricerca e l’innovazione di-dattica. La loro funzione è un’altra.D’altra parte è solo con l’autonomiascolastica che la ricerca ha acquistatoun ruolo fondamentale, è diventata ilperno dell’autonomia scolastica, comeè sancito dall’articolo 6 del Regola-mento dell’autonomia scolastica. Que-ste strutture sono i dipartimenti (ma iopreferisco chiamarle laboratori sulcurricolo verticale) delle principaliaree disciplinari (lingua, matematica,

scienze, storia, arte, ecc.). Ovviamen-te, concepite come strutture stabili.

Perché strutture stabili? Per avvia-re questa attività in una scuola sononecessari molti anni di lavoro, e per-ché il lavoro sul curricolo è un’impre-sa che non finisce mai. Impegnarsi co-me scuola sul costante miglioramentodell’insegnamento delle disciplinefondamentali per intercettare tutti glistudenti è un’impresa molto impegna-tiva, perché comporta, in primo luogo,non ogni tanto, ma costantementepraticare metodologie e modalitàrelazionali che mettano lo studenteal centro del processo di costruzionedella conoscenza, come viene indica-to in modo significativo anche nellenuove Indicazioni.

Tutte le considerazioni precedenticomportano la costruzione di percorsiche permettano effettivamente di rag-giungere gli obiettivi, grazie alle scel-te metodologiche e relazionali effet-tuate ed all’organizzazione adeguataallo studente delle varie problemati-che concettuali, cioè, all’organizzazio-ne formativa delle discipline.

Questa è indubbiamente l’attivitàpiù impegnativa, ma arrivati al dun-que, costruire il curricolo è realizza-re percorsi di apprendimento chesiano realmente efficaci con tutti glistudenti, e che siano condivisi e speri-mentati da molti (idealmente da tutti)gli insegnanti di ciascuna scuola auto-noma.

Questo è possibile con i laboratorisul curricolo verticale, dove si puòsviluppare la ricerca, la formazione inservizio, la sperimentazione, il moni-

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toraggio, la documentazione, la valu-tazione. Queste strutture sono neces-sarie ovunque, ma ovviamente gli isti-tuti comprensivi sono le istituzioniscolastiche dove possono svolgere unafunzione decisiva, perché la continuitàtra infanzia, elementare e media sipuò realizzare realmente soltanto conil lavoro di progettazione e sperimen-tazione sul curricolo verticale.

È significativo, in conclusione, ri-portare le profetiche ed inascoltateconsiderazioni del 1981 della Ponte-corvo: “Non si può modificare il cur-ricolo senza la partecipazione degliinsegnanti: soprattutto è essenzialeche essi siano coinvolti in prima per-sona nelle attività di innovazione di-dattica, perché questa è una delle piùsensate modalità di formazione conti-nua degli insegnanti (come emergeanche dal dibattito internazionale sulproblema)” (Pontecorvo, 1981).

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Studi

Considerazioni sulla costruzione del curricolodi Lingua italiana

MARIA PISCITELLI

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FORME E STILI DELLA CULTURA

GIOVANILE

Capita sempre più spesso di imbat-tersi in articoli di giornalisti o di intel-lettuali che denunciano lo stato di de-grado della scuola, la perdita del suoruolo e di identità oppure l’incapacitàdi gestire situazioni nuove e di conci-liare la cultura della scuola con quellagiovanile. Molteplici sono i punti divista e le analisi, taluni restauratori dimodelli obsoleti o semplicemente no-stalgici di tempi lontani, talaltri porta-tori di nuove istanze e visioni di vita;tutti comunque stimolanti per affron-tare un problema centrale quale quellorelativo alla funzione che la scuoladovrebbe svolgere in una società de-mocratica. Nei numerosi interventi siribadisce con forza che la scuola vamale; i motivi addotti sono tanti, siaperché la scuola non sa tenere il passocon i tempi, avendo ormai a che farecon un universo giovanile che faticaenormemente di più che in passato aseguire il carattere sequenziale del-l’intelligenza, che finora ha caratteriz-

zato l’Occidente nella costruzione del-le sue conoscenze, sia perché è cede-vole su molti punti; fragile e permissi-va su questioni ritenute fondamentali,nonostante poi la sua resistenza acambiare sostanzialmente per garanti-re a tutti competenze di cittadinanza..

Tuttavia in questo variegato qua-dro, spicca la difficoltà che la scuolaincontra ad adeguare il proprio model-lo culturale ai mutevoli bisogni deigiovani, immersi completamente innuovi spazi ed ambienti del sapere,del saper fare, dell’essere e delsentire. Essa non tiene in debito contoche la nuova generazione si forma se-condo valori e modelli culturali diver-si, che forniscono sensibilità altre(culturale, sociale ed esistenziale). Si-gnificativi sono gli effetti che questeproducono nelle abitudini di vita, nelrapporto col mondo e nelle relazionipersonali e sui processi cognitivi, lecui metamorfosi molti studi hannomesso in luce. “I giovani di oggi sonofigli di una generazione senza nome”è stato recentemente scritto in un quo-tidiano, “sono nati in una società che

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non promette loro un futuro, vivono inuno scenario cupo, crescono in una si-tuazione di crisi delle prospettive, macercano soluzioni di reazione, conser-vano un atteggiamento pragmatico.Ottimista […]. Questi giovani connes-si h24, protagonisti nelle comunità on-line, dotati di io-virtuale su Second li-fe, non hanno smarrito la voglia dipartecipare, ma in gruppi ristretti, inpiccole tribù nomadi” (Coppola, 2008,p. 29). Libertà di movimento ed aper-tura al cambiamento rappresentano in-gredienti vitali, come altrettanto vitaleè il contatto con Internet. “Essere con-nessi è una condizione necessaria. Larete abbatte tutte le barriere e permettedi trasformare una piccola idea in unagrande idea, è veramente democratica[…]. Siamo dei nomadi che s’incon-trano per alcuni momenti importanti,ma poi prendono strade diverse. L’in-dividuo conta molto di più del gruppoe ciascuno vive in una bolla di solitu-dine da cui è difficile uscire (Scalise,2008, p. 29).

Ed è proprio così. Gran parte dellapopolazione giovanile vive nella co-munità online, è in continuo contattocon forme e stili che non appartengo-no ad una cultura monomediale, comequella proposta dalla scuola, ma a cul-ture multimediali, che sappiamo esse-re aperte allo scambio tra differentipunti di vista, nonché alla collabora-zione tra più modelli di rappresenta-zione concettuale. I giovani le interio-rizzano sulla base delle loro cono-scenze ed esperienze personali ed at-traverso di esse imparano, facendoproprie alcune strutture profonde della

cognizione e della discorsività. Grazieall’interazione diretta sono coinvoltisul piano emotivo e cognitivo, standobene in una realtà, di cui si sentonopartecipi (Maragliano, 1996, pp. 69-79).

Mentre la scuola attribuisce tutt’al-tro significato allo star bene: lo si rag-giunge non emotivamente, ma tramitedeterminate prestazioni cognitive, chepresuppongono atteggiamenti distac-cati. È inutile ricordare che l’appren-dimento si basa prevalentemente suuna struttura gerarchica, dove processimentali complessi non sono facilitatida modalità comunicative motivanti.Anzi vi si predilige l’esposizione, fon-data su proposizioni e argomentazioniche, a sua volta, rimanda al manualescolastico, ritenuto lo strumento didat-tico per eccellenza. In quest’ultimo, secorrettamente impostato, le conoscen-ze si articolano in maniera lineare,suddivise in blocchi autonomi, in cuipredomina la logica dimostrativa e ilragionamento ipotetico-deduttivo.

I media rompono con questi sche-mi e categorizzazioni, attivando formediverse: la contemporaneità, la logicamostrativa, il ragionamento analogicoche incrementano in modo accattivan-te modalità conoscitive (Maragliano,cit., p. 29). Se esaminiamo poi i con-tenuti degli insegnamenti, questi trat-tano essenzialmente il passato e, delpassato, privilegiano la parola scritta,la parola astratta, concettuale, traduci-bile, sollecitando il senso visivo e lalogica dell’astrazione (Postman,1999). Su questo punto si potrebbeobiettare che uno dei principali com-

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piti della scuola è quello di sviluppareun tipo di pensiero analitico e riflessi-vo; in parte siamo d’accordo, ma ciònon la esime dal porsi il problema dicome svilupparlo (con quali contenuti,procedure, strumenti culturali?) e co-me possa renderlo meno individuali-stico e più partecipativo/socializzante,sì da educare al senso della comunità.

SCUOLA E NUOVI LINGUAGGI

Èevidente che siamo di fronte aduna trasformazione epocale, in cui so-no inevitabili vistose perdite, rispettoalla quale la scuola reagisce in manie-ra singolare, con paradossale tranquil-lità, sottolinea Simone: “si limita atrasmettere alcuni ben definiti saperi,tenendosi estranea a due meccanismiche oggi sono essenziali: a) il proces-so di accrescimento veloce della co-noscenza, a cui essa risponde conestrema lentezza, trasmettendo soltan-to un pacchetto delimitato e statico diconoscenze selezionate: questo fatto sipuò formulare dicendo che la scuola ècognitivamente lenta; b) il processo didiffusione di metodologie di accessoai ‘santuari’ della conoscenza, sianoessi semplici enciclopedie e vocabola-ri, o banche dati e repertori: in altritermini, la scuola è metodologicamen-te lenta (Simone 2000, p.70). Restan-do cognitivamente e metodologica-mente lenta essa perde terreno perché,invece di “interagire con l’espansioneesponenziale delle informazioni, su-perficiali finché si vuole ma comun-que elementi di conoscenza messi a

disposizione dai media, sembra un ri-fugio in cui ci si rinchiude per essereprotetti dal fluire della conoscenza edal suo accrescersi (Galimberti,2000). Per i giovani, prosegue Galim-berti, le esperienze è meglio averle,viverle, rievocarle che raccontarleanaliticamente e tradurle in strutturediscorsive, altrimenti andare a scuolafinisce con l’essere una finzione,quando non una penitenza, finita laquale, si può tornare alla realtà vera eautentica che non si articola in propo-sizioni verbali, ma in emozioni totali,come la musica, ad esempio, che nonè una materia scolastica, ma qualcosadi infinitamente più profondo e coin-volgente, che accomuna una culturaall’altra, mettendo in secondo piano ladifferenza linguistica e la sua articola-zione proposizionale. […] Le conse-guenze sono già visibili nella nostrascuola, che nessuna riforma può mi-gliorare se prima non ci si rende contodi questa trasformazione che pone inconflitto la cultura della scuola con lacultura dei giovani (Galimberti, cit.).

In questa situazione sorprendequindi il fatto che la scuola non sipreoccupi di affrontare questa nuovarealtà, cercando di integrare culture elinguaggi diversi (monomediale/di ti-po sociale e multimediale); nel casolinguistico, di inserire a pieno titolo inuovi linguaggi multimediali nella di-mensione della trasversalità, conside-randoli una varietà del linguaggio checoncorrono, così come scritto nellenuove Indicazioni per il curricolo, ad“attuare quella propensione dell’uomoa narrare e a descrivere spazi, perso-

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naggi e situazioni sia reali sia virtuali,a elaborare idee e a rappresentare sen-timenti comuni creando l’immagina-rio collettivo, attraverso il quale è sta-to elaborato e trasmesso il patrimoniodei valori estetici, culturali, religiosi,etici e civili di una comunità” (Indica-zioni per il curricolo, 2007, p. 47).

QUALE LITERACY IN ITALIA?

Accanto a questa lentezza dellascuola nel recepire i mutamenti in at-to, occorre rilevare un altro aspetto,probabilmente ancor più grave, data“la posizione essenziale ch’essa rico-pre nella storia del conoscere” (Simo-ne, cit., p. 69); questo concerne la dif-ficoltà a fornire a tutti gli alunni lecompetenze di base previste a livelloeuropeo per l’acquisizione di una cit-tadinanza consapevole. Lo dimostranomolte indagini nazionali e internazio-nali, tra cui l’OCSE PISA e non solo, icui dati sono sconfortanti per l’Italia.Allo sconforto segue poi la meraviglianel constatare che ciò accada, benchéa scuola si privilegi quel sapere tradi-zionale, persistentemente invocatodalla nostra intellighenzia come la pa-nacea di tutti i mali, la cui trasmissio-ne è affidata esclusivamente all’intel-ligenza lineare e sequenziale. Pur con-centrandosi quindi su un sapere “sedi-mentato” (Alta cultura), in cui predo-minano approcci canonici, la scuolanon è in grado di offrire a molti giova-ni una base solida di conoscenze eabilità, che consenta loro di far fronteall’esigenza di apprendimento conti-

nuo, che caratterizzerà la loro vita inseguito. Di conseguenza il nostro pae-se stenta a garantire i livelli di literacyindicati da OCSE PISA e cioè: “l’in-sieme di conoscenze e abilità che met-te in grado i giovani di inserirsi in mo-do attivo e consapevole nella società enell’economia ‘della conoscenza’, co-me sono state definite quelle attuali,facendo fronte all’esigenza di appren-dimento continuo che le caratterizza.[…] Costrutti teorici con componenticognitive, emotive, motivazionali, so-ciali e comportamentali” (Siniscalco,2008, pp. 23-24).

LO SCENARIO LINGUISTICO

Se ci addentriamo nel versante lin-guistico notiamo uno scenario varia-mente connotato; da esso emergono amacchia di leopardo isole felici escuole meno efficaci in termini di ri-sultato, per cui una generalizzazioneaffrettata sarebbe inopportuna. Tutta-via ancora troppe risultano le realtà incui si riscontrano situazioni più fertilialla proliferazione dello svantaggio(linguistico e socio-culturale) che allosviluppo di competenze; alta è la dif-fusione di abitudini didattiche che ten-dono a ignorare i contributi di questiultimi trent’anni, incluse le indagininazionali e internazionali, (program-mi, documenti ufficiali, riflessioni, ri-cerche specifiche, “buone esperienze”,etc.), rivolti tutti a promuovere ap-prendimenti linguistici educativi. Inmolte scuole medie tanti sono glialunni che non sanno parlare, scrivere

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correttamente e capire i testi che in-contrano/leggono a scuola; in queste,nonostante che parecchi alunni nonsappiano neanche usare la parola (ora-le e scritta) nelle sue molteplici fun-zioni e in contesti quotidiani (livellosoglia), assistiamo ad un revival di in-segnamenti fondati prevalentementesulla trasmissione di contenuti gram-maticali (morfologia e sintassi) e distoria della letteratura (dalle origini fi-no ad oggi), che violano principi fon-damentali dell’educazione linguisticae letteraria. Evidentemente la gram-matica della frase, le cui categorie so-no enunciate e imposte più che sco-perte e ricavate dalla sperimentazio-ne/riflessione linguistica, è considera-ta, per l’insegnamento linguistico, unapriorità, oltre che l’unico modellogrammaticale esistente; di conseguen-za si ritiene secondario il ricorso adaltre grammatiche (funzionale/testua-le, etc.) e del tutto superfluo allenaregli alunni a ragionare costantementesu una varietà di usi della lingua, sia-no essi informali e formali, per con-durli poi, attraverso un’ampia fre-quentazione di testi e di contesti co-municativi, alla generalizzazione deifunzionamenti linguistici esplorati equindi alla costruzione-definizionedelle regole che li governano (rifles-sione sulla lingua); così per la lettera-tura si pensa che non serva un appren-distato linguistico-letterario (linguag-gi, testi, codici), intessuto di intreccitra usi letterari e non (educazione lin-guistica e letteraria), e attraversato daincontri con mondi altri, aperti a di-mensioni plurali e immaginarie (edu-

cazione all’immaginario e al gustoestetico).

Sappiamo bene che l’approdo con-sapevole, critico e motivato ai testiletterari si raggiunge soprattutto quan-do si creano determinate condizioni,curando passaggi specifici che biso-gna sviluppare con il concorso attivodell’alunno e tramite percorsi currico-lari dotati per lui di senso. Nella mag-gior parte dei casi il gusto di leggerenon si genera di per sé, a meno chenon ci si trovi di fronte a soggetti conelevato coinvolgimento nei confrontidella lettura; esso si costruisce pro-gressivamente, motivando e attrezzan-do linguisticamente gli allievi. La mo-tivazione, ad esempio costituisce unfattore irrinunciabile, evidenziato an-che dalle indagini internazionali:“Ilprimo fattore in relazione con le pre-stazioni di lettura degli studenti è l’in-teresse nei confronti della lettura. PI-SA, inoltre, ha mostrato come la di-sposizione a impegnarsi nella lettura(espressa da un indice che sintetizza iltempo speso nella lettura per piacerepersonale, il tempo speso nella letturadi una molteplicità di testi e l’interes-se nei confronti della lettura) possacompensare lo svantaggio socio-eco-nomico e culturale della famiglia diprovenienza. […] In questo quadro sicoglie quanto sia importante, in parti-colare per gli studenti che provengonoda ambienti più svantaggiati, il lavoroche si può svolgere in classe per svi-luppare l’interesse e la disposizionead impegnarsi nei confronti della let-tura, avvalendosi di approcci didatticiche si sono mostrati efficaci (Burns

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1998; Ivey 1999; Guthrie, Davis2003; Guthrie et al.2004). Tra questivanno citati quelli che sostengono glistudenti sia dal punto di vista cogniti-vo sia dal punto di vista della motiva-zione, attraverso l’insegnamento/ap-prendimento di strategie di lettura sumateriali interessanti dal punto di vi-sta dei contenuti e dell’uso che se nepuò fare (Guthrie, Davis 2003, in Si-niscalco, cit., pp.165-166).

Non giovano quindi letture di scar-so interesse e fini a se stesse, comeancor meno giovano le rituali e fre-quenti esposizioni manualistiche(pseudostoricistiche), focalizzate suigrandi autori della nostra tradizione(Dante, Manzoni, etc.), i cui brani ri-sultano talmente complessi, se non in-comprensibili ai più, sì da costituireinutili e dannose anticipazioni, se nonpericolosi allontanamenti o rifiuti. Ri-guardo a questo punto colpiscono an-cora a distanza di anni le considera-zioni, del tutto attuali, di M. L. AltieriBiagi, che volentieri ri-citiamo: “Ilpreteso disinteresse dei giovani perDante, la loro ostentata estraneità neiconfronti di grandi scrittori e poeti delpassato non sono forme di sordità cul-turale, ma conseguenze ovvie di unanalfabetismo della lingua scritta chenon consente l’accesso ai testi. I gio-vani non amano Dante, non leggonoAriosto, ‘odiano’ Manzoni, perchénon sono preparati a leggerli e hannogravi difficoltà a comprendere la lorolingua” (Altieri Biagi, 1994, p.XXXI). Chi fosse preoccupato, a talproposito, che, con questo rinvio, simetterebbe a repentaglio l’identità

culturale della nostra nazione, è possi-bile rassicurarlo, rammentando chel’insegnamento della storia della lette-ratura e lo studio dei classici vengonoaffrontati nel triennio della scuola su-periore, quando cioè l’alunno, piùcompetente sul piano linguistico-lette-rario, è in grado di cogliere i significa-ti dei testi proposti, la bellezza stori-co-estetica in essi riposta e la loroportata esistenziale.Vorremmo comun-que far notare che bisognerebbe “gri-dare” invece per la mancata identitàlinguistica dei nostri giovani, ai qualitroppe volte la scuola nega il dirittoalla comunicazione.

Ritornando alla prassi scolasticaprecedentemente accennata (scuolamedia di I e II grado), dobbiamo ag-giungere che è pure inefficace la logi-ca dei cosiddetti spezzatini antologici,cioè di letture di testi consumate infretta e furia (1-2 h per brano) e fun-zionali più alla ripetizione e all’acqui-sizione meccanica dei contenuti cheallo sviluppo del senso critico, dimen-ticando sovente che gli alunni sono si-multaneamente lettori e fruitori di altritesti, da cui attingono contenuti, for-me, strategie.

Per leggere un testo (comprendere,riflettere, valutare e interpretare) ser-vono azioni didattiche mirate, che per-mettano all’alunno di “ricorrere a pro-cessi e operazioni di tipo metacogniti-vo che guidano e monitorano la cor-retta esecuzione di un compito di ap-prendimento” (Siniscalco, cit., p. 166)e tutto ciò richiede tutt’altro approc-cio. Leggere un testo significa infattianche mettere a fuoco forme di rap-

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presentazione personale, confrontarsicon l’altro, con il suo linguaggio e lasua visione del mondo, provare emo-zioni, esprimere il proprio punto di vi-sta e trovare, perché no, chiavi di let-tura della propria e altrui esistenza.Nei confronti di quest’ultimo aspettosi è ipotizzato che i nostri studentifossero in difficoltà di fronte a do-mande, che richiedevano di esprimereun’opinione personale e una valuta-zione basata sulla propria esperienza,perché raramente si chiede loro di farequesto di fronte ad un testo e anzi siscoraggia una riflessione esistenziale,in particolare con i testi letterari (Sini-scalco, cit., p. 162).

Concludendo, una didattica del te-sto diventa produttiva se riesce a per-meare le attività didattiche di una pe-dagogia relazionale e metacognitiva,inserendole in una cultura intertestua-le, dove centrali siano la partecipazio-ne del “soggetto-destinatario” e laconsiderazione delle “forme di produ-zione estetica ch’esso conosce sponta-neamente, al di fuori della scuola”(Armellini,1993, p. 10). È attraversol’introiezione di queste pratiche che il“lettore si fa, può farsi soggetto-attore, ovvero narratore” (Cambi,2002, p. 85). Una didattica di questogenere richiede tempi lunghi e sceltequasi contrarie a quelli esistenti, recla-mando inoltre una nuova filosofia deldocente (Ho trovato il tempo per fa-re…!), che si rivelerebbe di enormeaiuto per risolvere anche il problemadei recuperi.

Potremmo continuare con il nostroexcursus, che fortunatamente riguarda

soltanto una fetta della scuola, tuttavianon minuscola, pronunciandoci su al-tro, come ad esempio su: il tipo discrittura più gettonato nella scuola;l’orale raramente trattato come codice;la scarsa attenzione agli spazi lingui-stici e culturali (antropologici/sociali)in cui vivono i ragazzi, lavorando suquegli aspetti interattivi e interperso-nali relativi agli scambi di significato,mediante il quale il soggetto si rappor-ta nel contesto simbolico-culturale diappartenenza; la resistenza ad adottareapprocci dinamici, dialettici e creativialla lettura e alla scrittura, mirando asviluppare una competenza interrogati-va; l’inveterata abitudine a proporreoperazioni semplici su testi complessi,invece di attivare operazioni comples-se su testi semplici. Volutamente nonapprofondiamo questi elementi permotivi di spazio, teniamo a rilevaresoltanto che siamo ben lontani dall’ot-tenere risultati linguistici di cittadinan-za, che probabilmente si realizzerebbe-ro se si applicassero quelle Tesi fonda-mentali (Dieci Tesi) dell’educazionelinguistica democratica propugnate dalGiscel a partire dagli anni settanta. Imodelli di lingua e le metodologie(non dinamiche, scarsamente attive ecooperative) su cui ci si muove funzio-nano con l’élite, ma non sono efficacicon chi non possiede la “cassetta degliattrezzi culturali” e tanto meno dannorisultati con quei numerosi ragazziche, alla fine della scuola media di Igrado, non vedono un senso ad andarea scuola (Bottani, 2002). Non dobbia-mo quindi stupirci se i livelli attesi so-no appannaggio di una minoranza.

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IN SINTESI

Siamo ben consapevoli che il qua-dro appena disegnato è carico di unaricca dose di drammaticità, ma permeglio agire è necessario tenerlo amente, mettendo da parte atteggia-menti nostalgici da retroguardia. Tut-tavia non siamo di fronte all’impossi-bile, ovviamente se siamo disponibiliad assumere logiche e prospettive di-verse, aperte e flessibili, finalizzate alcompito Molti e sfaccettati sono i pos-sibili interventi, rispetto ai quali citia-mo altri nostri contributi (Piscitelli,2001 e 2007), rimandando a titoloesemplificativo alle esperienze pub-blicate in questo numero (Campigli,Sacchini). Iniziare ad esempio conqualche buona lettura, accogliendo isuggerimenti di C. Lavinio, può costi-tuire un primo passo in avanti. Adesempio la rivisitazione in chiaveipertestuale non solo delle nuove tec-nologie, ma delle abilità e dei testipuò effettivamente agevolare “la co-struzione di alcune sottoabilità di let-tura, necessarie soprattutto per lo stu-dio” e non solo. Difatti quando leggia-mo un libro esso si popola di immagi-ni e di suoni, la mente funziona inmodo ipermediale, lo stesso si può di-re di “quando parliamo, assieme alleparole (segni verbali) usiamo anchegesti, mimica, ecc., cioè segni di altrotipo, appartenenti a codici non verbalie strettamente legati alla nostra corpo-reità e alla sua gestione” o di quando“corrediamo ciò che scriviamo di notedi schede o tabelle con relative dida-scalie” (Lavinio, 2008, p. 29).

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Da molte parti in occidente, Italiacompresa, si levano voci a sottoli-neare la pericolosità della situazionescolastica per quanto riguarda l’ap-prendimento delle scienze in genera-le e della matematica in particolare.La matematica non è un dono diqualcuno a qualcun altro, ma unaconquista personale (Enriques): è ne-cessario prendere atto che il tipo diapproccio che di fatto ha costituito lacontinuità didattica in matematicanegli anni passati è arrivato a mo-strare i suoi limiti. Occorre sostituirea una “continuità didattica” basatasull’approccio alla matematica comescienza esaustiva, completa, formalee sintattica, trasmessa già univoca-mente e definitivamente strutturata,una continuità che trovi i suoi puntifermi in un approccio più significati-vo, legato alla semantica oltre chealla sintassi, costruttivo e coinvol-gente.

La matematica è (come appareovvio… almeno a chi ci lavora) unascienza viva che però, paradossal-mente, tende a produrre, quando rag-

giunge il livello dell’insegnamento-apprendimento formale, delle teoriemorte (CREM, 1999). L’idea dellamatematica come “scienza morta” ètuttora molto diffusa nella cultura (epurtroppo anche nella didattica). Es-sa è però inevitabilmente destinata aprodurre negli studenti convinzionidistorte sulla materia e di conse-guenza distorsioni nell’apprendi-mento stesso: la matematica vienepercepita come pura forma e astra-zione e le sue applicazioni come ri-gide risposte (di cui spesso non sicomprende la motivazione) a situa-zioni standard. In altra sede (Piochi,2000) abbiamo riportato vari esempi,riferiti a diversi ordini di scuola,tratti dalla letteratura sulla ricerca indidattica della matematica. Le consi-derazioni che gli esempi suggerisco-no sugli effetti della corrispondentepratica didattica sono perfettamenteconfermate dalle frasi dei maturandistudiate nella ricerca a cura del-l’IRRSAE Toscana sui temi dell’esa-me di Maturità del 1996 (Cattabrinie Di Paola, 1997).

Studi

Riflessioni sul curricolo di matematica

BRUNETTO PIOCHI

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QUALE CURRICULUM ?

In innumerevoli dibattiti, corsi oconvegni a cui abbiamo preso parte, ildibattito fra insegnanti iniziava sem-pre con una discussione sui temi dainserire (o da eliminare) in un idealecurriculum di Matematica e finiva in-variabilmente per concentrarsi non sulcosa ma sul come proporre i diversiargomenti e sulla importanza da attri-buire a ciascuno di loro. Infatti sem-bra relativamente semplice proporredelle tracce di curricoli di apprendi-mento matematico, siano esse oggettodi Indicazioni ministeriali oppure distudio da parte di associazioni profes-sionali, come l’Unione MatematicaItaliana, ai cui documenti (UMI-CIIM, 2001 e successivi) faremo rife-rimento abbondantemente.

Questo è vero non soltanto per l’I-talia. Una commissione della Euro-pean Mathematical Society (EMS) halavorato per vari anni allo scopo diraccogliere i “dati strutturali sulle va-rie situazioni di insegnamento neipaesi esaminati, con particolare rilie-vo alle questioni, di qualsivoglia na-tura, che potevano maggiormente in-cidere sull’insegnamento della mate-matica, […] descritta ‘ingombrantema ineludibile in ogni curriculum’per il posto che essa occupa nellacultura quotidiana per il cittadino co-mune e per l’impatto che la ‘model-lizzazione’ e la ‘scelta decisionale’hanno assunto per ogni scienziato[…] Le big ideas evidenziate comestrutture portanti dei vari curriculadalla commissione education della

EMS, ovvero Numbers and quanti-ties, Shape and forms, Relationship,Incertainty, sono esattamente le stes-se dei nuclei fondanti individuati dal-l’UMI [Unione Matematica Italiana]”(Anichini, 2001)

Rimandando ai volumi citati in bi-bliografia il lettore che voglia cono-scere percorsi più dettagliati e esempidi attività, riportiamo qui la griglia ditematiche da trattare suggerite dall’U-MI e che sostanzialmente hanno ap-punto consonanza sia con i documentiinternazionali sia con le recenti Indi-cazioni Ministeriali. Il documentodell’UMI indica infatti le competenzesignificative su quelli che sono ritenu-ti i nuclei fondanti del sapere matema-tico; essi sono divisi in • nuclei tematici, i quali caratteriz-

zano i contenuti dell’educazionematematica nella scuola di base (ilnumero, lo spazio e le figure, lerelazioni, i dati e le previsioni) edovranno comunque essere svilup-pati in modo coordinato e con col-legamenti interni e ad altre disci-pline

• nuclei trasversali, centrati sui pro-cessi degli allievi (misurare, argo-mentare e congetturare, risolvere eporsi problemi). “Il primo consenteun approccio corporeo ed esperien-ziale alle grandezze, in collega-mento con le scienze, per ricavarerelazioni tra le grandezze esperite ecostruire modelli di fenomeni stu-diati; il secondo caratterizza le atti-vità che favoriscono il passaggiodalle nozioni intuitive e dai livellioperativi a forme di pensiero più

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avanzate che, nella scuola superio-re, saranno coinvolte nella dimo-strazione matematica, nel calcoloalgebrico, nell’uso di modelli ma-tematici in contesti vari; il terzo of-fre occasioni importanti agli allieviper costruire nuovi concetti e abi-lità, per arricchire di significaticoncetti già appresi e per verificarel’operatività degli apprendimentirealizzati in precedenza” (UMI-CIIM, 2001).

PERCHÉ SI INSEGNA LA MATEMATICA?

L’uniformità sopra ricordata, siainternazionale che nazionale, relativaai “titoli” dei diversi capitoli si riducenotevolmente se invece si guarda allemodalità di proposta ed al “peso spe-cifico”, alla rilevanza da attribuire adognuno di essi. Per trovare una chiavedi lettura corretta occorre dunqueprioritariamente chiedersi quale sia ilsenso di insegnare matematica oggi ein che modo essa possa contribuire al-la formazione degli studenti e dei cit-tadini in genere, anche alla luce di al-cune riflessioni sui cambiamenti so-ciali in atto.

Già i Programmi per la Scuola Ele-mentare del 1985 mettevano in luce ilcompito dell’educazione matematicadi “contribuire alla formazione delpensiero nei suoi vari aspetti: di intui-zione, di immaginazione, di progetta-zione, di ipotesi e deduzione, di con-trollo e quindi di verifica o smentita”,sviluppando “in modo specifico, con-cetti, metodi e atteggiamenti utili a

produrre le capacità di ordinare, quan-tificare e misurare fatti e fenomenidella realtà e a formare le abilità ne-cessarie per interpretarla criticamentee per intervenire consapevolmente sudi essa”.

Secondo l’UMI “l’educazione ma-tematica deve contribuire, insiemecon tutte le altre discipline, alla for-mazione culturale del cittadino, inmodo da consentirgli di parteciparealla vita sociale con consapevolezzae capacità critica. La formazione delcurricolo scolastico non può prescin-dere dal considerare sia la funzionestrumentale, sia quella culturale del-la matematica: […] priva del suo ca-rattere strumentale, la matematicasarebbe un puro gioco di segni senzasignificato; senza una visione globa-le, essa diventerebbe una serie di ri-cette prive di metodo e di giustifica-zione”. E le recenti Indicazioni Mini-steriali ricordano che “la matematicadà strumenti per la descrizione scien-tifica del mondo e per affrontare pro-blemi utili nella vita quotidiana; inol-tre contribuisce a sviluppare la capa-cità di comunicare e discutere, di ar-gomentare in modo corretto, di com-prendere i punti di vista e le argo-mentazioni degli altri.” (IndicazioniMinisteriali 2007).

Dunque l’insegnamento della Ma-tematica va ben al di là della propo-sta di pure tecniche, ha una profondavalenza culturale e sociale, è una del-le chiavi con cui si potrà rispondereai bisogni di conoscenza e democra-zia nella società. Il modo di insegna-re Matematica deve allora essere de-

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terminato non solo dalla struttura in-terna delle conoscenze matematiche,ma anche dalla necessità di contribui-re a obiettivi educativi generali, vin-colati allo sviluppo di capacità cogni-tive.

METACOGNIZIONE E APPROCCIO

LABORATORIALE

L’acquisizione della conoscenzamatematica, l’apprendimento del me-todo per potersi avvalere delle sue po-tenzialità, è un processo lento, labo-rioso, che deve avviarsi proprio nellascuola di base e il cui inizio non puòche essere una prolungata attività suelementi concreti, esaminati, discussi,rappresentati in forme adeguate al li-vello di maturazione e conoscenza diciascuno. Dunque la costruzione dicompetenze matematiche va perse-guita in opportuni campi di esperien-za, ricchi e motivanti, che permettanoagli studenti esperienze cognitive si-gnificative, consonanti con quelleesperite in altri contesti: linguistici,storici, sperimentali, motori, figurati-vi e ludici. In tal modo l’uso del lin-guaggio e del ragionamento matema-tico si porranno naturalmente comestrumenti per l’interpretazione delreale e non come bagaglio astratto dinozioni.

Il processo che conduce a “pensarematematicamente” può però essere at-tivato dall’insegnante solo se gli alun-ni sono chiamati ad essere protagoni-sti del proprio apprendimento ed a suavolta questo è possibile solo ove essi

siano messi di fronte a situazioni perloro significative e stimolanti, chepongano dei problemi e provochino ildesiderio di risolverli.

Occorre riuscire a realizzare unaproposta, che soprattutto proponga unmetodo, mettendo in primo piano lacomponente metacognitiva dell’ap-prendimento, accanto a quella cogniti-va e che coinvolga l’allievo in una se-rie di scoperte e riflessioni collegate aiconcetti e alle competenze proposte.Gli allievi devono essere incoraggiati,stimolati, invitati ad una continua ver-balizzazione di idee, intuizioni e pro-poste: bisogna rimuovere la convin-zione (erronea !) che fare matematicaconsista nel trovare l’unica soluzionecorretta e che questa vada trovata,fuggendo (o comunque nascondendocol bianchetto) gli errori, mediantel’applicazione di procedimenti stan-dard e formule di cui l’insegnante èdepositario.

La classe deve vivere dunque atutti gli effetti il clima di un “labora-torio”1 dove è lecito, anzi è apprez-zato esporre a tutti le proprie idee,giuste o sbagliate che si rivelino, inuna situazione di rispetto, condivisio-ne e ascolto; lavorando così, non pas-sa molto tempo prima che davvero siscopra come la frase o la proposta

1 “Sarà fondamentale il laboratorio di matema-tica, che permetterà agli allievi non solo di ese-guire ma anche di progettare, discutere, fareipotesi, costruire e manipolare con materiali di-versi, sperimentare e controllare la validità del-le ipotesi fatte.” (dalle Indicazioni Nazionali,2007)

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apparentemente stravagante di qual-cuno (non di rado uno dei non-consi-derati, proprio perché dotato di unacapacità di pensiero divergente) puòessere davvero la chiave per far com-piere a tutti un passo avanti. È chiarocome questo sia, fra l’altro, un modoideale di superare nella pratica quoti-diana il dilemma integrazione-diffe-renza: piuttosto che guardare alle de-bolezze concentriamoci sulle forze esfruttiamo il fatto che esse sono di-verse in bambini diversi (Pertichino ePiochi, 2000).

CAMBIAMENTI SOCIALI

E CONSEGUENZE DIDATTICHE

Alcune capacità matematiche, ri-tenute centrali e irrinunciabili fino aieri (e forse ancora oggi, almeno agiudicare da prove e test assai diffu-si), sono state di fatto negli ultimi an-ni prepotentemente marginalizzatedall’avvento di strumenti automaticidi calcolo. Riprendendo un recentearticolo di Villani citiamo il saper ef-fettuare diligentemente calcoli fatico-si e complicati: numerici, trigonome-trici, di derivate e integrali, ecc.; sa-per “studiare una funzione” con pro-cedimenti standard ... Si sente invecesempre più il bisogno di educare stu-denti capaci di modellizzare situazio-ni, controllare la sensatezza dei risul-tati dei calcoli effettuati con l’uso de-gli strumenti, interpretare grafici odati statistici, stimare ordini di gran-dezza,...

Ma ci sono segnali anche più ge-

nerali. Una serie di riflessioni socio-logiche ancora sostanzialmente una-nimi ci danno ulteriori tracce di ri-flessione, a partire dai mutamentidegli ultimi anni nelle società occi-dentali. “In un tempo molto breve,abbiamo vissuto il passaggio da unasocietà relativamente stabile a unasocietà caratterizzata da molteplicicambiamenti e discontinuità. Gli am-bienti in cui la scuola è immersa so-no più ricchi di stimoli culturali, maanche più contraddittori. L’orizzonteterritoriale della scuola si allarga.Anche ogni singola persona, nellasua esperienza quotidiana, deve te-ner conto di informazioni sempre piùnumerose ed eterogenee e si con-fronta con la pluralità delle culture.La diffusione delle tecnologie diinformazione e di comunicazione,insieme a grandi opportunità, rischiadi introdurre anche serie penalizza-zioni nelle possibilità di espressionedi chi non ha ancora accesso a talitecnologie.

Ogni persona si trova ricorrente-mente nella necessità di riorganizzaree reinventare i propri saperi, le propriecompetenze e persino il proprio stessolavoro. Le tecniche e le competenzediventano obsolete nel volgere di po-chi anni. Le trasmissioni standardizza-te e normative delle conoscenze, checomunicano contenuti invarianti pen-sati per individui medi, non sono piùadeguate” (Indicazioni Ministeriali2007)

In tale scenario, occorre offrire aglistudenti occasioni di apprendimentodei saperi e dei linguaggi culturali di

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base, nonché gli strumenti di pensieronecessari per apprendere a selezionarele informazioni. Promuovere neglistudenti la capacità di elaborare meto-di e categorie che siano in grado di fa-re da bussola negli itinerari personalisignifica favorirne l’autonomia dipensiero, orientando la didattica allacostruzione di saperi a partire da con-creti bisogni.

La scuola deve dunque porre le ba-si del percorso formativo dei bambinie degli adolescenti sapendo che essoproseguirà in tutte le fasi successivedella vita. Dovremo aiutare a elabora-

re gli strumenti di conoscenza neces-sari per comprendere i contesti natura-li, sociali, culturali, antropologici neiquali gli studenti si troveranno a vive-re e a operare. Questo vale per ognidisciplina, dunque anche per la mate-matica per la quale i processi in attoinvitano a spostare l’attenzione da al-cuni oggetti “classici” ad altri nonsempre sufficientemente curati. Unariflessione immediata ci porta a sco-prire molti aspetti in comune con letematiche che citavamo più sopra, in-vitandoci a ricalibrare il “focus” del-l’insegnamento:

da Abilità di calcolo scritto a Calcolo oraleCalcolo automatico

“ Studio di figure standard “ Riconoscimento di figure dinamiche e nonstandard e studio delle loro proprietà

“ Studio di definizioni e formule “ Appropriazione di un linguaggioRagionamento

“ Memorizzazione e riproduzione “ Metacognizionedi procedure standard Elaborazione di ipotesi e loro verifica

Generalizzazione“ “Risolvere i problemi” (del “ Modellizzazione

libro di testo) Problem posing e Problem solving2

2 Una precisazione va data a questo proposito,poiché non si tratta di questione puramente no-minale. Il termine “problema” nella prassi di-dattica ha assunto una connotazione ambigua.Solitamente infatti i testi scolastici designanocosì una serie di esercizi (standard, spesso mol-to simili fra loro, costruiti in serie). Invece, se-condo la classica definizione psicologica diorientamento gestaltista, “un problema nascequando un essere vivente, motivato a raggiun-gere una meta, non può farlo in forma automa-tica o meccanica, cioè mediante un’attivitàistintiva o attraverso un comportamento appre-

so. L’esistenza di una motivazione e la presen-za, nella situazione problematica, di un impe-dimento che non permette l’azione diretta crea-no uno stato di squilibrio e di tensione nel cam-po cognitivo di un individuo spingendolo adagire per ricostruire l’equilibrio” (Kanitza,1973). È a questi problemi che vale la pena didare spazio; si possono però utilizzare effica-cemente anche gli esercizi proposti dal libro ditesto purché se ne faccia oggetto di attività ap-positamente organizzate: si veda (Casaglia, Pi-scitelli, Piochi 2007) per un approfondimentosul tema.

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L’INSEGNANTE COME MODELLO DI AP-PRENDIMENTO

Gli stessi insegnanti devono porsicome modelli di apprendimento meta-cognitivo, abituandosi a mettersi ingioco “senza rete”, forti di un atteggia-mento personale, di un metodo di la-voro, più che di conoscenze acquisitee memorizzate una volta per tutte.“L’insegnante che voglia operare se-condo queste linee non dovrà aver ti-more di dire ‘ho sbagliato’, ‘non lo soneppure io’, ‘forse hai ragione tu’ masoprattutto dovrà imparare a dire ‘cer-chiamo insieme’, ognuno dell’ambitodel proprio ruolo e delle proprie cono-scenze e competenze” (Cambi et al.,2001).

D’altronde le competenze, stru-mentale e culturale, costituiscono ine-vitabilmente obiettivi di lungo termi-ne, cosicché si pone la necessità diuna didattica su tempi lunghi e di gra-duale assimilazione. Si avvia una co-struzione nella scuola di base, preve-dendo di ritornare più volte sugli ar-gomenti, via via approfondendoli, at-traversando salti cognitivi e periodi diapprofondimento e sistematizzazione.Occorre che l’insegnante si permettadi non farsi prendere dalla fretta, chenon tema di “perdere tempo” tornan-do su temi già affrontati, che impostila propria proposta attorno a delle atti-vità anche di lungo respiro.

Solo così ogni allievo troverà lapropria strada adeguata per fare proprii concetti proposti, costruire quellemappe che aiutino la generazione deifuturi cittadini a orientare il proprio

movimento all’interno di un territorioinevitabilmente diverso da quello acui oggi noi adulti siamo abituati:questo il senso e la sfida del costruireun curriculo. “Tanto inutile e grotte-sco è il ristare impettito di tante mura-glie avvitate su un confine che nonesiste, quanto utile sarebbe piuttostoun intelligente navigare nella corrente,capace ancora di rotta, e di sapienzamarinara. […] Essere capaci di deci-dere […] i legami che non vogliamospezzare, le radici che non vogliamoperdere, le parole che vorremmo an-cora sempre pronunciare, e le idee chenon vogliamo smettere di pensare”(Baricco, 2006).

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“…José Arcadio Buendia si az-zardò a mormorare:«È il diamantepiù grande del mondo.»

«No» corresse lo zingaro. «Èghiaccio.»……e allora mise la manosul ghiaccio, e ve la tenne per diversiminuti, mentre il cuore gli si gonfiavadi timore e di giubilo per il contattocol mistero. Senza sapere cosa dire,pagò altri cinque reales perché i suoifigli vivessero la prodigiosa esperien-za…Aureliano fece un passo avantiappoggiò la mano e la ritirò subito.«Sta bollendo» esclamò spaventa-to.….Pagò altri cinque reales e con lamano appoggiata al blocco di ghiac-cio, come se stesse rendendo testimo-nianza sul testo sacro, esclamò:«Questa è la grande invenzione delnostro tempo». 1

Nell’insegnamento delle scienzeoccorre riscoprire la semplicità che fameravigliare, che stupisce, che lasciaa bocca aperta, che fa pensare, riflette-re. La semplicità dei fenomeni deveessere enucleata dalla loro comples-sità. Nel ciclo primario, ad esempio, i

fenomeni devono essere scelti e la lo-ro semplicità va costruita. Questa èun’operazione difficile che richiede ri-ferimenti diversi dal porre il program-ma in relazione con il sapere accade-mico, sapere che, fra l’altro, viene ba-nalizzato in modo sempre più eviden-te man mano che il livello scolare siabbassa. Il libro di testo, che di solitoè costruito su queste basi, usa un lin-guaggio specialistico, incomprensibi-le, che spesso omette i passaggi cheportano alla comprensione dei proble-mi. In questo caso la semplificazioneè appunto omissione. Il risultato è cheuna serie di definizioni senza storia sisusseguono da un capitolo all’altro dellibro; le concatenazioni logiche fraun’asserzione e l’altra sono solo appa-renti, formali e gli alunni ricordanoframmenti di frasi che sono poi partidi un puzzle concettuale non costruitonella mente. L’insegnamento dellescienze si riduce a riprodurre frasi che

Interventi

Il curricolo verticale di scienze

ELEONORA AQUILINI, LEONARDO BARSANTINI

1 G. G. Marquez, Cent’anni di solitudine, Bar-cellona, La Biblioteca di Repubblica, 2002, p.22.

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non hanno significato. Eccessivaquantità di materiale proposto, sceltadegli argomenti senza tenere contodella effettiva capacità di apprendi-mento, tempi non adeguati, sottovalu-tazione dell’aspetto storico ed episte-mologico della disciplina sono gli ele-menti che non permettono agli studen-ti di acquisire competenze. Il riferi-mento è sempre la scienza del Nove-cento, linearizzata attraverso un’espo-sizione che lega le varie parti con unalogica deduttivistica e ne ignora lacomplessità.

D’altra parte se ci riferiamo ai ri-sultati della scienza attuale e ne consi-deriamo la complessità, dovremmo ri-tenere impossibile l’insegnamentodella maggior parte dei concetti scien-tifici. Infatti sembra inattuabile conci-liare, su questi contenuti, la logicadella disciplina consolidata e le istan-ze psicologiche dell’allievo. Pensiamoquindi, in consonanza con Dewey, chel’organizzazione della materia di stu-dio debba essere ripensata in funzionedella mente degli alunni. Essa nonpuò quindi riferirsi ai paradigmi dellascienza attuale. In Come pensiamo,infatti, leggiamo:

Qualunque insegnante sensibile aimodi in cui il pensiero opera nell’e-sperienza naturale del ragazzo nor-male eviterà senza difficoltà tanto l’i-dentificazione del logico con un’orga-nizzazione bell’e fatta della materia distudio, quanto l’idea che per sfuggirea questo errore non occorra prestarealcuna attenzione alle considerazionilogiche […]. Vedrà che lo psicologicoe il logico, invece di essere opposti o

anche indipendenti l’uno dall’altro,sono fra loro connessi come il primo el’ultimo, o conclusivo, stadio dellostesso processo (Dewey, 1994).

Lo psicologico e il logico ci sem-bra siano generalmente lontani nellapratica scolastica, nonostante l’impor-tante riflessione psicopedagogia del-l’ultimo secolo.

È impossibile trattare gran partedei problemi della scienza prima chesi sia realizzato un adeguato consoli-damento delle strutture cognitive dellostudente, finché, cioè, lo studente nonabbia effettuato un lungo percorsoeducativo che l’abbia portato ad ac-quisire consapevolezza, riflessione erazionalità intorno a problematiche efenomenologie connesse, sul pianocognitivo, all’esperienza quotidiana(Barsantini, Fiorentini, 2001). Noipensiamo, cioè, che i fenomeni scien-tifici devono essere conosciuti primadi passare alla fase della spiegazionecon teorie astratte, e riteniamo che siaindispensabile a questo proposito unlungo lasso di tempo, corrispondente,per i fenomeni percettivamente ele-mentari, sostanzialmente al primo ci-clo. È ovvio che le teorie svolgono unruolo importante nella costruzione diuna disciplina scientifica ma questenon possono essere il punto di parten-za per chi si accinge a entrare in con-tatto con le scienze. Le teorie fannouso di un linguaggio formale lontanoda quello naturale; inoltre proprio laloro importanza, e talvolta anche laloro bellezza, è nella capacità di“comprimere” le informazioni in unquadro coerente. Ma questo è quanto

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di più lontano possa esserci dal mododi pensare degli alunni. È vero che leteorie sono presentate, nei libri di te-sto o a lezione, in modo semiformale,ma questo non risolve i problemi, inquanto spinge a interpretare la parteformale in termini di senso comune.

Siamo tuttavia perfettamente con-sapevoli che nei fatti scientifici vi èun intreccio costante tra aspetti feno-menici ed aspetti teorici. Occorre ef-fettuare delle scelte molto precise al-l’interno della fenomenologia scienti-fica, individuando i fenomeni il piùpossibile “privi di conoscenze teori-che specifiche”, se non quelle già co-struite negli anni precedenti, e quindisostanzialmente connessi ad attività diosservazione e sperimentazione (Fio-rentini, 2000). Una riflessione per in-dividuare i fenomeni di base è indi-spensabile se si pensa che molto spes-so vengono posti a fondamento deiprimi insegnamenti concetti fortemen-te vincolati a strutture teoriche, qualiquello di massa quando ancora non èassolutamente chiara la fenomenolo-gia del peso.

C’è un altro aspetto che va sottoli-neato. I metodi della scienza non de-vono essere confusi con le metodolo-gie didattiche, che possono anche inparte rifletterli, ma che devono tenereconto dei contesti di apprendimento edell’età dei soggetti a cui si rivolgonole proposte. Ad esempio si può pensa-re ad un approccio prevalentementeinduttivo con gli studenti del ciclo pri-mario e ipotetico deduttivo per quellidella secondaria di secondo grado.Inoltre, in un processo di apprendi-

mento che dà valore alla costruzionedella conoscenza da parte dello stu-dente e non alla sua riproduzione, chepresenta compiti contestualizzati piut-tosto che astratti, che alimenta la ri-flessione, che valorizza rappresenta-zioni multiple della realtà, che tieneconto delle dinamiche che facilitano oostacolano la costruzione della cono-scenza, l’attività dello studente è allo-ra fondamentalmente di tipo cognitivo(Fiorentini, 2005). Gli eventi devonoessere situati in un contesto per com-prenderne lo svolgimento e le modifi-cazioni apportate al contesto stesso. Illaboratorio che ha senso è, fondamen-talmente, laboratorio mentale. È ovvioche nell’insegnamento delle scienzel’attività di sperimentale non può es-sere trascurata, ma anche in questo ca-so è necessario individuare quali atti-vità operative, pratiche, favoriscono lacostruzione dei concetti.

LA NARRAZIONE DELL’ESPERIENZA È

LA SUA INTERPRETAZIONE

I fenomeni studiati tramite gliesperimenti, per diventare acquisizio-ni concettuali significative, devonoessere interpretati in modo scientifico.E nella scuola di base per modo scien-tifico intendiamo non legato solo allapercezione individuale ma al signifi-cato condiviso che nasce da un con-fronto di idee, di ipotesi, di ragiona-menti che vengono fatti all’internodella classe sotto la regia dell’inse-gnante. Si usa il linguaggio quindi percostruire concetti scientifici a partire

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dai concetti di senso comune che deri-vano, a loro volta, da schemi mentaliusati nella quotidianità (Vygotski,1969).

L’intersoggettività è una delle di-mensioni caratterizzanti dell’impresascientifica che ha nella collaborazionee nella condivisione, ma anche nelconfronto costante, uno dei motoripropulsivi della ricerca. Anche in clas-se questo aspetto deve essere valoriz-zato superando un approccio indivi-dualista che obbliga lo studente a unaconoscenza non condivisa e acquisitasoltanto per trasmissione. La funzionedel linguaggio è esplicativa e interpre-tativa, quando la narrazione dell’espe-rienza ha un ruolo di primo piano nel-l’acquisizione dei concetti scientifici.In un sussidiario per la scuola elemen-tare si definisce la temperatura comela misura del calore. Ciò è errato, main questa sede ha poca importanza. Ilproblema è che si mettono sullo stessolivello concetti situati su piani diversi,temperatura e calore, e, comunque,non si chiariscono certo le idee aglialunni definendo la grandezza tempe-ratura per mezzo di un’altra grandez-za, il calore, altrettanto incompresa. Èovvio che con definizioni puramenteverbali si può parlare di tutto: “Cos’èil calore? Ciò che è misurato dallatemperatura”. In un testo della scuolasuperiore si introducono le forze affer-mando che: “Le forze producono ef-fetti statici e dinamici”, senza specifi-care cosa si intende per “effetti staticie dinamici”. Qui ci muoviamo in unambito che ha più a che fare con ledefinizioni fornite dal dizionario;

manca completamente il processo nar-rativo cui fa riferimento Bruner, nelbellissimo libro La cultura dell’edu-cazione. Bruner attribuendo alla nar-razione un ruolo centrale anche nelrinnovamento dell’insegnamentoscientifico, scrive:

Partirò da alcune affermazioni ov-vie. Una narrazione comporta una se-quenza di eventi, ed è dalla sequenzache dipende il significato”2… Per ar-rivare direttamente al dunque, la miaidea è che noi trasferiamo sempre inostri tentativi di comprensione scien-tifica in forma narrativa, o, per cosìdire, di “euristica narrativa. Il “noi”comprende sia gli scienziati sia gli al-lievi che occupano le aule nelle qualiinsegniamo. Trasporremmo dunque informa narrativa gli eventi che stiamostudiando, allo scopo di evidenziaremeglio cosa c’è di canonico e di pre-visto nel nostro modo di considerarli,in modo da poter distinguere più facil-mente che cosa è ambiguo e incoeren-te e quindi deve essere spiegato … So-stengo invece che la nostra istruzionescientifica dovrebbe tener conto inogni sua parte dei processi vivi del fa-re scienza, e non limitarsi a essere unresoconto della “scienza finita” qualeviene presentata nel libro di testo, nelmanuale e nel comune e spesso noioso“esperimento di dimostrazione (Bru-ner, 1997).

La narrazione è importante per im-postare il confronto, la discussionecollettiva, la revisione delle proprie

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2 J. Bruner, La cultura dell’educazione, Feltri-nelli, Milano, 1997, p. 135.

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osservazioni e convinzioni, per co-struire in classe una comunità di ap-prendimento. La ricostruzione narrati-va delle esperienze e dei fatti indagatipermette la socializzazione delle co-noscenze all’interno della classe infunzione dell’elaborazione di un pen-siero condiviso. Se nella scuola di ba-se la narrazione si può caratterizzarecome descrizione e ricostruzione del-l’indagine, nel biennio della superioresi affianca a questo aspetto una di-mensione narrativa storica che guidala contestualizzazione e la compren-sione dei problemi per approdare, ne-gli ultimi anni della scuola superiore,anche alla ricostruzione di quadri teo-rici più astratti.

ALCUNE ESEMPLIFICAZIONI

Un’immagine tradizionale dellascienza, spesso costruita durante glistudi universitari e rafforzata dai libridi testo sia per quanto riguarda la svi-luppo dei contenuti, sia per le rifles-sioni sul metodo scientifico, gioca unruolo rilevante nell’interazione inse-gnamento-apprendimento. Ritenereche si possa partire dalla semplice os-servazione per costruire teorie, che lescoperte scientifiche si susseguanocon continuità ampliando le conoscen-ze precedenti, che si possa presentareil metodo scientifico nel primo capito-lo, che il microscopico preceda sem-pre il macroscopico, che, pur in pre-senza di una storia della scienza, ciòche conta sia “l’ultima versione deifatti”, significa possedere una visione

ingenua della scienza che non può cheincidere negativamente nell’insegna-mento.

Si deve fare in modo che ci sia vi-cinanza fra ciò che si insegna e ciòche lo studente sa, affinché lo studentepossa acquisire un nuovo modo diguardare il mondo. Si tenga presente,come dice Darwin (Darwin, 1945),che è tanto difficile non farsi un’opi-nione qualunque, come è difficile for-marsi un giusto giudizio.

CONSIDERAZIONI SULLA DIDATTICA

DELLA CHIMICA

Il curricolo verticale di chimica peril cittadino dovrebbe essere centratosull’acquisizione del concetto scientifi-co di sostanza, semplice e composta,distinguendolo dal concetto di miscela(Fiorentini, Roletto, 2000). Si tratta inpratica di andare a definire gradual-mente di che cosa sono fatti i vari ma-teriali, classificandoli non su basi per-cettive ma in base ai criteri che ci ven-gono forniti dalle leggi della chimicaclassica. In particolare occorre realiz-zare nel biennio della scuola seconda-ria di secondo grado il passaggio dal-l’approccio fenomenologico e qualita-tivo delle trasformazioni chimiche aquello teorico e quantitativo. Ma perarrivare a questo livello occorre impo-stare un’azione didattica che tengaconto della storia del pensiero chimico.

Prima di Lavoisier c’erano moltis-sime conoscenze empiriche: erano no-te varie tecniche di combustione perricavare metalli, leganti, laterizi; veni-

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vano usati gli acidi minerali per scio-gliere solidi insolubili in acqua, il fuo-co era l’agente principale per le tra-sformazioni chimiche. D’altra parte,le sostanze venivano fuse ed evapora-te realizzando anche quelle che noichiamiamo trasformazioni fisiche.Nessuno però aveva compreso la dif-ferenza fra questi tipi di trasformazio-ni, nessuno era andato più in là dell’u-so artigianale delle varie tecniche.Con Lavoisier si comincia a capireche cosa sono le trasformazioni chi-miche perché si studia il ruolo dell’a-ria nella combustione, si misura e si“prova” la conservazione del peso, sicapisce che la composizione delle so-stanze che reagiscono è legata intima-mente a quelle che si formano. La mi-sura entra nella chimica, grazie allamatematizzazione la chimica nascecome scienza.

Nel primo ciclo si dovrebbe riper-correre la fase prescientifica, artigia-nale, della chimica, visto che la situa-zione psicologica del non esperto difronte al mondo dei materiali, dellesostanze e delle trasformazioni non èmolto diversa da quella dello scien-ziato o dell’artigiano di 4-5 secoli fa.Se si vogliono costruire conoscenzeche siano in consonanza con le strut-ture cognitive dello studente e con ilsuo mondo percettivo, occorre dedica-re gli anni della scuola di base a rea-lizzare questo passaggio gradualedalla materia indistinta della perce-zione quotidiana all’individuazione dialcuni materiali, di alcune sostanze edi alcune classi di sostanze (Fiorenti-ni, 1990).

Ovviamente si scelgono le fenome-nologie connesse a problematiche chi-miche significative: la combustione,le soluzioni, gli acidi, le basi e i sali.Si studiano proprietà fisiche come latemperatura di ebollizione e di fusio-ne, il peso specifico, la solubilità, inmodo da poter caratterizzare le so-stanze. Si distinguono gradualmentele trasformazioni chimiche da quellefisiche.

Idealmente nel biennio della scuolasecondaria di secondo grado si do-vrebbe ripartire da qui centrando poi illavoro sulle leggi classiche della chi-mica iniziando dal ruolo che il concet-to di gas ha avuto nel promuovere lanascita della chimica moderna e pro-seguendo con l’opera di Lavoisier,Proust, Dalton, Avogadro. Per l’altogrado di astrazione e di immaginazio-ne che comporta il pensare la materia,le sue proprietà e le sue trasformazio-ni in termini molecolari, riteniamo chesia fondamentale procedere alla defi-nizione ed alla costruzione del concet-to di molecola (formula) in modomolto graduale e il più elementarepossibile, per approssimazioni succes-sive, seguendo quello che è stato losviluppo storico della chimica dalto-niana (Fiorentini, Aquilini, Colombi,Testoni, 2007).

Ci sembrano significative questeconsiderazioni di Paolo Mirone: Daitempi di Dalton, cioè da due secoli, lachimica fa uso di due livelli di descri-zione della materia: il livello macro-scopico, o fenomenologico, delle pro-prietà e delle trasformazioni delle so-stanze, e il livello microscopico (o più

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esattamente submicroscopico) degliatomi e delle molecole. I chimici si so-no da tempo adattati a questa dupli-cità di livelli, sviluppando una formamentis che consente loro di passarecon naturalezza da un livello all’altropur tenendoli ben distinti. Ma ciò nonè affatto ovvio per gli studenti che siavvicinano per la prima volta allachimica, specialmente se sono moltogiovani...” soprattutto quando “l’inse-gnamento è fortemente sbilanciato afavore del livello microscopico comeavviene molto spesso nelle scuole ita-liane …”. Si ravvede quindi “la neces-sità che, nell’insegnamento della chi-mica, i due livelli, con le rispettiveterminologie, siano tenuti ben distintifin dal principio. Distinti ma non se-parati, perché i due livelli sono stret-tamente connessi: è proprio il com-portamento degli atomi e delle strut-ture che essi formano (molecole, reti-coli cristallini e altri tipi di aggregati)che ci permette di spiegare le pro-prietà e le trasformazioni che osser-viamo su scala macroscopica. Ma iconcetti e le teorie che fanno da pontetra i due livelli sono spesso all’originedi ostacoli all’apprendimento, anchenei casi più semplici (Mirone, 1999)

CONSIDERAZIONI SULLA DIDATTICA

DELLA FISICA

Non si deve cadere nell’errore disentirsi in dovere di “enunciare tutto”(Barsantini, 2001). Anche per la fisicasi possono indicare poche, ma basilarifenomenologie da trattare nella scuola

primaria quali il peso, i liquidi e i soli-di, il volume e la capacità. In questobreve elenco mancano, ad esempio, igas, ma questi non sono sullo stessopiano concettuale dei liquidi e dei so-lidi per la differente astrazione richie-sta a chi apprende (Aquilini, 2000).Manca anche la massa, concetto chetrova un suo riferimento in ambitoteorico nella meccanica newtoniana,ma lo studio del peso, al contrario del-la massa, permette di porre le basi perun primo affinamento della conoscen-za attraverso semplici ordinamentinon metrici, la costruzione di stru-menti di misura, l’uso di unità di mi-sura condivise. Nella scuola seconda-ria di primo grado si potrà poi genera-lizzare lo studio del peso nella piùampia classe delle forze. Qui la diffi-coltà maggiore sta nel portare gli stu-denti da una concezione di senso co-mune che vede nella forza una sorta disforzo fisico, a una concezione piùraffinata. È indispensabile costruireuna definizione operativa di forza col-legata alla capacità di produrre defor-mazione; soltanto nella scuola secon-daria di secondo grado si potrà passa-re dalle fenomenologie alle teorie esa-minando le leggi della dinamica. Lostudio del moto rappresenta un altroimportante capitolo da affrontare affi-nando il concetto di traiettoria e co-struendo la definizione operativa divelocità. Anche in questo caso non de-ve prevalere la logica del catalogo,poiché lo studio dell’accelerazione,ben più complesso, può essere riman-dato alla scuola secondaria di secondogrado (Piaget, 1975).

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Si ritiene importante sottolineare lanecessità di privilegiare il collega-mento fra temi trattati, sia in orizzon-tale che in verticale, allo scopo dicreare una rete di concetti (Barsantini,Insegnare, 2000, 5). Abbiamo sottoli-neato quello fra peso e forza, analoga-mente peso e volume, nel tentativo diordinare gli oggetti in base a un crite-rio unitario, fanno sorgere la necessitàdi definire il peso specifico; o ancora,lo studio del galleggiamento si ponein verticale unificando assieme lo stu-dio dei liquidi, dei solidi, dei volumi,della forza e del peso specifico. Il ca-pitolo dell’energia può far parte delcurricolo della scuola secondaria diprimo grado con riferimento alle te-matiche della temperatura e del caloretrasmesso (Barsantini, Insegnare,2000, 7-8). Il problema dell’energia èparticolarmente presente nella didatti-ca più tradizionale che finisce peròper risolverlo elencando le varie for-me di energia e corredandole delle ri-spettive formule. Riteniamo che lascuola secondaria di secondo gradosia il luogo ideale per affrontare lostudio della grandezza fisica energia,ma per favorirne la comprensione sidovrà far ricorso allo sviluppo storicodella nascita di questa grandezza.

Dobbiamo fare ogni sforzo affin-ché l’insegnamento della fisica vedagli studenti come attori principali, maciò è possibile soltanto se costruiamogli opportuni contesti di apprendimen-to. Afferma Arons: Anche se le impli-cazioni ci possono piacere poco, la ri-cerca sta mostrando che l’esposizioneastratta di idee e di linee di ragiona-

mento (per quanto noi ci possiamosforzare di renderle avvincenti e chia-re) a soggetti passivi fornisce risultatipateticamente esigui nell’apprendi-mento e nella comprensione (Arons,1992).

In conclusione, la riflessione sulcurricolo pone in evidenza la neces-sità di una elevata professionalità daparte dei docenti nel mediare fra disci-plina e studenti. Si tratta di operare lescelte giuste affinché gli studenti sia-no portati a confrontarsi con temi chefavoriscano elaborazioni autonomeper lo sviluppo di un pensiero critico.Si deve anche favorire il passaggio dauna visione della scienza, comune atanti studenti e adulti, come insiemedi regole da dimenticare al più presto,a quella di una grande struttura archi-tettonica in continua evoluzione, incui convivono il presente e il passatoe che ci permette di abitare e com-prendere il mondo che ci circonda.

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IL CONTESTO

Il Circolo di Vinci è formato da 5plessi, 3 di scuola dell’infanzia e 2 discuola primaria. Le classi a TempoPieno sono 18, quelle funzionanti conModulo orario di 30 ore sono 10. Glialunni sono 906 di cui 131 stranieri, idocenti sono 86, il personale ATA 23.

La Dirigente Scolastica è nel circo-lo dal 1997

Il personale è rimasto abbastanzastabile fino a tre anni fa: le nuove im-missioni in ruolo e/o i trasferimenti,erano in media tre-quattro l’anno. Adessi si sono aggiunti, negli ultimitempi i pensionamenti e i passaggi diruolo che hanno significato la perditadegli insegnanti più esperti ed autore-voli.

LA SITUAZIONE

Ogni giorno abbiamo l’impressio-ne che le difficoltà nell’attività educa-tiva aumentino e sentiamo che matu-rare una visione comune e condivisa

delle soluzioni concrete da dare aiproblemi è sempre più indispensabile;ecco perché diventa fondamentale svi-luppare un forte senso di comunica-zione e di cooperazione tra i diversiattori del lavoro scolastico:• Riconoscere i problemi concreti e

reali nel lavoro educativo è il pri-mo passo per dare risposte credi-bili e condivise nella prassi quoti-diana

• Il secondo passo è rendere unastruttura educativa un “luogo at-traente” non solo per le componen-ti ambientali e organizzative maanche e soprattutto per il fatto cherappresenta il luogo dello “star be-ne”, del ben-essere (well-being)che coinvolge le persone, le lororelazioni e soprattutto il percorsodi apprendimento.Qualsiasi tipo di apprendimento si

può, infatti, realizzare in uno spaziodove le persone si sentono bene, doveadulti e bambini possono liberamentee responsabilmente percorrere il loroitinerario formativo. Ma sappiamoanche che l’obiettivo di qualificazio-

Interventi

Il curricolo verticale nel Circolo didattico di Vinci

ROBERTA BENEFORTI

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ne di un sistema formativo si defini-sce solo in relazione alle condizionidi preparazione e alle “prestazioni”del personale. Così come sappiamoche la competenza professionale nonsi può costruire in astratto ma si ali-menta attraverso un continuo rimandotra l’esperienza e la sua ricostruzionecognitivo-riflessiva. È indispensabile,dunque, favorire le condizioni di con-testo ambientale affinché i diretti in-teressati promuovano autonomamenteazioni di cambiamento e di migliora-mento nell’organizzazione e nella di-dattica.

Nel Circolo di Vinci le scelte fon-damentali sono state due:1 utilizzare gli spazi garantiti dal-

l’autonomia scolastica ed in parti-colare quanto previsto dall’art. 6(autonomia di ricerca, sperimenta-zione e sviluppo)

2 l’adozione dell’impianto currico-lare art. 8 (definizione dei currico-li nel quadro di un sistema nazio-nale)Ciò ha consentito di realizzare

un’offerta formativa capace di rispon-dere con più efficacia ai bisogni for-mativi dell’utenza e del territorio e diimpegnarci a garantire il successo for-mativo degli alunni e il miglioramentodell’efficacia del processo di appren-dimento-insegnamento.

LE SCELTE DEL COLLEGIO

DEI DOCENTI

Nel POF del Circolo di Vinci si af-ferma: fattore determinante della qua-

lità del servizio scolastico è la previ-sione di un percorso di formazionepermanente degli insegnanti, una for-mazione caratterizzata da “continuitàe collegialità” e da una stretta corri-spondenza fra ciò che si fa e le com-petenze necessarie per farlo…

Continuità significa anche sceglie-re formatori non occasionali, ma in-terlocutori stabili che consentano direalizzare compiutamente un progetto.Le competenze professionali non sicostruiscono con iniziative frammen-tarie, slegate dal contesto operativo,ma attraverso riflessioni che si inseri-scono nel complesso del servizio e cheaiutano a rivedere e a migliorare l’or-ganizzazione.

In questo senso si parla di colle-gialità, poiché la formazione profes-sionale deve trovare, a seconda deicasi, nel Collegio, in ambiti discipli-nari, nel gruppo di lavoro, il momentopiù significativo. Inoltre non bisognadimenticare che le competenze, anchequelle degli adulti, non sono una pre-rogativa esclusivamente individuale:le competenze sono riconoscibili cometali all’interno della comunità in cuisono culturalmente e socialmente ri-conosciute, perché lì si sono formate esi esprimono come competenza istitu-zionale.

Se l’innovazione si concretizza incomportamenti nuovi occorre rimette-re in discussione e ristrutturare normee valori preesistenti e organizzare mo-menti di formazione basati sulla ricer-ca, scegliendo formatori esterni o in-terni al circolo per le loro competen-ze, negoziando le modalità della loro

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presenza nel servizio scolastico pur-ché queste presenze corrispondano al-le esigenze del servizio stesso.

Compito del dirigente scolasticosarà quello di sostenere e aiutare leinsegnanti a tradurre nella praticaquotidiana le indicazioni che vengonodai corsi di formazione, integrandoteoria e pratica e traducendo in pro-gettualità le indicazioni che sono ve-nute dal formatore.

Il Collegio dei docenti del Circolodi Vinci dichiara di condividere alcuniprincipi di fondo, di cui la metodolo-gia e la didattica devono tener conto:• La centralità dell’alunno, e non

della disciplina, nel rapporto inse-gnamento/apprendimento.

• La partenza dalla realtà deglialunni, dalle loro esperienze, dalleconoscenze che già possiedono,dai problemi che direttamente o in-direttamente manifestano, per pro-gettare itinerari didattici che ri-spondano ad esigenze di concre-tezza e di coinvolgimento emotivo.

• La scelta di contenuti significativirispetto ai vari ambiti disciplinarie multidisciplinari. Il riferimento,in questo senso, è il documento suiContenuti essenziali della forma-zione di base, del marzo ’98.In particolare il Collegio concor-

da sulla necessità di superare unascuola di tipo trasmissivo, privile-giando l’aspetto della costruzione diconoscenze e competenze, mediantela problematizzazione e la discussio-ne in un rapporto di confronto e coo-perazione.

I vari percorsi didattici saranno svi-luppati secondo molteplici modalitàorganizzative, che prevederanno fles-sibilità oraria: classi/gruppi, labora-tori, gruppi di livello, attività indivi-dualizzate.

LA SCELTA DEL CURRICOLO

E I DIPARTIMENTI DISCIPLINARI

Come afferma Franco Cambi ilcurricolo impone scelte, scelte funzio-nali a obiettivi, selezioni di e intreccitra saperi…è un modo di “trattare” isaperi che ne pone al centro le episte-mologie, i nodi portanti, le strutture ereclama una didattica costruttivista e“decisionista” anche. (Curricoli euro-pei a confronto – ed. Plus – Universitàdi Pisa)

A partire dal 2000 si sono formatigruppi di lavoro disciplinari che, sta-bilmente, hanno proseguito i loro la-vori anche negli anni scolastici suc-cessivi, nell’ottica della costruzione diun curricolo verticale (scuola dell’in-fanzia/scuola elementare). Ogni grup-po si è avvalso di esperti esterni che,negli incontri programmati all’iniziodell’anno scolastico, hanno concorda-to con gli insegnanti percorsi didatticida sperimentare nelle classi, verifican-doli negli incontri successivi.

Vengono retribuite le ore necessa-rie per gli incontri con gli esperti,quelle per incontri fra soli insegnanti,e le ore per la documentazione deipercorsi.

Ogni gruppo ha un referente che disolito è una Funzione Strumentale.

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Nel giugno del 2003, il gruppo dilingua, vista la partecipazione di tuttigli insegnanti del Circolo, e a seguitodi una valutazione estremamente posi-tiva del lavoro svolto, ha proposto l’i-stituzione di un dipartimento discipli-nare permanente. A partire da quelladata la partecipazione delle insegnantidella scuola dell’infanzia è andata viavia crescendo. Dall’a.s. 2005/2006tutti i docenti di lingua della scuolaprimaria e tutti i docenti della scuola

dell’infanzia partecipano alla costru-zione di un curricolo verticale di lin-gua italiana.

Parallelamente si sono costituitianche gruppi di lavoro di scienze e dimatematica, ai quali si è aggiunto,negli ultimi due anni, un gruppo chesi occupa dell’ambito geo-storico inchiave interculturale. Come esempio,viene riportata soltanto la tabella cheriguarda il dipartimento di lingua ita-liana.

Anno scolastico Gruppo di lingua Docenti coinvolti Ore incentivate

2000/2001Corso IRRSAE nell’am. Progetto ….

14 insegnanti scuola elementare

25 ore ciascuna

2001/2002Gruppi di lavoro nel Circolo

18 insegnanti scuola elementare

10 ore ciascuna

2002/2003Dipartimento lingua italiana

24 ins. scuola elementare9 ins. scuola dell’infanzia.

25 ore ciascuna10 ore ciascuna

2003/2004Dipartimento lingua italiana

22 ins. scuola elementare9 ins. scuola dell’infanzia.

25 ore ciascuna15 ore ciascuna

2004/2005Dipartimento lingua italiana e lingua inglese

19 ins. scuola elementare14 ins. scuola dell’infanzia.

20 ore ciascuna25 ore ciascuna

2005/2006Dipartimento lingua italiana e lingua inglese

23 ins. scuola elementare25 ins. scuola dell’infanzia.

50 ore ciascuna50 ore ciascuna

2006/2007Dipartimento lingua italiana

23 ins. scuola elementare24 ins. scuola dell’infanzia.

40 ore ciascuna50 ore ciascuna

2007/2008Dipartimento lingua italiana

22 ins. scuola elementare21 ins. scuola dell’infanzia.

26 ore ciascuna26 ore ciascuna

DIPARTIMENTO LINGUA ITALIANA

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La scelta di valorizzare la ricercadidattica quale strumento privilegiatoper migliorare la qualità dell’insegna-mento è stata forte e motivata. Si è ri-velata uno strumento importante perla gestione della fase delle riforme ri-correnti dell’ultimo periodo. Infatti sele riforme previste dalla legge vannoapplicate, è anche vero che sul pianopedagogico le riforme vanno interpre-tate, e l’insegnante che deve sceglieredeve avere dei luoghi privilegiati perfarlo e per dare corpo, spazio e rico-noscimento a quello che viene fatto. Idipartimenti disciplinari, in questi an-ni, sono stati molto utili sia a questoscopo sia alla crescita professionaledei docenti

Decisivo è stato anche il coinvolgi-mento degli organi collegiali dell’Entelocale e della RSU, perché l’impegnoche grava sul fondo di istituto è di unacerta importanza, ma i risultati ottenu-ti hanno convinto sempre più tutte lecomponenti ad andare avanti.

IL RUOLO DELLA DIRIGENTE

SCOLASTICA

Si sono incontrate delle sensibilitàconvergenti, questa è la sintesi che misentirei di fare. Fin da subito ho accol-to e sostenuto la proposta di percorre-re la strada della ricerca-azione chegiungeva da un gruppo di insegnanti.Ogni anno il gruppo si arricchiva dinuovi partecipanti e gli obiettivi si fa-cevano via più ambiziosi. In brevetempo sono stati individuati gli espertitutor che con la loro autorevolezza

hanno “attratto” un numero sempremaggiore di insegnanti. Il metodo se-guito, come direbbe Egle Becchi, èquello del “contagio”. Non ci sonostate, da parte mia, imposizioni o for-zature ma ho cercato di sostenere e in-coraggiare gli atteggiamenti più inno-vativi.

I fondi utilizzati per la formazione(contratti esperti esterni) derivano dal-la L. 440/97 e dal finanziamento perl’arricchimento dell’offerta formativadell’Ente Locale che contribuisce inmodo sostanzioso anche all’incentiva-zione dei docenti che viene effettuatacon le risorse del fondo d’istituto.

Il contratto di lavoro del compartoscuola siglato il 29.11.2007, finalmen-te, riconosce la necessità di destinare“eventuali” fondi aggiuntivi destinatial sostegno della ricerca educativo di-dattica e valutativa funzionali allo svi-luppo dei processi di innovazione e almiglioramento dei livelli di apprendi-mento (art. 31). Ancora nell’art. 88 siafferma che si può retribuire il parti-colare impegno in aula connesso alleinnovazioni e alla ricerca didattica…

Le cifre a disposizione non sonomolte ma si tratta, a mio avviso, di unsegnale importante.

GLI STRUMENTI PER LA VALUTAZIONE

La documentazione dei percorsi co-stituisce per gli insegnanti uno stru-mento di autoformazione e di sviluppodella capacità di metacognizione, indi-spensabile in quanto richiede forme diauto-osservazione e momenti di rifles-

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sione e discussione sull’impianto teo-rico di riferimento e sulle scelte e sullestrategie messe in atto (documentazio-ne dei percorsi e diari di bordo).

Gli altri strumenti utilizzati sono leschede di autovalutazione degli alunni(ti è piaciuto il lavoro effettuato, diffi-coltà incontrate, come sei riuscito asuperarle, come ti sei sentito duranteil lavoro, e al termine dell’attività,quali emozioni ti ha suscitato il lavo-ro, ti sei sentito coinvolto, hai preferi-to lavorare da solo, in coppia o ingruppo, cosa pensi di aver imparato afare che prima non sapevi fare ecc.) e

i “focus group” con i genitori per leclassi IV e V relativamente al senso diappartenenza, alla condivisione, allavalorizzazione-riconoscimento, allavitalità dell’esperienza.

Le prospettive di lavoro futuro ri-guardano il processo di valutazione el’individuazione di azioni/interventispecifici per l’accoglienza dei docenti,anche se i dipartimenti disciplinari, igruppi di lavoro e la disponibilità dipercorsi didattici sperimentati e docu-mentati ha costituito, finora, un puntodi riferimento importante per i nuoviinsegnanti del circolo.

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A conclusione di un ciclo di inse-gnamento, dalla prima alla quinta, indue sezioni della scuola primaria vo-glio ragionare e riflettere sull’efficaciadel mio lavoro alla luce dei risultatiottenuti. Devo dire che ho sempresvolto la mia professione di insegnan-te elementare con tanta passione e conun immutato entusiasmo, fin dall’ini-zio della mia carriera, perché ho sem-pre creduto che investire energie, ca-pacità e risorse nel campo dell’educa-zione e formazione dei nostri ragazzisia un impegno civile e politico cheho percepito in modo sempre più pres-sante.

Nei sette anni di lavoro sul Curri-colo, nel Circolo di Vinci, e cinque al-l’interno del Laboratorio LinguisticoPermanente condotto da un esperto-tutor e altrettanti di partecipazione alLaboratorio di ricerca e sperimenta-zione linguistica del CIDI di Firenzecon colleghi di altre province, possodire di aver individuato un modo di-verso di fare scuola, in grado di man-tenere alta la motivazione dei ragazzi,di rispondere ai loro bisogni educativi,

di accrescere le loro competenze spe-cifiche.

La convinzione, che mi ha sempreaccompagnato in questo arco di anniin cui ho potuto sperimentare nuovipercorsi, di aver trovato finalmente lachiave per realizzare una scuola comel’avevo sempre intesa, ma poche vol-te realizzata fino in fondo, mi haspinto ad una approfondita riflessionesui fondamenti teorici della pedago-gia, della linguistica e socio-linguisti-ca, a cui quei percorsi fanno riferi-mento. Sono riuscita così a individua-re e meglio capire le problematichedella formazione e dell’istruzione disoggetti immersi oggi in un mondoculturale, sociale, tecnologico che sitrasforma tanto rapidamente fornendomezzi di comunicazione sempre nuo-vi ma che tendono a produrre estra-niazione da un mondo comunicativovivo, reale e non virtuale; inoltre èstato necessario indagare e capire co-me nella scuola si possano aiutare iragazzi, che vivono in ambienti cosìricchi di stimoli e strumenti tecnolo-gici, a costruire conoscenze e soprat-

Interventi

Insegnare in un altro modo... si può

GIANNA CAMPIGLI

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tutto ad esserne benevolmente invo-gliati.

Dall’approfondimento teorico edall’attività didattica, svolti in collabo-razione con il nostro esperto, nasce laconsapevolezza delle priorità nel deli-cato processo di insegnamento–ap-prendimento e di una pratica didatticacon approcci metodologia rispondentiai reali bisogni culturali, psicologici ecognitivi dei ragazzi (Piscitelli, Piochi,Chesi, Mugnai, 2001, p. 17).

Ho spostato il mio punto di vistadall’insegnare all’apprendere e cosìl’alunno è diventato il fulcro di tutto ilmio agire.

Nella mia preparazione magistralee post avevo avuto la possibilità distudiare il bambino, le sue capacitàcognitive nell’arco dello sviluppo daisei agli undici anni, i risvolti psicolo-gici caratteristici di questa età, i biso-gni educativi; tuttavia, proprio nel-l’insegnamento della lingua, discipli-na di mia competenza, riuscivo pocoa progettare un lavoro organico, li-neare, di cui gli alunni fossero prota-gonisti e consapevoli - come succede-va nelle scienze o nella matematica -;si trattava sempre di attività finalizza-te allo sviluppo delle abilità di voltain volta prese in considerazione: oggisi lavora sulle tipologie testuali - econ le colleghe si reperivano branidescrittivi, narrativi ... da analizzaree da capire, magari legati a tematicherelative ai vissuti degli alunni -, do-mani si lavorerà sulla grammatica -siamo arrivati all’aggettivo, mancanoda fare gli avverbi, le congiunzioni,ecc…-.

Mi sembrava di esser brava nel-l’insegnare; non improvvisavo, prepa-ravo accuratamente ciò che l’indoma-ni avrei dovuto porgere ai bambini…ma il soggetto ero sempre io! Avevoben presente l’aspetto istruttivo dellalingua e non riuscivo a concretizzarnel’aspetto formativo.

Per stimolare la costruzione dell’i-dentità, l’apertura all’altro attraversola discussione, il confronto e il rispet-to di punti di vista diversi, l’educazio-ne alla legalità, alla cittadinanza, ri-correvo ad altre discipline: in quelcontesto la lingua diventava solo stru-mento, elemento trasversale.

Finalmente la scoperta che la lin-gua, colta anche nella sua specificità,ha una forte valenza formativa: se sce-gli contenuti significativi per i ragazzi,che non siano più i diversi brani daanalizzare, o la grammatica, o il lorovissuto, ma piuttosto gli oggetti lin-guistici collocati in una dimensioneformativa (culturale/valoriale); sescegli come punto di partenza perogni percorso l’orale, di cui l’alunnoè competente e da quello lo avvii allascrittura; se scegli di predisporre unambiente didattico in cui siano i ra-gazzi stessi a costruire le proprie co-noscenze, attraverso la discussione, ilconfronto e la negoziazione dei signi-ficati; se scegli quindi gli approccimetodologici operativi che consenta-no un apprendimento in contesto enon astratto.

Ho dovuto capire in che modol’apprendimento potesse risultare co-stantemente contestualizzato.

L’analisi dell’apprendimento in

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contesti di vita quotidiana ha messo inluce come l’apprendimento sia descri-vibile quale un processo di apprendi-stato, cioè come una pratica conte-stualizzata, graduale inserita in uncontesto significativo di attività (Car-letti, Varani, 2005). Se è vero che lacostruzione di nuove conoscenze ini-zia dalle nostre osservazioni suglieventi o sugli oggetti (con il termineoggetto intendiamo tutto ciò che puòessere osservato) è anche vero che co-struiamo la nostra conoscenza lingui-stica osservando gli oggetti linguisticicolti nella quotidianità, negli ambienticonosciuti dai ragazzi.

È perciò che i ragazzi diventanoesploratori, osservatori di tutto quelmondo linguistico che hanno raccolto,per cominciare a capirne le caratteristi-che ed il funzionamento. Ed è quelloche sono diventati i miei alunni, chehanno avuto l’opportunità di sviluppa-re con entusiasmo, dalla prima allaquinta, i progetti linguistici messi in at-to: la motivazione all’apprendere è unotra gli altri aspetti che è stato tenuto inalta considerazione e che ha indirizzatola scelta di contenuti, strategie, approc-ci metodologici sempre rispondenti al-le possibilità cognitive, ma anche cul-turali delle varie fasce di età. Tuttihanno avuto l’opportunità di effettuareun percorso educativo nella consape-volezza del che cosa stavano imparan-do, del come lo stavano imparando edella loro crescita personale e sociale.Difatti è solo quando gli alunni impa-rano ad imparare che assumono su disé la responsabilità del proprio appren-dimento (Novak, Gowin, 1999, p.16).

In prima elementare, attraverso loscambio di messaggi (Campigli, Pi-scitelli, 2001, n. 1-17), è stata favori-ta l’interazione sociale all’internodella classe, una pratica che ha con-sentito agli alunni di conoscere icompagni relativamente alla loro sfe-ra affettiva e di farsi conoscere, maha dato pure l’avvio all’utilizzo co-stante della lingua orale quale scam-bio comunicativo per chiarire e risol-vere problematiche, per negoziare si-gnificati e conoscenze, per motivarele proprie idee, per cominciare aprendere consapevolezza che di fron-te all’io c’è anche l’altro. I bambini sisono raccontati, oralmente e perscritto, e nel raccontarsi ognuno haconosciuto meglio se stesso, deli-neando una identità personale, la cuistrutturazione, nel suo processo lentoe graduale, ha trovato sempre tempi emodi significativi, adeguati alle variefasce di età, in tutti i percorsi dallaprima alla quinta classe.

Anche l’incontro con testi d’auto-re, mediante pezzetti di brani che rac-contavano le stesse problematiche in-contrate ed affrontate dagli alunni, harappresentato un’esperienza pregnantee significativa in quanto ha permessoloro di fruire di una narrazione lette-raria, di indiscusso valore linguistico,nel momento in cui poteva diventarepartecipe, anch’essa come loro, di uncontesto conosciuto e dibattuto. In talmodo i testi d’appoggio su cui lavora-re sono risultati essenziali per l’ap-prendimento linguistico, ma altrettan-to importanti dal punto di vista dellacrescita personale.

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In seconda l’interazione sociale havarcato i confini della classe per al-largarsi all’ambiente familiare (Pisci-telli, Piochi, Chesi, Mugnai, 2001. pp.28-64) e così i bambini hanno comin-ciato ad esplorare il mondo linguisti-co circostante con attenzione e atteg-giamento di ricerca, che l’insegnanteha sempre indirizzato e stimolato per-ché è da quel mondo linguistico oralequotidianamente frequentato, che cia-scuno ha cominciato a organizzareanche la scrittura. Alla narrazione, inquanto esperienza linguistica, si èunita la descrizione di persone e per-sonaggi, ancora soggetti parlanti, os-servati in famiglia, al mercato e in al-tri contesti noti. La riflessione gram-maticale, sempre ricavata da espe-rienze vive, è divenuta esperienzadelle parole, si è inserita nella osser-vazione dell’uso della lingua e dellasua efficacia sia nel narrare che neldescrivere.

Il passaggio ai dialoghi nella lette-ratura (nel nostro caso abbiamo presoin considerazione le fiabe) è diventatoun’esperienza anche emotiva, oltreche linguistica, importantissima, conl’apertura e l’immersione nell’imma-ginario attraverso tecniche di immede-simazione e di percezione coinvolgen-ti tutta la fisicità: è così che gli alunnihanno cominciato, e continuato in tut-to l’arco della scuola elementare, adentrare nei testi e in contesti, ad inte-ragire con essi, a conoscerli.

Sempre, quando arrivava il mo-mento di presentare un nuovo testo,narrativo o poetico, la richiesta era lastessa: Maestra, accompagnaci dentro!

In terza gli alunni, con il percorsodell’Autobiografia, Narrare e descri-vere (Piscitelli, Piochi, Chesi, Mu-gnai, 2001, pp 66-101), hanno avutol’opportunità di continuare a struttu-rare la propria identità, e a prenderneconsapevolezza, nella completezzadella persona. Analizzando l’aspettofisico e indagando l’aspetto interioreognuno ha delineato un ritratto di sé edegli altri con l’esigenza di accettarsi,rispettarsi, essere accettato e rispetta-to, accettare e rispettare l’altro: l’e-sperienza linguistica del narrarsi e deldescriversi in maniera prima oggetti-va e quindi personale e creativa haassunto un valore formativo di grandespessore nella ricerca delle propriequalità e delle qualità dell’altro. È co-sì che si è incentivato anche il pro-cesso di apertura all’altro, processonecessario ad una formazione com-pleta. Sul piano linguistico il passag-gio dalla costruzione dell’identitàpersonale all’alterità si è configuratocome passaggio dalla narrazione/de-scrizione alla regolazione e all’ argo-mentazione.

In quarta proprio la regolazione,senza mai tralasciare le altre formedel discorso (narrazione, informazio-ne, argomentazione) ha raggiunto unavalenza formativa indiscussa, poichéha veicolato, attraverso il lavoro suiComandi e i Divieti (Piscitelli, Pio-chi, Chesi, Mugnai, 2001, pp. 103-169), un’educazione alla legalità nonimpartita dall’insegnante o desuntadai testi, ma conquistata in contestireali frequentati dai ragazzi: la fami-

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glia, la scuola, il mondo circostantecon i suoi contenuti culturali. E conquesti contenuti culturali i ragazzi so-no entrati in contatto consapevolmen-te, li hanno osservati e analizzati as-sumendo vari punti di vista: i propri,quelli dei genitori, quelli infine di al-cuni personaggi pubblici, giornalisti escrittori.

Si può pensare che un tale lavorotutte le insegnanti lo fanno. Può darsi,ma la portata innovativa per me è con-sistita nel fatto che tutto questo lavoroè stato realizzato all’interno della di-sciplina, attraverso un’attività lingui-stica che ha consentito l’acquisizionedi competenze, specifiche e trasversa-li, oltre che l’interiorizzazione di at-teggiamenti educativi. È così che gliobiettivi linguistici sono diventatiobiettivi formativi.

E il percorso della quinta “Daipiccoli misteri della vita quotidianaal giallo” (Piscitelli, Casaglia, Pio-chi, 2007, pp. 141-204) ha suscitatoancora una volta l’entusiasmo di tuttigli alunni. Esso ha permesso di fre-quentare, prima con l’oralità, poi conla scrittura, tutte le forme del discor-so: dalla narrazione, alla descrizione,all’esposizione, all’argomentazione,rispettando i modi e gli stili cognitivinell’apprendere di tutti e accrescendocompetenze. Soprattutto, attraversola didattica laboratoriale, metodo dilavoro assunto da tutti noi docentiche affiniamo la nostra professiona-lità e competenza nel LaboratorioLinguistico di ricerca e sperimenta-zione, ha consentito agli alunni di co-

struire le loro conoscenze con gra-dualità e adeguatezza, partendo anco-ra una volta dall’aspetto pragmaticodella lingua.

Non starò qui a dilungarmi sullescelte culturali e didattiche che an-cora una volta hanno indirizzato ilnostro lavoro, dico solo che tali scel-te hanno dato i loro frutti, uno deiquali e non ultimo è stato il piacere ela gioia di apprendere. La confermal’avevo ogni mattina arrivando ascuola quando un gruppo di ragazzimi veniva incontro dicendomi “Mae-stra ci sei tu con noi?”; alla mia ri-sposta affermativa, quei visi entusia-sti e sorridenti che esultavano con un“Che bello, si fa italiano!” mi con-vincevano sempre più che si può e sideve fare scuola in altro modo daquello praticato ancora in molte no-stre scuole. I ragazzi sono riusciti adamare la loro lingua e a possedereuna discreta competenza, ma insiemealla voglia dell’apprendere hanno ac-quisito un modo dell’apprendere chespero potranno praticare da qui inavanti.

BIBLIOGRAFIA

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Carletti A., Varani A. (2005), L’ap-prendistato cognitivo in Didatticacostruttivista, Trento, EdizioniErickson.

Corno D. ( 2000), Vademecum di Edu-

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L’attività didattica è stata effettuatain un classe terza della scuola media.

È costituita da 5 itinerari modulari se-condo lo schema.

Interventi

Galileo Galilei: un caso di argomentazione negata

SIMONA SACCHINI

Itinerario 1 Itinerario 2 Itinerario 3 Itinerario 4 Itinerario 5

Contesto cognitivo-emotivo

La ricostruzione delcontesto culturalesecentesco attraver-so l’ascolto e la let-tura della lettera di“Renato Descartesa Marsenne” e de“L’abiura di Gali-leo”

30 h, 5 fasi

Contesto cognitivoemotivo

1633 - il processo aGalileo: i capi diimputazione, la sen-tenza del Tribunaledel Santo Offizio

30 h , 3 fasi

Contesto cognitivo

Biografia dello scien-ziato. Le scoperte scienti-fiche: descrizioneoggettiva della Luna“Sidereus nuncius” Descrizione sogget-tiva della luna inletteratura “L’elogiodel telescopio diGalileo” G.B. Ma-rino, “Alla luna” G.LeopardiApertura all’imma-ginario in letteratu-ra: immagina il dia-logo tra i protagoni-sti del frontespiziode “Dialogo di Ga-lileo Galilei Linceosopra i due MassimiSistemi del mondo”

30 h, 4 fasi

Contesto cognitivo-argomentativo

Il processo a Gali-leo nell’opera tea-trale di B. Brecht“Vita di Galileo”

Lettura interpretata

30 h, 3 fasi

Contesto argomen-tativo-emotivo

Gli alunni ricostrui-scono il processo aGalileo:“GalileoGalilei: un caso diargomentazione ne-gata” drammatiz-zazione

50 h, 5 fasi

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Riportiamo lo schema del 1° Itine-rario modulare

Questo itinerario modulare, realizzato in 30h, è costituito da 5 fasi- Ascolto globale - Ascolto selettivo- Discussione - riscrittura - Confronto con il testo originale- Ricerca delle informazioni sul lavoro de-

gli scienziati, sul rapporto tra gli scien-ziati, tra loro e la società

- Drammatizzazione

I Fase Ascolto

ObiettiviL’alunno:1 ascolta un testo e prende appunti2 ricava da un testo ascoltato tutte le infor-

mazioni esplicite e implicite utili a rico-struire il contesto culturale e scientificosecentesco

3 formula ipotesi significative relative alrapporto tra gli scienziati, tra questi e lasocietà in cui vivevano

4 usa indizi contestuali e testuali per infe-rire atteggiamenti, stati d’animo, inten-zioni

5 individua gli elementi linguistici e sin-tattici della lingua del tempo di riferi-mento

Il testo-documento, che l’insegnan-te fa ascoltare, è la “Lettera di Carte-sio a Marsenne”, (da R. Descartes aM. Mersenne, in Opere di Galileo Ga-lilei, vol. XV, Pagg. 340-341).

Prima di avviare il lavoro in classe,l’insegnante riadatta il testo nel sensoche toglie alcune parti che ritiene su-perflue o troppo difficili, privilegian-do quelle che sono significative, utilie coerenti con gli obiettivi fissati. Re-gistra su un nastro la voce di un “let-tore” che impersona Cartesio e chedeclama il testo riadattato.Durante lalettura può essere proiettata l’immagi-ne di Cartesio, ovviamente senza l’in-dicazione del nome. Gli alunni nonhanno il testo che vanno ad ascoltare.

1° ascolto: globale È essenziale che l’insegnante non

fornisca comunque alcuna indicazionerelativa all’emittente, al destinatario,alla data o all’opera da cui è stato trat-to il testo, né alla forma testuale ascol-tata.

Durante l’ascolto gli alunni nonpotranno prendere appunti.

Terminato l’ascolto lasciamo cheesprimano le loro prime impressioniche possono riguardare il lessico, al-cune parti non comprese oppure cheriferiscano ciò che credono di aver ca-pito del contenuto, il riconoscimentodi alcuni fatti noti, di personaggi dicui ricordano la storia. L’insegnante,in questa prima fase non fornisce ri-sposte.

2° ascolto: selettivoRiproponiamo quindi un secondo

ascolto, questa volta “selettivo” nelsenso che il testo è ascoltato non piùglobalmente, ma scandito in 5 tappesegnalate dagli spazi bianchi lasciatinel testo.

La ricostruzione del paratesto secondo il rito della ricerca

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Durante l’ascolto di ogni tappa glialunni possono annotare, nel senso diprendere nota di frasi, termini, espres-sioni che sembrano loro significativi,importanti da evidenziare, così comeli hanno compresi.

È importante sottolineare che cosas’intende per “annotare” in quantomolto spesso gli alunni credono di do-ver scrivere frasi intere, perdendoquindi tempo e parti del testo; soprat-tutto specificare che non si tratta di fa-re una sintesi.

Si invita gli alunni a prendere notaanche di informazioni che non sonostate dette, cioè ascoltate, ma che essihanno intuito, in una parola gli alunnidovrebbero essere in grado di indivi-duare almeno tre, quattro inferenze re-lative ai personaggi, agli eventi, allesituazioni.

3° ri-ascolto globaleGli alunni riascoltano tutto il brano

in modo da poter controllare, rivedere,aggiungere, modificare, integrare leproprie annotazioni.

Seconda fase

Obiettivi L’alunno:- utilizza le annotazioni informative tratte

dal testo ascoltato- confronta e integra le proprie con quelle

dei compagni- riflette su alcuni lessemi

- negozia significati diversi, operandoconfronti ed integrazioni

- partecipa in modo ordinato alla discus-sione

- opera delle inferenze e formula ipotesi

A questo punto ciascun alunnolegge a voce alta le proprie annota-zioni relative alla prima porzione ditesto ascoltata, le comunica agli altriche le aggiungono alle proprie, le di-scutono, formulano ipotesi interpre-tative sul contenuto; gli alunni fannolo stesso per ciascuna altra porzionedi testo ascoltata. Da questa attivitànasce un interessante dibattito sulconfronto in merito al contenuto, allasua comprensione, all’interpretazio-ne di certi termini e/o espressionisconosciuti perché arcaici, non più inuso, oppure sulle ambiguità di sensodi certe espressioni (es. “quell’affer-mazione si dimostra con evidenzaper loro mezzo”, “sono certo chenon mi manderete l’ufficiale giudi-ziario per costringermi a pagare ilmio debito”)

Dobbiamo fare attenzione che glialunni non riferiscano tutte le anno-tazioni insieme, ma che la socializ-zazione proceda “pezzo per pezzo”,rispettando le tappe che hanno ascol-tato.

Per facilitare il lavoro di integra-zione delle annotazioni di ciascunalunno con quelle degli altri e per aiu-tare i più lenti nel lavoro di trascrizio-ne, l’insegnante scrive via via alla la-vagna (meglio su quella a fogli perchérimanga traccia di ciò che si dice enon sia cancellato!) le note di ciascun

Il cantiere dell’elaborazione collettiva

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alunno. È bene che noi e loro scrivia-mo su due colonne, utilizzando la pri-ma per le prime annotazioni e la se-conda con le integrazioni che via viaogni alunno aggiunge o che risultanodal confronto.

In questa fase è importante chel’insegnante non fornisca ancora spie-gazioni, non dia informazioni o rispo-ste a eventuali loro interrogativi.

Terza fase

ObiettiviL’alunno:- produce forme testuali scritte adeguate

alla situazione comunicativa- compie inferenze- rivede e confronta il proprio testo con

quello originale, adeguando alcuni ele-menti linguistici (lessico, registro..)

- opera trasformazioni testuali- effettua la riscrittura parafrasata del testo

originale- produce un testo di sintesi di tutte le

informazioni esplicite e implicite rica-vate

Dalla raccolta delle annotazionicollettive emerge a questo punto cheognuno possiede un testo abbastanzaricco, forse non ancora completo, masufficientemente elaborato. Perciòl’insegnante può ora invitare gli alun-ni alla ri-scrittura personale del testoascoltato. Non si chiede ancora discrivere una lettera, perché non si so-

no ancora date indicazioni in questosenso (anche se possono averlo già in-tuito!) e perché non si sono ancora da-te precise indicazioni su chi sia l’emit-tente né il destinatario. Se, comunquequalcuno ce lo chiede, possiamo sem-pre invitarlo a utilizzare la forma te-stuale che crede più pertinente con ilbrano ascoltato.

L’insegnante suggerisce di scriveresu colonna per preparare lo spazio allafase successiva dell’attività.

Socializzazione delle scritture deglialunni “Cartesio–infante”

Si invita alcuni alunni a leggere iloro testi: l’insegnante interviene peraiutare a migliorare la forma, a preci-sare alcuni termini, accoglie i suggeri-menti proposti dai compagni che han-no ricordato meglio un termine, un’e-spressione. Tutto questo lavoro è si-gnificativo affinché ciascuna scritturasi avvicini il più possibile al testo ori-ginale di Cartesio.

In questa fase si possono aprire fi-nestre di riflessione semantica dellalingua, utilizzando il dizionario, for-nendo chiarimenti sull’uso e sul signi-ficato di termini ancora presenti nel-l’italiano attuale, ma con significatodiverso, di termini, al contrario, nonpiù in uso.

Confronto con l’originaleA questo punto l’insegnante forni-

sce in fotocopia il testo originale, noncompleto, bensì diviso precedente-mente in due parti, in modo che ognialunno possa focalizzare meglio illinguaggio e le informazioni del testo

Il cammino scritto

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originale, confrontarle con le moda-lità da lui utilizzate e con il senso incui lui le ha intese. L’insegnante invi-ta gli alunni a “rubare” dall’originalealcuni termini o a modificare la strut-tura sintattica del suo testo per “in-vecchiarlo”.

Le aggiunte, le modifiche vengonoscritte in un colore diverso sulla co-lonna destra del foglio.

Verifica Fai la ri-scrittura parafrasata dellalettera originale

Lo svelamento Gli alunni cominciano ora a trova-

re autonomamente le risposte ai lorointerrogativi, alle ipotesi formulate.L’insegnante risponde alle loro do-mande, aggiunge e completa le infor-mazioni che mancavano (…è una let-tera, il mittente è….il destinatarioè…è stata inviata il…dal luogo…).

Sorgono tuttavia altri interrogativirispetto alle inferenze formulate e acui il testo da solo non può dare con-ferme. L’insegnante fornisce gli ele-menti referenziali utili a ricostruire ilcontesto sociale, culturale e storico:chi era Cartesio, chi Mersenne, i con-tatti tra gli scrittori, la diffusione e cir-colazione delle scoperte scientifiche,cosa rappresentavano sul piano cultu-rale economico e sociale i centri ricor-dati, Roma, la corte papale, Leida eAmsterdam….

Si lascia aperto un grosso interroga-tivo, nel senso che l’insegnante per oranon fornisce risposta alla domanda:che cosa era successo a Galileo di

così grave da indurre Cartesio a”prendere quasi la decisione di bru-ciare tutte le sue carte”?

Verifica Scrivi un testo di sintesi che contengatutte le informazioni implicite e espli-cite ricavate dalla lettera di Cartesioe utilizzando dati e informazioni for-niti dall’insegnante.

Quarta Fase

ObiettiviL’alunno:- approfondisce la comprensione del te-

sto, superandone le difficoltà linguisti-che

- realizza un obiettivo comune- sviluppa capacità immaginative- sa comunicare stati d’animo ed emozio-

ni altrui

Testi utilizzati• Lettera di Cartesio a Marsenne• Testo dell’ abiura di Galileo • Annuncio dell’abiura da parte del gaz-

zettiere Antonio Badelli

Per svolgere questa parte dell’atti-vità, connotata da un forte impattoemotivo, l’insegnante deve operare inmodo molto discreto, scegliendo unadecina di ragazzi (indifferentementemaschi e femmine, anche se la situa-zione prevede solo presenze maschili)e chiedendo la loro collaborazione

Contesto cognitivo - Apertura alla drammatizzazione: contesto emotivo

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per allestire alcune scene di letturaanimata con i testi che saranno loroaffidati.

L’insegnante riprende il testo dellalettera di Cartesio a Marsenne e l’affi-da a uno o due alunni perché ne fac-ciano una lettura profonda, ne curinol’interpretazione, superando le diffi-coltà del linguaggio arcaico.

Affida ad un altro gruppo di ra-gazzi il testo originale dell’abiura(Sentenza e abiura, Roma 22 giugno1633, Archivio di stato in Modena.Inquisizione. Processi 1632-1633 –copia del tempo. Processo a Galileo,vol XXIV pagg. 402-407) dopo averloprecedentemente adattato, togliendocioè le parti superflue o eccessiva-mente complesse (sul piano linguisti-co e sintattico), perché anche loro nefacciano una lettura recitata. Ripeteche il loro lavoro di attori deve esse-re “segreto”, nel senso che i compa-gni non devono essere informati diquello che stanno preparando e cheandranno a recitare, legge con loro iltesto, fa notare alcuni elementi im-portanti della situazione comunicati-va: Galileo è un vecchio di settantaanni, è stato gravemente malato; cio-nonostante si deve inginocchiare, de-ve ritrattare tutto ciò in cui ha credu-to, fa un giuramento solenne….

Il pezzo è letto-recitato a più vociin classe dal gruppo secondo le moda-lità del teatro greco:- una voce narrante (Galileo) che

pronuncia l’abiura- un coro che sottolinea alcuni pas-

saggi della pronunziazione

- il “gazzettiere” (Antonio Badelli)che dà l’annuncio pubblico dell’a-biura il 25 giugno 1633

Quinta fase

L’impatto emotivo sui compagni èforte e alla fine della rappresentazione,dopo i primi momenti di silenzio sor-preso, commentano e valutano l’inter-pretazione. Si apre una riflessione-di-battito: cosa avrà provato Galileo inquei momenti? Quali pensieri, quali ri-flessioni lo avranno tormentato, convin-to, spinto a compiere quell’atto? Checosa crede che penseranno di lui quelliche lo hanno aiutato, i suoi colleghiscienziati europei? Gli alunni interven-gono interessati, formulano le loro os-servazioni, fanno domande: perché l’hafatto, cosa rischiava se si fosse rifiuta-to? Perché, se quello che affermava erariuscito a dimostrarlo, non era ugual-mente creduto? Se la chiesa sapeva chealtri scienziati affermavano le stesse co-se di Galilei, perché non si confrontavacon loro? Non c’era nessuno che potevaaiutare Galileo? Qualche potente, qual-che autorità? Come si era difeso dalleaccuse di eresia? poteva difendersi daquelle accuse? L’insegnante sostiene ildibattito, invitando gli alunni a ricorda-re quello che sanno rispetto alle eresie,al clima di sospetto, all’attività del Tri-bunale dell’Inquisizione (avevano vistoil film “Il nome della rosa”).

Al termine della discussione, l’in-

L’apertura all’immaginario

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segnante invita gli alunni a mettersinei panni di Galileo: è sera, sei solonella tua stanza, hai pronunciato laformula che ti ha salvato la pelle, mac’è qualcosa, c’è come un tarlo, unarabbia che ti rode dentro…e hai vogliadi gridare, di confessare, di sfogare..

Verifica Scrittura In una pagina di diario Galileo confi-da il suo stato d’animo a conclusionedi una giornata drammatica: “Oggi,22 giugno 1633, io Galileo ho rinne-gato tutto ….

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“L’ambiente scolastico non acco-glie un bambino per confinarlo in unasituazione di generica socializzazione;non è semplicemente un vivaio di re-lazioni umane, ma un contesto in cui èpromosso l’incontro con i saperi, con isistemi simbolico-culturali, con i pri-mi alfabeti”. Così scriveva GiancarloCerini nell’introduzione ad un volumeche illustrava i contenuti degli Orien-tamenti del ’91 per la Scuola dell’In-fanzia. Da allora sono passati moltianni, ma quella frase continua, anchea distanza, a descrivere efficacementequesto segmento scolastico, a delinea-re la vera identità di questa scuola.

Quali saperi incontrano i bambini?Quali sono pronti, disposti ad incon-trare? Attraverso quali modalità, qualistrategie? E perché proprio la scienza?

L’educazione alle scienze forniscel’occasione per dare espressione allepiù autentiche esigenze degli individuinell’ambito della conquista dell’auto-nomia, della costruzione e dell’esplo-razione del reale, esigenze spesso di-sconosciute da una cultura dell’imma-gine caratterizzata da un grado di for-

malizzazione e astrazione a cui troppospesso i bambini non sono in grado diaccedere se non facendo ricorso alfantastico (traducendo cioè quello chenon riescono a comprendere in strut-ture per loro più familiari, ma impro-duttive, se non dannose nella gradualestrutturazione del senso di realtà).L’ambiente in cui siamo immersi oggiè ricchissimo di stimoli e informazio-ni: costringe quasi a conoscere, pensa-re, immaginare, ma su livelli che com-portano uno sforzo cognitivo, unaconcentrazione e riflessione ridotti alminimo. In questo contesto l’approc-cio scientifico funge da antidoto neiconfronti di atteggiamenti superficialie dispersivi permettendo la costruzio-ne di schemi interpretativi (operativi eformali, spaziali e temporali) e affi-nando le competenze in modo da ren-derle sempre più adatte per un raccor-do degli schemi stessi con il mondo dioggetti e di fatti che ci circonda. “L’o-biettivo è pervenire ad un approccioscientifico costruito sull’alfabeto del-l’osservazione-scoperta, sulla gram-matica dell’accorgersi: i bambini van-

Interventi

Insegnare scienze nella Scuola dell’Infanzia

PAOLA CONTI

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no messi nelle condizioni di accorger-si, di adattare ciò che sanno pensare(ricordare, spiegare, progettare) a ciòche sanno vedere, a ciò che succedeintorno a loro” (Frabboni, 1992).

I BAMBINI COME SCIENZIATI?

Dal momento in cui iniziano amuoversi, i bambini sono assillati dalcomando: “Non toccare!”. Loro, natu-ralmente, cercano di eludere il divietoe adoperano le mani per esplorare.Perché i bambini (tutti i bambini) so-no “progettati” per conoscere attraver-so i recettori sensoriali, che rappresen-tano i canali attraverso cui entrano incontatto con l’ambiente. Ma, mentrealcuni tipi di conoscenza sono presen-ti fin dall’inizio, altri emergono sologradualmente e altri ancora hanno bi-sogno di essere apprese dagli adulti.

“Lo sviluppo cognitivo può esserespiegato in termini di progressivo au-mento di contesti di cui il bambino faesperienza e che formano la base perla rappresentazione della conoscenza,per gli schemi relativi alle proprietàdegli oggetti e degli eventi che gli so-no noti” (Rogoff, 1990). Attraversoquesto processo, quello che sperimen-tiamo interagisce con quello che sap-piamo già del mondo, producendonuova conoscenza.

Così i bambini accedono a nuoveconoscenze, strutturano strategie, am-pliano il loro sguardo sul mondo. Sitratta di un processo evolutivo lungo ecomplesso, che gli psicologi che si oc-cupano delle neuroscienze cercano di

indagare e comprendere. Quel chesappiamo è che “quando un bambinodi tre mesi, di un anno e di quattro an-ni guardano lo stesso evento, hannopensieri diversi al riguardo. Trasfor-mano le onde luminose e sonore inrappresentazioni diverse e usano rego-le diverse per manipolare quelle rap-presentazioni” (Gopnik, Meltzoff,Kuhl, 2001). Inoltre, “si può dire che ibambini più piccoli non hanno teorie.È stato ampiamente dimostrato che laloro conoscenza è ricca, coerente estabile…. All’inizio gli infanti usanoinformazioni coerentemente organiz-zate sugli oggetti per rispondere inmodo appropriato agli stimoli esterni,ma, nonostante tale coerenza, non sipuò ancora parlare di una teoria. Peracquisire un vero e proprio status teo-rico bisogna che la conoscenza sia co-dificata in un formato utilizzabile al difuori delle relazioni input/output, e so-no tali ridescrizioni a essere usate percostruire teorie esplicite” (Karmidoff-Smith, 1999).

Queste considerazioni ci portano aconcludere che i bambini, anche mol-to piccoli, sono in possesso di grandipotenzialità. Proprio per questo, l’in-tervento della scuola deve essere alta-mente qualificato per non ostacolarneil pieno sviluppo e per interpretare almeglio i bisogni e le esigenze cogniti-ve di ciascuno.

IL RUOLO DELL’ESPERIENZA

Quando i bambini si avvicinanoper la prima volta a un fenomeno nuo-

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vo, le percezioni sensoriali rappresen-tano il principale accesso alla suacomprensione: in questo momento idati sono tutto ciò che conta. Solo inseguito i bambini sfruttano l’informa-zione che hanno già immagazzinatonelle loro rappresentazioni interne eun ruolo importante è svolto dal lin-guaggio che, mai come in questo caso,contribuisce ad organizzare il mondo.In principio era l’esperienza, potrem-mo dire: un’esperienza quanto piùpossibile diretta e vissuta. In questoparticolare momento storico se nesente fortemente il bisogno; la sensa-zione di una deprivazione in questosenso, è avvertita in maniera genera-lizzata tra gli operatori del settore.L’osservazione dei bambini nei diversimomenti della giornata ci mostra intutta evidenza le conseguenze deri-vanti da questa nuova realtà, in termi-ni di atteggiamenti e di approccio alleesperienze. Innanzi tutto l’estremadifficoltà a soffermarsi sulle cose. Ibambini sono abituati (a volte forzati)a passare da una cosa all’altra in ma-niera sempre più veloce e frenetica (acasa, ma, talvolta, anche a scuola).Così non sono più capaci di organiz-zare il loro tempo e vengono presidall’ansia del “Cosa facciamo dopo?”.Questo li porta ad affrontare i compitiche li attendono con grande superfi-cialità, sempre proiettati verso la pros-sima novità che li aspetta. Collegato aquesto aspetto c’è quello della facilitànel fare le cose. Siccome bisogna an-dare di fretta tutto deve essere facile,sbrigativo. Non si può perdere tempoad allacciarsi le scarpe e così si fab-

bricano e si acquistano scarpe senzalacci. Ma in questa rincorsa alla facili-tazione della vita, i bambini hanno so-lo da perdere. Perché, come ci inse-gnano i grandi psicologi del novecen-to (da Piaget in poi), i bambini di que-sta età imparano solo facendo (Pensie-ro operatorio). È legandosi i lacci del-le scarpe o abbottonandosi la giaccache ciascuno di noi ha interiorizzatogiorno dopo giorno, in maniera deltutto inconsapevole, ma non per que-sto meno efficace, i concetti di den-tro/fuori, sopra/sotto. È così che ab-biamo imparato a confrontare quantitàe qualità, a contare, a costruire quellecompetenze che poi la scuola ha affi-nato e convogliato nei linguaggi spe-cifici legati alle diverse discipline. Perquesto è importante rivalutare il ruolocognitivo del fare: di un fare concreto,legato a materiali, strumenti, gesti ve-ri, non simulati, non virtuali.

IL FARE NON BASTA

L’attività concreta deve essere in-terpretata, però, come contesto in cuil’azione stimola il pensiero, comestrumento per la riflessione, come ter-reno di esercizio per porsi problemi ecercare soluzioni. E a loro volta, i pro-blemi e le soluzioni, pur nascendodall’operatività, devono indurre allageneralizzazione e all’astrazione, de-vono travalicare “il qui e ora” per an-dare a costituire quel bagaglio di com-petenze che può consentire nuove ac-quisizioni.

Il piegare le mani in gesti e movi-

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menti inusuali, il progettare e costrui-re direttamente uno strumento che ser-ve ad uno scopo ben preciso, “costrin-ge” la mente a pensare a ciò che stafacendo e questo consente di acquisireconsapevolezza del proprio operare ea cercare soluzioni sempre più funzio-nali, a riconoscere strategie che testi-moniano (che sono espressione e alcontempo costruiscono e consolidano)il proprio modo di imparare, il propriostile cognitivo, il proprio approccio al-la conoscenza.

La conoscenza non si attiva sem-plicemente “per contatto” con espe-rienze, materiali, oggetti. I bambinitoccano, manipolano, entrano in con-tatto diretto con le cose in maniera deltutto spontanea e nel consentire lorodi esercitare questa prerogativa lascuola non può vantare nessun merito.

“In tutte le scuole si fanno espe-rienze. Non basta insistere sulla ne-cessità dell’esperienza, e neppure sul-l’attività nell’esperienza. Tutto dipen-de dalla qualità dell’esperienza che siha. Ne consegue che il problema cen-trale di un’educazione basata sull’e-sperienza è quello di scegliere il tipodi esperienze presenti che vivrannofecondamene e creativamente nelleesperienze che seguiranno” (Dewey,1967).

Il nostro lavoro consiste, dunque,nel creare ambienti che sostenganol’apprendimento, nello scegliere con-tenuti concettualmente dominabili inrelazione alla fascia di età cui si rivol-gono, nell’approntare e proporre stru-menti (anche questi sia di tipo operati-vo, sia concettuale) che stimolino nei

bambini quella riflessività che rappre-senta la condizione per passare dal fa-re al saper fare, da una generica atti-vità ad un’attività intelligente. La qua-lità dei processi non può essere sepa-rata dai contenuti: dipende in largamisura dalla loro scelta.

LE DOMANDE E LE RISPOSTE

Ma come si fa a scegliere? Qualisono i criteri che possono guidarci inquesta scelta?

Nella Scuola dell’Infanzia “c’è so-lo una maestra che deve capire qualidelle curiosità dei suoi piccoli allievimeritano di essere coltivate e socializ-zate nelle classi”. E ancora: “La lorofunzione principale (degli insegnanti)è quella, difficilissima, di alimentarela curiosità nel modo più efficientepossibile, di riconoscerla, di valoriz-zarla e di trasmetterla nell’ambiente”(Bernardini, 2008).

Le considerazioni del prof. Bernar-dini ci indicano una direzione ben pre-cisa che è quella della curiosità deibambini. I bambini sono curiosi (quasiper definizione), pongono domande,talvolta divertenti, imbarazzanti, diffi-cili. Basta dunque seguirli in questascia di richieste e curiosità? L’espe-rienza quotidiana ci dice che non è co-sì semplice. Molti bambini (non tuttiper la verità) fanno domande agliadulti. Tuttavia pochissimi mostranodi avere l’interesse, la voglia, il tempodi ascoltare le risposte. La maggiorparte di quelle domande rappresenta-no una pressante richiesta di attenzio-

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ne ad adulti che troppo spesso non laconcedono loro in altri modi. I bambi-ni che abbiamo a scuola non sono ca-paci di ascoltare: all’inizio non capi-scono nemmeno come si fa, che vuoldire. Eppure chiedono come si sonoestinti i dinosauri, se nelle arance cisono le vitamine, di cosa è fatto l’ar-cobaleno… C’è chi ritiene che si deb-ba dare soddisfazione a questi quesiti,che proprio in questo consista l’edu-cazione alle scienze dai tre ai sei anni.Alla base di questa proposta c’è laconvinzione che i bambini di oggi sia-no più pronti, più preparati, più com-petenti e quindi in grado di affrontarequalunque tipo di argomento (o qua-si), purché gli insegnanti abbiano l’ac-cortezza di utilizzare strategie e lin-guaggi adatti alla circostanza.

In un film degli anno ’80 (mi sem-bra si intitolasse “Senti chi parla”), unbambino molto piccolo sfugge al con-trollo dei genitori e, per una serie dicircostanze, finisce dentro ad unamacchina trainata da un carroattrezzi.Guardando dalla strada solo la mac-china, sembrava che fosse il bambinoa guidare e anche lui aveva l’illusionedi farlo (la voce fuori campo cheesprime i suoi pensieri dice: “Però!Questa cosa del guidare non è poi cosìdifficile!”). Però quel bambino nonguidava, muoveva soltanto il volantedell’auto.

Qualcuno potrebbe obiettare cheintanto, anche se non guida veramen-te, familiarizza con il mezzo. Ma nonè un po’ poco rispetto all’abilità diguidare? Vale la pena spenderci deltempo? Non sarebbe più utile e ade-

guato insegnare ad andare in biciclettao sui pattini?

UNA PROPOSTA

Io credo che sia inutile spiegare adun bambino di tre anni come funzionaun’automobile. Anche se è lui che melo ha chiesto. Questo non significa nonrispondere alle domande dei bambini.Ma non può significare neppure co-struire percorsi didattici sulle loro “cu-riosità” momentanee. Formulare ipote-si per un bambino, non deve voler diretirare a indovinare, fornire risposte fan-tasiose più o meno sensate. Significainvece, assumere i dati sensoriali edinformativi dell’esperienza e maneg-giarli, manipolarli, assumerli in manie-ra creativa affinché rispondano alla ne-cessità della scoperta. I dati forniti dal-l’osservazione diventano i riferimentiper capire, documentare, concettualiz-zare le esperienze. Ad una condizione:che i contenuti sui quali viene richiestodi esercitare queste competenze sianoaccessibili ai bambini, dominabili dallestrutture cognitive che hanno a disposi-zione in quel momento (Conti, 2005).

Perché i bambini sono “immersi”nel loro ambiente di vita. Vedono esentono succedere tante cose intorno,ma non sanno distinguere proprietà ecaratteristiche (l’acqua è acqua). Lascuola aiuta il processo di progressivadifferenziazione; le attività di manipo-lazione e le conversazioni che le ac-compagnano consentono di rilevare lasensibilità di ciascuno nel guardare lecose (si sofferma sugli aspetti più evi-

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denti o va a ricercare anche particola-ri), la capacità di riconoscere e colle-gare situazioni analoghe ad altre, lavolontà di fornire il proprio contributonel lavoro di gruppo.

Le attività di tipo operativo arric-chiscono la curiosità, la voglia di spe-rimentare il mondo che caratterizzanoi bambini di questa età, per introdurrepian piano nuovi strumenti metodolo-gici e nuove conoscenze, rispettandoda un lato il modo di procedere nel-l’indagine che è tipico dell’età (farepensando), ma stimolando momenti dimediazione dell’esperienza in modoche il fare sia sempre più accompa-gnato e sostenuto dal pensare. In que-sto modo i bambini imparano a darsiragione dei cambiamenti e deinon/cambiamenti della realtà, a prova-re a cercarne le cause, ad accorgersidella coerenza e della non/coerenzatra ciò che si pensa e ciò che accade

Infine, lo scambio con gli altri nel-la pratica sociale del discorso diventastrumento per imparare a pensare. Co-sì come nella fase del pasticciamentole mani tradiscono e indirizzano il va-gare del pensiero che è alla ricerca diuna strategia per agire, nella discus-sione nel piccolo gruppo, le parole, lefrasi, svolgono la funzione di orienta-re i ragionamenti, di dare senso e si-gnificato alle azioni di cui si è fattoesperienza. Si tratta di un pasticcia-mento del pensiero che però lasciatracce di sé. “Il metodo dell’intelli-genza esige che si conservino traccedelle idee, delle attività, delle conse-guenze osservate. Conservare traccesignifica che la riflessione consideri e

compendi operazioni che comprendo-no tanto il discernimento quanto il ri-cordo dei tratti significativi di un’e-sperienza. Riconsiderare significa rie-saminare retrospettivamente quel cheè stato fatto in modo da estrarre i sign-ficati netti, che sono il capitale di cuisi vale l’intelligenza nelle esperienzefuture” (J. Dewey, 1967).

BIBLIOGRAFIA

Bernardini C., Coltivare la curiosità,Scuola dell’Infanzia n. 8, 1 Aprile2008 Giunti.

Cerini G., Cinque punti forti degliOrientamenti ’91, in Giovanna Zu-nino, I nuovi Orientamenti verso il2000, Casa Editrice Valore Scuola,1999.

Conti P., Fiorentini C., Zunino G., Co-noscere il mondo. Esplorare, e sco-prire le cose, il tempo e la natura,Azzano S. Paolo, edizioni Junior,2005.

Dewey J., Esperienza e educazione,Firenze, La Nuova Italia, 1967.

Frabboni F., Quando l’educazionescientifica prende il nome di “Lecose, il tempo e la natura”, Infan-zia, Settembre 1992.

Gopnik, Meltzoff, Kuhl, Mio figlio èun genio, Baldini e Castoldi, 2001.

Karmidoff-Smith A., Oltre la mentemodulare, Bologna,Il Mulino,1999.

Rogoff B., Apprenticeship in thinking,Oxford, University Press, 1990.

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A me la matematica piace tanto e lo sai perché maestra?

Perchè mi riesce.(Marco, 2ª elementare)

Negli ultimi anni, molte riflessioni,discussioni e relazioni, sono state de-dicate alle difficoltà di insegnamen-to/apprendimento della matematicache risulta essere troppo difficile perun numero elevato di studenti gene-rando in essi un frequente senso disconfitta e di inattitudine. Cresce sem-pre più l’esigenza di un esame criticocostante sull’insegnamento di questadisciplina che obbliga a sviluppareopportuni filoni di ricerca relativi adogni ordine di scuola, a partire dallascuola dell’Infanzia fino ai diciottoanni. Filoni di ricerca che non si limi-tino ad esporre osservazioni, discus-sioni di idee e raccomandazioni gene-rali, cioè a dire, in generale, che cosasi dovrebbe fare, ma mostrino in mo-do esplicito come farlo nelle classi.

L’attuale insegnamento della mate-matica non offre a molti ragazzi lapossibilità di acquisire conoscenze

matematiche qualitativamente signifi-cative e impedisce loro di appropriarsidi conoscenze che appartengono allacultura che ogni cittadino dovrebbeavere per agire senza difficoltà nellasocietà in cui viviamo, di essere cioècittadini responsabili in una societàdemocratica. Dobbiamo porre mag-giore attenzione alla portata culturaledelle conoscenze matematiche. Esseservono ad esprimere la struttura logi-ca dei fenomeni, sviluppano l’intui-zione, l’immaginazione, la capacità diipotizzare e realizzare progetti, creanoil gusto per i ragionamenti, il sensocritico, la capacità di giudizio. Se lascuola lasciasse che questi saperi diinteresse generale tendessero a con-centrarsi soltanto in una parte dellapopolazione, sarebbe una scuola benpoco democratica.

DOBBIAMO RICERCARE

LE RESPONSABILITÀ

Responsabilità, forse parziali, masicuramente rilevanti degli insuccessi

Interventi

Affinché la matematica non sia necessariamentel’opposto del piacere

ROSSANA NENCINI

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di questo insegnamento sono da con-siderarsi le seguenti:- la matematica viene prevalente-

mente insegnata come una succes-sione di definizioni, di teoremi e dicorollari, senza dare sufficientespazio alla genesi delle teorie, aicontesti problematici nelle qualiesse esplicano il loro funzionamen-to e il loro significato e all’attivitàmatematica autonoma degli allievi.Troppo spesso si insegna la mate-matica come una disciplina nellaquale bisogna sempre trovare l’u-nica risposta corretta con l’unicometodo corretto che è quello inse-gnato dal professore.

- l’insegnamento della matematicaviene ridotto, per periodi di tempotroppo lunghi, all’addestramento,cioè allo svolgimento di calcoli diroutine che obbligano lo studente aconcentrare l’attenzione sull’appli-cazione di rigide regole di cui siperde di vista sia l’origine, sia lafunzione nella cultura matematicaglobale.Questo tipo di insegnamento non

consente a molti alunni di imparare unpo’ di matematica interessante e li con-duce alla convinzione precoce di unaloro concreta incapacità nell’apprende-re questa disciplina. Sono troppi i ra-gazzi che si spaventano e si arrendonoconvinti di non “valere niente in mate-matica”. E questo è un fatto grave,l’insegnamento di qualsiasi disciplinanon deve certo spaventare e\o convin-cere che si è degli incapaci, al contra-rio dovrebbe offrire ad ogni allievo lapossibilità di affrontare ogni questione

con fiducia e, quando le cose non sonochiare, si dovrebbe saper insegnare areagire, stimolando ad esplorare, speri-mentare, ricercare regolarità, ponendo-si domande e ponendole agli altri. Èdovere di ogni insegnante cercare disviluppare, in ogni alunno, una perso-nalità fiduciosa e attiva che gli consen-ta di costruire una propria capacità dipensiero autonomo, di comunicazionecon gli altri e, soprattutto di registraresuccessi personali.

UN ALTRO MODO DI INSEGNARE

MATEMATICA

Fortunatamente esiste un altro mo-do di insegnare matematica, nel qualedocenti e studenti lavorano assieme,nel quale ognuno si pone domande eimpara a pensare. Non si tratta di ab-bandonare le grandi teorie, ma di rico-struirle in risposta a domande precise epuntuali. Questo tipo di insegnamentoè spesso raccomandato, ma nelle di-verse realtà scolastiche risulta esserepraticato da una minoranza di inse-gnanti. Del resto è veramente difficiledare agli studenti la possibilità di co-struirsi l’autonomia intellettuale piùutile alla loro formazione e certamentequesta non si può realizzare in tempibrevi. Per realizzare ciò il sapere mate-matico (così come ogni altro sapere)non può essere trasmesso in una formatroppo compiuta, ma deve essere co-struito in risposta ad interrogativi chetraggano origine dalla quotidianità.

Per stimolare l’autonomia di pen-siero servono questioni, situazioni

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problema su cui poter riflettere, discu-tere, interrogarsi, per poi agire, imma-ginare e realizzare progetti. Certo que-ste situazioni devono rappresentareper ogni allievo delle sfide equilibrate,delle sfide possibili, su cui ognuno siain grado di riflettere, di ragionare, diipotizzare, di agire, per arrivare a ca-pire. Non è più accettabile che lascuola continui a trasmettere saperi ilcui significato può essere compresosolo dopo la scuola. Le attività che lascuola propone devono avere signifi-cato nel presente degli alunni e devo-no consentire loro di registrare suc-cessi personali e di attribuirseli. È cosìche si crea motivazione e interesse adapprendere.

Parlare di scelte equilibrate signifi-ca porsi il problema di quali contenutiaffrontare nei diversi ordini di scuolae nei diversi anni scolastici per indivi-duare quelli che si accordano megliocon la mente dei ragazzi e al contem-po consentono loro di costruire un’a-deguata formazione matematica attra-verso lo sviluppo progressivo degliassi portanti di questa disciplina. Latrattazione progressiva di contenutiadeguati alla mente dei ragazzi è es-senziale se si vuole sviluppare la lorocapacità di pensare autonomamente. Èassolutamente inopportuno proporreagli allievi concetti matematici impor-tanti quando essi non possono ancoracoglierne le ragioni, il significato, lavera utilità, occorre evitare che il no-stro insegnamento divenga un’impre-sa di concettualizzazione prematura lacui complessità diventa talmente ele-vata da indurre i ragazzi ad evitare gli

ostacoli e a fuggire. Per questo è im-portante progettare delle successionidi situazioni problema di complessitàcrescente che ad ogni tappa sappianomotivare la salita di un gradino nellascala della precisione matematica.

CAMBIARE LA DIDATTICA…UN PROCESSO LUNGO E DIFFICILE

Cambiare in questo senso le prati-che didattiche degli insegnanti dei va-ri ordini di scuola è sicuramente unprocesso lungo e difficile. Per arrivar-ci non bastano i nuovi programmi contutti i documenti allegati o i vari studidi settore, servono dei veri e propricurricoli, cioè delle raccolte di situa-zioni problema, di piste di lavoro op-portunamente argomentate a seguitodi sperimentazioni in classe, accom-pagnate da commenti matematici edepistemologici e da opportune indica-zioni di metodo e di valutazione.

Lo sforzo legato alla produzione dicurricoli matematici per ogni ordinedi scuola è essenziale se si vuole cam-biare l’insegnamento della matemati-ca perchè il cambiamento è difficile;da un lato si devono trovare le vie diapprendimento che sappiano coinvol-gere i ragazzi in modo significativo,dall’altro si deve compiere uno sforzoconsiderevole sulla formazione degliinsegnanti dal momento che si chiedeloro di non insegnare più come face-vano i loro insegnanti, ma di fare pro-pria la prospettiva costruttivista del-l’insegnamento dando una parte suffi-ciente di autonomia agli alunni.

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Quando parliamo di formazione degliinsegnanti intendiamo riferirci non so-lo ad una specifica formazione inizia-le, ma soprattutto alla formazione initinere che si sviluppa e si consolidadurante l’attività di ricerca collegialeper l’elaborazione dei curricoli stessi.Occorre associare una sistematica atti-vità di progettazione collegiale ad unaattenta traduzione di quanto progettatonel concreto dell’aula, per osservare,analizzare, studiare, negli alunni, gliatteggiamenti, i comportamenti, le ri-sposte, il grado di interesse e di atten-zione al compito, parametri, questi, ingrado di misurare in maniera ineludi-bile l’adeguatezza della proposta di-dattica. Progettazione didattica, speri-mentazione in classe e riflessione col-legiale sulla sperimentazione, sono i 3momenti che qualificano l’attività diricerca delle scuole per l’elaborazionedel curricolo verticale perché offronoagli insegnanti l’opportunità di capirecosa insegnare e come insegnare tra-ducendo in concreta azione quotidianaespressioni quali…didattica costrutti-vista…autonomia dei ragazzi…valo-rizzazione dell’errore…Solo attraver-so il vissuto di questi 3 momenti qua-lificanti della ricerca didattica si puòcogliere la profonda differenza fra latrasmissione e la costruzione del sape-re da parte degli studenti.

IL COME…

È facile scegliere una definizionedi area ed esporla con cura ai ragazzi,accompagnandola con molti esempi,

con esercizi ed esperienze pratiche,ma è anche molto raro, che con laspiegazione verbale, la definizione emagari qualche opportuno disegnodell’insegnante, il concetto di areavenga compreso nel suo pieno signifi-cato. Altra cosa è ricercare una pistadidattica che consenta agli alunni dicostruire essi stessi questo concettoattraverso il succedersi di tappe dovele conquiste personali e i personali er-rori vengono continuamente rivisti,arricchiti, ristrutturati. Altra cosa, ap-punto, è porre i ragazzi di fronte aduna situazione stimolante che li invitialla soluzione di un problema.

In una quinta elementare, dopoaver consegnato ad ogni alunno dellaclasse un quadrato e un rettangolo dicarta colorata, isoperimetrici, abbiamochiesto loro: Secondo te è più grandeil quadrato o il rettangolo? Rispondiper scritto e motiva la tua risposta….Di fronte ad un simile problema ognibambino mette in campo tutte le suecapacità, ponendo particolare atten-zione al compito e richiamando tuttele competenze precedentemente ac-quisite per cercare di risolverlo. Appa-re emotivamente coinvolto nella situa-zione e sviluppa una ricerca personaledove trova spazio anche l’intuizione.Ovviamente la soluzione di simili si-tuazioni assume il suo pieno significa-to se si da valore all’apprendimentoper prove ed errori rivalutando questiultimi come chiavi di accesso ad unaconoscenza ancora più profonda.

Molti degli alunni cercano di risol-vere il problema misurando il perime-tro delle due figure e, una volta verifi-

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cata l’isoperimetria, concludono che ledue figure sono uguali. Altri, invece,intuiscono l’importanza della sovrap-posizione scoprendo che la carta delquadrato non è sufficiente a coprirequella del rettangolo e stabiliscono cheil rettangolo è più grande del quadrato.

Dalla lettura ad alta voce delle lororisposte nascono delle animate discus-sioni e non manca certo chi, consciodell’errore fatto da molti compagni nel-l’affermare che le due figure hannouguale grandezza, sottolinea la differen-za concettuale fra perimetro e area con-tribuendo in maniera significativa a di-stinguere i due concetti senza possibilitàdi futuri errori (Casaglia e altri, 2007).

Anche dallo studio di un unico ar-gomento come quello considerato,“l’area”, ci si può render conto dell’im-portanza delle idee dei bambini in me-rito al concetto che si sta trattando e,soprattutto del fatto che queste ideenon vengono sradicate da un momentoall’altro neppure dalla più chiara espo-sizione dell’insegnante. È necessarioritornare più volte sull’argomento at-traverso l’osservazione di nuove espe-rienze e l’analisi individuale di nuovesituazioni problema. Esperienze e pro-blemi che siano in grado di suscitarenuove discussioni con i compagni perarrivare alla costruzione definitiva delconcetto. Discussioni alle quali, ovvia-mente, l’insegnante parteciperà più perascoltare che per intervenire, più perindirizzare che per dare soluzioni.

PER CONCLUDERE…

Dal nostro punto di vista la costru-zione di curricoli dovrebbe costituireuna priorità assoluta per il prossimoavvenire di ogni ordine di scuola. Ov-viamente non potranno essere costruitiné da soli matematici, né da soli inse-gnanti. Servirà lo sforzo congiunto diinsegnanti esperti e di matematici se-riamente interessati al problema del-l’educazione. L’importante è che ogniscuola sappia costituirsi come luogodi ricerca per l’elaborazione di curri-coli di matematica che siano in gradodi rinnovare l’insegnamento di questadisciplina con l’obiettivo di accrescereil numero di ragazzi motivati ad ap-prenderla perché sicuri di raggiunge-re, attraverso di essa, competenze cul-turalmente significative.

BIBLIOGRAFIA

Casaglia e altri, Un percorso didatticosull’area, in M. Piscitelli, I. Casa-glia, B. Piochi, Proposte per il cur-ricolo verticale, Napoli, Tecnodid,2007, pp. 317-334.

Rassegna, rivista quadrimestrale del-l’Istituto Pedagogico di Bolzano,anno XIV, n. 29, aprile 2006, Ma-tematica: l’emergenza della didat-tica nella formazione (a cura diBruno D’Amore).

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Interventi

La probabilità

MARGHERITA D’ONOFRIO

PERCHÉ

Le ragioni per introdurre la mate-matica dell’incerto nella scuola di ba-se possono essere essenzialmente didue tipi: quelle relative al rapportocon la realtà e quelle di tipo metodo-logico.

Ragioni attinenti al nostro rapportocon la realtà.

Nel mondo in cui viviamo glieventi incerti sono molto più frequentidi quelli certi o impossibili. È in situa-zioni d’incertezza che si devono farescelte e prendere decisioni, anzi senzagradi di libertà possiamo affermareche non c’è vera decisione. È impor-tante che il ragazzo familiarizzi conl’idea che un avvenimento può esserepossibile senza per questo essere cer-to, e che, inoltre, per prendere una de-cisione occorre sapere quanto il verifi-carsi di un evento sia “possibile” (pro-babile). In questo modo si può portareil ragazzo all’idea del più probabile,del meno probabile, per poi arrivare alconcetto di equiprobabilità e della

probabilità come misura del grado difiducia in un evento. Da qui la neces-sità di sviluppare un modo di misurarequesta incertezza che chiamiamo teo-ria della probabilità.

Ragioni derivanti da considerazioni ditipo formativo e metodologico.

La matematica può dare un contri-buto significativo alla formazionecomplessiva di bambini e adolescenti.Questo avviene quando si pensa nonsolo alla matematica più strutturata,caratterizzata da verità assolute e daproblemi a senso unico, ma soprattut-to a quella più aperta, in cui i proble-mi fanno veramente discutere, metto-no in gioco le capacità degli allievi,non hanno un unico procedimento perarrivare alla soluzione.

La pratica didattica è orientata piùsu una matematica addestrativa cheformativa, privilegia più gli aspettiformali che semantici, attuando proce-dure deterministiche, caratterizzate daverità assolute e da problemi a sensounico con conseguente allontanamen-to dei giovani dallo studio matemati-

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co; ecco allora che fra gli insegnanti equindi fra gli allievi predomina un at-teggiamento fatalistico: solo chi ha ilpallino della matematica può capirla.

La questione torna dunque ad esse-re: quali contenuti, quali metodi, qualipercorsi, quali relazioni favorisconomeglio lo sviluppo di tutte le poten-zialità insite nell’apprendimento dellamatematica?

La premessa alla matematica nelleattuali “Indicazioni per il curricolo”(pag. 93) mette al centro la questionedei problemi:– Caratteristica della pratica mate-

matica è la risoluzione di problemi,che devono essere intesi come que-stioni autentiche e significative, le-gate spesso alla vita quotidiana, enon solo esercizi a carattere ripeti-tivo o quesiti ai quali si rispondesemplicemente ricordando una de-finizione o una regola. ……Un contributo in questo senso lo dà

sicuramente la matematica dell’incer-to, perché ricca di situazioni che per-mettono la discussione e mettono inmoto capacità di ragionamento. Neiproblemi scolastici non c’è una situa-zione effettivamente problematica cheaiuti l’allievo a capire l’essenza delproblema. Il contesto è solo un conte-nitore di dati.

Anche nei programmi del 1979 perla scuola media e del 1985 per lascuola elementare era presente il temadella probabilità, ma nella prassi è sta-to abbondantemente ignorato. Le mo-tivazioni di tale trascuratezza sono daattribuire sia al fatto che gli insegnantinon padroneggiano questo tema, sia

alla mancanza di coraggio nelle scel-te: per dare spazio ad argomenti “nuo-vi” (nel senso che rinnovano il mododi fare matematica) bisogna toglierequalcosa di “vecchio” (nel senso difunzionale ad una concezione superatadella scuola di base).

COME

Si può cominciare il percorso di-dattico esplorando le concezioni deiragazzi sulla certezza, incertezza eprobabilità con delle domande e deiproblemi; l’intento è quello di porredelle questioni su cui discutere, non dirisolverle, creando occasioni di con-fronto e soprattutto motivazione.

Scheda 11 Spiega che cosa significano per te le pa-

role “possibile”, “probabile”, e in qualeoccasione si usano.

2 Carlo si trova in una camera da letto albuio, in cui c’è un cassetto con 5 calzinibianchi e 5 rossi. Deve prenderne duedello stesso colore: questo evento è cer-to, impossibile o possibile? Quanti calzi-ni deve prendere Carlo per essere sicuroche tra quelli pescati ce ne siano almenodue dello stesso colore?

3 Estraendo a caso da un mazzo di cartenapoletane, è più probabile che esca unasso o una carta di bastone?

4 Quante volte si deve lanciare una mone-ta per essere sicuri che esca almeno unavolta testa?

La prima domanda ha la funzionedi una ricognizione su quello che i ra-

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gazzi intendono per probabile, possi-bile, per far emergere dalle risposte iconcetti di “più probabile” e “menoprobabile”; infatti l’uso matematico diquesta parola è diverso da quello ditutti i giorni in quanto tende a quanti-ficare la possibilità del verificarsi diun evento. Il secondo quesito fa riflet-tere sui due casi limite della probabi-lità: ciò che è certo e ciò che è impos-sibile; si passa poi con il terzo allaquantificazione di probabilità fino adarrivare all’ultimo in cui si scopre lamancanza assoluta di certezze.

Gli interrogativi emersi dalla di-scussione collettiva non trovano inquesta sede risposte definitive ma rap-presentano solo l’inizio dell’itinerariodidattico.

EVENTI CERTI, IMPOSSIBILI, PROBABILI

Per i ragazzi valutazioni binariedel tipo V/F, Si/No, certo/impossibilesono più facili di quelle con tutti i va-lori intermedi, per questo è importanteche a fianco ad affermazioni del tipoV/F, si cominci con l’introdurre asser-zioni valutabili con i tre “valori di ve-rità” V/F/P, certo/impossibile/probabi-le. Successivamente si può passare acomparazioni di possibilità, con locu-zioni del tipo: “più probabile, menoprobabile” ottenendo così un ordina-mento probabilistico degli eventi.Questo ordinamento può essere rap-presentato in forma schematica su unsegmento i cui estremi corrispondonoai casi dell’impossibilità e della cer-

tezza. Un evento può essere collocatosu questo segmento in posizione di-versa secondo la sua maggiore o mi-nore probabilità.

Con questa serie di giudizi inter-medi si arriva a una prima grossolanaquantificazione della probabilità, perpassare poi a delle quantificazioni piùraffinate, esprimendo la propria valu-tazione del grado di fiducia in unevento con una scala di valori nume-rici più o meno precisi: p.es. da 0 a10. Infine può risultare necessariopassare all’uso di valori razionali tra0 e 1 espressi sotto forma di percen-tuale.

0% 100%

a Roma nevicheràa ferragosto

a Berlino nevicheràa Pasqua

a Berlino nevicheràa Natale

Si tratta ora di riflettere sui modi incui esprimere questa quantificazione.Dovendo scegliere situazioni reali acui fare riferimento si può seguire ilcriterio di cominciare da quelle più re-golari e trasparenti anche se più artifi-ciali (per esempio i giochi), passandopoi a situazioni più naturali ma checonservano una certa regolarità, perarrivare alle situazioni più comuni dieventi, anche irripetibili, e più difficil-mente analizzabili. In fondo questopercorso è simile allo sviluppo storicodelle teorie in questo campo: dallaconcezione classica a quella statistica,fino a quella soggettiva.

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LA DEFINIZIONE CLASSICA

DI PROBABILITÀ

L’esperienza più comune in cui iragazzi incontrano il caso è quella dimolti giochi: come il lancio di mone-te, di dadi, l’estrazione di palline daurne, di carte da gioco. Tutte questeattività hanno in comune una situazio-ne di partenza in cui i casi possibilisono resi (volutamente) equiprobabilimediante il mescolamento di certi og-getti (carte, palline, facce del dado). Èin questa attività che si arriva sponta-neamente alla concezione classica del-la probabilità di un evento come rap-porto tra il numero di casi favorevoli eil numero di casi possibili.

In questo itinerario intendiamopartire da osservazioni su determinateesperienze, scoperte e discussioni,per arrivare a una costruzione critica econsapevole di definizioni e regole.

Per esempio, dopo aver fatto ac-quisire agli allievi un po’ di esperien-za sul gioco dei dadi si propone lorouna scheda con le seguenti domandealle quali devono rispondere indivi-dualmente per poi affrontare la discus-sione collettiva.

Scheda 21) Nel lancio di un dado i ragazzi della 3 Dhanno diverse aspettative:• Anna spera che esca il numero 1 • Bruno aspetta un numero dispari• Clelia scommette sulla comparsa di un

numero minore di 3• Dario punta sull’uscita del numero 6• Elvira desidera l’uscita dell’1 o del 6• Fabio aspetta un numero minore di 10

Secondo te chi ha più probabilità di vedererealizzato il proprio desiderio?Chi ha meno probabilità di successo? Ci sono ragazzi che hanno la stessa probabi-lità di riuscita?Scrivi i tuoi ragionamenti.Saresti capace di mettere i sei eventi in ordi-ne di probabilità crescente?

In un lavoro del genere si possonoscoprire o affinare concetti fondamen-tali quali: evento atteso, eventi possi-bili/impossibili/certi, eventi più proba-bili di altri, coppie di eventi equipro-babili, casi elementari.

2) Assegna un punteggio da 1 a 6 alla diver-sa possibilità di verificarsi degli eventi attesidai 6 ragazzi dell’esercizio precedente.

Scheda 33) Giulio, lanciando un dado, spera che escail 5; anche Ivan, giocando a tombola, sperache esca il 5; Iole giocando a carte (napole-tane) spera che esca il 5 di denari.a) Secondo te i nostri amici hanno la stessa

probabilità di successo? Spiega il tuo ra-gionamento.

b) Se non è così, ordina i tre eventi dal piùal meno probabile.

c) Puoi esprimere la probabilità di ognunodei tre eventi con una frazione appro-priata?

Con questa scheda si arriva a sco-prire come la probabilità di un eventodipenda dall’universo di possibilitàcon cui si rapporta. In questo caso si ètrattato di eventi elementari. Passandopoi al caso di eventi composti (esceun numero pari, un numero minore di

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5, ecc) si giungerà al caso più genera-le della definizione classica di proba-bilità come rapporto tra il numero dicasi favorevoli sul numero di casi pos-sibili.

Ciò che va sottolineato di questoapproccio classico al concetto di pro-babilità è che esso si fonda sulla no-zione di casi possibili intesi comeeventi elementari equiprobabili edesaustivi.

Questa concezione della probabi-lità è certamente la più semplice dalpunto di vista aritmetico ma non puòessere applicata alla maggior parte de-gli eventi aleatori (risultato di unaprova sportiva, infortunio automobili-stico, ecc.) per i quali non si hanno si-tuazioni di partenza semplici comequelle descritte sopra (casi elementariequiprobabili).

STATISTICA E PROBABILITÀ

Un secondo tipo di approccio èquello di situazioni che si ripetonomolte volte secondo uno stesso sche-ma. Per esempio: un giocatore chelancia tante volte lo stesso oggetto co-me una moneta, un dado; un atleta chesalta in alto più volte, un concessiona-rio che vende lo stesso tipo di auto-mobile, ecc. In questi casi si può con-siderare la frequenza relativa di uncerto evento: uscire testa per la mone-ta, far cadere l’asticella nel salto in al-to, avere un certo guasto per l’auto-mobile. Ci si può domandare che rela-zioni hanno le frequenze relative degli

eventi suddetti con le rispettive proba-bilità.

Dal punto di vista didattico si pos-sono configurare tre casi.1) il caso in cui si conosce il modello

classico della probabilità (per es.lancio di un dado), e si organizza-no prove ripetute per calcolare lafrequenza relativa dell’evento (es:lanciare un dado 30 volte e calco-lare la frequenza relativa della fac-cia 4). Questo esperimento può es-sere fatto in classe da tutti gli allie-vi in modo da confrontare i risulta-ti individuali ed eventualmente an-che riunirli simulando un unicoesperimento più grande. Dalla di-scussione dei risultati può emerge-re sia la variabilità delle frequenzerelative, ma anche la convergenzadei valori alla probabilità suggeritadal modello teorico.

2) Il secondo caso è quello in cui siorganizza un analogo esperimentodi prove ripetute (es: lancio di unacoppia di dadi considerando lesomme dei punteggi comparsi)senza conoscere prima il modellobasato sulla definizione classica. Sipuò rappresentare con un grafico ladistribuzione delle frequenzeemerse dall’esperimento. Quindi sicerca una spiegazione di quella di-stribuzione fondata sulla definizio-ne classica.

2) Dopo aver chiarito con le esperien-ze precedenti la relazione che in-tercorre tra il concetto di frequenzarelativa e quello di probabilità, sipassa ad analizzare situazioni incui non si può applicare la defini-

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zione classica di probabilità perchési tratta di eventi non riferibili auna base di eventi elementari(equiprobabili). In queste condizio-ni si può prendere come probabi-lità il valore verso cui le frequenzerelative convergono. Per esempiosi organizza un’indagine sperimen-tale all’interno della scuola sullaprobabilità di “nascere nel mese didicembre”, rilevando la frequenzarelativa di questo evento in tutte lesingole classi e confrontando i ri-sultati.Si arriverà così a scoprire la legge

dei grandi numeri, stabilendo il colle-gamento fondamentale tra il calcolodella probabilità e la statistica.

LA PROBABILITÀ SOGGETTIVA

Come comportarsi nei casi in cuinon si può fare riferimento né a unmodello di tipo classico (casi equipro-babili), né a un modello statistico diprove ripetute?

Questa situazione è molto più fre-quente di quanto si creda perché lamaggior parte degli eventi che incon-triamo nella nostra vita non sono néripetibili, né basati su casi equiproba-bili. Basta pensare ad eventi come: es-sere promossi, la vincita di un cavalload una corsa o di una squadra ad uncampionato di calcio.

Scheda 4Laura e Mara hanno deciso di fare una garadi nuoto. Chi arriverà per prima? Non losappiamo, ma sappiamo che Laura si è alle-

nata durante tutto l’anno, mentre Mara nonvede la piscina da due anni.I loro compagni di classe, Lorenzo e Lucahanno deciso di fare una scommessa. Si so-no accordati così: Lorenzo scommette 5 €sulla vittoria di Laura e Luca 2 € sulla vitto-ria di Mara. Secondo te, senza le informazioni su Laurae Mara i nostri amici avrebbero scommessoallo stesso modo?Se Lorenzo e Luca sono disposti a scam-biarsi i ruoli, possiamo dire che la scommes-sa è equa? Qual è la probabilità di vittoria di Laura? edi Mara?

Volendo generalizzare il procedi-mento, possiamo dire che la probabi-lità di un certo evento è il rapporto trala puntata su quell’evento e la sommadi tutte le puntate.

Da questa attività si può costruireil concetto di scommessa equa, cheessenzialmente si fonda sull’espres-sione del grado di fiducia (soggettiva)nel verificarsi dell’evento. La condi-zione della scambiabilità delle parti haanche la funzione di depurare l’ap-prezzamento da fattori emotivi.

D’altra parte questa definizione èpiù generale delle altre in quanto po-trebbe applicarsi a qualsiasi tipo dievento anche a quelli per i quali sonopossibili altri approcci.

BIBLIOGRAFIA

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In questi ultimi anni si è affermatal’esigenza di sviluppare una didatticaincentrata sulle competenze. L’esigen-za è vera e significativa: sottolinea lanecessità di curare che le conoscenzeofferte diventino nella testa deglialunni dei modi di vedere e pensare ilmondo. In altri termini, conoscenzeattive nei loro comportamenti. Pur-troppo il passaggio è avvenuto senzaintaccare l’astrattezza dei saperi offer-ti, ignorando che le competenze pos-sono essere realmente apprese solo seinserite in processi reali. In un agireche non sia solo virtuale. Manca anco-ra la consapevolezza che qualunquesapere disciplinare è un dispositivoconoscitivo fatto di vincoli che imbri-gliano la realtà – come, ad esempio, lecategorie dello spazio e del tempo - econ essa deve necessariamente fare iconti.

È in questo senso che l’insegna-mento tecnologico acquista un parti-colare interesse, in quanto disciplinache offre una pluralità di vincoli, in-dissolubilmente legata a fatti direaltà. Non solo: il suo procedere per

via analitica a partire da problemi èun esempio estremamente significati-vo di quel pensiero occidentale cheproprio per l’efficacia del suo appara-to razionale ha prodotto l’espansionedella nostra cultura e la sua capacitàdi assorbirne altre, non di rado di az-zerarle.

Ma a fronte della sua valenza for-mativa, la tecnologia soffre ancora didebolezza epistemologica. Ha biso-gno, quindi, di una profonda riflessio-ne sui contenuti e metodi del suo in-segnamento a partire dai 3 anni finoai 19. Deve essere evitata tanto l’at-tuale deriva attivistica della scuola dibase che quella specialistica della se-condaria, affrancando l’insegnamentotecnologico da una visione che lo hareso evanescente, marginale. Purtrop-po la tecnologia paga una visione fi-nalistica che la considera utile solo seconfinata nei suoi contesti specifici enon per sé, come invece avviene peraltri ambiti specialistici quali, adesempio, il greco e il latino. Non si fatecnologia, ma una tecnologia specifi-ca, con l’inevitabile conseguenza di

Interventi

TecnologiaUn fatto di realtà

GIUSEPPE BAGNI, DOMENICO CHIESA

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ingigantire il rischio di cadere nel-l’addestramento.

La separazione tra materie di indi-rizzo e di area comune, se anche det-tata dall’esigenza legittima di favorireil confronto tra diverse architetturescolastiche, spinge ad una visionesemplicistica dei curricoli, con lecompetenze di base e di cittadinanzadelegate alle sole materie generaliste ele discipline di indirizzo destinate allosviluppo delle competenze di settore.Un separazione deleteria e irrealistica.Mai proposta dalla storia che ha fon-dato qualunque forma di umanesimosull’umanizzazione della tecnologiache possedeva. Wiener ha scritto: “Lacontinuità del passato è fatta non solodalla conoscenza della storia scrittama dalla continua presenza delle case,delle strade, delle fattorie e delle cittàcostruite dalle passate generazioni”.Se questa è la conoscenza storica èchiaro il ruolo che deve avere la tec-nologia nella formazione culturale: èla cultura e l’esperienza collettiva de-gli uomini costruite attorno al lavoro.Non si tratta di contrapporre l’educa-zione alla professionalizzazione, madi realizzare l’una attraverso l’altra,vedendo nella professionalità - para-frasando Cartesio – nient’altro che“cultura attiva”, cultura in azione.

Si tratta anche di mantenere unadistinzione tra insegnamento tecnolo-gico e ambiente tecnologico, come so-no le Tecnologie dalla Informazione edella Comunicazione, pena la perditadi gran parte della sua potenzialità.Che non è dovuta ad un ambito speci-fico di applicazione, ma al suo mette-

re al centro e sviluppare la connessio-ne penso-concretizzo-verifico che èalla base di ogni agire in qualunqueambito.

Il riferimento più opportuno èquindi più generale, e vede nella tec-nologia la Scienza dell’Artificiale.Tanto dei manufatti che delle procedu-re, artificiali in quanto frutto della so-cialità. Una volta superata questa di-stinzione, possiamo parlare dell’inse-gnamento tecnologico come studiodell’oggetto in sé – il “fatto” artificia-le –; della sua tecnica di costruzione orealizzazione; del suo impatto sullarealtà, tanto ambientale che sociale.

Per il senso comune, la tecnologiaè forse il contesto dove è più facile ri-conoscere i segni del progresso, intesocome cambiamento continuo, rapido einarrestabile. Eppure uno degli aspettifondamentali del suo insegnamentodovrebbe essere ciò che non cambiamai al suo interno. I segni delle persi-stenze, in altri termini, quegli elemen-ti invarianti dei processi che resistonoe sostengono ogni cambiamento. Co-me anche deve fare oggetto del pro-prio studio l’analisi di termini generaliquali forma, funzione e funzionamen-to, insegnando a tenerli distinti e altempo stesso curandone le connessio-ni. La tecnologia è disciplina formati-va nella misura in cui colloca tali con-cetti nel giusto contesto, e li connettefacendone apprezzare tutta la com-plessità. Questo perché qualunque va-riabile ha senso solo se compresa inun sistema non variabile. Devono es-sere ricomprese e costrette, cioè, inuna cornice. Il lessico tecnologico ha

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la sua grammatica che costituisce laforma su cui proiettare i processi perinterpretarli.

Apparentemente queste sottolinea-ture sembrerebbero in contrasto conl’esigenza – indiscussa e indiscutibile- di calare l’insegnamento tecnologiconei diversi ambiti specifici, ma non ècosì: si tratta di applicare alla tecnolo-gia lo stesso criterio valoriale di disci-pline come il latino e greco, altamentespecialistiche ma non specializzanti.Lo specialismo è pericoloso quandochiude l’orizzonte dell’educazione,ma è prodigioso se se ne fa l’ambitoricco di senso in cui svilupparla. Gey-monat considerava lo specialismo un“abbozzo di mondo”: basta aprirlo etirarne fuori gli aspetti generalizzabili.In altre parole, specialismo sì, ma nonper specializzare, bensì come ambitoin cui agire.

Gli ambienti d’apprendimento chesi possono costruire con la tecnologiaoffrono la grande opportunità di affi-dare agli alunni il ruolo di co-protago-nisti. Siamo, infatti, su un territorioche intercetta con grande naturalità leloro intelligenze, ma anche i loro vis-suti, le esperienze percettive, non dirado le emozioni.

La necessità di curare la coerenzadella proposta didattica con la psico-logia degli alunni nelle diverse fasidella crescita deve orientare la sceltadelle metodologie e dei contenuti delcurricolo tecnologico. Fino a 14 anniè opportuno che l’insegnamento tec-nologico si concentri sullo studio de-gli arte-fatti, dove il “fatto” va intesoin un’accezione più generale di ogget-

to materiale. Dai 14 anni, invece, latecnologia proporrà vantaggiosamentel’impatto con i materiali, seguendocosì un processo che va dal particolareal generale. E favorendo il passaggiodal contesto specifico e concreto aduno più generale e astratto.

Il laboratorio, di conseguenza, di-venta il luogo naturale deputato all’in-segnamento tecnologico, per il livellodi concretezza che offre e le possibi-lità di dispiegare quel processo di pro-gettazione, esecuzione e controllo chene è specifica caratteristica.

Non si tratta di insegnare diversatecnologia nei diversi indirizzi dell’i-struzione secondaria superiore, facen-do una netta distinzione tra gli indiriz-zi tecnici e quelli professionali: inquesto caso sarebbe enorme il rischiodi destinare i professionali ad unaqualifica bassa e mirata, mentre ai tec-nici sarebbe affidata la formazione piùgenerale nel settore. Molto più util-mente, nei percorsi legati più stretta-mente alle professioni si potrebbe de-stinare alla tecnologia una parte piùsignificativa del curricolo, ma senzaoffrire una formazione più professio-nalizzante. La competenza pratica èun aspetto importante del laboratoriotecnologico, ma non può essere di-sgiunta dall’aspetto teorico, pena lasua volgarizzazione.

Un ultimo tema su cui vale la penariflettere è quello delle diverse tipolo-gie di produzione. Nel settore indu-striale, la produzione seriale prevedela prototipia, intendendo con essa l’in-sieme delle azioni volte alla progetta-zione ed esecuzione di un prototipo su

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cui basare le azioni successive, voltealla produzione in serie. Nel settoreartigianale, invece, il prototipo nonesiste, ma è semplicemente il primomanufatto della serie, prodotto com-merciabile come gli altri, che quindinon deve contemplare e risolvere i

problemi connessi alla sua seriazione.Affrontare questo tema in ambito sco-lastico aprirebbe la strada ad un’anali-si sulle trasformazioni dei modi diproduzione della società moderna cheha segnato profondamente tutta la sto-ria recente della nostra società.

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Ci vorrà ancora del tempo perrendersi conto e per reagire conidee e iniziative adeguate alla di-mensione quantitativa e alla porta-ta culturale e politica dei traguardiche Gelmini e soci vogliono porta-re a casa. E in uno scorcio brevis-simo, tra il 2009 e il 2011. Al mo-mento, anche l’opinione pubblicapiù avvertita non ha potuto mette-re a fuoco se non l’enormità deitagli di organico previsti –135.000 posti circa, tra docenti,

Rubriche

Schede

FIORELLA FARINELLI

Il “Piano programmatico” Gelmini-Tremonti sullascuola

Scenari della politica scolastica tra disegno del governo e nuove stradedi opposizione

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non docenti, dirigenti scolastici – e la clamorosa insensatezza di una de-strutturazione radicale, e intenzionale, dell’unico segmento scolasticoitaliano, la primaria, che esce con onore dalle classifiche internazionali.Oltre, ovviamente, alla tragedia di tanti precari e di un sistema educativochiuso per chissà quanto tempo all’apporto dei giovani laureati. Non haaiutato, finora, la strana reticenza dell’opposizione politica e sindacale.Il suo rifiuto di fare i conti, non tanto con la forzatura di quel “3 su 2” divent’anni fa, quanto con la successiva ostinata contrarietà a formalizzarele articolazioni professionali che proprio quella risorsa aggiuntiva ha re-so possibili in moltissime scuole. La non volontà o l’incapacità di qual-siasi tentativo per scompigliare le carte della partita: ripartendo sia daquel maestro “prevalente” – coordinatore del team e primo interlocutoredelle famiglie e dei bambini - inopinatamente contrastato ai tempi diMoratti e invece indispensabile in presenza di una pluralità di insegnan-ti; sia dalla necessità per la scuola di oggi di disporre di insegnamentinon improvvisati per la lingua straniera, l’educazione motoria, la musicae i linguaggi espressivi, l’informatica. Da utilizzare su più classi, e inmodo flessibile secondo il progetto educativo. Non aiuta neppure la di-fesa di un tempo pieno che nel Nord Ovest è la realtà prevalente (96%delle classi a Milano ) o molto diffusa soprattutto nei contesti urbani ditutto il Centro-Nord, e che però da molto tempo non scalda più i cuori dinessuno in città come Napoli e Palermo, neppure nei quartieri più diffi-cili, dove si precipita invece sotto il 5%. Ed è sconcertante, più in gene-rale, che la battaglia dell’ultimo periodo sulla primaria non venga collo-cata all’interno di un discorso complessivo, di una “politica” comprensi-bile sull’educazione: ché anzi negli ultimi mesi non sono mancati i con-sensi anche di autorevoli voci del centrosinistra all’autoritarismo di ri-torno dei grembiuli, dei voti di condotta, delle valutazioni in decimi,delle bocciature anche per una insufficienza in tutta la scuola di base, evia restaurando. Un vero guaio questo non parlare chiaro, non ricono-scere gli errori, non fare proposte credibili, ripetere gli allarmi di sempresul vantaggio che da ogni intervento verrebbe immancabile alle scuoleprivate, non provare neppure a costruire le condizioni di un negoziato.Un guaio in presenza di un’opinione pubblica diffusamente ostile neiconfronti di tutto ciò che è pubblico, ormai convinta che anche la scuolasia stata troppo e troppo a lungo utilizzata per sviluppare un’occupazio-ne non correlata ai bisogni, e frastornata dall’evidenza di risultati inade-guati o problematici in tutta la secondaria. Per non parlare poi delle cri-ticità interne. Perché non sono pochi gli insegnanti – anche del tempopieno e del modulo – sedotti o seducibili dalla prospettiva di tornare a

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essere “unici”, soli e padroni della didattica e della valutazione, senzapiù l’obbligo di confrontare e condividere, e la fatica di farlo.

Ma presto ci si dovrà misurare con il disegno complessivo messo apunto dal Ministero, e con i suoi nodi specifici. Il “piano programmati-co”, già presentato nelle sue grandi linee alle organizzazioni sindacali, èarrivato al vaglio della Conferenza Unificata Stato – Regioni. Prevede,per la sua attuazione a partire dal 2009-2010, una grandinata di regola-menti, decreti, nuove norme: e ognuno di questi passi potrebbe essere ilterreno o di uno scontro a tutto campo o di negoziazioni, scambi, media-zioni capaci di attenuare, rallentare, vanificare, in qualche caso forse ri-baltare. Non tutto, infatti, è nelle mani del governo e della sua estesamaggioranza parlamentare, c’è l’autonomia delle scuole ( sebbene vin-colata, nelle operazioni di riduzione dell’organico, dal richiamo alle “re-sponsabilità personali” dei dirigenti ), ci sono le prerogative di Regioni,Province, Comuni, ci sarà il gioco degli interessi dei diversi settori delpersonale e delle loro rappresentanze. Potrebbero esserci, in veste di pro-tagonisti non di sole manifestazioni di piazza, i genitori e gli studenti.Non è escluso che, su alcuni punti, ci siano reazioni anche del mondoimprenditoriale, e che anche questo trascini nuove alleanze. Il “piano”,in effetti, tocca una quantità di temi, anche molto diversi tra di loro, or-ganizzati secondo tre direzioni di marcia – revisione degli ordinamenti;riorganizzazione della rete scolastica, utilizzo delle risorse umane – trat-tate distintamente, ma strettamente concatenate da un’unica logica, quel-la dei “tagli” della spesa, e senza prospettive di un riutilizzo dei risparmiper lo sviluppo dei comparti che lo richiederebbero. Ed è proprio questofuoco centrale che dovrebbe obbligare chi si oppone ad articolare le po-sizioni e a definire le proposte, anche imponendo temi che non compaio-no nell’agenda. Perché, se i tagli previsti sono tali da determinare deglieffetti micidiali su alcune parti dell’offerta educativa, in altri casi la si-tuazione è diversa, o comunque aperta a possibili soluzioni di segno di-verso. Tanto per fare esempi, è difficile non convenire sull’opportunità dimettere alle strette quel tempo prolungato nella media in cui risultinonon coperti almeno tre pomeriggi, o che non preveda lo sviluppo sull’in-tero corso, o in cui non ci siano i servizi indispensabili: in gioco c’è, contutta evidenza, il buono o il cattivo utilizzo delle risorse, la volontà poli-tica e l’efficienza degli Enti Locali nella predisposizione dei servizi, lacoerenza o meno tra ciò che ci si impegna a fornire a ragazzi e famiglie el’offerta effettiva, la credibilità stessa delle politiche pubbliche. Analoga-mente, non c’è ragione per tardare ancora l’allineamento alle 18 ore set-

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timanali di insegnamento di tutte le classi di concorso della secondaria.O per non approvare la riduzione ad orari sostenibili del tempo scuoladell’istruzione tecnica e professionale (il problema, semmai, sarà evitareche i tagli cadano proprio sulle attività tecnico-operative costitutive delprofilo formativo). O per non concordare con il superamento della diso-rientante polverizzazione degli indirizzi e dei percorsi sperimentali (oltre900) della superiore, in particolare nelle due prime classi di obbligo diistruzione. Ma l’”essenzializzazione” e la “semplificazione” di cui parlail piano devono essere anche del profilo culturale: e dunque i tagli devo-no essere coerenti con la modernizzazione e la riqualificazione dei curri-coli, il superamento della segmentazione disciplinare, l’approccio euro-peo della formazione “per competenze”. Èviceversa inaccettabile che neifuturi Centri per l’Apprendimento Permanente l’organico venga costrui-to non sugli iscritti ma sugli scrutinati, non solo perché in questo modonon si tiene conto del carattere fisiologico degli abbandoni nell’educa-zione degli adulti, ma perché “scrutinati” allude con tutta evidenza a unaavara dismissione dell’educazione degli adulti di carattere non formale,quella che non si conclude con scrutini ed esami ma con certificazioni eche è tuttavia decisiva (i corsi di italiano e di cittadinanza per stranieri, ipercorsi integrati con la formazione professionale per giovani adulti, icorsi di lingue straniere). Qui, dunque, il taglio è tale da deformare e ri-durre l’offerta formativa. Molto problematica, ed anzi inquietante, è poila previsione del progressivo annullamento di parte dell’istruzione pro-fessionale dentro la tecnica.Se è infatti ragionevole eliminare duplicazio-ni nello stesso territorio di indirizzi sovrapponibili, non si può però igno-rare – se non a costo di far schizzare in alto i già altissimi tassi di esclu-sione formativa – che tra gli iscritti ai professionali sono sovrarappresen-tati disabili, pluribocciati e in ritardo scolastico, ragazzi di origine stra-niera di prima e seconda generazione) e che è molto forte la domanda diqualifiche triennali rapidamente spendibili nel mercato del lavoro. Unproblema che impone sia l’introduzione di percorsi e di uscite flessibilipur all’interno dei curricoli quinquennali sia forti interventi di sviluppo equalificazione dei sistemi regionali di formazione professionale. Che og-gi non ci sono, e di cui il piano non fa alcun cenno. Irresponsabilmente.

Ma il campo più promettente, e insieme più problematico, per una ri-duzione intelligente della spesa direttamente collegata al miglioramentodell’offerta formativa, è quello della razionalizzazione della rete scolasti-ca. Anche se i toni con cui l’opposizione ha finora trattato il tema – l’al-larme a voce spiegata per la chiusura di migliaia di scuole e per la deser-

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tificazione culturale di altrettante comunità – segnalano che siamo ancoradistanti dalla possibilità di una discussione di merito. Che sarebbe inveceobbligatoria anche se il duo Tremonti-Gelmini non avesse imposto i ta-gli. Lo dice un dimensionamento che, dopo la prima fase di attuazione, èrimasto congelato per un decennio, come se nei territori e nelle scuolenon si fosse mosso niente. Lo dice il numero consistente di istituti decisa-mente al di sotto delle soglie previste e l’alto indice di polverizzazionedelle sedi scolastiche anche dove le caratteristiche territoriali consentireb-bero altre soluzioni. Sono 700, secondo il Ministero, le scuole che do-vrebbero perdere l’autonomia (e quindi 1.400 le unità di personale da ta-gliare, tra dirigenti scolastici e direttori amministrativi), un numero trop-po tondo per essere convincente. Ma è evidente che il risparmio atteso –di personale ATA e docente – è quello legato alla riduzione di una partedelle oltre 44.000 sedi scolastiche, materne escluse. Il vero conflitto, delresto, è qui, e complicatissimo da districare perché alle convenienze dellescuole si intrecciano spesso le resistenze dei sindaci e delle comunità; eperché, comunque, la dislocazione fisica delle sedi scolastiche fa inevita-bilmente i conti con la disponibilità di edifici e spazi, la rete dei trasportipubblici o l’attivabilità di quelli dedicati, le distanze, i tempi di percor-renza, l’agio o il disagio degli spostamenti. Una bussola in verità c’è perchi deve decidere, in primis i Comuni e le Province. Non dovrebbe esserel’idea che a una microsede scolastica sia appesa chissà quale identità del-la comunità, ma piuttosto la convinzione che una scuola molto piccola èsempre un ambiente educativo ristretto, povero della pluralità di relazionitra pari e tra insegnanti che fa la ricchezza e la qualità dell’offerta educa-tiva, inevitabilmente al di sotto, per strumentazioni tecniche e rapporticon il contesto, della soglia ottimale. Non si può, insomma, da un lato sa-pere l’importanza dell’offerta culturale del territorio per la qualità dell’e-ducazione offerta e poi difendere una ad una scuolette che non possonousufruirne. Problema tuttavia complesso, che può essere avviato solo inun’alleanza con le Autonomie Locali tutta da costruire. E difficilissima,nella tensione attuale tra Stato ed Enti Locali, con una miriade di Comuniin gravi ristrettezze di risorse, e con un federalismo incombente ma anco-ra poco chiaro anche sul versante dell’ istruzione e della formazione.

Tutti diversi, invece, i contorni e gli obiettivi dello scontro su tutta lascuola di base, materna compresa. Qui la decisione è di destrutturare,impoverire al massimo l’offerta educativa, costringere a una privatizza-zione familistica della scuola, spezzare quell’intreccio tra scuola degliapprendimenti e scuola dell’affettività e dell’inclusione sociale che si è

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costruito negli anni e che costituisce il profilo dell’universalismo educa-tivo nella vecchia Europa. Le assicurazioni di Gelmini sul tempo pieno,così come sulla possibilità di diverse tipologie di orario sono argomentida prestigiatore, che fanno a pugni con l’intenzione di una riduzione dra-stica ed irreversibile del personale: tramite non solo la non riassunzionedei precari ma anche il non rimpiazzo del turn over. Finora sottovalutata,ma decisiva in questo quadro, è l’introduzione della maestra unica anchenella scuola per l’infanzia, che avrà tra i suoi effetti – di nuovo in ballo iComuni – la dislocazione della domanda verso le scuole non statali ingrado di assicurare il tempo postmeridiano.Per entrambe le scuole, lamaterna e la primaria, la modulazione di orari più lunghi dipenderà dalladisponibilità di un personale sovrannumerario destinato a ridursi di annoin anno. La lingua straniera – ecco gli effetti perversi della persistenzadel maestro “tuttologo” – affidata a insegnanti non specialistici ma “for-mati” con un ridicolo pacchetto di 150/200 ore. Nessun cenno – oltreagli insegnanti di sostegno (non più di 1 su 2 disabili) – ad altri speciali-smi o flessibilità, in nome dei tagli, ma anche di una muffosa e incoltanostalgia per la scuola del leggere-scrivere-far di conto, quella che per-deva per strada un terzo degli iscritti, che non conosceva l’italiano lingua2, né la scommessa dell’ intercultura, e tanto meno l’informatica, la mul-timedialità, la musica. Attività che potranno esserci, ma effimere e solose qualcuno le prenderà in carico: i Comuni affogati nei deficit di bilan-cio, le famiglie, quali famiglie? E con quali effetti sulla media, lo snodopiù debole della scuola di base, quello che non ha ancora imparato a nonbocciare e a ottenere buoni risultati per tutti? Non è il linguaggio dellapedagogia quello che serve, nello scontro dei prossimi mesi, anche seagli esperti non sfuggono gli effetti di una scuola-spezzatino, in cui sa-rebbe davvero difficile un progetto educativo coerente e unitario. E nep-pure il linguaggio della difesa strenua, fino all’ultimo bidello, dell’ occu-pazione. Occorrerebbe una politica di parole nuove, credibile, capace disterilizzare con la qualità delle proposte la furia populista contro tutto ciòche è pubblico, e di contrastare la sostanziale indifferenza di gran partedel paese, che non è di oggi, per l’educazione. Perciò è decisivo,fra l’al-tro, saper indicare dove – a quali bisogni formativi dei giovani e degliadulti – dovrebbero indirizzarsi gli eventuali risparmi di spesa inutile, eper quali obiettivi di crescita culturale e professionale, per quali nuovibisogni occorrerebbero nuove risorse. I confronti internazionali sullaquota di PIL per l’educazione non infiammano più. Se non altro perchél’idea di una scuola sprecona e inefficace era già diffusa anche con altrecoalizioni al governo. Cambiare registro,dunque, è obbligatorio.

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Talete è spesso ricordato come figura emblematica del filosofoastratto, corrispondente cioè alla descrizione che ne fa Platone nel Tee-teto (43a) quando riferisce che “una sua servetta tracia, spiritosa e gra-ziosa, lo motteggiò dicendogli che le cose del cielo si dava gran penadi conoscerle, ma quelle che aveva davanti e tra i piedi non le vedevaaffatto”.

D’altra parte, Talete è ricordato, p.e. da Aristotele in Politica I(A),1259 a, anche come accorto uomo d’affari per aver previsto, sulla basedi calcoli astronomici, un raccolto eccezionale di olive, e per aver fat-to incetta di tutti i frantoi di Mileto e di Chio, per poi noleggiarli, fa-cendo grossi guadagni.

Aristotele così commenta: “Così, raccolte molte ricchezze, dimo-strò che per i filosofi è davvero facile arricchirsi, se lo vogliono — einvece non è questo di cui si preoccupano. Si dice, dunque, che Taletediede in tal guisa prova della sua saggezza”.

Il risultato economico della sua azione sarebbe puramente dimo-strativo: Talete voleva mostrare la superiorità della sua apparentemen-te astratta vita contemplativa. I tangibili effetti pratici dal punto di vi-sta economico non erano fini a sé ma miravano a richiamare l’atten-zione ad altro. Potremmo dire che così la servetta tracia fosse servita adovere. Ma il discorso ha una portata più ampia, perché richiama sicu-ramente l’attenzione sul rapporto tra economia ed etica, come vedre-mo parlando della lezione del Prof. Emanuele Severino, a Merano, aconclusione del convegno su Ethics in economic Life: Challenges in aGlobalizing World ed economia, organizzato dall’Italien Zentrum del-

Schede

Etica ed economia: una lettura di E. Severino

Interrogativi attuali dopo la crisi finanziaria americana

e mondiale

GIANFRANCO AMATI

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l’Università di Innsbruck e dall’Accademia di Studi – italo tedeschi diMerano dal 29 novembre al 1. dicembre 2007.

L’etica può essere definita in molti modi. Indica il fine dell’agire esi occupa di cosa sia il bene.

Severino, che tratta il tema Etica ed economia, individua innanzi-tutto una parentela semantica tra i due termini per il comune riferi-mento a “casa”, perché etica, nella parola greca ethos indica anchel’“abitare”, lo “stare in un posto sicuro”, mentre economia, in greco daoikia, casa, e da nomos, legge, si riferisce ugualmente a “casa”. Egliprecisa subito che avrebbe considerato più che altro le divergenze trale due discipline.

Per mettere a fuoco la questione indica due concetti fondamentali. Il primo concetto è la concezione di etica, intesa come “abitare in

modo sicuro”. Per ottenere questo viene attuata dagli uomini un’al-leanza con la potenza massima, che può essere Dio o gli dei, il benecomune, ecc., a seconda delle scelte che vengono storicamente date.

Ci domandiamo perché egli usi questa espressione di “alleanza”con la massima potenza per “abitare in un luogo sicuro”.

La risposta che troviamo nei testi di Severino illumina tutto il per-corso che andiamo brevemente perlustrando.

“(…) l’etica dell’Occidente si propone di salvare l’uomo dal nulla,e quindi di sviluppare la potenza infinita che consente all’uomo dimantenersi in quella distanza infinita dal nulla (…) che è l’essere del-l’uomo e del mondo; ma per sviluppare ciò che dal punto di vista del-l’Occidente è potenza, e potenza infinita – l’etica dell’Occidente deveappunto presupporre quella riflessione esplicita sul senso dell’essere edel nulla, cioè quell’ontologia esplicita (non rintracciabile nelle espe-rienze culturali dell’Oriente (…)”1.

In altre parole, tutto il discorso che si può fare sui criteri dell’agire,sul bene e su tutto ciò che comunemente si intende per “etica” trova lasua base in quella partita, veramente di vita e di morte, che si gioca,quando il discorso sull’essere e sul non essere viene tematizzato dallafilosofia greca e sviluppato successivamente con implacabile coerenza,.

È chiaro poi che si parla comunemente di “alleanza”, quando c’èun problema che non può essere risolto se non appoggiandosi ad altri.Da questo punto di vista un’alleanza, ad esempio con Dio, è necessa-ria perché l’uomo considera se stesso ed il mondo in una strutturale in-

1 SEVERINO, E., La buona fede, Milano, 1999, p. 47.

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stabilità, come essere esposto al non essere, come luce che esce dal-l’ombra e ad essa ritorna.

L’alleanza con la potenza massima significa allora un patto che, insostanza, salvi, e cioè che garantisca l’uomo e il mondo dal nulla.

Questo discorso presuppone una forma di non essere che affliggal’essere stesso: divenire, morte ne sembrano le manifestazioni comu-nemente constatabili.

Il secondo concetto che Severino utilizza è la relazione fine – mez-zi, indicata da Aristotele e ripresa da Marx, perché in relazione alle fi-nalità poste si determina il significato dell’azione, anche di quella eco-nomica.

Severino insiste nella spiegazione di questo rapporto con esempisemplici, ma didatticamente efficaci, come quello più frequentementeusato del rapporto tra vivere e mangiare:

“Noi siamo soliti esprimere la relazione tra il vivere ed il mangiaredicendo che o “si mangia per vivere” o “si vive per mangiare”. Le dueaffermazioni contengono entrambe queste due parole “vivere”, “man-giare”, ma indicano qualcosa di assolutamente opposto: chi vive permangiare non agisce nello stesso modo in cui agisce chi mangia pervivere. In entrambi i casi usiamo le stesse parole, “vivere” e “mangia-re”, ma quando si vive per mangiare, la vita ha un significato diversoda ciò che la vita ha quando si mangia per vivere, e lo stesso si dicaper il mangiare. Usiamo due parole, ma abbiamo a che fare con quat-tro significati, e cioè l’azione stessa cambia.”

In questo esempio si vede chiaramente come, nel primo caso, man-giare sia il mezzo, e vivere il fine, mentre nel secondo caso la situazio-ne è esattamente opposta. La distinzione è decisiva, tanto più se le duediverse finalità non sono immediatamente distinguibili, perché il com-portamento del mangiare può essere apparentemente identico, anchese i soggetti agiscono per finalità totalmente diverse.

Posto allora il significato di etica come alleanza con la potenza su-prema, se per potenza suprema si intenda Dio, o il bene comune, o al-tro, e posta la distinzione tra fine e mezzo, Severino applica questiconcetti a realtà economiche molto rilevanti. Parla, ad esempio, delcapitalismo.

Il fine del capitalismo, nelle sue diverse forme, – dice – è l’aumentodel profitto, con attività conseguenti – mezzi dunque – per conseguirequesto fine, e con l’esclusione di altre finalità. Un’impresa capitalisticasi basa su una scarsità media della merce venduta. Senza questa pre-messa l’acquisto, e il conseguente profitto, non potrebbero esserci.

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Istruttivi in proposito ci sembrano due esempi nelle seguenti letterepubblicate recentemente su un quotidiano2:

“(…)la banca per la quale lavoro, ha diramato una circolare interna nellaquale si invitava «caldamente» tutti i colleghi della rete commerciale avendere, a piccoli risparmiatori privati, un prestito obbligazionario strut-turato, emesso dalla Bank of America, che dovrebbe rendere in tre anniun interesse fisso irrisorio, più un eventuale premio finale legato alla ri-valutazione di un paniere di titoli azionari.Mi domando quale logica perversa e sfrontata spinge una banca a consi-gliare, nel pieno di una crisi finanziaria senza precedenti, l’acquisto diuna obbligazione potenzialmente ad alto rischio.”

“Ho letto su Repubblica (…) che la Goldman Sachs ha pagato lo scorsoanno, a 30 mila dei suoi dipendenti (quindi non si tratta dei top manager)stipendi medi annuali da 600 mila dollari l’anno (circa 450 mila euro).La cosa mi ha molto sorpreso, francamente non immaginavo guadagnas-sero così tanto. Con questi stipendi non c’è da stupirsi se quei dipendentisono poi pronti a piazzare (consigliare?) merce finanziaria avariata aiclienti, magari turandosi il naso, nel caso qualcuno di loro avesse qualchebriciolo di moralità residua nel profondo della propria coscienza.”

Le due lettere rivelano lo stesso problema: ricerca di profitto a sca-pito dei clienti. I due lettori reagiscono alle due notizie esposte, po-nendo un’istanza etica: “logica perversa e sfrontata” dice il primo,“briciolo di moralità residua”, il secondo, nella convinzione che pro-fitto a scapito dei clienti sia eticamente scorretto, sia un male. È pro-prio così?

A ben guardare chi lavora in una banca fa ciò per cui è pagato: au-mentare il profitto della banca. Potremmo dire che l’etica della banca,o del capitalismo, è questa. Altri scopi non rientrano nel cosiddetto“core business”. La banca non è un ente di beneficenza, come vienecomunemente detto. E quindi i dipendenti bancari si comportano cor-rettamente, per quanto ciò possa dare fastidio.

Da questo punto di vista persino la recente crisi economica causataanche da diffusi prodotti finanziari, che hanno causato gravissime per-dite a clienti, spesso ingannati e ignari, può essere letta, in quella logi-ca, come un cattivo capitalismo, nel senso che la crisi di fiducia gene-rata nella clientela ha penalizzato l’intero sistema, facendo crollare co-

2 Su “La Repubblica”, 1. 0ttobre 2008, p. 32.

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sì soltanto proprio ciò che interessava, e cioè il profitto, a prescindereda un discorso morale sul bene comune.

Severino ricorda infatti che, se il capitalismo avesse come finalitàil bene comune, non sarebbe più capitalismo.

Per questo egli ritiene contraddittorio, ad esempio, lo stesso rap-porto tra Chiesa e capitalismo, caratterizzati da finalità opposte comeprofitto e bene comune, che non possono essere piegati a finalità estra-nee, nemmeno con l’uso di mezzi comuni.

Per Severino l’unica potenza che contrasti il capitalismo è la tecni-ca, da lui definita come il “sistema di sottosistemi che sul pianeta ge-stiscono e producono la potenza a disposizione dell’uomo, (…) il si-stema di sottosistemi costituito, per esempio, sia questa una parentesi,dal sottosistema economico, finanziario, militare, sanitario, scolastico,giuridico e via dicendo.”

Secondo Severino la finalità della tecnica è”l’incremento indefinitodella capacità di realizzare scopi (…), di aumentare all’infinito la po-tenza dell’uomo”.

Ciò è assolutamente contrario alla finalità costitutiva del capitali-smo. Esso avrebbe solo da perdere dall’aumento della potenza dell’uo-mo e dalla conseguente tendenziale eliminazione della scarsità mediadelle merci che sta alla base dell’aumento del profitto stesso. Poiché,d’altra parte, il capitalismo ha bisogno, e pensa di servirsi della tecni-ca per raggiungere i suoi scopi, deve mantenerla in vita e custodire nelmodo migliore, senza rendersi conto che così mantiene ciò che mina ilcapitalismo stesso.

Possiamo applicare questo discorso di Severino all’esempio che abbiamofatto sulla grande crisi economica americana. Il tracollo di alcune grandibanche è dovuto, per non parlar di altro, a calcoli sbagliati, nel senso chenon sono state, alla luce di quanto è avvenuto, considerate e combinatenel modo giusto tutte le variabili che avrebbero consentito la perpetua-zione e l’incremento del profitto esistente. Ciò esige, in una logica capi-talistica, l’elaborazione di tecniche più sofisticate che consentano, se èpossibile, di evitare dei crac, come quello avvenuto. Da questo punto divista l’incremento delle potenzialità tecniche sembra indispensabile. Citroviamo allora in un certo segmento di quella tecnica citata, usato stru-mentalmente per salvare il profitto. Ma per Severino – ripetiamo – la lo-gica intrinseca alla tecnica, che mira soltanto allo sviluppo della potenza,si oppone a quella del capitalismo che mira soltanto all’incremento delprofitto e non ad altro.

Per Severino la tecnica, nell’ampio significato indicato, si opponenon solo al capitalismo ma anche a tutte le finalità escludenti, che carat-

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terizzano grandi sistemi culturali come cristianesimo, Islam, comunismo,che non vogliono semplicemente l’aumento della potenza dell’uomo, mache si servono della tecnica per finalità diverse, che sono escludenti per-ché il fine dell’Islam è diverso da quello del comunismo e così via.

D’altra parte lo scenario evocato da Severino non è meno inquie-tante perché la situazione che si va delineando verso il dominio dellatecnica non sembra molto diversa da quella evocata da Goethe nellaballata dell’apprendista stregone, che descrive un processo che nonviene più dominato da chi l’ha evocato. Così si può dire infatti dellatecnica, con Goethe:

“Rapida, sempre nuovi fluttilei porta dentro con sé.

Ah, e cento fiumisi gettano su di me.”

C’è una via d’uscita a tutto questo? Il sistema delle opposizioni esi-stenti tra capitalismo, Chiesa cattolica, Islam, democrazia, e con la tec-nica è trascendibile? Perché capitalismo e gli altri sistemi elencati, purin contrasto tra di loro, sono messi in un unico ambito contestuale?

L’attuale situazione storica è caratterizzata da queste potenze incompetizione, con la tecnica che tendenzialmente fa da padrona pro-prio perché l’antica riflessione sull’essere tematizzata in Grecia, quan-do Parmenide dice che “l’essere è e il non essere non è” è diventata ni-chilistica, interpretando cioè come non essere, almeno in parte, l’uo-mo, il mondo, il divenire.

Questa interpretazione di fondo, codificata nei grandi sistemi filo-sofici del passato, si è declinata in vario modo nella storia della filoso-fia ed ha portato all’attuale convinzione, ampiamente condivisa, chenon esista più una verità assoluta, mentre la precarietà dell’uomo, ecioè la ancor più esplicita esposizione al non essere, in mancanza diun’alleanza decisiva per salvarlo, apra una pluralità di opzioni di al-leanza: e così capitalismo, cristianesimo, Islam, orfani di un essere chenon ammette di non essere, sono alleanze che cercano di imporsi conla potenza della tecnica.

Tutta la partita, e cioè la risposta ai quesiti che abbiamo elencato e,volendo, anche la critica che si volesse fare a Severino, si gioca essen-zialmente sull’interpretazione del significato dell’essere in rapporto alnon essere. Non possiamo qui entrare nel merito. Ci limitiamo soltantoa sottolineare che una riflessione filosofica così radicale si presentacome tremendamente attuale.

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Vale così per tutti, e perciò anche per gli economisti, il commentodi Heidegger, nella sua ultima intervista, all’undicesima tesi di Marxsu Feuerbach: “I filosofi hanno soltanto interpretato il mondo in modidiversi; si tratta di mutarlo”. Heidegger dice che per cambiare il mon-do bisogna avere una determinata concezione del mondo che può esse-re guadagnata soltanto con un’adeguata interpretazione3. Il fare pre-suppone dunque il sapere, ed un sapere sicuro, altrimenti il fare è asso-lutamente aleatorio, casualmente positivo o vano, o controproducente,a seconda dei casi, se il fine non è chiaramente noto e vero. Da questopunto di vista la filosofia non è un lusso domenicale, ma un must, an-che per gli economisti, che hanno bisogno di una visione strategica de-gli scenari nei quali vogliono intervenire, per evitare di investire perniente tempo e risorse.

Possiamo allora ritornare a Talete, incapace nella vita pratica, comemolti sostengono – le “servette tracie” sono infatti moltitudini – eppu-re dotato di un efficientissimo spirito imprenditoriale, meritevole di si-curo interesse anche per gli economisti “puri”.

Come abbiamo detto, il fine di Talete non era guadagnare ma di-mostrare che l’attività contemplativa delle stelle era più importante eche il successo commerciale con il noleggio – da monopolista – deifrantoi era solo un mezzo per far comprendere quale fosse il fine. Il fi-ne era la saggezza, mentre il commercio era solo un mezzo occasiona-le per indicarla.

Talete allora si contraddice, occupandosi della terra, oppure la stra-tegia commerciale per fini pedagogici è giustificata?

Ancora una volta il rapporto fine – mezzo è decisivo, ma la partita,come abbiamo appena accennato, si costituisce e si gioca sul pianodell’interpretazione dell’essere4.

3 Cfr Martin Heidegger im Gespräche, a cura di WISSER R., Freiburg /München,1970, p. 774 Può essere interessante per i lettori più volonterosi conoscere i termini del dibattitosu questo punto tra Severino e Gustavo Bontadini, uno dei più acuti critici delle testiseveriniane, in Bontadini e la metafisica, a cura di VIGNA, C., Milano, 2008.

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Carlo Fiorentini è presidente del CIDI diFirenze e membro del comitato scientificodi Rassegna. Ha seguito come esperto lediverse fasi delle riforme scolastiche degliultimi decenni. Da molti anni organizzaattività di ricerca, di sperimentazione e diformazione in servizio sul tema della co-struzione del curricolo verticale nelle di-verse aree disciplinari, stimolando la pub-blicazione della relativa documentazione.

Vanna Boffo è Ricercatrice di Pedagogiagenerale e sociale e docente di Pedagogiapresso i Corsi di Laurea Triennale e Magi-strale della Facoltà di Scienze della Forma-zione dell’Università degli Studi di Firenzee presso la SSIS-Toscana. Si occupa di filo-sofia dell’educazione, di teorie della comu-nicazione, di educazione degli adulti. Fra lemolte pubblicazioni ricordiamo Per unacomunicazione empatica. La conversazionenella formazione familiare (Pisa, 2005)

Lucia Bigozzi è ricercatrice presso il Di-partimento di Psicologia, Facoltà di Psico-logia dell’Università di Firenze. InsegnaPsicologia delle difficoltà di apprendimen-to al corso di laurea specialistica in Psico-logia dello sviluppo e dell’educazione. Isuoi interessi principali riguardano i pro-

cessi di apprendimento scolastico nei bam-bini e ragazzi con sviluppo tipico e atipico.Fra le molte pubblicazioni ricordiamo: Ap-prendimento e riabilitazione a scuola.Aspetti psicologici, Roma, Carocci, 2000.

Maria Piscitelli, laureata in lingue, letteree pedagogia, già ricercatrice all’IRRE To-scana e responsabile del gruppo Lend diFirenze, è esperta di educazione linguisticae letteraria. Svolge attività di ricerca preva-lentemente sulle problematiche connesseal curricolo verticale e su tematiche di po-litica scolastica. Tiene docenza in corsi diformazione e perfezionamento e coordinagruppi di studio e di ricerca-azione inscuole e reti di scuole. Fra le molte pubbli-cazioni ricordiamo: Piscitelli M., CasagliaI., Piochi B., Proposte per il curricolo ver-ticale, Napoli, Tecnodid, 2007.

Brunetto Piochi è professore associato dimatematica presso l’Università di Firenzee collabora con la SSIS Toscana. Nelcampo della Didattica della matematica siè prevalentemente rivolto alle problemati-che motivazionali nell’apprendimento diquesta materia, pubblicando vari lavori,fra cui Le difficoltà nell’apprendimentodella matematica. Metodologia e pratica

Gli autori di questo numero

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di insegnamento, Ed. Erickson, 2002 (conA. Contardi). Coordina molti gruppi di in-segnanti di ricerca e sperimentazione neivari livelli scolari.

Eleonora Aquilini, laureata in Chimica, èdocente di scuola secondaria superiore aPontedera. È stata nel triennio 2004-2006Vicepresidente nazionale della Divisionedi Didattica della Società Chimica Italia-na. Da diversi anni svolge attività di for-mazione nel campo dell’insegnamentoscientifico. Tra le sue pubblicazioni, conC. Fiorentini, A. Colombi, A Testoni, Leg-gere il mondo oltre le apparenze. Per unadidattica dei concetti fondamentali dellachimica, Armando, 2007.

Leonardo Barsantini, docente di scuolasecondaria di secondo grado, si occupa dididattica della scienza, didattica della tec-nologia e di formazione degli insegnanti.Tra le varie pubblicazioni ricordiamo:L’insegnamento delle scienze verso uncurricolo verticale (con C. Fiorentini, a cu-ra di, IRRSAE Abruzzo, vol 1, 2001); For-mare alla scienza nella scuola secondariasuperiore (a cura di F. Cambi, L. Barsanti-ni e D. Polverini, Armando, 2007).

Roberta Beneforti si è laureata in Peda-gogia con una tesi sulla formazione degliinsegnanti. È dirigente scolastica del Cir-colo didattico di Vinci dall’anno scolasti-co 1997/98, ed ha una lunga esperienzaamministrativa nel comune di Larciano(Pistoia), come assessore dal 1990 al 1999e dal 1999 ad oggi come Sindaco.

Gianna Campigli, insegnante elementarenel Circolo didattico di Vinci, ha coordi-nato nella scuola fin dalla nascita, comefunzione strumentale, il laboratorio di ri-cerca-azione per l’elaborazione del curri-

colo linguistico. Ha partecipato come for-matore a molti corsi di aggiornamento.

Simona Sacchini, insegnante di linguaitaliana nella scuola secondaria di primogrado, conduce da molti anni attività di ri-cerca e sperimentazione nell’ambito delcurricolo di lingua italiana. Ha progettatoe coordinato nel periodo 1996-1999 un’at-tività di formazione in servizio e speri-mentazione sul curricolo verticale.

Paola Conti, laureata in psicologia, è in-segnante di scuola dell’infanzia nell’isti-tuto comprensivo di San Gimignano (Sie-na). È la coordinatrice del gruppo dell’in-fanzia di sperimentazione e ricerca del CI-DI di Firenze e formatrice sui temi dell’e-ducazione scientifica e più in generaledella scuola dell’infanzia. Fra le moltepubblicazioni, ricordiamo: P. Conti, C.Fiorentini, G. Zunino, Conoscere il mon-do. Esplorare e scoprire le cose, il tempoe la natura, Edizioni Junior, 2005.

Rossana Nencini, insegnante elementare,coordina, in qualità di funzione strumen-tale nell’Istituto Comprensivo di Barberi-no del Mugello, dall’anno scolastico1999/2000 i Laboratori sui curricolo verti-cali di scienze e matematica. Nel 2007 hafatto parte del Gruppo tecnico della scuolaprimaria incaricato di operare con laCommissione nazionale, presieduta daMauro Ceruti, per le Indicazioni nazionalidel primo ciclo. È attiva nella formazionedei docenti in molte regioni italiane.

Margherita D’Onofrio, insegna a RomaMatematica e Scienze nella scuola secon-daria di primo grado. È esperta in didatti-ca della matematica e svolge attività diformazione e di aggiornamento. Coordinail gruppo nazionale del Cidi per il currico-

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lo verticale di matematica. Tra le variepubblicazioni ha curato la parte dedicataal curricolo di matematica del primo Dos-sier di Insegnare del 2008.

Giuseppe Bagni, insegna chimica nell’i-stituto professionale Leonardo da Vinci diFirenze. Ha partecipato come relatore anumerosi convegni a carattere nazionale.È esperto di problematiche connesse al-l’insuccesso scolastico, in particolare nel-la scuola secondaria superiore. È autorecon Rosalba Conserva del saggio Inse-gnare a chi non vuole imparare, Ega Edi-tore, 2005.

Domenico Chiesa, è uno dei maggioriesperti delle problematiche ordinamentalie pedagogico-didattiche dell’istruzionesecondaria e del rapporto con la formazio-ne professionale. Collabora su queste pro-blematiche con molte scuole, reti di scuo-

le, Regioni ed enti locali. È autore di mol-ti scritti e del recente La mia scuola. Chiinsegna si racconta, Einaudi, 2005.

Fiorella Farinelli ha studiato costantemen-te il rapporto tra scuola, formazione extra-scolastica, dinamiche del lavoro e dell’eco-nomia. Ricercatrice dell’Isfol, pedagogistapresso la Siss di Roma, è stata assessore al-le politiche formative del Comune di Romaed è consulente del ministro della PubblicaIstruzione, dove ha svolto la funzione diDirettore generale dell’Ufficio Studi.

Gianfranco Amati già dirigente scolasti-co, autore di pubblicazioni di carattere fi-losofico e pedagogico, è impegnato nellaformazione a distanza in rete. È stato il pri-mo presidente dell’Istituto Pedagogico diBolzano. Fa parte del comitato scientifico di Rasse-gna.

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