Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando...

272

Transcript of Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando...

Page 1: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 2: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Rapporto sulle economie del Mediterraneo

Comitato scientifico:

Hassan Abouyoub (Ambasciatore di sua maestà il Re del Marocco)Adalgiso Amendola (Università degli Studi di Salerno)

Paola Avallone (ISSM-CNR) Salvatore Capasso (ISSM-CNR)

Maria Rosaria Carli (ISSM-CNR)Khalid Chaouki (Presidente Commissione Cultura AP-UpM)

Luigi Di Comite (Università di Bari)Eugenia Ferragina (ISSM-CNR)

Paolo Malanima (Università di Catanzaro)Luigi Paganetto, Presidente (Università degli Studi Tor Vergata)

Matteo Pizzigallo (Università degli Studi Federico II) Alessandro Romagnoli (Università degli Studi di Bologna)

Giovanni Tria (Scuola Nazionale dell’Amministrazione)Marco Zupi (Centro Studi Politica Internazionale)

Page 3: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Istituto di Studi sulle Societàdel Mediterraneo (ISSM-CNR)

Rapporto sulle economiedel Mediterraneo

Edizione 2016

a cura diEugenia Ferragina

Società editrice il Mulino

Page 4: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Copyright © 2016 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografico, digitale – se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Per altre informazioni si veda il sitowww.mulino.it/edizioni/fotocopie

ISBN 978-88-26476-3

Si ringrazia Aniello Barone per l’elaborazione e l’impaginazione dei testi e Giovanni Ruggiero per la cura redazionale

I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull’insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www.mulino.it

Page 5: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione, di Eugenia Ferragina

Le regioni del Mediterraneo

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia, di Roberto Aliboni

Il ricambio nella potenziale offerta di lavoro, di Luigi Di Comite e Stefania Girone

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori, di Alessandro Romagnoli

Nuovi scenari delle migrazioni internazionali sulla frontiera mediterranea: cronaca di un disastro europeo, di Fabio Amato

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza nel Mediterraneo, di Marco Zupi

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco, di Francesco Carchedi e Michele Colucci

Frammentazione internazionale della produzio-ne: la posizione dei paesi mediterranei dell’area Mena nelle catene globali del valore, di Anna Maria Ferragina

Introduzione, di Eugenia Ferragina

Le regioni del Mediterraneo

1.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

Indice

p. 7

37

39

65

79

103

123

153

175

Page 6: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

6 Indice

Trasporti, logistica e zone franche quali fattori di competitività per l’economia dei paesi della sponda Sud del Mediterraneo, di Luca Forte e Alessandro Panaro

La green economy come strategia di mitigazione e adattamento agli effetti del cambiamento climatico nei paesi mediterranei, di Desirée A.L. Quagliarotti

p. 211

241

265

8.

9.

Gli autori

Page 7: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione

Il Mediterraneo unisce o separa gli ambiti territoriali contigui e tuttavia profondamente diversi che lo circondano? È possibile individuare quegli elementi di complementarità tra le due rive del bacino che hanno alimentato e fatto evolvere negli ultimi decenni la politica euro-mediterranea dell’Unione europea? Esiste ancora un progetto mediterraneo condiviso e partecipato? Tutte queste domande rimandano al divenire delle società mediterranee che appaiono in questo momento storico attraversate da una profonda crisi politica, economica e identitaria. Quelli che sembrano essere messi in discussione sono i meccanismi di coesione interna ai singoli Stati e con essi, procedendo per scale, appaiono in crisi tutti gli ambiti di cooperazione, da quello europeo, a quello euro-mediterraneo, fino ai meccanismi di governance internazio-nale, indispensabili per dare coerenza di obiettivi e di strategie politiche ad un mondo instabile e multipolare. Il processo di integrazione euro-mediterraneo è, dunque, sottoposto a molteplici fattori di incertezza nascenti dalle dinamiche interne all’area, cui si associano le sfide globali: economiche, politiche e ambientali che condizionano in maniera sempre più forte le traiettorie di sviluppo regionale1.

Partendo dalle dinamiche interne alla regione, le trasforma-zioni che negli ultimi venti anni hanno modificato il quadro delle relazioni euro-mediterranee, sono il frutto delle reciproche interazioni tra gli eventi politici ed economici. In sintesi: negli anni ’90 i fattori economici beneficiano della fine della guerra fredda, della fiducia e della stabilità che ne consegue. Le rifor-me economiche in senso liberista creano tuttavia degli squilibri

1 A. Ferragina, E. Ferragina, Europa e Mediterraneo: le potenzialità di integrazione e le strategie di rilancio della politica euro-mediterranea.

Page 8: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

8 Eugenia Ferragina

sociali. Questi squilibri porteranno nel decennio successivo a instabilità interne che si sommeranno viziosamente alla forte instabilità regionale provocata da incaute politiche degli Usa, segnatamente dall’intervento in Iraq e dalle rivalità settarie e di potenza che ne conseguiranno.

Vale la pena di ripercorrere questi sviluppi in maggior detta-glio. Nel primo decennio del nuovo secolo il corso delle materie prime energetiche crea le condizioni per un rafforzamento delle economie arabe e per una maggiore integrazione sub-regionale. Diversamente da quanto era avvenuto durante il primo boom petrolifero, dove i meccanismi di redistribuzione della rendita petrolifera erano legati principalmente ai movimenti di lavoratori dai paesi esportatori di manodopera (Egitto, Giordania, Libano Palestina) a quelli importatori del Golfo, il secondo boom petro-lifero intensifica i movimenti di capitali all’interno del mondo arabo, aumentando gli investimenti dei paesi produttori nel set-tore immobiliare, turistico e delle telecomunicazioni, con effetti trainanti sulle economie di destinazione2. La rendita petrolifera dei primi anni 2000 viene utilizzata dai paesi esportatori netti di petrolio, in particolare Emirati Arabi e Qatar e più recentemente dall’Arabia Saudita, oltre che per investimenti all’estero, anche per investimenti interni, nell’intento di portare avanti una stra-tegia di diversificazione dell’economia in grado di garantire un futuro ai paesi legati a doppio filo alla rendita di risorse fossili in progressivo esaurimento.

L’andamento economico positivo nei paesi della riva Sud ed Est del Mediterraneo è reso possibile dalle riforme avviate nel decennio precedente: le politiche di aggiustamento strutturale hanno drasticamente ridotto la spesa pubblica, avviato un pro-cesso di privatizzazione delle aziende di Stato e imposta una progressiva liberalizzazione economica che rende i paesi arabi destinatari di crescenti flussi di investimenti diretti esteri. Sulle stessa scia di riforme economiche e apertura commerciale si colloca il processo avviato a Barcellona nel 1995 che vede nella creazione di un’area di libero scambio nel Mediterraneo il suo obiettivo strategico fondamentale. Se pur in ordine sparso e con una tempistica differente, i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente riducono le barriere tariffarie, modificano il quadro le-

2 Zallio, Oil Boom and Regional Economic Prospects.

Page 9: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 9

gale degli investimenti, creano zone economiche speciali al fine di attrarre gli investitori esteri. Ma la politica di Partenariato che vuole rafforzare la direttrice degli scambi e degli investimenti in direzione Nord-Sud, associando a questo un progetto più ampio di integrazione politica e di dialogo culturale nel Mediterraneo, entra in contrasto con un parallelo processo di integrazione che investe l’Europa orientale, un’area più vicina geograficamente e culturalmente ai paesi che dominano la scena economica europea.

Nonostante si registri una battuta di arresto e un arretramento rispetto agli obiettivi ambiziosi posti nel 1995, l’integrazione economica tra l’Europa e i paesi della riva Sud ed Est del bacino procede nei decenni successivi e si accompagna ad una lenta, ma progressiva riduzione dei divari che trova riscontro nei tassi di crescita sostenuti e nel generale miglioramento degli indicatori di sviluppo socio-economico. Il processo di convergenza tra Europa e Mediterraneo prosegue anche negli ultimi anni, ma è in parte dovuto alla crisi che colpisce l’Europa nel 2008. Peral-tro quest’ultima produce un rallentamento della crescita delle economie della riva Sud3.

Se negli anni ’90 l’economia sembra dettare le regole del processo di integrazione euro-mediterraneo, nel decennio succes-sivo la politica prende la sua rivincita: il venir meno del quadro di coesione politica che era sembrato emergere in precedenza, destabilizza progressivamente l’area. Il fallimento del processo di pace tra Israeliani e Palestinesi, con lo scoppio della seconda Intifada nel 2000, l’ascesa al potere di Hamas a Gaza nel 2006 e le operazioni militari condotte dagli israeliani contro Gaza nel 2009, alimentano uno stato di insicurezza che condiziona pesantemente le prospettive di crescita di tutti i paesi del Medio Oriente, in particolare di Libano e Giordania. Come abbiamo ricordato, sarà soprattutto l’intervento a guida americana in Iraq a destabilizzare l’equilibrio fra l’Iran e i suoi alleati, da una parte, e gli Stati arabi moderati, dall’altra. Dallo scontro fra la potenza iraniana e quella araba, fra gli sciiti e i sunniti che ne è seguito è nata la catena di radicalizzazioni che hanno portato all’Isis .

È in un contesto marcato da una crescente instabilità poli-tica regionale che si inserisce lo scoppio delle rivolte arabe nel

3 Daniele, Malanima, Le economie del Mediterraneo tra convergenza e divergenza 1950-2011.

Page 10: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

10 Eugenia Ferragina

2011 che causano la caduta di dittature longeve come quelle di Mubarak in Egitto e Ben Ali in Tunisia Si inaugura una fase di riforme politiche e istituzionali che, pur segnando battute di arresto e passi indietro nella concessione di diritti civili e politici alla popolazione, apre a nuovi scenari in cui la domanda di de-mocrazia da parte dei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente appare inscindibilmente legata ad una distribuzione più equa dei benefici della crescita economica4. Dunque, la separazione tra economia e politica che aveva assicurato il primato alle politiche di integrazione dei mercati e alla libera circolazione delle merci negli anni ’90, non è più sostenibile perché oramai è evidente come i fattori politici di instabilità che affliggono la regione: mire egemoniche di potenze esterne all’area, rivolte, persecuzioni etniche e religiose, migrazioni, condizionano in maniera forte i percorsi di crescita economica.

1. Il contesto geopolitico

Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso»5 equilibri che sembravano consolidati sono entrati in crisi, si è modificato il quadro delle relazioni economiche tra aree e con esse sono mutate anche le relazioni politiche che legavano tali aree tra di loro6. In questo contesto, l’Europa sembra impreparata a sviluppare nuovi paradigmi interpretativi, ad abbandonare una visione del Mediterraneo che non trova più riscontro in un contesto regio-nale e internazionale in profonda mutazione. Il cambiamento di strategia da parte degli Stati Uniti che impone un rafforzamento della leadership europea nel Mediterraneo, si accompagna alla necessità di rilanciare i rapporti con la Turchia, paese fondamentale dal punto di vista degli equilibri energetici e politici regionali, al quale l’Europa è chiamata a dare una risposta chiara rispetto ad un processo di adesione non più eludibile e sottoposto a

4 Diwan, Understanding Revolution in the Middle East.5 The European Union in a changing global environment. A more connected,

contested and complex world, in http://eeas.europa.eu/docs/strategic_review/eu-strategic-review_strategic_review_en.pdf.

6 A. Ferragina, E. Ferragina, Europa e Mediterraneo: le potenzialità di integrazione e le strategie di rilancio della politica euromediterranea.

Page 11: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 11

condizionamenti7. La deriva autoritaria del regime di Erdogan all’interno, le posizioni ambigue assunte dalla Turchia nei tentativi di contrasto dell’Isis e la strumentalità con cui il governo turco sta trattando la questione dei profughi, usandola come un’arma di ricatto e di pressione politica nei confronti dell’Europa, sono tutti elementi che potrebbero fare del processo di adesione una straordinaria leva in grado di condizionare l’impegno turco sui due versanti strategici della gestione dei flussi migratori e della stabilità politica dell’area, a condizione però che l’Ue sappia quello che vuole e sia capace di esercitare una nuova leadership nella regione. Altrimenti, l’emergente regime autoritario turco sfrutterà le opportunità offerte dall’Europa senza dare nulla in cambio. Gli equilibri regionali appaiono, inoltre, influenzati dalla comparsa di nuovi attori nel Mediterraneo, ossia la Russia che gioca un ruolo decisivo negli equilibri politici e energetici regionali e la Cina che rappresenta un attore importante sul piano economico.

I fattori di cambiamento sin qui elencati hanno reso sempre più evidenti i limiti della Politica di Vicinato i cui principi, mutuati dalla politica di integrazione europea, sono apparsi inadeguati a rispondere alle emergenze politiche ed economiche che affliggono l’area8. La rimodulazione della Enp varata nel 2015 sembra voler superare alcuni di questi limiti, attraverso un approccio meno burocratico, orientato a considerare le diversità che esistono tra i paesi partner che impone l’abbandono dell’approccio selettivo adottato con il «more for more». In sintesi, l’Europa sembra alla ricerca di strumenti di intervento più flessibili e più «politici» per intervenire sulle crisi locali.

Partendo da queste riflessioni, l’edizione 2016 del Rapporto sulle economie del Mediterraneo si apre con una ricostruzione delle trasformazioni che si sono registrate nell’area negli ultimi decenni e che Roberto Aliboni riconduce ad alcuni fattori fon-damentali, primo tra tutti il progressivo disimpegno degli Stati Uniti dal Mediterraneo, espressione di un netto cambiamento strategico dell’amministrazione Obama, influenzato anche dal-

7 Lesser, Rethinking Mediterranean Strategy, Ideas for Europe’s New Lead-ership. Tommel, The New Neighborhood Policy of the EU: An Appropriate Response to the Arab Spring?

8 Pace, The EU’s Interpretation of the Arab Uprisings.

Page 12: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

12 Eugenia Ferragina

la nuova indipendenza energetica acquisita dagli Usa. Questa svolta politica, traducendosi in un ritiro americano dal Medio Oriente e dal Nord Africa, ha messo a nudo il fatto che sin dal 1956 gli europei hanno delegato la politica mediorientale agli Usa e che oggi di conseguenza gli europei non hanno una politica mediorientale, né riescono a concepirla. Questo non è un fattore secondario nelle attuali incertezze europee in tema di politica mediterranea, una politica che l’Europa si è ricavata nel quadro della sua benevola subalternità strategica agli Usa. La debolezza della politica dell’Europa verso il Mediterraneo appare però il risultato di eventi che si sono prodotti molto pri-ma delle rivolte arabe, tra cui il fallimento del processo di pace arabo-israeliano – visto dall’autore come l’origine prima della nascita e del rafforzamento dei movimenti islamici nell’area – la fine della guerra fredda, l’indebolimento del processo inaugurato a Barcellona nel 1995.

Un secondo fattore rilevante di trasformazione sta nel fatto che le rivolte arabe del 2011 hanno segnato un ulteriore fase di destabilizzazione dell’area che ha visto una crescente contrap-posizione tra mondo sunnita e mondo sciita e la polarizzazione della componente araba sunnita intorno all’Arabia Saudita. Lo scontro, che più che ideologico appare legato alla lotta per la leadership politica regionale in atto tra l’Iran e l’Arabia Saudita, ha contribuito alla destabilizzazione in Yemen, Siria e Libano. In questa quadro di radicalizzazione, si colloca il fallimento del riformismo islamista che, soprattutto in Egitto, ha dato prova di una forte incapacità sul piano del governo dell’economia e su quello politico ha ostacolato il contenimento dei movimenti islamici radicali. La stessa Turchia che si era candidata a diventare il punto di riferimento dei movimenti islamici moderati vicini a quelli che governavano il paese, ha visto progressivamente nau-fragare la sua strategia di influenza politica nella regione e appare al momento preda di una deriva autoritaria nel suo interno e di un isolamento nel contesto regionale, acuitosi in seguito al dete-rioramento delle relazioni con la Russia. Tutto questo, polarizza gli Stati della riva Sud ed Est del Mediterraneo verso il Golfo e li allontana dal progetto di convergenza euro-mediterranea.

Altro cambiamento strategico che il capitolo di Aliboni evi-denzia è la crisi del progetto europeo di integrazione del Nord Africa e del Medio Oriente che ha avuto la sua svolta con la

Page 13: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 13

Conferenza di Barcellona nel 1995, una fase di rilancio nel 2008 con l’Upm ed è poi confluita nella Politica europea di vicinato (Pev), anch’essa entrata in crisi e rimodulata nel 2008, nel 2011 e nel 2015. La volontà di rendere paritarie le relazioni tra le due rive del bacino che aveva ispirato la Politica di Partenaria-to, l’idea di creare un’area di prosperità condivisa fondata sui valori europei che aveva animato la Politica di Vicinato, appa-iono entrambe frutto di un momento di ottimismo legato alla fine della guerra fredda, al processo di crescente rafforzamento dell’integrazione europea e del suo allargamento ad Est. Questa congiuntura positiva si è interrotta con la crisi economica del 2008 che ha segnato l’inizio di un ripiegamento dell’Europa su se stessa, il rafforzamento dei movimenti xenofobi che capitaliz-zano le ansie e le incertezze economiche dei cittadini e la ripresa degli egoismi nazionali che ha creato fratture interne all’Europa e sta indebolendo il processo di integrazione europeo. Secondo l’autore si impone, pertanto, un bilanciamento tra l’idealismo che ha caratterizzato alcune fasi della politica euro-mediterranea dell’Unione europea e il realismo degli Stati membri. Quello che appare incontestabile è l’inadeguatezza della scala nazionale per affrontare problemi globali come il terrorismo e l’emigrazione e la necessità per l’Europa di rafforzare la coesione interna attra-verso uno sforzo di convergenza delle politiche per affrontare le sfide del Mediterraneo.

2. La popolazione

I differenziali di crescita della popolazione tra le due rive del bacino rappresentano una delle determinanti fondamentali dei flussi migratori e al contempo tali flussi possono essere considerati un fattore di compensazione demografica tra l’Europa e i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Le dinamiche che hanno portato ad un’inversione del peso demografico tra la riva setten-trionale e quella meridionale e orientale del bacino vanno lette innanzitutto alla luce della teoria della transizione demografica che ricostruisce i meccanismi evolutivi del regime delle nascite e delle morti e l’influenza che queste subiscono a seguito delle trasformazioni economiche, sociali e culturali che intervengono nel corso del tempo. Crescita economica, miglioramento delle

Page 14: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

14 Eugenia Ferragina

condizioni igienico-sanitarie, aumento del costo di mantenimento della prole legate alla lotta contro il lavoro minorile e all’obbligo scolastico, aumento dell’istruzione, accesso delle donne al mer-cato del lavoro, sono i principali elementi che concorrono, con tempi differenziati da paese a paese, al passaggio da un regime demografico caratterizzato da alti livelli di natalità e alti livelli di mortalità ad un regime che vede prima una riduzione della mortalità e in seguito una progressiva contrazione della natalità.

Se guardiamo ai paesi del Mediterraneo, la riva Nord ha da tempo completato la transizione demografica e mostra una crescita pari allo zero e addirittura in alcuni paesi un calo della popolazione che si accompagna ad una consistente riduzione dei tassi di mortalità e al relativo allungamento della durata media della vita. I paesi della riva Sud ed Est hanno completato la prima fase di transizione con una riduzione dei tassi di mortalità – che però si mantengono più elevati di quelli europei, soprattutto per quanto riguarda la mortalità infantile – e sono entrati nella seconda fase di transizione con una natalità che nonostante il calo tendenziale si mantiene in quasi tutti i paesi molto al di sopra di quello dei paesi europei mediterranei9. Le diverse dinamiche della transizione hanno prodotto, dunque, nell’arco di cinquant’anni uno spostamento del peso demografico all’interno del bacino. Nel 1950 i 220 milioni di abitanti dei paesi mediterranei vivevano per il 68 per cento nella riva settentrionale e solo per il 32 per cento nella riva meridionale e orientale, ma alle soglie del XXI secolo il quadro era radicalmente mutato: degli oramai 450 milioni di abitanti del bacino, ben il 53 per cento – oltre 250 milioni di persone – viveva nella riva Sud ed Est e questo processo è continuato nel periodo successivo.

In una prima fase, la soluzione alla troppo rapida crescita della popolazione nei paesi del Nord Africa e del Medio Oriente viene individuata nel controllo della natalità. Grazie alle politiche antinatalistiche adottate in alcuni paesi e anche in seguito ad una naturale evoluzione della società che sposta in avanti l’età matri-moniale e modifica la scelta riproduttiva delle donne, si registra un consistente calo della natalità10. La riduzione dei nuovi nati

9 Amendola, Ferragina, Economia e istituzioni dei paesi del Mediterraneo.10 Courbage, Economic and Political Issues of Fertility Transition in the

Arab World.

Page 15: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 15

non è, però, destinata nel breve periodo a produrre effetti sulla crescita demografica, poiché non modifica la componente della popolazione in fase riproduttiva. Gli adulti tra i 20 e i 30 anni rappresentano la classe di età rilevante sia in termini di crescita demografica, sia di ricerca di sbocchi occupazionali. Ne conse-gue che la riduzione della natalità non è destinata a produrre effetti sulla crescita della popolazione, né a ridurre la pressione sul mercato del lavoro se non nei prossimi decenni. Inoltre, il declino della natalità nella riva Sud ed Est del bacino si accom-pagna ad altri fenomeni destinati ad accrescere la pressione sul mercato del lavoro, in particolare l’aumento delle donne in cerca di lavoro e il livello di istruzione della manodopera. Questi due fattori sono in parte collegati, poiché l’istruzione femminile ha contribuito in maniera determinante a spostare l’età matrimoniale e a modificare la scelta riproduttiva delle donne. Quello che è in atto nei paesi della riva Sud ed Est del bacino è, dunque, non solo un aumento complessivo della domanda di lavoro, ma anche una modifica del profilo delle occupazioni che vengono richieste dalle nuove generazioni e che non risponde alla tipologia di posti di lavoro che si rendono disponibili in seguito al pensionamento dei lavoratori attualmente in servizio.

Nonostante il numero di nuovi ingressi all’interno del mer-cato del lavoro sia destinato a stabilizzarsi e anche a decrescere nell’immediato futuro, la popolazione totale in età lavorativa presente in Nord Africa e Medio Oriente continuerà a crescere nei prossimi venti anni, poiché in questi paesi la popolazione in età lavorativa si manterrà ampiamente al di sopra di quella che raggiungerà l’età pensionabile. L’Europa subirà nel frattempo un processo contrario che vedrà associato il calo demografico ad una contrazione della popolazione in età lavorativa. Alcuni dati significativi sulla situazione demografica europea emergono da un recente studio pubblicato dal Migration Policy Center dell’Eu-ropean University Institute. Il primo elemento è rappresentato dal calo del peso demografico dell’Unione europea rispetto al resto del mondo che è passato dal 14,5 per cento del 1952 al 7 per cento nel 2010. Nello stesso periodo la popolazione dell’U-nione europea è aumentata da 180 a 500 milioni di abitanti, ma il 70 per cento di tale incremento è stato prodotto dai processi di allargamento e solo il 30 per cento dall’incremento naturale e dalle migrazioni. Secondo le previsioni dell’Eurostat nel 2050 in

Page 16: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

16 Eugenia Ferragina

assenza di emigrazioni la popolazione dei 27 paesi dell’Unione europea subirà un calo di 58 milioni di abitanti in rapporto al 2010 ed il calo demografico si accompagnerà ad altri fenomeni, quali l’invecchiamento della popolazione e della forza lavoro che ridurranno la capacità di innovazione e la competitività dell’Eu-ropa11. Questa specularità dei processi mette in evidenza una complementarietà sul piano demografico e del mercato del lavoro che rende l’emigrazione un fattore di mitigazione degli effetti negativi legati al calo della popolazione che si registra in Europa. L’ingresso di giovani, spesso qualificati, provenienti dalla riva Sud ed Est del bacino contribuisce ad integrare l’offerta di lavoro, soprattutto in alcuni settori, sostiene il sistema pensionistico e aumenta il peso demografico ed economico dell’Europa nell’e-conomia globale. Allo stesso tempo, gli immigrati rappresentano una risorsa sempre più importante nelle strategie di sviluppo dei paesi di origine. L’afflusso di rimesse come elemento di riequi-librio della bilancia dei pagamenti si associa alle potenzialità di investimenti e all’apporto di competenze maturate durante gli anni di lavoro all’estero. Le diaspore presenti in Europa dan-no, inoltre, un contributo decisivo alla creazione di network commerciali che rafforzano i legami economici e culturali tra le due rive del bacino e rappresentano una delle principali fonti di sopravvivenza per le famiglie che restano in patria nei momenti di crisi politica ed economica12.

Sul solco di queste riflessioni che mirano a mettere in crisi alcuni degli stereotipi più diffusi in materia di emigrazione, Luigi Di Comite e Stefania Girone analizzano gli assetti demografici della seconda transizione e gli effetti che questi produrranno sull’offerta di lavoro nel Mediterraneo. Il capitolo sottolinea il carattere sistematico e duraturo dei flussi migratori legati ai divari economici interni alla regione che si contrappone alla natura congiunturale di altri fenomeni, come le crisi ambientali e quelle politiche. Una comparazione del Pil pro-capite dei paesi mediter-ranei rivela il persistere di forti divari economici con valori di tale indicatore che oscillano dagli oltre 40.000 dollari per la Francia ai quasi 8.000 per il Marocco. Anche ipotizzando nel prossimo futuro una convergenza nei livelli di reddito pro-capite tra i paesi

11 Fargues, Is What we Heard About Migration Really True ?12 Fargues, International Migration and the Nation State in the Arab Countries.

Page 17: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 17

dell’area, appare realistico considerare inevitabile nei prossimi anni il perdurare di consistenti flussi di migranti economici. Gli autori analizzano in dettaglio la fecondità e la mortalità nel quin-quennio 2010-2015, mettendo in evidenza l’omogeneità dei valori assunti da questi indicatori che si riscontra in ambito europeo, con tassi di fecondità totali che si posizionano su valori che poco si discostano dal tasso di sostituzione generazionale fissato a 2,1 figli per donna in età feconda e tassi di mortalità che mostrano ancora dei differenziali nella durata media della vita tra i paesi mediterranei europei e i paesi balcanici. Nella riva asiatica si registrano situazioni più variegate che appaiono riconducibili ai diversi livelli di sviluppo economico e stabilità politica dei paesi dell’area, con la convergenza di Cipro, Libano e Turchia su valori inferiori al livello di sostituzione, una fecondità prossima al 2,9 per Siria, Israele e Giordania e decisamente elevata per la Pale-stina dove il Tft raggiunge 4,27 e si qualifica come il più alto di tutto il bacino. La mancanza di omogeneità tra i paesi si riflette anche nella durata media della vita che oscilla dagli 82 anni di Israele ai 72 del Libano. Nella riva africana del Mediterraneo, tutti i paesi si avvicinano alla soglia di sostituzione e la Tunisia, paese che per primo con Bourghiba ha avviato già negli anni ’60 politiche di controllo delle nascite e modifiche dello statuto di famiglia miranti a garantire piena parità di genere, mostra una fecondità inferiore al tasso di sostituzione.

Evidenti differenze tra le diverse aree del Mediterraneo si riscontrano anche per quanto riguarda l’invecchiamento della popolazione e il ricambio nell’offerta di lavoro. Il calcolo di questo indicatore è importante al fine di valutare l’ammontare dei flussi in ingresso nel mercato del lavoro in rapporto a quelli in uscita. L’aggregazione dei paesi a seconda della loro collo-cazione al di sopra o al di sotto dei livelli di parità tra entrate ed uscite nel mercato del lavoro, offre lo spunto per riflessioni interessanti riguardo alla capacità dei singoli sistemi economici di rispondere alla domanda di lavoro. Al disotto della soglia di parità si collocano i paesi europei mediterranei e alcuni dell’area balcanica che presentano ridotte dimensioni demografiche, come la Slovenia. L’area mediorientale si colloca invece al di sopra della soglia di parità, con indici di ricambio che assumono valori estre-mamente elevati in Palestina, Giordania e Siria. In Nord Africa lo squilibrio del mercato del lavoro appare marcato soprattutto

Page 18: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

18 Eugenia Ferragina

in Egitto, Libia e Algeria. Emerge, dunque, una contrapposizione tra i paesi europei nei quali si registra un calo della popolazione tale che le nuove leve non sono in grado di sostituire il contin-gente che esce dal mercato del lavoro e quelli africani e asiatici dove i lavoratori in cerca di occupazione sono ampiamente al di sopra della quota di lavoratori che raggiunge l’età pensionabile. Gli autori sottolineano come il divario tra domanda e offerta di lavoro che questa situazione genera tra le due rive del bacino tende ad alimentare nei prossimi anni un flusso migratorio in direzione Sud-Nord che è destinato a subire un rallentamento in seguito alla modifica della struttura per età della popolazione legato al calo della fecondità. I benefici che tali flussi apportano in termini di riduzione dei livelli di disoccupazione nei paesi di partenza e di apporto di competenze, capacità contributiva e arricchimento culturale in quelli di arrivo è innegabile. Dubbi sussistono però sulla dimensione quantitativa della domanda di lavoratori stranieri da parte dei paesi europei che non trova ri-scontro nell’offerta che preme dalla riva Sud. Appare ineludibile l’impegno da parte dell’Europa tesa al sostegno della transizione economica di questi paesi, sia alla creazione di posti di lavoro grazie ai flussi di investimento in grado di creare nuove oppor-tunità occupazionali nelle aree di partenza dei flussi migratori.

3. Le migrazioni

La gestione dei flussi migratori è l’ambito che maggiormente riflette la mancanza di un disegno strategico condiviso dall’insieme dei paesi membri dell’Unione europea nei confronti delle aree di prossimità. Nel 1995 è già evidente la frattura che si va produ-cendo tra l’area di interesse prioritario per i paesi dell’Europa continentale rappresentata dall’area balcanica da poco uscita dall’orbita sovietica e i tentativi dei paesi europei mediterranei di rafforzare la cooperazione con i paesi della riva Sud del bacino13.

A Barcellona la questione migratoria viene relegata nel terzo pilastro tra le questioni che attengono alle relazioni culturali e sociali tra i paesi mediterranei. L’obiettivo securitario prevale, inoltre, sul riconoscimento del ruolo che i movimenti di lavoratori,

13 Amendola, Ferragina, Economia e istituzioni dei paesi del Mediterraneo.

Page 19: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 19

così come quelli delle merci, rivestono nella creazione delle aree di libero scambio. Inoltre, il coinvolgimento dei paesi di partenza viene anch’esso limitato al controllo delle frontiere e agli interventi di respingimento dei flussi, come rivela il coinvolgimento della Libia, dove misure repressive e di detenzione forzata adottate contro i migranti sono tollerate dall’Europa quale argine ai flussi provenienti dall’Africa sub-sahariana e diretti verso l’Europa.

L’integrazione delle popolazioni musulmane residenti in Eu-ropa viene considerata una questione di ordine pubblico, dando priorità a quegli interventi volti a ridurre al minimo l’impatto che i flussi migratori possono avere sulle società di accoglienza. I rischi derivanti dall’esclusione sociale e dalla segregazione spaziale dei migranti si manifestano molto prima che l’allarme terrorismo aumenti il livello di allerta politica e l’allarme sociale. Gli episodi di violenza e di vandalismo dei giovani magrebini in Francia, l’isolamento dei quartieri popolati da musulmani in Belgio e lo scarso coinvolgimento degli apparati di controllo statali nelle politiche di contrasto dell’islam che si va radicalizzando nelle aree urbane, sono emblematici di un ritardo nella presa di coscienza dei rischi derivanti dalla mancata integrazione delle popolazioni straniere residenti in Europa.

In questo contesto la crisi dei migranti, che si è acuita nel 2015 a causa della crescente instabilità politica regionale, ha messo in evidenza alcune contraddizioni strutturali, prima tra tutte quella tra il processo di liberalizzazione economica previ-sto dall’agenda europea che rafforza la dimensione regionale e transnazionale e il ritorno indietro verso politiche nazionalistiche di difesa della sovranità dello Stato e delle sue prerogative14. Il trattato di Schengen ha consentito di allargare alla manodopera il libero movimento di merci, capitali e servizi, portando nel 2014 a 14 milioni i cittadini dell’Unione residenti in un paese diversi da quelli di origine15. Ma l’abbattimento delle barriere interne all’Unione non è stato accompagnato da un sistema efficace di gestione delle frontiere esterne e di politiche comuni in materia di visti e richieste di asilo. Tale debolezza si è accompagnata ad una riaffermazione del primato dello Stato nazione, demandando al potere esecutivo dei singoli Stati – rappresentati in ambito

14 Whitol de Wenden, Migration in the Mediterranean Region.15 Lehne, How the Refugee Crisis will Reshape the Eu.

Page 20: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

20 Eugenia Ferragina

comunitario dal Consiglio europeo – le principali decisioni in materia migratoria. Questo ha fatto sì che la gestione della crisi è restata ostaggio delle emergenze politiche nazionali e non si è creato uno spazio di dibattito legato al bene comune dell’Europa, né si è rafforzato il senso di identità e di appartenenza ad una comunità fatta innanzitutto di condivisione di valori. Se nell’e-state del 2015 la Germania si è fatta interprete della difesa del principio dell’accoglienza di popolazioni in fuga dalla guerra, sostenuta in questa posizione da Austria e Svezia, nell’anno suc-cessivo la dinamica della crisi dei rifugiati ha indebolito il fronte della tolleranza, con il progressivo disimpegno della Germania e il supporto dell’Austria alla chiusura della rotta balcanica. L’accordo con la Turchia del marzo 2016 ha segnato una fase di esternalizzazione del controllo delle frontiere, assegnando a questo paese il ruolo di contenimento dei flussi dei richiedenti asilo, in cambio dell’impegno europeo di redistribuire tra i paesi membri una quota dei richiedenti asilo presenti nel paese. Quello che sembra riemergere è dunque la vecchia concezione della «fortezza Europa» che non regge ad una realtà dei fatti che vede l’Unione europea troppo vicina ad aree geograficamente contigue, molto popolose e legate da profondi legami economici, politici e culturali all’Europa16. Qualsiasi tentativo di isolamento dalle aree di crisi che si trovano sull’altra riva del bacino rischia di essere impraticabile sul piano logistico, costoso su quello economico e fallimentare dal punto di vista della salvaguardia degli interessi europei nella regione.

Alessandro Romagnoli sottolinea il ruolo dei migranti come risorsa dimenticata del partenariato euro-mediterraneo, analiz-zando in dettaglio le caratteristiche e l’evoluzione del sistema migratorio mediterraneo. L’autore inquadra i movimenti migra-tori nel contesto dell’evoluzione politica ed economica dei paesi mediterranei, individuando le principali direttrici che si sono sviluppate nell’arco degli ultimi 60 anni e che hanno prodotto una quota di popolazione nata all’estero, la cui consistenza varia a seconda delle aree esaminate. Tale quota non supera in media il 10 per cento nei paesi europei, ma oscilla tra il 30 ed il 40 per cento nei paesi del Medio Oriente a causa della componente di rifugiati e in essa rientrano sia i migranti economici, sia quelli

16 Lehne, The Tempting Trap of Fortress Europe.

Page 21: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 21

politici ai quali è stato riconosciuto lo status di rifugiato e con-cesso il diritto di asilo. Il capitolo esamina in dettaglio alcuni elementi che caratterizzano il sistema migratorio mediterraneo, in particolare la direzione dei flussi, la durata dei progetti migratori, la qualifica dei migranti e l’impatto sulle economie di provenien-za. Ampio spazio è dato alla rotte migratorie e alle modalità di ingresso nel paese ospitante che vede il sovrapporsi di 3 rotte: quella del Mediterraneo occidentale, quella del Mediterraneo centrale e il passaggio greco, la cui importanza assunta negli ultimi mesi è legata al fatto che la rotta balcanica rappresenta la principale porta di ingresso dei profughi provenienti da Siria, Iraq, Afganistan, Corno d’Africa e Sudan. Dai dati molto recenti presentati dall’autore sullo stock di migranti presenti nei paesi mediterranei e in altri paesi dell’Unione europea emergono due principali poli di attrazione: i paesi dell’Europa meridionale, meta essenzialmente di migranti economici, e i paesi del Medio Oriente che accolgono essenzialmente flussi di migranti costretti a lasciare i loro paesi di origine per motivi politici. A questa quota di migranti forzati proveniente dal Medio Oriente, si ag-giunge una quota di lavoratori provenienti da Egitto e Giordania e diretti verso i paesi del Golfo. Una riflessione interessante riguarda l’incidenza dei migranti mediterranei sui paesi meri-dionali dell’Unione europea che è più che doppia rispetto alla percentuale presente negli altri paesi membri dell’Unione euro-pea, dove la provenienza degli stranieri è meno territorialmente concentrata. L’autore sottolinea un aspetto che non emerge dalla rappresentazione mediatica del problema migratorio, concentrata esclusivamente sulla situazione dei paesi europei, ed è la presenza di nati all’estero nei paesi del Medio Oriente che è il doppio di quella dell’Unione, con la presenza di situazioni estreme come quelle della Giordania e del Libano dove il numero dei migranti è spesso pari a quello della popolazione residente. Altra riflessione interessante contenuta nel capitolo è la recente espansione del sistema migratorio mediterraneo che vede i paesi da cui si sono originati e continuano ad originarsi i flussi migratori diventare progressivamente paesi di approdo, come è il caso del Marocco e della Tunisia. Questa inversione dei flussi conferma il ruolo fondamentale dell’esportazione di manodopera come elemento trainante per innescare o proseguire un processo di sviluppo e la lenta, ma progressiva trasformazione dei paesi esportatori in

Page 22: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

22 Eugenia Ferragina

paesi importatori di manodopera. Nella parte finale del capitolo vengono ripercorse le principali tappe della politica europea di gestione dei flussi migratori, da cui emerge chiaramente la dimensione securitaria che ha posto al centro degli obiettivi eu-ropei la lotta contro l’emigrazione clandestina. La creazione di Frontex nel 2004 ha segnato l’istituzionalizzazione del legame tra sicurezza, terrorismo, migrazioni e presidio dei confini e i dieci anni successivi non hanno mutato sostanzialmente questo quadro concettuale. Quello che secondo l’autore fatica ad affermarsi è la consapevolezza dell’importanza economica dei migranti che rispondono a carenze strutturali del mercato del lavoro in paesi soggetti ad un progressivo invecchiamento della popolazione e al contempo contribuiscono in maniera decisiva al sistema pensionistico. Il capitolo si conclude con un richiamo al ruolo dei migranti come leva dello sviluppo economico dei paesi di provenienza e come equilibratori del processo di crescita nei paesi di arrivo che li rende una reale risorsa del partenariato economico e finanziario euro-mediterraneo.

Spostando l’attenzione dal quadro complessivo delle migrazioni nel Mediterraneo e dalle differenti fasi evolutive che lo hanno caratterizzato agli sviluppi più recenti, Fabio Amato concentra l’attenzione sulla frammentazione geografica dei sistemi migratori mediterranei che ha moltiplicato i luoghi di partenza e dato una centralità ai luoghi di transito. Emblematico il caso della Turchia che ha assunto un ruolo importante come area di passaggio dei migranti, ma al contempo presenta flussi consistenti sia in en-trata, sia in uscita. Il paese registra infatti uno stock di migranti che supera i 3,1 milioni di abitanti – metà dei quali residenti in Germania – e ospita 2,9 milioni di stranieri, dei quali 1,6 milioni è rappresentato dai rifugiati siriani. Il Medio Oriente, tradizio-nalmente recettore di consistenti flussi di rifugiati palestinesi, dunque di flussi fortemente influenzati dagli assetti geopolitici dell’area, ha visto accentuarsi la sua esposizione alle crisi regio-nali. L’elemento più dirompente è rappresentato dagli oltre 5 milioni di siriani che sono stati costretti ad abbandonare il loro paese e che hanno individuato come naturale sbocco paesi di frontiera che storicamente hanno accolto profughi all’interno dei propri confini. Si conferma, dunque, il ruolo polarizzante della Giordania che raggiunge una presenza di circa 3,1 milioni di stranieri, pari al 40 per cento della popolazione, 7.000.000 dei

Page 23: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 23

quali rappresentati da siriani. Altro paese in cui l’immigrazione costituisce ben il 34 per cento della popolazione è il Libano che nel 2015 registrava la presenza di oltre 3 milioni di stranieri, in prevalenza siriani (1,2 milioni) ed iracheni (120.000). L’autore analizza, inoltre, la situazione migratoria di alcuni paesi del Medio Oriente quali Egitto, Marocco, Tunisia e Algeria, dove alle consistenti comunità presenti all’estero si è aggiunta negli ultimi anni una quota di cittadini stranieri, ancora limitata e che assume proporzioni più consistenti solo in Egitto con 491.000 unità e in Libia, dove si registra la presenza di circa 771.000 stranieri tra rifugiati somali, lavoratori egiziani poco qualificati e manodopera qualificata di origine americana ed europea. Estre-mamente interessante è l’individuazione da parte dell’autore di un modello mediterraneo di emigrazione che interessa i paesi dell’Europa meridionale. Alcuni tratti comuni quali l’importanza rivestita dal settore informale e i forti squilibri territoriali interni, hanno contribuito a creare in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia un mercato fortemente segmentato, con livelli di disoccupazione mediamente più elevati che nel resto dell’Europa. Gli effetti sul mercato del lavoro della crisi economica del 2008 e il progressivo incremento dei flussi in entrata che è culminato nell’emergenza profughi a partire dal 2014, ha alimentato la retorica dell’e-mergenza migrazione, acuita anche dal ruolo che paesi del Sud dell’Europa hanno assunto come tappe di transito dei migranti diretti verso le mete nordeuropee. L’autore analizza la tipologia delle presenze straniere nel Sud Europa, con un approfondimento del caso italiano che ha visto modificarsi il peso dei diversi gruppi nazionali in seguito alle successive ondate di regolarizzazioni, con una attuale netta prevalenza di immigrati dell’Est Europa. Il capitolo approfondisce nella seconda parte gli aspetti legati al cambiamento di scenario intervenuto negli ultimi anni, con una crescente importanza assunta dalla rotta balcanica nel corso del 2015. Il capitolo si chiude con un focus sull’Italia che sembra essere arrivata impreparata alla gestione di un fenomeno così complesso e in continua evoluzione, come testimoniano l’inade-guatezza delle strutture di accoglienza e il carattere emergenziale che assumono le misure adottate dal governo.

La logica securitaria che domina il discorso sull’emigrazione sembra mettere in secondo piano il tema dell’integrazione dei migranti e del rapporto che esiste tra i regimi di welfare, il livel-

Page 24: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

24 Eugenia Ferragina

lo di sviluppo dei paesi ospitanti e le politiche di integrazione economica e politica dei migranti. Misurare il livello di integra-zione significa mettere in relazione il valore assunto da alcuni indicatori quale la disoccupazione tra la popolazione autoctona e i migranti. Questa comparazione evidenzia il ruolo che il ter-ritorio di residenza riveste nel determinare le condizioni di vita e i livelli di integrazione dei migranti. Il capitolo di Marco Zupi analizza gli effetti che la crisi economica del 2008 ha avuto sui livelli di disoccupazione nel contesto europeo e internazionale, raggruppando i paesi sulla base dei diversi regimi di welfare che li caratterizzavano, distinguendo pertanto i regimi corporativi e conservatori dei paesi dell’Europa continentale, da quelli dei paesi anglosassoni (Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Regno Unito) e dei paesi in cui vige un sistema socialdemocratico di welfare, come Svezia e Danimarca.

La crisi economica ha determinato nel 2012-2013 un peggio-ramento generalizzato della disoccupazione di lungo periodo che ha colpito molto più i migranti residenti nei paesi dell’Europa del Sud rispetto a quelli residenti nei paesi anglosassoni, dove i livelli di disoccupazione hanno raggiunto nel 2012-2013 il 45,85 per cento in Spagna, il 48,4 per cento in Italia e il 58 per cento in Grecia. Guardando però alle differenze tra i tassi di disoccupazione di lungo periodo degli immigrati e quelli delle popolazioni autoctone nel periodo precedente alla crisi (2006-2007) e successivo (2012-2013) emergono alcune differenze in ambito Ocse. Quella più significativa è legata al fatto che nei paesi mediterranei europei sia nel periodo che precede che in quello che segue la crisi economica il tasso di disoccupazione di lungo periodo dei migranti è più basso di quello dei nativi, con-trariamente a quello che accade nei paesi scandinavi e in quelli anglosassoni. La spiegazione è legata alla natura relativamente recente dell’immigrazione in Italia che rende prevalente la quota di prima generazione di migranti e la motivazione lavorativa. La concentrazione di immigrati nei settori non concorrenziali rispetto a quella dei lavoratori italiani ha favorito il manteni-mento del posto di lavoro anche in presenza della crisi, laddove nei paesi di più antica immigrazione come il Belgio, la Francia, la Germania con una storia di immigrazione più consolidata e un’inserzione nel mercato del lavoro nei settori non di nicchia, fa si che la disoccupazione investa la popolazione straniera in

Page 25: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 25

misura maggiore di quella autoctona. Ancora diverso il caso dei paesi scandinavi, dove l’elevata componente di rifugiati politici tra i migranti determina alti tassi di disoccupazione tra i migranti.

Zupi analizza anche le questioni di genere che vedono in Italia un tasso di occupazione maschile molto più alto di quello fem-minile, distanza che si è ridotta di oltre dieci punti percentuali dopo la crisi. Per quanto riguarda il ruolo che il livello di istru-zione gioca nell’inserimento nel mercato del lavoro, è importante rilevare che gli immigrati istruiti hanno tassi di occupazione più elevati di quelli con bassi livelli di istruzione, ma gli immigrati istruiti hanno anche meno possibilità di trovare sbocchi di lavo-ro rispetto agli autoctoni ugualmente istruiti. Altro fattore che condiziona l’accesso al mercato del lavoro nell’Unione europea è l’anzianità migratoria, con un tasso di disoccupazione che colpisce gli immigrati che risiedono nel paese ospitante da meno di 5 anni più alto del 20 per cento rispetto agli autoctoni. Altro aspetto che in base ai dati Ocse caratterizza la condizione lavorativa dei migranti rispetto a quella degli autoctoni nei paesi del Sud Europa è il carattere temporaneo del contratto di impiego e la concentrazione di occupati nei segmenti più bassi del mercato del lavoro che si traduce in uno spreco di talenti e di investimenti in formazione nei paesi di origine. Diverso appare invece il modello migratorio anglosassone che vede in opera una politica migratoria selettiva e orientata ad attrarre talenti qualificati.

L’autore conclude il capitolo con alcune considerazioni che attengono al ruolo fondamentale che i migranti rivestono nel si-stema economico italiano in termini di contributo al Pil (8,6-8,8 per cento), pagamento di imposte e contributi e abbassamento del costo dei servizi di assistenza agli anziani e ai bambini. La tutela delle fasce più vulnerabili della popolazione non passa attraverso il contrasto del fenomeno migratorio, così come fattori diversi dalla politiche migratorie, quali i sistemi di welfare e le opportunità di inserimento nel mercato del lavoro, giocano un ruolo fondamentale nel determinare la quantità e la qualità dei flussi in entrata.

L’importanza di un approccio integrato allo studio delle migrazioni impone una riflessione sulle politiche che i paesi della riva Sud hanno varato nel corso del tempo e su come tali politiche siano state condizionate dal quadro evolutivo delle relazioni euro-mediterranee. Il focus del capitolo di Carchedi e Colucci è su due paesi di provenienza dei flussi migratori: Egitto

Page 26: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

26 Eugenia Ferragina

e Marocco. Particolarmente interessante il caso dell’Egitto, dove diversi movimenti migratori si sono susseguiti in corrispondenza di eventi politici ed economici che hanno segnato la storia del paese e del mondo arabo nel suo complesso. Dalla politica di restrizione all’emigrazione nella prima fase di sviluppo del pa-ese negli anni ’50, alle grandi ondate migratorie verso il Golfo successive al boom petrolifero della seconda metà degli anni ’70, ai rientri in patria degli immigrati residenti in Iran e Iraq in seguito alla guerra tra i due paesi e che prosegue con la guerra del Golfo nel 1991. Ma il fenomeno che cambia il profilo migra-torio dell’Egitto è quello che si verifica negli anni ’90, quando si sviluppa un flusso proveniente dal Sudan e dall’Africa sub-sahariana legato al deterioramento della situazione politica ed economica dell’area. Negli ultimi 15 anni l’Egitto ha teso da un lato a regolamentare l’afflusso dei rifugiati e dall’altro a firmare accordi bilaterali con i paesi di destinazione, al fine di valorizzare in chiave economica la diaspora egiziana nel mondo. La fase più recente ha visto una ripresa dei flussi in uscita dopo la rivolta del 2011 e nuovi flussi in entrata legati alla destabilizzazione politica regionale. L’ingresso a pieno titolo dell’Egitto nei paesi di emigrazione ha trovato la sua consacrazione nella costituzione del 2014 che fa esplicito riferimento alla gestione dei flussi migratori e disciplina il diritto di asilo. La politica migratoria del Marocco viene invece ricostruita dagli autori alla luce dei forti legami che legano il paese all’Unione europea. Se negli anni ’70 l’emigrazio-ne marocchina risente ancora del retaggio coloniale e ha come destinazione prevalente la Francia, nel corso degli anni ’80 si registra una diversificazione dei flussi che si dirigono verso altri paesi europei mediterranei, come l’Italia e la Spagna. Gli autori mettono in evidenza come dopo la Conferenza di Barcellona del 1995 i rapporti tra il Marocco e l’Ue si siano rafforzati e abbiano portato nel 2005 alla firma di un piano di azione nell’ambito della Politica europea di vicinato che ha segnato un ulteriore passo avanti nella strategia di regolamentazione dei flussi. Tra gli sviluppi più recenti che interessano il paese, il permanere di flussi in uscita, in parte controbilanciati dai rientri temporanei e stagionali, la differenziazione delle mete migratorie, la diversa composizione dei flussi che vede aumentare i ricongiungimenti familiari e di conseguenza incrementarsi l’emigrazione di donne. Ai tradizionali flussi in uscita si accompagna anche una diver-

Page 27: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 27

sificazione dei flussi in entrata che negli ultimi anni ha visto aumentare i migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana, in particolare Maliani e Senegalesi, e ha portato il paese a varare una legge per il controllo dell’emigrazione irregolare sia in en-trata, sia in uscita.

4. Economia, trasporti, logistica e ambiente

Gli eventi che a partire dal 2011 hanno sconvolto assetti politici e sociali che sembravano consolidati hanno imposto una riflessione che va altre la sfera politica e chiama in gioco il tipo di crescita economica sulla quale questi equilibri si erano retti nel corso degli ultimi decenni. Se si guardano gli indicatori di sviluppo, si vede come l’area Mena abbia registrato tra il 1980 ed il 2013 una cre-scita media del 3,7 per cento, superiore al 3,1 per cento registrato dall’Africa sub-sahariana, al 2,8 per cento dell’America Latina e dei Caraibi e all’1,9 per cento dell’Europa e dell’Asia Centrale17. Dati, dunque, che alla luce delle rivendicazioni economiche che hanno accompagnato le rivolte arabe sollevano interrogativi sulla politiche economiche adottate. Un elemento che emerge in maniera chiara dalle analisi sia quantitative sia qualitative è che l’apertura commerciale non si è rivelata sufficiente per innescare un processo di crescita autopropulsivo perché è mancata una visione dello svi-luppo e le dovute misure di accompagnamento. Gli elementi che hanno impedito una trasformazione strutturale di questi sistemi economici sono da ricercare nella mancanza di istituzioni politiche inclusive e nella qualità della governance perché la corruzione, le posizioni di rendita, la presenza di un’amministrazione pubblica incapace di garantire trasparenza, equità e pari opportunità sociali e di genere hanno posto un freno all’innovazione, ostacolando la crescita e lo sviluppo socio-economico18. Le economie dei paesi arabi attraversano attualmente una fase di transizione politica che prevede una rottura del precedente contratto sociale che era basato sulla rinuncia alle libertà politiche e civili in cambio della garanzia di lavoro e sussidi pubblici sui beni di prima necessità. Tale transizione è però un processo lento, non lineare e destinato

17 Diwan, Galal, The Middle East Economies in Times of Transition.18 Acemoglu & Robinson, Why Nations Fail.

Page 28: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

28 Eugenia Ferragina

ad accompagnarsi a lunghi periodi di instabilità politica. Il nuovo contratto sociale che deve emergere necessita di basi più solide e deve basarsi sull’innovazione, intesa non solo come accumulazione di capitale, ma come economia della conoscenza basata sulla ricerca, la formazione continua, la cultura di impresa, la valorizzazione del grande potenziale umano rappresentato dai giovani19.

Fondamentale nello spostare la frontiera tecnologica dei paesi della riva Sud ed Est del Mediterraneo è garantire loro un pieno inserimento nei processi di globalizzazione in una chiave non subalterna e limitata ai processi a più basso valore aggiunto. La crescente interdipendenza tra aree economiche passa attraverso la frammentazione dei processi di produzione a livello internazio-nale. Imprese situate in paesi diversi partecipano alle differenti fasi della produzione globale del valore aggiunto. La divisione verticale del lavoro aumenta l’incidenza dei prodotti intermedi nel commercio mondiale e vede di solito una specializzazione dei paesi meno sviluppati nel montaggio e assemblaggio dei prodotti finali, mentre i paesi avanzati forniscono capitale e tecnologia ad alta intensità di beni intermedi. Tale frammentazione inter-nazionale della produzione è stata alla base del successo delle economie asiatiche e della Cina ed ha visto coinvolti negli ulti-mi anni anche i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, in particolare la Giordania per il settore tessile e la Tunisia per le componenti auto, anche se il potenziale di integrazione dell’area non appare completamente sfruttato. Il capitolo di Anna Maria Ferragina mette in evidenza come l’Asia orientale giochi la parte del leone nell’importazione mondiale di parti e componenti (P&C), seguita dall’Ue e dagli Stati Uniti. Una quota preponderante del commercio di P&C è legato al commercio intra-regionale, anche se questo appare particolarmente evidente nel caso delle esportazioni asiatiche verso la Cina. Dall’analisi dei dati emerge un quadro fortemente differenziato, con quote di P&C sulle esportazioni molto ridotte in numerosi paesi e in crescita solo in Marocco, Yemen, Libano, Giordania e Tunisia. Altro elemento significativo è rappresentato dal fatto che i paesi Mena appaiono importatori netti di P&C, il che conferma l’ipotesi che i paesi a basso salario godano di un vantaggio comparato in attività di

19 Galal, Reiffers, Vers une nouvelle dynamique pour le maintien des equi-libres economiques et sociaux.

Page 29: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 29

assemblaggio. L’autrice sottolinea come la divisione verticale del lavoro è strettamente dipendente dall’integrazione regionale, come dimostra il forte commercio in P&C degli Stati Uniti con il Sud America, e dell’Ue con i Balcani, i nuovi Stati membri e l’area Mena. Quest’ultima però è quella che ha meno risentito degli effetti positivi della prossimità geografica. Nonostante gli accordi di libero scambio siglati nel quadro della politica euro-mediterranea, i produttori europei non sembrano considerare i paesi dell’area attrattivi per le attività di outsourcing, soprattutto a causa del basso livello di integrazione all’interno della regione Mena. Interessanti sono, inoltre, i dati che vengono riportati nel capitolo relativi alle importazioni ed esportazioni manifatturiere per stadi di produzione, da cui emerge come in quasi tutti i pa-esi Mena le esportazioni di beni finali siano quasi interamente costituite da beni di consumo e da una quota molto ridotta di beni strumentali. Cresce, inoltre, il commercio intra-settoriale nell’area Mena che comprende innanzitutto il commercio di pro-dotti di qualità differenziata tra i paesi a basso e ad alto reddito dell’area. Limitata la partecipazione delle imprese alla catena globale del valore che dipende da fattori chiave quali la dimen-sione, la dotazione di certificazioni internazionali e la proprietà straniera. Il quadro complessivo che emerge dai dati presentati dall’autrice è che i paesi Mena appaiono integrati nelle reti di produzione globali, ma in una posizione che li vede bloccati in stadi a basso valore aggiunto. Per risalire nella filiera della pro-duzione globale del valore è fondamentale investire in capitale umano e innalzare gli standard qualitativi che costituiscono una forte barriera in entrata.

Un aspetto che gioca un ruolo fondamentale nel determinare la partecipazione dei paesi Mena alle catene globali del valore sono i trasporti e la logistica, poiché i costi di produzione e la vicinanza ai mercati di sbocco influenzano la realizzazione di investimenti esteri da parte delle aziende. Luca Forte e Alessandro Panaro, partendo dall’enorme mole di dati e di ricerche che su questi temi sono state realizzate negli ultimi anni da Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (Srm), centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo, analizzano lo sviluppo delle infrastrutture logistiche e di trasporto in alcuni paesi della riva Sud ed Est del Mediterra-neo, mettendo in evidenza come questa tipologia di investimenti abbia giocato un ruolo fondamentale quale motore della crescita

Page 30: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

30 Eugenia Ferragina

economica. Il capitolo analizza le strategie adottate dai paesi dell’area che hanno associato al potenziamento delle infrastrut-ture portuali e di trasporto, la creazione di free zones per attrarre investimenti esteri. Un focus viene dedicato al Marocco che grazie alla prolungata stabilità politica punta a diventare il principale hub produttivo del continente africano e in particolare al ruolo del porto di Tanger Med, uno dei principali del Mediterraneo per movimentazione container e transito di mezzi navali grazie alla sua posizione strategica sullo Stretto di Gibilterra, alle caratteristiche del porto e alla presenza di grandi società del settore shipping, come la Maersk e di aziende leader del comparto automotive, come la Renault. L’assenza di dazi doganali, importanti sgravi fiscali e la semplificazione delle procedure amministrative hanno facili-tato l’insediamento di aziende all’interno della free zone, grazie anche alla presenza di efficienti collegamenti stradali, ferroviari e aeroportuali, producendo quello che gli autori hanno definito un effetto «moltiplicatore delle opportunità» che ha consentito di coniugare una posizione geografica favorevole con una grande efficienza logistica e portuale.

Crescita demografica, crisi economica, instabilità politica e aumento della pressione migratoria, temi che trovano ampio spazio nell’edizione 2016 del Rapporto sulle economie del Mediterraneo, vedono nel cambiamento climatico un elemento di aggravamento e di amplificazione. La crescita demografica ancora sostenuta nei paesi della riva Sud del bacino, associata agli effetti del riscaldamento climatico globale tende a ridurre la disponibilità di acqua e di terra, aumentando la dipendenza alimentare dei paesi arabi e la loro esposizione alle crisi siste-miche che interessano il mercato internazionale20. L’aumento del prezzo delle derrate alimentari di base che si è verificato nel 2008 e nel 2011, al quale hanno contribuito gli eventi climatici estremi che si sono abbattuti sui paesi esportatori, ha avuto un forte impatto sui paesi del Nord Africa e del Medio Oriente21. Il deterioramento delle condizioni di vita degli strati più poveri della popolazione che ne è conseguito ha contribuito ad alimen-

20 Ferragina, Quagliarotti, Gli effetti delle dinamiche globali sui paesi me-diterranei: rischio e vulnerabilità ambientale.

21 Ferragina, Canitano, Geopolitical Implication of Water and Food security in Southern and Eastern Mediterranean Countries; Ferragina, Canitano, Water and Food Security in the Arab Countries: National and Regional Implication.

Page 31: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 31

tare il malcontento sociale, facendo da detonatore all’esplosione delle «primavere arabe». Inoltre, le ondate di siccità sempre più intense e frequenti che colpiscono ecosistemi già fragili come quelli dei paesi della riva Sud ed Est del bacino contribuiscono al calo della produttività agricola e alimentano l’esodo rurale22. Altri flussi migratori, in misura crescente influenzati dal deterioramento del quadro climatico, si registrano invece tra paesi dell’area e muovono dall’Africa sub-sahariana diretti lungo le coste del Nord Africa dove vanno ad alimentare la pressione migratoria verso l’Europa23. Il capitolo di Désirèe Quagliarotti analizza l’impatto del riscaldamento climatico globale sui paesi mediterranei, concentrando l’attenzione sul ruolo della green economy. L’autrice mette in evidenza come il principale settore in cui è possibile realizzare una complementarietà tra mitigazione e adattamento è quello energetico, in quanto circa due terzi delle emissioni di anidride carbonica sono dipendenti dai processi di produzione e consumo di energia. Il capitolo analizza le politiche tese allo sviluppo delle energie rinnovabili che sono state intraprese dall’Europa nell’ambito della direttiva europea sulle energie rinnovabili e che hanno portato l’eolico e il solare a diventare la seconda e la terza fonte rinnovabile nella produzione totale di energia. Nuovi obiettivi sono stati fissati in occasione della Cop 2, dove l’Unione europea si è impegnata entro il 2030 ad una riduzione delle emissioni del 40 per cento rispetto al 1990 e a raggiungere una quota di energia rinnovabile sul totale del 27 per cento. L’autrice mette in evidenza come l’interdipendenza che nei paesi Mena esiste tra acqua, cibo ed energia renda indispensabile l’uso di fonti rinnovabili per la dissalazione dell’acqua, risorsa scarsa e strategica per lo sviluppo economico e per rispondere al fabbisogno alimentare della popolazione. Il capitolo si chiude con un’analisi delle potenzialità di sviluppo delle rinnovabili nell’area Mena, in particolare per quanto riguarda l’energia solare, e analizza i piani solari inaugurati da Tunisia, Marocco e Algeria che pun-tano alla produzione di energia solare e alla produzione di acqua dissalata per integrare il proprio fabbisogno idrico di questi paesi.

22 Ferragina, Quagliarotti, La faim à l’ère de l’abondance, causes naturelles et antrophiques de la crise alimentaire en Méditerranée.

23 Ferragina, Quagliarotti, Flux migratoires et environnement. Les migrants de l’environnement en Méditerranée.

Page 32: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

32 Eugenia Ferragina

Conclusioni

A fronte della centralità che la cooperazione politica e la de-mocrazia devono mantenere nelle relazioni euro-mediterranee, l’esigenza di realismo che il momento storico impone deve tradursi in uno spostamento dell’impegno europeo su temi che rivestono un’importanza centrale e immediatamente percettibile da parte della società civile.

La politica euro-mediterranea può recuperare un senso se si rivelerà capace di affrontare l’emergenza profughi – di natura prevalentemente congiunturale – ma al contempo di gestire le spinte migratorie di lungo periodo, legate a debolezze strutturali dei sistemi economici Sud-mediterranei, elaborando una strate-gia più umana e meno securitaria. Si tratta di valorizzare e di rafforzare strategie già messe in campo negli ultimi anni e che dal 2008 con l’Unione per il Mediterraneo hanno individuato come campi di azione prioritari l’ambiente, le infrastrutture, la formazione dei giovani, la riduzione degli squilibri territoriali quali principali driver delle migrazioni interne e internazionali.

Se il Mediterraneo sembra implodere a causa della crescente instabilità politica e perdere centralità strategica a causa dello spostamento del fulcro economico mondiale verso Est, è necessario rispondere all’indebolimento della dimensione regionale con un rinnovamento degli obiettivi centrali della politica euro-mediter-ranea e con un allargamento degli stessi ambiti geopolitici che hanno delimitato l’azione europea. Non si tratta solo di cambiare le priorità, ma anche di modificare la scala mediterranea, intesa come campo unitario di intervento all’interno di un più generale processo di riorganizzazione delle relazioni internazionali alla scala globale24. La coerenza della scala mediterranea deve essere rivista, includendo il Golfo, attore da sempre strategico ed ineludibile negli equilibri economici e politici del mondo arabo, il Sahel e il Corno d’Africa, paesi con grandi potenzialità di sviluppo, ma anche destinati in assenza di azioni di sostegno alla transizione politica ed economica a alimentare crescenti e ingovernabili pressioni migratorie e a diventare vettori di instabilità politica.

In mancanza di un disegno strategico più ampio, la dimen-sione geopolitica del Mediterraneo, esposta ad una crescente

24 Rapporto annuale 2005. L’Italia nel Mediterraneo.

Page 33: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 33

frammentazione e competizione tra macroregioni, rischia di essere condannata ad una marginalità crescente.

EugEnia FErragina

Riferimenti bibliografici

Acemoglu D., Robinson J.A., Why Nations Fail: The Origin of Power, prosperity and Poverty, New York, Crown Business, 2012.

Amendola A., Ferragina E., Economia e istituzioni dei paesi del Medi-terraneo, Bologna, Il Mulino, 2014.

Courbage Y., Economic and Political Issues of Fertility Transition in the Arab World: Answer and Open Questions, in «Population and Environment», 20, 4, 1999.

Daniele V., Malanima P., Le economie del Mediterraneo tra conver-genza e divergenza 1950-2011, in Rapporto sulle Economie del Mediterraneo. Edizione 2013, a cura di P. Malanima, Bologna, Il Mulino 2013.

Diwan I., Understanding Revolution in the Middle East. The Central Role of the Middle Class, in «Middle East Development Journal», 5, 1, 2013.

Diwan I., Galal A. (a cura di), The Middle East Economies in Times of Transition, Basingstoke (UK), Palgrave, 2016.

Fargues P., International Migration and the Nation State in the Arab Countries, in «Middle East Law and Governance», 5, 2013.

— (a cura di), Is What We Heard about Migration Really True? Questioning Eight Stereotypes, Florence, Migration Policy Center, European University Institute, 2014.

Ferragina E., Canitano G., Water and Food Security in the Arab Coun-tries: National and Regional Implication, in «Global Environ-ment. A Journal of History and Social Sciences», Special Issue Mediterranean or Mediterraneans, a cura di E. Ferragina, D.A.L. Quagliarotti, 7.2, 2014.

— Geopolitical Implication of Water and Food security in Southern and Easthern Mediterranean Countries, in Building Sustainable Agriculture for Food Security in the Euro-Mediterranean Area: Challenges and Policy Options, Roma, Istituto affari internazionali (Iai), Ocp Policy Center, 2015.

Ferragina A.M., Ferragina E., Europa e Mediterraneo: le potenzialità di integrazione e le strategie di rilancio della politica euro-mediterra-

Page 34: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

34 Eugenia Ferragina

nea, in Rapporto sulle Economie del Mediterraneo. Edizione 2014, a cura di E. Ferragina, P. Malanima, Bologna, Il Mulino, 2014.

— Europa e Mediterraneo: le potenzialità di integrazione e le strategie di rilancio della politica euromediterranea, in Le due sponde allo specchio dell’economia. Il Nord Africa nel nuovo contesto medi-terraneo e la politica dell’Italia, a cura di R. Aliboni, G.P. Calchi Novati, Centro Studi Italiano per l’Africa e l’Oriente (Csiao), 2014.

Ferragina E., Quagliarotti D.A.L, La faim à l’ère de l’abondance, causes naturelles et antrophiques de la crise alimentaire en Méditerranée, in «Revue Tiers Monde», 210, aprile-giugno 2012.

— Flux migratoires et environnement. Les migrants de l’environnement en Méditerranée, in «Revue Tiers Monde», 218, aprile-giugno 2014.

— Gli effetti delle dinamiche globali sui paesi mediterranei: rischio e vulnerabilità ambientale, in Rapporto sulle Economie del Me-diterraneo. Edizione 2015, a cura di E. Ferragina, Bologna, Il Mulino, 2015.

Galal A., Reiffers J.L. (a cura di), Vers une nouvelle dynamique pour le maintien des equilibres economiques et sociaux, Rapport du Femise por le Partnenariat Euro-Mediterranée, gennaio 2014.

Lehne S., How the Refugee Crisis will Reshape the Eu, in Canergie Europe, 4 febbraio 2016, disponibile on line all’indirizzo http://carnegieeurope.eu/2016/02/04/how-refugee-crisis-will-reshape-eu/itj7.

— The Tempting Trap of Fortress Europe, in Canergie Europe, 21 aprile 2016, disponibile on line all’indirizzo http://carnegieeu-rope.eu/2016/04/21/tempting-trap-of-fortress-europe/ixdx.

Lesser I.O., Rethinking Mediterranean Strategy, Ideas for Europe’s New Leadership, The German Marshal Found of the United States (Gmf), ottobre 2014.

Pace M., The EU’s Interpretation of the «Arab Uprisings»: Understand-ing the Different Visions about Democratic Change in Eu-Mena Relations, in «Journal of Common Market Studies», 52, 5, settembre 2014.

Rapporto annuale 2005. L’Italia nel Mediterraneo, Roma, Società Geo-grafica Italiana, 2005.

Tommel I., The New Neighborhood Policy of the EU: An Appropriate Response to the Arab Spring?, in «Democracy and Security», 9, 2013.

Whitol de Wenden C., Migration in the Mediterranean Region, in Mediterranean Yearbook 2015, Barcelona, IeMed, 2015.

Zallio F., Oil Boom and Regional Economic Prospects, in Bridging the

Page 35: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Introduzione 35

Gap, the Role of Trade and Fdi in the Mediterranean, a cura di A. Amendola, A. Ferragina, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012.

Nelle note, i testi sono citati in forma abbreviata. Le indicazioni biblio-grafiche complete si trovano alla fine di ogni capitolo.

Page 36: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 37: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 38: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 39: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

1. Mediterraneo: un contesto strategico che cambia

di Roberto Aliboni

1. Cambiamenti nel contesto strategico

Sin dagli anni 1950 il Mediterraneo e, in misura minore, il Medio Oriente sono stati aree di relativa autonomia europea nell’ambito di un preponderante predominio strategico americano, un predominio che ha subordinato ma molto avvantaggiato gli europei. In questo senso è stato una zona di relativo free-riding europeo, in cui la sicurezza provveduta dagli Stati Uniti ha evi-tato all’Europa conflitti diretti e ha facilitato relazioni regionali fruttuose e fiorenti.

Questa situazione è solo di poco cambiata con la fine della Guerra fredda e la scomparsa della sovrastante minaccia sovietica. Gli Stati Uniti hanno individuato e combattuto nella regione altre minacce (il terrorismo, Saddam Hussein). Gli europei, sia pure con defezioni e tentennamenti, le hanno fatte proprie lasciando perciò che fossero gli Stati Uniti a mantenere la guida strategica dell’Occidente, in particolare nel Mediterraneo e Medio Oriente, e continuassero a provvedere un quadro generale di sicurezza.

Occorre aggiungere che nello stesso periodo di tempo gli europei hanno considerato il Nord Africa e il Vicino Oriente – il Mediterraneo – come un’area diversa e in qualche misura separata da quella del Golfo Persico. Nell’ambito del processo di integrazione europea è verso il Mediterraneo, infatti, che gli europei hanno deciso di sviluppare un’azione privilegiata di co-operazione protratta e strutturata con l’intento di promuoverne la crescita politica ed economica e farne un elemento di sicurezza per la stabilità e il benessere della stessa Europa.

Questa concentrazione sul Mediterraneo è confermata dal fatto che uno sforzo di cooperazione, per alcuni aspetti simile a quello mediterraneo ma assai meno ambizioso, è stato tentato

Page 40: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

40 Roberto Aliboni

separatamente verso i paesi del Consiglio di cooperazione del golfo (Ccg) senza però riuscire a realizzarlo. Vale inoltre la pena ricordare che, dopo la crisi petrolifera del 1973-74, gli europei accennarono a lanciare un dialogo euro-arabo, ma in definitiva – anche per le pressioni americane – si confermarono nella loro visione mediterranea, una visione che include Israele e la Turchia e separa invece gli arabi del Mediterraneo da quelli del Golfo.

Il Mediterraneo che abbiamo conosciuto per lunghi anni si è quindi basato su tre elementi, ora oggettivi ora soggettivi: una supremazia strategica degli Stati Uniti che ha provveduto sicurezza agli europei, limitandone le scelte ma facilitando le loro relazioni a livello regionale, fra cui anche la politica euro-mediterranea; una differenziazione fra un mondo arabo affacciato sul Mediterraneo, più familiare e vicino, percepito come un potenziale partner politico, e uno sul Golfo, percepito invece come lontano e più estraneo (con il quale le relazioni sono viste come inter-regionali); un senso di forte prossimità e rilevanza strategica della regione mediterranea che si è tradotto nella proiezione da parte europea di una cooperazione particolarmente strutturata verso la regione (e che gli europei tendono a vedere come cooperazione «regionale»).

Negli ultimi pochi anni questi tre elementi sono cambiati e con essi il contesto strategico che ha dato forma alle politiche e alla strategia dell’Ue verso il Mediterraneo – fra le più impegnative che l’Ue abbia mai concepito nei suoi rapporti con l’esterno.

Invero, gli elementi alla base della politica mediterranea ed euro-mediterranea dell’Ue hanno cominciato ad evolversi già nel passato, ciascuno in momenti più o meno recenti. Tuttavia, sono state le dinamiche innestate dagli eventi del 2011 ad accelerare e rendere irreversibili i cambiamenti. Il 2011 non è stato una ca-suale e improvvisa fiammata ma il momento in cui i cambiamenti più o meno sotterranei preparatisi nei decenni precedenti sono venuti in piena luce reclamando una svolta. La svolta è avvenuta, aprendo un caos dal quale emergeranno realtà nuove che noi possiamo solo sforzarci di prevedere.

Così, il Mediterraneo che abbiamo lungamente conosciuto sta rapidamente sparendo e in gran parte si è già dileguato. Tuttavia, gli europei stentano a convincersi che ciò non significa che le politiche siano inadeguate e occorra migliorarle ma che è cam-biato il contesto strategico e occorre quindi una nuova strategia con politiche interamente nuove.

Page 41: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 41

In questo capitolo esaminiamo perciò i tre cambiamenti strategici che abbiamo indicato più sopra: il venir meno dell’om-brello americano; la trasformazione della regione, i suoi processi di polarizzazione, la periferizzazione della fascia Mediterranea a favore del Golfo e le conseguenze che ne stanno derivando; l’indebolimento strategico dell’Europa e dell’Ue. Da questo esame cercheremo di trarre qualche conclusione per il futuro.

2. Il ritiro dal Mediterraneo degli Stati Uniti

L’amministrazione Obama (2009-2016) ha imposto una svolta radicale alla politica estera americana. Questa svolta ha avuto un impatto diretto e indiretto proprio sul Medio Oriente e il Mediterraneo – ma riguarda molto anche l’Europa.

La politica estera che Obama ha seguito – con notevole coe-renza – durante i suoi due mandati comporta tre aspetti princi-pali. L’obbiettivo centrale è stato quello di riformulare il senso del ruolo statunitense nel mondo riferendolo innanzitutto alla promozione dell’interesse nazionale degli americani1. Anche se parte da una rivalutazione dell’angolatura nazionale, la visione di Obama non è isolazionista. Al contrario, è centrata sulla riforma e l’efficacia del sistema internazionale come massimo fattore di stabilità e pacifiche relazioni fra le nazioni. Secondo la sua dottrina l’obbiettivo principale è di dare regole alle relazioni internazionali in modo che funzionino come un sistema multilaterale effettivo (un concetto molto vicino perciò al «multilateralismo effettivo» dell’Ue). Gli Usa devono partecipare a questo sforzo ma a gover-nare il sistema internazionale non devono essere gli Stati Uniti.

In questo senso le grandi priorità politiche di Obama sono connesse – come dice Martin S. Indik2 – alla protezione dei beni pubblici internazionali (global commons) dalle minacce «del terrorismo, delle pandemie, del cambio climatico e della proliferazione delle armi di distruzione di massa», di qui: la coalizione bellica contro lo Stato islamico (Isis), l’eliminazione dell’ebola, il recente accordo internazionale sul clima di Parigi

1 Walt, The End of the American Era, p. 6; Mearsheimer, Imperial by Design, p. 16.

2 Indik, The End of the U.S.-Dominated Order in the Middle East.

Page 42: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

42 Roberto Aliboni

e l’intesa nucleare con l’Iran. Questa priorità del «globale» indica uno spostamento sostanziale dalle priorità regionali che hanno dominato la politica post-guerra fredda degli Stati Uniti come superpotenza «sola» o «indispensabile» (come usava dire Madeleine Albright).

Il secondo aspetto è quello, più propriamente geopolitico, che riguarda le priorità degli interessi americani. La prima priorità che la dottrina di Obama identifica è l’Asia con le sue varie re-gioni, a partire naturalmente dalla Cina. Nella politica di Obama è esplicito un giudizio di sopravvalutazione del Medio Oriente nell’ambito degli interessi e della politica estera americana, sia per il passato (soprattutto le due presidenze «imperiali» di Clinton e più particolarmente George W. Bush), sia nel presente, dove l’indipendenza energetica acquisita dagli Usa grazie agli scisti ha cambiato decisamente le carte in tavola. Di conseguenza la presidenza Obama ha sottolineato la necessità per gli Stati Uniti di volgersi (pivot) dal Medio Oriente all’Asia.

L’ultimo aspetto è quello strumentale che riguarda il modus operandi, cioè il modo di perseguire obbiettivi di politica estera senza dover ricorrere regolarmente all’interventismo militare. Questo aspetto, racchiuso nell’espressione leading from behind (che viene dalla comunicazione della stessa Casa Bianca), è tattico più che strategico, ma è quello con il quale l’opinione pubblica è venuta quotidianamente in contatto, ed è perciò quello con il quale ha più familiarità. Gli Stati Uniti negli otto anni di Obama non hanno più perseguito i loro obbiettivi con l’uso sul terreno della loro forza militare bensì con la diplomazia, conducendo quella che è nota come politica di offshore balancing. Hanno identificato gli interessi regionali comuni e spinto le forze locali alleate a perseguirli direttamente mettendo loro a disposizione specifiche risorse: hanno fornito armi, addestramento, intelligence e truppe speciali, ma non truppe di combattimento (boots on the ground), prevalentemente in un quadro di controterrorismo.

Questa politica estera ha dato luogo a un vivace dibattito ed è stata una delle dimensioni più controverse della presidenza Obama, in particolare riguardo al Medio Oriente e Mediterraneo, regione tradizionalmente di forte predominio e interessi centrali da parte americana. Gli sviluppi iniziati nel 2011 hanno imposto problemi e accelerazioni straordinari, che certamente hanno reso la transizione dal precedente Washington playbook della politica

Page 43: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 43

estera ad un nuovo manuale, molto più difficoltoso e controverso di quanto avrebbe potuto essere in condizioni meno drammatiche di quelle che sono prevalse nella regione.

Come che sia, un giudizio sulla dottrina Obama di politica estera non è l’obbiettivo di questo capitolo, dove però è necessario registrarne tre aspetti. Innanzitutto, mentre è del tutto possibile argomentare che il ritiro di Obama dalla posizione di predominio che gli Usa hanno ricoperto nella regione praticamente sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è giusto e necessario, le modalità della transizione – forse perché, come abbiamo appena sottolineato, più ardua di quella che ci si poteva aspettare – sono state sicuramente troppo rigide e schematiche. Una dottrina molto coerente, intelligente e sofisticata è stata però applicata senza le necessarie flessibilità e gli opportuni adattamenti e ha di conseguenza deposto i semi delle sue stesse difficoltà e pro-babilmente anche ostacoli all’attuazione di medio-lungo periodo della strategia nel suo complesso. Non c’è dubbio che in Siria e in Egitto l’applicazione della dottrina è stata dannosamente e forse anche ottusamente rigorosa3 e che l’offshore balancing è stato applicato in presenza di obbiettivi contradditori fra gli alleati4.

In secondo luogo, Obama ha nondimeno indicato un cambia-mento globale di priorità geopolitiche da parte degli Stati Uniti che è oggettivamente non aggirabile e che difficilmente potrà essere smentito o abbandonato dal presidente che lo sostituirà a partire dal 2017: la questione che il nuovo presidente dovrà affrontare in relazione al Medio Oriente e Mediterraneo non è se ridargli la priorità che ha avuto fino al recente passato, ma come più accortamente condurre la transizione. Che il ruolo degli Stati Uniti nel Medio Oriente e Mediterraneo andrà comunque a ridursi è uno sviluppo fuori questione.

Il terzo punto, riguarda gli europei. Se è vero che il ruolo americano nella regione si ridurrà, lo scudo di sicurezza che

3 Per la Siria si veda Heydemann, Why the United States hasn’t Intervened in Syria.

4 Wittes, The Slipperiest Slope of Them All, nota due rilevanti errori nell’off-shore balancing dell’amministrazione Obama: innanzitutto la sconnessione fra Usa e alleati nella regione «provoking anxious regional partners to take their own initiatives to advance interests they felt Obama had slighted» e in secon-do luogo «the wide gulf between Obama’s fixation on defeating Isis, and his regional partners’ focus on pushing back Iran and Assad».

Page 44: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

44 Roberto Aliboni

gli Stati Uniti hanno provveduto agli alleati europei ed arabi è destinato a venire meno. Gli arabi se ne sono già avveduti in molte occasioni. Restando più a ridosso degli eventi che stiamo commentando, se ne sono avveduti quando all’inizio del 2011 gli Usa hanno abbandonato Mubarak alla sua sorte e quando alla fine del 2011 hanno definitivamente deciso di andarsene dall’Iraq. Per molti governi, gruppi e individui della regione è suonato un forte allarme, in particolare per i sauditi e gli emiratini, per i militari egiziani, in genere per le élites sunnite conservatrici, che sono poi quelle che non a caso hanno reagito con asprezza alle «primavere arabe» contribuendo significativamente ai conflitti di oggi in Siria, in Iraq, in Yemen e in Egitto.

Gli europei invece hanno reagito come se il mondo fosse ancora quello precedente ad Obama: hanno inviato ausili militari agli Usa come se Washington ancora rappresentasse la leadership di sempre e senza riflettere al fatto che gli Usa non sono più nella regione per prendere in mano le questioni e risolverle bensì per contenerle e soprattutto tenersene lontani. Gli europei si sono più o meno accodati agli Usa senza prendere alcuna iniziativa propria. In una recente e perspicua intervista sulla sua politica estera,5 Obama dice di essere rimasto deluso dagli europei: cer-tamente, a differenza degli arabi, gli europei non hanno capito e non hanno neppure provato a prendersi una responsabilità regionale che – tanto nelle istituzioni che nelle think tanks americane – tutti ritengono sia di loro spettanza, specialmente nel Mediterraneo. Dopo tutto non è una questione astratta: gli europei si trovano in prima linea sotto la pressione delle due drammatiche conseguenze che il conflitto in Medio Oriente e Mediterraneo proietta all’esterno: la violenza (il terrorismo nelle città europee, l’arruolamento nelle milizie e il ritorno dei reduci), nonché la straordinaria ondata di profughi che fuggono dalla re-gione in cerca di asilo e di lavoro, che sono difficili da sistemare e soprattutto mettono a dura prova i valori democratici e umani che l’Europa ha posto da tempo al centro della sua identità e rischia ora di perdere.

Il ritiro degli Usa dal Mediterraneo è uno degli aspetti più drammatici del dileguarsi del Mediterraneo che ci è familiare. È

5 Si tratta di un’intervista particolarmente importante e rivelatrice: Goldberg, The Obama Doctrine.

Page 45: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 45

un cambiamento strategico molto serio per gli europei: le riper-cussioni di questo ritiro nella regione si scaricano rapidamente e direttamente sull’Europa (non sugli Usa) nella forma di traci-mazioni terroristiche e immigrazione illegali di massa. La storia che sta a monte di tutto questo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale non rende facile per gli europei un’emancipazione rapida ed efficace e, infatti, esitano a prendersi le necessarie responsabilità e non è neppure detto che riescano a farlo.

3. Al di là del Mediterraneo: un mondo che si allontana

Come abbiamo già accennato, i cambiamenti di cui qui par-liamo si sono avviati già prima del 2011; con la guerra del 1967, vero e proprio punto di partenza del revivalismo islamista6, con la fine della Guerra fredda, con la fine di fatto della prospettiva euro-mediterranea, già nel 2000 nel quadro della seconda intifada. Con il 2011 questi sviluppi si sono manifestati come cambiamenti strategici. Fra questi appaiono di particolare importanza nell’ot-tica europea a) la polarizzazione del mondo sunnita, moderato e conservatore, verso l’Arabia Saudita nel quadro dei conflitti sorti nella regione e, più generale, la polarizzazione del Mediterraneo verso il Golfo; b) l’indebolimento delle forze islamiste moderate e riformiste.

Le polarizzazioni nella regione. All’origine delle polarizza-zioni che investono la regione nei confronti dell’Occidente e dell’Europa ci sono gli sviluppi avvicendatisi nel Medio Oriente e nel Mediterraneo a partire dall’intervento americano in Iraq del 2003. La guerra in Iraq per abbattere il regime di Saddam Hussein continua a proiettare una lunga ombra.

La dinamica di fondo è quella della tensione fra Arabia Saudita e Iran che ha portato l’Arabia Saudita a reagire sem-pre più decisamente, via via che la politica Usa avvantaggiava oggettivamente l’Iran o sottraeva il suo appoggio a Riyadh e ai regimi conservatori sunniti, fino a portare i sauditi ad assumere un’insolita posizione di leadership attiva e finanche aggressiva nell’ambito di un confronto regionale esteso e multiforme.

Mentre la tensione fra Arabia Saudita e Iran ha motivi ide-

6 Kazziha, Palestine in the Arab Dilemma.

Page 46: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

46 Roberto Aliboni

ologici, politici e di sicurezza che si perdono nei tempi, questi motivi si sono fortemente acuiti con la rivoluzione che nel 1979 ha istituito la Repubblica Islamica dell’Iran e con le tendenze espansioniste e revisioniste subito manifestate dalla Repubblica nella regione. Questa espansione – che si è tradotta nella co-stituzione di un «asse sciita» – ha riguardato il Libano, dove già nella guerra civile le componenti sciite avevano assunto un ruolo prominente (il partito Amal e soprattutto il Partito di Dio, Hizbollah) e la Siria per via dell’alleanza di Teheran con lo Stato siriano e il regime baathista sotto la guida della famiglia Assad7. Da allora, nella politica estera di Riyadh l’obbiettivo del conte-nimento dell’Iran è andato oltre la necessità di tenere testa alle vecchie interferenze e alle intrusioni di Teheran nel Golfo Persico/Arabico e la diplomazia saudita ha lavorato alacremente in questo senso sia in Libano che in Siria e in Iraq (dove ha sostenuto la guerra di Saddam Hussein nella lunga guerra contro Teheran).

In queste e altre vicende la dinastia Saud ha beneficiato sin dalle intese del 1945 della protezione degli Stati Uniti e della larga convergenza di interessi strategici a livello regionale fra i due paesi. Questa convergenza è stata interrotta dalla guerra mossa all’Iraq dal presidente George W. Bush con l’obbiettivo di estromettere Saddam e il regime baathista e aprire la strada a un regime democratico nel paese. Con l’instaurazione della democrazia e le elezioni, il controllo dell’Iraq passava dalla mi-noranza sunnita alla maggioranza sciita. Questo mutamento fu registrato con disappunto e allarme dall’Arabia Saudita, perché originava dal paese che fino allora era stato il garante della sua sicurezza e, per contro, ora comprometteva questa sicurezza rafforzando le forze sciite e l’Iran e quindi perché cambiava in modo significativo gli equilibri della regione. Il cambiamento in Iraq metteva in questione l’autorità e la capacità dell’Arabia

7 La Siria è uno Stato costituzionalmente laico che però attraverso la dit-tatura della famiglia Assad è dominato dalla minoranza alawita, cui la famiglia appartiene, e che, attraverso vicende complesse, da essere considerata un gruppo eretico è stata riconosciuta come musulmana e, più di recente (grazie anche ad una convergenza di convenienze fra l’Imam Mussa Sadr, capo della comunità sciita libanese, e il regime degli Assad), come un ramo della setta sciita. Sarebbe tuttavia del tutto fuorviante credere che la solidarietà attuale fra la Siria e l’Iran riposi veramente su un fondamento religioso. Si veda Kraamer, Syria’s Alawis and Shi’ism, pp. 237-254.

Page 47: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 47

Saudita come leader degli arabi sunniti (e della vera religione), nonché la sua credibilità e stabilità interna (già nel frattempo rudemente attaccata da al-Qaida).

Finché negli anni successivi migliaia di soldati americani sono restati in Iraq, malgrado il rafforzamento e la saldatura fra le forze del revisionismo sciita che la supremazia sciita in Iraq ha comportato Riyadh è potuta restare relativamente tranquilla, almeno dal punto di vista della sicurezza. Nel 2010-2011 sono emersi però nuovi sviluppi, vale a dire il vento democratico delle «primavere arabe», la decisione degli Usa di abbandonare Muba-rak al suo destino, l’accostamento degli Usa all’Iran nell’ambito dei negoziati sul nucleare, l’immediata repressione di Assad e l’appoggio dell’Iran nei confronti della ribellione popolare in Siria nel quadro dei sollevamenti della regione e, infine, la deci-sione di Obama di ritirare le forze militari dall’Iraq alla fine del 2011 lasciando interamente il campo alla già forte influenza di Teheran su Baghdad.

La congiura di questi sviluppi ha convinto l’Arabia Saudita a reagire all’ormai incontrovertibile venir meno dell’appoggio strategico degli Usa e ai diversi e numerosi attacchi provenienti dalla regione al suo ruolo regionale, alla sua sicurezza e alla sua stabilità interna. Nel mettere in atto questa reazione – con un inedito profilo, diventato inequivocabile con l’accessione al trono di re Salman – l’Arabia Saudita ha assunto un ruolo di leadership effettiva collocandosi al centro dei vari conflitti in corso. Ideo-logicamente la leadership saudita si presenta in chiave settaria e religiosa, cioè come sunnita; in realtà, la caratterizzazione religiosa e settaria non è che un veicolo di obbiettivi politici e strategici e, in questo senso, è un’oversimplimplification8 di legami invece spregiudicati con ambienti secolari, religiosi, moderati e radicali nondimeno idonei agli scopi di preminenza e sicurezza che il governo di Riyadh si propone.

L’Arabia Saudita tiene in pugno il regime del generale Al-Sissi, conduce una guerra spietata nello Yemen contro gli Houti in quanto ritenuti agenti dell’Iran, ha un ruolo di spicco nella guerra civile in Siria, conduce una forte azione di ostracismo contro lo Hizbollah in Libano (con azioni che rischiano di ripercuotersi sui fragili equilibri di quel paese e aver ripercussioni negative

8 Si veda l’analisi di Kinninmont, Saudi Foreign Policy Is in a State of Flux.

Page 48: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

48 Roberto Aliboni

anche sugli alleati sunniti del paese), esegue estensivamente condanne a morte di terroristi fra cui anche i leader degli sciiti sauditi (come nel caso dell’esecuzione di Nimr Al-Nimr). Il recente avvicinamento della Turchia a Riyadh9, dopo una non lieve competizione relativamente al ruolo nella regione dei Fra-telli musulmani, conferma il ruolo di guida che questo paese ha assunto nell’ambito sunnita e del suo conflitto con l’asse sciita nella regione.

Conferma anche la più generale polarizzazione del Mediter-raneo verso l’Arabia Saudita e la penisola arabica, che è il punto che interessa in questo capitolo, sia in virtù dell’ascendente sull’Egitto, la cui leadership regionale è in netto recesso, che della preminenza sulla Turchia, paese che in questi anni si è battuto per esercitare una supremazia sunnita contro l’Egitto e l’Arabia Saudita, ma a causa di una politica estera errata e fallimentare oggi, se non proprio andare a Canossa, deve riconoscere l’ascen-dente di Riyadh e starle vicino, anche se certamente con disagio.

D’altra parte, la polarizzazione dal Mediterraneo al Golfo non è solo quella nell’ambito sunnita. La polarizzazione è già da tempo in marcia con l’asse sciita e la gravitazione di Libano e Siria verso il Sud sciita dell’Iraq e l’Iran, per cui ormai la presenza politica e militare degli iraniani sulle coste del Mediterraneo si accosta a quella degli antichi persiani.

Questa generale attrazione verso il Golfo costituisce per l’Europa un cambiamento strategico importante perché le sottrae paesi percepiti come partner potenziali e molto spesso natural-mente destinati ad esserlo per una serie di vicinanze storiche, culturali e politiche che non hanno invece riscontro nel Golfo. Se accade, come accade, che i paesi arabi del Mediterraneo e la Turchia gravitino verso il Golfo, ogni disegno di cooperazione e influenza europea nell’area diventa davvero difficile, oppure si deve limitare al Mediterraneo occidentale (dove le influenze dal Golfo arabo sono aumentate ma l’influenza europea e l’interesse di quei paesi per l’Europa resta vivo e concreto). La fattibilità di un partenariato con i paesi del Mediterraneo si riduce in par-ticolare sul piano politico, dove essa si è in buona parte basata sull’integrazione e l’attività politica dell’islamismo moderato, in particolare dei Fratelli musulmani. Ma gli eventi hanno portato

9 Lindenstrauss, Guzansky, Weaving a Stronger Sunni Axis.

Page 49: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 49

proprio ad un indebolimento di quei moderati che potevano essere gli interlocutori delle esortazioni europee alla riforma. La polarizzazione verso il Golfo, per contro, promette ben altri islamismi.

È questo uno sviluppo davvero notevole poiché fino a non più di dieci anni fa il progetto euro-mediterraneo di attrazione dei paesi del bacino in uno schema cooperativo di tipo comuni-tario e, d’altro canto, la prospettiva di un’adesione della Turchia all’Unione10 erano considerati non privi di difficoltà ma tutto sommato realizzabili. È difficile dire quali fattori abbiano più contribuito a questo ribaltamento di prospettive: se il fallimento del Partenariato euro-mediterraneo (Pem), della Politica euro-pea di vicinato (Pev) e dell’Unione per il Mediterraneo (Upm) – altrettante facce del progressivo indebolimento dell’Ue – o se i cambiamenti sull’altra sponda del bacino. Se si rilegge oggi la Strategia di sicurezza europea emessa da Bruxelles nel 2003 con la sua fiducia di fare del Mediterraneo un cerchio di paesi ben governati e amici dell’Unione, si tocca con mano il cambiamento che c’è stato. Al posto dell’influenza che doveva essere irradiata dall’Europa sul Mediterraneo c’è oggi invece una salda attrazione che viene dall’Arabia Saudita, dai paesi del Ccg e dall’Iran, che non possono di sicuro essere i protagonisti di un partenariato riformista con l’Europa e un indebolimento invece di quelli che, realizzandosene le condizioni, potrebbero esserlo.

L’indebolimento dei riformismo islamista. In un primo e breve momento sono state le minoranze democratico-secolari e occiden-talizzanti in Tunisia ed Egitto a innescare la sollevazione, ma esse sono poi naufragate nella loro totale carenza di organizzazione e nel loro inadeguato radicamento sociale. Successivamente ha preso la testa del movimento l’islamismo moderato-riformista, in particolare le organizzazioni locali dei Fratelli musulmani. Questo

10 L’accordo fatto recentemente dall’Ue con la Turchia per gestire il flusso di profughi dall’Anatolia verso l’Europa contempla una ripresa dei negoziati per l’ingresso della Turchia nell’Unione. L’accordo è stato molto criticato per essere basato su valori e finalità contrari a quelli dell’Unione e la sua esecuzione si sta mostrando problematica. I comportamenti della dirigenza politica turca impediscono di pensare che l’adesione sia una prospettiva realistica e realmente desiderata e l’accordo conferma la distanza sostanziale che si è inserita nei rap-porti fra Turchia e Ue. Per un approccio critico dell’accordo si veda Garavoglia, The Eu-Turkey Dirty Deal on Migrants: Can Europe Redeem itself? Per un suo bon usage si veda, Kirişci, The Silver Lining to the Eu-Turkey Migration Deal.

Page 50: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

50 Roberto Aliboni

islamismo moderato e riformista, che ha avuto un ruolo anche nelle altre sollevazioni (più rilevante nello Yemen e assai meno in Siria), ha però mancato a conti fatti di affermarsi e, laddove era già affermato, come in Turchia, ha conosciuto un regresso e poi una degenerazione. A fronte di questo indebolimento si sono invece rafforzate le forze reazionarie, autoritarie e conservatrici, da un lato, e quelle dell’islamismo radicale, dall’altro.

Vent’anni fa l’Europa, con i suoi progetti di partenariato euro-mediterraneo, ha messo la riforma politica nei paesi al di là del Mediterraneo in prima linea ma non ha chiaramente indi-viduato quali fossero le forze politiche in grado di raccogliere le sue sollecitazioni. Nell’immediato dopo Guerra fredda, mentre l’inabissamento dell’Urss lasciava crescere a dismisura l’egemo-nia degli Usa nella regione, non pochi governi nel Mediterraneo (non nel Golfo) accennarono a un movimento di autoriforma. La prospettiva riformista del Pem nel 1995 si fondò in parte sulla fiducia che i regimi avrebbero gradualmente accettato di riformarsi da sé e in parte sull’irrobustimento delle forze demo-cratiche nella società civile che le politiche del Pem si riteneva avrebbero permesso. Ma questa prospettiva non ha funzionato, non solo per la resistenza dei regimi (e anche di larghi settori delle società civili) ma ugualmente perché l’Europa e l’Occidente di fronte alla questione dell’islamismo sono rimasti ambigui e divisi, senza mai riuscire a pervenire a una convincente e univoca interpretazione del movimento.

Si possono identificare due visioni generali. Da un lato, i go-verni europei e occidentali hanno in realtà pienamente condiviso la diffidenza dei governi mediterranei e mediorientali verso gli islamisti: nelle loro dichiarazioni hanno bensì esortato i governi a integrare le forze islamiste nel processo politico e nelle istituzioni, ma poi ogni volta che gli islamisti hanno vinto le elezioni hanno di fatto appoggiato o fatto finta di non vedere la repressione (come in Algeria) o hanno boicottato e sanzionato essi stessi i vincitori, come nel caso di Hamas.

D’altro lato, nella società civile e negli ambienti culturali è stata forte la tendenza a scorgere nel quadro dell’islamismo una corrente centrale, destinata ad evolvere sotto la pressione del cambiamento sociale favorito dalla globalizzazione11 arrivando di

11 Merlini, Roy, Arab Society in Revolt. The West’s Mediterranean Challenge.

Page 51: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 51

fatto a modificare e aggirare il vincolo teologico che tiene fermo l’Islam politico e ostacola o impedisce l’attuarsi di regimi poli-tici democratici. Questa tendenza ha insistito affinché i governi occidentali premessero su quelli della regione onde integrassero l’islamismo – laddove esso non si presenti come forza radicale e jihadista – e lasciassero ai processi d’integrazione di compiere, nel tempo necessario, il loro lavoro di adattamento e trasformazione.

Dopo l’attacco alle torri gemelle del 2001, l’approccio pessi-mista dei governi è prevalso: l’accoppiata di democratizzazione e «guerra al terrorismo» lanciata dai neoconservatori americani ha del tutto marginalizzato le visioni riformiste dell’islamismo. Allo stesso tempo, i programmi di promozione consensuale del-la democrazia nei paesi partner del Pem da parte dell’Ue sono decisamente passati sul fondo della scena. Nel prendere in mano il governo degli Usa, l’amministrazione Obama ha cominciato a ribaltare l’approccio delle amministrazioni precedenti. Soprat-tutto, quando ci sono state le sollevazioni in Tunisia e in Egitto non ha obbiettato all’allontanamento di Ben Ali e Mubarak e poi neppure alle vittorie elettorali dei Fratelli musulmani nei due paesi, anzi ha instaurato con i rispettivi governi relazioni aperte alla cooperazione e al sostegno. La reazione dei governi europei agli stessi eventi è stata più riservata, ma in conclusione è stata riconosciuta e appoggiata l’esistenza di un islamismo moderato e riformista.

Ha dunque l’Occidente trovato il suo partner dall’altra parte del Mediterraneo? Le cose non sono così semplici. Non sono solamente legate alla «primavera araba» ma anche a sviluppi precedenti poiché, infatti, non riguardano solo il mondo arabo ma anche, in misura prominente, la Turchia. Vale la pena osser-vare più da vicino la parabola recente dell’islamismo riformista.

I Fratelli musulmani della Tunisia, raccolti nel partito Ennahda (Rinascita) sotto la guida di Rachid Ghannouchi, hanno vinto le elezioni subito dopo la rivoluzione e sono stati protagonisti di un’autentica esperienza democratica tramite un governo parteci-pato anche da forze non islamiste. Sono stati messi in crisi da due fattori12. Innanzitutto, da un’insufficiente e inadeguata politica economica, il che è comprensibile ma ha anche comprensibil-mente deluso i tunisini e i giovani. Il secondo fattore è stato la

12 Boukhars, The Reckoning. Tunisia’s Perilous Path to Democratic Stability.

Page 52: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

52 Roberto Aliboni

tolleranza – e talvolta la contiguità – che ha fatto oggettivamente da sponda al radicalismo jhihadista diffuso nel paese. Questa am-biguità verso l’islamismo radicale e l’inadeguatezza della politica economica hanno sottratto tanti consensi ai Fratelli musulmani da far loro perdere le seconde elezioni tenute dopo la rivoluzione, che hanno portato al potere Nida Tounes (Appello per la Tunisia), un’alleanza di liberali e conservatori comprendente – anche in posizioni di rilievo – non poche personalità con responsabilità di governo consumate sotto Ben Ali. Essendo dei democratici – ed essendo anche non poco intimiditi dalla repressione dei loro cugini egiziani – i Fratelli tunisini non hanno ostacolato l’alternanza e hanno persino accettato di entrare nel governo in una posizione in verità sin troppo subordinata13. Di recente, la coalizione Nida Tounes si è disgregata, i risultati di governo continuano a dimostrarsi modesti e nel complesso la marcia della Tunisia verso una stabile democrazia appare meno sicura.

In Egitto i Fratelli musulmani hanno vinto anch’essi le prime elezioni legislative dopo la rivoluzione. Il governo formato da Mohammed Morsi, strettamente controllato dal vertice della Confraternita, riflesso perciò dei suoi ambienti più conservatori, ha condotto una politica di chiusura verso le altre forze politiche rivoluzionarie e per contro di intesa con i vertici militari14. I militari hanno lasciato che il governo dei Fratelli si discreditasse nelle difficoltà e nel suo stesso isolamento politico e poi, con l’appoggio dell’Egitto «profondo», l’hanno estromesso con un colpo di Stato. L’avvento dei militari ha successivamente portato alla presidenza della repubblica il generale Abdel Fatah al-Sissi in un contesto di inaudita reazione politica e sanguinosa repressio-ne, oltre che dei jihadisti e delle forze democratiche, soprattutto dei Fratelli, con conseguente radicalizzazione di larghi settori dell’islamismo e dei giovani.

In Turchia l’Akp fino ai sollevamenti del 2011 ha condotto una politica di effettiva riforma democratica del paese ed efficace sviluppo dell’economia. Il gruppo dirigente ha ripreso la politica volta all’inclusione della Turchia nell’Ue, ma ha soprattutto svi-luppato intensamente le relazioni con i paesi del mondo arabo,

13 Marzouki, Meddeh, Tunisia: Democratic Miracle or Mirage? 14 Pioppi, Il raccolto amaro. I Fratelli musulmani in Egitto e il fallimento

della via moderata al potere, pp. 271-291; Kandil, Inside the Brotherhood.

Page 53: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 53

del suo vicinato e dei Balcani. Questa politica ufficialmente chiamata «problemi zero con i vicini» è stata non ufficialmente designata come «neo-ottomana» 15 in quanto mira a proiettare, sia pur benignamente, l’identità turca in un raggio analogo a quello del vecchio impero impiegando il soft-power che la democrazia e lo sviluppo realizzati dal partito islamista al governo conferiscono alla Turchia: una politica ideologicamente non diversa da quella dell’Ue verso il suo vicinato. Entrambe sono intese a proiettare democrazia e sviluppo onde esercitare un’egemonia.

Il presidente Erdoğan ha così promosso attivamente la sua politica estera attraverso la sua politica riformista contando di accrescere in questo modo l’influenza turca nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Ha appoggiato ovunque ha potuto i Fratelli musulmani, come forza riformista politicamente coerente con l’Akp. Ha cercato di convincere in Siria il collega Bashar Assad della necessità di procedere alle riforme nel suo paese. Ma con l’insuccesso dei Fratelli musulmani e delle riforme in un mondo che al contrario reagiva con la reazione e la repressione – come in Siria e in Egitto – la Turchia ha visto la sua politica estera «neo-ottomana» fallire e naufragare di conseguenza il suo progetto di influenza regionale. Ha continuato ad appoggiare i Fratelli musulmani e i riformisti nel contesto dei conflitti regionali nati nel frattempo dalla reazione dei paesi arabi conservatori e dei regimi autoritari, ma da una posizione di iniziativa la Turchia è stata sospinta dagli eventi in una posizione difensiva e di forte competizione regionale che, assieme ad altri fattori di natura interna, ha condotto Erdoğan a scelte sempre più autoritarie all’interno e, all’esterno, a sostituire la sua strategia egemonica, basata sull’appoggio ad un allineamento riformista, con una tradizionale diplomazia di potenza. Gradualmente, nel conflitto regionale in corso, segnatamente in quello siriano, la Turchia è passata ad appoggiare chiunque di volta in volta sia opportuno appoggiare ai fini di una politica estera che è ormai solo al servizio dei suoi interessi di potere interno e di affermazione nazionalistica. Più di recente, l’isolamento in cui la Turchia si

15 Taspinar, Turkey’s Middle East Policies: Between Neo-Ottomanism and Kemalism; sull’evoluzione recente della politica estera turca si vedano Öktem, Kadioğlu, Karli, Another Empire? A Decade of Turkey’s Foreign Policy under the Justice and Development Party; Özel, Özkan, Illusions Versus Reality: Turkey’s Approach to the Middle East and North Africa.

Page 54: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

54 Roberto Aliboni

è cacciata, aggravata dal conflitto apertosi nel frattempo anche con la Russia, ha accostato Ankara – come abbiamo visto – all’A-rabia Saudita e, apparentemente, è anche in corso un (relativo) riavvicinamento con Israele.

La Turchia, almeno per ora, ha perso la sua leadership nella regione e non solo è parte ma anche causa dell’indebolimento generale che l’islamismo riformista ha subìto nel corso della «primavera araba» a favore della reazione autoritaria (di cui Erdoğan è parte) e dell’islamismo radicale e jihadista.

Se si considera questa evoluzione se ne conclude che l’indebo-limento del riformismo islamista, al pari della polarizzazione verso l’Arabia Saudita e la sua leadership della platea dei conservatori sunniti, aumenta il divario fra l’Europa e il Mediterraneo ed ammonta ad un cambiamento strategico che, seppure non toglie dall’orizzonte la cooperazione trasformativa dei decenni scorsi, certo la rende assi meno probabile. In fondo, l’indebolimento dell’islamismo riformista e l’ascesa della leadership saudita sono due facce della stessa medaglia. Nel contempo l’Isis e la diffusio-ne dell’islamismo radicale, proprio nel contesto della debolezza di quello riformista, ricacciano l’Occidente e l’Europa nella trappola di sempre, cioè nelle braccia dei regimi autoritari, che già sono rivisitati come proxies della repressione necessaria alla loro sicurezza. Sia gli Usa sia la Russia sono su questa strada: gli Usa cercano di manovrare le più svariate forze locali contro l’Isis mettendo a loro disposizione l’armamentario del controter-rorismo americano e la Russia interviene direttamente a fianco di Assad senza fare troppe distinzioni fra jihadisti e jihadisti, fra l’Isis, Jabath al-Nusra e Ahrar al-Sham.

Si potrebbe argomentare che siamo ad un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto: qual è il cambiamento strategico? È il di-leguarsi dell’islamismo riformista come possibile interlocutore politico dell’Europa e dell’Occidente o è l’ascesa dell’islamismo jihadista e radicale come suo nemico? In ogni caso, la prospettiva cooperativa è tagliata fuori e l’Occidente è sospinto ad affiancarsi a regimi oltretutto ancora più autoritari di quelli precedenti. Tuttavia, non c’è dubbio che l’Isis sarà sconfitto e che ci sarà un ennesimo ciclo di recesso e miseria dell’islamismo radicale, che i regimi autoritari saranno vittoriosi (in attesa del ciclo radicale successivo) e che, a conti fatti, in assenza di un’alternativa rifor-mista gli occidentali e gli europei non avranno che appoggiare

Page 55: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 55

un autoritarismo che prima o poi provocherà una replica del ciclo precedente. Il vero e proprio opportunity cost strategico è l’indebolimento dell’islamismo riformista perché solo la sua affermazione potrebbe interrompere il ciclo. È vero che il suo dileguarsi è parimenti ciclico e che dunque prima o poi tornerà. Ma, per un lungo tratto di tempo, l’Europa avrà a che fare con un Mediterraneo strategicamente sfavorevole: un debole potenziale riformista, un forte autoritarismo degli Stati e un altrettanto forte islamismo radicale.

4. Il declino dell’Europa nel Mediterraneo

Il terzo cambiamento strategico che ci siamo proposti di commentare in questo capitolo è il declino – o forse l’arresto – del progetto europeo di inclusione del Nord Africa e del Vicino Oriente in una zona di privilegiate relazioni di cooperazione con l’Ue, più sinteticamente, il declino della politica mediterranea dell’Ue, in particolare della politica euro-mediterranea.

Come abbiamo già ricordato, questa politica ha avuto un suo picco nel 1995, con la formazione del Pem a Barcellona, quando dalla politica mediterranea dell’Ue si fece il tentativo di passare con il Pem a una formula societaria e paritaria, cioè alla politica euro-mediterranea. La formula del Pem avendo mancato di decollare, nel 2004 veniva costituita la Pev e nel suo ambito veniva assorbita la dimensione bilaterale del Pem. Nel 2008 il Pem veniva del tutto chiuso e si inaugurava l’Upm che doveva sottrarre la dimensione politica e multilaterale delle relazioni euro-mediterranee alla Commissione europea e all’Ue e inserirla in un quadro intergovernativo. Fallita rapidamente l’Upm dei governi, l’Ue prendeva l’organizzazione sotto la sua ala facendone il braccio multilaterale mediterraneo della Pev in parallelo con la Eastern Partnership. L’Upm è dotata di un apparato di organi politici inter-governativi, ma non ha nessun impatto o rilevanza politica reale. Non è niente di più che una minore agenzia regionale di sviluppo.

In sostanza, già pochi anni dopo il suo lancio, la Pev diven-ne la politica mediterranea dell’Ue. Ha avuto una vita difficile, trascinandosi dietro tutte le difficoltà e le ambiguità che hanno affondato il Pem e aggiungendone altre. Perciò, la Pev è stata

Page 56: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

56 Roberto Aliboni

rimaneggiata nel 2008 e poi di nuovo nella primavera del 2011 con l’obbiettivo di adattarla ai portentosi eventi di quell’anno. Tuttavia, poiché l’analisi dell’Ue di quegli eventi era insufficiente, se non errata, in quanto si ritenne che la regione si era finalmen-te avviata per conto suo verso quella riforma democratica che invano l’Ue aveva cercato di promuovere quindici anni prima, ne è risultato definitivamente soverchiato l’intero approccio dell’Ue al Mediterraneo, approccio che in sostanza si occupa di un Mediterraneo che non esiste più. Del resto le politiche estere degli Stati membri non agiscono in condizioni migliori perché gli approcci nazionali non sono in armonia con la scala degli avvenimenti regionali e, seppure possono promuovere obbiettivi convenienti agli interessi degli Stati membri stessi, non sono in grado di risolvere i gravi problemi dei paesi e delle regioni a Sud del Mediterraneo.

Nel novembre del 2015 è stato varato ancora un altro rima-neggiamento della Pev, ma c’è un diffuso pessimismo. Dire che è stata uno spectacular failure16 è forse un’esagerazione. È vero che ha riassunto tutti gli errori pratici e ideologici disseminati sul cammino dei rapporti dell’Europa con il Mediterraneo – e ne è stata vittima – tuttavia, alcuni aspetti e strumenti della Pev hanno una razionalità intrinseca e sono destinati a restare. Do-potutto, sia pure con pochi partner dell’area, gli strumenti della Pev trovano applicazione e – se l’intesa con questi pochi partner durerà – sono destinati ad adattarsi e dare buoni risultati.

Scaricare tutto sulla Pev non è utile. Alla base della Pev ci sono delle concezioni di fondo e degli obbiettivi strategici che sono rimasti sottesi a tutte le numerose incarnazioni della politica mediterranea dell’Ue: da rivedere sono piuttosto queste concezioni. Le varie riforme delle policies hanno di volta in volta attenuato o corretto la portata di queste concezioni di base ma non le hanno mai cambiate veramente: ci sono stati dei passi indietro (quando dopo il 2000 e il 2001 fu messo in non cale l’assunto della condivisione dei valori) ma poi dei grandi ritorni (l’assolutezza degli obbiettivi di riforma politica nel Partenariato

16 Techau, The Five Building Blocks of Eu Foreign Policy. Il pessimismo è comunque ampio: Tocci, The Neighbourhood Policy is Dead. What’s Next for European Foreign Policy Along its Arc of Instability?; Kausch, The End of the (Southern) Neighbourhood; Stiftung, The Eu Neighbourhood in Shambles. Some Recommendations for a New European Neighbourhood Strategy.

Page 57: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 57

unilateralmente emesso dall’Ue nel marzo 2011)17. L’idea del tutto fisiologica che l’Europa dovesse influire sul suo vicinato cercando di renderlo più sicuro col favorirne lo sviluppo economico, la coesione sociale e quella politica ha assunto una tendenza trion-falistica dopo la guerra fredda – in sintonia con le tendenze che sono prevalse nello stesso periodo negli Usa. La coesione politica che gli Stati del Nord e del Sud dell’Unione avevano trovato nel successo dell’allargamento a Est generò la spinta e la coesione necessarie a concepire un’estensione di quell’esperienza a Sud: la creazione di un’area di prosperità e buon vicinato fondata sui valori dell’Ue – sul soft-power che l’Ue era in grado di proiettare. La politica euro-mediterranea fu concepita in uno dei non fre-quenti momenti di entusiasmo dei suoi membri e provenne dal senso di fiducia in sé stessi che le conseguenze della fine della guerra aveva prodotto.

Tutto questo si ritrova nelle formulazioni della Strategia europea di sicurezza del 2003, che di fatti inizia con un piccolo peana all’Ue18. La Strategia riprende e dà un assetto sistematico alle motivazioni e alle aspettative che l’Europa aveva posto alla base del Pem e se-cerne le condizioni per il lancio della Pev in quello stesso torno di tempo. Ma poi si rivela un picco dal quale abbastanza rapidamente gli Stati europei cominciano a scendere a causa dell’ansia con cui una buona parte dell’opinione pubblica percepisce le rinascenti tensioni con la Russia e soprattutto l’emigrazione e le fiammate di terrorismo che tracimano da Sud. Questi sviluppi nutrono una deriva politica populista. I governi rispondono con processi di rinazionalizzazione delle politiche di sicurezza.

Occorre perciò sottolineare che il declino della politica medi-terranea dell’Ue e l’accentuato ritorno a relazioni di potenza nel Mediterraneo, soprattutto da parte della Francia, e comunque a prospettive prevalentemente nazionali ed «egoiste» (per ora nel quadro di una «sana» competizione economica) non è però che un aspetto del declino della più generale coesione degli Stati

17 Il Partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa con il Mediter-raneo meridionale; si veda European Commission, High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy, A Partnership for Democracy and Shared Prosperity with the Southern Mediterranean.

18 Eu Council, «Europe has never been so prosperous, so secure nor so free. The violence of the first half of the 20th Century has given way to a period of peace and stability unprecedented in European History».

Page 58: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

58 Roberto Aliboni

membri attorno alla loro Unione. Le concezioni alla base della politica mediterranea ne hanno causato l’evoluzione fallimenta-re che abbiamo appena ricordato, ma la causa ultima si annida nell’arresto della dinamica integrativa all’interno dell’Ue a partire dall’inizio del secolo corrente.

Dal 2008 l’economia è entrata in un ciclo depressivo e l’euro-zona è diventata un fattore di tensione. Accanto a ciò i governi hanno cessato di metter assieme (pooling), sia pure gradualmente settori di sovranità e, laddove si sono sentiti più insicuri hanno aperto la porta – come abbiamo appena ricordato – a processi di rinazionalizzazione e hanno quindi fatto passi indietro nell’in-tegrazione politica e di sicurezza. Lo hanno fatto, tuttavia, e lo stanno facendo proprio in settori, come la sicurezza interna e la mobilità internazionale, che riguardano il Mediterraneo. Perciò la politica mediterranea risente in modo particolare dei processi di rinazionalizzazione, più in generale dell’indebolimento del processo di integrazione europea nel suo complesso.

In effetti, l’attuale stato di marginalità della politica me-diterranea e l’estrema difficoltà delle sue prospettive tende a togliere l’Ue dall’equazione mediterranea con la quale abbiamo lunga familiarità. Assieme al ritiro degli Usa, all’indebolirsi delle forze politiche riformiste sulla sponda Sud-Est del bacino e al gravitare verso l’Arabia Saudita e l’Iran dei paesi affacciati su questa sponda, il declino dell’Ue e dell’Europa con i loro progetti di cooperazione e riforma imprime al Mediterraneo una vera e propria svolta. Mentre questa svolta allontana rapidamente il passato, i contorni del futuro sono difficili da decifrare anche se stanno già influenzando la nostra sorte presente.

5. Le sfide presenti e la ricerca di una risposta

L’analisi compiuta conferma che sta svanendo il Mediterraneo come lo abbiamo conosciuto nei decenni precedenti e che al suo posto sta emergendo un’area le cui sponde meridionali gravitano verso il Golfo più che verso l’Europa. Quest’area presenta rischi e minacce ben più accentuati e diretti che per il passato in un contesto in cui la protezione dell’alleato americano è praticamente venuta meno. Nel contempo, l’Europa ha visto fallire il suo pro-getto di influenza e cooperazione e si trova priva di prospettive

Page 59: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 59

precise, anzi da essere una forza trasformatrice si trova ad essere essa stessa trasformata, oltre che dalle sue vicende interne, proprio dagli impatti che arrivano dalle sponde meridionali e disgregano la sua coesione e la sua sicurezza. Mentre per gli Usa e i paesi dell’altra sponda il cambiamento del Mediterraneo non è una sfida vitale, lo è per l’Europa, che quindi deve muoversi, decidere che cosa vuole e assumersi responsabilità che nel passato sono state alleviate dalla presenza americana e ora non lo sono più.

In effetti, l’Ue sta cercando di rispondere con l’elaborazione e il lancio di una nuova strategia globale europea di sicurezza. Il Consiglio europeo chiese nel giugno 2015 all’Alto rappresentante di provvedere. C’è stato un lungo processo di consultazione e il Consiglio europeo del giugno 2016 considererà e approverà questa nuova strategia. La strategia19 descrive un mondo «inter-connesso, conteso e complesso» che l’Ue deve guardare negli occhi ed affrontare, partecipandovi piuttosto che appartandosene – come dice Nathalie Tocci «il mondo così com’è e non come desideriamo che sia» (e qui c’è un accenno alle ideologie narcisi-stiche che, come abbiamo visto, hanno ostacolato in particolare le politiche mediterranee). La strategia dovrà fondarsi su una forte coesione all’interno dell’Ue (anche a geometria variabile) e su solide alleanze regionali e internazionali. Necessariamente dovrà impegnarsi soprattutto nel vicinato.

Parallelamente, la review 2015 della Pev che abbiamo già menzionato abbandona i criteri di condizionalità negativa e positiva che aveva adottato nel 2011, accresce il rilievo della ownership nei rapporti con i partner, conferma gli obbiettivi riformatori dell’Ue ma riconosce decisamente che le relazioni devono riflettere innanzitutto le aspirazioni dei partner. Sia la nuova strategia di sicurezza che la nuova Pev sono basate su un approccio realistico, pragmatico e differenziato20.

Questo nuovo approccio realistico è una risposta agli eccessi ideologici del passato. Ma che cosa significa un approccio realistico

19 The European Union, The European Union in a Changing Global Envi-ronment. A More Connected, Contested and Complex World. Una presentazione sintetica si trova in Tocci, La riflessione strategica dell’Ue sulla Strategia Globale. La dottoressa Tocci, vicedirettore dell’Istituto affari internazionali ha lavorato sin dal 2015 come assistente dell’Alto rappresentante, Federica Mogherini, per assistere il Servizio europeo per l’Azione esterna nell’elaborazione della Strategia.

20 Lehne, Toward a European Neighbourhood Realpolitik?

Page 60: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

60 Roberto Aliboni

dell’Ue, cioè di un’entità che non ha una sua politica estera? Il rischio è che vada perso quel bilanciamento fra il realismo degli Stati membri e l’idealismo della loro Unione, che contiene debolezze e contraddizioni ma lascia la strada aperta alla formazione di una nuova politica, una nuova identità e una nuova entità europea nelle relazioni internazionali: il realismo che si inietta ora nell’Ue potrebbe semplicemente fare da schermo alla trasformazione dell’Ue in un predellino di strumenti e fondi destinati a rafforzare il realismo delle politiche estere nazionali. Uno sviluppo del genere non solo sarebbe dannoso all’obbiettivo dell’integrazione dell’Europa ma, rafforzerebbe l’attore sbagliato, poiché gli Stati nazionali europei hanno una scala insufficiente a sostenere le sfide internazionali e regionali e il loro realismo non è all’altezza delle sfide in atto.

Questo è nel momento attuale sotto gli occhi di tutti e appare evidente proprio nel Mediterraneo, dove accade che le due sfide principali del terrorismo e dell’immigrazione avrebbero bisogno per essere convenientemente affrontate di ulteriori accorpamenti a livello europeo delle necessarie porzioni di sovranità nazionale e invece danno luogo a dissimulate inerzie, come nel caso dei servizi segreti e della sicurezza interna, oppure e rinazionalizza-zioni selvagge, come nel caso dell’immigrazione, dei rifugiati e della libertà di movimento all’interno dell’Unione.

Non c’è dubbio che l’eurocentrismo e il narcisismo trionfali-stico del passato non hanno messo capo a risultati. Tuttavia, se la nuova strategia e la nuova Pev diventano un veicolo di rinuncia all’idealismo dell’Unione e di appiattimento sul realismo degli Stati i risultati mancheranno ugualmente. Nelle difficili condizioni di cambiamento del contesto che abbiamo illustrato nelle sezioni precedenti, una nuova strategia per la sicurezza dell’Europa, in particolare per la sicurezza e lo sviluppo del Mediterraneo, deve iniziare dalla coesione interna dell’Unione e da una maggiore coesione europea relativamente alle specifiche sfide del Mediter-raneo: la sicurezza e la mobilità nel più vasto quadro geopolitico che intanto si è coagulato al di là del mare.

Il progetto per un compact sull’immigrazione, che il governo italiano ha presentato a Bruxelles nell’aprile del 2016, contiene questi elementi. Indica i passi economici, internazionali e politici necessari a contenere il fenomeno nel breve termine e risolverlo nel lungo termine. Al tempo stesso, affidando il finanziamento del progetto all’emissione di eurobond stimola e rafforza quella

Page 61: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 61

coesione sulla quale qualsiasi risposta europea deve fondarsi per essere efficace. Da qui, più che dalle complessità (un po’ vuote) della nuova Strategia globale dell’Ue dovrebbe iniziare la risalita.

Riferimenti bibliografici

Boukhars A., The Reckoning. Tunisia’s Perilous Path to Democratic Stability, Washington DC, Carnegie Endowment for Interna-tional Peace, aprile 2015, disponibile on line all’indirizzo http://carnegieendowment.org/files/tunisia_reckoning.pdf.

Cofman Wittes T., The Slipperiest Slope of Them All, in «The Atlan-tic», 12 marzo 2016 disponibile on line all’indirizzo http://www.theatlantic.com/international/archive/2016/03/obama-doctrine-goldberg-inaction/473520/.

European Commission, High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy, A Partnership for Democracy and Shared Prosperity with the Southern Mediterranean, Joint Com-munication to the European Council, the European parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, Com(2011) 200 final, Brussels, 8 marzo 2011, disponibile on line all’indirizzo http//eeas.europa.eu/euromed/docs/com2011_200_en.pdf.

European Union, A Secure Europe in a Better World, European Security Strategy, Brussels, 2003, disponibile on line all’indirizzo http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload/78367.pdf.

— The European Union in a Changing Global Environment. A more Connected, Contested and Complex World, Brussels, 2015 disponibile on line all’indirizzo http://eeas.europa.eu/docs/strategic_review/eu-strategic-review_strategic_review_en.pdf.

Garavoglia M., The EU-Turkey Dirty Deal on Migrants: Can Europe Redeem itself?, Washington DC, Brookings Institution, 14 marzo 2016, disponibile on line all’indirizzo http://www.brookings.edu/blogs/order-from-chaos/posts/2016/03/14-eu-turkey-migrant-deal-garavoglia.

Goldberg J., The Obama Doctrine, in «The Atlantic», aprile 2016 disponibile on line all’indirizzo http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2016/04/the-obama-doctrine/471525/.

Heydemann S., Why the United States hasn’t Intervened in Syria, in «The Washington Post», 14 marzo 2016, disponibile on line all’in-dirizzo https://www.washingtonpost.com/news/monkey-cage/wp/2016/03/14/why-the-united-states-hasnt-intervened-in-syria/.

Page 62: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

62 Roberto Aliboni

Indik M., The End of the U.S.-Dominated Order in the Middle East, in «The Atlantic», 13 marzo 2016, disponibile on line all’indirizzo http://www.theatlantic.com/international/archive/2016/03/obama-middle-east-policy/473529/.

Kandil H., Inside the Brotherhood, Cambridge, Polity Press, 2014.Kausch K., The End of the (Southern) Neighbourhood, PapersIeMed/

EuroMeSCo, 18, Barcelona, aprile 2013, disponibile on line all’in-dirizzo http://www.euromesco.net/index.php?option=com_content&view=article&id=1922%3Aeuromesco-paper-18-the-end-of-the-southern-neighbourhood&catid=61%3Aeuromesco-papers&Itemid=48&lang=en.

Kazziha W.W., Palestine in the Arab Dilemma, Croom Helm, London, 1979.Kinninmont J., Saudi Foreign Policy Is in a State of Flux, in «Chatham

House», 17 febbraio 2016, disponibile on line all’indirizzo https://www.chathamhouse.org/expert/comment/saudi-foreign-policy-state-flux.

Kirişci K., The Silver Lining to the EU-Turkey Migration Deal, Washing-ton DC, Brookings Institution, 14 marzo 2016, disponibile on line all’indirizzo http://www.brookings.edu/blogs/-order-from-chaos/posts/2016/03/14-eu-turkey-migrant-deal-kirisci.

Kramer M., Syria’s Alawis and Shi’ism, in Shi’ism, Resistance, and Revolution, a cura di M. Kramer, Boulder, Co, Westview Press, 1987, pp. 237-54 disponibile on line all’indirizzo http://martin-kramer.org/sandbox/reader/archives/syria-alawis-and-shiism/.

Lehne S., Toward a European Neighbourhood Realpolitik?, in «Stra-tegic Europe», Brussels, Carnegie Europe, disponibile on line all’indirizzo http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=62029.

Lindenstrauss G., Guzansky Y., Weaving a Stronger Sunni Axis, Tel Aviv, Inss Insight, 799, 18 febbraio 2016, disponibile on line all’indirizzo http://www.inss.org.il/index.aspx?id=4538&arti-cleid=11448.

Marzouki N., Meddeh H., Tunisia: Democratic Miracle or Mirage?, in «Jadaliyya», 11 giugno 2015, disponibile on line all’indirizzo http://www.jadaliyya.com/pages/contributors/221924.

Mearsheimer J.J., Imperial by Design, in «The National Interest», 111, gennaio-febbraio 2011, p. 16, disponibile on line all’indirizzo http://mearsheimer.uchicago.edu/pdfs/A0059.pdf.

Merlini C., Roy O. (a cura di), Arab Society in Revolt. The West’s Mediterranean Challenge, Washington DC, Brookings Institution Press, 2012.

Öktem K., Kadioğlu A., Karli M. (a cura di), Another Empire? A Decade of Turkey’s Foreign Policy under The Justice and Development Party, Istanbul, Bilgi University Press, 2012.

Page 63: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Mediterraneo: un contesto strategico che cambia 63

Özel S., Özkan B., Illusions Versus Reality: Turkey’s Approach to the Middle East and North Africa, in «Policy Brief», 200, aprile 2015, disponibile on line all’indirizzo http://fride.org/download/pb200_turkey_approach_to_mena.pdf.

Pioppi D., Il raccolto amaro. I Fratelli musulmani in Egitto e il fallimento della via moderata al potere, in Storia ed evoluzione dell’islamismo arabo. I fratelli musulmani e gli altri, a cura di L. Guazzone, Milano, Mondadori Education, 2015, pp. 271-291.

Stiftung B., The Eu Neighbourhood in Shambles. Some Recommendations for a New European Neighbourhood Strategy, Gütersloh, 2015, disponibile on line all’indirizzo http://www.bertelsmann-stiftung.de/fileadmin/files/user_upload/The_EU_neighbourhood_in_-shambles.pdf.

Taspinar Ö., Turkey’s Middle East Policies: Between Neo-Ottomanism and Kemalism, in «Carnegie Endowment for International Pea-ce», 10, settembre 2008, disponibile on line all’indirizzo http://carnegieendowment.org/files/cmec10_taspinar_final.pdf.

Techau J., The Five Building Blocks of EU Foreign Policy, in «Strategic Europe», disponibile on line all’indirizzo http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=61511.

Tocci N., The Neighbourhood Policy is Dead. What’s Next for European Foreign Policy Along its Arc of Instability?, Roma, Istituto Affari Internazionali, Working Papers, 14/16, novembre 2014, dispo-nibile on line all’indirizzo in http://www.iai.it/it/pubblicazioni/neighbourhood-policy-dead.

— La riflessione strategica dell’Ue sulla Strategia Globale, in «Affa-rinternazionali», 22 ottobre 2015, disponibile on line all’indirizzo http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3205.

Walt S.M., The End of the American Era, in «The National Interest», 116, novembre-dicembre 2011, p. 6, in disponibile on line all’indirizzo http://nationalinterest.org/article/the-end-the-american-era-6037.

Page 64: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 65: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

2. Il ricambio nella potenziale offerta di lavoro

di Luigi Di Comite e Stefania Girone

Da un punto di vista dinamico i mercati del lavoro, anche qualora vengano analizzati in funzione delle loro eventuali segmentazioni, si presentano in prima battuta in tendenziale equilibrio, allorché l’ammontare di coloro che ne escono, qual-siasi sia la motivazione1, non si discosti in maniera significativa dall’ammontare di coloro che ambiscono ad entrarvi.

Nell’odierna realtà mediterranea, però, situazioni di questo tipo sono estremamente rare in quanto gli assetti demografici da seconda transizione, tipici della sponda europea, comportano una potenziale pressione in entrata, numericamente meno consistente dell’ammontare in uscita e ciò in netta contrapposizione con i paesi delle sponde asiatica ed africana ove, in linea di massima, la dimensione dei flussi in entrata è nettamente più elevata di quelli in uscita. Ovviamente, una siffatta contrapposizione comporta una strutturale esistenza di flussi migratori che, traendo origine dai paesi ove i processi di transizione demografica sono ancora in itinere, si dirigono verso quelli che fanno capo all’ambito dei Paesi a sviluppo avanzato (Psa) e che si trovano oramai da anni in piena seconda transizione demografica.

Per quel che concerne il non lontano futuro, una simile di-cotomia appare destinata a sussistere anche se lo squilibrio tra potenziali entrate sui mercati del lavoro dei paesi delle sponde asiatica ed africana – che, a loro volta, facevano capo a quelli che genericamente venivano designati come Paesi in via di svi-luppo (Pvs) – ed uscite dagli stessi tenderà progressivamente a ridursi nel tempo, essenzialmente in dipendenza della pressoché generalizzata contrazione dei loro livelli di fecondità osservatasi in questi ultimi decenni.

1 In linea di massima le uscite sono dovute a vari motivi: pensionamento, de-cesso, emigrazione ed abbandono – in genere, definitivo – dell’attività lavorativa.

Page 66: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

66 Luigi Di Comite e Stefania Girone

Nel lungo periodo, infine, il progressivo avanzare dei proces-si di transizione demografica dei paesi mediterranei delle rive asiatica e africana tenderà a creare situazioni sempre più vicine a quelle attualmente tipiche dei paesi della sponda europea ed all’avanguardia di un simile tragitto molto verosimilmente ci saranno Cipro, Libano, Tunisia e Turchia, cioè paesi ove attual-mente il Tasso di fecondità totale (Tft) è più basso del c.d. livello di sostituzione che, com’è noto, è grosso modo pari a 2,10.

1. Migrazioni ed offerta di lavoro nel bacino mediterraneo

Nel corso di questi ultimi anni nel Mare Mediterraneo si sono avuti cospicui flussi migratori del tipo Sud-Nord, cioè di quelli che traevano generalmente origine dai Pvs – o forse, più opportunamente definibili, data la particolare situazione dell’area del bacino mediterraneo, «a sviluppo intermedio» – e avevano come destinazione, o semplicemente come primo approdo, i paesi europei mediterranei e cioè soprattutto Spagna, Italia e Grecia2.

I tratti di mare fortemente interessati a tali flussi sono stati inizialmente lo Stretto di Gibilterra, quindi il Canale di Sicilia ed infine il Mar Egeo e, conseguentemente, le «porte di ingres-so» nell’Unione europea sono state, come già detto ed in ordine cronologico, la Spagna, l’Italia e la Grecia.

Le motivazioni che hanno determinato tali eventi sono state di varia natura, essenzialmente però riconducibili a tre grandi filoni che hanno portato a flussi dovuti a cause: a) economiche, b) ambientali e c) politiche.

I divari di sviluppo economico esistenti hanno un carattere generale che, invece, non viene ricoperto né dalle crisi ambientali – quali ad esempio i sempre più diffusi processi di desertificazione – né da quelle dovute al «vuoto» od ai contrasti politici. I flussi migratori, generati dai divari di sviluppo economico, tendono ad assumere conseguentemente un carattere sistematico e duraturo che non si estende a quelli dovuti a fattori ambientali e/o politici: inoltre, i flussi originati da questi ultimi, anche in quanto tesi a far

2 I paesi delle sponde africana ed asiatica da cui provengono tali flussi – che talora hanno origini territoriali anche molto remote – tradizionalmente sono il Marocco per la Spagna, la Tunisia e la Libia per l’Italia e la Turchia per la Grecia.

Page 67: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il ricambio nella potenziale offerta di lavoro 67

fronte ad emergenze di vario tipo, in linea di massima coinvolgono contingenti demografici che, allorché vengono considerati nella loro globalità, appaiono di dimensioni più modeste.

A livello economico, invero, è sufficiente soffermarsi sui dati riportati nella tabella 1 per rendersi immediatamente conto del

Tab. 1. Dimensione demografica e Pil pro capite dei paesi del bacino mediterraneo

Paesi Popolazione in migliaiaal 2015 (1)

Pil pro capite (Ppa) in $al 2014 (2)

Portogallo 10.350 27.068,9Spagna 46.122 33.835,0Francia 64.395 40.537,5Italia 59.798 35.131,1Malta 419 33.197,5Slovenia 2.068 29.866,5Croazia 4.240 20.947,3Bosnia-Erzegovina 3.810 9.892,1Serbia 8 851 13.378,0Montenegro 626 15.105,0Macedonia 2.078 13.397,7Albania 2.897 11.390,7Grecia 10.955 25.953,6Area europea 216.609 —Turchia 78.666 19.698,3Cipro 1.165 30.881,9Siria 18.502 n.d.Libano 5.851 18.051,8Israele 8.064 33.135,7Palestina 4.668 n.d.Giordania 7.595 11.970,5Area asiatica 124.511 —Egitto 91.508 10.918,0Libia 6.278 15.877,5Tunisia 11.254 11.341,4Algeria 39.667 13.888,0Marocco 34.378 7.813,4Aria africana 183.085 —Totale complessivo 524.205 —

Fonte: (1) Population Division of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat, World Population Prospects: The 2015 Revision, http://esa.un.org/unpp; (2) International Monetary Fund, 2015.

Page 68: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

68 Luigi Di Comite e Stefania Girone

divario che esiste tra i vari paesi mediterranei in termini di Pil pro capite, dato che il valore di tale indicatore risulta massimo per la Francia 40,5 mila dollari, mentre tende a ridursi notevol-mente a 7,8 mila dollari per il Marocco ed a 9,9 mila dollari per la Bosnia-Erzegovina, i quali vanno a rappresentare rispettivamente il minimo assoluto sia della loro specifica area mediterranea di appartenenza (europea per la Bosnia-Erzegovina e africana per il Marocco), sia di tutta l’area del bacino mediterraneo considerata nel suo complesso. Il divario va, quindi, rispettivamente, da oltre 5 a 1 per l’intera area del bacino mediterraneo e da oltre 4 a 1 per la sponda europea.

Nel futuro a noi più vicino non è detto che si possa realizzare l’auspicio, da più parti formulato, che il reddito cresca maggior-mente nei paesi meno sviluppati delle sponde africana ed asiatica: in mancanza di un simile augurabile evento l’aspettativa razionale è che – prescindendo da quanto fatalmente conseguente a sce-nari di caos, come attualmente si verifica in Libia e soprattutto in Siria – i flussi migratori continueranno ad esistere, facendo inevitabilmente accentuare ancor di più il carattere multirazziale e multireligioso delle popolazioni che vivono nei più importanti paesi tanto dell’Europa mediterranea quanto del resto dell’U-nione europea.

2. L’eterogeneità delle «demografie» nel bacino mediterraneo

Il differente grado di sviluppo economico esistente oltre che tra le tre sponde del bacino mediterraneo anche all’interno dei singoli Stati accompagna e – almeno in parte – è conseguenza dell’evidente eterogeneità delle «demografie» di questa area, ove convivono paesi che sono oramai da decenni in piena seconda transizione demografica con paesi ove occorrerà almeno un altro decennio affinché esauriscano i propri processi di (prima) transizione demografica. Nel lungo periodo, le differenze che attualmente esistono appaiono destinate se non a scomparire almeno ad attenuarsi di molto, ma nel frattempo esse persiste-ranno e comporteranno molteplici conseguenze tanto in campo socio-economico quanto in campo demografico.

Limitandoci a prendere in considerazione solo l’ultimo quin-quennio (2010-15) e tralasciando per ora gli eventi relativi ai

Page 69: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il ricambio nella potenziale offerta di lavoro 69

quinquenni precedenti3, i dati riportati nella tabella 2, anche se concernenti solamente due aspetti (fecondità e mortalità) della «demografia» del bacino mediterraneo, appaiono abbastanza significativi per fare il punto della situazione odierna, ribadendo i contrasti che si osservano allorché si passa dalla sponda europea a quelle asiatica ed africana, nonché all’interno delle tre sponde anzidette.

In termini di transizione demografica i paesi che si trovano chiaramente all’avanguardia sono quelli dell’Europa occidentale (Portogallo, Spagna, Francia e Italia)4 con la Francia su livelli di fecondità notevolmente elevati se posizionati nella logica della seconda transizione demografica e assetti della mortalità che comportano valori della speranza di vita superiori agli 80 anni o, quanto meno (Portogallo), ad essi molto vicini. Grosso modo allo stesso livello troviamo poi Slovenia, Grecia e Malta. Separati per quel che concerne la mortalità (con valori della speranza di vita che non raggiungono di regola i 77 anni) vi sono gli altri paesi della sponda settentrionale, uno dei quali (Bosnia-Erzegovina) esibisce per la fecondità il valore più basso (Tft = 1,13) di tutta l’area del bacino mediterraneo, malgrado la forte incidenza della componente islamica sulla sua popolazione.

In una posizione intermedia si trova, invece, la sponda asia-tica all’interno della quale figurano tre paesi (Cipro, Libano e Turchia) con valori del Tft inferiori al livello di sostituzione (Tft = 2,10), tre paesi (Siria, Israele e Giordania) con valori del Tft prossimi a 2,90 e la Palestina che, infine, presenta il valore (Tft = 4,27) più elevato di tutta l’area del bacino mediterraneo. Per quel che concerne la mortalità, la situazione appare ivi abbastanza eterogenea, in quanto si va dagli 82,01 anni di speranza di vita in Israele ai 72,92 in Libano, valore che comunque è sempre più elevato di quello relativo all’intero continente (E0 = 71,40).

3 Per avere un’idea abbastanza esaustiva di quelle che sono state le caratte-ristiche demografiche salienti dell’area del bacino mediterraneo, quanto meno a partire dall’inizio della seconda metà del XX secolo, si può tener presente quanto riportato in: Di Comite, Moretti, Demografia e flussi migratori nel bacino mediterraneo, Di Comite, Moretti, Geopolitica del Mediterraneo.

4 In tutti questi paesi a tenere su i livelli di fecondità concorrono le nascite avvenute in loco da parte di madri nate all’estero, cioè in linea di massima alla cospicua presenza di cittadini stranieri e, quindi, alle migrazioni.

Page 70: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

70 Luigi Di Comite e Stefania Girone

A seguire, troviamo la sponda africana ove vi è un solo paese al di sotto della soglia di sostituzione – la Tunisia con Tft = 1,91 – mentre gli altri due paesi del piccolo Maghreb sono molto vicini a tale soglia che si può ritenere verrà superata nel corso del prossimo decennio; diversamente, per quel che concerne

Tab. 2. Tasso di fecondità totale e speranza di vita alla nascita dei paesi del bacino mediterraneo, 2010-2015

Paesi Tasso di fecondità totale (Tft)

Speranza di vita alla nascita(E0

)Portogallo 1,32 79,83Spagna 1,50 81,80Francia 1,99 81,73Italia 1,48 82,00Malta 1,28 79,97Slovenia 1,48 79,54Croazia 1,50 76,88Bosnia-Erzegovina 1,13 75,91Serbia 1,56 74,73Montenegro 1,63 74,94Macedonia 1,40 75,10Albania 1,53 77,12Grecia 1,54 80,09Europa 1,58 76,00Turchia 2,02 74,31Cipro 1,46 79,87Siria 2,77 76,06Libano 1,76 72,92Israele 2,91 82,01Palestina 4,27 73,12Giordania 2,89 73,62Asia 2,19 71,40Egitto 2,64 73,53Libia 2,41 75,08Tunisia 1,91 74,78Algeria 2,14 73,46Marocco 2,18 72,54Africa 4,67 58,20Globo 2,50 70,00

Fonte: Population Division of the Department of Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat, World Population Prospects: The 2015 Revision, http://esa.un.org/unpp.

Page 71: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Fig

. 1. T

asso

di f

econ

dità

tot

ale

(Tft

) e

sper

anza

di v

ita

alla

nas

cita

(E

0).

Font

e: V

edi t

ab. 2

.

Page 72: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

72 Luigi Di Comite e Stefania Girone

la mortalità, si hanno valori della speranza di vita abbastanza vicini tra di loro – si va dai 75,08 anni della Libia ai 72,54 anni del Marocco – e di gran luna superiori a quello concernente il continente africano (E0 = 58,20) considerato nel suo complesso.

3. Il ricambio potenziale dell’offerta di lavoro

I divari sinora evidenziati tra e all’interno delle tre sponde dal bacino mediterraneo comportano eterogeneità notevoli anche per altri fenomeni demografici: primo tra tutti l’invecchiamento della popolazione e non ultimo il ricambio nell’offerta di lavoro5.

Un adeguato rapporto tra l’ammontare di coloro che pos-sono rappresentare la potenziale offerta addizionale di lavoro e l’ammontare dei lavoratori che presumibilmente possono, a vario titolo, uscirne è essenziale per non comportare strappi nel funzionamento dello stesso. Per poter valutare, quanto meno dal punto di vista quantitativo, tale fenomeno è, in prima approssi-mazione, possibile far ricorso ad un indice di ricambio dato dalla:

[1]

Il potenziale ammontare delle entrate può, dunque, essere quantificato tenendo conto della consistenza numerica dei giovani – cioè in questo caso degli individui in età compresa tra i 15 e i 24 anni – e di quella degli anziani, quantificando l’ammontare di coloro che hanno un’età compresa tra i 55 ed i 64 anni: in tale maniera si ottiene un indice abbastanza grossolano che non appare adatto allorché si opti per studi più specifici ma che è più che soddisfacente nel caso in cui si vogliano confrontare assetti chiaramente eterogenei tra di loro.

Usufruendo della [1] si è proceduto alla costruzione della tabella 3, ove accanto ai valori di tali indici di ricambio figu-ra – per ampie classi – la struttura per età delle popolazioni di nostro interesse e dalla quale sono anche deducibili gli indici di

5 Tale ricambio è quantificabile mettendo in relazione tra di loro le entrate su tale mercato con le uscite da esso. In prima approssimazione le entrate possono essere quantificate tenendo conto dei giovani che sono in grado di immettersi in tale mercato e le uscite sulla base di decessi e infortuni, che comportano un elevato grado di invalidità e raggiunti limiti di età.

Ir = 100*PP

64-55

24-15

Iv = 100*PP

14-0

65+

100*PP

64-55

24-15

Page 73: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il ricambio nella potenziale offerta di lavoro 73

vecchiaia dati dal rapporto tra l’ammontare della popolazione anziana (65 anni ed oltre) e quella giovane (0-14 anni), cioè da:

[2]

ottenendo – con riferimento alla situazione attuale, cioè al 2015 – dati notevolmente significativi.

Immediatamente da tali cifre emerge che, per quel che concerne il potenziale ricambio nel mercato del lavoro, si possono distin-guere due grandi aggregati a seconda che il valore dell’indice di ricambio sia o meno superiore a quello di parità, cioè a 100: a) il gruppo che presenta i valori più elevati comprende, infatti, tutti i paesi delle sponde asiatica ed africana, assieme ad Albania6 e Macedonia, cioè per la maggior parte paesi ove i processi di (prima) transizione demografica sono ancora in pieno svolgimento; b) il gruppo con valori inferiori a 100, che include paesi ove i processi di (prima) transizione demografica sono terminati da anni e che attualmente si trovano in piena seconda transizione demografi-ca. Malta con un indice pari a 100,0 fa da spartiacque tra i due aggregati. Ai due estremi sono collocati due paesi di contenute dimensioni demografiche, Slovenia (Ir = 66,33) e Palestina (Ir =

603,57). I quattro paesi di maggiori dimensioni demografiche presentano poi i seguenti valori: Egitto (Ir = 278,45), Turchia (Ir

= 201,00), Francia (Ir = 93,07) e Italia (Ir = 73,52), ribadendo la contrapposizione che sistematicamente separa, tanto in campo demografico quanto in campo socio-economico, la sponda set-tentrionale da quelle orientale e meridionale.

Una siffatta situazione viene, altresì, ribadita se si procede comparando il valore che assume il nostro indice per l’Europa (Ir = 83,01) con quelli relativi tanto al continente asiatico (Ir =

234,34) quanto a quello africano (Ir = 249,65) ed, inoltre, per la sponda europea del bacino mediterraneo appare chiaramente evidente che il valore dell’indice di ricambio – tenuto conto delle tendenze in atto in questi ultimi anni – sia destinato a scendere abbastanza rapidamente sotto la parità (Ir = 100,00) nei tre paesi

6 Appare opportuno in questa occasione far presente che a seguito del notevole declino che ha subito la fecondità albanese a partire dall’inizio degli anni ’90, cioè dall’epoca in cui si può ritenere sussistesse ancora – con Ramiz Alia come premier – il vecchio regime comunista, il valore dell’indice di ricambio di questo paese è destinato ad una rapida e notevole discesa.

Ir = 100*PP

64-55

24-15

Iv = 100*PP

14-0

65+

100*PP

64-55

24-15

Page 74: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

74 Luigi Di Comite e Stefania Girone

(Malta, Macedonia ed Albania) ove tale assetto non è stato ancora raggiunto. Per quel che concerne il ricambio nell’offerta di lavoro viene così chiaramente posto in luce che sicuramente nel breve e molto presumibilmente nel medio periodo si fronteggeranno due assetti fortemente differenziati in quanto, mentre nei paesi della sponda settentrionale, anche se con un’intensità che varia anche di molto da caso a caso, le nuove leve non saranno in

Tab. 3. Struttura per età della popolazione ed indici di ricambio al 2015

Paesi 0-14 15-24 25-49 25-64 55-64 65+

Portogallo 1.454 1.085 3.558 5.659 1.346 2.152 80,61Spagna 6.864 4.325 17.040 26.267 5.700 8.666 75,88Francia 11.903 7.456 20.405 32.724 8.011 12.313 93,07Italia 8.198 5.732 19.972 32.467 7.797 13.401 73,52Malta 60 54 140 223 54 81 100,00Slovenia 306 199 739 1.192 300 372 66,33Croazia 631 475 1.418 2.331 606 803 78,38Bos.-Erzeg. 514 447 1.402 2.260 552 588 80,98Serb.-Mont. 1.560 1.204 3.223 5.116 1.288 1.597 93,48Macedonia 352 287 777 1.183 265 256 108,30Albania 537 530 918 1.470 347 359 152,74Grecia 1.600 1.112 3.816 5.899 1.329 2.344 83,67Area europea 33.979 22.906 73.408 116.791 27.595 42.932 83,01Turchia 20.194 13.051 28.868 39.491 6.493 5.930 201,00Cipro 193 174 446 649 129 150 134,88Siria 6.869 3.698 5.490 7.184 995 752 371,66Libano 1.404 1.140 2.083 2.831 438 476 260,27Israele 2.245 1.195 2.597 3.718 734 906 162,81Palestina 1.878 1.014 1.332 1.638 168 138 603,57Giordania 2.698 1.442 2.588 3.167 309 288 466,67Area asiatica 35.481 21.714 43.404 58.678 9.266 8.640 234,34Egitto 30.344 15.844 30.980 40.543 5.690 4.777 278,45Libia 1.873 1.000 2.480 3.120 360 285 277,78Tunisia 2.628 1.756 4.312 6.014 1.028 854 170,82Algeria 11.320 6.595 14.949 19.396 2.663 2.355 247,65Marocco 9.358 6.081 12.178 16.818 2.787 2.120 218,19Aria africana 55.523 31.276 64.899 85.891 12.528 20.791 249,65Mondo 124.983 75.896 181.711 261.360 49.389 72.363 153,67

Fonte: Vedi tab. 2.

Ir = 100*PP

64-55

24-15

Iv = 100*PP

14-0

65+

100*PP

64-55

24-15

Page 75: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il ricambio nella potenziale offerta di lavoro 75

condizione di sostituire dal punto di vista numerico coloro che ne fuoriusciranno7, nei paesi delle sponde orientale ed occiden-tale, in linea di massima, l’eccessiva offerta aggiuntiva di lavoro agirà come ulteriore incentivo ad un’emigrazione che avrà come destinazione preferita i paesi economicamente all’avanguardia dell’Unione europea.

4. Equilibri dei mercati del lavoro e migrazioni

Il differente grado di evoluzione dei processi di transizione demografica delle molteplici comunità che coesistono nell’area del

7 Nel sottolineare un siffatto aspetto non si deve, però, trascurare che in buona parte delle società europee i tassi di disoccupazione giovanile hanno raggiunto livelli molto elevati, contribuendo, a loro volta, a rendere problematici gli assetti dei mercati del lavoro di riferimento.

Fig. 2. Indici di ricambio (Ir).

Fonte: Vedi tab. 2.

0,00

50,00

100,00

150,00

200,00

250,00

300,00

350,00

400,00

450,00

500,00

550,00

600,00

650,00P

orto

gallo

Spag

na

Fra

ncia

Ital

ia

Slov

enia

Cro

azia

Bos

nia-

Erz

egov

ina

Serb

ia-M

onte

negr

o

Mac

edon

ia

Alb

ania

Gre

cia

Mal

ta

Tur

chia

Cip

ro

Siri

a

Lib

ano

Isra

ele

Pal

estin

a

Gio

rdan

ia

Egi

tto

Lib

ia

Tun

isia

Alg

eria

Mar

occo

Area europea

Area asiatica

Area africana

Page 76: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

76 Luigi Di Comite e Stefania Girone

bacino mediterraneo è un dato di fatto acquisito da molti anni. Ampiamente diffusa tra coloro che si occupano dei problemi di popolazione esistenti in questa area è anche l’opinione secondo la quale vi sia attualmente un pressoché generalizzato processo di convergenza da parte degli Stati islamici delle sponde orien-tale e meridionale del bacino verso assetti tipici della seconda transizione demografica, per i quali si può ritenere che risultino all’avanguardia la Turchia nell’Asia mediterranea e la Tunisia nell’Africa mediterranea, cioè due paesi ove oramai la fecondità, presentando attualmente valori del Tft < 2,10, è minore rispetto alla soglia di sostituzione (tab. 2).

Per altri paesi di queste due sponde del Mediterraneo – Algeria e Marocco, anzitutto – il traguardo di un Tft < 2,10 appare ades-so decisamente vicino8. Gli effetti di questo persistente declino della fecondità sulla struttura per età delle relative popolazioni avranno però bisogno di parecchio tempo per manifestarsi in tutta la loro evidenza, per cui ancora per uno o due decenni il contingente dei giovani (15-24 anni) sarà più numeroso di quello degli anziani (55-64 anni), con evidenti conseguenze sul ricambio nei locali mercati del lavoro.

Un fenomeno inverso continuerà, invece, a manifestarsi sulla sponda europea con particolare riguardo ai paesi occidentali di tale ambito territoriale: da un punto di vista squisitamente demografico, quindi, nel prossimo futuro sussistono a pieno le condizioni essenziali per la permanenza di flussi migratori intramediterranei, che, traendo origine soprattutto dalle sponde asiatica ed africana, avranno come aree di accoglimento privile-giato i paesi occidentali dell’Unione europea, ivi compresi quelli mediterranei.

Nel complesso una siffatta situazione dovrebbe comportare benefici tanto per i paesi di origine quanto per quelli di acco-glimento, ove si accentuerà il peso della multietnicità, mentre in quelli di origine si attenuerà il peso del tuttora notevole squilibrio che caratterizza nel breve periodo l’evoluzione del ricambio della loro potenziale offerta di lavoro. In effetti, però,

8 Una volta che i due paesi di maggiori dimensioni demografiche del Magh-reb avranno raggiunto tale risultato saranno sei i paesi (Cipro, Libano, Tunisia, Turchia, Algeria e Marocco) delle due sponde in oggetto ad avere ultimato i propri processi di (prima) transizione demografica.

Page 77: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il ricambio nella potenziale offerta di lavoro 77

si tratta di due realtà che presentano dimensioni notevolmente diverse in quanto le necessità di importare manodopera dei paesi occidentali dell’Unione europea hanno dimensioni minori delle necessità di esportare forza lavoro giovane dei paesi del Mediterraneo asiatico ed africano. Inoltre, i flussi migratori in questione si troveranno sistematicamente in contrapposizione e competizione con quelli che traggono origine da altri paesi a contenuto sviluppo economico.

Conclusioni

In una realtà ove in prospettiva i processi di globalizzazione inducono a ritenere che la mobilità territoriale delle popolazioni appaia destinata ad accentuarsi ulteriormente, tanto come migra-zioni interne quanto e soprattutto come migrazioni internazionali, e ove questo dovrebbe avvenire in maniera sistematica e progres-siva, si pone perennemente il problema della contrapposizione tra paesi a sviluppo avanzato ed il resto del mondo, problema che ovviamente interessa da vicino anche l’area del nostro ba-cino mediterraneo, malgrado l’eterogeneità degli assetti socio-economici che la caratterizzano sia meno manifesta che altrove.

Le cause che possono indurre a migrare sono molteplici. Tra di esse può assumere un rilievo non trascurabile in contesti territoriali in cui convivono popolazioni a differente grado di evoluzione demografica – cioè in ambiti tipo l’area del bacino mediterraneo – il ricambio generazionale nell’offerta di lavoro, dato l’enorme prevalere dei giovani nei luoghi ove si è ancora in piena transizione demografica ed il non trascurabile prevalere degli anziani in quelli ove si è in seconda transizione demografica. Come evidenziato in questa occasione, in una situazione simile si trova il bacino mediterraneo ove ai due estremi di un siffatto assetto si trovano da un lato i paesi occidentali della sponda europea e dall’altro vari paesi islamici delle sponde asiatica ed africana.

Page 78: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

78 Luigi Di Comite e Stefania Girone

Riferimenti bibliografici

Di Comite L., Moretti E., Demografia e flussi migratori nel bacino mediterraneo, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1992.

— Geopolitica del Mediterraneo, Roma, Carocci, 1999.Imf (International Monetary Fund), 2015, disponibile on line all’indirizzo

http://www.imf.org/en/data.Onu (United Nations, Population Division of the Department of

Economic and Social Affairs of the United Nations Secretariat), World Population Prospects: The 2015 Revision, disponibile on line all’indirizzo http://esa.un.org/unpp.

Page 79: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

3. Il Partenariato euro-mediterraneo alla provadei flussi migratori

di Alessandro Romagnoli

1. I migranti internazionali, ovvero la «risorsa» dimenticata del Partenariato economico-finanziario

A prima vista potrebbe sembrare che momento peggiore di questo per discutere del futuro del Partenariato euro-mediterraneo non ci sia mai stato negli ultimi decenni. Tutti i soggetti che dovrebbero essere parti in causa in questa discussione hanno, infatti, buoni motivi per evitarla. L’Unione europea, in crisi di strategie per la crescita interna e di identità condivisa nei processi di posizionamento che l’economia globalizzata impone, non è più in grado di elaborare progetti di cooperazione al passo con l’evo-luzione dell’economia mondiale e dei paesi con cui ha relazioni di prossimità. I paesi della riva Sud-orientale del Mediterraneo, afflitti da instabilità politica al loro interno e minacciati di di-sgregazione dei propri confini, sono incapaci di dare una svolta al processo di sviluppo, di porre rimedio alla disoccupazione (in particolare a quella giovanile) e di far fronte all’emigrazione di ritorno generata dalle non brillanti condizioni dell’economia europea. I paesi Balcanico-Anatolici, in bilico fra desiderio di agganciarsi all’Unione europea e di allontanarsene per divenirne antagonisti, indugiano in comportamenti opportunistici, finalizzati a godere dei benefici economici che la vicinanza ad uno dei poli dell’economia mondiale prima o poi offre.

Eppure è proprio questa situazione di incertezza sul futuro, di instabilità e di sensazione di impotenza a imporre, ai paesi mediterranei e ai tre aggregati economici istituzionalizzati o meno di cui essi fanno parte, una visione di lungo periodo che permetta di inquadrare in modo meno improvvisato i problemi di vicinato e di elaborare soluzioni che li affrontino alla radice. Le sfide economiche vecchie e nuove che si presentano nello spazio

Page 80: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

80 Alessandro Romagnoli

mediterraneo richiedono, infatti, un progetto di cooperazione che deve andare oltre soluzioni unilaterali, più o meno tollerate, di singoli aspetti delle relazioni mediterranee. In questo quadro non si possono riproporre politiche economico-finanziarie di vicinato (quali quelle promosse in passato dall’Unione europea) che spesso hanno avuto origine dalla volontà di imporre un disegno geo-economico di partenariato1 oppure da valutazioni di sicurezza. Non sarebbero accettabili perché eviterebbero ai paesi dell’area la presa di coscienza della natura collettiva di tutti i fenomeni che si manifestano nel Mediterraneo, l’assunzione di responsabilità nei loro confronti, nonché la consapevolezza che queste sfide impongono un ripensamento delle strategie indivi-duali, un impegno comune e una nuova progettualità condivisa.

Il problema dei flussi migratori (nelle due componenti dei migranti economici e dei rifugiati politici) si presta meglio di altri fenomeni ad illustrare la necessità di un nuovo paradigma per interpretare le relazioni mediterranee e per predisporre politiche di partenariato che le governino nell’interesse di tutti i paesi dell’area. Non tanto perché la migrazione internazionale è apparsa, nell’ultimo ventennio, come la questione centrale nelle relazioni fra gli Stati dell’area e sicuramente anche come la più vivacemente dibattuta in ambito politico comunitario e all’interno degli Stati membri. Neanche perché la situazione di emergenza, recentemente generata nelle economie e nelle società dei paesi di tutte le sponde dalle ramificazioni e degenerazioni del fenomeno, ha imposto la questione all’attenzione quotidiana dei media. Ma perché, in ottica sia analitica che operativa, i flussi migratori rappresentano da un lato i fallimenti delle politiche euro-mediterranee promosse in passato e delle sfide di prossimità che tutti i partner mediterranei si trovano ad affrontare già da anni, e dall’altro una delle cause dei processi di dissenso e disgregazione

1 La geo-economia rappresenta una strategia messa in atto dalle potenze nelle relazioni internazionali. Essa consiste nella ricerca di posizioni di controllo dei mercati e delle relazioni economiche mondiali per garantire sicurezza e benessere al proprio paese senza occupare militarmente i territori degli Stati su cui si esercita l’egemonia. Per questo si contrappone alla geopolitica praticata col colonialismo, i mandati e i protettorati. Si vedano in proposito: Cowen, Smith, After Geopolitics? From the Geopolitical Social to Geoeconomics; Lutwak, From Geopolitics to Geoeconomics. Logic of Conflict,Grammar of Commerce. Al proprio paese senza occupare militarmente i territori degli Stati su cui si esercita l’egemonia.

Page 81: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 81

all’interno dell’Unione europea e di crescente anarchia nelle relazioni fra gli Stati del Mediterraneo Sud-orientale, entrambi molto pericolosi per la convivenza nell’area.

L’ingovernabilità dei flussi migratori mediterranei, la com-parsa di connivenze criminali e l’emergere di problematicità nei processi di integrazione all’interno delle comunità ospitanti dimostrano l’incomprensione della natura del fenomeno e delle sue articolazioni, la mancanza di una sua visione complessiva e l’insuccesso nella gestione dei singoli aspetti che lo compongono. Il problema migratorio non è mai stato considerato una questione di interesse economico diretto o indiretto né dall’Unione europea (che ha relegato la migrazione economica a materia di sicurezza e di relazioni sociali fra i paesi mediterranei nel terzo pilastro della Dichiarazione di Barcellona), né dai paesi di origine dei flussi (che hanno sottovalutato le potenzialità di sviluppo inter-no legate all’esportazione di lavoro e hanno omesso perfino di riconoscere giuridicamente ed economicamente la presenza di rifugiati politici sui loro territori). Dimenticando nel Partenariato economico e finanziario il ruolo dei flussi di risorse lavorative nella creazione di aree di libero scambio si è accettato, da en-trambe le parti, di gestire le migrazioni internazionali nell’am-bito del controllo di sicurezza delle frontiere dell’Unione e di coinvolgere in quella difesa gli stessi paesi di origine dei flussi. Sono stati così predisposti strumenti di prevenzione e repressione dell’illegalità in un’ottica di breve periodo, spingendo i migranti stessi ad affidarsi talvolta agli operatori dell’economia criminale per entrare nei paesi dell’Unione europea, e poi spesso a quelli dell’economia irregolare e illegale per rimanervi una volta che passata la frontiera non sono riusciti a trovare lavoro o a man-tenerlo. Così, attratta dai flussi finanziari e dalle opportunità di guadagni illeciti messi in movimento dal fenomeno (i risparmi dei migranti internazionali e le spese pubbliche per i controlli alle frontiere e per l’accoglienza), la criminalità internazionale e nazionale dedita al contrabbando, ai traffici illeciti e al terrori-smo si è introdotta nel processo, generando in certe circostanze una mescolanza al cui interno è difficile distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è. Anche il problema dell’integrazione è stato gestito in contesti di ordine pubblico più che di diritti ed occupazione. L’inerzia e/o l’agevolazione di una gestione delle relazioni internazionali nell’area Mediterraneo-Medio-orientale

Page 82: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

82 Alessandro Romagnoli

pragmatica e volta a mantenere lo status quo per non turbare una presunta «sicurezza», accompagnata ad una sostanziale ignoranza delle società musulmane e dei loro bisogni e diritti, hanno ingenuamente illuso sia l’Unione europea che i governi dei singoli Stati delle altre sponde mediterranee di poter evitare coinvolgimenti negli eventi che si svolgevano ai loro confini e ripercussioni di quegli avvenimenti sui loro territori.

Per fare fronte alle sfide che il fenomeno della migrazione in-ternazionale nel Mediterraneo pone direttamente e indirettamente occorrono politiche nuove e condivise. Tali politiche possono nascere solo da una conoscenza del fenomeno, da una disamina degli errori compiuti in passato e da una nuova filosofia della cooperazione nell’area. Avendo già trattato quest’ultimo aspetto in precedenza2, la presente riflessione si concentrerà sui primi due argomenti. Il punto di partenza è la natura del fenomeno, e in particolare il fatto che la migrazione internazionale è uno dei caratteri del processo di evoluzione politico-economica dell’area mediterranea e dei paesi retrostanti ormai da oltre 60 anni, tanto che ha dato luogo ad un sistema migratorio articolato e in continuo movimento (par. 2). Il consolidato dei flussi in entrata e in uscita ha prodotto su tutte le sponde una quota di popolazione residente nata all’estero che, se nei paesi dell’Unione europea è in media del 10 per cento, in alcuni del Medio Oriente oscilla fra il 30 per cento e il 40 per cento a causa della componente dei rifugiati (par. 3). Nonostante una lunga tradizione di provvedimenti della Comunità europea e degli Stati membri, talvolta indirizzati (in prospettiva illuminata) a fare della migrazione lo strumento per promuovere l’integrazione nei paesi di arrivo, la gestione del problema è andata progressivamente sviluppandosi in una cornice di «questione sociale e di sicurezza» (par. 4). Ma il problema è di natura prevalentemente economica su entrambe le sponde, e per giunta i processi di globalizzazione in atto impongono che venga impostato in modo nuovo e gestito mediante tecniche di cooperazione aggiornate. È necessario, quindi, che il Partenariato euro-mediterraneo si doti di un nuovo paradigma per la cooperazione economica fra paesi avanzati e paesi in tran-sizione capace di indirizzare, nel caso specifico, analisi e politiche di gestione della migrazione internazionale ben oltre la sicurezza delle frontiere e il «cosviluppo» (par. 5).

2 Cfr. Romagnoli, L’ineludibile centralità del Mediterraneo.

Page 83: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 83

2. Il Mediterraneo come centro di un «sistema migratorio» intercontinentale in espansione

Generalmente i flussi migratori sono alimentati da movimenti di persone in cerca di un’attività economica remunerata all’estero (migranti economici), o che rientrano nel paese di origine per rimanervi dopo un’esperienza di migrazione (migranti di ritor-no), o che si allontanano dal proprio paese per sfuggire ad una persecuzione in conseguenza della loro razza, religione, opinione politica, o perché non si sentono sufficientemente protetti dal loro Stato in tali situazioni (rifugiati politici)3. Questi spostamenti di persone, pur essendo il frutto di decisioni individuali, danno luogo a flussi consistenti di popolazione, favoriti dai migliora-menti dei sistemi di trasporto, comunicazione e trasferimento di capitali finanziari e dalla riduzione dei prezzi dei relativi servizi. Inoltre, essendo generati dal divario di sviluppo fra le economie e da differenti condizioni dei diritti umani, hanno un rilevante impatto su più aspetti della vita sociale sia dei paesi di provenienza che di quelli di destinazione: la loro demografia, la loro economia e la convivenza sociale al loro interno ne risultano pesantemente influenzate.

Il migrante internazionale che alimenta i flussi migratori è definito dalle Nazioni Unite una persona che cambia il luogo della sua residenza abituale4; pertanto i dati relativi ai migranti economici e ai rifugiati politici risultano dagli abitanti di un paese che «sono nati all’estero»5, e non includono coloro che sono entrati in uno Sato violando le norme di ingresso o che non sono autorizzati a rimanervi «migranti irregolari»6. I migranti internazionali giunti in modo regolare in un paese si ripartiscono poi fra migranti economici e rifugiati politici solo qualora venga

3 de Haas, The Internal Dynamics of Migration Processes: A Theoretical Inquiry.

4 Fargues, The Fuzzy Lines of International Migration. A Critical Assessment of Definitions and Estimates in the Arab Countries; Mengoni, Modelli migratori e strategie di sviluppo nel Mediterraneo, pp. 368-369.

5 Ciò fa scomparire i migranti di ritorno e fa dipendere il calcolo dalla definizione di nati all’estero adottata dai singoli paesi.

6 I migranti irregolari sono quindi coloro che entrano in un paese senza permesso di soggiorno o che lo perdono. Poiché anche i primi possono regola-rizzare la propria posizione o possono essere respinti come i secondi, è molto difficile calcolare la consistenza di questo sottoinsieme.

Page 84: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

84 Alessandro Romagnoli

riconosciuto lo status di rifugiato e il diritto all’asilo a coloro che ne fanno richiesta, ritenendo di avere i requisiti previsti dalla convenzione di Ginevra del 1951 e del Protocollo del 1967. Tali accordi mettono in capo agli Stati alcune responsabilità e obblighi in materia e prevedono che essi ne diano esecuzione tramite leggi nazionali. Ma, relativamente ai paesi che prendia-mo in considerazione in questo scritto, se da un lato il tanto discusso Trattato di Dublino del 1990 disciplina la materia per i paesi appartenenti all’Unione europea, dall’altro non vi è stata neanche la ratifica della Convenzione e/o del Protocollo da parte di alcuni paesi mediterranei (per esempio, il Libano, la Siria, la Giordania e la Libia). La loro intenzione di non mettere in discussione fragili equilibri demografici, politici e istituzionali interni con la concessione di speciali diritti ai profughi palesti-nesi, rende a tutt’oggi difficile distinguere le due categorie di migranti internazionali che risiedono nei paesi del Medio Oriente o provengono da quell’area.

Dalla metà del secolo scorso i flussi migratori mediterranei sono andati progressivamente intensificandosi e diversificandosi fino al punto di tessere una fitta ragnatela che copre sia il mare e le terre che vi si affacciano, sia paesi più lontani anche non confinanti con esse. Inizialmente i lavoratori in cerca di occupazione lasciavano i paesi dell’Europa meridionale e raggiungevano i centri indu-striali al di là delle catene montuose che li delimitavano (Pirenei, Alpi, Catene balcaniche); successivamente sono stati individui provenienti dalle sponde asiatiche e africane a cercare lavoro nel vecchio continente (flussi Sud-Nord) o nei pozzi petroliferi del Nord Africa e del Golfo Persico (flussi Sud-Sud). Ad essi si sono affiancati altri movimenti di popolazione originati dall’instabilità politica e dalle guerre, soprattutto nella parte Medio-orientale del bacino del Mediterraneo: si tratta di flussi di profughi che per lungo tempo si sono stanziati vicino ai focolai di guerra, ma che recentemente hanno preso le rotte verso l’Europa percorse dai migranti economici. La frontiera dei paesi di provenienza dei migranti internazionali si è progressivamente spostata verso Sud (al di là del Mediterraneo), e i paesi di origine dei flussi e quelli di destinazione hanno finito per rappresentare punti estremi di network che di fatto mettono in contatto aree economicamente

Page 85: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 85

molto distanti fra loro7 appartenenti a tre continenti, accomunate dalla necessità di fronteggiare e gestire aspetti diversi, e spesso contrastanti, dello stesso problema.

Per comprendere il fenomeno migratorio che interessa l’area mediterranea occorre prendere in considerazione alcuni elementi del «sistema migratorio»8 che la caratterizza. Anzitutto la dire-zione degli spostamenti. Come abbiamo visto sono attivi due flussi: quello Sud-Nord dal Maghreb verso i paesi mediterranei di lingua neolatina e verso quelli del centro Europa (che hanno accolto anche un ingente flusso proveniente dalla Turchia), e quello Sud-Sud che vede marocchini, tunisini ed egiziani spostarsi verso la Libia e lavoratori appartenenti ai paesi mediorientali del Mediterraneo andare a cercare lavoro nei paesi arabi del Golfo Persico. Questi flussi erano, fino agli inizi del XXI secolo, diversi per la durata del progetto migratorio (permanenti nel primo caso e temporanei nel secondo), per il livello di capitale umano dei migranti (professionalmente più esperti i primi, meno i secondi) e per l’impatto sulle economie di provenienza (potenzialmente maggiore nel primo caso rispetto al secondo)9. Recentemente, a causa delle restrizioni e delle difficoltà di accesso in Europa, tali differenze si sono però ridotte facendo convergere i primi vrso i secondi.

Altri due elementi caratterizzanti il sistema migratorio mediter-raneo sono le rotte10 e le modalità di ingresso nel paese ospitante.

7 Poiché la dizione «flussi Sud-Nord» definisce la migrazione da paesi in via di sviluppo a paesi sviluppati e «flussi Sud-Sud» quella fra paesi in via di sviluppo ricchi di manodopera e privi di risorse naturali da sfruttare e paesi in via di sviluppo carenti di forza lavoro e ricchi di risorse, l’affermazione è valida per tutto il sistema migratorio mediterraneo.

8 Si definisce «“sistema migratorio” l’insieme di scambi di persone, re-lativamente stabili, fra nazioni diverse che generano una struttura geografica identificabile come permanente nello spazio e nel tempo» (Massey, Arango, Hugo, Kouaouci, Pellegrino, Taylor, Worlds in Motion: Understanding Inter-national Migration at the End of the Millennium, p. 61.

9 Vedi Mengoni, Modelli migratori e strategie di sviluppo nel Mediterraneo, pp. 340-357.

10 Per un’analisi delle rotte vedi Fargues, Bonfanti, When the Best Option is a Leaky Boat: Why Migrants Risk their Lives Crossing the Mediterranean and what Europe is Doing about it, pp. 3-6. La mobilità delle persone nel Mediterraneo nell’ultimo ventennio e la consistenza dei migranti nei diversi paesi dell’area è analizzata in: Wihtol de Wenden, Human Mobility in the Mediterranean Basin: An Integral Element of the Euro-Mediterranean Partnership.

Page 86: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

86 Alessandro Romagnoli

Tre sono le principali rotte verso l’Europa: c’è un corridoio nel Mediterraneo occidentale presso lo Stretto di Gibilterra, che sfrutta spesso i territori spagnoli sul suolo africano di Ceuta e Melilla e che è percorso anche da migranti provenienti dall’Africa occidentale; c’è il passaggio del Mediterraneo centrale che dalla Tunisia e dalla Libia traghetta migranti verso gli approdi Ue di Malta, di Pantelleria o della Sicilia; c’è poi il passaggio greco che trasferisce verso i Balcani e i paesi europei del centro-Nord i migranti e i profughi del Corno d’Africa, del Sudan, della Siria e dei paesi del Sud-Ovest dell’Asia (Iraq e Afghanistan) provenienti dall’Egitto e dalla Turchia. Bisogna tener presente, però, che i profughi siriani si muovono verso l’Europa centro-settentrionale dopo aver saturato le «capacità di accoglienza» della Turchia e la «capacità di sopportazione» della Giordania e del Libano, paesi verso i quali si erano diretti11 a più ondate a partire dal 1948 anche i profughi palestinesi.

L’intensità dei flussi è, infine, un carattere dei «sistemi migrato-ri» molto problematico da misurare perché, come abbiamo visto, la definizione di migranti internazionale comunemente utilizzata quantifica gli stock di persone non residenti che si trovano nei paesi di destinazione ad un certo momento del tempo e, eventual-mente, ne individua la zona di provenienza. Una rappresentazione completa del fenomeno migratorio richiederebbe però, oltre a queste informazioni, anche la costruzione di serie storiche dei flussi capaci sia di rappresentarne il carattere dinamico, sia di fornire elementi di conoscenza (come i network, i luoghi di partenza e di arrivo e il loro ambiente economico) necessari per elaborare politiche di gestione complessiva del problema. Si farebbe in tal modo chiarezza anche sull’entità della migrazione irregolare e sulla sua connessione con imprevisti avvenimenti politici o economici, cioè sugli scarti da un trend migratorio connesso alla globalizzazione di economie diverse per livelli di opportunità12.

11 Anche l’Egitto e la stessa Siria sono stati paesi di destinazione dei pro-fughi palestinesi.

12 Vedremo più oltre che la migrazione irregolare, pur avendo ripercussioni mediatiche importanti, ha effetti «biblici» solo nei paesi della riva orientale del Mediterraneo; una politica europea consapevole sarebbe in grado di fron-teggiarla sul proprio territorio.

Page 87: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 87

3. Migranti economici, rifugiati e popolazioni autoctone nel-l’«area» mediterranea

Sebbene le statistiche nazionali relative al numero dei migranti internazionali offrano un’immagine statica del fenomeno, esse sono importanti per considerarne l’entità e, quindi, per ragionare sulla sua rilevanza, sui suoi caratteri e sulle misure da prendere per gestirlo. Per questo procederemo ad una sintetica rappre-sentazione statistica della situazione nel Mediterraneo e nelle aree retrostanti rilevanti per la discussione prima di affrontare il quadro delle politiche elaborate dall’Unione europea e parteci-pate dagli altri paesi aderenti al Partenariato euro-mediterraneo. Nelle tabelle che seguono è riportato il numero dei migranti e dei rifugiati presenti nei paesi interessati dal «sistema migratorio» mediterraneo. Nella seconda colonna della tabella 1 compaiono i valori assoluti dei migranti per paese di destinazione e nella terza l’entità di quelli che provengono da paesi del bacino mediter-raneo extra Ue. L’ultima colonna, invece, riporta la percentuale dei migranti sulla popolazione residente.

Nonostante le imprecisioni nella misurazione e le difficoltà di avere dati certi relativamente a diversi paesi, i dati evidenziano comunque i seguenti caratteri e le recenti tendenze nel fenomeno:

– il totale dei migranti presenti nei paesi dell’Unione europea era nel 2015 di 50 milioni (circa il 10 per cento della popolazione residente), con valori uguali o sopra la media per i paesi a maggiore livello di benessere e valori scarsi per quelli a minor benessere. Ad essi andrebbero aggiunti i «migranti irregolari», che nel 2008 oscillavano fra 1,9 e 3,8 milioni di persone13 (con un’incidenza sulla popolazione dell’epoca inferiore a un punto percentuale). Il flusso degli ingressi illegali da tutte le frontiere dell’Unione nell’ultimo quindicennio, intorno ai 100.000 attraversamenti per anno, aveva fatto registrare nel Mediterraneo fra il 1998 e il 2014 un totale di 840.000 persone14. Nel 2015 si erano aggiunti

13 Morehouse, Blomfield, Irregular Migration in Europe, p. 1. Da notare che nello stesso anno negli Stati Uniti erano circa 11 milioni, ma su una popolazione di circa 325 milioni di abitanti (oltre il 3 per cento).

14 Fargues, Bonfanti, When the Best Option is a Leaky Boat: Why Migrants Risk their Lives Crossing the Mediterranean and what Europe is doing about it, pp. 2-5). Secondo questa fonte 15.016 persone sono presumibilmente decedute in mare nello stesso periodo.

Page 88: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

88 Alessandro Romagnoli

circa 1.100.000 arrivi dal Mediterraneo a causa della crisi siriana e irachena. Il confronto fra i dati appena riportati e quelli dello stock del 2008 mostra che gli ingressi nell’Ue via Mediterraneo sono stati la metà degli ingressi illegali e che gli eventuali picchi sono da attribuirsi ad eventi specifici nell’area; inoltre conferma che lo stock di migranti irregolari è influenzato dal numero degli immigrati regolari che perdono tale condizione (vedi nota 5);

– il numero di migranti presenti nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo era nel 2015 di circa 35,5 milioni, di cui un terzo (11,9) provenienti dai paesi mediterranei non appartenenti all’Unione Europea;

Tab. 1. Stock di migranti internazionali nei paesi mediterranei e in altri paesi dell’U-nione europea nel 2015

Paesi

Numero di migranti

(in milioni)

Migranti da paesi mediterranei non

Ue (in milioni)

% di migranti su popolazione

residente

Belgio 1,4 0,2 12,3Germania 12,1 2,3 9,8Olanda 2,0 0,4 11,7Regno Unito 8,6 0,3 13,2Svezia 1,6 0,2 16,7Austria 1,5 0,4 17,5Cipro 0,2 n.s. 13,5Croazia 0,6 0,5 13,6Francia 7,8 3,1 12,0Grecia 1,2 0,6 10,3Italia 5,8 1,6 9,7 Portogallo 0,9 n.s. 8,1Spagna 5,9 0,9 12,7Slovenia 0,2 n.s. 11,4 Albania 0,1 0,1 2,0Macedonia 0,1 0,1 6,3Serbia-Mont. 0,8 n.s. 10,0Turchia 3,0 n.s. 3,8Giordania 3,2 0,9 48,0Israele 2,1 0,4 24,7Libano 2,0 0,8 33,9Libia 0,8 0,7 12,2Siria 0,9 2,2 4,9

Fonte: Nostra elaborazione su dati Iom, World Migration Report 2015.

Page 89: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 89

– circa 27 milioni e mezzo era invece il numero dei migranti nei paesi centro-settentrionali dell’Unione europea, di cui meno del 15 per cento provenienti dai paesi mediterranei extra Ue. L’incidenza dei migranti mediterranei sui paesi meridionali dell’Unione Europea era quindi più che doppia di quella degli altri membri dell’Unione, nei quali la provenienza delle persone è meno territorialmente concentrata;

– il totale dei migranti dei paesi orientali del Mediterraneo era, invece, di circa 8 milioni su una popolazione di 40, quindi in quest’area la presenza media di nati all’estero era doppia di quella dell’Unione. Se consideriamo poi le situazioni nazionali possiamo notare la problematicità sia del Libano che della Giordania (dove i migranti raggiungono la consistenza della popolazione residente).

La tabella 1 mostra, quindi, che nel Mediterraneo ci sono due aree che attraggono, per motivi diversi, i migranti inter-nazionali: da un lato ci sono i paesi meridionali dell’Unione su cui si esercita la forza centripeta dell’economia, dall’altro c’è la sponda orientale che accoglie migranti forzati a spostarsi per avere possibilità di sopravvivere in attesa di migliori condizioni socio-politiche dei loro paesi. Si tratta per lo più di potenziali rifugiati che si accalcano alle frontiere esterne del proprio paese, come mostra la tabella 2 nei casi di Siria, Giordania e Libano; i migranti economici dell’area, come mostrano i dati dell’Egitto e della Giordania, si dirigono, infatti, verso i paesi del Golfo Persico. Invece le destinazioni dei migranti maghre-bini sono proprio i paesi meridionali dell’Ue mentre turchi e siriani si dirigono (anche se per motivi diversi) verso l’Europa centro-settentrionale.

Questa breve rassegna statistica ci mostra come i flussi di migranti economici e di rifugiati politici che raggiungono oggi con inattesa intensità i paesi dell’Unione europea non sono altro che la punta di un iceberg, ossia di un sistema migratorio intercontinentale in espansione avente nel Mediterraneo il suo centro. Questo sistema migratorio, nato nel secondo dopoguerra e alimentato fino agli anni ’70 da cittadini iberici, italiani, greci e turchi, ha accompagnato il processo di sviluppo dei loro paesi e dei paesi del centro Europa che li hanno ospitati. Successivamente si è allargato ai paesi della riva sudorientale del Mediterraneo e si è arricchito di un flusso Sud-Sud, supportando anche in questo caso

Page 90: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

90 Alessandro Romagnoli

lo sviluppo dei paesi di provenienza15 e contribuendo alla crescita dei paesi europei sviluppati di vecchia e nuova generazione. Infine, il sistema migratorio mediterraneo oggi sta vivendo un’ulteriore fase di espansione che vede i paesi da cui si sono recentemente originati i flussi divenire a loro volta paesi di approdo da zone più lontane dal Mediterraneo16. Questa progressiva espansione del sistema migratorio ed inversione dei flussi mostra da un lato che tutti i paesi in fase di crescita hanno bisogno della migrazione o per spingere il processo di sviluppo o per continuarlo, dall’altro che tutti i paesi di origine dei flussi diventeranno paesi di destinazione migliorando le loro condizioni economiche.

Anche il problema dei profughi non è nuovo nel Mediterraneo: ha avuto origine sulla sponda orientale oramai 70 anni addietro (cioè a partire dalla prima guerra israelo-palestinese) e negli anni recenti è stato aggravato dai rifugiati siriani che hanno investito

15 Per un’analisi del contributo della migrazione al processo di sviluppo dei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa vedi Romagnoli, Mengoni, The Economic Development Process in the Middle East and North Africa, cap.8.

16 Vedi Markusen, Factor Movements and Commodity Trade as Comple-ments; Schiff, Substitution in Markusen’s Classic Trade and Factor Movement Complementarity Models.

Tab. 2. Stock di emigrati dai paesi del Mediterraneo Sud-orientale

PaesiN

umer

o di

em

igra

ti (i

n m

ilion

i)

% d

i em

igra

ti su

po

pola

zion

e re

side

nte

Pri

ncip

ali p

aesi

di d

estin

azio

ne

degl

i em

igra

ti(i

n m

ilion

i)

Marocco 2,9 7,6 0,9 Francia, 0,7 Spagna, 0,4 ItaliaAlgeria 1,8 4,3 1,4 FranciaTunisia 0,7 5,5 0,4 FranciaTurchia 3,2 3,8 1,7 Germania; 0,3 Francia; 0,2 OlandaSiria 5,0 21,3 1,6 Turchia; 1,3 Libano; 0,7 GiordaniaGiordania 0,7 9,1 0,2 Arabia S.; 0,2 EauLibano 0,8 12 n. s.Egitto 3,2 3,5 1,0 EAU; 0,7 Arabia S.; 0,4 Kuwait

Fonte: Nostra elaborazione su dati Iom, World Migration Report 2015.

Page 91: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 91

della loro condizione anche i paesi balcanici e quelli dell’Unione europea. Diversamente dalla migrazione per motivi di lavoro, che presenta giustificazioni economiche all’uscita e interessi economici per l’ospitante, nel caso dei rifugiati politici ci sono conseguenze certe di natura economica solo per i paesi di approdo, essendo politici i motivi che spingono ad andarsene dal proprio paese17. Le migrazioni internazionali sono quindi, in entrambe le versioni, un problema comune ai paesi che in qualche modo ne risultano coinvolti, perciò è necessario un impegno di entrambi i fronti per condividerlo e risolverlo, o meglio per gestire questo aspetto delle relazioni fra economie moderne.

4. Le politiche migratorie euro-mediterranee fra sicurezza delle frontiere e promozione dell’integrazione

Pur avendo le migrazioni mediterranee una prevalente mo-tivazione economica o di protezione dell’incolumità personale, la loro gestione nell’ambito delle politiche di Partenariato euro-mediterraneo è stata interpretata come questione attinente il con-trollo delle frontiere dell’Unione e la «sicurezza» nell’area (a sua volta concepita come la salvaguardia delle relazioni economiche e politiche consolidate attraverso un sistema di complicità con i partner). A riprova del fatto che gli strumenti impiegati non fossero solo inadatti a gestire il problema in questione, ma anche inefficaci per risolvere quelli di loro pertinenza, il bilancio di un ventennio di politiche in materia si chiude con lo scardinamento delle frontiere meridionali dell’Unione da parte di crescenti flussi di rifugiati/migranti economici e con la crisi politica dell’intera area, da cui deriva lo stato di guerra in molti paesi della sponda sudorientale e l’insicurezza e l’immobilismo all’interno di quelli della riva settentrionale.

È stata proprio la Dichiarazione di Barcellona ad indirizzare in quella direzione le politiche migratorie. Infatti, pur ricono-

17 Questa fuoriuscita provoca anche conseguenze economiche per i paesi di origine dei flussi perché i rifugiati portano con sé tutti i capitali monetizzabili. D’altro canto sono l’impossibilità di determinare ex ante l’entità di questo onere per i paesi di destinazione (a causa del processo di accertamento delle condizioni di rifugiato) e la volontà di non sostenerlo fattori che generano reticenze e inadempienze degli stati di destinazione.

Page 92: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

92 Alessandro Romagnoli

scendo l’importanza delle migrazioni nelle relazioni mediterranee, essa attribuiva la gestione del problema al «Partenariato nei settori sociale, culturale e umano: sviluppo delle risorse umane, promozione della comprensione tra le culture e degli scambi tra le società civili». In tale ambito, però, una volta sommariamente dichiarato l’impegno a ridurre le pressioni migratorie con pro-grammi di formazione e a garantire ai migranti regolari tutti i diritti riconosciuti loro dalle singole legislazioni nazionali, venivano individuate, quali azioni per «il conseguimento degli obiettivi della Dichiarazione di Barcellona e il rispetto dei principi ivi enunciati» in materia, l’uso di strumenti di controllo e di repressione per il contenimento dei flussi, la lotta alla migrazione irregolare e il coinvolgimento dei paesi di provenienza in queste politiche18. Paradossalmente, le misure previste erano, nella sostanza, più adatte a portare avanti il «Partenariato politico e di sicurezza», piuttosto che quello sociale, culturale e umano.

Questo quadro concettuale veniva riproposto anche nelle Conclusioni della Presidenza del Consiglio dell’Unione europea di Tampere del 1999 dove, tuttavia, si prendeva coscienza della complessità giuridica del problema delle migrazioni interna-zionali, delle sue sfaccettature e della necessità di un assetto normativo comune per i paesi dell’Unione. Accanto alle pro-poste di un regime europeo in materia di asilo, di accordi sulla protezione temporanea degli sfollati, di un ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei paesi terzi, di una gestione dei flussi migratori in tutte le fasi, con politica comune in materia di visti e documenti falsi ed eventuali servizi comuni dell’Ue preposti al rilascio dei visti, andavano specificandosi i termini della lotta all’immigrazione illegale (stigmatizzata come reato grave), della proposta di coinvolgemento degli Stati membri e dell’Europol per individuare e smantellare le organizzazioni criminali che la gestivano e la supportavano e di assistere i paesi di origine e di transito nell’adempimento dei loro obblighi di riammissione nei confronti dell’Unione e degli altri Stati partner. L’unico passo in avanti sulla questione era rappresentato dall’auspicio di una politica di integrazione mirante a garantire ai migranti regolari diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell’Ue, auspicio

18 Vedi Commissione europea, Dichiarazione di Barcellona, allegato.

Page 93: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 93

Tab. 3. Atti dell’Ue, obiettivi, principi e/o strumenti per gestire l’immigrazione internazionale

Atto Dichiarazione finale della Conferenza ministeriale euro-mediterranea di Barcellona, 27-28 novembre 1995

Obiettivo Fondare il Partenariato tra Ue e dodici paesi del Sud del Mediterra-neo per rendere il Mediterraneo uno spazio comune di pace, stabilità e prosperità, attraverso il rafforzamento del dialogo politico e sulla sicurezza, la cooperazione economica e finanziaria, sociale e culturale

Principi e/o strumenti a) Riconoscimento dell’importante ruolo svolto dalle migrazioni nelle relazioni Mediterranee; b) impegno ad accrescere la cooperazione per ridurre le pressioni mi-gratorie con programmi di formazione professionale e di assistenza per la creazione di posti di lavoro nei paesi di origine;c) impegno a garantire la protezione di tutti i diritti riconosciuti dai singoli paesi europei, ai migranti legalmente residenti nei rispettivi territori;d) decisione di instaurare una più stretta cooperazione per fronteggia-re l’immigrazione clandestina;e) proposta di adottare le pertinenti disposizioni e misure, mediante accordi o regimi bilaterali con i paesi di provenienza, per riammettere i loro cittadini che si trovino in situazione irregolare, consapevoli del-le loro responsabilità per quanto riguarda la riammissione.

Atto Conclusioni della Presidenza del Consiglio dell’Unione europea di Tampere, 15-16 ottobre 1999

Obiettivo Creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’Unione europea.

Principi e/o strumenti a) Promozione di un regime europeo comune in materia di asilo, ba-sato sull’applicazione della Convenzione di Ginevra e sul manteni-mento del principio di non-refoulement;b) ricerca di accordi sulla protezione temporanea degli sfollati, basato sulla solidarietà tra gli Stati membri;c) politica di integrazione mirante a garantire ai migranti regolari di-ritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell’Ue;d) ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei paesi terzi;e) gestione dei flussi migratori in tutte le fasi, con politica comune in materia di visti e documenti falsi, ed eventuali servizi comuni dell’Ue preposti al rilascio dei visti;f) lotta all’immigrazione illegale (con sanzioni severe contro tale grave reato) coinvolgendo gli Stati membri e l’Europol per individuare e smantellare le organizzazioni criminali coinvolte;g) assistenza ai paesi di origine e di transito ad adempiere i loro ob-blighi di riammissione nei confronti dell’Unione e degli Stati membri.

Atto Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Salonicco, 19 e 20 giugno 2003

Obiettivo Elaborazione di una politica comune in materia di immigrazione clan-destina, frontiere esterne, rimpatrio dei clandestini e cooperazione con i paesi terzi, in materia di asilo e per lo sviluppo, a livello di Unio-ne europea, di una politica di integrazione dei cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente nel suo territorio.

Principi e/o strumenti a) Visti;b) gestione delle frontiere esterne;c) rimpatrio dei clandestini;d) partenariato con i paesi terzi;e) risorse finanziarie e ripartizione degli oneri.

(segue)

Page 94: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

94 Alessandro Romagnoli

Tab. 3. (segue)

Atto Regolamento del Consiglio europeo n. 2007/2004 (Frontex), 26 ot-tobre 2004

Obiettivo Istituzione dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne onde migliorare la gestione integrata delle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, di-sciplinare lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Ue, la libera circolazione delle persone, l’attraversamento delle frontiere esterne.

Principi e/o strumenti L’agenzia procede:a) all’analisi dei rischi;b) alla formazione delle guardie di confine;c) al controllo e alla sorveglianza delle frontiere esterne;d) al sostegno per il rimpatrio congiunto.

Atto Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles, 15/16 dicembre 2005

Obiettivo Intervenire in modo da ridurre i flussi migratori clandestini, garantire il rientro dei migranti clandestini, consolidare soluzioni durevoli per i profughi e sviluppare capacità per meglio gestire la migrazione, anche ottimizzando i benefici per tutti i partner coinvolti nella migrazione regolare, nel pieno rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto della persona di chiedere asilo.

Principi e/o strumenti Approccio globale in materia di migrazione (Gam):a) cooperazione con gli Stati africani per portare avanti le attività di Frontex;b) migrazione come priorità comune per il dialogo politico tra l’Ue e l’Unione africana;c) studio per meglio comprendere le cause all’origine della migrazio-ne, onde sostenere l’approccio a lungo termine;d) utilizzo degli ambiti di cooperazione disponibili con i partner me-diterranei per prevenire e combattere la migrazione clandestina e la tratta degli esseri umani, sviluppare la capacità di meglio gestire la migrazione ed esplorare il miglior modo di condividere le informa-zioni sulla migrazione regolare e sulle opportunità offerte dal mercato del lavoro.

Atto Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, 24 settembre 2008

Obiettivo Costituire la base per le politiche dell’Ue in materia di immigrazione e di asilo, in uno spirito di reciproca responsabilità e solidarietà tra gli Stati membri e di rinnovato partenariato con i paesi terzi.

Principi e/o strumenti Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo:a) organizzazione dell’immigrazione legale tenendo conto delle prio-rità, delle esigenze e delle capacità d’accoglienza stabilite dagli Stati membri e favorire l’integrazione degli immigrati;b) controllo dell’immigrazione clandestina e supporto per il ritorno volontario dei migranti nel loro paese di origine o di transito;c) controlli efficaci alle frontiere;d) costruzione di un quadro europeo in materia di asilo;e) creazione di un partenariato globale con i paesi terzi per favorire le sinergie tra migrazione e sviluppo;f) istituzione del Fondo asilo, migrazione e integrazione (Amif) e del Fondo sicurezza interna (Isf).

(segue)

Page 95: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 95

reiterato nelle Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Salonicco del 2003 incentrata sulle misure per rafforzare le frontiere esterne dell’Unione19 e nella Dichiarazione di Marsiglia del 2000 relativa ai lavori della Conferenza euro-mediterranea dei ministri degli Affari Esteri, dove, in direzione di un’apertura verso le conseguenze economiche della migrazione, compariva anche

19 Consiglio europeo di Salonicco, Conclusioni della Presidenza.

Tab. 3. (segue)

Atto Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Con-siglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 20 luglio 2011

Obiettivo Proporre i principi fondamentali comuni per la politica di integra-zione (intesa come un processo dinamico e bilaterale di adeguamen-to reciproco degli immigrati e delle società ospiti) degli immigrati nell’Unione europea

Principi e/o strumenti L’Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi pro-pone: a) di gestire l’integrazione per sfruttare il potenziale dell’immigra-zione, creando condizioni favorevoli alla partecipazione economica, sociale, culturale e politica degli immigrati; b) di attivare gli attori locali del paese di destinazione;c) di coinvolgere nell’integrazione i paesi di origine.

Atto Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Con-siglio, al Comitato Economico e Sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 18 novembre 2011

Obiettivo L’approccio globale in materia di migrazione e mobilità dev’essere considerato e promosso come quadro generale della politica migra-toria esterna dell’Ue; deve basarsi su autentici partenariati con i paesi terzi e affrontare in modo globale ed equilibrato le questioni di mi-grazione e mobilità.

Principi e/o strumenti Approccio globale in materia di migrazioni e mobilità si basa su 4 pilastri:a) organizzazione e agevolazione della migrazione legale e della mo-bilità;b) prevenzione e riduzione della migrazione irregolare e della tratta degli esseri umani;c) promozione della protezione internazionale e rafforzamento della dimensione esterna della politica di asilo;d) aumento dell’incidenza della migrazione e della mobilità sullo svi-luppo.

Atto Regolamento (Ue) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Con-siglio, 26 giugno 2013 (Regolamento del Consiglio europeo (Ce) n. 343/2003, 18 febbraio 2003).

Obiettivo Stabilire i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato mem-bro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo.

Fonte: Nostra elaborazione.

Page 96: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

96 Alessandro Romagnoli

un accenno al cosviluppo20. Ma, al di là di alcune illuminate suggestioni, fu il processo inteso a rendere sicure le frontiere ad andare avanti e a raggiungere il suo apice nel 2004 con la creazione di Frontex, cioè dell’Agenzia che doveva provvedere a quei compiti21. Paradossalmente, come hanno dimostrato gli eventi più recenti, la creazione dell’Agenzia ha istituzionalizzato il legame fra sicurezza, terrorismo, migrazione e confini senza risolvere né i problemi delle migrazioni internazionali né quelli della sicurezza esterna dell’Unione europea: per questo Frontex si configura solo come la risposta alla disintegrazione dell’atteg-giamento comunitario nei confronti della sfida proposta da quei problemi22.

I successivi 10 anni della politica europea in materia non hanno mutato sostanzialmente il quadro concettuale, pur pre-sentando sviluppi nelle direzioni già individuate in precedenza. Si può dire che tre sono i campi in cui si è concentrato l’inter-vento dell’Unione volto a gestire il problema delle migrazioni internazionali:

a) le politiche per rendere sicure le frontiere, che sono state definite meglio registrando sia un completo coinvolgimento dei paesi della riva sudorientale che un impegno finanziario dell’U-nione e dei suoi membri allo scopo; ciò ha fatto sorgere più di un dubbio sul venir meno dell’Europa a molti dei suoi principi costitutivi, nonché a quelli contenuti in convenzioni internazio-nali (come quella di Ginevra). A questo tipo di indirizzo vanno ascritti, tra altri, gli interventi previsti nell’Approccio Globale in materia di Migrazione del 2005 per potenziare Frontex e per prevenire e combattere la migrazione clandestina, nonché il supporto per il ritorno volontario dei migranti nel loro paese di origine o di transito previsto dal Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo del 2008;

20 Il punto 26 del documento, infatti, recita: «È stata sottolineata l’importanza della dimensione umana del Partenariato. In proposito, i ministri hanno appro-vato le conclusioni della prima riunione ad hoc degli Alti Funzionari (ottobre 2000) sulle migrazioni e gli scambi umani e hanno sottolineato l’importanza di approfondire il dialogo in materia, privilegiando un approccio globale ed equilibrato e rafforzando le politiche di cosviluppo e di integrazione dei citta-dini dei Paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri».

21 Regolamento (Ce) n. 2007/2004 del Consiglio.22 Cfr. Neal, Securitization and Risk at the Eu Border: the Origins of Frontex.

Page 97: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 97

b) la promozione di un quadro giuridico europeo in materia di asilo, proposta dal Patto europeo sulla immigrazione e l’asilo del 2008 e portata avanti col regolamento del 2013;

c) il riconoscimento dell’importanza delle migrazioni econo-miche, delle sinergie fra migrazione e sviluppo (Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo del 2008), e dell’integrazione dei migranti nelle comunità di destinazione (Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi del 2011, e Approccio globale in materia di migrazione e mobilità del 2011).

5. Migrazioni internazionali e Partenariato euro-mediterraneo: oltre il «cosviluppo», verso una nuova forma di coopera-zione economica

L’Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi, proponendo di sfruttare il potenziale dell’immigrazione nei paesi di destinazione attraverso la creazione di condizioni favorevoli alla partecipazione economica, sociale, culturale e politica degli immigrati e di attivare gli attori locali a questo scopo, pone le basi per inquadrare in modo appropriato le politiche sociali comuni-tarie. Anche l’intenzione di coinvolgere nell’integrazione i paesi di origine per gestire i flussi attraverso il supporto ai migranti e il loro inserimento nelle comunità della diaspora aggiunge un ulteriore strumento per il buon esito di quelle politiche. Infine, l’auspicio di un assetto giuridico di diritti e doveri per i migranti uguale a quello dei cittadini nativi in modo da trasmettere loro un senso di appartenenza alla comunità ospitante, è quantomeno un requisito necessario per l’accoglienza. Una simile piattaforma giuridico-operativa è necessaria per affrontare il problema della pace sociale e della sicurezza nei paesi membri dell’Unione. Ma l’integrazione e l’estensione dei diritti di cittadinanza sono solo uno degli aspetti del fenomeno migratorio, quello che attiene la sfera giuridico-sociale del migrante nei paesi di destinazione. Su questo versante c’è però anche un aspetto economico da tenere in considerazione, il ruolo svolto dal migrante all’interno dell’e-conomia che lo ospita.

Il migrante è ormai, nei paesi ad alto reddito globalizzati e caratterizzati da una lenta diminuzione della popolazione autoc-tona, l’equilibratore della struttura per classi della popolazione.

Page 98: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

98 Alessandro Romagnoli

Infatti, avendo le famiglie degli immigrati un tasso di natalità superiore a quello dei nativi, aiutano a mantenere costante il flusso in ingresso nel mercato del lavoro23, ossia la quantità di manodopera richiesta dalla base produttiva dell’economia per assicurare il livello di benessere raggiunto. Egli è un lavoratore necessario per portare avanti attività per le quali non c’è offerta di manodopera nazionale (servizi alla persona, attività usuranti), risponde quindi ad una carenza del mercato del lavoro. Inoltre la sua partecipazione all’economia permette di equilibrare il mec-canismo pensionistico sia nei sistemi a ripartizione che in quelli assicurativi. Tutto ciò impone, per la difesa degli interessi delle economie avanzate, politiche a favore di un inserimento stabile nel mercato del lavoro e non misure volte a generare un’offerta flessibile di tipo interinale come pare prevedere l’Approccio globale in materia di migrazioni e mobilità e l’Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi24. Per questi motivi è nell’interesse dell’Unione europea favorire l’immigrazione; la con-centrazione del partenariato economico-finanziario sugli scambi di merci e di mezzi finanziari, oltre ad essere parziale perché non considera gli scambi del fattore lavoro, è quindi anche miope25.

Un’altra carenza delle politiche euro-mediterraneo per gestire l’immigrazione, molto importante non solo dal punto di vista dell’impostazione metodologica del Partenariato ma anche della prospettiva di un miglioramento delle condizioni economiche di tutta l’area, è quella di essere unilaterali. Al di là delle dichiara-zioni di principio il migrante non viene visto come agente dello sviluppo del proprio paese di origine, non si prevedono azioni di sostegno in questa direzione per aiutare i paesi di origine a predisporre canali di supporto all’imprenditorialità di chi rientra in patria o per creare collegamenti fra i migranti e le iniziative economiche nelle zone di provenienza. Non hanno questo respiro

23 In questo modo la struttura per classi di età della popolazione non avrà la forma del fiasco, ma della bottiglia.

24 In questo documento si propone di organizzare l’immigrazione legale tenendo conto delle priorità, delle esigenze e delle capacità d’accoglienza sta-bilite dagli Stati membri in un più ampio processo di movimento all’interno dei confini dell’Unione.

25 Inoltre non tiene conto, dal punto di vista teorico, del rapporto fra merci e lavoro che interviene in un contesto dinamico in cui i due fattori possono essere sia sostituti che complementi (vedi nota 16).

Page 99: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 99

le iniziative di «cosviluppo» a cui viene talvolta favorevolmente fatto riferimento nei documenti comunitari.

Col termine «cosviluppo» vengono generalmente individuati processi di natura diversa: strategie di sviluppo, politiche di coo-perazione tra i paesi di origine e di destinazione dei migranti per la gestione dei flussi migratori, progetti di cooperazione interna-zionale decentrata nei quali le associazioni di migranti hanno ruoli primari, gestione dei flussi di migranti nei processi di integrazio-ne26. Come si vede il concetto non ha una fondazione teorica, ma serve operativamente per individuare buone pratiche di gestione di esperienze di cooperazione internazionale non coordinate. E, in effetti, come tale il concetto è menzionato nelle Conclusioni della Conferenza di Tampere e nell’Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi, dove si sottolinea che è stato fatto proprio da esperienze nazionali messe in atto in Spagna, Francia e Italia. L’emigrazione come leva dello sviluppo economico del paese di provenienza e come equilibratore del processo di crescita dei paesi di destinazione necessita invece l’elaborazione di un progetto di Partenariato di medio periodo ben più ampio delle esperienze di co-sviluppo: impone, infatti, di ripensare la cooperazione econo-mica fra paesi a differenti livelli di reddito.

Riferimenti bibliografici

Commissione europea, Comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo, Verso una gestione integrata delle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea, Bruxelles, 233/2002.

– Comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo in prepa-razione alla riunione dei ministri degli Esteri Euro-Mediterranei di Valencia, Bruxelles, 22-23 aprile 2002.

Commissione europea, Dichiarazione di Barcellona, Barcellona, 27-28 novembre 1995.

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sul Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo, Bruxelles, 319/20 maggio 2008.

26 Cfr. Lacroix, Politiques de codéveloppement et le champ associatif immigré africain: un panorama européen; Riccio, Avventure e disavventure dei processi di co-sviluppo; Direzione generale cooperazione sviluppo, Linee guida sulla cooperazione decentrata.

Page 100: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

100 Alessandro Romagnoli

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi, Bruxelles, 0455/ 20 luglio 2011.

— Approccio globale in materia di migrazioni e mobilità, Bruxelles, 0743/18 novembre 2011.

Conferenza euro-mediterranea dei Ministri degli Affari Esteri, Dichia-razione di Marsiglia, Marsiglia, 15-16 novembre 2000.

Consiglio dell’Unione europea, Conclusioni della presidenza sul Con-siglio straordinario di Tampere, Tampere, 15-16 ottobre 1999.

— Conclusioni della presidenza, Bruxelles, 8 dicembre 2004. Consiglio europeo di Salonicco, Conclusioni della Presidenza, Salonicco,

19 e 20 giugno 2003.Consiglio europeo di Bruxelles, Conclusioni della Presidenza, Bruxelles,

15-16 dicembre 2005.Cowen D., Smith N., After Geopolitics? From the Geopolitical Social

to Geoeconomics, in «Antipode», 41, 1, 2009, pp. 22-48. de Haas H., The Internal Dynamics of Migration Processes: A Theoret-

ical Inquiry, in «Journal of Ethnic and Migration Studies», 36, 2010, pp. 1587-1617.

Fargues F., The Fuzzy Lines of International Migration. A Critical Assessment of Definitions and Estimates in the Arab Countries, Fiesole, Eui, Working Paper Rscas 2014/71, 2014.

Fargues F., Bonfanti S., When the Best Option is a Leaky Boat: Why Migrants Risk their Lives Crossing the Mediterranean and what Europe is doing about it, Fiesole, Eui Migration Policy Centre, Policy Brief, 5, 2014.

International Organization for Migration (Iom), World Migration Report 2015, Ginevra, 2015.

Lacroix T., Politiques de codéveloppement et le champ associatif immigré africain: un panorama européen, in «The African Yearbook of International Law», 16, 2009.

Lutwak E., From Geopolitics to Geoeconomics. Logic of Conflict, Gram-mar of Commerce, in «The National Interest», 20, 1990, pp. 17-23.

Markusen J.R., Factor Movements and Commodity Trade as Comple-ments, in «Journal of International Economics», 14, 3-4, 1983, pp. 341-356.

Massey D.S., Arango J., Hugo G., Kouaouci A., Pellegrino A., Taylor E.J., Worlds in Motion: Understanding International Migration at the End of the Millennium, Oxford, Clarendon Press, 1998.

Mengoni L., Modelli migratori e strategie di sviluppo nel Mediterraneo, in Economia e istituzioni dei paesi del Mediterraneo, a cura di A. Amendola, E. Ferragina, Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 331-373.

Page 101: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il Partenariato euro-mediterraneo alla prova dei flussi migratori 101

Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale Cooperazione Svi-luppo (Dgcs), Linee guida sulla cooperazione decentrata, Roma, marzo 2010.

Morehouse C., Blomfield M., Irregular Migration in Europe, Washington, Migration Policy Institute, 2011.

Neal A.W., Securitization and Risk at the EU Border: The Origins of Frontex, in «Journal of Common Market Studies», 47, 2, 2009, pp. 333-356.

Regolamento (Ce) n. 2007/2004 del Consiglio, del 26 ottobre 2004, che istituisce un’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, disponibile on line all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A02004R2007-20131202.

Regolamento (Ue) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, disponibile on line all’indirizzo http://data.europa.eu/eli/reg/2013/604/oj.

Riccio B., Avventure e disavventure dei processi di co-sviluppo, in «Et-noAntropologia», 2, 2014, pp. 95-103.

Romagnoli A., L’ineludibile centralità del Mediterraneo, in Rapporto sulle economie del Mediterraneo. Edizione 2015, a cura di E. Ferragina, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 31-52.

Romagnoli A., Mengoni L., The Economic Development Process in the Middle East and North Africa, Londra, Routledge, 2014.

Schiff M., Substitution in Markusen’s Classic Trade and Factor Movement Complementarity Models, Policy Research Working Paper Series 3974, Washington, The World Bank, 2006.

Wihtol de Wenden C., Human Mobility in the Mediterranean Basin: An Integral Element of the Euro-Mediterranean Partnership, Barcelona, IeMed Yearbook, 2009, pp. 133-39, disponibile on line all’indirizzo http://www.iemed.org/anuari/2009/aarticles/a125.pdf.

Page 102: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 103: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

4. Nuovi scenari delle migrazioni internazionalisulla frontiera mediterranea: cronaca di undisastro europeo

di Fabio Amato

1. Un antico crocevia ancora centrale

A diverso titolo, le migrazioni hanno caratterizzato questi rapporti annuali1, a riprova della centralità del fenomeno nell’an-damento complessivo dello scacchiere geopolitico mediterraneo in una prospettiva socio-economica oltre che demografica e culturale. Parafrasando quanto scriveva Pizzigallo nell’ultimo Rapporto2, si può affermare che gli ultimi dieci anni hanno l’in-tensità e l’impatto di un secolo intero per gli stravolgimenti e le incerte prospettive che si delineano all’orizzonte per le migrazioni internazionali: una distribuzione territoriale più articolata; gli effetti della crisi economica iniziata nel 2008; la conseguente riduzione degli arrivi per motivi di lavoro, cui fa da contraltare l’incremento degli arrivi umanitari come conseguenza degli stravolgimenti geopolitici («primavera araba», conflitti intestini in Iraq, Siria, Libia e nel Corno d’Africa con il consolidarsi del potere trasversale dell’Is, senza dimenticare le tensioni interne dell’Ucraina). Uno scenario che ci conduce a ritenere che si sia aperto un nuovo ciclo delle migrazioni differente dai precedenti3.

Il rischio di leggere le migrazioni solo attraverso la cronaca degli episodi degli ultimissimi anni è dietro l’angolo, ma è indu-bitabile che il futuro che si prospetta è di non facile decodifica. Il soccorso della braudeliana longue durée ci aiuta a comprendere come le migrazioni possano essere considerate un connotato di questo specchio di mare.

1 Già nel Rapporto di esordio del 2005 si ha il contributo di Caruso, I flussi migratori.

2 Pizzigallo, Dieci anni come un secolo: un’ipotesi di lettura critica.3 Fondazione Ismu, Ventunesimo rapporto sulle migrazioni 2015.

Page 104: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

104 Fabio Amato

La lunga storia del Mar Mediterraneo si è caratterizzata per mobilità, spostamenti e flussi imponenti che hanno generato con-taminazioni e trasformazioni: dalle migrazioni degli indo-europei di era preistorica, all’arrivo degli arabi e dei turchi in Europa. Si tratta d’incroci, conflitti e convergenze che hanno assunto nuove forme negli ultimi secoli, attraverso movimenti migratori stagionali e definitivi già dall’Ottocento in maniera significativa4. Dagli spostamenti dei Fenici ai processi diasporici degli Ebrei e degli Armeni, passando per le grandi emigrazioni dal Sud Europa verso le Americhe e poi verso il Nord Europa, siamo in presenza di una tale intensità di eventi (e velocità in epoche recenti) che è impossibile e forse inutile tentare di sintetizzarli in poche battute. Nondimeno, si tratta di una lunga storia di questo crocevia di culture e popoli attraverso la quale è possibile, pur in presenza di logiche e dinamiche differenti, comprendere meglio gli attuali processi migratori e, in generale, giustificare come mai permanga un’importante centralità nell’insieme delle traiettorie della mo-bilità umana5. Non è un caso che, pur in presenza di un declino progressivo nella dinamica dell’economia globale, la macroregione mediterranea rappresenti nella contemporaneità ancora una delle tre principali aree di frizione delle migrazioni internazionali assieme all’area asiatica e alla frontiera Stati Uniti-Messico.

Nell’articolato incrocio di mobilità, quasi tutti i paesi rivieraschi sono interessati a diverso titolo dalle migrazioni internazionali. I paesi della riva settentrionale, in particolare, dopo esser stati a lungo esportatori di manodopera, con il riassetto dell’economia internazionale in senso post-fordista degli anni ’70, sono divenuti anche luoghi di arrivo dei flussi migratori, fino a far prevalere in maniera marcata gli arrivi rispetto alle partenze che, sebbene notevolmente rallentate, sono proseguite, interessando profili di specializzazione sempre più elevati degli emigranti.

Provare a fotografare le migrazioni nel contesto mediterraneo non è dunque di per sé semplice ed è diventato, se possibile, ancora più complicato con il precipitoso susseguirsi degli eventi degli ultimi due anni che autorizza i media a raffigurare il fenomeno migratorio come un’emergenza permanente, espressione che, a ben vedere, contiene una contraddizione in termini.

4 Liauzu, Histoire des migrations en Méditerranée Occidentale. 5 Bade, L’Europa in movimento.

Page 105: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Nuovi scenari delle migrazioni internazionali 105

Dopo aver tratteggiato le attuali consistenze del fenomeno migratorio nei paesi mediterranei con particolare attenzione a quelli dell’Europa meridionale, sarà destinato spazio al repentino incremento quantitativo di sbarchi, arrivi e richieste d’asilo che configurano una condizione che non conosce precedenti.

Gli stock e i flussi di stranieri si incrociano e, a un primo li-vello interpretativo, possono apparire come due angolature con cui è possibile leggere lo stesso fenomeno, in realtà se si tratta di esiti dello stesso processo di spostamento tra paesi diversi, uno dei maggiori pericoli delle semplificazioni cui si assiste si fonda proprio sulla sovrapposizione e confusione di step differenti che meritano modalità di analisi diverse. A titolo di esempio, gli immigrati che vivono e territorializzano l’Italia in questi decenni non sono sovrapponibili con chi sbarca oggi sulle coste siciliane.

2. Il quadro dei movimenti nel Mediterraneo

Negli ultimi decenni, la frontiera mediterranea si è trasformata in «piano di frizione» tra i confini meridionali della «Fortezza Schengen» e i flussi provenienti da Sud6. Come nel suo passato remoto, questo mare torna a essere una membrana particolarmente porosa ai flussi di popolazione. Nella complessa articolazione del sistema migratorio mediterraneo è possibile ricondurre il fenomeno ad alcuni elementi principali: poli di emigrazione, processi diasporci, mobilità stagionali, punti di transito e poli di immigrazione.

Le condizioni economiche dei quattro paesi mediterranei dell’Europa hanno avuto un considerevole sostegno dall’emi-grazione della forza lavoro prima attraverso rotte transoceaniche e poi in direzione del cuore pulsante dell’Europa industriale: portoghesi, spagnoli, italiani e greci, dagli anni ’50 in poi, si sono diretti verso la Francia, la Germania, il Belgio, il Regno Unito e la Svizzera. Una traiettoria migratoria che si è giocata prevalen-temente all’interno del contesto europeo, ma che, a partire dagli anni ’60, in pieno boom economico, ha interessato tutti i paesi terzi del bacino del Mediterraneo. Dal Marocco alla Turchia tutti

6 King, Ribas-Mateos, Towards a Diversity of Migratory Types and Contexts in Southern Europe.

Page 106: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

106 Fabio Amato

i paesi risultano esportatori di quote consistenti di manodopera in misura crescente verso le stesse mete, finendo con il sopravanzare per quantità le comunità provenienti dall’Europa meridionale.

Dalla riva Sud del Mediterraneo e da quella orientale sono partiti flussi migratori, legati sempre a retaggi coloniali (è il caso dei maghrebini che si dirigono in Francia) o a tradizionali e consolidati rapporti di scambio (i turchi che vanno in Germania a seguito dell’accordo bilaterale del 1961, eredità dei rapporti commerciali del Reich con l’Impero Ottomano). La tardiva de-colonizzazione degli Stati lusofoni ha portato sulle sponde del Mediterraneo settentrionale angolani, mozambicani e capover-diani, configurando il Portogallo come l’unico paese europeo del Mediterraneo che viveva simultaneamente un processo con-sistente di emigrazione e di immigrazione, una condizione che oggi appartiene a tanti Stati del mondo che assumono la triplice guisa di luogo di partenza, transito e arrivo.

Al tramonto del sistema economico fordista e, successivamen-te, degli assetti geopolitici imposti dal bipolarismo della Guerra fredda, le logiche del sistema migratorio appena illustrato decli-nano: a partire dagli anni ’80 si è assistito all’emergere di nuove logiche migratorie che non sono più legate da esplicite richieste di manodopera e, soprattutto, non esclusivamente fondate sulle relazioni biunivoche tra ex colonie ed ex madrepatrie o su cri-teri linguistici, storici e religiosi. Si è assistito a una frammen-tazione geografica dei sistemi migratori e alla moltiplicazione dei sotto-sistemi «origine-destinazione»7: si sono moltiplicati i luoghi di partenza, ed hanno assunto un ruolo rilevante i luoghi di transito. In questo panorama, il bacino del Mediterraneo ha riguadagnato una sua centralità, rappresentando, come detto, uno dei principali punti di frizione planetaria – se non il più rilevante guardando all’oggi – delle migrazioni contemporanee. Molti paesi di tradizionale emigrazione si sono trasformati in mete d’arrivo (Europa mediterranea); alcuni pur conservando una spinta emigratoria sono diventati allo stesso tempo paesi di immigrazione (la Turchia); il miglioramento dei vettori e dei costi di trasporto – combinato con il ruolo crescente del trasferimento di informazione – ha enfatizzato il ruolo dei paesi di frontiera da dove transitano i flussi clandestini (Marocco, Libia e Grecia) o

7 Claude, Migrations en Méditerranée.

Page 107: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Nuovi scenari delle migrazioni internazionali 107

dei puntuali luoghi di interfaccia tra il Sud e il Nord del mondo (Istanbul, Tangeri e Tunisi da un versante, Patrasso, Napoli, Algeciras e Marsiglia dall’altro)8.

Prima di affrontare in dettaglio i quattro paesi comunitari dell’Europa del Sud, è opportuno fornire un quadro sintetico di tutti i paesi mediterranei secondo le stime fornite dall’Oim al 2015 (tab. 1). Si tratta di dati che, includendo gli overstayers, non sempre corrispondono alle stesse indicazioni degli enti statistici dei singoli paesi (che danno valori inferiori, contando solo i regolarmente presenti), ma con un’unica fonte si assicura almeno una maggiore omogeneità di informazioni.

Partendo dal quadrante dell’adriatico orientale, i paesi gem-mati dalla fine della Jugoslavia, hanno comportamenti migratori differenti ma, in generale, sono le trasformazioni geopolitiche degli ultimi venti anni a produrre gli impatti più significativi in termini di ingressi.

La Slovenia registra un saldo positivo, ospitando 236.000 stranieri (i bosniaci come maggiore comunità) a fronte di 140.000 emigrati, distribuiti soprattutto nell’Europa centro-settentrionale. Anche la Croazia ha visto crescere l’immigrazione negli ultimi anni e, al 2015, segnala oltre mezzo milione di stranieri (400.000 dei quali sono bosniaci), mentre all’estero si trovano 865.000 croati, distribuiti in prevalenza tra Serbia e Germania. Anche la Serbia segnala sul territorio oltre 800.000 stranieri in prevalenza frutto dell’esplosione del vecchio sistema jugoslavo (bosniaci e croati su tutti), mentre i 965.000 emigrati si distribuiscono soprattutto tra Austria, Germania e Svizzera. Con le dovute proporzioni, anche il Montenegro non differisce da questo schema (138.000 emigrati per 82.000 immigrati). La Bosnia-Erzegovina, Stato duramente colpito dalla guerra degli anni ’90, conserva ancora un profilo di paese di emigrazione con appena 34.000 immigrati che non bilanciano certo gli 1,6 milioni di bosniaci, pari al 30 per cento della popolazione, distribuiti quasi tutti in Europa (ma con un nucleo di 121.000 persone anche negli Stati Uniti). Sulla stessa falsariga, benché con uno squilibrio più contenuto, si colloca il caso della Macedonia che ospita 131.000 stranieri e registra 516.000 cittadini all’estero. L’Albania, pur avendo fre-nato l’emorragia di popolazione che la caratterizzò alla fine del

8 Amato, Migrazioni mediterranee.

Page 108: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

108 Fabio Amato

precedente secolo, ha ancora i caratteri del paese di emigrazione con 1,1 milioni di cittadini all’estero, pari al 28 per cento della popolazione, distribuiti in gran prevalenza tra Italia e Grecia, a fronte di solo 58.000 immigrati.

Proseguendo la ricognizione sul versante anatolico, la Tur-chia, uno dei maggiori Stati per consistenza demografica totale, rappresenta un simbolo della funzione plurima che possono assumere gli Stati rispetto alla mobilità internazionale. Nelle traiettorie migratorie, infatti, la Turchia rappresenta una delle teste di ponte principali come terra di transito, ma assume va-lori importanti anche in termini di stock: a fronte di 3,1 milioni di emigranti (metà dei quali in Germania) ospita 2,9 milioni di

Tab. 1. Immigrati ed emigrati nei paesi mediterranei al 2015

Paese Immigrati Emigrati Saldo migratorio Tasso di migrazione %Portogallo 837.257 2.293.683 -1.456.426 -46,5Spagna 5.852.953 1.230.415 4.622.538 65,3Francia 7.784.418 1.932.754 5.851.664 60,2Italia 5.788.875 2.899.056 2.889.819 33,3Malta n.d. n.d. n.d. n.d.Slovenia 235.966 140.409 95.557 25,4Croazia 576.883 865.147 -288.264 -20,0Bosnia-Erz. 34.803 1.650.772 -1.615.969 -95,9Serbia 807.441 964.585 -157.144 -8,9Montenegro 82.541 138.856 -56.315 -25,4Macedonia 130.730 516.024 -385.294 -59,6Albania 57.616 1.122.810 -1.065.194 -90,2Grecia 1.242.514 871.643 370.871 17,5Turchia 2.964.961 3.114.417 -149.456 -2,5Cipro 196.167 177.185 18.982 5,1Siria 875.189 5.006.368 -4.131.179 -70,2Libano 3.112.026 644.010 2.468.016 65,7Israele 2.011.727 279.690 1.732.037 75,6Giordania 1.997.776 794.543 1.203.233 43,1Egitto 491.643 3.245.374 -2.753.731 -73,7Libia 771.146 141.470 629.676 69,0Tunisia 56.701 650.440 -593.739 -84,0Algeria 242.391 1.763.430 -1.521.039 -75,8Marocco 88.511 2.834.200 -2.745.689 -93,9

Fonte: Iom, World Migration (2015).

Page 109: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Nuovi scenari delle migrazioni internazionali 109

stranieri, pari al 3,8 per cento della popolazione residente, un valore fortemente condizionato dalla componente dei rifugiati siriani (1,6 milioni). Il peso dell’isola di Cipro è abbastanza contenuto ma vede prevalere le immigrazioni (196.000 contro 177.000 ciprioti all’estero) con una composizione estremamente articolata dai paesi europei a quelli asiatici, passando per quelli americani e africani. La regione mediorientale, la più condizio-nata dai drammatici eventi geopolitici con la rapida avanzata del Califfato dell’Is, registra stravolgimenti soprattutto in Siria che a fronte di ancora 815.000 stranieri (retaggio di precedenti luoghi di conflitto: iracheni, afgani e somali) registra una vera e propria emorragia con oltre 5 milioni di cittadini ufficialmente censiti all’estero. La Giordania, non coinvolta territorialmente nell’avanzata dell’Is, conferma il suo ruolo polarizzante per gli stranieri dell’area Mena con 3,1 milioni di stranieri (pari al 40 per cento della popolazione totale) in prevalenza siriani (700.000) ed egiziani (139.000). In questo Stato si registra ancora una presenza seppur contenuta di personale altamente qualificato proveniente dai paesi occidentali in provenienza dagli Stati Uniti, dall’Australia e dai paesi europei. Un altro paese in cui l’immigrazione costituisce una componente rilevante della struttura demografica è il Libano che, sempre nel 2015, registrava oltre 3 milioni di stranieri (34 per cento della popolazione) soprattutto siriani (1,2 milioni) ed iracheni (120.000), valori superiori alla componente emigrata all’estero (644.000). Anche in Israele gli stranieri sono 2 milioni (un quarto della popolazione) ma la composizione è molto più articolata facendo riferimento in particolare al ruolo attrattivo per le comunità ebraiche all’estero: non esiste una nazionalità che prevale nettamente e oltre le centomila unità si registrano il Marocco (163.000), l’Ucraina (135.000), la Russia (115.000) e la Romania (104.000). I cittadini israeliani che vivono all’estero sono solo 279.000, ma ovviamente questo dato non prende in considerazione gli storici processi diasporici che hanno creato consistenti comunità ebraiche ai quattro angoli del mondo.

La riva Sud del Mediterraneo si comporta come area di tran-sito e di emigrazione soprattutto. È il caso dell’Egitto, gigante demografico dell’area, che ospita 491.000 stranieri ma registra ben 3,2 milioni di cittadini all’estero con grandi comunità nella penisola arabica (935.000 negli Emirati Arabi, 728.000 in Arabia Saudita, 388.000 in Kuwait, 163.000 in Qatar) e una presenza

Page 110: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

110 Fabio Amato

significativa negli Stati Uniti (159.000) e in Italia (108.000). La stessa logica caratterizza i tre paesi maghrebini: il Marocco registra una diaspora di 2,8 milioni di emigranti (pari al 7,6 per cento, con marcate polarizzazioni in Francia, Spagna e Italia) bilanciati da solo 88.000 immigrati; l’Algeria a fronte di 242.000 immigrati ha 1,7 milioni di cittadini nella stragrande maggioranza localizzati in Francia; infine, sono 650.000 i tunisini all’estero (soprattutto Francia e in parte Italia) per 56.000 stranieri. La Libia è una delle regioni di maggiore squilibrio geopolitico di questi ultimi anni e dunque è sempre più difficile immaginarla come un’unica unità statale, nondimeno dai dati ufficiali disponibili sembra conservare il ruolo di polo di immigrazione e di transito che ha avuto a lungo: per 141.000 libici che risiedono all’estero, si registrano 771.000 stranieri: un insieme che si articola attraverso rifugiati (somali), lavoratori di bassa qualifica (egiziani) e immigrati iperqualificati (americani, europei).

3. Il polo immigratorio dell’Europa meridionale Uno degli aspetti principali delle migrazioni mediterranee è

rappresentato dalla trasformazione radicale dei quattro paesi co-munitari che si affacciano su questo mare da paesi di emigrazione a luoghi di arrivo. L’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia, oggi sono tutti componenti di confine dell’Europa di Schengen e di cui è possibile individuare alcuni denominatori comuni che li distingue nettamente dalla storia migratoria della Francia.

Un’omogeneità di massima la si può riscontrare, ad esempio, nella struttura e nel funzionamento della società, dell’economia e, soprattutto, della gestione dell’immigrazione da indurre a considerare l’esistenza di un «modello mediterraneo» d’integra-zione9. Nel complesso si tratta di economie che, in tempi diversi, hanno fatto registrare un rapido sviluppo, una terziarizzazione e articolazione del mercato del lavoro e, soprattutto, la forza e il dinamismo dell’economia informale e un significativo indebo-limento del sistema di welfare state, ulteriormente colpito dalla crisi economica.

9 Baldwin-Edwards, Arango, Immigrants and the Informal Economy in Southern Europe.

Page 111: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Nuovi scenari delle migrazioni internazionali 111

In ognuno dei singoli Stati l’articolazione interna è abbastanza eterogenea, con regioni economicamente più deboli (il Mezzo-giorno italiano; il Sud-Ovest spagnolo; l’Alentejo portoghese e le Azzorre; l’Epiro e il Nord dell’Egeo). In tutti e quattro i casi, il mercato del lavoro risulta sempre più segmentato, disomogeneo, terziarizzato, caratterizzato dall’importanza crescente delle im-prese medie e piccole e la disoccupazione, in media, risulta più elevata che negli altri paesi europei. La crisi economica esplosa nel 2008 ha colpito tutti i paesi, anche se ha fatto registrare un impatto più evidente nel caso della Grecia, le ripercussioni, come detto, si sono avvertite anche sulla riduzione notevole degli in-gressi per motivi di lavoro, l’aumento di una mobilità in uscita verso altri paesi europei e un crescente atteggiamento xenofobo, più esplicito nel caso ellenico.

L’improvviso incremento dei flussi in entrata ha provocato incertezze e ritardi nell’utilizzo di politiche adeguate, sviluppando nel corso degli anni una retorica dell’emergenza immigrazione, anche in tempi anteriori all’eccezionale afflusso iniziato nel 2014. Altro aspetto comune ai quattro Stati è il consolidato declino demografico, cui fa da contraltare una popolazione tuttora di-namica e strutturalmente giovane nella riva Sud.

I flussi migratori, nelle prime manifestazioni, venivano intesi come conseguenza delle politiche di stop delle tradizionali mete europee (Francia, Germania, Gran Bretagna), considerando pertanto queste persone come in transito grazie alla porosità delle frontiere e alla vicinanza delle coste meridionali del Medi-terraneo. In realtà, le ampie fasce dell’economia informale hanno rappresentato solo il volano per una richiesta di manodopera generata dal mercato del lavoro e dalla domanda dei contesti sociali in trasformazione che, nonostante i tassi di disoccupa-zione, assicura ancora oggi agli immigrati un ampio spazio nei segmenti dequalificati del lavoro, rifiutati dagli autoctoni. Un processo riconosciuto e regolamentato giuridicamente ex post dalle istituzioni pubbliche che non hanno mai esplicitamente fatto richiesta di migranti. Nel momento in cui il fenomeno ha assunto proporzioni più consistenti, le istituzioni governative si sono adoperate sempre di più sul versante della sicurezza e del controllo delle frontiere, definendo un’importazione «riluttante» dei lavoratori stranieri. Si costituisce, di fatto, un processo di in-

Page 112: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

112 Fabio Amato

tegrazione che potremmo definire come «un modello implicito»10 più che semplicemente «mediterraneo», dal momento che questi caratteri si ritrovano anche in contesti extra-mediterranei (ad esempio, Irlanda).

Le ripercussioni della crisi economica, nondimeno, hanno riposizionato questi paesi, seppur in maniera parziale, nel ruolo di tappe di transito verso mete Nord europee: la Germania, la Francia, il Regno Unito e i paesi scandinavi sono sempre più spesso i punti di arrivo sognati dai richiedenti asilo: la dramma-tica attesa al confine italo-francese sugli scogli di Ventimiglia11 da parte dei migranti africani, ma anche la baraccopoli creata a Calais, che ospitava richiedenti asilo speranzosi di poter rag-giungere il Regno Unito12 sono forse le fotografie più efficaci del cambiamento in atto nelle traiettorie migratorie e dell’incapacità di governarle a scala europea.

L’incrocio con le gravi tensioni geopolitiche ha trasformato i processi migratori anche in causa ed effetto di varie forme di conflitto interne ai singoli Stati13. Un esempio mediterraneo pos-sono essere le diverse azioni terroristiche del fondamentalismo islamico, supportate da qualche cellula di emigranti, che hanno interessato la Spagna, il Regno Unito e in maniera mediaticamente più potente e drammatica la Francia e il Belgio dal 2015 in poi. Non si tratta, invero, di una novità assoluta pensando all’esempio di Parigi che, a metà degli anni ’90, decise di appoggiare la linea del governo algerino contro il fronte islamico, con delle ripercussioni anche sul territorio transalpino. Gli eventi più recenti, tuttavia, hanno assunto caratteri diversi per dirompente violenza e atroce logica, dove anche il rigore fanatico dell’adesione ideologica di matrice religiosa appare in alcuni casi pretestuoso. Allo stesso tempo, se non è possibile escludere che elementi del terrorismo possano approfittare strategicamente dei flussi di rifugiati che

10 Ambrosini, La fatica di integrarsi.11 Si tratta prevalentemente di persone provenienti dal Corno d’Africa che

dal 9 giugno fino al 30 settembre del 2015 hanno stanziato sugli scogli della cittadina ligure in attesa di andare in Francia.

12 La Giungla, come è stato nominato per lo stato di degrado, è un ex centro vacanze trasformato in centro d’accoglienza dallo Stato, che si trova a 7 km dal centro città e a 9 dal tunnel della Manica. Nelle dune si sono ac-campati fino a 7.000 persone e a fine febbraio del 2016 la polizia francese ha sgomberato la baraccopoli.

13 Castles, Miller, L’era delle migrazioni.

Page 113: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Nuovi scenari delle migrazioni internazionali 113

bussano alle porte d’Europa, permane l’idea che sia estremamente pericoloso stabilire una correlazione tra l’arrivo dei migranti e l’escalation del terrorismo: il ruolo dei foreing fighters e le carte d’identità dei principali protagonisti delle stragi perpetrate a Parigi e a Bruxelles dimostrano come, per quanto drammatico e angosciante possa essere il problema, non può essere ricondotto al fenomeno migratorio in una relazione di causa ed effetto.

Sulle caratteristiche dei flussi migratori, in tutti e quattro i paesi dell’Europa meridionale si è registrato negli ultimi due de-cenni un rapido aumento delle quantità di migranti ufficialmente presenti sul territorio, cui si è fatto fronte con un uso reiterato delle regolarizzazioni per sanare la crescente presenza irregolare: dagli anni’80 si contano sei provvedimenti per l’Italia, cinque per la Spagna, tre per Portogallo e due in Grecia. Si tratta di una composizione in continua trasformazione che ha subito una forte accelerazione dall’anno 2000 in poi.

Ognuno dei paesi considerati non ha rapporti esclusivi con bacini di manodopera particolari, le presenze straniere sono migrazioni policentriche e plurime: un insieme diviso in tanti elementi con fasi, protagonisti e aree di provenienza differenti e con una distribuzione abbastanza uniforme. Si segnalano an-che marcate asimmetrie di genere in molte nazionalità con una diversità di origine sociale e regionale dei singoli immigrati e, a fronte del rapido adeguamento di questi Stati alle linee politiche comunitarie di chiusura, in tutto il «Mezzogiorno d’Europa» si segnala un alto grado di irregolarità e clandestinità14.

Le caratteristiche mutano leggermente nelle rispettive decli-nazioni. Nel caso italiano, l’insieme delle presenze straniere è il risultato di diversi sistemi migratori che sono evoluti nel corso di quattro decenni. Tenendo come riferimento le statistiche dell’Oim, l’Italia conterebbe 5,7 milioni di stranieri pari al 9,6 per cento della popolazione totale15. Una crescita significativa a partire dall’ultima regolarizzazione (2002) che ha stravolto la gerarchia delle nazionalità con una prevalenza dell’Europa dell’Est: i ru-meni sono poco più di un milione, seguiti dagli albanesi (447.000

14 King, Ribas-Mateos, Towards a Diversity of Migratory Types and Contexts in Southern Europe; Amato, Viganoni, Flussi migratori e nuova centralità del Mediterraneo: il ruolo dell’Italia.

15 In riferimento alle difformità di dati, si segnala, a titolo di esempio, che secondo l’Istat la presenza straniera in Italia all’1 gennaio 2015 è di 5.014.437.

Page 114: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

114 Fabio Amato

presenze) e dai marocchini (a lungo prima nazionalità e che oggi sono 426.000). La concentrazione nelle principali aree urbane è significativa, ma processi di distribuzione territoriale si segnala-no in maniera crescente. Tutte le regioni sono interessate, ma le regioni centro-settentrionali registrano un’elevata densificazione in particolare in Pianura Padana e nel Triveneto. La presenza di cittadini italiani all’estero è ancora consistente (2,9 milioni).

La rapida evoluzione dell’ultimo decennio ha trasformato la Spagna nel primo Stato del «Mezzogiorno d’Europa» con 5,8 milioni di stranieri (contro 1,2 milioni di emigrati), assicuran-do al paese iberico la maggiore pressione migratoria di tutto il continente con 12,7 per cento della popolazione totale. Le aree di maggiore concentrazione sono le regioni di Madrid e di Va-lencia, la Catalogna e l’Andalusia. La prima nazionalità è quella marocchina (700.000 presenze), seguita dalla Romania (658.000) e dall’Ecuador (422.000) e da altre nazionalità di lingua spagnola con più di centomila presenze (Colombia, Bolivia e Argentina).

Il percorso della Grecia verso un’identità immigratoria ha conosciuto un andamento diverso. Fino all’implosione del sistema socialista era un fenomeno poco rilevante, si registravano solo poche presenze di filippini ed egiziani. Oggi i migranti sono 1,2 milioni (pari all’11 per cento della popolazione residente), provengono in maggioranza dai paesi dell’Europa orientale, con l’Albania che include un terzo del totale (437.000). Le aree par-ticolarmente attrattive sono l’area metropolitana di Atene e, in genere, l’Attica. La presenza greca all’estero (871.000) è ancora consistente, ma appare in diminuzione.

Il Portogallo rappresenta il paese con la minore presenza assoluta di stranieri e, soprattutto con un bilancio demografico negativo essendo 2,3 milioni i cittadini portoghesi che vivono all’estero, sempre di più indirizzati verso paesi lusofoni. Secondo la più recente stima sono presenti 837.000 stranieri pari all’8 per cento della popolazione, concentrati quasi in maggioranza nel distretto di Lisbona, ma altre polarità sono i distretti costieri di Setubal e Faro che ospitano entrambi più di uno straniero su dieci presenti nel paese. I legami coloniali fungono da forte traino per la multiculturalità portoghese: l’Angola e il Brasile sono le nazionalità più presenti, con rispettivamente 151.000 e 130.000 presenze.

Page 115: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Nuovi scenari delle migrazioni internazionali 115

4. Il precipitare degli eventi: il dramma alla frontiera d’acqua e a quella di terra

Dalle indicazioni fornite, si desume che le rotte via mare non hanno rappresentato la traiettoria principale di accesso ai paesi europei, ma l’enfasi con cui si narrano le migrazioni si gioca sempre sulle drammatiche immagini di sbarchi, al punto da poter immaginare che si sia configurata una forma di spettacolarizza-zione che alimenta l’idea di emergenza16.

È, tuttavia, indubitabile che il 2015 sia l’anno più tragico per i migranti nel Mediterraneo: secondo l’Oim sono morte almeno 3.771 persone e 1.080.000 sono stati gli arrivi, oltre 850mila dei quali avvenuti in Grecia. Il cambiamento di scenario si annuncia nel 2011 con le ripercussioni delle rivolte nel Mondo arabo, come detto, ma dal 2014 a oggi ha aperto un ciclo nuovo delle migra-zioni attraverso gli arrivi via mare e via terra che per quantità e intensità non ha confronti. Se si pensa che nel 2014, anno in cui si era già intensificato il flusso rispetto agli anni precedenti, si erano registrati 204.542 arrivi di cui 170mila in Italia, si comprende come si sia stravolto lo scenario sia per la quantità di arrivi, sia soprattutto per l’incredibile rilevanza assunta dalla rotta balca-nica nel corso del 2015. Le cronache della seconda parte di tale anno hanno fortemente mediatizzato la pista balcanica: le iniziali chiusure da parte degli Stati dell’Europa orientale, cui hanno fatto seguito le aperture umanitarie di Austria e Germania e le nuove chiusure di tutte le frontiere anche tra Grecia e Macedonia, con il dramma del confinamento di decine di migliaia di persone in un campo profughi a Idomeni, frazione del comune di Paionia nella Grecia settentrionale. Con la chiusura delle frontiere in Serbia e in Macedonia, la rotta balcanica sembra destinata a declinare, ma nuove rotte si potranno aprire, secondo un prin-cipio di permanente mobilità: secondo gli analisti del Ministero dell’Interno la linea adriatica e ionica verso l’Italia è una delle prime indiziate17.

Se la crisi ha portato a un progressivo declino degli ingressi per motivi di lavoro (è sempre di più il ricongiungimento familiare il canale di ingresso privilegiato), gli eventi geopolitici in fasi

16 Cuttitta, Lo spettacolo del confine.17 Eunews, Allarme del governo per l’apertura di una rotta adriatica.

Page 116: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

116 Fabio Amato

diverse hanno destabilizzato l’area mediorientale e nordafricana. L’illusione di una «primavera araba»18 nel 2011 che ha destituito poteri oppressivi consolidati, ha prodotto una prima accelerazione dei flussi di persone, che hanno raggiunto in prevalenza le coste italiane. Le ondate successive, cominciate nel 2014 e ancora in atto, rappresentano l’effetto delle drammatiche condizioni di forte destabilizzazione politica in cui versano diversi Stati (Iraq, Siria, Somalia, Libia...), anche come conseguenza delle opinabili azioni internazionali di intervento militare promosse dai paesi occidentali.

In virtù dei numerosissimi sbarchi, il governo italiano e quelli delle nazioni più direttamente coinvolte dall’emergenza profu-ghi, hanno richiesto la modifica alla Commissione europea del regolamento europeo, modifica avvenuta attraverso l’Agenda Europea sulla Migrazione, anche detta Agenda Junker, approvata nel maggio 2015. Tale normativa avrebbe previsto, in deroga al regolamento di Dublino, la ridistribuzione di quote di migranti all’interno degli Stati membri dell’Unione in base alla propria popolazione, al Pil, al tasso di disoccupazione e al numero di rifugiati già ospitati. La ridistribuzione dovrebbe avvenire at-traverso il sistema degli hotspot che prevede lo sbarco in porti predeterminati con accompagnamento in strutture (in molti casi già esistenti) allestite per identificare rapidamente, registrare, fotosegnalare e raccogliere le impronte digitali fino alla conclu-sione di tutte le operazioni di identificazione.

Il rapporto con le tragedie del mare, se da una parte ha spinto chi fa ricerca a drammatici conteggi o all’uso di forti metafo-re19, è stato anche il volano di azioni dei singoli Stati bagnati dal Mediterraneo che hanno promosso una serie di missioni di pattugliamento delle coste (intercettazione, messa in salvo ed eventuale respingimento dei migranti). Sono quasi sempre le

18 Con l’espressione si intende l’insieme delle proteste cominciate tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 sfociate in vere e proprie guerre (civili e non) che ha coinvolto i paesi del Maghreb e della penisola araba portando alla destituzione dei capi di Stato della Tunisia, Egitto e Libia.

19 Marcella Delle Donne già nel 2004, fornendo un quadro della legisla-zione europea, intitola il suo libro Un cimitero chiamato Mediterraneo. Un lavoro puntuale di monitoraggio è svolto dal giornalista e blogger Gabriele Del Grande che nel suo blog Fortress Europe da conto delle storie di tutti gli sbarchi e soprattutto dei decessi nel Mediterraneo che, dal 1998 alla fine del 2015 sarebbero 27.382.

Page 117: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Nuovi scenari delle migrazioni internazionali 117

tragedie più mediatizzate che spingono spesso ad azioni politi-che: a seguito dell’ennesimo rovesciamento in mare al largo di Lampedusa, che il 3 ottobre 2013 ha causato la morte di 366 migranti, è stata promossa l’operazione Mare Nostrum, azione tutta italiana di ricerca e messa in salvo delle imbarcazioni che ha coinvolto mezzi della Marina Militare, dell’Aereonautica, dei Carabinieri, della Finanza e della Guardia Costiera20. Sulla stessa falsariga, la foto di Aslan, bambino siriano morto sul bagnasciuga di una spiaggia turca, ha spinto il governo tedesco ad assicurare, nell’estate del 2015, accoglienza a tutti i rifugiati che ne avessero fatto richiesta. Entrambe le azioni promosse da spirito umanitario sono state destinate alla chiusura, a fronte delle condizioni imposte dalla realpolitik: il 31 ottobre 2014 ha chiuso l’operazione Mare Nostrum, mentre la Germania alla fine del 2015 ha richiuso le frontiere, dopo che tutti gli altri paesi dell’area balcanica avevano fatto altrettanto.

A scala comunitaria un ruolo decisivo lo ha assunto l’Agenzia europea Frontex, istituita nel 2004 e con sede a Varsavia, destinata alla gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea. Le operazioni che hanno coinvolto l’Italia sono state Nautilus, finanziata per tre volte con pattugliamenti nel Canale di Sicilia, durati un mese a missione in un periodo compreso tra il 2006 e il 2008. Sul versante gre-co, che ha assunto un ruolo principale solo dal 2014, si ricorda nell’estate del 2007 Poseidon. L’operazione Hermes, operativa per diversi mesi a missione, finanziata a più riprese in un perio-do compreso tra il settembre 2007 e ottobre 2013, ha agito nel Mediterraneo centrale. Sullo stesso quadrante si è concentrata l’operazione Aeneas (aprile 2011-marzo 2012), con particolare attenzione al monitoraggio degli sbarchi sulle coste di Puglia e Calabria. Queste due azioni sono state rinnovate tra il 2013 e il 2014 e sono state affiancate dall’azione italiana Mare Nostrum. Con la crescente difficoltà di gestione del processo si è deciso di delegare all’agenzia Frontex l’operazione Triton che sostituisce tutte le precedenti, conducendo i migranti nelle varie strutture

20 L’operazione si è concretizzata in 439 eventi di ricerca e soccorso, col fermo di 366 presunti scafisti e la cattura di 9 navi. I migranti assistiti nei primi 10 mesi del 2014 sono stati 156.362, a fronte degli 11.499 del 2013 e dei complessivi 21.880 negli otto anni precedenti, Marina Militare, Operazione Mare Nostrum.

Page 118: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

118 Fabio Amato

preposte alla prima accoglienza e identificazione21. La geografia del sistema di accoglienza si è estremamente complessificata e, nel caso italiano, la rete, gestita dal Ministero dell’Interno, si articola in 14 centri di accoglienza (tra Cpsa, Centri di primo soccorso e accoglienza; Cda, Centri d’accoglienza; Cara, Centri di accoglienza per richiedenti asilo), 5 centri di identificazione ed espulsione (Cie), 1.861 strutture temporanee e 432 progetti del Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar)22.

La riorganizzazione del sistema dell’accoglienza italiano di-mostra quanto fosse inadeguato alla ricezione di un improvviso aumento dei flussi. Per affrontare l’emergenza i centri e le strutture temporanee crescono notevolmente, su tutto il territorio nazio-nale nel complesso, il Ministero dell’Interno contava alla data del 10 ottobre 2015, 3.090 strutture ospitanti 99.096 migranti23.

La loro ridistribuzione sui territori avviene in base alla quo-ta di accesso delle regioni al Fondo nazionale per le politiche sociali – con esclusione dei comuni colpiti da eventi sismici – in rapporto alle effettive presenze registrate nei centri di accoglien-za. Una linea di azione che, nella sua onerosità, si presta a rischi speculativi e a strumentalizzazioni politiche che aprono altre riflessioni che non possono essere affrontate.

Ripercorrere la cronologia degli eventi dell’anno potrebbe essere istruttivo ma forse non funzionale alla logica di questo contributo, ci basti ricordare che, al di là dell’evidente squilibrio tra le traiettorie, se sulle coste greche sono arrivati soprattutto siriani (475.902), afgani (258.458) e iracheni (86.989), l’Italia è sempre più terra di arrivo dall’Africa: Nigeria (1618), Gambia (1402), Senegal (899), Mali (793), Guinea (763), Costa d’Avorio (734).

In realtà, il Mediterraneo è diventato teatro di molteplici piste di attraversamento clandestine già a partire dalla fine degli anni ’80. Il mare è stato ed è attraversato su imbarcazioni di fortuna, spesso vecchi pescherecci, barche in vetroresina o gommoni dirigendosi verso le coste spagnole, italiane e greche. Nel corso degli anni sono state individuate almeno una decina di rotte. La più antica è relativa alla Spagna, fin dalla fine degli

21 Frontex, Operazione Triton, lista delle operazioni in Italia, 2015.22 Ministero dell’Interno, Immigrazione e Asilo, assistenza sul territorio. 23 Ibidem.

Page 119: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Nuovi scenari delle migrazioni internazionali 119

anni ’80, raggiunta attraverso le acque dello Stretto di Gibilterra. Tali flussi migratori, inizialmente erano composti per lo più da cittadini marocchini e algerini e, in un secondo momento, anche da persone provenienti dall’Africa sub-sahariana. I viaggi avevano inizio a Ceuta e Melilla, per poi aprire nuovi punti di partenza su tutta la costa tra Larache e Hoceima, in Marocco, e tra Gha-zaouet e Mostaganem, in Algeria. Gli sbarchi avvenivano sulla costa spagnola andalusa tra Cadice e Almeria. Dal 2007 anche le isole Baleari sono interessate dall’arrivo di migranti. Dopo la militarizzazione della costa marocchina e la dura repressione del 2005 nelle valli intorno a Ceuta e Melilla (e la successiva costruzione in queste enclaves spagnole di recinti alti sei metri sorvegliati militarmente), la direzione dei flussi si è concentrata su di un’altra rotta iberica che parte dalla costa atlantica africana (Marocco, Sahara occidentale, Mauritania, Senegal, Gambia e Guinea) fino all’arcipelago delle isole Canarie che rappresenta sempre un punto di approdo allo spazio Schengen.

L’Italia, grazie alla sua posizione baricentrica, è stata inte-ressata da più punti di sbarco. In passato si arrivava nelle coste siciliane attraverso l’isola di Malta, tappa di transito del viaggio. Un altro percorso che al momento pare spento era rappresentato dai flussi che attraversavano l’Adriatico in provenienza da Valona e da Durazzo in Albania per giungere in Puglia.

La pista più battuta parte dalle coste occidentali libiche, tra Tripoli e Zuwarah, puntando verso Lampedusa, la Sicilia e Malta. Le coste delle isolette siciliane sono raggiungibili anche dal litorale tunisino tra Sousse e Monastir (Lampedusa), e dalla costa Nord tra Biserta e Capo Bon (Pantelleria). In alcuni casi, i pescherecci che giungono nella Sicilia orientale sono partiti dalle coste egiziane, da dove si giunge anche nell’isola di Creta. Una nuova rotta, inoltre, aveva cominciato a collegare Annaba in Algeria con le coste meridionali della Sardegna, un percorso che ha ben presto fatto registrare le prime vittime (33 nell’estate 2006). All’inizio del 2016, i segnali di una traiettoria che porta nuovamente dalle coste egiziane fin in Italia confermano la preoccupazione di come la penisola possa diventare principale collettore dei movimenti via mare.

Nel Mediterraneo orientale, infine, la prossimità geografica tra gli arcipelaghi greci e le coste turche crea rotte di breve raggio raggiungendo Samos, Lesbo, Chios, Kos e Farmokonissi. Sempre

Page 120: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

120 Fabio Amato

salpando dalle coste turche, una rotta marina di breve periodo ha raggiunto, alla fine degli anni ’90, le coste calabresi: si trattava di migliaia di curdi che cercavano via mare di ricongiungersi con i compatrioti in Germania.

Conclusioni

Le operazioni nel Mediterraneo come Triton hanno lo scopo di salvare vite umane e gestire gli sbarchi, ma non sono finalizzate, né potrebbero esserlo, a risolvere le crisi fortemente correlate agli squilibri strutturali socio-economici e alle turbolenze geopolitiche in Africa e nell’area Mena che creano una domanda continua di accoglienza. I nodi da affrontare sembrano molteplici. In via preliminare, la distinzione tra migranti e rifugiati, che si fonda sulla contrapposizione tra emigrazioni forzate e volontarie, se ha piena valenza giuridica appare sempre più debole dal punto di vista sostanziale: affrontare questi viaggi della speranza presup-pone condizioni di partenza talmente difficili da non sembrare frutto di libere e serene scelte e dunque anche con questo tipo di flussi bisogna fare i conti. Non a caso, in questa fase così caotica questo è uno degli aspetti di difficile soluzione che si configura all’orizzonte: gli arrivi più recenti, soprattutto, sulle coste italiane (destinate a essere nuovamente sollecitate viste le chiusure delle traiettorie terrestri) vede protagonisti cittadini di nazionalità non colpite da condizioni di pericolo internazionalmente riconosciute.

Siamo in presenza di un fenomeno in continuo divenire di non facile soluzione e che, al momento, sembra possa individuare come principale imputato l’Unione europea e la logica che ne è a fondamento, a rischio di pieno fallimento: l’assenza di una politica estera coerente e unitaria e lo sviluppo di scelte dei singoli membri dimostrano la difficoltà di agire come un unico attore; allo stesso tempo la chiusura delle frontiere interne, det-tata anche dal timore delle azioni terroristiche, ha sospeso e di fatto accantonato l’area di libera mobilità frutto degli accordi di Schengen. L’inadeguatezza delle norme e degli interventi che vadano oltre l’emergenza immediata sembra essere sempre più evidente: anche di fronte a proposte di buon senso come quella di una distribuzione secondo quote tra tutti gli aderenti all’Unione dei nuovi arrivati ha sortito solo parziali e simboliche risposte

Page 121: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Nuovi scenari delle migrazioni internazionali 121

da alcuni partner. Una strategia organica di burden-sharing che tenga conto dell’insostenibile peso che i paesi frontalieri come l’Italia e la Grecia stanno reggendo e una coesa politica di redi-stribuzione sarebbe il primo passo, ma anche la costruzione di percorsi sicuri di attraversamento e valorizzazione di azioni di reinsediamento potrebbero essere prime risposte efficaci24. Anche se si realizzasse questo tipo di politiche ci si troverebbe di fronte al dilemma dei criteri con cui selezionare le persone secondo le motivazioni «umanitarie» e soprattutto come assecondare le richieste di reinsediamento: l’idea che il migrante economico possa essere del tutto escluso da questo sistema, come detto, resta di difficile applicazione.

L’efficacia di una politica dell’immigrazione realmente europea dunque passa anche attraverso le insidiose strettoie delle azioni di lungo periodo per ridurre o rimuovere le cause più urgenti: le conflittualità nello scacchiere mediorientale, le persecuzioni di qualsiasi matrice e le condizioni di povertà in cui versano parecchi Stati dell’Africa sub-sahariana. Una sfida complessa ai limiti dell’utopico che può essere intrapresa solo attraverso policy autenticamente comunitarie.

Riferimenti bibliografici

Amato F., Migrazioni mediterranee, in «Politica Internazionale», 1, 3, 2009, pp. 123-129.

Amato F., Viganoni L., Flussi migratori e nuova centralità del Mediter-raneo: il ruolo dell’Italia, in Scritti in onore della Professoressa Ricciarda Simoncelli, a cura di L. Scarpelli, Bologna, Patron, 2005, pp. 23-42.

Ambrosini M., La fatica di integrarsi, Torino, Einaudi, 2001.Bade K.J., L’Europa in movimento. Le migrazioni dal Settecento ad oggi,

Roma-Bari, Laterza, 2001.Baldwin-Edwards M., Arango J. (a cura di), Immigrants and the Infor-

mal Economy in Southern Europe, London, Frank Cass, 1999.Caruso I., I flussi migratori, in Rapporto sulle economie del Mediterra-

neo. Edizione 2005, a cura di P. Malanima, Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 53-73.

24 Fondazione Ismu, Ventunesimo rapporto sulle migrazioni 2015.

Page 122: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

122 Fabio Amato

Castles S., Miller M.J., L’era delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo contemporaneo, Bologna, Odoya, 2012.

Claude G., Migrations en Méditerranée, Paris, Ellipse, 2002.Cuttitta P., Lo spettacolo del confine. Lampedusa tra produzione e messa

in scena della frontiera, Milano, Mimesis, 2012. Delle Donne M., Un cimitero chiamato Mediterraneo, Roma, Derive

e Approdi, 2004.Eunews, Allarme del governo per l’apertura di una rotta adriatica, di-

sponibile on line all’indirizzo http://www.eunews.it/2016/03/09/migranti-allarme-del-governo-per-lapertura-di-una-rotta-adria-tica/52694.

Fondazione Ismu, Ventunesimo rapporto sulle migrazioni 2015, Milano, FrancoAngeli, 2015.

Frontex, Operazione Triton, lista delle operazioni in Italia, 2015, dispo-nibile on line all’indirizzo http://frontex.europa.eu/operations/archive-of-operations/djhlpB.

Iom (International Organization for Migration), World Migration 2015, disponibile on line all’indirizzo http://www.iom.int/world-migration.

King R., Ribas-Mateos N., Towards a Diversity of Migratory Types and Contexts in Southern Europe, in «Studi emigrazione», 39, 45, Roma, 2002, pp. 5-25.

Liauzu C., Histoire des migrations en Méditerranée Occidentale, Bru-xelles, Edition La Complexe,1996.

Marina Militare, Operazione Mare Nostrum: dati statistici al 31 ottobre 2014, disponibili on line all’indirizzo http://www.marina.difesa.it/cosa-facciamo/operazioni-in-corso/Documents/Dati%20statistici%20Mare%20Nostrum.pdf.

Ministero dell’Interno, Immigrazione e Asilo, assistenza sul territorio, disponibile on line all’indirizzo http://www.interno.gov.it/it/temi/immigrazione-e-asilo/sistema-accoglienza-sul-territorio.

Pizzigallo M., Dieci anni come un secolo: un’ipotesi di lettura critica, in Rapporto sulle economie del Mediterraneo. Edizione 2015, a cura di E. Ferragina, Bologna, Il Mulino, 2015, pp. 19-30.

Page 123: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Il presente capitolo riprende, aggiornandoli, i saggi di Zupi (a cura di), «Os-servatorio mondiale», in «Focus. Flussi migratori», n. 18, 2014 e 22, 2015, e «Le molteplici realtà dei flussi migratori che arrivano in Italia ed Europa dal Mediter-raneo», in «Italianieuropei», 1, 2016.

5. Migranti e integrazione nelle societàdi accoglienza nel Mediterraneo

di Marco Zupi

La definizione di immigrati è tutt’altro che univoca. L’Ocse, per comodità, utilizza una definizione di immigrati come persone nate all’estero, distinguendo come sottogruppi coloro che:

1) sono arrivati adulti nel paese ospitante; 2) sono arrivati bambini; 3) sono nati nel paese di residenza e figli di immigrati. In questo modo è possibile attribuire più facilmente un peso

all’essere immigrato come fattore che determina i risultati in termini di integrazione, a parità di tutte le altre circostanze.

Lo stesso concetto di integrazione può essere declinato in termini di diverse dimensioni, tra loro correlate ma non sovrap-poste, come inserimento nel mercato del lavoro, qualità degli impieghi, reddito, condizioni di vita, salute, relazioni sociali e partecipazione politica: ovvero in termini di risultati conseguiti in queste diverse dimensioni. In ogni caso, è importante fare riferimento all’inserimento nel mercato del lavoro, alla qualità degli impieghi e al reddito.

Il livello di integrazione di un raggruppamento più o meno omogeneo al suo interno, come nel caso dei migranti interna-zionali testé definito, si misura sulla base di un confronto con un gruppo di riferimento che, in questo caso, è naturale che sia rappresentato dalla popolazione autoctona: si analizza cioè quanto il dato medio dei migranti per la variabile considerata si discosti da quello del gruppo di riferimento.

Naturalmente, un’analisi più rigorosa richiede di considerare la presenza o meno di altre caratteristiche condizionanti: per

Page 124: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

124 Marco Zupi

esempio l’età, il livello di istruzione, il sesso, la qualifica profes-sionale, il settore e la posizione lavorativa, lo status familiare, la zona di residenza, ecc..

Per completezza, bisogna aggiungere anche che confrontare il dato medio della popolazione autoctona con quello relativo alla popolazione migrante internazionale implica una forzatura, cioè la presunzione di un’omogeneità interna al gruppo dei migranti tutt’altro che realistica, a cominciare dalle forti differenziazioni che sono ipotizzabili per nazionalità, ma anche per anni di resi-denza nel paese ospitante. Informazioni sulla variabilità interna a ciascun gruppo considerato sono quindi raccomandabili.

Partendo dalla classificazione dei regimi di welfare proposta da Esping-Andersen si vuole verificare l’omogeneità al loro interno e confrontare tra di loro i gruppi di paesi dell’Europa mediterranea rispetto ad altri raggruppamenti europei, utilizzando come gruppo di controllo esterno il raggruppamento dei paesi del modello scandinavo.

Il richiamo alle influenze del contesto territoriale, evidenziate nell’analisi che si propone, permette di approfondire un’ipotesi circa la rilevanza del territorio di appartenenza (che, nel caso dei migranti, è quello di residenza), in modo complementare rispetto a una chiave di lettura marxiana fondata sulla categoria di classe, per spiegare le condizioni di benessere e integrazione delle persone.

1. L’integrazione nel mercato del lavoro: il livello di disoccu-pazione

Un primo dato di interesse sul piano del confronto interna-zionale è sicuramente quello relativo alla posizione sul mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione di lungo periodo è una proxy del rischio di esclusione sociale, collegata all’esclusione dal mercato del lavoro: si definisce disoccupazione di lungo periodo il numero delle persone che cercano lavoro e non lo hanno da almeno 12 mesi espresso come percentuale di tutti i disoccupati. Più alto è il tasso di disoccupazione di lungo periodo e più grave è la situazione della disoccupazione.

In media, nei paesi Ocse nel 2006-2007 il 29,3 per cento (cioè più di uno su quattro) dei migranti disoccupati rientrava nella categoria dei disoccupati di lungo periodo, percentuale che au-

Page 125: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 125

mentava e raggiungeva il 36,1 per cento (cioè più di uno su tre) nel 2012-2013. Fin qui, nulla di particolare: la crisi economica ha peggiorato la capacità del sistema economico di assicurare un rapido inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro.

Una prima informazione di maggiore dettaglio è quella relativa alla differenza tra paesi (fig. 1).

La situazione non è peggiorata in tutti i paesi e partiva da livelli molto diversi. Nel 2006-2007 la situazione era critica in quasi tutto il Sud Europa – Italia, Grecia e Portogallo (tra il 41,2 e il 44,2 per cento) – ma non in Spagna (12,9 per cento).

La situazione di rischio di esclusione sociale era, invece, molto critica nel cuore dell’Europa continentale – Belgio, Germania e Paesi Bassi (oltre il 50 per cento) – così come nei paesi più a Est – Ungheria, Slovenia e soprattutto Repubblica Ceca (con il 70 per cento) – ma anche in Francia e Svizzera (poco al di sotto del 50 per cento). Adottando i criteri di classificazione dei regimi di welfare proposta da Esping-Andersen1, la situazione era molto critica nel cosiddetto regime corporativo o conservatore dei paesi dell’Europa continentale (Germania, ma anche Francia), orientato alla conservazione dei differenziali di status: dove cioè i diritti sono legati alla classe e allo status e la posizione nel mercato del lavoro è fondamentale per l’acquisizione dei diritti sociali, con l’idea che lo Stato debba interferire solo quando la capacità della famiglia di sostenere i propri membri è esaurita.

All’opposto, la situazione era molto buona nei paesi anglo-sassoni con regime liberale che riduce ampiamente la sfera dei diritti sociali ed alimenta una forma di stratificazione che è una miscela di eguaglianza relativa nella povertà dei fruitori di pre-stazioni sociali, con un diverso welfare orientato al mercato per la maggioranza dei cittadini e programmi istituzionali di ammontare modesto e caratterizzati dal means-testing, e un dualismo di classe tra le due popolazioni (Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Canada e, in parte, Regno Unito). Gli Stati Uniti guidavano la classifica (6,6 per cento), seguiti da Nuova Zelanda e Canada (10,4 per cento), Australia (17,9 per cento), Regno Unito (22,9 per cento) e Irlanda (23,3 per cento).

La situazione era, infine, buona nei paesi che rientrano nella terza categoria di regimi di welfare, il modello socialdemocratico

1 Esping-Andersen, The Three Worlds of Welfare Capitalism.

Page 126: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Fig

. 1. T

assi

di d

isoc

cupa

zion

e di

lung

o pe

riod

o tr

a gl

i im

mig

rati

di e

tà c

ompr

esa

tra

i 16

e i 6

4 an

ni n

el 2

006-

2007

e n

el 2

012-

2013

.

Font

e: E

labo

razi

one

data

set

Oec

d, I

ndic

ator

s of

Im

mig

rant

Int

egra

tion

201

5.

01020304050607080Australia

Austria

Belgio

Canada

Cipro

Danimarca

Finlandia

Francia

Germania

Grecia

Irlanda

Islanda

Israele

ITALIA

Lettonia

Lussemburgo

Norvegia

Nuova Zelanda

Paesi Bassi

Portogallo

Regno Unito

Rep. Ceca

Slovenia

Spagna

Stati Uniti

Svezia

Svizzera

Turchia

Ungheria

Dis

occu

pazi

one

di lu

ngo

peri

odo

di c

hi è

nat

o al

l'est

ero

(% d

ella

dis

occu

pazi

one

tota

le) 2

006-

07

Dis

occu

pazi

one

di lu

ngo

peri

odo

di c

hi è

nat

o al

l'est

ero

(% d

ella

dis

occu

pazi

one

tota

le) 2

012-

13

Page 127: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

scandinavo basato sui principi di universalismo, che riconosce i diritti sociali anche alle classi medie, rifiutando il dualismo tra Stato e mercato, tra classe operaia e classe media, in nome di un welfare state guidato dal valore di un’uguaglianza agli standard più elevati, incidendo sia sulla famiglia che sul mercato. Svezia e Danimarca avevano un livello migliore rispetto al Regno Unito (20 per cento), mentre mancano i dati relativi alla Norvegia. In una posizione intermedia, intorno al 30 per cento, Austria, Lettonia e Finlandia.

L’effetto della crisi economica si è tradotto, nel 2012-2013, in un peggioramento generalizzato del livello di disoccupazione di lungo periodo, con intensità diversa all’interno dei raggruppamenti definiti dai regimi di welfare. Le percentuali si sono confermate a livelli relativamente bassi nel caso dei paesi anglosassoni, seppure con un peggioramento molto maggiore nel caso di Stati Uniti (peg-gioramento del 17,3 per cento) e Irlanda (peggioramento del 35,8 per cento), contenuto negli altri casi e addirittura un miglioramento (dello 0,9 per cento) nel caso dell’Australia. Ciò ha determinato, per esempio, una forbice di oltre 12,5 per cento percentuali tra il cambiamento in corso in Canada e quello negli Stati Uniti.

Per i paesi scandinavi, il peggioramento è stato marcato, molto di più in Danimarca (peggioramento del 12,6 per cento) rispetto alla Svezia (6,6 per cento).

Nel caso dell’Europa del Sud, la situazione già grave è di-ventata molto grave, con un peggioramento generalizzato, con la Spagna che ha registrato il peggioramento assoluto più alto insieme all’Irlanda (rispettivamente il 33 e il 36 per cento) e ha raggiunto un livello di disoccupazione di lungo periodo nel 2012-2013 del 45,8 per cento, poco inferiore a quello dell’Italia (48,4 per cento), Portogallo (51,3 per cento) e Grecia (58,5 per cento). In pratica, in questa regione uno su due migranti disoc-cupati rientrano nella categoria dei disoccupati di lungo periodo.

Per quanto riguarda i paesi dell’Europa continentale, si è registrato un miglioramento che ha interessato Paesi Bassi (3,9 per cento), Belgio (6,2 per cento) e soprattutto Germania (9,6 per cento), ma anche Francia (2,8 per cento), Svizzera (8,8 per cento) e, nella zona orientale, Slovenia (6,2 per cento) e soprat-tutto Repubblica Ceca (17,5 per cento). All’interno dell’Europa, dunque, c’è stata una vera e propria biforcazione nel livello di disoccupazione di lungo periodo dei migranti.

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 127

Page 128: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

128 Marco Zupi

Sapere che oltre uno su due immigrati disoccupati in Irlanda o Lettonia, oltre che in Sud Europa, è disoccupato di lungo pe-riodo, mentre in Canada, Australia e Nuova Zelanda – cioè nelle tradizionali colonie di insediamento – lo è meno di un decimo dei disoccupati è una prima informazione utile. Occorre però aggiungere subito una seconda informazione, per capire se il rischio di esclusione sociale è alto o basso perché si vive in un paese in cui la situazione complessivamente è grave oppure se ci si trova o meno in presenza di condizioni specifiche di pena-lizzazione nei confronti dei migranti. È quindi utile capire se la

-12 -10 -8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

Australia

Austria

Belgio

Canada

Cipro

Danimarca

Finlandia

Francia

Germania

Grecia

Irlanda

Islanda

Israele

ITALIA

Lettonia

Lussemburgo

Norvegia

Nuova Zelanda

Paesi Bassi

Portogallo

Regno Unito

Rep. Ceca

Slovenia

Spagna

Stati Uniti

Svezia

Svizzera

Turchia

Ungheria

2006-07 2012-13

-12 -10 -8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

Australia

Austria

Belgio

Canada

Cipro

Danimarca

Finlandia

Francia

Germania

Grecia

Irlanda

Islanda

Israele

ITALIA

Lettonia

Lussemburgo

Norvegia

Nuova Zelanda

Paesi Bassi

Portogallo

Regno Unito

Rep. Ceca

Slovenia

Spagna

Stati Uniti

Svezia

Svizzera

Turchia

Ungheria

2006-07 2012-13

Fig. 2. Differenza % tra i tassi di disoccupazione di lungo periodo degli immigrati e quelli delle popolazioni autoctone di età compresa tra i 16 e i 64 anni nel 2006-2007 e nel 2012-2013.

Fonte: Elaborazione dataset Oecd, Indicators of Immigrant Integration 2015.

-12 -10 -8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

Australia

Austria

Belgio

Canada

Cipro

Danimarca

Finlandia

Francia

Germania

Grecia

Irlanda

Islanda

Israele

ITALIA

Lettonia

Lussemburgo

Norvegia

Nuova Zelanda

Paesi Bassi

Portogallo

Regno Unito

Rep. Ceca

Slovenia

Spagna

Stati Uniti

Svezia

Svizzera

Turchia

Ungheria

2006-07 2012-13

Page 129: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 129

loro percentuale di disoccupazione di lungo periodo è maggiore, uguale o minore rispetto a quello della popolazione autoctona nel paese.

Come indica chiaramente la figura 2, l’Italia si caratterizza come l’unico paese Ocse ad avere in entrambi i periodi un tasso di disoccupazione di lungo periodo tra gli immigrati molto più basso di quello dei nativi (sempre -8,3 per cento). La situazione è identica anche negli altri paesi del Sud Europa (Grecia, Portogallo e Spagna), ma in questi casi la crisi ha determinato un peggiora-mento più evidente nel caso della popolazione autoctona, il che ha portato il differenziale tra i tassi ad assottigliarsi. Condizioni particolarmente critiche si registrano in Spagna, dove il tasso di disoccupazione della popolazione straniera raggiunge il 37 per cento e quello degli autoctoni il 24,4 per cento.

La situazione opposta si verifica nei paesi scandinavi, in cui la disoccupazione tra i nativi è sempre più bassa di quella tra i migranti e la crisi – in termini di rischi di esclusione sociale – si è scaricata molto di più sulla popolazione migrante (il differenziale tra i tassi è aumentato). I paesi Bassi sono assimilabili al caso scandinavo e diventano anzi nel periodo 2012-2013 il paese con il divario più ampio (un tasso di disoccupazione superiore del 14,5 per cento nel caso della popolazione migrante in età lavorativa).

Per quanto riguarda il modello continentale, Austria, Belgio, Francia e Germania tendono più verso il modello scandinavo in termini di rischio di esclusione sociale legata alla disoccupazio-ne di lungo periodo, che risulta più alta tra i migranti che tra i nativi. La Svizzera mantiene stabilmente un divario che vede una percentuale di migranti disoccupati di lungo periodo molto superiore a quella dei nativi, ma che si è ridotto con la crisi (da 16,2 per cento a 13,1 per cento).

I paesi anglosassoni hanno registrato una tendenza meno omoge-nea: gli Stati Uniti partivano da un livello sostanzialmente identico e con la crisi si è creato un divario che penalizza maggiormente i migranti in termini di esposizione al rischio di esclusione sociale; l’Australia, all’opposto, partiva da un livello di percentuale più bassa tra i migranti (+1,4 per cento) che dopo lo scoppio della crisi economica è diventata più bassa di quella dei nativi (-2,2 per cento); il Canada partiva da una percentuale più bassa tra i migran-ti, ma nel tempo si è allargata la forbice rispetto alla percentuale tra i nativi (il differenziale è cresciuto dal 3,2 al 3,9 per cento);

Page 130: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

130 Marco Zupi

il Regno Unito partiva, come gli Stati Uniti, da una sostanziale equivalenza della percentuale nei due gruppi ma, dopo la crisi, la percentuale tra i migranti si è molto abbassata rispetto a quella tra i nativi (-5,5 per cento), di fatto, rendendo simile la situazione del Regno Unito a quella dei paesi dell’Europa meridionale, oltre che Cipro, Australia e Nuova Zelanda.

I paesi dell’Europa centro-orientale sono caratterizzati da sentieri divergenti: la Repubblica Ceca ha visto assottigliarsi la distanza, pur mantenendo una percentuale molto più alta tra i migranti (la differenza percentuale è scesa dal 17 al 9,2 per cento); la Lettonia è passata da una percentuale più bassa tra i migranti (-2,6 per cento) a una ben più alta (+7,6 per cento); l’Ungheria da una situazione uguale alla Lettonia (-2,4 per cento) a una situazione di sostanziale coincidenza del valore relativo ai migranti con quello della popolazione autoctona; la Slovenia, al contrario, è passata da una percentuale più alta tra i migranti +7,9 per cento) a una leggermente più bassa (-1 per cento).

Il peggioramento del tasso di disoccupazione di lungo perio-do tra i migranti riscontrato nel periodo considerato in Spagna e Irlanda è stato così alto che il peggioramento tra i nativi, per quanto elevato, è stato meno della metà.

Per quanto riguarda la specificità italiana, la spiegazione è legata alla natura relativamente recente dell’immigrazione nel paese, che rende prevalente la quota di prima generazione di immigrati e la motivazione lavorativa. Inoltre la struttura della popolazione migrante è caratterizzata dalla prevalenza delle classi di età centrali. Infine, la «specializzazione» in occupazioni spesso non concorrenziali rispetto a quelle dei lavoratori italiani – per tipologia di lavoro e retribuzione, a cominciare dal lavoro di cura – favorisce un elevato tasso di occupazione dei migranti in Italia, malgrado il deterioramento delle condizioni di lavoro dei migranti negli ultimi anni. Al contrario, in paesi come Pa-esi Bassi, Francia, Germania e Belgio, che hanno una storia di immigrazione più lunga e consolidata e una presenza lavorativa dei migranti in settori non «di nicchia», il tasso di occupazione degli stranieri è più basso di quello degli autoctoni. Nel caso dei paesi scandinavi, come Svezia e Danimarca, la tradizionale presenza di una componente significativa di rifugiati politici e migranti, in generale, per motivi umanitari implica alti tassi di disoccupazione tra i migranti, diversamente che in Italia.

Page 131: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 131

Si tratta di un aspetto importante per le implicazioni che può avere su temi oggi centrali nel dibattito politico relativo all’afflusso crescente di migranti internazionali dall’Africa per motivi umanitari. È legittimo, infatti, domandarsi cosa significhi un afflusso di migranti di questo tipo per la tenuta e i costi dei sistemi di welfare e i rischi di esclusione sociale, a partire da quella sul mercato del lavoro. Confrontare l’integrazione dei migranti presenti nei paesi dell’Europa del Sud, come l’Italia (in cui la componente di rifugiati è tradizionalmente molto bassa), rispetto a quelli in Scandinavia, in particolare la Svezia (in cui, all’opposto, la componente di rifugiati è elevata) può offrire spunti circa le politiche e gli strumenti utili a favorire l’integrazione nella società di migranti che tendono – come in Svezia – ad avere alti tassi di disoccupazione. Infatti, il numero di rifugiati accolti dall’Italia rimane molto modesto (un rifugiato ogni mille persone) se comparato a quello della Svezia (con più di 11 rifugiati ogni mille persone)2 ed è indicativo, a tal proposito, il raffronto tra i primi cinque paesi nella classifica degli afflussi di migranti nel 2013 (tab. 1).

In base ai dati di Eurostat, la Svezia ha tre volte il numero di immigrati di Danimarca o Norvegia, ha molti più rifugiati dall’Iraq e dall’ex Jugoslavia degli altri paesi scandinavi (anche in relazio-ne alla numerosità della popolazione: i rifugiati dall’Iraq sono pari all’1,3 per cento della popolazione, mentre in Danimarca e Norvegia sono lo 0,4 per cento); e soprattutto, è considerata un

2 Pettersen, Østby, Skandinavisk komparativ statistikk om integrering Inn-vandrere i Norge, Sverige og Danmark.

Tab. 1. Afflusso di migranti: le prime cinque comunità extra-europee nel 2013

Svezia Italia1 Somalia Romania2 Afghanistan Marocco3 Eritrea Cina4 India Ucraina5 Iraq AlbaniaSub-totale 34.200 121.400% del totale 34,2% 43,5%

Fonte: Elaborazione dataset Oecd, International Migration Outlook 2015.

Page 132: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

132 Marco Zupi

modello di ottima accoglienza per i rifugiati, oltre ad avere un elevato «tasso di naturalizzazione», ossia il rapporto tra il nu-mero totale di attribuzioni di cittadinanza e lo stock di stranieri residenti in un paese all’inizio dell’anno, che è un indicatore comunemente utilizzato per misurare gli effetti delle politiche nazionali in materia di cittadinanza. In base ai dati dell’Ufficio nazionale dell’immigrazione di Stoccolma, l’eccezionalità della situazione odierna rispetto al passato è indicata dai numeri: a fine ottobre si prevede che i rifugiati nel 2015 siano tra 140 mila e 190 mila (su una popolazione totale di 9,6 milioni di abitanti), tre volte il numero previsto a luglio, e con un numero di bambini non accompagnati tra 30 mila e 40 mila. Si tratta soprattutto di siriani (52 mila), iracheni e afghani (30 mila in entrambi i casi). Gli scenari futuri ipotizzano tra 100 mila e 170 mila nuovi ri-fugiati nel 2016, con i costi di accoglienza dei rifugiati a carico del bilancio pubblico destinati a raddoppiare e raggiungere nel 2017 tra i 7,2 e gli 8,7 miliardi di dollari3. In un contesto di crisi economica e deficit di bilancio che interessa molti paesi – tra cui l’Italia, ma in parte anche la Svezia (che fronteggia un tasso di disoccupazione al 7 per cento, dopo aver raggiunto il picco del 9,5 per cento nel 2010, e ha aumentato la spesa pubblica per il lavoro registrando nel 2014 un deficit pari al 2 per cento del Pil) – il costo dell’integrazione dei rifugiati può alimentare le spinte a ridurre i sistemi di welfare state, in una corsa al ribasso. Detta banalmente, il fatto che una volta riconosciuto lo status di rifugiato, in Italia il migrante abbia il permesso di soggiorno e il diritto di lavorare ma nessun sussidio, mentre in Svezia en-tri in un programma di attivazione sul mercato del lavoro che assicura un sussidio di 720 euro (6.700 corone) più contributi aggiuntivi per l’abitazione e per eventuali figli a carico, ingenera effetti attrattivi molto diversi, che si livellerebbero innalzando i benefici del sistema di welfare state in Italia o, più probabile, abbassando quelli in Svezia.

A mo’ di riepilogo della situazione fotografata nel 2012-2013, è utile un’istantanea che permette di evidenziare come si possa distinguere tra:

– un gruppo di paesi in cui il tasso di disoccupazione degli immigrati è più basso, che comprende gli Stati al di sotto della

3 Crouch, Sweden Faces Strain on Services as Migrant Projection Doubles.

Page 133: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 133

bisettrice identificata con il termine «Uguale» (Cile, Slovacchia, Stati Uniti, Ungheria, Israele, Polonia e Lituania);

– un gruppo di paesi in cui non c’è sostanzialmente diffe-renza, che comprende gli Stati posizionati sulla linea bisettrice (Australia, Nuova Zelanda e Cipro);

– la maggioranza dei paesi, tra cui l’Italia, in cui il tasso di disoccupazione degli immigrati è più alto, fino al doppio di quello degli autoctoni;

– il gruppo di paesi in cui il tasso di disoccupazione degli immigrati è più del doppio di quello degli autoctoni, che com-prende i paesi – in primis quelli nordici – al di sopra della linea identificata con il termine «Il doppio» (Danimarca, Norvegia, Svezia, Paesi Bassi, Svizzera, Austria, Belgio e Finlandia).

2. L’integrazione nel mercato del lavoro: l’importanza della nazionalità di origine

Ragioni storico-culturali, linguistiche, politiche, di prossimità geografica, l’esistenza di catene migratorie, concorrono a carat-terizzare in modo distinto le nazionalità prevalenti degli stock e dei flussi migratori nelle diverse aree del mondo.

Un semplice confronto tra paesi dell’Europa mediterranea evidenzia come la percentuale di africani sul totale della popola-zione di età compresa tra 15 e 64 anni nati all’estero è pari al 17,2 per cento in Italia e in Spagna, al 43,1 per cento in Portogallo, raggiungendo il 50,7 per cento in Francia, toccando all’opposto percentuali irrisorie in Grecia, dove prevale l’immigrazione albanese4.

Ancor più nel dettaglio, in Francia, nel 2012, lo stock di popolazione straniera era pari al 6,4 per cento del totale della popolazione (ma le persone nate all’estero erano pari all’11,9 per cento della popolazione), le prime tre nazionalità registrate nei flussi migratori del 2013, peraltro coincidenti con le prime tre nazionalità per l’intero decennio, sono state Algeria, Marocco e Tunisia, tenendo conto del fatto che il primo motivo per il rilascio del permesso di soggiorno è stato il ricongiungimento familiare (quasi 105 mila nel 2013, rispetto a meno di 27 mila

4 Oecd, Database on Immigrants in Oecd Countries, 2010-11.

Page 134: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

per motivi di lavoro). In un contesto di crisi economica come l’attuale nell’Europa mediterranea è ovviamente prevedibile che sia molto contratto il canale degli ingressi per motivi di lavoro, tuttavia i ricongiungimenti familiari nei fatti determinano co-munque, almeno in prospettiva, una sfida per l’integrazione nel mercato del lavoro5.

In Italia, a titolo di confronto, nel 2013, lo stock di popolazione straniera era pari all’8,3 per cento del totale della popolazione, le prime tre nazionalità registrate nei flussi migratori nello stesso anno sono state Romania, Marocco (con oltre 373 mila titoli di soggiorno rilasciati per il 2013 e sostanzialmente lo stesso nu-mero nel 2014) e Cina, mentre il primo motivo per il rilascio del permesso di soggiorno è stato il ricongiungimento familiare (81 mila nel 2013, poco superiore rispetto ai 73 mila per motivi di lavoro)6. Nel 2014 in Italia è risultata invariata la distribuzione dei titoli di soggiorno per area geografica di provenienza: l’Eu-ropa non comunitaria e l’Africa «araba» si sono confermate le aree di maggior affluenza immigratoria con il 49,39 per cento dei titoli rilasciati. In particolare, i cittadini provenienti dai paesi dell’Est europeo (Romania, Albania, Ucraina, Moldova, Polonia, Macedonia e Bulgaria) rappresentano il 44,22 per cento del totale degli stranieri residenti in Italia, mentre il Marocco (9,24 per cento) si distanzia molto da Tunisia (1,98 per cento) ed Egitto (1,95 per cento) per numero di residenti7. In base, ai principali risultati dell’approfondimento tematico dell’Istat sull’integra-zione di stranieri e naturalizzati nel mercato del lavoro, rilevato nel secondo trimestre del 2014 nell’ambito della Rilevazione sulle forze di lavoro, dal 2008 al 2014 il tasso di occupazione degli stranieri ha subìto una contrazione di 6,3 punti, molto più accentuata rispetto a quella dei naturalizzati e degli italiani dalla nascita; al contempo, il tasso di disoccupazione degli stranieri è quasi raddoppiato rispetto a sei anni prima, il 59,5 per cento degli stranieri ha trovato lavoro grazie al sostegno della rete informale di parenti, conoscenti e amici (38,1 per cento i naturalizzati, 25 per cento gli italiani) e il 29,9 per cento degli occupati stranieri

5 Oecd, International Migration Outlook 2015.6 Ibidem.7 Ministero dell’Interno, Dati statistici sull’immigrazione in Italia dal 2008

al 2013 e aggiornamento 2014.

134 Marco Zupi

Page 135: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 135

dichiara di svolgere un lavoro poco qualificato rispetto al titolo di studio conseguito e alle competenze professionali acquisite, percentuale che scende al 23,6 per cento tra i naturalizzati e all’11,5 per cento tra gli italiani; non essere italiano dalla nasci-ta rappresenta un ostacolo per trovare un lavoro, o un lavoro adeguato, per il 36,2 per cento degli stranieri e il 22 per cento dei naturalizzati8.

L’esperienza statunitense offre interessanti spunti e ipotesi interpretative per l’Europa: prima degli anni ’60, gli immigrati negli Stati Uniti provenivano soprattutto dall’Europa occidentale e la transizione verso una prevalenza latinoamericana e asiatica è coincisa con una diminuzione netta del reddito degli immigranti. Si tratta di una correlazione che trova conferma nei dati del cen-simento, laddove non solo il reddito d’ingresso degli immigrati negli Stati Uniti varia molto a seconda delle nazionalità di origine, ma il reddito delle comunità ispanico e asiatiche tende a essere pari alla metà o meno di quello degli autoctoni, mentre il reddito d’ingresso degli immigrati europei è comparabile con quello degli autoctoni. Si tratta di differenze che persistono al variare dell’età e dei livelli d’istruzione ma che, tendenzialmente, dovrebbero dimi-nuire all’aumentare del periodo di residenza nel paese ospitante9.

Un’ipotesi plausibile suscettibile di generalizzazione è, dunque, che un fattore determinante la variazione del livello retributivo iniziale dei migranti sia il livello di sviluppo economico dei pa-esi di origine (cui si associano strutture industriali, qualifiche e competenze dei lavoratori, regimi del mercato del lavoro, sistema educativo): in termini retributivi, mediamente un immigrato in Europa proveniente dal Nord Africa tenderà a guadagnare meno all’inizio di un immigrato proveniente dal Nord America (o dal Giappone), ma più di un immigrato originario dell’Africa sub-sahariana, una macro-regione il cui reddito pro capite medio è circa la metà di quello del Nord Africa. Parimenti si spiega, sempre in termini medi, il trattamento non bilanciato a parità di qualifiche di un europeo che risieda in un paese africano e di un africano che risieda in un paese europeo.

Attributi individuali del migrante come la nazionalità di origine si combinano dunque con altri attributi (il livello di

8 Istat, L’integrazione degli stranieri e dei naturalizzati nel mercato del lavoro.9 Orcutt Duleep, The Adjustment of Immigrants in the Labor Market.

Page 136: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

136 Marco Zupi

istruzione, la qualifica professionale o comunque l’inserimento in un mercato del lavoro segmentato che presenta «enclave» di tipo etnico, ma anche lo status migratorio e il progetto migratorio in termini di durata della permanenza all’estera). In proposito, è abbondante la letteratura scientifica che conferma la rilevanza della nazionalità d’origine ai fini dell’integrazione nel mercato del lavoro: la padronanza linguistica nel paese di destinazione, il riconoscimento del titolo di studio conseguito all’estero, la presenza di reti e associazioni di migranti e associazioni impren-ditoriali, le attitudini delle popolazioni autoctone nei confronti delle diverse nazionalità di origine dei migranti, il ruolo delle donne sono tutti fattori determinanti e, al contempo, correlati alla nazionalità d’origine.

Con riferimento a paesi del Nord Africa che si affacciano sul Mediterraneo e sono paesi di origine di flussi migratori verso l’Europa mediterranea, indicazioni importanti quali fattori di spinta vengono dai dati relativi al tasso di disoccupazione, confrontando il dato relativo a inizio degli anni duemila e nel pieno della crisi economica, distinguendo altresì per livello di competenze (distinguendo i cosiddetti high skilled, con maggiori competenze cognitive, come nel caso delle professioni intellet-tuali, dai low skilled, con maggiori competenze manuali, come nel caso di profili tecnici) (tab. 2).

Parimenti, per gli stessi paesi del Nord Africa è sufficiente confrontare i dati relativi ai primi cinque paesi di destinazione dei flussi migratori, distinguendo altresì per livello di competenze professionali, al fine di cogliere il tipo di inserimento nel mer-cato del lavoro associato ai diversi paesi di destinazione, come

Tab. 2. Tasso di disoccupazione (a), tasso di disoccupazione tra gli high skilled (b) %

2000/01 2010/11uomini donne totale uomini donne totale

Tunisia (a) 18,36 23,29 19,98 17,39 23,49 19,39(b) 9,31 10,75 9,82 10,64 16,89 12,92

Marocco (a) 16,67 24,29 19,09 26,78 34,59 29,56(b) 10,9 12,45 11,48 14,6 19,6 16,48

Egitto (a) 7,84 9,21 8,24 10,62 13,29 11,34(b) 5,77 7,83 6,36 8,45 11,07 9,25

Fonte: Elaborazione dataset Oecd, Indicators of Immigrant Integration 2015.

Page 137: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 137

nel caso dell’Italia, che si caratterizza per una netta prevalenza d’inserimento nel mercato del lavoro a minori competenze cogni-tive: con riferimento ai tre paesi di origine, ci sono circa 6 high skilled per ogni 100 low skilled sul mercato italiano, rispetto a un rapporto molto più bilanciato per esempio in Francia, dove la proporzione è di 42 high skilled per ogni 100 low skilled (tab. 3).

Quel che è certo è che i paesi del Nord Africa sono paesi, sul piano migratorio, molto diversi dai paesi dell’Africa sub-sahariana: emigrano relativamente molto di più dal Nord Africa (circa il 4,1 per cento di quanti restano nel proprio paese, rispetto all’1,7 per cento nel caso degli africani sub-sahariani), inoltre circa tre quarti dei migranti dell’Africa sub-sahariana restano in Africa e molti pochi di questi attraversano il deserto del Sahara per rag-giungere il Nord Africa; all’opposto, il 60 per cento degli africani

Tab. 3. Le prime destinazioni, per livello d’istruzione, nel 2010/11 (migliaia)

TunisiaHigh skilled Low skilled

Francia 74,46 Francia 178,914Canada 7,94 Italia 56,402USA 6,96 Israele 14,526Italia 5,11 Belgio 3,92Israele 4,82 Paesi Bassi 2,465

Marocco

High skilled Low skilledFrancia 182,42 Spagna 481,34Spagna 58,56 Francia 425,57Canada 34,06 Italia 228,71Israele 30,19 Paesi Bassi 88,03USA 29,03 Belgio 81,44

Egitto

High skilled Low skilledUSA 85,79 Italia 18,71Canada 35,41 USA 9,11Regno Unito 17,13 Grecia 8,65Australia 14,94 Francia 7,04Italia 14,19 Israele 6,21

Fonte: Elaborazione dataset Oecd, Indicators of Immigrant Integration 2015.

Page 138: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

138 Marco Zupi

residenti nei paesi Ocse e il 93 per cento di quelli che risiedono negli Stati del Golfo Persico (per lo più uomini e impiegati nel settore delle costruzioni con mansioni low skilled) sono Nord africani, originari di paesi in cui scarsissima – diversamente dall’Africa sub-sahariana – è la mobilità intra-area10.

3. L’integrazione nel mercato del lavoro: la questione di genere, il livello di istruzione e l’anzianità migratoria

Per tornare alle influenze esercitate dal contesto territoriale, in termini generali di paese e di sistema istituzionale (a comin-ciare dal regime di welfare state) ci sono diversi fattori da poter prendere in considerazione. Ovviamente, la prima approssima-zione di un confronto tra paesi e del sostanziale funzionamento del criterio di aggregazione legato al regime di welfare state che porta ad aggregare i paesi europei mediterranei, richiederebbe poi, in sede di approfondimento, ulteriori aggregazioni, a co-minciare dall’opportunità di considerare le forti differenziazioni interne ai singoli paesi. Nel caso dell’Italia, per esempio, esistono eterogeneità riconducibili al modello interpretativo delle Tre Italie, proposto quaranta anni fa da Arnaldo Bagnasco11, che corrispondono a modelli diversi di integrazione dei migranti nel mercato del lavoro. Per altro, se per un verso il Nord Italia è stato tradizionalmente il polo di attrazione degli immigrati, in ragione delle opportunità lavorative offerte, allo stesso tempo negli ultimi anni, con un’accelerazione legata alla crisi economi-ca, si è assistito ad una stabilizzazione prima e una contrazione poi dei flussi migratori nel Nord, portando a parlare di fase di saturazione migratoria, determinando una pressione maggiore rispetto al passato nelle regioni del Mezzogiorno, strutturalmente condizionate da una realtà socio-economica ancor più critica12.

Si tratta di un ragionamento che, in questa sede, si può solo introdurre e non sviluppare, trattandosi qui di offrire elementi di carattere più generale.

10 Lucas, African Migration.11 Bagnasco, Tre Italie, la problematica territoriale dello sviluppo italiano.12 Ministero dell’Interno, Dati statistici sull’immigrazione in Italia dal 2008

al 2013 e aggiornamento 2014.

Page 139: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 139

Un’informazione generale aggiuntiva interessante è, allora, quella relativa al divario di esclusione dal mercato del lavoro tra migranti uomini e donne. Ovunque il tasso di occupazione degli uomini migranti è più alto, spesso in modo rilevante, rispetto a quello delle donne migranti.

In relazione a questa dimensione, il gruppo dei paesi del Sud Europa si comporta in modo differenziato: l’Italia ha un tasso di occupazione maschile molto più alto (il 31,7 per cento in più nel 2006-2007), differenza che rimane ma si riduce molto, di oltre dieci punti percentuali, dopo la crisi (il 21 per cento in più); un trend simile ma ancor più marcato si registra in Grecia (il diva-rio scende dal 34 per cento al 16,8 per cento). All’opposto, in Portogallo il divario uomini-donne è molto più basso e quasi si azzera dopo la crisi, che determina una riduzione elevata come nel caso italiano (scendendo il divario dall’11,1 per cento al 3,4 per cento); un trend simile è riscontrabile anche in Spagna (il divario è diminuito dal 19,4 per cento al 5,4 per cento). Quello del Portogallo, che risulta essere il paese industrializzato con il divario più basso nel 2012-2013, è un caso tipico di modello di recente immigrazione da paesi lusofoni (Brasile, Capo Verde e Angola, soprattutto): oltre la metà degli immigrati sono donne, in particolare brasiliane occupate nel lavoro domestico e badanti, ma anche nei servizi (soprattutto, negozi e ristoranti)13.

All’opposto, tra i paesi anglosassoni la crisi non ha determi-nato una forte riduzione del divario negli Stati Uniti (il divario è passato dal 24,6 per cento al 21,9 per cento), nel Regno Unito (dal 18,9 per cento al 19 per cento), in Australia (dal 18,2 per cento al 16,6 per cento) e Canada (dal 13,7 per cento all’11,2 per cento), mentre la riduzione è stata più marcata in Irlanda (dal 18,3 per cento all’11,7 per cento) e Nuova Zelanda (dal 16,1 per cento all’11 per cento).

Nel caso dei paesi continentali, il divario è leggermente di-minuito in Francia (dal 18,1 per cento al 17,1 per cento) ed è leggermente aumentato in Germania (dal 16,3 per cento al 17,7 per cento), Austria (dal 18,2 per cento al 15,5 per cento) e Belgio (dal 20,1 per cento al 15,4 per cento).

13 Serviço de Estrangeiros e Fronteiras, Relatório de Imigração, Fronteiras e Asilo 2014; Observatório das Migrações, Imigraçao em numeros. Estatistic de Bolso.

Page 140: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

140 Marco Zupi

Nei paesi centro-orientali, la situazione è rimasta invariata in Ungheria (dal 19,2 per cento al 17,5 per cento), il divario è leggermente aumentato in Polonia (dal 16,7 per cento al 20,7 per cento) e nella Repubblica Ceca (dal 19,4 per cento al 23,5 per cento), è molto aumentato in Slovenia (dall’11,1 per cento al 19,3 per cento) ed è invece diminuito nella Repubblica Slovacca (dal 22,7 per cento al 10,7 per cento).

Nel caso dei paesi scandinavi, in cui la differenza di genere era molto ridotta, la crisi ha ulteriormente ridotto il divario in Danimarca (dall’11,2 per cento al 5,3 per cento) e mantenuto le distanze in Svezia (dall’8,2 per cento all’8,8 per cento) e Norvegia (dal 9,6 per cento al 9,3 per cento). Le differenze sono rimaste molto limitate anche nei paesi baltici: Estonia (dal 5,7 per cento al 6,6 per cento), Lettonia (dall’11,1 per cento al 7,3 per cento) e Lituania (dal 10,9 per cento al 5,8 per cento).

Per quanto riguarda il livello di istruzione come fattore con-dizionante, al netto del principio generale secondo cui ovunque alti livelli di istruzione aumentano le probabilità di entrare nel mondo del lavoro sia per gli autoctoni che per i migranti, una regola generale confermata dal confronto internazionale è che se il livello di disoccupazione tende ad essere più in alto tra persone con un basso livello di istruzione, tuttavia il divario tra popolazione migrante e popolazione autoctona è più ampio nel caso di coloro che hanno un livello di istruzione universitaria. Come media dei paesi Ocse, ma anche dell’Ue, i migranti con la laurea hanno una probabilità doppia rispetto agli autoctoni di non lavorare. Il divario persiste, anche se ridotto, nel caso dei regimi liberali di welfare nelle tradizionali colonie di insediamento, Stati Uniti e Nuova Zelanda in testa. In pratica, in tutti i paesi la percentuale del tas-so di occupazione dei «migranti con alto livello di istruzione» è inferiore rispetto a quella della popolazione autoctona. Nel caso dell’Italia, nel 2012-2013 i migranti con basso livello di istruzione hanno avuto un tasso di occupazione del 57,92 per cento rispetto a un 47,91 per cento degli autoctoni; i migranti con alto livello di istruzione hanno invece avuto un tasso del 69,86 per cento rispetto a un 81,88 per cento degli autoctoni. I migranti laureati, dunque, hanno un tasso di occupazione più alto dei migranti poco o per nulla istruiti, ma nel confronto con gli autoctoni, hanno un tasso più basso (del 12 per cento), mentre i migranti poco o per nulla istruiti hanno un tasso più alto (del 10 per cento).

Page 141: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 141

La situazione è la stessa in Grecia e a Malta, mentre in Spa-gna i migranti poco o per nulla istruiti hanno lo stesso tasso di occupazione degli autoctoni e in Portogallo la differenza tra migranti e autoctoni è molto ridotta anche con livelli elevati di istruzione. Nei paesi nordici e continentali, invece, i migranti hanno sempre un tasso di occupazione più basso degli autoctoni, quale che sia il livello di istruzione. Fanno eccezione i paesi in cui, nel segmento dell’alto livello di istruzione, i migranti hanno tassi di occupazione identici (o addirittura superiori) a quelli degli autoctoni: è il caso del Cile (+0,92 per cento, ma anche dell’Ungheria (-0,03 per cento) e della Nuova Zelanda (-0,99 per cento), della Repubblica Ceca (-1,64 per cento), degli Stati Uniti (-2,8 per cento) e, come detto, del Portogallo (-2,84 per cento).

Il diverso livello di istruzione ha pesato anche nell’impatto degli effetti negativi della crisi economica. I gruppi di popolazione migrante più colpiti sono stati i migranti meno istruiti. Infatti, per ogni dato livello di istruzione, l’aumento della disoccupazione è stato in media lo stesso per migranti e autoctoni, fatta eccezione per i migranti con un livello d’istruzione basso nel Sud Europa, in Danimarca e Svezia, dove sono risultati molto più colpiti; nei paesi anglosassoni (Stati Uniti, Canada, Irlanda e Regno Unito), al contrario, non è visibile alcuna differenza tra i due gruppi con basso livello di istruzione. Ovunque, la disoccupazione ha colpito più i migranti che gli autoctoni nel caso delle persone con istruzione universitaria, ma con un divario meno accentuato rispetto al livello d’istruzione basso.

Un terzo fattore condizionante, oltre a sesso e livello di istru-zione, è l’anzianità migratoria, cioè gli anni di residenza nel paese di destinazione. Tendenzialmente – come è facile immaginare – la disoccupazione è un problema più diffuso tra coloro che sono immigrati recentemente, fenomeno particolarmente vero nell’Unione europea e soprattutto in Svezia, in cui i migranti che risiedono da meno di cinque anni hanno un tasso di disoccupa-zione più alto del 20 per cento rispetto a quello degli autoctoni (in media, nei paesi Ocse il divario è del 5 per cento, nell’Ue è del 9 per cento) ed è il doppio del tasso degli altri migranti. Questo fenomeno non si riscontra, invece, in paesi anglosassoni come Stati Uniti e Nuova Zelanda. Il tasso di disoccupazione tra i migranti, soprattutto di più recente arrivo, è aumentato molto, invece, negli altri paesi del Sud Europa: Portogallo (16,2 per

Page 142: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

142 Marco Zupi

cento), Grecia (19,3 per cento) e soprattutto Spagna (23,8 per cento): cioè i paesi in cui c’è stato un aumento generalizzato del tasso di disoccupazione. Un’eccezione, legata all’andamento del ciclo economico, è rappresentata dalla Germania, in cui il tasso di disoccupazione è diminuito del 12,1 per cento tra i migranti arrivati nel periodo 2003-2007 ed è diminuito del 5,3 per cento tra quelli arrivati prima del 2003.

4. L’integrazione nel mercato del lavoro: la qualità dell’impiego

In relazione alla riforma del diritto del lavoro in Italia, promossa ed attuata dal governo Renzi attraverso diversi provvedimenti legisla-tivi e nota come Jobs Act, un primo dato interessante riconducibile alla qualità dell’impiego è il fatto che nel 2012-2013 mediamente il 13 per cento dei migranti occupati nei paesi Ocse e il 16 per cento di quelli nei paesi dell’Ue aveva un contratto di lavoro temporaneo, rispetto all’11 per cento degli autoctoni occupati.

Confrontando il dato relativo a lavoratori autoctoni, immigrati e immigrati residenti da almeno 10 anni (cioè immigrati da molto tempo), il raggruppamento dei paesi del Sud Europa è quello in cui il carattere temporaneo del contratto d’impiego è il più diffuso: in Spagna interessava il 35,29 per cento degli immigrati occupati, il 29,44 per cento degli immigrati residenti da almeno 10 anni e il 20,14 per cento degli autoctoni; a Cipro il 34,62 per cento degli immigrati occupati, l’11,89 per cento degli immigrati residenti da almeno 10 anni e l’8,4 per cento degli autoctoni; in Portogallo il 23,56 per cento degli immigrati occupati, il 19,47 per cento degli immigrati residenti da almeno 10 anni e il 19,88 per cento degli autoctoni; in Grecia il 17,96 per cento degli immigrati occupati, il 15 per cento degli immigrati residenti da almeno 10 anni e l’8,6 per cento degli autoctoni; in Italia il dato è relativa-mente minore con il 15,22 per cento degli immigrati occupati, l’11,82 per cento degli immigrati residenti da almeno 10 anni e il 12,63 per cento degli autoctoni. Nel caso della Spagna, e in parte del Portogallo, peraltro, la percentuale era molto maggiore prima della crisi economica, al punto che nel 2006-2007 la metà degli occupati aveva contratti temporanei; tale percentuale è poi scesa perché quella categoria di lavoratori è stata la più colpita dalla crisi e le perdite di posti di lavoro sono state concentrate

Page 143: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

anzitutto in quella tipologia. Anche questa indicazione è un utile segnale circa i possibili rischi che la liberalizzazione di assunzioni a tempo determinato può generare, esponendo un’ampia fascia di lavoratori più «vulnerabili» alle conseguenze negative di una crisi economica molto grave.

Diversamente dai paesi del Sud Europa, la situazione è molto differenziata tra i paesi scandinavi per quanto riguarda la diffusione dei contratti d’impiego a carattere temporaneo che riguarda in Svezia il 18,68 per cento degli immigrati occupati, il 13,35 per cento degli immigrati residenti da almeno 10 anni e il 12,18 per cento degli autoctoni, con percentuali quindi vicine a quelle del Sud Europa. Nel caso della Danimarca, invece, i contratti di lavoro temporaneo interessavano solo l’8,98 per cento degli immigrati occupati, il 7,24 per cento degli immigrati residenti da almeno 10 anni e il 5,17 per cento degli autoctoni: livelli molto bassi, quasi quanto quelli nei tre paesi baltici o nei paesi anglosassoni che hanno percentuali comunque inferiori al 10 per cento. La Norvegia è a metà strada, al pari dei paesi continentali.

In generale, i contratti temporanei risultano più diffusi tra le donne, con l’eccezione dei paesi del Sud Europa, in ragione della prevalenza in questi contesti di donne impiegate nei lavori domestici e di cura alle persone che tendono ad essere fattispecie a tempo indeterminato.

I contratti temporanei tendono, poi, ad essere associati gene-ralmente a migranti con un basso livello di istruzione; in questo caso l’eccezione è rappresentata dai paesi che fanno poco ricorso ai contratti di lavoro temporaneo (come Austria, Lussemburgo e Svizzera) e dalla Germania.

Per quanto riguarda, invece, i contratti di lavoro part-time, un dato sulla questione di genere che è trasversale ai paesi Ocse è che mediamente le donne immigrate «subiscono» il part-time, a differenza delle autoctone che «scelgono» più liberamente tale fattispecie contrattuale: è un’indicazione che si può trarre dai risultati di indagini campionarie segnalate dall’Ocse che mostra-no come siano molte più le immigrate che dichiarano di volere lavorare più ore di quanto effettivamente lavorino, e come tale percentuale sia aumentata dopo lo scoppio della crisi, in questo caso interessando ancor di più gli uomini immigrati.

La situazione è particolarmente critica nei paesi del Sud Eu-ropa, dove la percentuale di donne immigrate con lavoro part-

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 143

Page 144: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

144 Marco Zupi

time è aumentata mediamente del 10 per cento tra il 2006-2007 e il 2012-2013, passando dal 14,23 per cento al 24,42 per cento in Grecia, dal 27,07 per cento al 34,54 per cento in Spagna, dal 36,53 per cento al 43,15 per cento in Italia. Sono questi i paesi, insieme all’Irlanda, in cui si è avuto l’incremento maggiore, mentre quelli che hanno registrato la percentuale più alta in assoluto nel 2012-2013 sono quattro Stati – Paesi Bassi, Svizzera, Germania e Belgio – che hanno mantenuto sostanzialmente lo stesso livello molto alto del periodo precedente. I paesi scandinavi non hanno visto aumentare la percentuale nel tempo, stabile tra il 30 e il 38 per cento in Danimarca, Norvegia e Svezia. Ancor più bassa la percentuale nei paesi anglosassoni, come Canada (stabile in-torno al 15 per cento), Stati Uniti (intorno al 20), Regno Unito e Australia (interno al 30 per cento).

Gli immigrati tendono ad essere sovra-rappresentati nei lavori non qualificati, il che è evidente in modo particolare nei paesi del Sud Europa. Da questo punto di vista sono molto omogenei come gruppo, e distanti da tutti gli altri, paesi come Cipro (il 51,45 per cento delle donne migranti lavoratrici rispetto al 10,10 per cento delle autoctone; il 20,87 per cento degli uomini migranti rispetto all’8,47 per cento degli autoctoni), Grecia (il 47,87 per cento delle donne migranti lavoratrici rispetto al 5,26 per cento delle autoctone; il 22,86 per cento degli uomini migranti rispetto al 3,31 per cento degli autoctoni), Spagna (il 42,30 per cento delle donne migranti lavoratrici rispetto al 13,33 per cento delle autoctone; il 21,57 per cento degli uomini migranti rispetto al 6,92 per cento degli autoctoni) e Italia (il 37,72 per cento delle donne migranti lavoratrici rispetto al 9,06 per cento delle autoctone; il 25,23 per cento degli uomini migranti rispetto al 7,54 per cento degli autoctoni). Il dato particolarmente critico è che questo modello non corrisponde ad una selezione dei migranti basata sul profilo lavorativo, il che si traduce in uno spreco di talenti e di investimenti nell’istruzione e formazione nei paesi d’origine, dal momento che a una percentuale tanto alta di migranti impiegati in lavori non qualificati fa da contraltare un livello educativo non tanto più basso di quello degli autoctoni. È il cosiddetto problema dell’iper-qualificazione dei lavoratori stranieri, che è un problema specifico dell’Europa mediterranea, dove oltre ad impieghi meno qualificati delle proprie competenze, in alcuni casi emergono anche disparità salariali tra i cittadini autoctoni e i

Page 145: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

cittadini immigrati e il fatto che questi ultimi non sempre godano delle stesse opportunità abitative e di integrazione scolastica dei figli, sebbene lavorino e paghino le tasse. Il divario tra autocto-ni e immigrati risulta molto accentuato e la differenza rispetto agli altri paesi sta tutta nell’elevata percentuale tra i lavoratori immigrati, perché per quanto riguarda i lavoratori autoctoni le percentuali non si discostano molto dalla media Ocse.

Sul versante opposto dei paesi del Sud Europa vi è il mo-dello anglosassone, ispirato ad una politica migratoria selettiva e orientata ad attrarre molti talenti qualificati: l’Australia (nei lavori non qualificati sono impiegati il 6,47 per cento delle donne migranti lavoratrici rispetto al 5,51 per cento delle autoctone; l’8,61 per cento degli uomini migranti rispetto all’8,31 per cento degli autoctoni), il Canada (il 7,41 per cento delle donne migranti lavoratrici rispetto al 3,96 per cento delle autoctone; l’8,69 per cento degli uomini migranti rispetto al 9,19 per cento degli autoctoni), Nuova Zelanda (l’8,55 per cento delle donne migranti lavoratrici rispetto al 7,51 per cento delle autoctone; il 9,98 per cento degli uomini migranti rispetto all’11,45 per cento degli autoctoni) e Regno Unito (il 14,51 per cento delle donne migranti lavoratrici rispetto al 7,17 per cento delle autoctone; il 13,21 per cento degli uomini migranti rispetto all’8,61 per cento degli autoctoni).

I paesi scandinavi si collocano a metà tra modello anglosassone ed Europa del Sud, anzi molto più vicino a questi ultimi, per la questione della politica di accoglienza dei rifugiati che si traduce in una percentuale più bassa di lavoratori altamente qualificati. Ciò è confermato dal fatto che in Italia come anche in Svezia gli immigrati arrivano soprattutto da paesi a basso reddito, diversa-mente dalla situazione prevalente nei paesi anglosassoni, ma tale affinità nei paesi d’origine riflette due logiche diverse: in un caso – l’Italia – i migranti si trasferiscono essenzialmente per cogliere opportunità di lavoro e contribuiscono a colmare le lacune del mercato del lavoro accettando lavori poco qualificati; nell’altro – la Svezia – le ragioni umanitarie spingono una percentuale significativa di lavoratori non qualificati ad entrare nel paese.

Anche il fenomeno – noto in Italia – dell’elevata propensione all’imprenditorialità e alle partite Iva tra gli immigrati va conte-stualizzato e non giudicato soltanto come fenomeno positivo di grande dinamismo dei migranti.

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 145

Page 146: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

146 Marco Zupi

Per un verso, occorre considerare l’elevata percentuale di mi-granti provenienti da paesi poveri: si tratta di realtà in cui è diffusa la cosiddetta economia informale, che implica una predisposizione e abitudine al lavoro autonomo, in mancanza di alternative; allo stesso tempo, la maggiore diffusione dell’economia informale nei paesi mediterranei rispetto agli altri Stati europei e più in generale dell’Ocse, determina una forte spinta all’imprenditorialità quando vengono meno opportunità di impiego dipendente come in fasi di crisi. Infine, nel caso dell’Italia, la diffusione delle micro e piccole imprese come humus culturale tipico è un contesto che induce comportamenti e attitudini affini tra i migranti. Tutto ciò premesso, se si confronta la percentuale di lavoratori autonomi tra i migranti e gli autoctoni, il dato relativo all’elevata propensione all’auto-impiego tra migranti nel paese cambia di significato: è vero che in Italia la percentuale di migranti che sono occupati come lavoratori indipendenti è elevata guardando al dato relativo agli stranieri residenti da più di dieci anni (il 17 per cento), tenuto conto che negli altri paesi non arriva al 10 per cento: ma è una percentuale più bassa di quella degli autoctoni (23 per cento), a differenza degli altri paesi. Una situazione simile a quella italiana si ritrova solo in Spagna, Grecia e Cipro e, in modo più sfumato, in Portogallo, Malta e Turchia.

5. L’integrazione nel mercato del lavoro: il reddito disponibile

Un ultimo elemento di raffronto tra paesi e raggruppamenti di paesi, al fine di analizzare in particolare le specificità d’integrazione nelle società di accoglienza nel Mediterraneo, è quello relativo al reddito. In generale, i migranti guadagnano meno degli autoctoni: circa il 13 per cento in meno nel caso dell’Ue e il 17 per cento nel caso dell’Ocse. Inoltre, le disuguaglianze di reddito tra gli immi-grati tendono ad essere più marcate di quelle tra gli autoctoni e, in valore assoluto, sono più alte nei paesi in cui quelle nazionali sono più elevate: nei paesi dell’Ue, il decile più ricco tra i migranti guadagna 4 volte quello che guadagna il decile più povero, mentre tra gli autoctoni il rapporto è 3,76:1; negli Stati Uniti, il decile più ricco tra i migranti guadagna 7 volte quello che guadagna il decile più povero, mentre tra gli autoctoni il decile più ricco guadagna 6,6 volte quanto guadagna il decile più povero.

Page 147: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 147

Più nel dettaglio, i due casi estremi sono entrambi europei: da un lato la Spagna, dove si registra il più alto livello di disu-guaglianza di reddito tra gli immigrati (il rapporto tra primo e ultimo decile è 7,82:1 tra gli immigrati e 4,88:1 tra gli autoctoni); dal lato opposto c’è la Norvegia, con il livello più basso di di-suguaglianze di reddito (il rapporto tra primo e ultimo decile è 2,85:1 tra gli immigrati e 3,29:1 tra gli autoctoni). L’Italia è uno dei pochi paesi in cui il divario intra-gruppo è maggiore nel caso degli autoctoni rispetto a quello tra gli immigrati (il rapporto tra primo e ultimo decile è 3,64:1 tra gli immigrati e 4,20:1 tra gli autoctoni), per effetto del modello piuttosto uniforme di inseri-mento nel mercato del lavoro degli immigrati.

In media, nel 2012 un terzo dei membri di famiglie di im-migrati viveva in condizioni di povertà relativa; si tratta di un dato ovunque superiore alla percentuale degli autoctoni, salvo due eccezioni (Ungheria e Bulgaria) e il caso molto particolare di Israele (dove ci sono differenze economiche di tipo etnico e religioso all’interno degli autoctoni: i palestinesi con cittadinanza israeliana hanno il reddito medio di gran lunga più basso tra tutti i gruppi etnici del paese, oltre ad essere la comunità di autoctoni con il più alto tasso di abbandono degli studi e il più alto tasso di mortalità infantile).

Casi di forte differenza di diffusione della povertà tra famiglie di immigrati e di autoctoni si registrano nei paesi scandinavi: rispettivamente il 31,6 per cento e il 14,1 per cento in Dani-marca, il 26,8 per cento e il 15,4 per cento in Svezia, il 25,5 per cento e l’11,2 per cento in Norvegia, ma anche in Finlandia (38,1 per cento e 14,9 per cento) e Francia (30,4 per cento e 12,5 per cento). Lo stesso si osserva nei paesi del Sud Europa: Italia (35,2 per cento e 18,7 per cento), Spagna (39,9 per cento e 19,1 per cento) e Grecia (44,8 per cento e 20,3 per cento). Le differenze in termini di diffusione della povertà tra immigrati e autoctoni sono invece basse – cioè inferiori a un rapporto pari a 2 – in Australia (29,2 per cento e 21,5 per cento), Canada (30,1 per cento e 21,6 per cento), Nuova Zelanda (25,3 per cento e 18,7 per cento) e Regno Unito (26,1 per cento e 16,2 per cento).

Un fenomeno molto diffuso oggi nei paesi Ocse è quello dei cosiddetti lavoratori poveri. Ovviamente, chi non ha un lavoro, e in particolare i disoccupati di lungo periodo, è ancora più svantaggiato, soprattutto in paesi come quelli mediterranei o

Page 148: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

148 Marco Zupi

anglosassoni dove il sistema degli ammortizzatori sociali presenta carenze diffuse e mancano reti di protezione, ben presenti invece – anche se in progressiva riduzione – in Scandinavia. Tuttavia, la crisi economica recente ha evidenziato la vulnerabilità della situazione dei lavoratori poveri che, seppure un po’ più abbienti dei disoccupati, guadagnano il proprio reddito in condizioni di lavoro degradate, precarie e talvolta con orari che limitano fortemente la possibilità di una vita familiare. Si tratta di un fattore che discrimina e crea disuguaglianza, il che significa un rischio di esclusione e mancata integrazione aggiuntivo rispetto ai fattori tradizionali, legati al genere, alla qualifica e anche all’età. I differenziali che contano in questo caso sono quelli del regime di orario, la tipologia di contratto, il territorio, e si legano alla relativa elevata incidenza del lavoro indipendente, di quello irregolare e di quello nelle micro-imprese. In pratica, è venuto meno un assioma che si presumeva esistere in passato: il lavoro non è più sufficiente a proteggere dalla povertà, e questo è un dato di realtà che interessa i migranti in particolare.

Se, infatti, i dati relativi ai paesi Ocse indicano che mediamente nel 2012 il tasso di povertà relativa tra i migranti occupati era dell’11 per cento più basso rispetto a quello di tutti i migranti, tuttavia un lavoratore migrante su cinque risultava povero. La percentuale diventa altissima nel caso dei paesi del Sud Europa, come Italia, Spagna, Grecia e Cipro, ma anche negli Stati Uniti e Canada, dove circa un lavoratore migrante su tre è povero. All’opposto, in Scandinavia la percentuale di individui poveri in famiglie di lavoratori immigrati scende a uno su sei-sette e la percentuale diventa bassissima (uno su dieci) nel caso delle economie dell’Europa continentale, in particolare Germania e Paesi Bassi, e di paesi baltici (in particolare Lettonia e Lituania).

Conclusioni

Quel che i dati indicano, in breve, è che il regime di welfare state – così come tipizzato nelle quattro forme di modello: so-cialdemocratico (paesi scandinavi), liberale (paesi anglosassoni), corporativo o continentale (paesi dell’Europa continentale: Fran-cia, Germania, Austria, Belgio) e mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo) – definisce i tratti distintivi che riguardano

Page 149: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 149

gli strumenti utilizzati (per previdenza, contributi o assistenza), le regole d’accesso (requisiti dei beneficiari e controllo dei mezzi), le modalità di finanziamento adottate, nonché gli assetti organizzativi. I diversi sistemi di protezione, ancorché sotto pressione ovunque, restano oggi una chiave interpretativa efficace, combinata con il quadro macroeconomico nazionale e con il correlato regime di politica migratoria, per analizzare l’effettiva integrazione dei migranti nei paesi in cui vivono.

Tutte le preoccupazioni odierne relative all’impatto – so-stenibile o meno per i sistemi sociali ed economico-finanziari nazionali – dei flussi migratori attesi per il prossimo futuro e i correlati calcoli di costi e benefici delle migrazioni, devono essere attentamente vagliati. In ogni caso, sarà bene ragionare sempre in termini generali della capacità o meno dell’attuale welfare state e del funzionamento del mercato del lavoro nel far fronte ai nuovi bisogni sociali delle persone e delle popolazioni, autoctone e non, prima ancora che in termini di analisi parziali. L’analisi dei dati fattuali, soprattutto in chiave di comparazio-ni internazionali, getta una luce importante sui problemi in termini di equità, responsabilità e squilibri strutturali che non possono essere trascurati in nome delle urgenze del momento e da punti di vista che non colgono le interconnessioni e i tanti fattori condizionanti in gioco. Si tratta di indicazioni d’insieme che dovrebbero aiutare i decisori politici ad orientare meglio le scelte da compiere.

Nel 2015 e nei primi mesi del 2016 gli arrivi di rifugiati in Europa sono cresciuti in modo esponenziale, alcuni episodi ter-roristici hanno fatto rientrare il tema nel perimetro delle nostre paure e sulle nostre coste si sono consumate sciagure navali drammatiche.

Allo stesso tempo, tuttavia, del tutto marginale è stata l’at-tenzione riservata da mass-media e politici al fatto che in Italia cinque milioni e mezzo di immigrati producono l’8,6-8,8 per cento del Pil (pagando le tasse), prendendosi cura degli anziani, dei disabili e dei bambini (il che ha ridotto in modo decisivo il costo di questi servizi), svolgendo lavori poco qualificati (più del 70 per cento è impiegato con la qualifica di operaio), con stipendi ridotti (solo lo 0,6 per cento degli extracomunitari supera i 2 mila euro al mese, secondo i dati del Ministero del Lavoro), facendo più lavori e lavorando moltissime ore al giorno.

Page 150: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Sulla rappresentazione mediatica delle migrazioni e sul populismo politico incide molto più la potenza seduttiva del sensazionalismo che non l’approfondimento accurato di processi e dinamiche complesse. Quello della disinformazione è un feno-meno generale, che però in materia migratoria colpisce l’Italia più di altri paesi europei, stando ai risultati del sondaggio Perils of Perception Survey condotto da Ipsos Mori in 33 paesi nell’ot-tobre del 2015 e che vede l’Italia con un alto livello di «indice dell’ignoranza» (The Ignorance Index) sul tema, all’opposto della Svezia e soprattutto della Norvegia, la nazione più informata14.

Tutto ciò per dire che, in realtà, le questioni centrali da affrontare – come diceva Dudley Seers a proposito dello svilup-po – sono quelle relative alla povertà, alla disuguaglianza e alla disoccupazione (e l’emarginazione sociale che ne consegue), che interessano tutti indistintamente. Gli interessi delle fasce più vulnerabili della popolazione autoctona non possono essere tu-telati illudendosi che la chiave sia nelle politiche migratorie; così pure le migrazioni sono influenzate dalle politiche migratorie, ma molto più da altre politiche che determinano sostanzialmente la qualità e le opportunità di vita dei migranti, che rischiano spesso di subire discriminazioni sulla titolarità ed effettività dei diritti (civili, politici, sociali ed economici).

In economia i modi di produzione – ovvero le diverse com-binazioni di gerarchie e mercati con le quali le società organiz-zano la divisione sociale e tecnica del lavoro, a cominciare dalla distribuzione tra capitale e lavoro, per attenersi alle definizioni degli economisti classici – sono l’elemento fondamentale sulla cui base si sviluppano rapporti di forza e squilibri tra gruppi e interessi sociali, ivi compresi lavoratori autoctoni e migranti internazionali.

Riferimenti bibliografici

Bagnasco A., Tre Italie, la problematica territoriale dello sviluppo ita-liano, Bologna, Il Mulino 1977.

Crouch D., Sweden Faces Strain on Services As Migrant Projection Doubles, in «The Financial Times», 22 ottobre 2015, disponibile

14 Ipsos Mori, Perils of Perception 2015.

150 Marco Zupi

Page 151: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Migranti e integrazione nelle società di accoglienza 151

on line all’indirizzo http:/www.ft.com/intl/cms/s/0/0f8da4e2-78b3-11e5-a95a-27d368e1ddf7.html#axzz3rePt0xur.

Esping-Andersen G., The Three Worlds of Welfare Capitalism, Cam-bridge, Polity Press, 1990.

Ipsos Mori, Perils of Perception 2015. Perceptions Are Not Reality: What the World Gets Wrong, Londra, 2 dicembre 2015.

Istat (Istituto Nazionale di Statistica), L’integrazione degli stranieri e dei naturalizzati nel mercato del lavoro, Report, II trimestre 2014, Roma, 28 dicembre 2015.

Lucas R.E.B., African Migration, in Handbook of the Economics of International Migration, a cura di B.R. Chiswich, P.W. Miller, Londra, Elsevier, 2015, vol. 1B.

Ministero dell’Interno, Dati statistici sull’immigrazione in Italia dal 2008 al 2013 e aggiornamento 2014, Roma, 2014.

Observatório das Migrações, Imigraçao em numeros. Estatistic de Bolso, marzo 2015.

Oecd (Organisation for Economic Co-operation and Development), International Migration Outlook 2015, Parigi, 2015.

— Database on Immigrants in Oecd Countries (Dioc) 2010-11, Parigi, disponibile on line all’indirizzo http://www.oecd.org/.

— Indicators of Immigrant Integration 2015, Parigi, 2015.Orcutt Duleep H., The Adjustment of Immigrants in the Labor Market,

in Handbook of the Economics of International Migration, a cura di B.R. Chiswick, P.W. Miller, Londra, Elsevier, 2015, vol. 1A.

Pettersen S.V., Østby L., Skandinavisk komparativ statistikk om inte-grering Innvandrere i Norge, Sverige og Danmark, in «Samfunns-speilet», 5, 2013.

Serviço de Estrangeiros e Fronteiras, Relatório de Imigração, Fronteiras e Asilo 2014, Barcarena, Oeiras, giugno 2015.

Zupi M. (a cura di), Osservatorio mondiale, in «Focus. Flussi migra-tori», 18, luglio-settembre 2014, Roma, Osservatorio di Politica Internazionale, ottobre 2014.

— (a cura di), Osservatorio mondiale, in «Focus. Flussi migratori», 22, luglio-settembre 2015, Roma, Osservatorio di Politica Inter-nazionale, ottobre 2015.

— Le molteplici realtà dei flussi migratori che arrivano in Italia ed Europa dal Mediterraneo, in «Italianieuropei», 1, 2016.

Page 152: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 153: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

6. Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco

di Francesco Carchedi e Michele Colucci

1. La politica migratoria nei paesi del Mashreq e del Maghreb

Il tema delle politiche migratorie è indubbiamente al centro delle strategie dei paesi mediterranei. È stato un tema che ha rivestito un’importanza crescente fin dalla metà dell’Ottocento e nel corso del tempo è stato interpretato in modo differente dagli Stati, dai governi, dalle loro amministrazioni centrali e periferiche, dalle società civili, dagli attori economici.

Negli ultimi decenni il tema della politica migratoria si è arricchito di notevoli complessità ed è legato a un insieme sem-pre più esteso di questioni vitali, inequivocabilmente centrali nell’orizzonte delle scelte economiche, degli equilibri sociali, delle relazioni internazionali.

Le connessioni tra le politiche migratorie dei singoli paesi e gli snodi decisivi della più recente storia contemporanea nel contesto mediterraneo si presentano in modo particolarmente evidente. Le politiche migratorie condizionano e sono condizionate – allo stesso tempo – dai grandi eventi che hanno scandito i momenti di maggiore discontinuità negli assetti internazionali: la crisi economica dei primi anni ’70; il ritorno della guerra fredda negli anni ’80; gli scontri regionali in Medio Oriente a partire dalla guerra Iran-Iraq negli anni ’80; le conseguenze del 1989; le guerre balcaniche; le due guerre del Golfo; il riaccendersi continuo della conflittualità tra Israele e mondo arabo; lo scenario di guerra globale apertosi dopo l’11 settembre 2001; la crisi economica internazionale esplosa nel 2008; le cosiddette «primavere arabe» e le loro molteplici conseguenze in numerosi paesi mediterranei. Ma l’elenco potrebbe essere ancora più lungo.

Il lavoro è frutto della collaborazione tra gli autori, tuttavia il paragrafo 2 va attribuito a Michele Colucci e il paragrafo 3 a Francesco Carchedi; i paragrafi 1 e 4 sono comuni.

Page 154: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

154 Francesco Carchedi e Michele Colucci

Ciò che in questa sede ci interessa mettere a fuoco è legato al significato concreto della politica migratoria nei diversi contesti nazionali, in particolare per quanto riguarda i paesi della riva africana del Mediterraneo. Questi paesi hanno vissuto negli ultimi quindici anni una congiuntura migratoria del tutto particolare, in cui flussi, provenienze, motivazioni e direzioni dei movimenti di popolazione si accavallano e si sovrappongono, disegnando un quadro continuamente in trasformazione, caratterizzato dalla convivenza di esperienze anche radicalmente diverse tra loro.

Con questa edizione, apriamo un percorso di approfondi-mento che intende anno per anno mettere a fuoco i paesi che si affacciano sulla riva meridionale del Mediterraneo, iniziando quest’anno da Egitto e Marocco.

Ma cosa intendiamo effettivamente per politica migratoria? È bene in via preliminare chiarire i confini di questo concetto.

Nora Federici nel 1996 compilando la voce dell’Enciclopedia Treccani delle scienze sociali sceglie di dedicare un paragrafo alle politiche migratorie all’interno della più corposa voce dedicata al complesso dei movimenti migratori. Questo il suo incipit:

Le politiche migratorie riguardano sia le norme di ingresso che le norme di uscita dei migranti. Le norme di ingresso possono essere estre-mamente liberali, o addirittura incoraggiare l’immigrazione (è questo il caso di Israele nei confronti degli Ebrei di ogni provenienza); possono seguire criteri selettivi (ad esempio favorire gli ingressi a scopo di la-voro o i ricongiungimenti familiari), oppure accettare senza restrizione alcuna i rifugiati. Non mancano peraltro paesi che vietano ogni forma di immigrazione a lungo termine (ad esempio il Giappone). Anche le norme di uscita sono diversificate. In linea di massima i cittadini sono liberi di lasciare il proprio paese, come sancito dalla Dichiarazione di Helsinki sui diritti umani. Solo in qualche caso vi possono essere norme che vietano l’uscita di cittadini con particolari competenze (ad esempio l’Egitto aveva proibito in un certo periodo l’uscita di fisici) o appartenenti a determinati gruppi etnici. In alcuni casi, infine, l’uscita dei cittadini viene favorita per alleggerire il mercato del lavoro interno e per accrescere le rimesse (lo Sri Lanka, il Pakistan, il Bangladesh e l’India, ad esempio, incoraggiano l’emigrazione in Medio Oriente; in passato la Turchia favoriva l’emigrazione in Germania e l’Algeria l’emigrazione in Francia)1.

1 Federici, Migratori, movimenti.

Page 155: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco 155

A questa impostazione nel corso dell’ultimo ventennio si sono aggiunte altre sensibilità, che hanno ulteriormente ampliato lo spettro di interesse del concetto. Oltre alle politiche nazionali, sono state innanzitutto valorizzate le politiche portate avanti dalle organizzazioni internazionali. Allo stesso tempo, sono state approfondite le politiche portate avanti, all’interno degli Stati nazionali, dagli enti locali, non sempre simili tra loro anche se inserite nella stessa cornice nazionale.

Le politiche migratorie nella loro accezione attuale rappresen-tano, per le diverse discipline scientifiche che utilizzano questa categoria, un terreno in cui si incontrano aspetti dell’intervento statale molto diversi tra loro e che tra l’altro non riguardano solo le attività degli Stati, ma anche le attività delle istituzioni religiose, delle associazioni, dei gruppi sociali organizzati quali sindacati o imprenditori. Questa pluralità si può essenzialmente ricondurre a tre orizzonti: la politica economica, la politica sociale, la politica estera. I casi di Egitto e Marocco rivelano in profondità l’impor-tanza di tali politiche nel contesto storico degli ultimi 50 anni.

2. Egitto: l’evoluzione delle politiche migratorie

2.1. Il profilo migratorio

L’attuale politica migratoria egiziana rappresenta in realtà un intreccio di mediazioni, pressioni, interessi frutto dell’azione di soggetti molto diversi tra loro, quali l’Unione europea, i governi dei paesi confinanti, i governi dei paesi del Golfo Persico, gli imprenditori locali, i tecnici e i funzionari governativi addetti alle questioni migratorie, i sindacati, gli ambienti più vicini al potere militare e al presidente Al Sisi, le forze dell’ordine, le organizza-zioni umanitarie2. Questa sovrapposizione di soggetti e di interessi è il frutto di più di 50 anni di sviluppo dei fenomeni migratori in Egitto, fenomeni che appartengono a esperienze migratorie molto diverse tra loro, che è bene mettere a fuoco per comprendere la centralità che ha assunto in Egitto negli ultimi anni la questione migratoria e soprattutto il tema della politica migratoria3.

2 De Bel Air, Gulf and Eu Migration Policies after the Arab Uprisings.3 Sawi, Egypt: the Political and Social Dimension of Migration.

Page 156: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

156 Francesco Carchedi e Michele Colucci

Il profilo migratorio del paese si presenta particolarmente complesso, perché convivono fenomeni diversi tra loro, che hanno però tutti a che fare con la mobilità territoriale e il suo impatto demografico, economico, sociale e politico. L’Egitto è innanzitutto un paese che ha conosciuto fin dagli anni ’60 del Novecento un processo di industrializzazione e di urbanizzazione che ha generato significativi processi migratori interni, preva-lentemente riconducibili allo spostamento dalle aree rurali alle grandi e medie città. Il Cairo (città di 10 milioni di abitanti, che salgono a 15 se consideriamo l’area metropolitana) e Alessandria (città di 4 milioni di abitanti) hanno giocato in questo senso un ruolo decisivo. Zohry a questo proposito ha individuato 4 gran-di correnti: da Sud a Nord; da tutto il paese verso il Canale di Suez; dall’entroterra verso Il Cairo e Alessandria; dall’entroterra verso Sinai e Mar Rosso4. In secondo luogo l’Egitto ha attratto immigrazione, prevalentemente qualificata fino agli anni ’80 del Novecento, e ha in seguito aumentato notevolmente il ruolo di paese di transito e di accoglienza di cittadini stranieri, provenienti dai paesi arabi, dal Sudan, dall’Africa sub-sahariana e dai pesi mediorientali in coincidenza delle numerose guerre e conflitti che hanno caratterizzato l’area dai primi anni ’80 a oggi. In terzo luogo, ha conosciuto e conosce un fenomeno di emigrazione verso l’estero, molto significativo a partire dagli anni ’70 del Novecen-to. In quarto luogo, è meta di numerosi flussi di emigrazione di ritorno, frutto delle già citate emigrazioni verso l’estero.

2.2. Dagli anni ’60 agli anni ’80

Per ricostruire le caratteristiche della politica migratoria egiziana la prima stagione su cui necessariamente dobbiamo concentrare l’attenzione è quella successiva alla presa del potere di Nasser. Tra il 1954 e il 1956 Nasser avviò una complessiva iniziativa di riforma dello Stato e dell’economia del paese, con l’obiettivo di nazionalizzare le attività economiche, aumentare l’indipendenza energetica e nelle materie prime, rompere i lega-mi con le ex potenze coloniali, quali Francia e Inghilterra, che avevano per lungo tempo controllato la regione mediorientale:

4 Zohry, Contemporary Egyptian Migration 2003.

Page 157: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco 157

la decisione più famosa è quella della nazionalizzazione del Canale di Suez. In questa ottica la forza lavoro egiziana andava necessariamente protetta e tutelata e l’emigrazione doveva avere dimensioni limitate5. Nel corso degli anni ’50 e degli anni ’60, infatti, non si registra una emigrazione di massa dal paese, ma si sviluppa un’emigrazione mediamente e altamente qualificata, diretta soprattutto nei paesi arabi e nelle Americhe e legata a medici, insegnanti, tecnici, ingegneri, spesso coinvolti in attività economiche legate direttamente o indirettamente all’Egitto6.

La situazione inizia parzialmente a cambiare nel 1967, quando anche da parte governativa si inizia a manifestare un’inversione di tendenza nella direzione di minore restrizioni all’emigrazio-ne. Il processo che porta all’eliminazione delle restrizioni verso l’emigrazione culmina nel 1974 (con l’eliminazione del visto in uscita) ed è legato strettamente al nuovo ciclo migratorio apertosi in Medio Oriente dopo il 1973, con l’aumento del prezzo del pe-trolio. I paesi del Golfo Persico diventano estremamente attrattivi per la manodopera egiziana, sia quella scarsamente qualificata sia quella più specializzata, come nel caso di insegnanti, medici, infermieri, tecnici7. Fino ad allora l’emigrazione egiziana, ancora poco sviluppata, si era diretta prevalentemente verso l’America del Nord, verso l’Europa centrale e verso paesi più vicini, come la Libia. A fianco all’emigrazione per motivi di lavoro andava avanti in modo più massiccio l’emigrazione per motivi di studio, che portò decine di migliaia di egiziani a formarsi nelle università americane ed europee, soprattutto in ambito medico e ingegne-ristico. La nuova politica migratoria maturata nei primi anni ’70 è legata anche alla stagione di Sadat, che avvia una politica più incline alla liberalizzazione dell’economia rispetto a quella di Nasser8. L’obiettivo era quello di usare l’emigrazione come ammortizzatore delle tensioni sociali interne, come riequilibrio dei redditi e dei consumi attraverso le rimesse, come strumento di politica estera all’interno degli equilibri regionali. L’Egitto negli anni ’70 firma tra l’altro accordi bilaterali per lo scambio

5 Coslovi, Zarro, Stati africani e migrazioni.6 Piluso, Mutamenti costituzionali e politiche migratorie nei paesi dell’Islam

mediterraneo.7 Fargues, Arab migration to Europe; Coslovi, Zarro, Stati africani e migrazioni.8 Baldwin Edwards, Migration in the Middle Eastern and Mediterranean.

Page 158: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

158 Francesco Carchedi e Michele Colucci

di manodopera con Libia, Iraq e Qatar. L’organizzazione di una politica migratoria orientata alla facilitazione delle partenze negli anni ’70 e nei primi anni ’80 e la presenza di un’emigrazione di ritorno nel paese ancora poco sviluppata rappresenta una diffe-renza significativa con il quadro che negli stessi anni si presenta nei paesi del Maghreb. In Marocco, Algeria e Tunisia, infatti, dove l’emigrazione di massa era iniziata in anticipo rispetto all’Egitto, già nel corso degli anni ’70 si parla di programmi governativi per l’emigrazione di ritorno e la politica migratoria non è limitata alla semplice facilitazione delle partenze.

Nei primi anni ’80 due tappe importanti nella vicenda egizia-na sono la nascita del Ministero per l’emigrazione nel 1981 e la legge per l’emigrazione del 19839. Il Ministero assume una serie di competenze importanti, soprattutto rispetto alla formazione, alla pianificazione e alle relazioni con i paesi interessati alla manodopera egiziana. La legge riorganizza tutto il settore della politica migratoria, sistematizzando le facilitazioni e la revisione delle restrizioni già varate e organizzando un vasto programma di sostegno economico, fiscale, istituzionale agli emigranti e alle loro famiglie. Ma proprio subito dopo l’entrata in vigore della legge, l’esplosione della guerra tra Iran e Iraq determina una nuova fase di chiusura delle frontiere e di rimpatri nella regione mediorientale. Sono circa un milione i ritorni in patria negli anni compresi tra il 1983 e il 1988. Negli anni successivi continua l’on-data di ritorni, ulteriormente aggravata dalla guerra del Golfo del 1991, che comporta l’abbandono di Iraq e Kuwait per i lavoratori egiziani. Soltanto a partire dal 1992-1993 si registra l’inversione di tendenza e la ripresa massiccia delle partenze per l’estero.

2.3. Le novità degli anni ’90

Nel corso degli anni ’90 e del primo decennio del Duemila si è registrata la tendenza alla stabilizzazione di flussi migratori di natura permanente non solo con l’America del Nord, ma anche con l’Europa. Inizialmente, infatti, l’emigrazione verso l’Eu-ropa aveva un carattere prevalentemente temporaneo, mentre quella transoceanica aveva carattere tendenzialmente definitivo.

9 Zohry, Contemporary Egyptian Migration.

Page 159: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco 159

Successivamente questa differenza si è stemperata e i flussi che hanno continuato a presentare un andamento temporaneo sono soprattutto quelli verso i paesi del Golfo.

Alla metà degli anni ’90 la politica migratoria egiziana si è tro-vata di fronte a un nuovo fenomeno: l’aumento dell’immigrazione straniera. Non che non esistesse la presenza straniera nel paese: prima greci, maltesi e italiani, poi soprattutto lavoratori prove-nienti dai paesi arabi avevano iniziato a stabilirsi in Egitto già nel corso degli anni ’50, ma si trattava di presenze legate soprattutto alle grandi imprese, al piccolo commercio, con flussi comunque limitati. Alla metà degli anni ’90 si inizia invece a sviluppare un flusso nuovo, proveniente dal Sud, cioè dal Sudan e dai paesi dell’Africa subsahariana. Il flusso dal Sudan era il frutto della guerra civile che aveva colpito il paese già alla fine degli anni ’80 e proseguiva ulteriormente. Gli altri flussi africani erano legati al diffondersi dei conflitti e al peggioramento delle condizioni economiche in diverse parti del continente. L’Egitto diventò particolarmente attrattivo per questi flussi, sia perché era uno Stato comparativamente sviluppato e industrializzato, sia perché rappresentava un possibile luogo di transito verso l’Europa.

A livello istituzionale, nel 1996 i Ministeri del Lavoro e dell’Emigrazione si uniscono, fondando il Ministero per il La-voro e l’Emigrazione. Nel 1997 si forma l’Alta commissione per la migrazione.

Nel corso degli anni ’90 è notevolmente cresciuta l’influenza europea sulle scelte della politica migratoria dei paesi del Sud del Mediterraneo10. Il processo di Barcellona, avviato nel 1995, ha inaugurato una stagione di cooperazione finalizzata a una maggiore integrazione economica, sociale e politica dei paesi mediterranei. I tre pilastri di tale processo di cooperazione hanno tutti a che fare con la politica migratoria: il dialogo periodico in tema di politica e sicurezza; la cooperazione economica, commerciale e finanziaria, immaginata come la premessa per realizzare un’area di libero scambio; la cooperazione culturale e sociale in materia di istruzione, formazione, lavoro e diritti11. L’Unione europea ha progressivamente incentivato la presenza del controllo delle fron-

10 Pepicelli, 2010: un nuovo ordine mediterraneo?11 Ferragina A.M., Ferragina E., Europa e Mediterraneo: le potenzialità di

integrazione e le strategie di rilancio della politica euromediterranea.

Page 160: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

160 Francesco Carchedi e Michele Colucci

tiere e del monitoraggio dei flussi migratori all’interno di questo processo. L’Egitto ha sottoscritto il recepimento dell’accordo di associazione previsto dal processo di Barcellona nel 2004, con decorrenza a partire dal 1 giugno 2004.

Nel corso degli ultimi 15 anni la politica migratoria egiziana si è strutturata essenzialmente attraverso due linee di intervento: quella per i rifugiati all’interno del paese, costantemente in crescita, e quella per gli emigrati all’estero. Rispetto ai rifugiati, l’Egitto ha ratificato le principali convenzioni internazionali, avviando una cooperazione con l’Acnur e intervenendo – a partire dal 2002 – sulla legislazione nazionale per regolamentare la richiesta, la concessione e la fruizione dello status di rifugiato. Rispetto agli emigrati all’estero, la cornice legislativa resta quella del 1983. I settori in cui maggiormente si è concentrato l’intervento go-vernativo sono la firma di accordi bilaterali con i paesi – come l’Italia – interessati a selezionare la manodopera egiziana e il tentativo di valorizzare in chiave economica la diaspora egiziana nel mondo, incentivando non solo la razionalizzazione dell’invio delle rimesse, ma anche la funzione di «ponte» esercitata dagli egiziani residenti all’estero nella prospettiva di promozione delle esportazioni e più in generale di costruzione di legami economici con i paesi di accoglimento. Le statistiche governative nel dicembre 2015 riportano la popolazione egiziana presente all’interno del paese a circa 90 milioni di persone, mentre il totale della popolazione egiziana residente fuori dai confini oscilla, a seconda delle rilevazioni, tra i 5 e i 7 milioni di persone, una percentuale molto significativa in termini demografici. Un altro tema all’ordine del giorno, soprattutto dopo la crisi economica internazionale avviata nel 2008, è quello della tutela dei lavoratori residenti all’estero che rientrano in patria, flusso in crescita in particolare dai paesi del Golfo.

In tutto il 2015 in Egitto si sono rincorse voci, polemiche, discussioni in merito all’introduzione di una nuova legge nazionale sull’immigrazione. Questa legge è stata effettivamente varata dal governo di Al Sisi nel mese di novembre 2015 e ha iniziato nei mesi successivi il percorso per la ratifica parlamentare, percorso che come tutte le iniziative legislative è reso particolarmente complicato dal fatto che il Parlamento si è ricominciato a riunire solo il 10 gennaio 2016, dopo che la Corte costituzionale aveva sciolto il Palamento eletto in occasione delle elezioni del giugno

Page 161: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco 161

2012 dichiarandolo illegittimo, a causa della dichiarazione di incostituzionalità della legge elettorale con cui era stato eletto.

La nuova legge sull’immigrazione prevede sanzioni dure nei confronti dei trafficanti illegali di persone, coordina il rimpatrio in sicurezza delle persone irregolari nei rispettivi paesi di pro-venienza, tutela formalmente il diritto all’assistenza medica, al trattamento umano, alla tutela anche di coloro che non hanno i documenti in regola. Negli ultimi dieci anni sono, infatti, au-mentati notevolmente i flussi di persone che raggiungono il paese in fuga da guerre, conflitti e crisi economiche e che riescono difficilmente a usufruire della protezione umanitaria o dei canali legali di reclutamento della manodopera in Egitto. Questa legge è stata rivendicata dal governo egiziano come un provvedimento restrittivo, capace di limitare l’afflusso di persone dentro i suoi confini e di ridurre e progressivamente eliminare le basi logistiche dei trafficanti, molto radicate soprattutto in prossimità delle aree portuali. Le organizzazioni umanitarie hanno però ripetutamente messo in discussione la reale volontà da parte delle istituzioni egiziane di tutelare concretamente, al di là delle dichiarazioni di principio, gli stranieri che si trovano a vivere e a soggiornare nel paese e risultano impossibilitati ad avere documenti regolari, oltre che tutelare gli stessi immigrati regolari, spesso inseriti in circuiti di sfruttamento in ambito lavorativo e di precarietà abitativa.

2.4. Gli sviluppi recenti

Nei mesi a cavallo tra il 2010 e il 2011, il ciclo di mobilitazioni, cambi di regime, conflitti tra Stati che si è aperto in tutta la regione medio-orientale ha inciso notevolmente sulla politica migratoria egiziana. Il paese ha conosciuto nuove ondate di immigrazione legate ai conflitti nei paesi confinanti. Dalla vicina Libia sono rientrati i cittadini egiziani che risiedevano nel paese, ma anche molti stranieri che si trovavano in Libia per lavoro o perché in transito verso l’Europa. Sono giunti profughi dalla Siria, sono aumentati i flussi provenienti dal Sudan, dall’Eritrea, dalla Africa centro-meridionale. A seguito dei conflitti apertisi con le proteste di piazza Tahrir, inoltre, dall’Egitto è partita una nuova stagione di emigrazione, legata direttamente e indirettamente al conflitto sociale e politico in atto nel paese.

Page 162: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

162 Francesco Carchedi e Michele Colucci

Oltre alla già citata legge sull’immigrazione dibattuta nel corso del 2015, possiamo riscontrare un orizzonte di intervento nella politica migratoria egiziana anche nella Costituzione del 2014. La Costituzione del 2014 è scaturita dall’ascesa al potere dei militari in sostituzione del governo Morsi, eletto presidente nel 2012 e destituito nel 2013. A seguito dell’elezione di Morsi, esponente dei Fratelli musulmani, era stata approvata una nuova Costituzione nel 2012 che nel 2014 è stata sostituita dal nuovo testo, legato alla presidenza del generale Al Sisi.

Nella Costituzione del 2014 si parla di emigrazione agli articoli 62 e 9112. Il primo disciplina la libertà di ingresso, residenza e movimento nel paese, mentre il secondo si occupa del diritto di asilo. Le enunciazioni rispetto alla tutela di coloro che giungono nel paese rappresentano un punto di riferimento importante, ma naturalmente per capire la loro effettiva applicazione andrebbero concretamente calate nella realtà. Ciò che è importante ai fini della nostra analisi è che la Costituzione del 2014, occupandosi in diversi punti diffusamente di presenza straniera, ha complessivamente riconosciuto e formalizzato la nuova collocazione dell’Egitto nel contesto migratorio internazionale: non più solo paese di emigra-zione verso l’estero, ma anche paese di immigrazione dall’estero, nelle molteplici forme con cui si manifesta il fenomeno.

3. Marocco: l’evoluzione delle politiche migratorie

3.1. Gli accordi iniziali tra Comunità europea e Marocco

I rapporti tra il Marocco e la Comunità europea – e tra questa e gli altri paesi della riva Sud del Mediterraneo (gli altri paesi del Maghreb e l’Egitto) – sono storicamente caratterizzati da fasi altalenanti, ovvero da accordi che spingono ad una maggiore integrazione socio-economica e politica e da conflitti (per lo più) latenti e a bassa intensità che ne rallentano l’evoluzione. Gli accordi iniziali – all’indomani dell’Indipendenza – risalgono al 1965 e al 1973 (con rispettive integrazioni nel 1969 e nel 1975)13, quale

12 Piluso, Mutamenti costituzionali e politiche migratorie.13 Cfr. Journal officiel des Communautés europèenne, Accord crèant une

Association et entre la Communautés èconomique europèenne et le Royaume du

Page 163: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco 163

conseguenza diretta dell’art. 238 del Trattato di Roma del 195714 che prevede, appunto, la stipula di «Accordi di associazione». La Comunità europea all’epoca si poneva rispetto al Marocco (alla Tunisia, al Libano e all’Egitto) come entità economica – e non come potenza politica – in quanto il raggio di azione era soltanto di natura economica, teso cioè a garantire la libera circolazione delle merci, lasciando le altre relazioni, come quelle di natura politica, ai singoli Stati-membri.

Queste relazioni, tuttavia, ricalcavano, nella sostanza, il modello che si era andato consolidando durante il periodo co-loniale, interessavano, in particolar modo, la Francia ed erano, di fatto, per tali ragioni, limitate all’acquisto di materie prime a prezzi di convenienza e alla vendita di prodotti finiti. L’accordo del 1976, invece, era il risultato delle tensioni emerse tra i paesi industrializzati europei e i paesi arabi esportatori di petrolio che avevano determinato, tra le altre cose, le cosiddette «politiche di stop» dell’ingresso di contingenti di immigrati provenienti non solo dal Marocco ma anche dagli altri paesi della riva Sud del Mediterraneo. In Europa la crisi economica aveva provocato ingenti processi di ristrutturazione industriale, che a loro volta avevano causato licenziamenti e rimpatri di lavoratori stranieri. Il tentativo nel 1976 era quello di creare rapporti economici non più sfacciatamente focalizzati su principi neo-coloniali, ovvero palesemente vantaggiosi per i paesi europei, ma su basi tenden-zialmente paritetiche e di reciproca integrazione.

Questi accordi furono definiti di «cooperazione globale», in quanto contemplavano non solo la dimensione economica e dunque gli scambi commerciali, ma anche l’assistenza tecnica per la realizzazione di infrastrutture e – fatto particolarmente innovativo – il riconoscimento alla manodopera marocchina (e maghrebina in generale) di un trattamento particolare, preve-

Maroc, et documents annex, dell’8.08.1969 n. L197/3, in http://eur-lex.europa.eu/legal-content/Fr/TxT/pdf?uri=clex:21969A0331(01)&rid=1 (accesso 7 aprile 2016). L’accordo durava dal 1969 al 1974, ma alla scadenza fu prorogato per un altro anno.

14 L’art. 238 recita: «La Comunità può concludere con uno Stato terzo, una unione di Stati o una organizzazione internazionale, accordi che istitui-scano un’associazione caratterizzata da diritti e obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari. Tali accordi sono conclusi dal Consiglio operante all’unanimità e dopo consultazione dell’Assemblea». I primi accordi di associazione vengono stipulati con la Grecia (1961) e con la Turchia (1963).

Page 164: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

164 Francesco Carchedi e Michele Colucci

dendo la sua non discriminazione nel trattamento salariale, nelle condizioni di lavoro e per alcuni diritti in materia di previdenza sociale, in particolare per il trasferimento delle rimesse, delle pensioni, delle assicurazioni e degli assegni familiari (anche sulla base della Convenzione Oil del 1975)15.

Queste condizioni non furono del tutto garantite ai lavoratori maghrebini, se non in misura ridotta, ma soltanto ai migranti di origine europea, ossia a quanti provenivano dai paesi meridionali del continente (italiani, spagnoli e portoghesi e greci). Si cercò, in pratica, da parte dei paesi esportatori di manodopera dive-nuti Stati membri, di armonizzare la legislazione europea sulla tutela del lavoro e sulla previdenza sociale a proprio vantaggio, in quanto «cittadini europei comunitari» rispetto ai cittadini dei paesi non europei e non comunitari. Nonostante tutto, i flussi in uscita dal Marocco iniziano a divenire consistenti. Per tutti gli anni ’70 la loro meta privilegiata è quasi esclusivamente la Francia, configurandosi come emigrazione post-coloniale.

Agli inizi degli anni ’80 la direzione dei flussi marocchini assume una marcata diversificazione, giacché si insediano in Svizzera, in Belgio, in Germania e finanche in Italia e in Spagna. In questi paesi, dal punto di vista quantitativo si posizionano tra le comu-nità straniere più numerose. I rapporti tra la Comunità europea e il Marocco assumono una fisionomia più specifica, in quanto con la caduta del Muro di Berlino si verifica un rimescolamento delle alleanze geo-politiche e dunque un riposizionamento delle strategie dell’Unione rispetto ai paesi della riva Sud del Medi-terraneo. La politica europea, pertanto, cambia paradigma di riferimento, passando da strategie di cooperazione, nonostante le evidenti contraddizioni, a strategie finalizzate alla stabilità e alla sicurezza dell’intera area Nord-africana e Medio-orientale.

3.2. La Conferenza di Barcellona e le Conferenze successive

La Conferenza di Barcellona (27-28 novembre) del 1995 lancia ufficialmente il Partenariato euro-mediterraneo (Pem), a

15 Organizzazione Internazionale del lavoro, Convenzione sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti, n. 143 del 1975.

Page 165: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco 165

cui partecipano 12 paesi terzi del Mediterraneo, tra cui il Ma-rocco16. Gli assi portanti di Barcellona sono politici, economici e culturali. In sostanza viene disegnata e perseguita una prospettiva strategica che ricorda la cosiddetta «Europa a cerchi concentri-ci» che J. Delors aveva tratteggiato per indicare un processo di progressiva inclusione delle aree di prossimità. Infatti, il primo asse (quello politico) mira a stabilire e a rafforzare un’area di sicurezza reciproca, caratterizzata dalla stabilità politica dei paesi contraenti e dalla pace reciproca. Si tende a rinsaldare i principi del rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dunque della democrazia parlamentare.

Il secondo, mira a produrre un’area di prosperità condivisa con politiche economico-finanziare volte a liberalizzare gli scambi commerciali tra l’Ue e il Marocco e tra questo e gli altri paesi (e viceversa). Il terzo è di carattere sociale, culturale ed umano. Questo asse mira ad avvicinare le popolazioni dei diversi paesi e a far dialogare le organizzazioni della società civile. Questi assi hanno anche l’obiettivo di attivare forme di sviluppo in Ma-rocco anche al fine di drenare i flussi migratori verso l’Europa. Diventa tema di riflessione e di approfondimento il rapporto tra formazione dei flussi migratori e cooperazione allo sviluppo, sia in funzione preventiva (limitare/ridurre «i fattori di spinta») sia nella prospettiva del rientro volontario (rafforzamento dei «fattori di ri-attrazione delle aree di esodo o delle aree limitro-fe»). Al riguardo furono attivate politiche di sviluppo locale – in particolare nelle aree di maggior esodo migratorio – e politiche incentivanti il rientro in patria, soprattutto dalla Francia, dal Belgio e dai Paesi Bassi.

I risultati non furono di particolare efficacia, anche perché le risorse destinate all’una e all’altra politica non erano di partico-lare entità monetaria e dunque erano destinate – già nella fase di programmazione – a non incidere in profondità. E nonostante

16 Cfr. Conferenza ministeriale Euro-mediterranea, Dichiarazione di Bar-cellona e partenariato Euro-Mediterraneo. Nelle Disposizioni di applicazione di istituisce il Programma Meda che sarà avviato nello stesso anno (1995), quale strumento principale di carattere finanziario per l’attuazione del partenariato Euro-Mediterraneo. Tra l’altro si auspicava la costituzione di una «zona di libero scambio» entro il 2010. Il Marocco è stato uno dei beneficiari del fondo: cfr. www.eur.lex.europa.eu/legal-content/it/txt/uri=urisery%-3Ar15001 (accesso 2 aprile 2016).

Page 166: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

166 Francesco Carchedi e Michele Colucci

i legami storici e geopolitici tra il Marocco (e il Maghreb) e la Comunità europea (e con una parte considerevole degli Stati-membri che si affacciano sul Mediterraneo) la qualità dei rapporti non oltrepassò la patina di superficie, restando molto al di qua del livello prefigurato a Barcellona nel 1995. Anche perché dopo l’89 – e per tutto il decennio successivo – le strategie politiche dell’Europa si biforcano sul versante Sud/Sud Ovest e sul versante Sud Est/Est, riducendo l’attenzione sul primo versante (anche in termini di riduzione drastica delle risorse economiche in qualche modo promesse) ed aumentando di conseguenza l’attenzione al secondo versante (anche in termini economici allo scopo di fa-vorire l’ingresso nell’Unione europea degli Stati fuoriusciti dalla sfera di influenza dell’ex Unione Sovietica).

Dopo la Conferenza del 1995 sono state realizzate altre cinque conferenze: da un lato, per dar seguito alle strategie individua-te originariamente, dall’altro per dare nuovo slancio all’intero processo. Nell’asse riguardante il Partenariato sociale, culturale ed umano (nella Conferenza di Valencia il 22-23 aprile del 2002) è emersa la volontà di affrontare in maniera più organica la «questione migratoria». Sono state favorite nelle dichiarazioni l’attivazione di politiche di integrazione dei migranti residenti nei paesi dell’Unione e la regolazione della circolazione dei medesimi. Inoltre, è stato approvato un programma d’azione per facilitare lo scambio tra le componenti giovanili, l’istruzione e i mezzi di comunicazione all’interno dello spazio euro-mediterraneo.

Un ulteriore rafforzamento dei rapporti tra Ue e Marocco è avvenuto nel 2005 mediante la sottoscrizione reciproca di un piano d’azione nell’ambito della Politica europea di vicinato17. Da questo piano – a seguito di riforme strutturali di carattere politico, economico e sociale (con il varo di una nuova Costituzione nel 2011), il Marocco ha acquisito lo status di paese privilegiato nei confronti dell’Unione europea. Ciò ha determinato un oggettivo miglioramento delle condizioni di vita degli strati più popolari, anche a causa di un aumento dei salari reali e del riconoscimento dei diritti fondamentali inalienabili.

Questo passaggio ha influito, positivamente, anche sulla re-golazione dei flussi – e sulle politiche di riammissione dei gruppi

17 Royame du Maroc-Direction des Etudes e de prevision financier, Les relation du Maroc avec l’Union européenne: du partenariat au statut avancé.

Page 167: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco 167

irregolari presenti nella Ue – e dei migranti marocchini stanziali che si trovano nei paesi Ue. Il quarto pilastro della partnership viene ora individuato nelle politiche rivolte alla popolazione in uscita dal paese e a quella intenzionata a rientrare18. Le parità di trattamento e di pari opportunità hanno trovato ulteriore rafforzamento, e si è registrato un miglioramento delle condizioni occupazionali e di accesso al welfare dei diversi paesi europei. La non discriminazione – in materia di tutela del lavoro, di retribuzioni salariali e di previ-denza sociale – e la possibilità di acquisire la doppia cittadinanza, offre reali possibilità di integrazione sociale ed economica di parti considerevoli delle collettività marocchine stanziate in Europa.

3.3. L’emigrazione marocchina. Dagli anni ’60 agli anni ’80

L’indipendenza del Marocco (del 1956) determina un imme-diato processo di de-strutturazione dell’apparato coloniale e al contempo un processo di ri-costruzione e di sostituzione della «vecchia» classe dirigente. Questo doppio processo, uguale e contrario nelle intenzioni della nuova leadership marocchina, produce, in maniera inaspettata, una profonda e generalizzata disorganizzazione sociale ed economica19, che facilita, di fatto, la formazione della propensione migratoria e la formazione dei primi contingenti verso la Francia e successivamente verso il Belgio e

18 Ibidem, p. 11. Dal punto di vista del Marocco – si legge in Les relation du Maroc, – una maggior attenzione agli sviluppi dell’emigrazione verso l’Eu-ropa faciliterebbe il riequilibrio demografico di buona parte dei paesi che la compongono. Infatti, «una politica migratoria costruttiva in un contesto di complementarietà demografica merita di essere e posto al centro delle preoccu-pazioni delle due parti interessate. Il deficit demografico che interessa l’Unione europea potrebbe in effetti essere colmato con un trattamento più appropriato dei flussi migratori provenienti dai paesi del Sud del Mediterraneo».

19 Il Marocco dopo il 1956 conoscerà un periodo di forte crisi politica, poiché si assiste ad un doppio cambio di regine: da una parte la partenza dei francesi, dall’altro il cambiamento del ruolo dell’autorità suprema che da «Sul-tano» diventa «Re» e dunque si configura una monarchia ereditaria. Questa soluzione non è stata indolore, poiché una parte della società marocchina – soprattutto la componente laica – si aspettava un cambiamento simile a quello avvenuto in Tunisia, cioè una forma più avanzata di società di orientamento socialista-corporativo. Ciò produrrà delle forti tensioni sociali, sia tra i ceti urbani scolarizzati (in particolare a Casablanca, nel 1965) che in quelli rurali. Si veda Clement, Maroc: les atouts e le dèfis de la monarchie.

Page 168: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

168 Francesco Carchedi e Michele Colucci

l’Olanda. Questi contingenti in uscita sono l’effetto diretto della sovrappopolazione che si registra all’epoca in Marocco e dunque delle componenti di manodopera che non riescono a trovare sbocchi occupazionali adeguati (soprattutto nelle aree rurali, montagnose e pre-desertiche). I paesi comunitari, al contrario, sono in pieno boom economico esploso con l’attivazione delle risorse destinate alla ricostruzione post-bellica derivanti dal Piano Marshall e dalla creazione del Mercato comune.

In sostanza, per tutti gli anni ’60 e parte degli anni ’70 (soprat-tutto nel primo quinquennio) si registra una convergenza simmetrica tra offerta e domanda di manodopera tra i paesi europei e alcuni di questi ed altri paesi della riva Sud del Mediterraneo, al fine di mantenere e perpetuare il circolo virtuoso appena citato. Si stima che tra il 1962 e il 1973 – in base ai Trattati di manodopera – circa 1.500.000 di maghrebini siano espatriati all’estero, in gran parte nei diversi paesi europei, ma in primis in Francia e nel Benelux 20.

I flussi in uscita dal Marocco (in direzione della Francia) erano di una doppia natura: da una parte, erano del tutto spontanei (almeno nel corso degli anni ’60), dall’altra, a partire dal 1963, fino appunto al 1973, erano organizzati in contingenti regolari in quanto conseguenza diretta dei trattati di manodopera. I lavoratori, una volta arrivati in Francia, in presenza di docu-menti e della possibilità di lavorare, venivano automaticamente regolarizzati dietro pagamento di una tassa all’Office des migra-tions internationales (Omi). La crisi petrolifera del 1973 – e la repentina recessione che ne conseguì – spinse i paesi europei ha interrompere unilateralmente i trattati di manodopera, e dunque a bloccare l’espatrio a quanti si erano preparati a partire21.

La quota degli emigranti marocchini che spontaneamente e in maniera irregolare lasciava il paese aumenta numericamente, diversificando anche le mete migratorie. Le politiche di stop non

20 Negli anni ’60 le riserve di manodopera dall’Italia e dalla Grecia (principali bacini di reclutamento di manodopera, insieme alla Yugoslavia e alla Turchia) si riducono enormemente, al punto che i paesi maggiormente industrializzati tendono a stipulare trattati sulla manodopera anche con altri paesi: dapprima con la paesi del Maghreb (Marocco, Algeria e Tunisia), con l’Egitto e con il Vicino Oriente (Siria, Libano e Turchia). Si stima che tra il 1964 e il 1989 siano espatriati circa 3milione di maghrebini con i contratti di manodopera verso la Francia, la Svizzera e il Belgio.

21 Lassonde, Le migration de travail au Maroc.

Page 169: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco 169

soppressero, tuttavia, il diritto ai ricongiungimenti familiari di quanti potevano restare, non solo in Francia, ma anche negli altri paesi meta dei flussi dal Marocco. In questo nuovo scenario geo-politico anche l’Italia – e successivamente gli altri paesi europei mediterranei (Francia, Spagna, Portogallo e Grecia) – diventano progressivamente paesi di immigrazione.

Il forte impatto dei flussi migratori irregolari, di cui il sistema industriale e dei servizi europeo aveva comunque vitale necessi-tà, portò la Comunità europea ad attivare programmi di difesa unificata delle frontiere, promulgando, al riguardo, l’Accordo di Schengen (del giugno ’85 e successive integrazioni): sia per frenare i flussi, sia per attivare programmi di cooperazione con il Maghreb e con gli altri paesi della riva Sud del Mediterraneo con l’obiettivo di ridurne la pressione migratoria verso l’Europa.

3.4. Gli anni ’90-2000 e i più recenti sviluppi

La svolta storica avvenuta non solo a livello europeo, ma in tutto il mondo con la disgregazione dell’Unione Sovietica sposta progressivamente l’attenzione dell’Unione europea alla prevenzio-ne della formazione dei flussi migratori dal Sud all’Est. L’apertura delle frontiere, dopo l’89, come corollario alla caduta del Muro di Berlino, allarma, di fatto, i governi dell’Europa occidentale.

Dal Marocco i flussi in uscita non si arrestano, ma vengono in parte controbilanciati dai rientri definitivi o dai rientri tem-poranei e stagionali (anche fino a nove mesi). Il saldo migratorio è sempre favorevole agli espatri. Tra quanti rientrano tempora-neamente o stagionalmente si rileva una figura di lavoratore che svolge più attività occupazionali, in parte all’estero e in parte in patria (fenomeno rilevato anche in Italia)22. Le migrazioni di questa fase storica si contraddistinguono dalle precedenti per la differenziazione delle mete migratorie e per la loro composizione interna. Aumentano, in tutti i paesi europei di immigrazione, i ricongiungimenti familiari ed aumentano anche le donne che espatriano da sole, nonché i minori non accompagnati.

22 Mottura, Bichri, Carchedi, Demurtas, I giovani marocchini in Italia. Modalità di inserimento e criticità rilevabili, in particolare il cap. 7, Tipi di mobilità, pp. 85 e ss.

Page 170: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

170 Francesco Carchedi e Michele Colucci

Le aree di esodo restano ancora principalmente le aree rurali (a ridosso del deserto) e quelle montagnose, mentre le destinazioni interne sono le province dei capoluoghi di regione, in particolare Casablanca e a distanza Tangeri. Queste aree – nel corso degli anni ’90 e Duemila – hanno registrato un forte processo di ur-banizzazione a scapito delle aree rurali e montagnose (le stesse da cui storicamente sono partiti i migranti delle fasi precedenti). Le migrazioni interne subiscono una significativa accelerazione a metà degli anni ’90, in quanto il tasso di urbanizzazione passa dal 4,27 per cento nel 1982 al 51,4 per cento del 1994 e al 55,1 per cento nel 2004)23. Casablanca raggiunge attualmente circa 7.000.000 di abitanti (su circa 33.000.000 complessivi), Rabat-Salé circa 2.300.000, mentre Tangeri ne raggiunge circa 1.000.000.

Ma la particolarità maggiore che il Marocco acquisirà nel corso dell’ultimo ventennio (con un’ accelerazione negli ulti-mi 10 anni) è la sua trasformazione da paese di emigrazione a paese di transito di flussi migratori che provengono dai paesi Sub-Sahariani. Questi migranti in piccola parte restano per un certo periodo in Marocco, trovando anche attività occupazionali di scarsa qualificazione, assumendo, per tale ragione, lo status informale di lavoratori stranieri, mentre in maggioranza sono diretti verso i paesi europei. A metà degli anni 2000 i migranti senza documenti hanno raggiunto le 30.000 unità. A fianco a questi sono presenti circa 60.000 stranieri regolari24.

Tra gli irregolari il gruppo maggioritario – che nel 2005 raggiungeva circa il 16 per cento del totale, pari a 5.000 unità – sono i nigeriani che tentano di entrare in Spagna e dunque nell’Unione europea. Gli altri due gruppi più numerosi (pari al 11/12 per cento) sono rispettivamente i Maliani e i Senegalesi (con 3.900 unità ciascuno)25. Questa situazione, non facile da governare, ha portato, comunque, all’emanazione di una legge che regola al contempo l’emigrazione marocchina irregolare verso l’estero e l’immigrazione irregolare straniera sul proprio territorio nazionale26.

23 M. Mohamed Khachani, Maroc. Migration, marchè du travail et deve-loppement, p. 23.

24 Ibidem, pp. 27-28.25 Ibidem.26 Si tratta della legge n. 516 del 20 novembre 2003 (Legge relativa all’in-

gresso e al soggiorno degli stranieri in Marocco, all’emigrazione e all’immigrazione

Page 171: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco 171

Non sono mancati negli ultimi anni episodi di xenofobia di alcune componenti della popolazione marocchina, parallelamente alla crescita dell’immigrazione. La popolazione straniera immi-grata è tutelata dalla nuova Costituzione emanata nel 2011 (e legittimata da un referendum confermativo): per la prima volta nel paese sono espressamente garantiti i diritti umani in senso universalistico27.

Conclusioni

I casi di Egitto e Marocco rivelano l’importanza di un approc-cio integrato allo studio delle politiche migratorie. Tali politiche hanno, infatti, un effetto determinante a livello sociale, economico e politico sia sui paesi di provenienza, sia sulle aree di destina-zione e/o accoglimento. L’attuale configurazione migratoria di questi paesi si presenta come un fenomeno frutto di stratificazioni progressive, in cui convivono movimenti di popolazione molto diversi tra loro. Il tema della politica migratoria non può quindi essere declinato soltanto a partire dalla monodirezionalità dei flussi (emigrazione o immigrazione) ma deve essere inquadrato come un tema che riguarda aspetti diversi e molteplici delle realtà sociali ed economiche interessate. Allo stesso tempo, è evidente come le scelte dei governi nazionali siano legate ai condiziona-menti e ai rapporti di forza all’interno dei vari paesi, ma anche agli equilibri e alle pressioni a livello internazionale.

irregolare). La legge è formata da tre Titoli: il primo determina il soggiorno, il riaccompagna mento alla frontiera, le espulsioni e le disposizioni penali. Il secondo si focalizza sui reati e sulle sanzioni penali attinenti all’ingresso e al soggiorno irregolare. Il titolo tre alle disposizioni transitorie. In: www.maglor.fr/maglor/index.php?index=com=2681.immigration-et-emigration-lanouvelle.loi-marocain-&itemd= (accesso 10.04.2016).

27 Royaume du maroc-Ségretariat Général du Governement (Dirétion de l’Impremerie Officièlle), Constitution, in particolare – ai fini del nostro ragio-namento – Titre II, Liberté et droit fondamentaux. Inoltre per una riflessione critica si veda Bendourou, Les droit de l’homme dans la Constitution marocaine de 2011: debats autour des certains droit et liberté. Sul rinnovamento costituzio-nale si veda anche Longo, Il rinnovamento costituzionale in Nord Africa dopo la primavera araba.

Page 172: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

172 Francesco Carchedi e Michele Colucci

Riferimenti bibliografici

Baldwin Edwards M., Migration in the Middle Eastern and Mediter-ranean, a Regional Study Prepared for the Global Commission on International Migration, 2005.

Bendourou O., Les droit de l’homme dans la Constitution marocaine de 2011: debats autour des certains droit et liberté, in «La Revue des droit de l’Homme», 6, 2014, disponibile on line all’indirizzo https://revdh.revues.org/907 (accesso 11-04-2016).

Clement J.F., Maroc: les atouts e le dèfis de la monarchie, in Maghreb: les annèes de transition, a cura di B. Kodmani-Darwish, Paris, Istitut francais des relation internationales, Masson, 1990.

Conferenza ministeriale Euro-mediterranea, Dichiarazione di Barcel-lona e partenariato Euro-Mediterraneo, 27-28 novembre 1995, Programma di lavoro, Barcellona, 1995.

Coslovi L., Zarro A., Stati africani e migrazioni. La sfida dell’institution building, Roma, Cespi-Sid, WP 39, 2008.

De Bel Air F., Gulf and Eu Migration Policies after the Arab Uprisings, Roma, Iai, 2016.

Fargues P., Arab Migration to Europe: Trends and Policies, in «Inter-national Migration Review», 4, 2004, pp. 1348-1371.

Federici N., Migratori, movimenti, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1996, ad vocem.

Ferragina A.M., Ferragina E., Europa e Mediterraneo: le potenzialità di integrazione e le strategie di rilancio della politica euromedi-terranea, in Rapporto sulle economie del Mediterraneo. Edizione 2014, a cura di E. Ferragina, P. Malanina, Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 63-92.

Khachani Mohamed M., Maroc. Migration, marchè du travail et develop-pement, 2010, p. 23, disponibile on line all’indirizzo http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---inst/documents/publication/wcms_193984.pdf.

Lassonde L., Le migration de travail au Maroc: stratégie, de la mobi-litè et survie domestique, in Maghrébins en France. Émigres ou immigrées?, a cura di L. Talha, Paris, Editions du Cnrs, 1983.

Longo P., Il rinnovamento costituzionale in Nord Africa dopo la pri-mavera araba (Tunisia, Egitto e Marocco), in Storia ed evoluzione dell’islamismo arabo. I Fratelli musulmani e gli altri, a cura di L. Guazzono, Milano, Mondadori, 2015,

Mottura G., Bichri H., Carchedi F., Demurtas P., I giovani marocchini in Italia. Modalità di inserimento e criticità rilevabili, Rapporto di ricerca, Consiglio delle Comunità Marocchine all’Estero, Bologna, dicembre 2015, pp. 85 e ss.

Page 173: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Le politiche migratorie: i casi di Egitto e Marocco 173

Nascimbene B., Da Schengen a Maastrict. Apertura delle frontiere e cooperazione giudiziaria delle frontiere, Milano, Giuffrè, 1995.

Pepicelli R., 2010: un nuovo ordine mediterraneo?, Messina, Mesogea, 2004.Piluso G., Mutamenti costituzionali e politiche migratorie nei paesi

dell’Islam mediterraneo, in «Alexis», 2, 2014.Royame du Maroc, Direction des Etudes e de prevision financier, Les

relation du Maroc avec l’Union européenne: du partenariat au statut avancé, novembre 2007, pp. 9-11, disponibile on line all’indirizzo http://www.finances.gov.ma/depf.htm (accesso 10-04-2016).

Sawi A., Egypt: The Political and Social Dimension of Migration, in Mediterranean Migration 2005 Report, a cura di P. Fargues, Firenze, Iue, 2005.

Zohry A., Contemporary Egyptian Migration 2003, Cairo, Iom, 2003.

Page 174: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 175: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

7. Frammentazione internazionale della produzione: la posizione dei paesi mediterranei dell’area Mena nelle catene globali del valore

di Anna Maria Ferragina

Questo capitolo esplora la posizione dei paesi della regione Sud mediterranea e Medio orientale (Mena10)1 nelle Catene globali del valore (Cgv) confrontando i trend di crescita della partecipazione a tali reti con quelli sia dei paesi Sud mediterranei appartenenti all’area balcanica (Balcani8)2 che con altre regioni e paesi emergenti, fra cui la Cina e l’India.

La frammentazione internazionale della produzione, cioè la di-spersione della produzione oltre i confini e l’assemblaggio di parti e componenti all’interno di processi di produzione integrati verti-calmente, è una caratteristica chiave del progressivo approfondirsi dell’interdipendenza economica a livello mondiale. I processi di produzione sono divenuti frammentati a livello internazionale e le imprese localizzate in paesi diversi prendono parte alla produzione di un bene in differenti stadi della catena del valore aggiunto.

La frammentazione internazionale della produzione è stata al centro del successo di molte economie asiatiche e specialmente di quella cinese3. Essa ha giocato un ruolo crescente anche nella regione mediorientale e del Nord Africa, soprattutto per quanto riguarda il settore tessile in Giordania e delle componenti auto in Tunisia. Tuttavia, il potenziale di integrazione dei network di

1 I paesi Mena10 esaminati sono: Algeria, Egitto, Iran, Giordania, Libano, Marocco, Oman, Siria, Tunisia e Yemen. Non consideriamo Israele in quanto tale paese merita un’analisi separata data la sua posizione economica e geopolitica e il suo ruolo negli scambi mondiali. Non consideriamo l’Autorità Palestinese nell’analisi per l’assenza di dati per parte dell’arco temporale esaminato.

2 I Balcani8 includono Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia e Turchia. Sono esclusi dall’area Balcanica Romania, Bulgaria e Slovenia che nel periodo in esame erano già fra i nuovi membri dell’Ue.

3 Lemoine, Kesenci, China in the International Segmentation of Production Processes; Fukao, Isido, Ito, Vertical Intra-Industry Trade and Foreign Direct Investment in East Asia.

Page 176: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

176 Anna Maria Ferragina

produzione internazionali non è stato pienamente sfruttato in questa regione, nonostante la sua prossimità all’Europa e all’Africa, i salari bassi e una forza lavoro piuttosto istruita. La divisione della produzione ha avuto luogo fino ad ora soprattutto con i principali fornitori e acquirenti di input manifatturieri europei. Nell’area euro-mediterranea i nuovi network internazionali di produzione, commercio e Ide si sono espansi poco negli ultimi decenni. Questo potenziale non sfruttato si riflette nel basso volume di commercio in parti e componenti e nella bassa so-miglianza del commercio dell’area Sud mediterranea e Medio orientale con il resto del mondo4.

L’emergere della Cina e dell’India come attori principali sulla scena mondiale presenta diverse opportunità e sfide per l’area Mena. Grazie alla disponibilità di lavoro a basso costo, la Cina offre prodotti a basso prezzo in settori come il tessile e l’abbi-gliamento, dispositivi elettronici, macchinari, ecc. La quota delle importazioni dalla Cina dei Mena è aumentata notevolmente tra il 1998 e il 2009 passando dallo 0,3 per cento al 2 per cento. Nel frattempo, la delocalizzazione della produzione offshoring verso la Cina e le altre economie asiatiche emergenti e l’ingresso di Cina e India come importanti esportatori e anche produttori nei mercati dell’area Mena, sta modificando la geografia del commercio di subfornitura. Un certo numero di imprese cinesi del tessile si sono stabilite nell’area Mena e in Africa, prima allo scopo di aggirare l’accordo Multifibre5 e poi per penetrare ampi mercati. Questo ha comportato un rischio di spiazzamento per i produttori locali.

Negli ultimi anni, i paesi Mena non sono stati in grado di competere con la posizione di leader della Cina e di altri paesi asiatici, ma anche con quella dei nuovi membri Ue, i quali han-no guadagnato posizioni nel frazionamento internazionale della catena del valore aggiunto. Sono inoltre risultati meno integrati

4 World Bank, Export Diversification in Egypt, Lebanon, Jordan, Morocco and Tunisia.

5 L’Accordo Multifibre ha riguardato il commercio internazionale di pro-dotti tessili e di abbigliamento imponendo dal 1974 fino al 2005 una sorta di contingentamento sulla quantità di prodotti tessili che i paesi in via di svi-luppo potevano esportare verso i paesi sviluppati. Tale misura ha consentito ai paesi sviluppati di prepararsi alla gestione delle importazioni provenienti dai paesi in via di sviluppo. La fine dell’Accordo Multifibre ha provocato una forte crescita delle esportazioni tessili dalla Cina.

Page 177: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Frammentazione internazionale della produzione 177

anche rispetto ai paesi dell’area balcanica seppure anche questi siano rimasti piuttosto indietro rispetto ad altre aree.

La politica commerciale adottata nei paesi Mena ha concesso poche esenzioni tariffarie alle importazioni utilizzate per la tra-sformazione e la riesportazione dimostrandosi incapace di creare industrie orientate all’esportazione. Il traffico di perfezionamento è uno strumento fondamentale per diversificare rapidamente le esportazioni di prodotti manufatti verso nuovi settori (macchinari soprattutto elettrici) in questa regione, anche se le esenzioni relative alle importazioni per la lavorazione potrebbero allo stesso tempo avere un impatto negativo sulla produzione locale di beni intermedi, limitando i collegamenti a valle delle attività di trasformazione.

Nel seguito si analizzerà come i paesi Mena si posizionano all’interno delle catene del valore mondiale ponendo a confronto le tendenze nel production sharing fra i paesi Mena e diverse altre regioni e paesi, tra cui Cina e India. Si tenteranno poi di individuare gli stadi della catena del valore aggiunto dei Mena e dei suoi partner in settori selezionati per evidenziare profili di specializzazione per fasi di produzione e per destinazione geografica, valutando se le esportazioni sono concentrate nei prodotti intermedi o nei beni finali. Ci aspettiamo che la maggior parte dei surplus derivino dal commercio di beni finali, in particolare i beni di consumo, sebbene in settori come quello delle macchine elettriche surplus crescenti stanno interessando i beni capitali e strumentali.

La catena del valore frammentata viene analizzata con rife-rimento a particolari settori, quelli del tessile e abbigliamento e quelli relativi alle industrie più avanzate dei macchinari e dell’e-lettronica. Si mostra a tal proposito come i paesi esaminati non siano stati in grado di entrare nelle Cgv con un ruolo rilevante a livello mondiale e si siano concentrati per lo più nelle fasi a basso valore aggiunto con una quota di commercio mondiale ferma ai livelli degli anni ’90. Si evidenzia, infine, come il posi-zionamento nelle Cgv si colleghi alla performance delle imprese con riferimento in particolare a tre paesi Nord africani (Egitto, Marocco e Algeria) analizzati in uno studio recente sulla base di dati tratti dalla World Bank Enterprise Survey e utilizzando diverse misure di performance di impresa e diversi indicatori di internazionalizzazione e di partecipazione alle Cgv6. Attraverso

6 Del Prete, Giovannetti, Marvasi, Participation in Global Value Chains.

Page 178: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

178 Anna Maria Ferragina

i risultati sarà possibile considerare come un rafforzamento della partecipazione alle Cgv possa produrre benefici nell’intera area, ma come tali benefici, per essere realizzati, necessitino di importanti interventi di politica economica tesi a sviluppare i molteplici fattori di supporto alle reti di produzione globale, quali lo sviluppo del capitale umano, di una rete logistica, l’ab-battimento delle barriere tariffarie e di quelle non tariffarie di natura soprattutto normativa.

L’analisi per fasi di produzione e per mercati di destinazione ci consentirà di evidenziare se i paesi dell’area Mena si compor-tano come economie prettamente specializzate nell’assemblaggio e di valutare se la crescente specializzazione nell’outsourcing stia influenzando i trasferimenti di tecnologia e il potenziale di ulteriore integrazione e di utilizzo di tecnologie più sofisticate da parte delle economie a Sud e a Est del Mediterraneo7.

1. La globalizzazione e la segmentazione internazionale dei processi produttivi: la specializzazione dei Mena in attività di trasformazione e le fasi di produzione

Questa sezione esplorerà la segmentazione internazionale dei processi produttivi nel commercio mondiale (par. 1.1), la delocalizza-zione mondiale della produzione offshoring e il commercio mondiale di parti e componenti dei Mena rispetto ai partner più importanti, come gli Stati Uniti, l’Ue, l’Asia, i nuovi Stati membri Ue, il Sud America e i Balcani (par. 1.2), e le quote di parti e componenti sulle esportazioni mondiali di componenti e sulle esportazioni totali dei Mena nei confronti degli altri concorrenti (par. 1.3).

1.1. La globalizzazione e la segmentazione internazionale dei processi produttivi

Fino agli anni ’80 il commercio è stato dominato dai tipici elementi dei flussi Nord-Sud, rispetto ai quali la teoria tradizionale

7 L’analisi si concentra su un arco temporale compreso fra il 1998 e il 2009, precedente quindi il collasso del commercio mondiale avvenuto dopo il 2009, le successive crisi finanziarie dell’area dell’euro e le crisi politiche dell’area Mena.

Page 179: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Frammentazione internazionale della produzione 179

del vantaggio comparato aveva un elevato potere esplicativo. Come la teoria predice, differenze nella dotazione di risorse, rapporti di dotazione di capitale-lavoro e capacità tecnologica diverse tra i paesi determinano in gran parte il modello di produzione e il commercio internazionale, dove i paesi in via di sviluppo esportano prodotti basati sulle risorse e ad alta intensità di lavoro, e i paesi avanzati esportano una vasta gamma di prodotti finali fabbricati.

Gli attuali flussi commerciali dei paesi in via di sviluppo, tut-tavia, non possono più essere spiegati dalla teoria tradizionale del vantaggio comparato settoriale. Poiché i processi di produzione sono diventati frammentati a livello internazionale, le imprese situate in paesi diversi partecipano alla produzione di una merce in fasi diverse della catena del valore aggiunto. Le diverse fasi della produzione corrispondono a differenti funzioni di produzione e le economie meno sviluppate possono rapidamente diversificare le loro esportazioni di manufatti, se si specializzano nelle fasi di produzione in cui hanno un vantaggio comparato. Questa divisione verticale del lavoro porta ad un aumento del peso dei prodotti intermedi nel commercio mondiale. I paesi meno sviluppati sono generalmente specializzati nel montaggio ed assemblaggio dei prodotti finali, il segmento a più alta intensità di lavoro della produzione, mentre i paesi più avanzati forniscono capitale e tecnologia ad alta intensità di beni intermedi8.

Analisi teoriche ed empiriche già molti decenni prima del diffondersi della frammentazione suggerivano che il commercio di beni intermedi è un importante canale di trasferimento di tecnologie e svolge un ruolo importante nel processo di catching up dei paesi9. I motivi possono essere diversi: le importazioni di beni intermedi sono una fonte di efficienza, in quanto il produttore può beneficiare di una più ampia varietà di input; prodotti intermedi differenziati aumentano il numero di com-binazioni produttive e migliorano l’intero processo di produ-zione; la partecipazione alla frammentazione internazionale, incorporando prodotti high-tech importati, rende possibile

8 Per approfondire il ruolo delle Cgv nell’economia mondiale si vedano Cat-taneo, Gereffi, Staritz, Global Value Chains in a Post Crisis World; Foster-McGregor, Kaulich, Stehrer, Global Value Chains in Africa; Johnson, Noguera, Accounting for Intermediates: Production Sharing and Trade in Value Added; Lenzen, Kanemoto, Moran, Geschke, Mapping the Structure of the World Economy.

9 Coe, Helpman, International R&D Spillovers.

Page 180: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

180 Anna Maria Ferragina

per i paesi in via di sviluppo migliorare il livello tecnologico delle esportazioni.

Eichengreen e Tong10 mostrano che l’apertura di un’economia contribuisce alla crescita in due casi: in primo luogo, quando il paese riesce ad assumere posizioni forti nei settori in cui la domanda mondiale è dinamica; in secondo luogo, quando un paese sviluppa commercio intra-settoriale, perché questo fornisce beni intermedi e di investimento diversificati, che favoriscono la produttività totale e il trasferimento tecnologico. Oltre alle competenze manageriali e tecnologiche, un altro vantaggio im-portante è che la partecipazione straniera in forma o di «esterna-lizzazione» o di investimenti diretti può offrire l’accesso diretto alle reti globali di una società madre. Entrare a far parte di una rete di produzione e distribuzione di un’impresa multinazionale offre un modo economico per commercializzare i prodotti sui mercati. Le imprese non incorrono in costi di marketing, che di solito sono molto significativi per i nuovi arrivati sui mercati di esportazione.

L’evoluzione della specializzazione dei paesi e la loro par-tecipazione alla crescita del commercio mondiale è divenuta strettamente dipendente dal loro essere coinvolti nella divisione internazionale dei processi produttivi, uno dei fattori più dinamici di traino del commercio mondiale. Le importazioni mondiali di parti e componenti (P&C) sono aumentate di oltre il doppio tra il 1998 e il 2009 (da 720 miliardi di dollari a più di 1744). Negli anni precedenti avevano già registrato una crescita media annua del 10 per cento, e, partendo dal 17 per cento nel 1995, appaiono nel 2009 pari al 27 per cento in termini di quota delle esportazioni totali mondiali (tab. 1).

Tuttavia, l’effetto sulla crescita delle tecnologie importate dipende dalla capacità del paese di assimilare e diffonderle: il livello tecnologico delle esportazioni può aumentare solo per effetto di un più alto contenuto di importazione di alta tecnolo-gia dai paesi avanzati, mentre il paese può rimanere allo stesso tempo confinato in fasi della produzione intensive di manodopera scarsamente qualificata11.

10 Eichengreen, Tong, Is China’s Fdi Coming at the Expense of Other Countries?

11 Unctad, Global Value Chains: Investment and Trade for Development.

Page 181: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 1

. Esp

orta

zion

i e

impo

rtaz

ioni

di

Par

ti e

Com

pone

nti

(P&

C)

a li

vell

o m

ondi

ale

(mil

iard

i di

dol

lari

am

eric

ani,

1998

-200

9)

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Esp

orta

zion

iQ

uota

di P

&C

sul

tot

ale

man

ifat

turi

ero

25.9

26.4

27.1

27.3

28.4

29.6

27.9

27.9

27.6

27.3

27.0

27.1

Quo

ta d

i P&

C n

ei

mac

chin

ari e

mez

zi d

i tr

aspo

rto

50.8

50.8

51.5

51.4

52.8

53.8

51.9

52.4

52.3

51.6

50.9

50.6

P&

C, M

illia

rdi d

i $

763.

280

2.5

856.

987

0.3

941.

110

91.3

984.

610

35.2

1181

.814

12.5

1547

.117

48.6

Impo

rtaz

ioni

Quo

ta d

i P&

C s

ul t

otal

e m

anif

attu

rier

o24

.925

.826

.426

.627

.629

.027

.427

.227

.227

.226

.927

.3

Quo

ta d

i P&

C n

ei

mac

chin

ari e

mez

zi d

i tr

aspo

rto

50.6

50.6

51.2

51.4

52.7

53.8

52.3

52.5

52.6

52.4

51.8

52.2

P&

C, M

illia

rdi d

i $

720.

577

4.4

826.

084

7.4

920.

010

74.6

981.

910

20.0

1173

.914

15.7

1556

.317

43.7

Font

e: E

labo

razi

one

su d

ati O

nu, C

omtr

ade

data

bas

e.

Page 182: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

182 Anna Maria Ferragina

1.2. Lo sviluppo di strutture commerciali integrate: i Mena e i loro concorrenti

Come si osserva nella tabella 2, l’area dell’Asia orientale (Asia10), che comprende, fra gli altri paesi, Cina, Corea, Taiwan e Hong Kong, svolge la parte del leone nelle importazioni mondiali di P&C (37 per cento nel 2009), seguita da Ue (30 per cento) e dagli Stati Uniti (22 per cento)12. I paesi del Sud-Est asiatico sono responsabili dell’89 per cento della quota dei paesi in via di sviluppo, la quale è cresciuta notevolmente nel 1998-2009 (dal 26,7 per cento al 44,2 per cento), mentre l’Ue ha segnato una forte diminuzione (43-30 per cento) nello stesso periodo e anche gli Stati Uniti d’America hanno visto ridotta la loro quota (dal 17,7 al 4 per cento). La crescente importanza della Cina nelle quote di importazione in P&C è particolarmente degna di nota. Essa è cresciuta dal 2,6 per cento del 1998 al 12,5 per cento del 2009.

Questi dati ci consentono di effettuare un confronto della partecipazione dei Mena in questo tipo di commercio che si è sviluppato massicciamente negli ultimi decenni. Se si guarda alla posizione dei Mena nel commercio di P&C, questa sembra essere di gran lunga più debole rispetto ad altre regioni in via di sviluppo. Sebbene anche la regione Mena abbia registrato un aumento sostanziale e costante da 0,5 a 2 miliardi tra il 1998 e il 2009 essa raggiunge solo un quinto della quota degli 8 paesi che formano i Balcani, solo il 3,5 per cento della somma dei nuovi membri Ue, e il 4,1 per cento della quota dei quattro paesi del Sud America qui considerati13.

La tabella 2 conferma il ruolo marginale svolto dallo scambio di P&C nel commercio della regione Mena mostrando statisti-che comparate sulla quota di P&C sul totale delle esportazioni manifatturiere per diversi paesi/regioni nel periodo 1998-2009. È evidente che il grado di dipendenza dei paesi dell’Asia orien-tale come gruppo (Asia10) dal commercio di assemblaggio (36

12 Athukorala, Production Fragmentation and Trade Patterns in East Asia, Trade and Development.

13 In termini di popolazione l’area Mena raggiunge quasi 300 milioni di abitanti contro meno di 30 milioni della regione balcanica e meno di 70 milioni dei nuovi membri Ue. La popolazione dei 4 paesi del Sud America qui considerati (Argentina, Cile, Brasile e Venezuela) è all’incirca delle stesse dimensioni di quella dei Mena.

Page 183: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 2

. Esp

orta

zion

i di

P&

C p

er p

rinc

ipal

i pa

rtne

r m

ondi

ali

(mil

iard

i di

dol

lari

Us,

199

8-20

09)

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Asi

a10

278,

6804

279,

0207

290,

9437

279,

1361

319,

8188

401,

321

327,

4928

352,

4019

418,

5364

509,

3458

559,

7494

637,

635

UE

1522

6,92

3324

6,77

9825

5,26

9827

6,90

0928

3,54

4729

5,39

6229

4,97

8329

8,87

8134

6,69

6841

3,10

3243

8,39

0147

4,11

2

Stat

i Uni

ti13

5,30

3715

3,77

1717

1,54

0717

3,83

3618

5,63

5221

1,37

1218

5,85

7617

4,31

6617

5,74

8219

2,16

200,

5837

216,

5944

Cin

a10

,809

8511

,541

7114

,959

0417

,583

5721

,786

2629

,207

3932

,989

6945

,530

8462

,631

4388

,112

1911

3,01

3814

4,87

74

NSM

108,

3502

799,

0227

1911

,076

1514

,955

715

,581

6418

,748

8620

,598

423

,851

5132

,899

1542

,417

1147

,066

8855

,484

74Su

d A

mer

-ic

a414

,714

4417

,537

920

,626

723

,526

8226

,791

9533

,545

8831

,021

3631

,837

9233

,508

339

,143

6143

,501

1448

,416

42B

alca

ni (

con

Turc

hia)

1,23

8193

1,62

143

1,95

3156

2,21

0345

2,36

3712

2,90

4311

3,34

756

4,16

3954

5,62

7636

7,70

1654

9,79

8287

8,97

3467

Indi

a1,

4538

981,

5449

151,

5755

781,

7919

041,

8807

442,

5685

592,

8853

93,

2242

954,

3506

295,

9449

77,

5290

879,

7811

14

ME

NA

100,

5356

850,

4935

910,

7513

421,

2080

451,

4608

161,

5098

321,

5013

561,

8347

032,

1208

682,

3559

312,

6052

951,

9656

36

Rus

sia

–1,

1774

431,

1357

081,

0743

171,

6915

052,

3674

221,

2755

591,

3293

761,

6131

871,

9947

342,

3368

242,

6144

48

Mon

do76

3,21

380

2,46

1985

6,87

5887

0,26

6594

1,06

6410

91,2

6598

4,61

4410

35,1

6911

81,8

0314

12,4

5215

47,1

4817

48,6

31

Font

e: E

labo

razi

one

su d

ati O

nu, C

omtr

ade

data

bas

e.

Page 184: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

per cento del totale delle esportazioni manifatturiere nel 2009) è molto più alto rispetto a quella degli Stati Uniti (12 per cen-to), dell’Ue (26 per cento) e anche a quella di altre regioni del mondo. Risulta invece irrisoria la quota dei Mena10 pari solo allo 0,10 per cento.

La tabella 3 mostra che tra il 1998 e il 2009, la quota di com-ponenti nel settore manifatturiero sul totale delle esportazioni mondiali di P&C è più che raddoppiata in Cina (dal 10 al 22 per cento), una quota di poco inferiore a quella dei 4 paesi del Sud America e dei nuovi Stati membri dell’Ue e di 4 punti percentuali al di sopra della quota dei Balcani. Per i Mena le quote di espor-tazione e le relative stime di crescita sono molto più ridotte (meno del 10 per cento), più basse rispetto a tutte le altre regioni, con un incremento di solo 1 punto tra il 1998-2009. India e Russia mostrano anch’esse una quota piuttosto bassa e stagnante grazie alla loro specializzazione rispettivamente in servizi ed energia. Quote molto simili si registrano per la quota di componenti nel settore manifatturiero sul totale delle esportazioni Ue di P&C. Se si guarda alle esportazioni di P&C della Cina vediamo come essa abbia un ruolo sempre più rilevante rispetto a tutte altre regioni superando le quote medie mondiali e quelle dell’Ue. Un aumento preponderante è legato al commercio intra-regionale: le esportazioni asiatiche verso la Cina legate allo scambio di parti e componenti (P&C) sono cresciute dal 22 per cento nel 1998 a più del 50 per cento nel 2009. Tuttavia, anche in altre regioni si osservano tassi elevati (anche se molto volatili) legati alle esportazioni di P&C sul totale delle esportazioni verso la Cina nello stesso periodo (dal 13,8 al 38,1 per cento per i Balcani e dal 22,7 al 34,2 per cento per i nuovi membri Ue), mentre per i Mena l’incremento è stato di gran lunga minore (dallo 0,22 al 2,4 per cento).

Analizzando i singoli paesi Mena (tabb. 4 e 5) il quadro rivela una forte differenziazione all’interno dell’aggregato Mena10. Notiamo in alcuni paesi una performance molto scarsa in termini di quote di P&C sulle esportazioni (in Algeria, Egitto, Iran, Siria dopo il 2001 e in Oman, che ha segnato un forte calo dal 40 al 4 per cento). Al contrario, altri paesi Mena mostrano una crescita rilevante. Questo è il caso del Marocco (2,1-19,6 per cento tra il 1998 e il 2009), dello Yemen (4,3-31,5 per cento tra il 2000 e il 2006). Piuttosto elevate sono anche le quote per il Libano

184 Anna Maria Ferragina

Page 185: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 3

. Esp

orta

zion

i di P

&C

mon

dial

i, di

Ue1

5 e

della

Cin

a ve

rso

i pri

ncip

ali p

artn

er m

ondi

ali (

% d

elle

esp

orta

zion

i man

ifatt

urie

re, 1

998-

2009

)

1998

1999

2000

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Mondo

Asi

a10

33,6

434

,43

35,3

036

,54

38,3

640

,20

38,1

339

,25

40,3

140

,30

40,5

941

,75

NSM

1016

,01

17,2

219

,06

21,6

623

,06

24,2

023

,99

24,1

525

,53

25,2

524

,75

24,7

3Su

d A

mer

ica4

19,8

921

,44

21,8

723

,65

24,9

826

,16

24,9

725

,51

25,7

125

,17

24,4

424

,24

Cin

a10

,45

11,1

111

,66

13,4

315

,63

16,5

317

,39

19,4

320

,38

21,1

321

,08

21,2

2U

E15

19,7

520

,84

21,3

121

,87

22,2

622

,93

22,4

221

,61

21,4

821

,56

21,1

421

,11

Bal

cani

8 (c

on T

urch

ia)

6,11

7,43

8,54

9,33

10,3

311

,67

11,6

812

,62

13,0

613

,44

14,8

216

,44

Indi

a7,

367,

737,

348,

527,

638,

7510

,26

9,71

10,6

911

,99

12,3

714

,13

ME

NA

107,

127,

467,

9911

,55

13,1

112

,69

11,7

212

,45

12,7

612

,01

11,9

59,

58R

ussi

a–

5,84

7,75

6,86

10,9

012

,58

7,25

7,81

7,88

6,96

6,59

6,42

UE15

Asi

a10

33,5

133

,38

34,4

135

,70

36,0

337

,39

34,5

134

,94

34,1

633

,46

32,6

433

,28

NSM

1017

,88

19,1

821

,79

24,5

525

,71

26,1

626

,70

26,4

828

,19

28,1

528

,90

28,6

9Su

d A

mer

ica4

13,7

615

,08

15,5

517

,70

18,7

318

,63

20,8

319

,70

19,9

514

,87

17,1

217

,02

Ciin

a6,

676,

927,

628,

8710

,88

12,3

112

,42

12,5

515

,07

16,1

615

,64

16,3

0B

alca

ni8

(con

Tur

chia

)6,

067,

047,

628,

7710

,00

11,6

011

,73

12,3

313

,28

13,6

515

,49

16,8

3In

dia

5,57

6,13

5,60

6,55

6,28

7,30

8,28

8,59

9,18

10,1

39,

9610

,40

ME

NA

109,

4111

,67

12,0

917

,14

18,7

920

,90

18,5

017

,78

17,8

215

,93

15,5

716

,07

Rus

sia

–3,

984,

543,

085,

9910

,05

7,52

6,40

5,15

3,55

3,33

2,66

Cina

Asi

a10

22,5

023

,74

26,9

030

,07

33,2

237

,00

38,8

641

,48

44,1

545

,83

48,8

950

,41

NSM

1022

,69

19,7

429

,81

35,7

825

,11

27,2

331

,59

31,5

338

,96

26,8

726

,64

34,2

2Su

d A

mer

ica4

26,5

430

,70

11,4

632

,61

48,1

646

,05

48,5

551

,82

35,0

833

,22

28,1

333

,94

UE

1514

,76

17,9

424

,03

26,7

929

,26

35,3

930

,50

25,3

027

,90

28,0

426

,67

27,8

3B

alca

ni8

(con

Tur

chia

)13

,81

8,59

13,5

124

,80

21,3

62,

188,

5621

,21

14,4

522

,00

29,0

338

,13

Indi

a2,

251,

342,

173,

292,

862,

772,

712,

323,

742,

893,

824,

59M

EN

A10

0,22

0,32

0,13

0,05

0,08

0,22

0,20

0,18

0,46

1,61

4,06

2,45

Rus

sia

–2,

037,

178,

377,

9117

,70

5,73

7,82

9,74

5,28

6,94

6,92

Font

e: E

labo

razi

one

su d

ati O

nu, C

omtr

ade

data

bas

e.

Page 186: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 4

. Esp

orta

zion

i di

P&

C m

ondi

ali

per

paes

i M

ena

e al

tre

aree

/pae

si e

mer

gent

i

Pae

si/r

egio

ni P

&C

(m

iliar

di d

i $ U

s )

Quo

ta P

&C

sul

le

espo

rtaz

ioni

man

ifat

t.

Tass

i di c

resc

ita

me-

dia

delle

esp

orta

zion

i m

anif

attu

rier

e (%

)

Tass

i di c

resc

ita

med

ia

delle

esp

orta

zion

i di

P&

C m

anif

attu

rier

e (%

)

Con

trib

uto

delle

P&

C a

lla

cres

cita

del

le e

spor

tazi

oni

man

ifat

turi

ere

(%)1

1998

2001

2009

1998

2001

2009

1998

-200

919

98-2

009

1998

-200

9

Men

a10

0,49

1,50

1,97

7,5

11,7

9,6

10,3

14,9

10,6

Alg

eria

0,02

0,01

0,01

3,0

1,5

1,7

14,1

42,9

-75,

3

Egi

tto

0,01

0,02

0,06

0,9

1,8

2,3

10,1

76,5

3,1

Iran

0,01

0,04

0,28

0,8

1,9

5,5

15,0

50,2

7,6

Gio

rdan

ia0,

080,

120,

3410

,98,

912

,618

,350

,513

,2

Lib

ano

0,08

0,09

0,14

19,5

17,8

13,7

15,1

9,9

10,0

Mar

occo

0,04

0,49

1,15

2,1

16,5

19,6

12,1

117,

527

,7

Om

an0,

230,

350,

0239

,440

,14,

13,

7-5

,418

8,0

Siri

a0,

000,

050,

11,

6

Tuni

sia

0,20

0,38

0,86

7,3

11,0

15,1

-1,9

7,5

22,0

Yem

en0,

000,

054,

331

,5

Nsm

109,

0220

,60

55,4

817

,224

,024

,714

,619

,227

,0

Bal

cani

8(c

on T

urch

ia)

1,62

3,35

8,97

7,4

11,7

16,4

10,3

20,4

22,4

Asi

a10

279,

0232

7,49

637,

6334

,438

,141

,76,

38,

550

,0

Hon

g-K

ong

30,5

446

,88

116,

0921

,330

,344

,86,

113

,774

,1

Sing

apor

e40

,39

47,7

511

4,27

55,0

60,5

60,5

10,1

11,4

64,1

Sud

Cor

ea27

,07

30,4

576

,15

30,3

29,0

33,0

9,2

10,7

34,7

Taiw

an28

,68

36,0

974

,32

32,9

38,9

42,0

7,5

10,6

50,9

Indo

nesi

a2,

234,

045,

519,

915

,215

,45,

713

,224

,8

(Fon

te)

Page 187: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 4

. (se

gue)

Pae

si/r

egio

ni P

&C

(m

iliar

di d

i $ U

s )

Quo

ta P

&C

sul

le

espo

rtaz

ioni

man

ifat

t.

Tass

i di c

resc

ita

me-

dia

delle

esp

orta

zion

i m

anif

attu

rier

e (%

)

Tass

i di c

resc

ita

med

ia

delle

esp

orta

zion

i di

P&

C m

anif

attu

rier

e (%

)

Con

trib

uto

delle

P&

C a

lla

cres

cita

del

le e

spor

tazi

oni

man

ifat

turi

ere

(%)1

1998

2001

2009

1998

2001

2009

1998

-200

919

98-2

009

1998

-200

9

Mal

esia

24,0

329

,59

47,9

248

,751

,850

,67,

17,

752

,7

Fili

ppin

e8,

7917

,31

24,0

960

,175

,171

,120

,835

,679

,4

Taila

ndia

10,5

115

,54

24,9

833

,738

,733

,48,

29,

733

,1

Vie

tnam

0,73

12,6

Gia

ppon

e10

6,79

99,1

215

4,31

35,7

36,0

35,7

3,2

3,4

35,6

Sud

Am

eric

a417

,54

31,0

248

,42

21,4

25,0

24,2

9,7

11,8

26,2

Cin

a11

,54

32,9

914

4,88

11,1

17,4

21,2

19,4

27,1

23,0

Indi

a1,

542,

899,

787,

710

,314

,112

,519

,616

,7

Rus

sia

1,18

1,28

2,61

5,8

7,3

6,4

8,9

12,1

7,0

Mon

do80

2,46

984,

6117

48,6

326

,427

,927

,17,

68,

127

,7

1 Con

trib

uto

alla

cre

scit

a de

lle e

spor

tazi

oni m

anif

attu

rier

e =

(esp

orta

zion

i P&

C n

el 2

009

- esp

orta

zion

i P&

C n

el 1

998)

*100

/(E

spor

tazi

oni

man

ifat

turi

ere

nel 2

009

- E

spor

tazi

oni m

anif

attu

rier

e ne

l 199

8).

Font

e: E

labo

razi

one

su d

ati O

nu, C

omtr

ade

data

bas

e.

Page 188: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

(13,7 per cento nel 2009), la Giordania (12,6 per cento nel 2009) e la Tunisia (15,1 per cento nel 2009). Tuttavia, tali quote sono ancora molto distanti da quelle delle aree in via di sviluppo e in particolare dai paesi dell’Asia orientale quali Filippine, Singapore, Malesia e Hong Kong, che si distinguono per la loro forte dipen-denza dalla frammentazione della produzione, fattore chiave del loro dinamismo nelle esportazioni. La quota di componenti sul totale delle esportazioni manifatturiere è aumentata rapidamente in questi cinque paesi raggiungendo oltre il 70 per cento nelle Filippine, il 60 per cento a Singapore, il 50 per cento in Malesia, e oltre il 33 per cento in Tailandia nel 2009. Tra il 1999 e il 2009, il 79 per cento dell’incremento delle esportazioni nelle Filippine, il 64 per cento a Singapore, il 53 per cento in Malesia e il 33 per cento in Tailandia è stato legato alle esportazioni di componenti. È interessante notare che anche in alcuni paesi sviluppati dell’Est asiatico, Taiwan e Corea, l’importanza relativa delle componenti sul totale delle esportazioni manifatturiere è aumentata nel corso degli anni, contraddicendo la convinzione che questi paesi si siano ormai spostati dall’attività di assemblaggio verso la produzione finale nel corso degli anni.

Vi sono alcune caratteristiche importanti suggerite dai dati fin qui. Innanzitutto, l’andamento del saldo del commercio di P&C dimostra che mentre i paesi sviluppati, come il Giappone, l’Unione europea e gli Stati Uniti d’America, hanno costante-mente registrato grandi surplus commerciali nel commercio di P&C, il che riflette il pesante coinvolgimento delle imprese in attività di assemblaggio all’estero, i paesi in via di sviluppo, come ad esempio la Cina, ma anche i paesi Mena, sono generalmente stati grandi importatori netti. Questo risultato è coerente con l’ipotesi che i paesi ad alto salario sono i principali fornitori di componenti (la cui produzione è generalmente a più alta inten-sità di capitale), mentre i paesi a bassi salari hanno un vantaggio comparato in attività di assemblaggio (che sono ad alta intensità di manodopera)14.

Un altro fatto stilizzato che osserviamo è che un commercio transfrontaliero crescente composto da commercio di componenti

14 Fung, Hwang, Hsiang-Chih, Ng, Seade, Production Networks and Inter-national Trade; H. Egger, P. Egger, The Determinants of Eu Processing Trade; Jones, Kierzkoswi, A Framework for Fragmentation.

188 Anna Maria Ferragina

Page 189: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 5

. Im

port

azio

ni d

i P&

C d

al m

ondo

per

i p

aesi

Men

a e

altr

e ar

ee e

mer

gent

i

Pae

si/r

egio

niP

&C

(m

iliar

di d

i $ U

S )

Quo

ta P

&C

sul

le im

-po

rtaz

ioni

man

ifat

t.

Tass

i di c

resc

ita

me-

dia

delle

impo

rtaz

ioni

m

anif

attu

rier

e (%

)

Tass

i di c

resc

ita

med

ia

delle

impo

rtaz

ioni

di

P&

C m

anif

attu

rier

e (%

)

Con

trib

uto

delle

P&

C a

lla

cres

cita

del

le im

port

azio

ni

man

ifat

turi

ere

(%)1

1998

2001

2009

1998

2001

2009

1998

-200

919

98-2

009

1998

-200

9

Men

a10

3,54

7,56

8,41

15,5

17,0

15,3

9,5

10,8

15,2

Alg

eria

0,82

0,77

1,81

17,7

14,4

14,3

8,3

6,8

12,3

Egi

tto

0,93

1,04

1,58

13,5

17,0

20,9

3,3

7,3

95,7

Iran

1,74

2,10

0,71

21,0

20,9

13,0

4,4

4,0

36,4

Gio

rdan

ia0,

340,

480,

7317

,818

,913

,613

,110

,411

,4

Lib

ano

0,44

0,36

0,38

12,6

11,5

10,1

-10,

7-0

,1-1

9,7

Mar

occo

0,33

0,71

1,29

8,5

12,0

11,3

11,2

20,3

12,8

Om

an0,

770,

891,

5831

,629

,926

,610

,89,

823

,1

Siri

a0,

100,

437,

010

,071

,782

,510

,0

Tuni

sia

0,68

1,02

1,59

13,8

17,1

19,8

5,4

9,9

29,5

Yem

en0,

090,

279,

012

,6

Nsm

1013

,04

27,3

268

,26

18,2

25,4

27,1

13,6

18,9

30,7

Bal

cani

8(c

on T

urch

ia)

5,40

6,92

14,7

113

,915

,813

,812

,913

,613

,7

Asi

a10

219,

5626

0,53

479,

6632

,138

,941

,85,

99,

056

,1

Hon

g-K

ong

34,0

149

,65

117,

6022

,932

,344

,85,

913

,073

,1

Sing

apor

e44

,21

44,0

992

,48

49,3

57,7

61,0

6,3

8,3

77,9

Sud

Cor

ea23

,92

28,1

347

,12

29,1

38,5

31,9

7,9

8,6

35,4

Taiw

an21

,35

27,8

446

,97

33,6

41,3

38,8

6,8

7,9

44,6

Indo

nesi

a6,

353,

244,

4723

,019

,516

,52,

61,

745

8,9

(seg

ue)

Page 190: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 5

. (se

gue)

Pae

si/r

egio

niP

&C

(m

iliar

di d

i $ U

S )

Quo

ta P

&C

sul

le im

-po

rtaz

ioni

man

ifat

t.

Tass

i di c

resc

ita

me-

dia

delle

impo

rtaz

ioni

m

anif

attu

rier

e (%

)

Tass

i di c

resc

ita

med

ia

delle

impo

rtaz

ioni

di

P&

C m

anif

attu

rier

e (%

)

Con

trib

uto

delle

P&

C a

lla

cres

cita

del

le im

port

azio

ni

man

ifat

turi

ere

(%)1

1998

2001

2009

1998

2001

2009

1998

-200

919

98-2

009

1998

-200

9

Indo

nesi

a6,

353,

244,

4723

,019

,516

,52,

61,

745

8,9

Mal

esia

27,3

630

,08

49,9

248

,257

,156

,85,

27,

172

,5

Fili

ppin

e10

,71

15,8

625

,47

44,7

62,9

69,0

10,5

25,1

113,

9

Taila

ndia

15,7

215

,65

25,2

232

,138

,533

,65,

47,

036

,4

Vie

tnam

1,66

16,3

Gia

ppon

e35

,92

44,3

370

,41

25,1

29,0

29,6

5,7

8,2

36,5

Sud

Am

eric

a432

,98

56,8

081

,54

26,3

31,0

30,1

9,4

11,5

33,4

Cin

a20

,59

55,5

421

7,53

21,3

33,5

43,4

16,9

26,0

48,7

Indi

a2,

713,

5012

,23

16,1

16,8

17,3

4,2

4,5

9,7

Rus

sia

2,23

2,02

8,34

9,6

9,5

10,7

15,6

16,6

11,2

Mon

do77

4,43

981,

8917

43,6

725

,827

,427

,37,

78,

628

,6

1 Con

trib

uto

alla

cre

scit

a de

lle im

port

azio

ni m

anif

attu

rier

e =

(im

port

azio

ni P

&C

nel

200

9 -

impo

rtaz

ioni

P&

C in

199

8)*1

00/(

Impo

rta-

zion

i man

ifat

turi

ere

nel 2

009

- Im

port

azio

ni m

anif

attu

rier

e ne

l 199

8).

Font

e: E

labo

razi

one

su d

ati O

nu, C

omtr

ade

data

bas

e.

Page 191: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Frammentazione internazionale della produzione 191

in due direzioni sta interessando soprattutto le regioni integra-te economicamente con la creazione di reti di divisione della produzione regionale. Come si può vedere nelle figure 1 e 2, il commercio intra-regionale rappresenta la quota più significativa e in rapida crescita nello scambio di beni manufatti e nel com-mercio di componenti, sia in Asia orientale e negli Stati Uniti che in Europa. L’Asia10 ha un importante commercio di P&C con la Cina. La Cina ha sviluppato una divisione verticale del lavoro con i suoi vicini, mentre la sua integrazione mondiale è solo in piccola parte il risultato dello scambio con gli Stati Uniti, che in realtà è in diminuzione. Una quota elevata e crescente sempre più si rivolge all’Ue, ma si compone di circa il 17 per cento, mentre molto più alta è la quota diretta verso l’Asia, pari a circa il 60 per cento. Gli Stati Uniti d’America svolgono la maggior parte del loro commercio in P&C con il Sud America; l’Ue con i Balcani, i Nsm e i Mena, compensando in parte la forte diminuzione delle esportazioni di beni finali.

La divisione del lavoro e l’integrazione regionale sono quindi strettamente dipendenti e la partecipazione dei paesi nella divi-sione internazionale dei processi produttivi ha una dimensione regionale ancora più forte del commercio di beni finali. Pertanto, appartenere ad una zona regionale integrata svolge un ruolo fon-damentale per una maggiore partecipazione alle reti produttive internazionali.

I Mena non sembrano aver beneficiato di tale «effetto regionale». Sembra che, nonostante le concessioni tariffarie e la prossimità geografica realizzate con gli accordi di libero scambio con l’Ue, i produttori europei non trovano i paesi partner del Mediterraneo molto attraenti per l’outsourcing. Un livello competitivo di pro-duction sharing a livello regionale si è raggiunto in Europa grazie all’integrazione economica con i paesi dell’Europa orientale.

L’integrazione delle economie in transizione, tra cui l’ex Unione Sovietica con il resto dell’Europa, la formazione del Nafta e il ruolo crescente dell’Asia orientale nella verticalizzazione della produzione sembrano aver influenzato negativamente la posizio-ne relativa del Mena. Il basso livello di integrazione all’interno della regione Mena è uno dei fattori chiave di questo ritardo nell’attrarre delocalizzazione di fasi di produzione a causa del fatto che le barriere tariffarie e non tariffarie sono un ostacolo all’appropriarsi di economie di scala e di agglomerazione.

Page 192: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

192 Anna Maria Ferragina

Inoltre, nel caso della frammentazione internazionale, in particolare, svolgono un ruolo di impedimento fondamentale gli ostacoli al commercio di tipo normativo che impediscono i collegamenti di servizio essenziali per favorire la dispersione fisica

Fig. 2. Esportazioni manifatturiere di P&C per aree di destinazione (in %), 1998-2009.

Fonte: Elaborazioni su dati Onu, Comtrade data base.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009

MENA10 NSM10 Balcani 7 Balcani 8(con

Turchia)

Asia10 SudAmerica 4

Cina India Russia

UE15 India Cina Russia Stati Uniti Altro

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009

MENA10 NSM10 Balcani 7 Balcani 8(con

Turchia)

Asia10 SudAmerica 4

Cina India Russia

UE15 India Cina Russia Stati Uniti Altro

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009

MENA10 NSM10 Balcani7 Balcani8(con

Turchia)

Asia10 SudAmerica4

Cina India Russia

UE15 India Cina Russia Stati Uniti Altro

Fig. 1. Esportazioni manifatturiere per aree di destinazione (in %), 1998-2009.

Fonte: Elaborazione su dati Onu, Comtrade data base.

0%

20%

40%

60%

80%

100%

1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009 1998 2009

MENA10 NSM10 Balcani7 Balcani8(con

Turchia)

Asia10 SudAmerica4

Cina India Russia

UE15 India Cina Russia Stati Uniti Altro

Page 193: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Frammentazione internazionale della produzione 193

dei processi produttivi e la connessione tra blocchi di produzio-ne15. Data la crescente sofisticazione della divisione del lavoro nell’economia globale, i servizi legati al commercio sono divenuti essenziali nel rendere possibile ai produttori nelle varie fasi della catena di produzione di coordinare meglio le proprie attività con i fornitori di input intermedi situati in altri paesi. Velocità, flessibilità, affidabilità e bassi costi di trasporto e di informa-zione logistica sono in particolare in grado di aggiungere valore alle aziende che partecipano alle catene di produzione in tutto il mondo. Consegne lente o imprevedibili ritardano la risposta alle nuove opportunità di mercato e ai modelli di domanda in rapida evoluzione, forzando i clienti a detenere scorte costose, e a rendere la gestione della supply chain inefficiente. I paesi che hanno rafforzato le loro posizioni nelle catene di produzione globali hanno migliorato le loro capacità nel segmento delle Ict, abbassato i costi di trasporto; e creato mercati finanziari e assicurativi più competitivi. Una migliore erogazione dei servizi ha contribuito enormemente a ridurre il costo di fare business, migliorando così l’attrattività di questi paesi sia per gli investi-menti esteri che nazionali.

1.3. Analisi per stadi di produzione

Utilizzando la classificazione dei prodotti ad alta tecnologia fornita dal Cepii, che opera una distinzione tra i prodotti in-termedi e finali ad un livello dettagliato di classificazione (Hs, 6 cifre), verifichiamo nel seguito quale sia il contenuto di parti e componenti e di beni strumentali rispetto ai semilavorati e ai beni di consumo (tabb. 6 e 7). L’analisi per stadi di produzione dei flussi commerciali mostra profonde differenze tra le regio-

15 La dispersione fisica dei processi di produzione necessita di assistenza e di link di servizio che collegano i blocchi di produzione come ad esempio i servizi di trasporto, di telecomunicazione e di coordinamento, che spesso godono di economie di scala. Nel caso di frammentazione internazionale, in particolare, il commercio e le barriere normative diventano ulteriori costi dei collegamenti di servizio. Recenti sviluppi nel sistema commerciale mondiale così come i progressi tecnologici hanno abbassato i costi dei collegamenti di servizio e creato nuove opportunità per estendere la produzione di frammentazione al di là delle frontiere nazionali.

Page 194: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

194 Anna Maria Ferragina

ni in via di sviluppo. Le importazioni dei paesi Asia10 e della Cina (e anche le esportazioni) si differenziano sostanzialmente per il peso dei beni intermedi costituiti da parti e componenti (rispettivamente 42 per cento e 43 per cento nel 2009). Sebbe-ne la maggior parte delle regioni in via di sviluppo abbiano in comune l’importanza dei beni intermedi nelle loro esportazioni, la natura di questi beni intermedi è diversa. In Asia, nella cate-goria dei beni intermedi, la quota dei semilavorati è molto meno importante delle P&C, mentre in altre regioni è più di due volte più grande. Il ruolo della P&C nelle esportazioni è la seguente: 27 per cento per i nuovi Stati membri Ue, 30 per cento per il Sud America4, al di sotto del 15 per cento per i Balcani e per i Mena. I partner asiatici, rispetto agli altri concorrenti, hanno anche quote più elevate delle esportazioni di beni finali costituiti da beni strumentali (quasi il 24 per cento).

Tuttavia, anche in Cina nelle esportazioni di beni finali, i beni di consumo sono ancora più marcati dei beni capitali (quasi il 30 per cento), e le esportazioni di beni finali sono ancora più importanti dei beni intermedi (53 contro 45 per cento), mentre all’interno dei beni intermedi le P&C e i semilavorati finiti hanno un peso relativo quasi uguale.

India, Mena e Balcani, condividono un modello simile di scambi in termini di fasi di produzione: una parte debole è composta di P&C, mentre i beni di consumo (rispettivamente 24 per cento, 27 per cento e 26 per cento) e i prodotti semilavorati (54 per cento, 56 per cento, 33 per cento), contano insieme per più di due terzi delle esportazioni totali. Dal lato delle importazioni, i beni semilavorati e strumentali rappresentano le quote più alte. I nuovi membri Ue e i 4 Stati del Sud America mostrano un modello diverso: un equilibrio negli scambi di beni intermedi tra P&C e semilavorati e un commercio abbastanza equilibrato anche in beni finali, ma con un ruolo più importante degli scambi di beni d’investimento sia nelle esportazioni che nelle importazioni. Il Sud America4 mostra un profilo più forte come esportatore di beni strumentali, con un saldo commerciale positivo in questa categoria.

La caratteristica comune suggerita da questi risultati è che la rilevanza delle P&C nel commercio è una caratteristica peculiare dei paesi asiatici, ma è anche tipica di altre regioni emergenti più avanzate. Inoltre, sembra essere correlata al livello di sviluppo

Page 195: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 6

. Esp

orta

zion

i e

impo

rtaz

ioni

man

ifat

turi

ere

per

stad

io d

i pr

oduz

ione

per

le

regi

oni

emer

gent

i (2

009,

%)

Esp

orta

zion

iM

ena1

0N

SM10

Bal

cani

7B

alca

ni8

(con

Tur

chia

)A

sia1

0Su

d A

mer

ica4

Cin

aIn

dia

Rus

sia

Mon

do

Ben

i pr

imar

i0,

00,

00,

00,

00,

10,

00,

00,

74,

20,

5

Ben

i in

term

edi

65,7

55,2

50,3

51,2

64,5

54,1

44,9

67,6

71,3

57,2

Par

ti e

com

pone

nti

9,6

24,7

17,4

16,4

41,7

24,2

21,2

14,1

6,4

27,1

Ben

i sem

i-fi

niti

56,1

30,5

32,9

34,8

22,8

29,9

23,7

53,5

64,9

30,1

Ben

i fi

nali

33,3

35,7

43,1

44,6

33,1

38,6

53,3

30,0

20,7

38,8

Ben

i di c

onsu

mo

27,4

17,3

25,9

30,8

9,4

10,5

29,5

22,2

4,5

16,2

Ben

i cap

ital

i5,

918

,417

,213

,823

,728

,123

,87,

816

,222

,6

Non

cla

ssif

icat

i 1,

09,

06,

64,

22,

27,

31,

71,

53,

93,

5

Impo

rtaz

ioni

Men

a10

Nsm

10B

alca

ni7

Bal

cani

8(c

onTu

rchi

a)A

sia1

0Su

d A

mer

ica4

Cin

aIn

dia

Rus

sia

Mon

do

Ben

i pr

imar

i0,

00,

00,

00,

00,

20,

00,

38,

30,

00,

5

Ben

i in

term

edi

58,4

61,6

56,3

57,3

66,7

62,9

71,1

55,9

38,9

57,4

Par

ti e

com

pone

nti

15,3

27,1

13,6

13,8

41,8

30,1

43,4

17,3

10,7

27,3

Ben

i sem

i-fi

niti

43,1

34,5

42,7

43,5

24,9

32,8

27,7

38,6

28,2

30,1

Ben

i fi

nali

38,9

34,5

41,5

40,4

30,9

32,8

27,0

33,3

58,3

38,8

Ben

i di c

onsu

mo

11,1

14,3

17,2

14,8

11,5

9,6

2,9

5,1

19,4

16,7

Ben

i cap

ital

i27

,820

,224

,325

,619

,423

,224

,128

,238

,922

,1

Non

cla

ssif

icat

i 2,

63,

92,

12,

32,

14,

31,

62,

52,

83,

3

Font

e: E

labo

razi

one

su d

ati O

nu, C

omtr

ade

data

bas

e.

Page 196: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

196 Anna Maria Ferragina

del paese ed è il segnale di un modello più integrato e sviluppato di specializzazione.

Disaggregando il gruppo Mena (tab. 7) notiamo che le espor-tazioni differiscono sostanzialmente tra paesi in particolare nella composizione del commercio in P&C. Yemen, Marocco, Tunisia e Giordania mostrano quote di esportazioni di beni intermedi co-stituiti da parti e componenti piuttosto elevate (comprese tra il 12 e il 30 per cento), mentre nei restanti paesi i prodotti semilavorati finiti assorbono quasi la totalità del commercio di beni intermedi.

Non sorprende che in tutti i paesi Mena le esportazioni di beni finali siano quasi interamente costituite da beni di consumo: solo lo Yemen esporta quasi il 35 per cento dei beni strumentali, seguito dalla Giordania (17 per cento).

Usiamo nel seguito una classificazione dei prodotti in base al loro contenuto tecnologico per analizzare lo scambio in prodotti high-tech (Ht)16. Identifichiamo i settori e gli stadi di produzione che sono i principali canali di trasferimento tecnologico nei Mena e in altre regioni emergenti (tabb. 8 e 9). Questo è fondamentale per capire il ruolo del commercio estero nell’acquisizione di Ht, una delle condizioni di crescita nel lungo periodo e di compe-titività internazionale.

I Mena sono molto distanti da altri paesi e regioni concorrenti per quanto riguarda import ed export di beni high-tech. Il peso dei prodotti high-tech nel gruppo Mena è del 10,9 per cento (2 per cento per le esportazioni). Tuttavia, paesi come Algeria, Iran e Giordania hanno importazioni high-tech fra 13 per cento e 15 per cento, e più elevate rispetto alla media Mena sono anche le quote di Giordania (7,7 per cento), Oman (5,5 per cento) e Yemen (11,7 per cento). I Balcani mostrano un pattern piuttosto debole nelle importazioni ed esportazioni high-tech (8 per cento e 4,4 per cento). I Nsm sono in una posizione migliore (13,9 per cento e 9,5 per cento) sebbene il contenuto tecnologico delle loro importazioni ed esportazioni è molto inferiore a quello

16 I prodotti sono stati definiti high-tech sulla base della classificazione proposta da Fontagné, Freudenberg, Ünal-Kesenci, Haute technologie et échelles de qualité: de fortes asymétries en Europe. La classificazione include ben 252 prodotti Ht a 6 digit della classificazione armonizzata Hs. Essi sono suddivisi in 9 settori di produzione: 1) aeronautica; 2) macchine per ufficio e pc; 3) elettronica e attrezzatura di comunicazioni; 4) farmaceutica; 5) strumenti di precisione; 6) macchinari elettrici; 7) chimica; 8) macchinari non elettrici; 9) armi.

Page 197: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Frammentazione internazionale della produzione 197

della Cina che ha un’ampia quota di high-tech (38,5 per cento nelle importazioni e 22,9 per cento nelle esportazioni) ed è in concorrenza con l’Asia10.

Importante inoltre considerare non solo le differenze fra re-gioni nella quota, ma anche negli stadi di produzione. Mentre, infatti, la Cina e l’Asia10, con 29,2 e 26,6 per cento rispettiva-mente, esibiscono quote di importazioni di Ht molto più alte delle altre regioni sia nei beni intermedi che in quelli finali, nelle altre regioni, invece, le importazioni high-tech consistono per lo più in beni capitali, il che corrisponde ad una forma più tradizionale di trasferimento tecnologico per modernizzare la capacità industriale.

Tab. 7. Esportazioni e importazioni manifatturiere per stadio di produzione per i principali paesi Mena (2009, %)

Esportazioni

Alg

eria

Egi

tto

Iran

Gio

rdan

ia

Lib

ano

Mar

occo

Tuni

sia

Siri

a

Yem

en

Beni primari 0,0 0,0 0,0 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 0,1

Beni intermedi 94,5 80,9 66,9 45,4 59,0 68,9 49,2 56,4 50,1

Parti e componenti 1,7 2,3 5,5 12,6 13,7 19,6 15,1 1,6 31,5

Beni semi-finiti 92,8 78,6 61,4 32,8 45,3 49,3 34,1 54,8 18,6

Beni finali 4,4 18,9 32,6 54,3 40,6 28,4 46,7 43,6 46,6

Beni di consumo 1,9 17,1 25,1 37,3 22,1 25,1 38,0 42,0 12,3

Beni capitali 2,5 1,8 7,5 17,0 18,5 3,3 8,7 1,6 34,3

Non classificati 1,0 0,2 0,4 0,2 0,4 2,7 4,2 0,1 3,2

Importazioni

Beni primari 0,0 0,0 0,0 0,0 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0

Beni intermedi 49,6 68,8 55,1 56,7 44,4 61,3 68,2 65,2 56,7

Parti e componenti 14,3 20,9 13,0 13,6 10,1 11,3 19,8 10,0 12,6

Beni semi-finiti 35,3 47,9 42,1 43,1 34,3 50,0 48,4 55,2 44,1

Beni finali 47,4 28,2 39,7 42,1 53,8 36,6 28,5 31,9 41,9

Beni di consumo 14,1 9,0 6,9 15,2 35,0 11,1 9,2 5,0 14,3

Beni capitali 33,3 19,2 32,8 26,9 18,8 25,5 19,3 26,9 27,6

Non classificati 2,9 2,9 5,2 1,1 1,6 2,1 3,2 2,9 1,3

Fonte: Elaborazione su dati Onu, Comtrade data base.

Page 198: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

198 Anna Maria Ferragina

Un’ulteriore caratteristica che osserviamo è che la quota di esportazioni in Ht in alcune regioni come Mena e Balcani è an-cora molto al di sotto della quota di importazioni il che conferma che la tecnologia importata è più diretta a uso domestico che a esportazioni di manufatti, mentre le quote sono molto simili in Asia e anche in Cina, nuovi Stati membri e Sud America.

Per quanto riguarda i settori, i macchinari elettrici rappre-sentano la quota più importante di Ht nei Mena, comune alla maggior parte delle regioni, ma a differenza di altre regioni anche la chimica è rilevante mentre invece le importazioni di macchinari generali e di precisione è molto meno rilevante come fonte di Ht sebbene si distinguano con quote più alte nelle importazioni l’Egitto (21 per cento), il Libano (19,4 per cento), l’Oman (17,2 per cento) e la Tunisia (15,8 per cento) e anche nelle esportazioni l’Egitto (25 per cento), lo Yemen (36,8 per cento), il Marocco (19,7 per cento) e il Libano (41,2 per cento). Nelle esportazioni il settore rilevante per le esportazioni Ht è quello dei trasporti, specialmente in Giordania, Oman, Siria e Yemen.

Si nota inoltre la forte differenza rispetto alla Cina che ha un’elevata concentrazione di esportazioni e importazioni Ht negli stessi settori: telecomunicazioni e attrezzature informatiche.

Le importazioni di Ht dell’India sono distribuite fra prodotti chimici, attrezzature di ufficio, attrezzature per le telecomuni-cazioni e strumenti di precisione. Le esportazioni di Ht invece sono fortemente concentrate nella chimica (66,5 per cento), il che riflette le forti performance dell’industria farmaceutica indiana. Questa si basa su imprese locali molto potenti con forti capacità di assimilare tecnologie straniere.

Infine, è interessante considerare il ruolo svolto dalle tecno-logie dell’informazione e delle comunicazioni (elaborazione dati, telecomunicazioni, macchinari e attrezzature elettroniche), che sono al centro dei network di condivisione della produzione a livello mondiale, nei quali si osserva un divario molto forte per i Mena10 e anche per i Balcani rispetto alle altre regioni (fig. 3). Si nota tuttavia un incremento sostanziale nel commercio di P&C nell’Ict in Marocco, Tunisia ed Egitto (fig. 4).

Page 199: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 8

. Im

port

azio

ni m

anifa

ttur

iere

hig

h-te

ch p

er s

tadi

o di

pro

duzi

one

in d

iver

se r

egio

ni (2

009,

%)

Men

a10

Nsm

10B

alca

ni8

(inc

lusa

la T

urch

ia)

Hig

h-te

chA

ltro

Tota

leH

igh-

tech

Altr

oTo

tale

Hig

h-te

chA

ltro

Tota

leB

eni p

rim

ari

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

Ben

i int

erm

edi

5,1

52,9

58,0

9,5

51,7

61,2

4,2

52,8

57,0

Par

ti e

com

pone

nti

4,0

12,1

16,1

8,9

17,8

26,7

3,2

11,6

14,8

Ben

i sem

ilavo

rati

1,1

40,8

42,0

0,7

33,9

34,6

1,0

41,2

42,2

Ben

i fina

li4,

833

,738

,54,

230

,734

,93,

735

,939

,6B

eni d

i con

sum

o0,

110

,210

,30,

114

,214

,20,

113

,813

,9B

eni c

apita

li4,

723

,528

,24,

116

,520

,63,

722

,125

,7

Non

cla

ssifi

cati

1,0

2,4

3,4

0,2

3,7

3,9

0,3

3,1

3,4

10,9

89,1

100,

013

,986

,110

0,0

8,2

91,8

100,

0

Asi

a10

Sud

Am

eric

a4C

ina

Hig

h-te

chA

ltro

Tota

leH

igh-

tech

Altr

oTo

tale

Hig

h-te

chA

ltro

Tota

leB

eni p

rim

ari

0,0

0,2

0,2

0,0

0,0

0,0

0,0

0,3

0,3

Ben

i int

erm

edi

26,6

40,0

66,6

14,0

50,2

64,1

29,2

41,4

70,6

Par

ti e

com

pone

nti

25,9

15,1

41,1

12,9

17,6

30,5

29,0

12,5

41,5

Ben

i sem

ilavo

rati

0,6

24,9

25,5

1,0

32,6

33,6

0,2

28,9

29,1

Ben

i fina

li5,

126

,131

,25,

026

,431

,59,

118

,427

,5B

eni d

i con

sum

o0,

011

,711

,70,

09,

49,

40,

02,

82,

8B

eni c

apita

li5,

114

,419

,55,

017

,022

,09,

115

,724

,7

Non

cla

ssifi

cati

0,4

1,6

2,0

0,5

4,0

4,4

0,2

1,4

1,6

32,1

67,9

100,

019

,480

,610

0,0

38,5

61,5

100,

0

(seg

ue)

Page 200: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 8

. (se

gue)

Indi

aR

ussi

a

Hig

h-te

chA

ltro

Tota

leH

igh-

tech

Altr

oTo

tale

Ben

i pri

mar

i0,

010

,810

,80,

00,

00,

0

Ben

i int

erm

edi

8,5

46,8

55,3

3,7

36,7

40,5

Par

ti e

com

pone

nti

6,7

9,8

16,5

2,2

8,7

10,9

Ben

i sem

ilavo

rati

1,8

37,1

38,9

1,5

28,1

29,5

Ben

i fina

li9,

522

,231

,78,

948

,056

,9B

eni d

i con

sum

o0,

14,

84,

80,

119

,719

,8B

eni c

apita

li9,

417

,426

,88,

828

,337

,1

Non

cla

ssifi

cati

0,4

1,8

2,2

0,5

2,1

2,6

18,4

81,6

100,

013

,186

,910

0,0

Font

e: E

labo

razi

one

su d

ati O

nu, C

omtr

ade

data

bas

e.

Page 201: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 9

. Esp

orta

zion

i man

ifatt

urie

re h

igh-

tech

per

sta

dio

di p

rodu

zion

e in

div

erse

reg

ioni

(200

9, %

)

Men

a10

Nsm

10B

alca

ni8

(inc

lusa

la T

urch

ia)

Hig

h-te

chA

ltro

Tota

leH

igh-

tech

Altr

oTo

tale

Hig

h-te

chA

ltro

Tota

leB

eni p

rim

ari

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

0,0

Ben

i int

erm

edi

1,2

61,7

62,9

4,5

50,4

54,9

1,9

48,4

50,3

Par

ti e

com

pone

nti

1,0

10,2

11,2

4,2

20,9

25,1

1,6

13,3

14,9

Ben

i sem

i-fini

ti0,

251

,551

,70,

329

,529

,80,

335

,135

,4

Ben

i fina

li0,

934

,935

,84,

931

,135

,90,

945

,446

,3B

eni d

i con

sum

o0,

029

,529

,50,

117

,317

,30,

129

,829

,9B

eni c

apita

li0,

95,

36,

24,

813

,818

,60,

815

,616

,4

Non

cla

ssifi

cati

0,1

1,2

1,3

0,2

9,0

9,2

0,2

3,2

3,4

2,2

97,8

100,

09,

590

,510

0,0

3,0

97,0

100,

0A

sia1

0Su

d A

mer

ica4

Cin

aH

igh-

tech

Altr

oTo

tale

Hig

h-te

chA

ltro

Tota

leH

igh-

tech

Altr

oTo

tale

Ben

i pri

mar

i0,

00,

10,

10,

00,

00,

00,

00,

00,

0

Ben

i int

erm

edi

25,8

37,9

63,7

5,2

48,6

53,8

13,5

31,0

44,5

Par

ti e

com

pone

nti

25,6

15,3

40,9

4,9

19,7

24,6

12,9

8,2

21,1

Ben

i sem

i-fini

ti0,

222

,622

,80,

328

,929

,20,

522

,823

,3

Ben

i fina

li6,

227

,834

,06,

332

,138

,49,

444

,553

,9B

eni d

i con

sum

o0,

010

,210

,20,

111

,111

,20,

031

,231

,2B

eni c

apita

li6,

217

,523

,86,

321

,027

,39,

313

,422

,7

Non

cla

ssifi

cati

0,2

2,1

2,2

0,4

7,4

7,8

0,1

1,5

1,6

32,2

67,8

100,

011

,988

,110

0,0

22,9

77,1

100,

0

(seg

ue)

Page 202: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Ta

b. 9

. (se

gue)

Indi

aR

ussi

aH

igh-

tech

Altr

oTo

tale

Hig

h-te

chA

ltro

Tota

leB

eni p

rim

ari

0,7

0,7

0,0

3,2

3,2

Ben

i int

erm

edi

63,4

67,6

2,0

70,7

72,6

Par

ti e

com

pone

nti

0,9

12,1

12,9

1,5

5,1

6,6

Ben

i sem

ilavo

rati

3,4

51,3

54,7

0,5

65,5

66,0

Ben

i fina

li29

,430

,14,

616

,120

,7B

eni d

i con

sum

o0,

123

,323

,40,

14,

34,

4B

eni c

apita

li0,

66,

16,

74,

511

,716

,2

Non

cla

ssifi

cati

1,4

1,6

2,0

1,4

3,4

5,2

94,8

100,

08,

691

,410

0,0

Font

e: E

labo

razi

one

su d

ati O

nu, C

omtr

ade

data

bas

e.

Page 203: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Frammentazione internazionale della produzione 203

Fig. 4. Importazioni manifatturiere di prodotti e di P&C high-tech dei paesi Mena (in %), 1998-2009.

Fonte: Elaborazione su dati Onu, Comtrade data base.

Fig. 3. Importazioni manifatturiere di prodotti e di P&C high-tech per aree di destina-zione (in %), 1998-2009.

Fonte: Elaborazione su dati Onu, Comtrade data base.

0

20

40

60

80

100

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

A E I G L M O S T Y

Prodotti P&C

Alg

eria

Egi

tto

Iran

Gio

rdan

i

Lib

ano

Mar

occo

Om

an

Siri

a

Tun

isia

Yem

en

0

20

40

60

80

10019

98

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

1998

2009

MENA10 NSM10 Balcani7 Balcani8 Asia10 Sud Am.4

Cina India Russia

Prodotti P&C

Page 204: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

204 Anna Maria Ferragina

2. La prospettiva micro: le imprese

Le catene globali del valore hanno spostato l’obiettivo dell’a-nalisi economica dai paesi alle imprese. Il miglioramento della performance delle imprese che partecipano a un Cgv richiede importanti cambiamenti nella natura e nel mix di attività svol-te in ogni fase della catena e nelle relazioni tra di loro, come evidenziano alcuni studi sul ruolo e sui processi di upgrading delle imprese intermedie17. Agostino et al. e Giovannetti et al.18 sostengono che l’adesione al ruolo di fornitore in una Cgv può essere decisiva anche per le imprese piccole e meno produttive, fornendo incentivi e opportunità di migliorare le loro capacità tecniche. Del Prete et al.19 hanno sviluppato di recente un’analisi a livello di impresa su alcuni paesi Mena concentrandosi su un sottoinsieme del Database Enterprise Survey della Banca Mon-diale incentrato su 1.885 imprese manifatturiere localizzate in tre paesi Nord africani, Algeria, Egitto e Marocco. Il campione di imprese prescelto è caratterizzato da diverse modalità di in-ternazionalizzazione e diversa complessità dei legami con altre imprese nazionali o estere. Gli autori osservano che quasi metà delle imprese (48 per cento) svolge commercio in modo diretto e una quota la svolge tramite intermediari (11 per cento). In entrambi i casi, la forma di internazionalizzazione più frequente riguarda l’importazione, sia diretta (26 per cento) che indiretta (8 per cento). Le imprese vengono raggruppate secondo diverse modalità di internazionalizzazione: le imprese che non svolgono commercio, quelle che svolgono esportazione indirette, impor-tazioni indirette, o entrambe, quelle che realizzano esportazioni dirette, o importazioni dirette, quelle che realizzano sia espor-tazioni che importazioni dirette. La quota di esportatori in en-trambe le direzioni (17 per cento) è superiore di molto alla quota di esportatori puri (solo il 5 per cento). Un fenomeno correlato

17 Gereffi, The Organization of Buyer-Driven Global Commodity Chains: How Us Retailers Shape Overseas Production Networks; Humphrey, Schmitz, How does Insertion in Global Value Chains Affect Upgrading in Industrial Clusters?; Alcacer, Oxley, Learning by Supplying.

18 Agostino, Giunta, Nugent, Scalera, Trivieri, The Importance of Being a Capable Supplier: Italian Industrial Firms in Global Value Chains; Giovannetti, Marvasi, Sanfilippo, Supply Chains and the Internationalization of Small Firms.

19 Del Prete, Giovannetti, Marvasi, Participation in Global Value Chains: Macro and Micro Evidence for North Africa.

Page 205: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Frammentazione internazionale della produzione 205

alle Cgv che viene evidenziato in questo studio è che la quota di esportatori tende ad aumentare con la dimensione dell’impresa. Per quanto riguarda le Cgv, inoltre, si osserva che un indicatore rilevante è la presenza di certificazioni internazionali di quali-tà, che può essere secondo gli autori un segnale della capacità dell’impresa di soddisfare gli standard internazionali tipicamente richiesti nei processi di produzione verticalmente frammentati.

Le caratteristiche tecniche e le abilità relazionali sono de-terminanti cruciali della performance dei fornitori e influen-zano fortemente tali certificazioni. Il posizionarsi nel mercato internazionale, la dotazione di certificazioni internazionali e la proprietà straniera sono tre importanti indicatori che possono essere utilizzati come proxy della partecipazione nelle Cgv. Le imprese più grandi hanno una probabilità molto più alta di avere certificazioni internazionali di qualità e di essere di proprietà estera. Esiste inoltre un ordine stabilito di probabilità di avere certificazioni e di essere di proprietà straniera che dipende dalla modalità di internazionalizzazione: questo aumenta nel passaggio dalla semplice attività domestica a quella di commercio all’estero indiretta a quella di esportatori diretti, e infine a quella delle imprese che hanno sia esportazioni che importazioni dirette. Poiché l’effetto principale della frammentazione verticale e della partecipazione a reti di produzione è il commercio di beni intermedi, anche in questo studio viene condotta la separazione fra beni intermedi e beni di consumo utilizzando la classificazione Bec. Le imprese cosiddette intermedie hanno con maggiore pro-babilità certificazioni internazionali rispetto a quelle impegnate nella produzione di beni di consumo finali, a parità di modalità di internazionalizzazione. Allo stesso modo, le imprese di proprietà straniera sono leggermente più diffuse tra le imprese intermedie che hanno scambi in entrambe le direzioni, sia di esportazione che di importazione, seguite dalle imprese che svolgono solo impor-tazioni. Vengono inoltre mostrate diverse misure di performance, alcune legate alla produzione, le vendite e il valore aggiunto, e altre legate alla produttività, le vendite per dipendente, il valore aggiunto per dipendente e la produttività totale dei fattori (Ptf). L’analisi viene condotta valutando la relazione fra i tre diversi indicatori di produttività e diverse caratteristiche di impresa che includono le modalità di internazionalizzazione (solo esportare, solo importatore, sia esportatore che importatore diretto o indiretto, e variabili che

Page 206: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

206 Anna Maria Ferragina

misurano l’intensità dell’export e dell’import). Si considera poi se l’impresa ha una certificazione di qualità riconosciuta a livello internazionale che, insieme alle modalità di internazionalizzazione, rappresenta una proxy importante della partecipazione alle Gvc. In aggiunta a questo, vengono considerati alcune variabili di controllo a livello di impresa come l’intensità del capitale fisico, il capitale umano, la dimensione, l’età e la proprietà domestica o estera dell’impresa.

Come ci si attende, si riscontra nell’analisi una relazione positi-va che mostra il nesso fra i legami internazionali e la performance delle imprese. Sia gli esportatori diretti che quelli indiretti hanno coefficienti positivi e significativi per tutti gli indicatori di per-formance. Questo conferma un risultato tipico della letteratura sull’eterogeneità di impresa che mostra come le imprese interna-zionalizzate hanno performance migliori secondo diversi indicatori. Tali risultati sono inoltre in linea con le previsioni teoriche su self-selection delle imprese più produttive e sul ruolo dei sunk cost che bisogna sostenere per l’ingresso sui mercati esteri, che solo appunto le imprese più produttive sono in grado di sostenere20. Vi è peraltro evidenza che le imprese attive in modalità diverse di globalizzazione e gli importatori diretti tendono ad avere perfor-mance migliori degli esportatori diretti e indiretti e delle imprese non esportatrici, come osservato anche in altri studi21.

Si osserva infine che le imprese con una certificazione di qualità riconosciuta a livello internazionale hanno performance migliori delle imprese non riconosciute. Le certificazioni di qualità sono requisiti cruciali per entrare nelle Cgv soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove gli standard di qualità sono difficili da rea-lizzare. Indipendentemente dalla posizione di un’impresa nella catena del valore, requisiti di qualità minima, costi e affidabilità sono cruciali. Va, infatti, considerato che le strategie di approv-vigionamento dei compratori sono costantemente riviste per migliorare tali elementi nelle loro catene di approvvigionamento.

Inoltre, la proprietà straniera è legata positivamente agli indi-catori di produttività, a conferma del fatto che le imprese in un gruppo multinazionale hanno migliori performance rispetto alle

20 Antràs, Helpman, Global Sourcing.21 Tomiura, Kohler, Smolka, Foreign Outsourcing, Exporting, and Fdi: A

Productivity Comparison at the Firm Level.

Page 207: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Frammentazione internazionale della produzione 207

loro controparti domestiche. Infine, focalizzandosi sull’intensità dell’export si osserva che maggiore è la quota di input stranieri impiegata migliori sono le performance. Questo può essere attri-buito alla presenza di spillover di conoscenza.

Conclusioni

L’analisi ha mostrato che l’area Mena non è stata in grado finora di posizionarsi in modo vantaggioso nelle reti di produ-zione globali. I diversi paesi sono integrati in modi diversi ma vi sono pochissimi esempi di partecipazione alla catena globale del valore negli stadi a monte, e molti paesi si trovano bloccati in stadi a basso valore aggiunto. Le Cgv sono un mezzo impor-tante per agganciare i paesi in via di sviluppo alla produzione e al commercio globale e i collegamenti a monte e a valle creano effetti moltiplicativi sostenendo la propensione all’esportazione in particolare delle piccole e medie imprese (Pmi). Le reti di imprese coinvolte sono molto complesse e spaziano dalle attività manifatturiere alla logistica e ai trasporti così come ad altri servizi22.

Affinché le Cgv abbiano un impatto positivo è necessaria una preparazione adeguata del personale. Il capitale umano deve es-sere adatto alle esigenze di particolari segmenti della catena del valore; le competenze specialistiche sono un prerequisito per le fasi ad alto valore aggiunto della catena del valore associate ad industrie come le tecnologie dell’informazione, l’elettronica e i prodotti farmaceutici. Quindi le politiche progettate per sostenere l’istruzione e la formazione tecnica rappresentano uno strumento molto importante per ottenere vantaggi dalla produzione mon-diale. Inoltre, come osservato in recenti analisi, per supportare e incentivare questi processi le politiche devono essere adattate alle diverse fasi di produzione23. Va anche sottolineato che le imprese a monte, le quali offrono input intermedi a diverse destinazioni, hanno a che fare con standard diversi e spesso in contrasto fra loro, e si trovano spesso a sostenere procedure di certificazione complesse e onerose diverse volte per lo stesso prodotto. La

22 Baldwin, Venables, Spiders and Snakes.23 Baldwin, Venables, Trade Policy and Industrialisation when Backward and

Forward Linkages Matter.

Page 208: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

cooperazione normativa internazionale (convergenza di norme, requisiti di certificazione e accordi di mutuo riconoscimento) è cruciale per alleviare l’onere della conformità e migliorare la competitività a fronte della crescente complessità ed eterogeneità degli standard qualitativi che sono divenuti una barriera sempre più importante, in grado di determinare l’aggiunta di un costo significativo in particolare per le Pmi.

Riferimenti bibliografici

Agostino M., Giunta A., Nugent J.B., Scalera D., Trivieri F., The Impor-tance of Being a Capable Supplier: Italian Industrial Firms in Global Value Chains, in «International Small Business Journal», 33, 7, 2015.

Alcacer J., Oxley J., Learning by Supplying, in «Strategic Management Journal», 35, 2, 2014, pp. 248-267.

Antràs P., Helpman E., Global Sourcing, in «Journal of Political Econ-omy», 112, 3, 2004, pp. 552-580.

Athukorala P., Production Fragmentation and Trade Patterns in East Asia, Trade and Development, Discussion Paper 2003/21, Canberra, Division of Economics. Research School of Pacific and Asian Studies, The Australian National University, 2003.

Baldwin R., Venables A.J., Spiders and Snakes: Offshoring and Ag-glomeration in the Global Economy, in «Journal of International Economics», 90, 2, 2013, pp. 245-254.

— Trade Policy and Industrialisation When Backward and Forward Linkages Matter, in «Research in Economics», 69, 2, 2015, pp. 123-131.

Cattaneo O., Gereffi G., Staritz C. (a cura di), Global Value Chains in a Post Crisis World: a Development Perspective, Washington, World Bank Publications, 2010.

Coe D.T., Helpman E., International R&D Spillovers, in «European Economic Review», 39, 1995, pp. 859-887.

Del Prete D., Giovannetti G., Marvasi E., Participation in Global Value Chains: Macro and Micro Evidence for North Africa, Working Papers-Economics, wp 2015, 11, Firenze, Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa, 2015.

Egger H., Egger P., The Determinants of Eu Processing Trade, in «The World Economy», 28, 2, 2005, pp. 147-168.

Eichengreen B., Tong H., Is China’s Fdi Coming at the Expense of Other Countries? Nber Working Paper 11335, Cambridge (Ma), National Bureau of Economic Research, 2005.

208 Anna Maria Ferragina

Page 209: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Frammentazione internazionale della produzione 209

Fontagné L. , Freudenberg M., Ünal-Kesenci D., Haute technologie et échelles de qualité: de fortes asymétries en Europe, Cepii Working Papers, 1999-08.

Foster-McGregor N., Kaulich F., Stehrer R., Global Value Chains in Africa, Unumerit Working Paper Series, 024, 2015.

Fukao K., Ishido H., Ito K., Vertical Intra-Industry Trade and Foreign Direct Investment in «East Asia, Journal of the Japanese and International Economies», 17, 2003, pp. 468-506.

Fung K.C., Hwang H., Hsiang-Chih H., Ng F., Seade J., Production Networks and International Trade: China, Brazil and Mexico, in «The North American Journal of Economics and Finance», 34C, 2015, pp. 421-429.

Gereffi G., The Organization of Buyer-Driven Global Commodity Chains: How Us Retailers Shape Overseas Production Networks, in «Contributions in Economics and Economic History», 95, 1994.

Giovannetti G., Marvasi E., Sanfilippo M., Supply Chains and the Inter-nationalization of Small Firms, in «Small Business Economics», 44, 4, 2015, pp. 845-865.

Humphrey J., Schmitz H., How Does Insertion in Global Value Chains Affect Upgrading in Industrial Clusters? in «Regional Studies», 36, 9, 2002, pp. 1017-1027.

Johnson R.C., Noguera G., Accounting for Intermediates: Production Sharing and Trade in Value Added, in «Journal of International Economics», 86, 2, 2012, pp. 224-236.

Jones R., Kierzkowski H., A Famework for Fragmentation, in Frag-mentation. New Production Patterns in the World Economy, a cura di S. Arndt, H. Kierzkowski, New York, Oxford University Press, 2001.

Lemoine F., Ünal-Kesenci D., China in the International Segmentation of Production Processes, Cepii, n. 2002-02, 2002.

Lenzen M., Kanemoto K., Moran D., Geschke A., Mapping the Structure of the World Economy, in «Environmental Science & Technology», 46, 15, 2012, pp. 8374-8381.

Tomiura E., Kohler W.K., Smolka M., Foreign Outsourcing, Exporting, and Fdi: A Productivity Comparison at the Firm Level, in «Journal of International Economics», 72, 1, 2007, pp. 113-127.

Unctad, Global Value Chains: Investment and Trade for Development, World Investment Report, Geneva, 2013.

United Nations, Comtrade data base.World Bank, Export Diversification in Egypt, Lebanon, Jordan, Morocco

and Tunisia, vol. II: Main Report, Washington, World Bank, Social and Economic Development Sector Unit, Middle East and North Africa Region, gennaio 2007.

Page 210: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 211: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

8. Trasporti, logistica e zone franche quali fattoridi competitività per l’economia dei paesi della sponda Sud del Mediterraneo

di Luca Forte e Alessandro Panaro

Questo capitolo propone un’analisi dell’attività di porti e free zones nei paesi della sponda Sud del Mediterraneo e presenta un caso di studio su una delle realtà più interessanti e dinamiche dell’intero bacino: il porto di Tanger Med e la free zone retro-portuale.

Nel del paragrafo 1 viene presentato un quadro generale circa l’andamento di lungo periodo del Pil mondiale, degli investimenti diretti esteri e del commercio estero: la crescita del commercio e dei flussi di investimenti è risultata ben superiore a quella del prodotto mondiale, con i paesi emergenti che hanno attratto quote via via crescenti di Ide fino a superare, nel 2014, i paesi avanzati quali destinazioni privilegiate per investimenti; come conseguenza, è cresciuto il grado di integrazione di questi paesi nelle catene produttive globali.

Con riferimento all’area del Mediterraneo, i principali por-ti nei paesi della sponda Sud del bacino hanno registrato un incremento della loro attività, esercitando una forte pressione concorrenziale sui sistemi portuali della sponda settentrionale, come evidenziato nel paragrafo 2.

Il paragrafo 3 è dedicato all’analisi del fenomeno delle free zones che rappresentano un elemento di forte attrattiva per le imprese che intendono realizzare investimenti, in quanto offrono particolari condizioni operative e una serie di agevolazioni – di tipo fiscale e burocratico – che le rendono mete ideali per rea-lizzare impianti produttivi o sedi distaccate.

Infine, nel paragrafo 4 si entra nel dettaglio dell’attività del porto di Tanger Med e della free zone collegata al porto, un caso di studio che rappresenta uno degli esempi di maggior successo del binomio porto-free zone, con il porto che in meno di un decennio ha scalato la classifica della movimentazione di merci nel bacino del Mediterraneo.

Page 212: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

212 Luca Forte e Alessandro Panaro

1. Pil mondiale, commercio internazionale e investimenti esteri: un’analisi di lungo periodo

Nel corso degli ultimi 15-20 anni la globalizzazione dei mercati e la libera circolazione dei capitali hanno favorito una sempre maggiore integrazione dei sistemi produttivi su scala mondiale, determinando un epocale cambiamento nella geografia inter-nazionale della produzione manifatturiera, con gli investimenti che hanno preso decisamente la direzione dei paesi emergenti.

Se, fino alla fine del secolo scorso, la quota dei flussi di Ide diretti annualmente verso i paesi emergenti rappresentava, me-diamente, il 27,1 per cento del totale, nel periodo 2000-2014 tale quota è salita al 41,3 per cento1; a partire dal 2008 i flussi di Ide diretti verso i paesi emergenti hanno superato, nella media del periodo, quelli diretti verso i paesi sviluppati (50,3 per cento contro 49,7 per cento).

Considerando che l’ammontare annuale dei flussi è cresciuto di oltre tre volte – da meno di 400 miliardi di dollari mediamente nel decennio 1990-1999 a oltre 1.300 miliardi di dollari nel de-cennio 2005-2014 – e ad un ritmo ben superiore al Pil mondiale (cfr. fig. 2), l’ammontare di capitali produttivi che hanno preso la direzione dei paesi emergenti risulta davvero ingente.

Anche il commercio mondiale è cresciuto a ritmi molto più intensi rispetto al prodotto interno lordo (cfr. fig. 3) con la con-seguenza che l’incidenza del commercio estero sul Pil a livello mondiale è aumentata di 9 punti percentuali passando dal 16,6 per cento nel 1995 al 25,6 per cento nel 2008 (anno in cui tale incidenza ha toccato il livello massimo), per poi declinare leg-germente negli anni successivi a seguito delle ripetute crisi che l’economia mondiale ha attraversato a partire da quella data, crisi che hanno avuto e stanno tuttora avendo forti ripercussioni sui traffici di merci.

Una quota rilevante della crescita dei flussi commerciali tra paesi è da ricondurre ad un particolare tipo di commercio internazionale, quello di tipo intra-industriale2, relativo cioè a singoli comparti

1 I flussi di investimenti diretti esteri registrano una elevata variabilità da un anno all’altro per cui il confronto sul loro andamento è stato fatto conside-rando le medie semplici dei diversi periodi.

2 Con l’espressione «commercio intra-industriale» si fa riferimento agli scambi internazionali di beni nell’ambito dello stesso settore merceologico.

Page 213: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Fig

. 1.

Flu

ssi

di i

nves

tim

enti

dir

etti

est

eri

(ann

i 19

70-2

014)

: fl

ussi

dir

etti

ver

so i

pae

si s

vilu

ppat

i vs

. fl

ussi

dir

etti

ver

so i

pa

esi e

mer

gent

i, co

mpo

sizi

one

perc

entu

ale.

Font

e: E

labo

razi

oni d

egli

auto

ri s

u da

ti U

ncta

d (f

ebbr

aio

2016

).

0102030405060708090100

1970

1972

1974

1976

1978

1980

1982

1984

1986

1988

1990

1992

1994

1996

1998

2000

2002

2004

2006

2008

2010

2012

2014

Dev

elop

ing

econ

omie

s D

evel

oped

eco

nom

ies

Page 214: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

214 Luca Forte e Alessandro Panaro

produttivi nell’ambito dei quali imprese collocate in paesi diversi (o – nel caso di scambi intra-aziendali – stabilimenti produttivi collocati in paesi diversi ma che fanno capo ad una stessa impresa multinazionale) si scambiano prodotti semilavorati; tale tipologia di flussi commerciali sta assumendo un rilievo via via crescente.

A dettare le scelte delle imprese su dove realizzare investimenti produttivi sono essenzialmente due ordini di considerazioni: i costi di produzione e la vicinanza dei mercati di sbocco.

Per le imprese con sedi in paesi ad economia matura apparte-nenti a settori tradizionali a basso valore aggiunto (tessile-abbi-gliamento di medio-bassa gamma, ad esempio) il contenimento dei costi di produzione – del costo del lavoro in particolare – è la ragione principale che le spinge a realizzare investimenti in altri paesi; viceversa, la vicinanza ai mercati di sbocco rappresenta

Ad occuparsi per primi del fenomeno in modo sistematico sono stati Grubel e Lloyd, si veda Intra-Industry Trade, che proposero un loro indice per la sua misurazione, tuttora quello maggiormente utilizzato per quantificare il fenomeno.

Fig. 2. Andamento dei flussi mondiali di Ide e del Pil mondiale tra il 1970 e il 2014.

Nota: Numeri indice a partire da dati in valore a prezzi correnti in dollari (1970=100).

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Unctad (febbraio 2016).

0

2.000

4.000

6.000

8.000

10.000

12.000

14.00019

7019

7119

7219

7319

7419

7519

7619

7719

7819

7919

8019

8119

8219

8319

8419

8519

8619

8719

8819

8919

9019

9119

9219

9319

9419

9519

9619

9719

9819

9920

0020

0120

0220

0320

0420

0520

0620

0720

0820

0920

1020

1120

1220

1320

14

World FDI FLows World GDP

+89 volte

+23 volte

Page 215: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 215

la motivazione principale a realizzare investimenti all’estero per quelle imprese che producono merci dal valore unitario molto basso (cemento, ceramiche, materiali per l’edilizia, ad esempio), per le quali l’incidenza dei costi di trasporto sul valore finale del prodotto risulta una variabile strategica per competere. In molti casi, infine, la scelta di dove produrre ricade su più paesi, ciascuno dei quali offre condizioni migliori per una data fase di produzione, e il risultato finale è un’elevata frammentazione geografica della produzione.

2. La politica di attrazione di investimenti dall’estero dei paesi della sponda Sud del Mediterraneo: offerta logistica e incentivi

Molti paesi del Mediterraneo meridionale e Sud-orientale (di seguito Sud Med) sono impegnati da anni in politiche che mirano ad attrarre investimenti produttivi da parte di imprese

16,6%

25,6% 24,5%

0

50

100

150

200

250

300

350

400

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

Trade/Gdp GDP Trade

+2,5 volte

+3,7 volte

Fig. 3. Andamento del commercio, del Pil e dell’incidenza del commercio sul Pil a livello mondiale tra il 1995 e il 2014.

Nota: Numeri indice a partire da dati in valore a prezzi correnti in dollari (1995=100) e incidenza % (scala dx).

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Unctad (febbraio 2016).

Page 216: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

216 Luca Forte e Alessandro Panaro

estere. Nel concreto, questi paesi hanno creato agenzie governa-tive che si occupano in modo specifico di promuovere il paese quale destinazione ideale per investimenti da parte di imprese con sedi nei paesi ad economia matura.

Tali agenzie sono molto attive e spesso hanno uffici di rappre-sentanza nei principali paesi occidentali, europei in particolare. Le imprese europee, infatti, rappresentano i principali target per azioni promozionali da parte di queste agenzie poiché la vicinanza geografica dei paesi del Sud Med con l’Europa costituisce un fattore di particolare attrattiva per queste imprese che – a parità di altre condizioni – preferiscono realizzare i propri stabilimenti produttivi all’estero in paesi vicini alla sede della casa-madre in modo che i costi di trasporto abbiano un’incidenza minore sugli scambi intra-aziendali di materie prime e semilavorati.

Dal punto di vista dei paesi della sponda Sud, gli obiettivi principali che essi si pongono nel mettere in campo tali politiche – cui si accompagnano generosi incentivi di carattere fiscale – sono di due tipi:

1) l’inspessimento del tessuto produttivo del paese e la cre-scita del valore aggiunto manifatturiero, in modo diretto – grazie all’investimento realizzato – e indiretto – per l’impatto dell’in-vestimento sull’indotto produttivo locale di fornitori di materie prime e servizi; il conseguente sviluppo del sistema produttivo del paese genera occupazione, una delle priorità dell’agenda economica dei paesi dell’area;

2) il riequilibrio della bilancia commerciale – in molti casi in disavanzo strutturale – che rappresenta una variabile strategica per la stabilità macroeconomica dei paesi.

Quest’ultimo aspetto – il miglioramento dei conti con l’este-ro – è un fattore di forte stabilità per i paesi emergenti; questi ultimi – non dotati di una struttura produttiva adeguata a sod-disfare le esigenze di consumo della popolazione – sono costretti ad importare gran parte delle merci consumate internamente. D’altro canto, la scarsa presenza di imprese votate all’export non consente la crescita delle esportazioni per quei paesi emergenti non dotati di risorse energetiche da esportare sui mercati interna-zionali; l’azione combinata e protratta nel tempo di importazioni elevate e basse esportazioni determina un deficit nella bilancia commerciale, con perdita di riserve, crescita dell’indebitamento con l’estero e pressioni al ribasso sulla valuta del paese.

Page 217: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

-90.

000

-80.

000

-70.

000

-60.

000

-50.

000

-40.

000

-30.

000

-20.

000

-10.

000

-10

.000

Tur

chia

T

unis

ia

Siri

a

Mar

occo

Lib

ia

Lib

ano

Gio

rdan

ia

Egi

tto

A

lger

ia

Isra

ele

Fig

. 4. L

a bi

lanc

ia c

omm

erci

ale

dei

10 p

aesi

del

Med

iter

rane

o m

erid

iona

le e

Sud

-ori

enta

le (

Sud

Med

) an

no 2

014,

dat

i in

mili

oni d

i dol

lari

.

Font

e: E

labo

razi

oni d

egli

auto

ri s

u da

ti U

ncta

d (f

ebbr

aio

2016

).

Page 218: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

218 Luca Forte e Alessandro Panaro

In effetti, se si guardano i dati della bilancia commerciale dei dieci paesi del Sud Med, otto paesi su dieci registrano un deficit e gli unici due che hanno una bilancia commerciale in attivo sono Algeria e Libia, i due paesi dell’area esportatori netti di petrolio.

Quali che siano gli incentivi di carattere fiscale e burocratico offerti dai singoli paesi del Sud Med, il successo della strategia di attrazione di investimenti dall’estero passa attraverso una dotazione adeguata di infrastrutture di trasporto, prime fra tutti i porti.

Nel corso del periodo 2008-2014 la movimentazione di con-tainer nei porti presenti all’interno del bacino del Mediterraneo è cresciuta del 33,7 per cento, con un trend di costante crescita a partire dal 2010, dopo il calo delle merci movimentate nel corso del 2009, in corrispondenza del crollo del commercio mondiale in quell’anno (cfr. fig. 5).

Tra i porti del Mediterraneo, quelli dei paesi del Sud Med hanno registrato una crescita della movimentazione pari a più del doppio (+52,3 per cento) rispetto ai porti dei paesi del Nord Med (+23,9 per cento), raggiungendo i 26,2 milioni di Teu movimentati nel 2014, a fronte dei 40,8 milioni del Nord Med.

Come conseguenza di questi andamenti, nel periodo analizzato, la quota di mercato mondiale dei porti del Nord Med è scesa dal 6,4 per cento al 6 per cento, mentre quella dei porti del Sud Med è salita dal 3,3 per cento al 3,8 per cento.

Nella graduatoria dei primi 10 paesi del Mediterraneo per movimentazione di container nei porti hub, troviamo cinque paesi del Nord Med e cinque del Sud Med (dove è inclusa anche la Turchia). Per quanto concerne i paesi del Nord Med, tre di essi (Spagna, Italia e Malta) hanno registrato una crescita della movimentazione di container inferiore al dato medio dei paesi del bacino (+33,7 per cento; cfr. fig. 6), mentre la crescita dei porti hub francesi (+36 per cento) risulta appena superiore alla media. Discorso diametralmente opposto per la Grecia dove il porto del Pireo – a seguito dell’arrivo della cinese Cosco, una delle principali compagnie armatoriali al mondo, nell’ottobre 2009 quale gestore del terminal container – ha incrementato in modo esponenziale la propria attività di movimentazione, passando da meno di 700mila Teu nel 2008 a quasi 4 milioni nel 2014 (un incremento di quasi 6 volte, +484,3 per cento).

Page 219: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 219

Viceversa, tutti e cinque paesi della sponda Sud hanno re-gistrato una crescita della movimentazione tra il 2008 e il 2014 superiore al dato medio dell’intero bacino, ad eccezione di Israele dove i due porti hub (Ashdod e Haifa) hanno visto incrementare il numero di container movimentati di appena il 17 per cento. Sempre nell’ambito dei paesi del Sud Med, da segnalare la crescita vertiginosa del Marocco, con il porto di Tanger Med che ha fatto segnare un incremento dei container movimentati pari a oltre tre volte (+233,9 per cento). Su queste performance hanno influito diversi fattori: costi e tempi delle operazioni fisiche e doganali all’interno dei porti risultano fattori importanti di competitività3,

3 Da un’analisi comparata di costi e tempi delle procedure di imbarco e sbarco delle merci tra i diversi sistemi portuali dei paesi Med, risulta evidente

80

100

120

140

160

2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014

Nord MED Sud MED MED

+52,3%

+23,9%

+33,7%

Fig. 5. Movimentazione di container nei porti dei paesi del Mediterraneo, del Nord Med e del Sud Med nel periodo 2008-2014.

Nota: Numeri indice a partire da dati in Teu. Teu è l’acronimo di Twenty foot Equivalent Unit, è la misura standard di volume dei container, corrispondente a circa 40 m3. I paesi inclusi nel Nord Med sono (da Ovest ad Est): Spagna, Francia, Italia, Slovenia, Croazia, Albania, Grecia, Cipro e Malta; non sono disponibili dati per Montenegro e Bosnia (che ha in progetto di realizzare un porto commerciale sul proprio tratto di costa sul Mediterraneo a Neum). Il Sud Med comprende (da Ovest ad Est): Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Giordania, Libano e Siria; non sono disponibili dati dell’Autorità Palestinese.

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Unctad (febbraio 2016).

Page 220: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

220 Luca Forte e Alessandro Panaro

ma un elemento decisivo è rappresentato dal fenomeno del «gi-gantismo navale», vale a dire la tendenza da parte delle compagnie armatoriali ad utilizzare unità porta-container di sempre maggiore dimensione con l’intento di realizzare economie di scala; per i porti non dotati di fondali adeguati risulta impossibile accogliere grandi unità navali, con un pescaggio sempre maggiore, e i ne-cessari interventi infrastrutturali richiedono tempo.

Più in dettaglio, la graduatoria della movimentazione contai-ner nei porti del Mediterraneo al 2015 (cfr. tab. 1) vede in testa due porti spagnoli (Valencia e Algeciras) che complessivamente movimentano oltre 9 milioni di Teu, seguiti da due porti sulla sponda meridionale e Sud-orientale, rispettivamente Port Said

come i paesi del Sud Med con le performance migliori in termine di movimenta-zione risultino fortemente competitivi sul «fattore costo» e che i buoni risultati di alcuni sistemi portuali di paesi del Nord Med siano, invece, legati ad una maggiore efficienza delle operazioni (cfr. Srm, Maritime Indicators).

9,3%7,4%

44,5%46,1%

36,0%

24,7%

17,0%

40,4%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

Spain Italy Egypt Turkey France Greece Morocco Malta Israel Lebanon

+233,9%+484,3%

33,7%

Fig. 6. I primi 10 paesi del Mediterraneo per movimentazione di container: crescita della movimentazione tra il 2008 e il 2014. Dati in percentuale a partire da dati in Teu.

Nota: Gli istogrammi in bianco si riferiscono ai paesi del Sud Med, quelli in grigio ai paesi del Nord Med.

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Unctad (febbraio 2016).

Page 221: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 221

in Egitto e Istanbul-Ambarli in Turchia. Il primo porto italiano in graduatoria è Gioia Tauro, che è il porto che ha registrato la performance peggiore tra quelli in classifica (-26,5 per cento), la cui leadership nazionale è minacciata dal porto di Genova che, nel periodo considerato ha guadagnato il 27 per cento di traffico container.

3. Le free zones quale strumento di attrazione di investimenti

Uno strumento sempre più utilizzato globalmente per attrarre investimenti è quello delle free zones (o zone franche), aree – all’in-terno di un paese – in cui il governo fissa particolari condizioni

Tab. 1. Movimentazione di container nei primi venti porti del Mediterraneo; anni 2008 e 2015 dati in Teu e variazione %

Posizione Porti Paesi TEU 2008 TEU 2015* variazioni %2015/2008

1 Valencia Spagna 3.602.112 4.615.196 28,1

2 Algeciras Spagna 3.324.310 4.511.322 35,7

3 Port Said Egitto 3.186.589 3.998.998 25,5

4 Instanbul-Ambarli Turchia 2.300.000 3.487.677 51,6

5 Piraeus Grecia 433.582 3.330.000 668,0

6 Marsaxlokk Malta 2.300.000 3.060.000 33,0

7 Tanger Med Marocco 920.708 2.964.324 222,0

8 Gioia Tauro Italia 3.467.824 2.550.000 -26,5

9 Genova Italia 1.766.605 2.242.902 27,0

10 Barcellona Spagna 2.569.549 1.953.282 -24,0

11 Alexandria Egitto n.d. 1.567.089 –

12 Mersin Turchia 887.918 1.466.000 65,1

13 La Spezia Italia 1.246.139 1.312.000 5,3

14 Ashood Israele 827.916 1.250.000 51,0

15 Haifa Israele 1.260.000 1.196.000 -5,1

16 Marsiglia-Fos Francia 826.023 1.220.000 47,7

17 Beirut Libano 945.134 1.130.284 19,6

18 Koper (Capodi-stria) Slovenia n.d. 790.736 –

19 Livorno Italia 778.864 780.874 0,3

20 Cagliari Italia 307.527 737.217 139,7

Nota: *In corsivo dati riferiti al 2014.

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati delle Autorità portuali (febbraio 2016).

Page 222: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

222 Luca Forte e Alessandro Panaro

operative per le attività in esse insediate. Il fenomeno ha cono-sciuto un forte sviluppo negli ultimi anni sia nei paesi sviluppati che in quelli emergenti, in questi ultimi in particolare, sempre più impegnati a farsi concorrenza tra loro per attirare investitori.

La competizione è particolarmente aspra tra i paesi del Sud Med, favoriti dalla vicinanza con l’Europa e dal costante processo di deindustrializzazione in atto da anni in molti paesi del Vecchio continente a forte tradizione manifatturiera, come l’Italia.

I pacchetti di incentivi che essi offrono agli investitori euro-pei sono molto ricchi e spesso i vantaggi – fiscali e burocratici – sono simili (cfr. più avanti in questo paragrafo), così come i punti di forza dei paesi ospitanti (basso costo della manodopera, soprattutto, e una popolazione giovane e con livelli di istruzione in crescita); ciò spiega la forte concorrenza tra questi paesi e la loro continua ricerca di nuovi strumenti in grado di accogliere investimenti produttivi in un ambiente business friendly.

Con il termine free zone ci si riferisce ad un’area, all’interno di un paese, in cui il governo fissa condizioni agevolate per l’esercizio dell’attività imprenditoriale, creando, di fatto, una modifica negli assetti concorrenziali.

L’obiettivo principale che questo strumento si propone è, come detto, quella di attirare investitori esteri. I vantaggi offer-ti, di norma, sono sia di tipo finanziario che burocratico. Tra i primi troviamo:

– l’esenzione fiscale sul reddito societario (spesso è totale per alcuni anni, e poi si trasforma in parziale) e, talvolta, anche su quello personale;

– l’eliminazione dei dazi sull’esportazione dei prodotti rea-lizzati all’interno dell’area;

– l’eliminazione o la riduzione dei dazi sull’importazione di beni strumentali.

Quanto alla burocrazia, le principali facilitazioni offerte riguardano:

– la possibilità di avere un unico interlocutore (one stop shop) per tutte le pratiche, dalla consulenza iniziale all’avvio dell’inve-stimento e all’inizio dell’attività;

– la concessione di terreni e uffici a prezzi agevolati; – la piena proprietà dell’impresa, senza obbligo di ricorrere a

una joint venture con un partner locale, come succede nella mag-gior parte degli investimenti esteri nel resto del paese ospitante.

Page 223: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 223

A livello mondiale le free zones sono presenti in 135 paesi, tali aree sono assai diffuse e se ne contano più di 4.0004.

La crescita di queste aree a livello mondiale è stata impres-sionante: da 845 zone in 93 paesi che occupavano 22,5 milioni di addetti, nel 1997, a 3.000 realtà in 116 paesi che impiegavano 43 milioni di lavoratori nel 2002, a 3500 in 130 paesi che im-piegavano 66 milioni di lavoratori nel 2006 fino ad arrivare alle 4.000 nel 20115. Uno studio del 2014 dell’Università Dauphine di Parigi6 dimostra che queste zone, eliminando i dazi, favoriscono il commercio incrementando le esportazioni nelle zone econo-miche dove sono presenti, nei paesi che le ospitano e negli altri paesi che forniscono loro beni o componenti intermedi. Questo aiuta a spiegare il motivo per cui il World Trade Organization tollera generalmente questi strumenti, nonostante possano essere considerati una sorta di sovvenzione per il paese che le ospita.

Le zone franche in giro per il mondo hanno come obietti-vo comune – come argomentato in precedenza – quello di far crescere le esportazioni del paese che le ospita, migliorando i conti con l’estero, di importare know how e di incrementare l’occupazione locale.

Un aspetto importante che i paesi che ospitano free zones tengono nella giusta considerazione è quello di evitare di met-tere fuori mercato le imprese, soprattutto a proprietà locale, localizzate all’interno del territorio doganale del paese; è per questa ragione che a beneficiare degli incentivi che vengono garantiti all’interno delle free zones sono esclusivamente le im-prese export-oriented, e limitatamente alla parte di produzione destinata all’export. Infatti, tali imprese non possono vendere i loro prodotti (o offrire i loro servizi) sul mercato locale, a meno di non pagare i dazi doganali dovuti sulla quota di produzione venduta localmente.

Le esperienze concrete di zone franche nel mondo possono essere ricondotte a 4 diverse tipologie7.

1) Free Port e Commercial free zones: sono zone territorialmente delimitate interne o limitrofe a grandi porti; offrono magazzini e

4 The Economist, Special Economic Zones.5 Centre for Development & Enterprise, Cde Round Table. 6 Siroën, Yücer, Trade Performance of Free Trade Zones.7 Unescap, Free Trade Zone and Port Hinterland Development.

Page 224: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

224 Luca Forte e Alessandro Panaro

depositi per merci, anche derrate alimentari, che non vengono sdoganate al momento dell’arrivo, ma sono conservate per poi essere riesportate senza il pagamento dei diritti doganali; in alcuni casi vengono consentite alcune lavorazioni finali come packaging ed etichettatura; questa tipologia può essere considerata la forma più leggera di free zone tanto che anche le regole dell’Unione europea consentono agli stati membri di realizzare aree extra-doganali all’interno dei porti. Un esempio di questo tipo in Italia è dato dal porto di Trieste, il principale porto italiano per le rinfuse liquide.

2) Export Processing Zone, Epz (per attività manifatturiere): sono zone industriali che offrono incentivi e particolari condi-zioni operative tipici delle free zones; tali aree sono dedicate ad imprese export-oriented appartenenti ad un ampio ventaglio di settori merceologici. Sono numerosi gli esempi di questo tipo in giro per il mondo, e uno dei casi più interessanti è proprio la Tanger free zone in Marocco, di cui si dirà più dettagliatamente nel paragrafo 4 di questo capitolo.

3) Single Factory, Epz: rappresentano una variante delle Epz in cui gli incentivi e le facilitazioni vengono offerte a singole realtà industriali che possono scegliere liberamente dove localizzarsi all’interno del paese ospitante. Esempi di questo tipo di free zone sono presenti in paesi come il Messico, il Madagascar, le Isole Mauritius, ma anche gli Stati Uniti.

4) Charter Cities: sono città o regioni all’interno di un paese che godono di particolari regole amministrative e forte autonomia rispetto al paese che le ospita; all’interno di tali realtà ammini-strative tutte le attività imprenditoriali e l’intera popolazione godono di benefici fiscali e amministrativi. Esempi di realtà di questo tipo sono rappresentati da Hong Kong e Macao, due regioni amministrative speciali all’interno del territorio della Repubblica Popolare Cinese.

Guardiamo ora l’utilizzo e la diffusione di questo strumento in due paesi della sponda Sud del Mediterraneo – Egitto e Tuni-sia – e come si concretizza la strategia dei due paesi per attrarre investitori dall’estero; nel paragrafo successivo, che comprende il caso di studio sul porto di Tanger Med, si entrerà nel dettaglio della strategia del Marocco per incentivare gli investimenti, e degli strumenti adottati.

In Egitto, il Gafi (General Authority for Investment and free zones) è un organismo affiliato al Ministero degli Investimenti.

Page 225: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 225

Istituito nel 1971 quale organismo governativo di regolamenta-zione, oggi agisce a tutti gli effetti come un’agenzia governativa di promozione degli investimenti nel paese.

L’Egitto è dotato di 9 free zones distribuite su tutto il territorio nazionale (cfr. fig. 7), alcune in prossimità dei principali snodi lo-gistici del paese (Damietta, Port Said, Suez). Tuttavia, il quadro di regolamentazione per gli investimenti in Egitto è molto variegato poiché, accanto alle zone franche, il paese ha istituito altre tipo-logie di aree dedicate ad ospitare investimenti (Zone Economiche Speciali, Zes; Industrial Zones; Investment Zones), con incentivi e benefici per gli investitoti modulati diversamente (cfr. tab. 2).

Nello schema in tabella i vantaggi fiscali seguono un percorso progressivo, con il livello massimo di incentivi previsti per le attività collocate nelle free zones; anche nel caso dell’Egitto i van-taggi per le free zones valgono solo per le imprese che esportano la loro produzione all’estero.

Fig. 7. Le free zones in Egitto.

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Gafi (febbraio 2016).

Page 226: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

226 Luca Forte e Alessandro Panaro

In Tunisia gli organismi governativi deputati allo sviluppo e alla diffusione delle politiche di incentivo agli investimenti sono l’Agenzia di promozione degli investimenti (Agence de Promo-tion des Investissements, Api) e l’Agenzia di promozione degli investimenti esteri (Foreign Investment Promotion Agency, Fipa.

Mentre il Ministero dello Sviluppo e della Cooperazione Inter-nazionale ha l’incarico di elaborare le nuove misure di incentivo, alla Fipa spetta il compito di promuovere all’estero i vantaggi connessi agli investimenti in Tunisia, mentre l’Api si occupa di fornire assistenza agli imprenditori interessati ad investire nel paese in tutte le fasi del processo d’investimento.

Le autorità tunisine hanno scelto una strategia diversa per attirare investimenti dall’estero. Le due free zones presenti nel paese (a Bizerte nel Nord del paese e Zarzis a Sud) sono state riclassificate in Parchi industriali e gli incentivi garantiti alle imprese localizzate nelle due aree sono stati progressivamente estesi alle imprese presenti su tutto il territorio nazionale, a patto

Tab. 2. I principali vantaggi per le imprese che investono in Egitto

Investimenti sulterritorio egiziano

Investimenti nelle Zone Economiche

Speciali (Zes)

Investimenti nelle free zones

Imposte sul reddito d’impresa

tra il 20% e il 40,55% (sono

esclusi i comparti Oil & Gas)

10% 0%

Imposte sul reddito personale

tra il 20% e il 40,55% (sono

esclusi i comparti Oil & Gas)

5% 0%

Dazi sulleimportazioni

tra il 2% e il 32% a seconda

del prodotto; 5% su macchinari e

attrezzature

0% 0%

Dazi sulleesportazioni

tra il 5% e il 25% a seconda dei

prodotti

0% per vendite al difuori del territorio egiziano; 10% per

vendite sul territorio egiziano per le com-

ponenti non acquista-te in Egitto

0%

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Gafi (febbraio 2016).

Page 227: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 227

che esportino all’estero almeno l’80 per cento della produzione8. A partire dal 2008 gli incentivi agli investimenti produttivi (per l’artigianato, l’industria e alcune attività di servizi) sono stati mo-dulati territorialmente in modo da risultare più vantaggiosi nelle aree interne e del Sud del paese – meno sviluppate – rispetto alle regioni costiere e del Nord; sono state create Zone di sviluppo regionale prioritarie (con il livello massimo di incentivi), Zone del secondo gruppo e Zone del terzo gruppo (cfr. tab. 3).

8 Ebrd, Country Assessmen-Tunisia.

Tab. 3. I principali vantaggi per le imprese che investono in Tunisia

Zone di svilupporegionale prioritarie

Zone di svilup-po regionale del secondo gruppo

Zone di svilup-po regionale del primo gruppo

Imposte sul red-dito d’impresa

0% per i primi 10 anni di attività; esen-zione al 50% nei successivi 10 anni

0% per i primi 10 anni di attività

0% per i primi 5 anni di attività

Imposte sul red-dito personale

come per il reddito d’impresa

come per il reddito d’impresa

come per il reddito d’impresa

Contributi al Fondo alloggi per i dipendenti (Foprolos)

esonero illimitato nel tempo

esonero illimitato nel tempo

nessun vantaggio

Tasse sulla For-mazione profes-sionale (Tfp)

esonero illimitato nel tempo

esonero illimitato nel tempo

nessun vantaggio

Esenzione dai contributi sociali

al 100% per i primi 10 anni di attività

al 100% per i primi 5 anni di attività e con per-centali progressiva-mente ridotte nei successivi 5 anni (80%; 65%; 50%; 35%: 20%)

al 100% per i primi 5 di attività

Benefici finanzia-ri/sovvenzioni al capitale circolante

25% fino ad un massimo di 1,5 milioni di dinari tunisini

15% fino ad un massimo di 1 milione di dinari tunisini

8% fino ad un massimo di 0,5 milioni di dinari tunisini

Contributo per le spese infrastrut-turali

85% 75% 25%

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Fipa e Api (febbraio 2016).

Page 228: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

228 Luca Forte e Alessandro Panaro

4. Trasporti, logistica e free zone per lo sviluppo dell’economia marocchina

Il Marocco è, fra i paesi nordafricani ad economia diversi-ficata, quello con la minore dotazione di risorse energetiche fossili; è il paese politicamente più stabile dell’area e, sebbene abbia il reddito pro capite più basso dell’intero bacino del Mediterraneo (se si esclude la Siria; cfr. tab. 4), ha registrato una delle crescite più elevate tra i paesi del bacino a partire dal 2000 (cfr. tab. 5).

La prolungata stabilità politica ha consentito al Paese di poter programmare il proprio futuro in modo coerente puntando su una strategia di sviluppo di lungo termine in tutti i settori dell’e-conomia; dall’agricoltura (Plan Maroc Vert 2020), all’industria (il paese punta a diventare il principale hub produttivo del con-tinente africano nei settori automotive e aerospazio), ai servizi, con la città di Casablanca che si propone quale primario centro finanziario africano (Casablanca Financial City-Cfc).

Per quanto concerne lo sviluppo del comparto manifatturiero del paese, per attrarre investimenti dall’estero le Autorità hanno scelto di puntare su un mix di fattori che si è rivelato vincente: lo sviluppo delle infrastrutture (Porto di Tanger Med, Alta Velocità ferroviaria, investimenti nella rete stradale interna); la creazione di zone franche di esportazione (Efz); lo sviluppo di alcune filiere specifiche ad elevato valore aggiunto e medio-alto contenuto tecnologico come l’automotive, l’aerospazio, ma anche la chimica e la metallurgia, senza tralasciare altri comparti più tradizionali e meno innovativi come tessile-abbigliamento e pelletteria, in cui il paese vanta una lunga tradizione9.

Nel 2009 le autorità marocchine hanno istituito l’Agence Marocaine de Dévelopment des Investissement (Amdi), un ente di diritto pubblico che ha come mission quella di promuovere il Marocco quale meta per investimenti attraverso azioni promo-zionali che facciano conoscere le opportunità che offre il Paese e attirare potenziali investitori. L’agenzia, con sede a Rabat, ha attualmente 4 uffici di rappresentanza in Europa – a Parigi, Roma, Francoforte e Madrid – che si rivolgono ad imprese con casa-madre rispettivamente in Francia, Italia, Germania e Spagna.

9 Ebrd, Country Assessment-Morocco.

Page 229: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 229

Tab. 4. La graduatoria dei paesi del bacino del Mediterraneo per reddito pro capite. Dati in dollari a prezzi correnti. Anno 2014

Paesi Reddito pro capiteFrancia 42.568Israele 38.988Italia 35.313Spagna 29.837Cipro 26.655Malta 24.346Slovenia 23.800Grecia 21.349Croazia 13.395Turchia 10.562Libano 9.973Libia 8.082Algeria 5.318Giordania 4.763Tunisia 4.364Albania 4.151Egitto 3.386Marocco 3.244Siria 1.39

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Unctad (febbraio 2016).

Tab. 5. La graduatoria dei paesi del bacino del Mediterraneo per crescita media del Pil nel periodo 2000-2014. Dati in percentuale. Anno 2014

Paesi Crescita media PilGiordania 5,2Albania 4,6Libano 4,6Libia 4,6Marocco 4,4Turchia 4,3Egitto 4,2Israele 3,9Tunisia 3,7Algeria 3,6Malta 2,5Slovenia 2,1Cipro 1,7Croazia 1,7Spagna 1,7Francia 1,3Siria 0,5Grecia 0,3Italia 0,2

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Unctad (febbraio 2016).

Page 230: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

230 Luca Forte e Alessandro Panaro

Non è un caso che i 4 paesi siano ai primi posti nella graduatoria dei principali partner commerciali del Marocco (cfr. tab. 6).

Le autorità marocchine hanno istituito 4 zone franche di esportazione (Efz), rispettivamente: la Tanger Med free zone, a Tangeri nel Nord del Paese, la zona franca di Kénitra, nei pressi della capitale Rabat, la zona franca di Laayoume a Sud e quella di Dakhla all’estremo Sud del paese. Tutte e 4 le Efz si trovano sulla costa in prossimità di porti esistenti o in costruzione10.

Al momento, l’unica Efz operativa è Tanger free zone, uno dei casi di maggior successo di Export free zone dell’intero bacino del Mediterraneo.

Oltre alle Efz, ci sono 2 zone franche di stoccaggio per idro-carburi (zone franche doganali) sulla costa mediterranea a Nador e Kebdana, nei pressi di Melilla; infine, la città di Casablanca può anch’essa essere considerata una zona franca per attività di servizi (che, sotto particolari condizioni, godono di una tassa-zione agevolata).

10 Il settore marittimo è uno dei comparti chiave nella strategia di sviluppo del Marocco ed è il settore che assorbe la maggior parte delle risorse pubbliche per investimenti: nel 2012 le autorità marocchine hanno lanciato il progetto Stratégie National Portuaire 2030 in base al quale si prevede la costruzioni di altri cinque porti nel paese entro il 2030; tre di questi saranno costruiti rispet-tivamente a Nador, Kénitra e Dakhla, località che ospitano, rispettivamente, una free zone doganale (Nador) e due Export free zones (Kénitra e Dakhla).

Tab. 6. I primi 10 partner commerciali del Marocco nel 2014 (Import+Export bilate-rali). Dati in miliardi di dollari

Paesi Miliardi di dollariSpain 11,4France 11,1United States 4,2China 3,8Italy 3,3Germany 3,1Saudi Arabia 2,6Turkey 2,2Russian Federation 2,2Brazil 1,7

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Unctad (febbraio 2016).

Page 231: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 231

I vantaggi e le facilitazioni offerti alle imprese che vanno a localizzarsi nelle Efz rispetto alle normali condizioni operative nel territorio marocchino, sono sintetizzate in tabella 7.

In sostanza, le imprese localizzate nelle free zones possono contare su una tassazione azzerata per i primi cinque anni su reddito d’impresa, reddito personale e Iva (e fortemente agevo-lata negli anni successivi), oltre che sull’assenza di dazi doganali.

Altri vantaggi di cui godono le imprese localizzate all’interno delle Efz del Marocco riguardano:

– procedure doganali semplificate;– nessuna restrizione ai capitali;– garanzia di rimpatrio dei capitali e piena convertibilità della

moneta locale;– transazioni in valuta estera consentite.Ulteriori vantaggi valgono per alcuni settori di attività che,

grazie al Fondo Hassan II, possono godere:– di un contributo statale fino al 30 per cento per l’acquisto

di terreni e la costruzione di fabbricati industriali;– di un contributo statale fino al 30 per cento per l’acquisto di

beni strumentali (ad esclusione di dazi all’importazione e tasse);– della possibilità di una partecipazione statale al capitale

dell’impresa fino al 15 per cento dell’investimento totale realizzato.

Tab. 7. I principali vantaggi per le imprese che investono in Marocco

Investimenti sulterritorio marocchino

Investimenti nelleExport free zones

Imposte sul reddito d’impresa 30%; 37% perattività finanziarie

0% per i primi 5 anni di attività; 8,75% nei successivi 20 anni*

Imposte sul reddito personale progressive,fino al 38%

0% per i primi 5 anni di attività; esen-zione pari all’80% per i successivi 20 anni

Imposta sul valore aggiunto 20% (aliquotastandard)

0%

Dazi doganali n.d. esenzione permanente

Nota: * Per le imprese di servizi che godono dello status di Cfc (Casablanca financial city), l’aliquota all’8,75 per cento dopo i primi 5 anni di attività è perma-nente.

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Amdi.

Page 232: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

232 Luca Forte e Alessandro Panaro

Il porto di Tanger Med

Il caso di studio si sofferma sui dati di crescita e sulle linee stra-tegiche di sviluppo attuate dal porto di Tanger Med – diventato ad oggi uno dei maggiori hub del Mediterraneo per movimentazione container e mezzi navali transitati – e sul contributo che la free zone retro-portuale sta dando a tale sviluppo. Solo per anticipare un dato, dal 2008 (primo anno in cui è iniziata la rilevazione sistematica dei dati, poiché nel 2007 Tangeri era solo un porto di minore cabotaggio) al 2015 i Teus sono aumentati di oltre il 220 per cento.

Saranno, in particolare, qui analizzati i numeri più rilevanti in merito ai traffici, la capacità e i volumi, nonché i pilastri su cui il porto fonda la sua strategia, ossia l’intermodalità, la posizione geografica di assoluto rilievo e la capacità di attrazione di imprese ed operatori attraverso strategie precise condivise con lo Stato governo del Marocco che per il coordinamento delle Autorità portuali del paese si avvale dell’Anp (Agenzia nazionale dei porti).

Tanger Med si configura, come accennato, principalmente un porto hub dedicato alla movimentazione container, tecnicamente è un porto di trasbordo (il termine tecnico è transhipment); è interessato, inoltre, da traffico passeggeri, Ro-Ro e svolge inoltre una significativa attività rinfusiera.

Situato a circa 40 km dalla città di Tangeri, Tanger Med è il maggior porto del Marocco e punto d’incontro navale tra il mar Mediterraneo e l’Atlantico. Nonostante sia di recente costruzione (il primo terminal è stato inaugurato nel 2007 e il secondo nel 2008), è in breve tempo diventato un modello internazionale di governance da imitare e un riferimento per il trasporto via nave di merci.

L’ascesa del porto è dovuta a tre principali driver di successo. In primo luogo la posizione: Tanger Med è localizzato in un’area strate-gica, sulla via di passaggio tra Asia, Europa, Nord e Sud America. È inoltre «spalleggiato» da una free zone dedicata alle attività logistiche, caratterizzata da un’importante partnership con una primaria azienda del settore automotive. L’ultimo fattore, non meno importante, riguarda la capacità del porto di attrarre mega carriers e terminalisti di primo livello come Eurogate (che fa capo al gruppo tedesco Eurokai) e Apm (del Gruppo danese Maersk Line, primo vettore al mondo per volumi di container trasportati).

Ancora relativamente alla localizzazione, è significativo soffermarsi sul fatto che il porto gode di una posizione privilegiata sullo Stretto di Gibilterra – la seconda via marittima più frequentata al mondo – che registra un passaggio annuo di 100.000 navi, di cui il 20 per cento costituto da traffico container. La caratterizzazione tipica del porto

Page 233: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Fig

. 8. I

l pos

izio

nam

ento

di T

ange

r M

ed n

el b

acin

o de

l Med

iter

rane

o

Page 234: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

234 Luca Forte e Alessandro Panaro

è che la nave per transitare nello scalo non ha bisogno di complesse manovre di attracco ma solo di piccoli rallentamenti per l’accosto in banchina, ciò velocizza notevolmente le procedure di imbarco e sbarco.

Il porto si sviluppa per una lunghezza complessiva di 9 km ed è così strutturato: una free zone, un terminal idrocarburi, una banchina passeggeri, un’area dedicata alla movimentazione container (denomi-nata Tanger Med I) composta dal terminal 1 e dal terminal 2, e infine Tanger Med II, nuova sfida che vedrà l’ultimazione di due nuovi terminal, numerati 3 e 4.

Tanger Med si configura altresì non solo come «mera infrastruttu-ra» ma come una delle maggiori piattaforme logistiche mondiali. Tra i numeri di maggior rilievo:

– 8 milioni di Teu all’anno di capacità di movimentazione totale (quando saranno a regime i terminal 3 e 4);

– 1 milione di veicoli transitati di varia natura;– 7 milioni di passeggeri;– 700.000 camion con svincolo sui raccordi autostradali:– 5 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi in imbarco e sbarco.Ciò è stato possibile grazie ad un importante investimento misto

pubblico/privato pari a 7,5 miliardi di euro.Tra i business partners del porto marocchino figurano grandi nomi

del settore shipping come Maersk che gestisce il terminal container 1, piattaforma su cui è privilegiato lo sbarco di navi della grande allean-za 2M (Maersk-Msc), ed Eurogate-Contship che gestisce il terminal container 2, piattaforma su cui sbarcano le flotte della francese Cma Cgm e di Msc; nel porto, inoltre lavorano aziende leader del comparto automotive come la Renault (che occupa di fatto tutto il terminal veicoli).

Come mostra la figura 9, dal 2007 al 2015 l’attività di movimen-tazione container svolta all’interno del terminal Tanger Med Ptm1 è cresciuta costantemente passando da poco più di 150.000 Teu a quasi 3 milioni di Teu.

Tra il 2012 e il 2015 si è assistito ad una crescita percentuale del +55 per cento, passando da 1.900.000 a 2.960.000 Teu, toccando la capacità massima complessiva del porto di Tanger Med, pari a 3 milioni di Teu. Anche il dato relativo al numero di navi transitate nel corso del 2015 è in crescita: oltre 12mila (+14 per cento rispetto al 2014)11.

Come anticipato, uno dei fattori di successo di Tanger Med è stata la capacità di attrarre grandi imprese, come nel settore automotive. L’area del porto dedicata al terminal veicoli è, infatti, interessata dalla partnership strategica con Renault e nel 2015 sono transitate oltre 260mila autovetture nuove di fabbrica.

11 Tanger Med Port Authority, Official Presentation.

Page 235: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 235

Tanger Med Automotive City – un’area all’interno dell’interno complesso di Tanger free zone dedicata alle imprese del settore au-tomotive – ha attirato decine di produttori di componentistica auto attratti non solo dalla presenza dello stabilimento Renault nella stessa area (Renault Tanger Med è a soli 5 km) ma anche dall’opportunità offerta dal porto di poter raggiungere entro 48 ore oltre 25 impianti in Europa che assemblano circa 4 milioni di autovetture all’anno.

Per quanto riguarda l’attività rinfusiera del porto, il terminal idro-carburi è focalizzato su tre attività principali: bunkeraggio, import e transhipment di prodotti raffinati (in Europa, Africa e Usa). In questo segmento, il traffico (Input/Output) è ammontato nel 2012 a 1 milione di tonnellate e nel 2013 è quadruplicato arrivando a più di 4 milioni di tonnellate. Nel 2015 le tonnellate di idrocarburi movimentate sono state 5,28 milioni, con un ulteriore aumento del 38 per cento rispetto al 2014.

Sul versante intermodalità, che come accennato è uno dei punti di forza del porto, Tanger Med è connesso alla rete ferroviaria nazionale attraverso 45 km di strada ferrata, che consentono tre viaggi A/R al giorno per Casablanca (con un transit time di 36 ore ).

Il porto passeggeri, infine, si configura come un ponte tra Africa ed Europa, con operatori di primo livello, come l’italiana Gnv (Grandi

Fig. 9. Trend movimentazione container porto di Tanger Med 2007-2015, dati in Teu.

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati Tanger Med Port Authority (febbraio 2016) tratti da: Tanger Med Port Authority (Tmsa), Official Presentation.

-

500.000

1.000.000

1.500.000

2.000.000

2.500.000

3.000.000

3.500.000

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Page 236: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

236 Luca Forte e Alessandro Panaro

navi veloci). Le cifre più attuali evidenziano fino a 50 partenze al gior-no, 7.000 navi all’anno, 2 milioni di passeggeri, 700.000 automobili e 200.000 camion trasportati.

Tanger Med II è il nuovo traguardo che il porto marocchino si prefigge per gli anni a venire, prevedendo l’ultimazione (la costruzione è già iniziata) di due nuovi terminal: il terminal 3 affidato in gestione all’operatore nazionale Marsa Maroc e il terminal 4, il cui gestore è da individuare.

Di grande rilevanza economico-strategica, questa sfida ha come obiettivo il consolidamento della presenza del paese nello scenario globale, soprattutto per quanto concerne il traffico container. Questa ambizione di crescita è supportata dalla presenza di fondali con una profondità di 18 metri, infrastrutture e connessioni capaci di garan-tire 50 servizi regolari in 143 porti. Tanger Med II avrà una capacità annuale di 5 milioni di Teu, che porterà a 8 mln di Teu la capacità totale del porto che, di fatto, si avvicinerà ai più blasonati porti del Northern Range europeo.

La forte interconnessione di Tanger Med è stata tra i fattori deter-minanti per l’ottenimento di numerosi riconoscimenti circa il grado di competitività portuale. Tra i migliori risultati di posizionamento conseguiti dal porto di Tanger Med:

– 1° porto RO-RO e passeggeri del Marocco;– 7° porto hub del Mediterraneo; – 55° porto per traffico container (dati 2013).La forte crescita del porto di Tanger Med ha permesso lo sviluppo

di una free zone in grado di attrarre imprese caratterizzate da una forte vocazione all’export.

La free zone si configura come la prima piattaforma logistica e in-dustriale nel Nord del Marocco. In quest’area si concentra il nuovo hub focalizzato sul settore automotive e la free zone doganale in comune con il porto. I numeri di questa attività si possono sintetizzare in oltre 2,6 miliardi di euro annui di export e 60.000 nuovi posti di lavoro creati.

La zona logistica è gestita da Med Hub, sussidiaria di Tmsa-Tanger Med Special Agency che gestisce quello che ormai potremmo definire il «Gruppo» portuale Tanger Med, e si contraddistingue per la pos-sibilità di aprire attività industriali con importanti vantaggi fiscali. È stata istituita amministrativamente già nel 1999, a testimoniare la lungimiranza programmatica del governo marocchino per lo sviluppo del paese attraverso il suo porto primario.

L’area ospita circa 400 imprese che complessivamente registrano più di 2,5 miliardi di euro di fatturato.

Un esempio di come una grande impresa possa beneficiare della free zone è fornito da Renault. La casa automobilistica ha costruito uno stabilimento a Melloussa, a ridosso dell’area portuale, destinato

Page 237: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 237

all’esportazione in Europa, nella stessa Africa e in Sud America. La produzione 2015, come accennato, è stata pari a 260.000 vetture, in crescita rispetto a quella 2014 del 23 per cento.

Lo sviluppo di quest’area dedicata al settore automobilistico ha inoltre reso possibile la creazione di 36.000 posti di lavoro, mentre la zona commerciale ospita già 3 aziende operative e 500 studenti presso il centro di formazione Ofppt (Office de la formation professionnelle et de la promotion du travail).

Allo sviluppo infrastrutturale ed economico del porto si accompagna una visione volta alla sostenibilità. Per quanto riguarda la responsabilità sociale e le politiche ambientali, il porto ha previsto l’attuazione di due diversi piani. Per Tanger Med I è stato varato un piano di tutela ambientale, in collaborazione con l’accordo quadro promosso dalla Fondazione Mohammed VI. Per la costruzione dei nuovi terminal di Tanger Med II è stato programmato un piano di gestione dei lavori, in conformità con gli studi di impatto ambientale.

L’ulteriore sviluppo di Tanger Med è stato anche inserito dal gover-no marocchino nella Strategia portuale «Marocco 2030» che prevede l’accrescimento dei 30 porti del paese a varia vocazione.

In conclusione il successo del porto marocchino deriva da una serie di fattori combinati tra loro. Tra questi, gli elementi chiave di maggior rilievo riguardano le favorevoli condizioni di sviluppo e le grosse opportunità economiche che il porto è stato in grado di offrire agli investitori esteri logistici e manifatturieri.

Il porto di Tanger Med prevede, infatti, numerose facilitazioni buro-cratiche agli scambi commerciali, che gli permettono di superare la con-correnza degli altri porti del Mediterraneo ed essere preferito da aziende e compagnie di navigazione, nell’individuazione delle rotte più profittevoli e in fase decisionale per stabilire dove situare le attività produttive.

Le imprese internazionali sono fortemente spinte a delocalizzare la produzione a Tangeri grazie alle concessioni convenienti che il governo marocchino offre agli investitori stranieri.

Nel porto di Tanger Med non sono previsti dazi doganali, le tasse sono azzerate per i primi cinque anni di avvio delle attività, le procedure amministrative sono semplificate e il trattamento previdenziale per assunzioni e contratti di dipendenti permette un notevole abbattimento del costo del lavoro. La politica di accordi per il libero commercio e gli incentivi fiscali derivanti dall’insediamento all’interno della free zone possono essere sfruttati da una vasta gamma di attività industriali ed imprenditoriali, cui il governo marocchino offre questa opportunità di sviluppo.

L’insediamento è anche facilitato dalla presenza di nuove infra-strutture, ampi spazi per lavorare le merci ed efficienti collegamenti stradali, ferroviari e aeroportuali. Oltre alla profittabilità economica, la

Page 238: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

238 Luca Forte e Alessandro Panaro

proposta di valore di Tanger Med include ulteriori vantaggi competitivi, primo fra tutti l’essere un porto multi-purpose d’eccellenza, caratteriz-zato da un’ottima connettività globale. La posizione geostrategica nel Mediterraneo, come più volte sottolineato, permette a Tanger Med di configurarsi come un ponte tra Europa e Africa, ed offrire l’accesso ad un mercato di oltre 600 milioni di persone, nonché fornire un collegamento altamente efficiente da e per l’entroterra del Marocco.

Riferimenti bibliografici

Agence de Promotion de l’Industrie et de l’Innovation, Incitations et Avantages en Tunisie, disponibile on line all’indirizzo http://www.tunisieindustrie.nat.tn/it/doc.asp?mcat=12&mrub=92&msrub=206&dev=true.

Agence Marocaine de Développement des Investissements, Zones d’Investissement, disponibile on line all’indirizzo http://www.invest.gov.ma/?lang=fr&Id=19.

Centre for Development & Enterprise (Cde), Cde Round Table, n. 19, giugno 2012.

European Bank for Recostruction and Development (Ebrd), Country Assessment-Tunisia, settembre 2012.

— Country Assessment-Morocco, settembre 2012.Foreign Investment Promotion Agency (Fipa), Législation incitative

en Tunisie, disponibile on line all’indirizzo http://www.investin-tunisia.tn/Fr/legislation-incitative_11_24.

General Authority for Investment and free zones (Gafi), Investment Regimes in Egypt, 2016, disponibile on line all’indirizzo http://www.gafi.gov.eg/English/StartaBusiness/InvestmentZones/Pages/default.aspx.

— Free zones in Egypt, 2016, disponibile on line all’indirizzo http://www.gafi.gov.eg/English/StartaBusiness/InvestmentZones/Pages/FreeZones.aspx.

Grubel H.G., Lloyd P.J., Intra-Industry Trade: The Theory and Mea-surement of International Trade in Differentiated Products, New York, Wiley, 1975.

Siroën J.M., Yücer A., Trade Performance of Free Trade Zones, Paris, Université Paris-Dauphine, 2014.

Port Authorities dei 20 porti elancati in tabella 1.Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (Srm), «Maritime Indicators», 1, 2015.Tanger Med Port Authority (Tmsa), Official Presentation, Tangeri, 2014.The Economist, Special Economic Zones, 4 aprile 2015.

Page 239: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Trasporti, logistica e zone franche 239

Unctad, Economic Trends/National Accounts, Gdp, 2016, disponibile on line all’indirizzo http://unctadstat.unctad.org/wds/TableViewer/tableView.aspx?ReportId=96.

— Gdp, Growth Rates , disponibile on line all’indirizzo http://unctadstat.unctad.org/wds/TableViewer/tableView.aspx?ReportId=109.

— Foreign Direct Investment, 2016, disponibile on line all’indiriz-zo http://unctadstat.unctad.org/wds/TableViewer/tableView.aspx?ReportId=96740.

— International Trade in Goods and Services/Imports, 2016, dispo-nibile on line all’indirizzo http://unctadstat.unctad.org/wds/TableViewer/tableView.aspx?ReportId=24741.

— International Trade in Goods and Services/Exports, 2016, dispo-nibile on line all’indirizzo http://unctadstat.unctad.org/wds/TableViewer/tableView.aspx?ReportId=24739.

— Maritime Transport Indicators, 2016, disponibile on line all’indi-rizzo http://unctadstat.unctad.org/wds/TableViewer/tableView.aspx?ReportId=13321.

Unescap, Free Trade Zone and Port Hinterland Development, United Nations Publication, 2005.

Page 240: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 241: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

9. La green economy come strategia di mitigazionee adattamento agli effetti del cambiamentoclimatico nei paesi mediterranei

di Desirée A.L. Quagliarotti

È ormai opinione diffusa che la crisi globale che ha caratteriz-zato il nuovo millennio non sia soltanto economica e finanziaria, ma anche ambientale ed è strettamente correlata al fallimento del tradizionale modello economico di sviluppo basato sullo sfrutta-mento delle risorse naturali e sulla scarsa attenzione agli impatti antropici sui sistemi naturali. La profonda instabilità economica e politica che caratterizza i paesi mediterranei è amplificata dagli effetti del cambiamento climatico che contribuiscono a deteriorare il livello della qualità della vita delle popolazioni. La crescita verde rappresenta un nuovo approccio alla crescita economica che pone il benessere umano al centro dello sviluppo e consente, attraverso un uso ottimale delle risorse, di orientare le scelte verso un modello di produzione e di consumo sostenibile.

Obiettivo di questo lavoro è quello di descrivere le diverse dinamiche socio-economiche e ambientali che caratterizzano i paesi mediterranei attraverso un’analisi comparativa tra le due rive del bacino allo scopo di rilevare i principali vincoli e le potenziali opportunità legati al passaggio verso una nuova economia verde considerata come la strategia più efficace per controllare il surriscaldamento globale e incrementare la capacità di adattamento dei sistemi socio-economici ai potenziali effetti del cambiamento climatico.

1. I paesi mediterranei tra crisi economica e instabilità politica

I paesi del bacino del Mediterraneo sono caratterizzati da forti divari in termini di crescita demografica, di condizioni socio-economiche e di disponibilità di risorse naturali che rallentano il processo di coesione euro-mediterranea e creano una situazione

Page 242: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

242 Desirée A.L. Quagliarotti

di debolezza strutturale che li rende estremamente vulnerabili in situazioni di crisi.

Negli ultimi anni l’area mediterranea è stata caratterizzata da profonde trasformazioni che a una prima analisi non sembrano tra loro correlate. La tempesta rivoluzionaria denominata «pri-mavera araba» che ha interessato i regimi del Medio Oriente e del Nord Africa a partire dal 2010, ha inaugurato una fase di forte instabilità politica nella regione. L’origine delle rivolte scoppiate in Tunisia e in Egitto prima, in Libia poi, e infine nello Yemen, in Bahrain e in Siria, è legata all’effetto di cause diverse dove solo alcuni degli elementi catalizzatori, come la povertà, il livello di sottosviluppo e la relativa assenza di demo-crazia, hanno assunto il ruolo di variabili comuni. Ognuna di queste crisi ha avuto non solo una genesi autonoma e distinta, ma anche una dinamica diversa all’interno delle singole realtà socio-economiche1. Nonostante i fattori di eterogeneità che si sono manifestati a livello di singolo paese, è possibile affermare che, complessivamente, la «primavera araba» è riuscita solo in parte a rimuovere i regimi che da decenni dominavano politica-mente le economie arabe. Nella regione, infatti, non sono stati eliminati totalmente i presupposti dell’infelicità araba che hanno alimentato il malcontento, decretando il fallimento dei progetti politici e sociali che avrebbero dovuto favorire la transizione verso una maggiore democrazia e porre le basi per un reale pro-cesso di sviluppo locale2. Le sollevazioni popolari hanno avuto forti ripercussioni sulle economie dei paesi arabi e le risposte elaborate dai nuovi governi per arginare il deterioramento della situazione socio-economica si sono rilevate inefficaci per la loro sostanziale similarità con le politiche del passato. L’incertezza che ha accompagnato la fase di transizione e la persistenza dello stato di insicurezza e instabilità, hanno ostacolato la ripresa dei settori economici chiave, come quello degli investimenti esteri e del turismo e hanno creato i presupposti per la diffusione del terrorismo di matrice islamica.

Parallelamente, una profonda crisi economico-finanziaria ha colpito i paesi della riva Nord del Mediterraneo, come Grecia e Portogallo e, in misura minore, Spagna e Italia. La crisi dell’eu-

1 Quagliarotti, L’ambiente. Il turismo nel bacino del Mediterraneo.2 Pedde, La primavera araba e la crisi libica.

Page 243: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 243

rozona e dei debiti sovrani in diversi Stati europei ha messo in discussione non solo la moneta unica, ma l’idea stessa di Unione europea e le politiche comunitarie, amplificando gli squilibri ma-croeconomici tra i paesi cosiddetti «centrali», come la Germania e altri Stati membri del Nord Europa, e i paesi «periferici», come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia3. Le misure imposte dal Fon-do monetario internazionale, dall’Unione europea e dalla Banca centrale europea sono state in grado di scongiurare il rischio di default, ma le azioni intraprese per contenere la spesa pubblica e aumentare l’imposizione fiscale hanno contribuito ad alimentare la fase di recessione e il tasso disoccupazione che potrebbero perpetuarsi fino a quando non saranno risolti i problemi di fondo e gli squilibri di lungo periodo dell’economia globale.

La precarietà in cui versano i paesi europei a causa della gravità dei problemi finanziari e sociali, è acuita dal forte incremento delle migrazioni provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa che sta interessando soprattutto l’Italia e la Grecia e, in misura leggermente minore la Spagna, Malta e Cipro. Questi nuovi flussi migratori sono incoraggiati non solo dai tradizionali fattori di spinta rappresentati dalla necessità di migliorare le proprie con-dizioni economiche, ma anche da motivazioni politiche a cui si associano sempre più spesso elementi legati al deterioramento del quadro climatico e ambientale che contribuiscono ad accrescere la componente migratoria rappresentata dai profughi ambientali.

In un contesto come quello della riva Sud-orientale del Medi-terraneo, caratterizzato dalla scarsità di risorse fondamentali per lo sviluppo umano, come acqua e terra coltivabile, e da una forte pressione antropica sui sistemi naturali, il cambiamento climatico assume il ruolo di variabile determinante nell’amplificare il mal-contento sociale e nell’incrementare il livello di instabilità interna che rischia di ripercuotersi su tutti i paesi dell’area.

2. L’impatto del cambiamento climatico nei paesi mediterranei

Il quadro ambientale che caratterizza i paesi mediterranei è il risultato di un sistema complesso di cause ed effetti all’interno del quale la pressione antropica svolge un ruolo determinante

3 Talbot, Europa e Mediterraneo oltre la crisi.

Page 244: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

244 Desirée A.L. Quagliarotti

nell’aumentare l’esposizione dell’area agli effetti del surriscalda-mento globale. Il cambiamento climatico rappresenta non solo un ulteriore fattore di rischio ma un moltiplicatore di minacce i cui effetti potrebbero manifestarsi in misura maggiore nei paesi della riva Sud-orientale del bacino che associano a una maggio-re vulnerabilità, una bassa capacità di risposta e adattamento al surriscaldamento globale4. Il Centro Euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc), attraverso modelli di proiezioni climatiche al 2050, ha confermato per la regione mediterranea i trend di cambiamento climatico ipotizzati dall’ultimo rapporto dell’Ipcc, disegnando uno scenario caratterizzato da un incre-mento medio della temperatura intorno ai 2 °C, un aumento del livello del mare dai 6 ai 12 centimetri, una riduzione delle precipitazioni compresa tra il 5 e il 10 per cento, una maggiore frequenza e intensità degli eventi estremi e un aumento delle tempeste di sabbia legate all’incremento del tasso di aridità e delle forme di degrado del suolo di origine antropica5.

I paesi mediterranei presentano una forte sperequazione in termini di dotazione delle risorse idriche che penalizza soprat-tutto i paesi della riva Sud ed Est (Psem), all’interno dei quali, ai vincoli geomorfologici e climatici si associa un utilizzo non sostenibile della risorsa. Questi fattori, naturali e antropici, amplificano lo squilibrio tra domanda ed offerta di acqua, ali-mentando un deficit strutturale che ha portato nel corso degli anni ad una vera e propria crisi idrica. Secondo le stime della Fao, ad eccezione della Turchia e del Libano, i Psem presentano una disponibilità idrica pro capite al di sotto dei mille metri cubi pro capite, considerata la soglia minima necessaria a soddisfare le esigenze idriche dei diversi settori produttivi e del consumo domestico (fig. 1).

4 Ferragina, Quagliarotti, Gli effetti delle dinamiche globali sui paesi me-diterranei.

5 Navarra, Il bacino Mediterraneo e le frontiere del clima; Ipcc, Climate Change 2013: The Physical Science Basis. Diversi studi sono giunti a previsioni maggiormente pessimistiche rispetto a quelle individuate dall’Ipcc, soprattutto in riferimento all’innalzamento del livello del mare che potrebbe essere compreso tra l’1 e i 5 m con conseguenze disastrose per i Psem non tanto in termini di estensione del territorio interessato dalla sommersione, ma soprattutto in termini di percentuale di popolazione colpita, di diminuzione del Pil, di distruzione di centri urbani, aree coltivabili e zone umide (Quagliarotti, L’ambiente. Il turismo nel bacino del Mediterraneo ).

Page 245: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 245

Fig. 1. Disponibilità idrica pro capite nei paesi mediterranei (m3).

Fonte: Elaborazione su dati World Bank, World Development Indicators, 2015.

Fig. 2. Tassi di sfruttamento delle risorse idriche rinnovabili nei paesi mediterranei (%).

Fonte: Elaborazioni dati Fao, Aquastat, 2015.

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

9000P

orto

gallo

Spag

na

Fra

ncia

Ital

ia

Gre

cia

Slov

enia

Cro

azia

Bos

nia-

Erz

egov

ina

Serb

ia

Cip

ro

Mal

ta

Alb

ania

Mac

edon

ia

Tur

chia

Siri

a

Lib

ano

Isra

ele

Ter

rito

ri p

ales

tines

i

Gio

rdan

ia

Egi

tto

Lib

ia

Tun

isia

Alg

eria

Mar

occo

1

1

3

3

4

11

14

15

16

18

19

24

24

36

49

49

61

67

80

84

92

98

615

0 100 200 300 400 500 600 700

Croazia

Bosnia-Erzegovina

Serbia

Slovenia

Albania

Portogallo

Grecia

Francia

Macedonia

Cipro

Turchia

Italia

Libano

Marocco

Territori Palestinesi

Algeria

Tunisia

Malta

Israele

Siria

Giordania

Egitto

Libia

Page 246: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

246 Desirée A.L. Quagliarotti

Inoltre, l’utilizzo delle fonti idriche non rinnovabili (acque fossili) e i prelievi eccessivi, superiori al tasso di rigenerazione naturale delle risorse idriche rinnovabili, determinano indici di sfruttamento molto vicini o superiori al 100 per cento (fig. 2).

Al deficit quantitativo che caratterizza soprattutto la riva Sud-orientale, si associa il degrado qualitativo che accomuna tutti i paesi mediterranei. I prelievi eccessivi di acqua e l’uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi in agricoltura contribuiscono ad incrementare il tasso di salinità e il livello di inquinamento delle risorse idriche. Inoltre, la cattiva manutenzione dei sistemi fognari e degli impianti per il trattamento delle acque reflue provoca la contaminazione delle fonti superficiali e sotterranee6.

Il surriscaldamento globale acuisce i fenomeni di scarsità e di degrado qualitativo delle risorse idriche. L’incremento della temperatura media globale, le variazioni di regime delle precipi-tazioni e l’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi climatici estremi, sono tutti fattori che potrebbero provocare una diminuzione delle acque superficiali e delle acque sotterranee compresa tra il 10 e il 30 per cento7. Dal punto di vista qualita-tivo, si prevede che le modificazioni nella portata dei fiumi alte-reranno la concentrazione di carichi inquinanti legati al mancato trattamento delle acque reflue, mentre l’innalzamento del livello del mare contribuirà ad aumentare l’intrusione di acqua marina nelle falde acquifere costiere rendendo l’acqua inutilizzabile per scopi agricoli e potabili.

La pressione antropica determinata dalla crescita economica e dall’aumento della popolazione, incide sulle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del suolo. Pratiche agricole non sostenibili, l’eccessiva concentrazione delle infrastrutture e del-le attività economiche nelle aree più produttive e le variazioni d’uso del suolo sono tutti fattori che, seppur in misura diversa tra le due rive del bacino, possono innescare gravi processi di degrado che limitano le funzioni ecologiche del suolo8. Nei pa-esi europei mediterranei, i fenomeni di degrado del suolo sono provocati principalmente dall’abbandono delle pratiche agricole

6 Ferragina, Quagliarotti, Gli effetti delle dinamiche globali sui paesi me-diterranei.

7 Ipcc, Climate Change 2013.8 Fao, The Status of the World’s Soil Resources.

Page 247: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 247

tradizionali e dalla scarsa manutenzione dei versanti montani e degli argini dei fiumi a causa dello spopolamento delle aree rurali marginali. La riduzione del presidio umano sul territorio in un contesto climatico caratterizzato da un aumento dell’in-tensità e della frequenza degli eventi climatici estremi, aumenta l’esposizione dei paesi al rischio idrogeologico, con enormi danni in termini di costi umani ed economici. Nei Psem i fenomeni di degrado del suolo sono essenzialmente legati alla pressione demografica. Tassi di crescita della popolazione ancora elevati, associati alla scarsità di terra fertile, provocano una riduzione della superficie agricola pro capite, favorendo il disboscamento, la messa a coltura di aree marginali, l’intensificazione dell’agri-coltura e dell’allevamento. L’eccessivo sfruttamento di terreni strutturalmente fragili e privi di un’adeguata copertura vegetale amplifica gli effetti dell’erosione idrica ed eolica determinando la riduzione del potenziale biologico del terreno e l’accelerazione del processo di desertificazione9.

Nel bacino del Mediterraneo, le zone costiere sono partico-larmente vulnerabili all’impatto del cambiamento climatico a causa del fenomeno dell’innalzamento del livello del mare che potrebbe interessare vaste aree dove risiede un’elevata percen-tuale di popolazione urbana e dove si concentrano le principali attività produttive. Secondo le stime, a subire le maggiori perdite in termini di Pil (6-16 per cento), di popolazione colpita (10-20 per cento), di aree urbane (6-12 per cento) e agricole (15-35 per cento) sarà l’Egitto a causa della sommersione del Delta del Nilo10. La Tunisia si presenta come il paese della riva Sud-orientale ad avere la percentuale maggiore di territorio a rischio di inondazione mentre in Libia sono le zone umide le aree più a rischio, seguite dalle città costiere (tab. 1)11.

Da quanto emerge da un rapporto elaborato dall’Arab Forum for Environment and Development (Afed), le variazioni indotte dal surriscaldamento globale influiranno in maniera significativa anche sulla diversità biologica. Se non si riuscirà a ridurre le emis-

9 Ferragina, Quagliarotti, Gli effetti delle dinamiche globali sui paesi me-diterranei.

10 Nel Delta del Nilo si concentra il 60 per cento della produzione agricola e il 50 per cento delle attività industriali e produttive del paese (Sadik, El-Solh, Saab, Arab Environment).

11 Dasgupta et al., The Impact of Sea Level Rise.

Page 248: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

248 Desirée A.L. Quagliarotti

sioni di gas serra, la resilienza di molti ecosistemi mediterranei, ovvero la loro capacità di adattarsi a uno stress, sarà fortemente compromessa dai fenomeni associati al cambiamento climatico (siccità, incendi, acidificazione degli oceani, diffusione di specie invasive, ecc.) e all’intervento umano (cambiamenti d’uso del suolo, inquinamento ed eccessivo sfruttamento delle risorse naturali). Di conseguenza, molte specie animali e vegetali, già a rischio di estinzione, potrebbero scomparire (tab. 2)12.

Dal punto di vista strettamente economico, il surriscaldamento globale penalizzerà soprattutto i settori che sono maggiormente dipendenti dalle variabili climatiche, cioè l’agricoltura e il turi-smo. Le variazioni dei regimi termici e pluviometrici e gli eventi climatici estremi avranno un impatto negativo sui raccolti che

12 Sadik, El-Solh, Saab, Arab Environment.

Tab. 1. Impatto dell’innalzamento del mare in alcuni paesi mediterranei (%)

Paesi Territorio Popolazione Pil Areaagricola

Areaurbana

Zoneumide

Egitto 1-1,5 10-20 6-16 15-35 6-12 10-11Libia 0,25-0,50 2,5-7 1,5-3 1,0 6-10 10-20Tunisia 1-2 5-10 3-7 1-1,5 4,5-10 10-11Algeria 0-0,2 0-1,5 0,2-0,4 1,0 0,5-1 1-2Marocco 0-0,2 2,2,5 0,5-1 1,0 1-2 2,5-5

Fonte: Elaborazioni su dati Dasgupta et al., The Impact of Sea Level Rise on Developing Countries.

Tab. 2. Specie a rischio di estinzione nei paesi Mena

Paesi Specie vegetali Specie animaliAlgeria 3 72Egitto 2 108Giordania 0 89Libano 0 40Libia 1 35Marocco 2 80Siria 0 68Tunisia 0 54

Fonte: Elaborazioni su dati Sadik, El-Solh, Saab, Arab Environment.

Page 249: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 249

potrà essere solo in parte compensato dalle maggiori concentra-zioni di CO2 attraverso il cosiddetto «effetto di fertilizzazione da carbonio». Le perdite maggiori si manifesteranno nei Psem che potrebbero registrare, entro la fine del secolo, una diminuzione della produzione agricola fino al 50 per cento qualora non si dovessero adottare efficaci strategie di adattamento in grado di mitigare gli effetti13. La bassa produttività agricola deteriorerà il livello di autosufficienza alimentare amplificando il divario tra domanda e offerta interna di cibo. Ciò aumenterà la dipendenza dalle importazioni di prodotti agroalimentari, rendendo i Psem estremamente vulnerabili all’instabilità dei mercati internazionali delle derrate agricole.

Per quanto riguarda il settore turistico, gli scenari prevedono che gli incrementi di temperatura potrebbero condizionare la domanda turistica facendo registrare un calo delle presenze nei mesi estivi soprattutto in Spagna e nei paesi del Nord Africa, fenomeno che potrebbe essere solo in parte compensato da un incremento dei flussi negli altri periodi dell’anno14.

L’effetto congiunto derivante dall’intreccio tra vincoli ambien-tali, divari economici, instabilità politica e crisi climatica impone ai paesi mediterranei la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile di lungo periodo. La green economy rappresenta l’unica risposta antropica in grado di coniugare efficienza economica ed equità sociale sotto il vincolo della tutela ambientale.

3. La transizione dei paesi mediterranei verso un modello di green economy

La green economy viene considerata un nuovo modello economico che non solo considera i limiti del pianeta, ma li riconosce come confini invalicabili all’interno dei quali deve muoversi una nuova traiettoria di sviluppo basata sull’uso so-stenibile delle risorse, sulla riduzione degli impatti ambientali e sulla promozione della coesione economica, sociale e terri-toriale. Da questa definizione emerge che requisito essenziale della green economy è la capacità di garantire il benessere della

13 Fao, Climate Change and Food Security.14 Quagliarotti, L’ambiente. Il turismo nel bacino del Mediterraneo.

Page 250: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

250 Desirée A.L. Quagliarotti

popolazione rimanendo all’interno delle capacità ecologiche dei propri territori15.

È possibile valutare il livello relativo di sostenibilità dei paesi mediterranei attraverso l’analisi di due indicatori: l’impronta ecologica come misura della pressione umana sulla biosfera e l’indice di sviluppo umano come misura del benessere16. Dalla tabella emerge che attualmente nessun paese mediterraneo sod-disfa entrambi questi criteri. Tutti i paesi vivono oltre i limiti di «un solo pianeta», ma mentre i paesi della riva Nord hanno raggiunto livelli elevati di sviluppo a scapito del loro capitale naturale e della loro qualità ambientale, i paesi della riva Sud-orientale, pur presentando un’impronta ecologica relativamente più bassa, mostrano livelli di benessere inferiori (tab. 3).

Se scomponiamo l’impronta ecologica in due parti, quella re-lativa all’impronta di carbonio e quella non derivata dall’energia, si rileva che mentre nei paesi europei mediterranei il maggior contributo in termini di impronta ecologica è rappresentato dalle emissioni di carbonio derivanti dall’uso di combustibili fossili, nei Psem la componente principale è legata all’utilizzo umano della terra fisica. La sfida per i paesi della riva Nord è, quindi, di cercare di contenere l’impronta ecologica, riducendo soprattutto l’utilizzo di combustibili fossili, senza compromettere il benessere delle popolazioni, mentre quella dei Psem è di migliorare le con-dizioni di vita delle popolazioni senza aumentare ulteriormente la propria pressione sulle risorse naturali.

Da ciò deriva che alla base dell’idea di green economy deve esserci il concetto di decoupling, ovvero del disaccoppiamento tra crescita economica e pressione sulle risorse affinché l’attività economica e i modelli di consumo non superino i limiti ecologici determinati dalla capacità naturale di autorigenerazione delle risorse naturali e di resilienza degli ecosistemi. Il passaggio verso la green economy nei paesi mediterranei impone, quindi,

15 Morabito, Verso la Green Economy.16 Per mantenere un livello di consumo delle risorse naturali inferiore alla

capacità della Terra di rigenerale (biocapacità) e, allo stesso tempo, garantire uno standard di vita dignitoso l’impronta ecologica pro capite non dovrebbe superare i 1,7 ha pro capite, considerata la soglia massima per evitare l’over-shoot globale, ossia al sorpasso tra utilizzo e disponibilità di risorse, mentre l’indice di sviluppo umano non deve essere inferiore a 0,71, considerato un valore medio in termini di benessere.

Page 251: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 251

una profonda trasformazione dell’attuale modello di crescita e la necessità di agire non solo sulla dinamica del progresso tec-nologico allo scopo di incrementare l’efficienza nell’uso delle risorse, ma anche sulla domanda e sui consumi di beni. L’Unep ha elaborato una road-map molto dettagliata relativa alle azioni da intraprendere per realizzare un modello di sviluppo basato sull’economia verde. In particolare, il rapporto individua gli

Tab. 3. Indice di sviluppo umano e impronta ecologica nei paesi mediterranei

Paesi

Indi

ce d

isv

ilupp

o um

ano

Impr

onta

di c

arbo

nio

(ha/

pro

capi

te)

Impr

onta

non

di c

arbo

nio

(ha/

pro

capi

te

Impr

onta

ecol

ogic

a to

tale

(ha/

pro

capi

te)

Bio

capa

cità

(ha/

pro

capi

te)

Portogallo 0,82 1,84 2,68 4,52 1,31Spagna 0,88 1,83 2,22 4,05 1,44Francia 0,89 2,10 2,56 4,66 2,96Italia 0,88 2,26 2,26 4,52 1,04Slovenia 0,89 2,82 1,77 4,59 2,30Croazia 0,80 1,60 1,64 3,24 2,74Bosnia-Erzegovina 0,73 1,08 1,46 2,53 1,70Serbia 0,79 1,24 1,93 3,17 2,61Albania 0,75 0,61 1,18 1,79 1,15Macedonia 0,74 1,61 1,36 2,96 1,61Grecia 0,87 2,10 2,32 4,41 1,41Turchia 0,72 1,18 1,38 2,56 1,54Siria 0,65 0,73 0,90 1,63 0,59Libano 0,74 1,61 1,73 3,34 0,34Israele 0,90 2,49 1,77 4,26 0,26Territori palestinesi 0,66 0,26 0,25 0,52 0,09Giordania 0,70 0,70 1,23 1,93 0,26Egitto 0,66 0,65 1,15 1,79 0,54Libia 0,77 1,74 1,53 3,27 0,65Tunisia 0,71 0,68 1,15 1,83 0,76Algeria 0,71 0,65 1,11 1,76 0,57Marocco 0,59 0,38 1,10 1,48 0,83

Fonte: Elaborazione su dati Global Footprint Network, How Can Mediterranean Societies Thrive in an Era of Decreasing Resources?

Page 252: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

252 Desirée A.L. Quagliarotti

investimenti necessari volti all’approvvigionamento e all’utiliz-zo sostenibile del capitale naturale e delle fonti energetiche da realizzare nei sistemi naturali e in tutti i settori della produzione di beni e servizi (foreste, risorse idriche, agricoltura, pesca, fonti rinnovabili, industria, produzione di rifiuti, edilizia, trasporti, turismo e città)17.

Prendendo come punto di riferimento i key findings dell’Unep, è possibile individuare i vincoli e le potenzialità che caratteriz-zano i paesi delle due rive del bacino del Mediterraneo nella transizione verso un modello di sviluppo basato sui principi della green economy, attraverso l’Indice di sostenibilità ambientale. Si tratta di un indice composito elaborato dalla Yale University e dalla Columbia University in collaborazione con il Forum economico mondiale, costruito attraverso il calcolo e l’aggre-gazione di 20 indicatori raggruppati in due macro-aree: quella relativa alla salute dell’essere umano che considera l’impatto ambientale delle malattie e dell’inquinamento dell’aria, l’accesso alle risorse idriche e ai servizi sanitari; e quella della protezione dell’ecosistema che include il cambiamento climatico (emissione di CO2), l’agricoltura (utilizzo di pesticidi, intensità dell’utilizzo di risorse idriche), la pesca (livello trofico marino, intensità del pescaggio mediante rete a strascico), la selvicoltura (quantità di crescita delle foreste), la biodiversità (protezione di flora e fauna), le acque (indice della qualità dell’acqua, indice della scarsità dell’acqua) e l’inquinamento dell’aria (emissioni di gas serra)18. Dalla classifica relativa a 180 paesi analizzati, si rileva che i paesi della riva Nord occupano le prime 30 posizioni, con Spagna (6), Portogallo (7), Malta (9) e Francia (10) che, grazie soprattutto alla gestione sostenibile delle risorse idriche, all’accesso all’acqua e ai servizi sanitari e alla tutela della biodiversità, mostrano le migliori performances (tab. 4).

L’Italia nell’ultimo anno è passata dal 22° al 29° posto, for-temente penalizzata dalla qualità dell’aria e dall’insostenibilità della pesca. I paesi della riva Sud-orientale si posizionano a livelli inferiori rispetto ai paesi europei, con Israele che guida la classifica alla 49° posizione. Nonostante il paese abbia raggiunto notevoli progressi in termini di accesso alle risorse idriche e di

17 Unep, A Guidance Manual for Green Economy Policy Assessment.18 Hsu, et al., Environmental Performance Index.

Page 253: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 253

livello di sanità, mostra ancora una forte debolezza in riferimento alla salute pubblica e al modello di agricoltura che fa un largo uso di pesticidi e fertilizzanti chimici. Seguono la Tunisia (53), il Marocco (64), la Giordania (74), l’Algeria (83) e la Libia (119), mentre la Bosnia (121) occupa l’ultimo posto nella classifica tra i paesi mediterranei a causa della scarsa attenzione riguardo alla tutela della biodiversità e all’inefficienza del sistema idrico. Dall’analisi dei dati emerge, quindi, che mentre i paesi europei mediterranei si stanno muovendo verso un modello di sviluppo maggiormente improntato sui principi di tutela ambientale come prerequisito indispensabile per il benessere dei sistemi sociali e la salute degli ecosistemi, nei Psem la transizione verso la sostenibi-

Tab. 4. Classificazione dei paesi mediterranei in base all’Indice di sostenibilità ambientale

Rango Paese Esi5 Slovenia 88,986 Spagna 88,917 Portogallo 88,639 Malta 88,48

10 Francia 88,2015 Croazia 86,9821 Grecia 85,8129 Italia 84,4840 Cipro 80,2447 Montenegro 78,8948 Serbia 78,6749 Israele 78,1450 Macedonia 78,0253 Tunisia 77,2861 Albania 74,3864 Marocco 74,1874 Giordania 72,2483 Algeria 70,2894 Libano 69,1499 Turchia 67,68

101 Siria 66,91104 Egitto 66,45119 Libia 63,29121 Bosnia Erzegovina 63,28

Fonte: Hsu et al., Environmental Performance Index.

Page 254: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

254 Desirée A.L. Quagliarotti

lità stenta ancora a decollare, nonostante il degrado ambientale, la pressione sulle risorse naturali e gli effetti del cambiamento climatico assumano sempre più il ruolo di fattori in grado di ostacolare lo sviluppo e la qualità della vita delle popolazioni.

4. Il ruolo della green economy nella sfida al cambiamento climatico

L’estrema vulnerabilità dei Psem all’impatto del cambiamento climatico, il significativo contributo da parte dei paesi della riva Nord in termini di emissioni di gas serra e l’obiettivo concordato nell’ambito della Cop 21 di contenere l’aumento della tempera-tura del pianeta al di sotto dei 2°C, impongono che i maggiori sforzi della green economy nei paesi mediterranei debbano essere concentrati soprattutto nella mitigazione e nell’adattamento agli impatti del surriscaldamento globale. Le strategie di mitigazione mirano a limitare la concentrazione di gas serra nell’atmosfera attraverso una riduzione delle emissioni (sviluppo di fonti energe-tiche rinnovabili, incremento dell’efficienza energetica, riduzione del trasporto su gomma) e un maggiore assorbimento (aumento delle aree boschive e forestali). Ma secondo gli esperti, l’attuazione di tali strategie potrà contenere il riscaldamento globale ma non potrà arrestarlo nel corso di questo secolo a causa della forte inerzia che caratterizza il sistema climatico. Questo impone l’adozione di misure di adattamento in grado di ridurre al minimo gli impatti negativi attesi sia sugli ecosistemi, sia sui sistemi sociali.

Il principale settore in cui è possibile valorizzare il potenziale sinergico e la complementarietà tra mitigazione e adattamento è sicuramente quello energetico. Gli usi energetici sono strettamente collegati alla questione delle emissioni di gas climalteranti dal momento che circa due terzi delle emissioni umane di anidride carbonica sono dovute ai processi di produzione e consumo di energia. Di conseguenza ogni misura orientata al contenimento delle emissioni ha un impatto sulle modalità di produzione e consumo dell’energia19. Inoltre la forte interdipendenza tra cibo, acqua ed energia implica che l’uso sostenibile e sinergico delle risorse idriche ed energetiche contribuisca ad incrementare la

19 Verda, Energia e geopolitica.

Page 255: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 255

sicurezza idrica ed alimentare nei paesi mediterranei maggior-mente caratterizzati da scarsità di acqua.

Nei paesi della riva Nord, lo sviluppo del mercato delle energie rinnovabili è cresciuto rapidamente negli ultimi anni. Questa espansione è strettamente correlata al varo della Direttiva 2009/28/CE nella quale sono stati definiti di obiettivi di energia rinnovabile obbligatori a livello di singolo paese per raggiungere, entro il 2020, una quota del 20 per cento di energie rinnovabili nel consumo finale di energia e di una quota del 10 per cento di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti. La direttiva europea sulle energie rinnovabili mira, da un lato, a incrementare la produzione di energia allo scopo di diminuire la dipendenza energetica da paesi politicamente instabili e, dall’altro, a ridurre le emissioni di gas serra legate all’uso di combustibili fossili. Da quanto emerge dai dati Eurostat, nel 2013 la quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo finale di energia ha raggiunto il 15 per cento nell’Unione europea rispetto all’8,3 per cento nel 2004, mentre la produzione di energia elettrica da fonti rin-novabili è aumentata dell’11 per cento rispetto al 201220. Tra il 1990 e il 2012, la produzione totale di energia elettrica da fonti rinnovabili è aumentata del 177 per cento. Il calo della domanda di combustibili fossili ha contribuito a ridurre nel 2013 le emis-sioni di CO2 di 388 milioni di tonnellate. Secondo un rapporto elaborato dalla Commissione europea, gli obiettivi 2020 hanno favorito gli investimenti europei nell’ambito delle energie rin-novabili, soprattutto in riferimento al settore eolico e solare21. Se in passato l’energia idroelettrica rappresentava la principale fonte rinnovabile, il trend attuale mostra la forte espansione della produzione di energia elettrica proveniente dall’eolico e dal so-lare che costituiscono rispettivamente la seconda e la terza fonte rinnovabile nella produzione totale di energia, avendo superato il legno e le altre biomasse solide22.

Nuovi stimoli al contenimento delle emissioni di gas serra sono emersi in occasione dell’Accordo di Parigi dove, per la prima volta nella storia del negoziato, è stato stabilito a livello internazionale un obiettivo di contenimento dell’incremento della temperatu-

20 Eurostat, Eurostat Yearbook 2015.21 European Commission, Renewable Energy Progress Report.22 Eurostat, Eurostat Yearbook 2015.

Page 256: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

256 Desirée A.L. Quagliarotti

ra media mondiale entro i 2°C. Facendo seguito all’approccio bottom-up della Cop21, i paesi hanno stabilito i propri obiettivi di mitigazione (i cosiddetti pledges) già prima della conferenza e l’Unione europea ha adottato vincoli più stringenti al 2030: una riduzione delle emissioni del 40 per cento rispetto al 1990 e una quota delle rinnovabili pari al 27 per cento23.

Mentre nei paesi europei la low carbon transition viene considerata come un’efficace strategia di mitigazione grazie all’abbattimento delle emissioni di gas serra determinato da un minor consumo di combustibili fossili, nell’area Sud-orientale il passaggio a fonti energetiche alternative rappresenta soprat-tutto uno strumento per incrementare l’adattamento agli effetti del cambiamento climatico che minacciano la sicurezza idrica e alimentare di questi paesi. Il contributo relativo all’espansione dell’energia rinnovabile è strettamente correlata, infatti, alla forte interdipendenza esistente in questi paesi tra acqua, cibo ed energia. In un’area caratterizzata da scarse precipitazioni e da vaste zone aride e desertiche, il duplice obiettivo di soddisfare la domanda idrica e alimentare di una popolazione in continua crescita è stato realizzato in passato attraverso la costruzione di grandi infrastrutture idrauliche in grado valorizzare le fonti idriche di superficie e lo sviluppo di sistemi di pompaggio per sfruttare le acque sotterranee. Questo modello di sviluppo ha contribuito non solo al deterioramento quali-quantitativo delle risorse idriche ma ha anche determinato un largo impiego di energia fossile per attingere all’acqua di falda situata a grandi profondità.

Secondo le stime della World Bank, a causa dell’aumento della popolazione e dell’impatto del cambiamento climatico, la disponibilità idrica nella regione Mena potrebbe diminuire del 40 per cento entro il 2050 portando il deficit idrico dagli attuali 42 km3 ai 200 km3 annui (tab. 5).

Nei Psem, quindi, il ricorso alle fonti di energia rinnovabile rappresenta l’alternativa più efficace non solo per incrementare l’offerta energetica di quei paesi che non dispongono di giacimenti di origine fossile, ma anche per favorire la resilienza di quei sistemi che, a causa della scarsità di risorse considerate strategiche per la sopravvivenza umana – acqua e cibo –, sono maggiormente esposti all’impatto del cambiamento climatico. La maggiore

23 Nicolazzi, Rossetto, L’età dell’abbondanza.

Page 257: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 257

disponibilità energetica preveniente da fonti rinnovabili, infatti, può essere utilizzata per incrementare l’offerta di fonti idriche non convenzionali, come l’acqua dissalata la cui produzione allo stato attuale è penalizzata da elevati costi in termini economici e ambientali legati soprattutto notevole quantità di energia fossile utilizzata per alimentare il processo di osmosi inversa. Come emerge dalla tabella, attualmente il costo medio per produrre acqua dissalata è di circa 1,3 $ al m3, ma è destinato raddoppiare nel 2050 a causa del progressivo esaurimento delle risorse ener-getiche convenzionali economicamente più vantaggiose (tab. 6).

Inoltre, le emissioni di CO2 equivalente legate all’utilizzo di combustibili fossili per la dissalazione sono comprese tra i 270 e i 360 milioni di tonnellate. Di conseguenza, un sistema integrato di produzione di energia rinnovabile e acqua dissalata porterebbe dei vantaggi non solo dal punto di vista socio-economico ma anche ambientale.

I paesi Mena presentano forti potenzialità di sviluppo nelle rinnovabili, soprattutto nel settore solare grazie alla presenza di vaste zone aride o desertiche con una densità di radiazione solare compresa tra i 1.300 kwh/m2 e i 2.500 kwh/m2 all’anno. Come emerge dai dati della World Bank e da un rapporto elaborato dall’Agenzia internazionale dell’energia rinnovabile (Irena), nonostante l’offerta energetica dell’area Mena sia rappresentata

Tab. 5. Domanda ed offerta idrica nell’area Mena, 2000-2050 (Km3/annui)

2000-09 2020-30 2040-50Offerta totale 219 200 194Acqua superficiale 171 153 153Acqua sotterranea 48 47 41Totale domanda 261 319 393Usi irrigui 213 237 265Usi civili 28 50 88Usi industriali 20 32 40Gap idrico totale 42 119 199Usi irrigui 36 91 136Usi civili 4 16 43Usi industriali 3 12 20

Fonte: World Bank, Renewable Energy Desalination. An Emerging Solution to Close the Gap in the Middle East and North Africa.

Page 258: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

258 Desirée A.L. Quagliarotti

soprattutto da fonti energetiche di origine fossili, il mercato delle rinnovabili è caratterizzato da una forte espansione e dinamicità con tassi di incremento annui pari al 33 per cento (tab. 7 e fig. 3).

Passando all’analisi dei dati a livello nazionale, si rileva che il Psem che presenta la migliore performance in termini di capacità installa è l’Egitto (3.385 Mw), seguito dal Marocco (2.071) e dalla Siria (1.152) (tab. 8).

Per quanto riguarda lo sviluppo di progetti che mirano a valorizzare il nesso acqua, cibo ed energia, grandi opportunità emergono, oltre che dai paesi del Golfo, dai paesi del Nord Africa. Allo scopo di incrementare la disponibilità idrica nelle aree desertiche, nel 2012 la Tunisia ha inaugurato un impianto per dissalare l’acqua delle falde acquifere nella regione del Ben

Tab. 6. Costo totale dell’acqua dissalata nell’area Mena ($/m3)

Fonte idrica utilizzata CostoMar Mediterraneo 1,36-1,59Mar Rosso 1,28-1,43Golfo Persico 1,21-1,34

Fonte: World Bank, Renewable Energy Desalination. An Emerging Solution to Close the Gap in the Middle East and North Africa.

Tab. 7. Produzione di energia, capacità e emissioni di CO2 nell’area Mena, 2010

Fonte energetica Produzione(TWh)

Capacità installata(GW)

Emissioni di CO2(milioni di tonnellate)

Gas naturale 781,6 236 1291Petrolio 259,8 668Idroelettrico 28,3 12,6 2Carbone 46 9,7 135Eolico 12,1 5,3 0Biomassa 9,3 2,7 2Fotovoltaico 5,8 3,6 3Geotermico 2,3 0,3 0Solare termico 0,4 0,2 0Nucleare 0 0 0Totale 1146 271 2101

Fonte: World Bank, Renewable Energy Desalination. An Emerging Solution to Close the Gap in the Middle East and North Africa.

Page 259: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 259

Fig. 3. Tasso di crescita annua della produzione di energia da fonti rinnovabili nell’area Mena, 2008-2011.

Fonte: Elaborazioni su dati Irena, Mena Renewables Status Report 2013.

Tab. 8. Potenza installata da fonti rinnovabili nei Psem (Mw)

Paesi

Fot

ovol

taic

o

Sola

rete

rmic

o

Eol

ico

Bio

mas

sa

Geo

term

ico

Idro

elet

tric

o

Tota

le

Siria 0,84 0 0 0 0 1151 1151,84Libano 1 0 0,5 0 0 282 283,5Territori palestinesi 1 0 0 0 1023 0 1023Giordania 1,6 0 1,4 3,5 0 10 16,5Israele 269 0 6 27 0 7 309Egitto 15 20 550 0 0 2800 3385Libia 4,8 0 0 0 0 0 4,8Tunisia 4 0 154 0 0 66 224Algeria 7,1 25 0 0 0 228 260,1Marocco 15 20 291 0 0 1745 2071Totale 319,34 65 1002,9 30,5 1023 6289 8728,74

Fonte: Elaborazioni su dati Irena, Mena Renewables Status Report 2013.

27%

112%

25%

9%

33%

6%

0%

20%

40%

60%

80%

100%

120%

Eolico Fotovoltaico Biomassa Idroelettrico T Fonti fossiliTotalerinnovabili

(escluso idroelettrico)

Page 260: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

260 Desirée A.L. Quagliarotti

Guardane situata nella provincia di Medenine nel Sud-Est del paese per fornire alla popolazione locale circa 1,8 milioni di litri di acqua potabile al giorno. Il processo di dissalazione sarà alimentato dalla seconda più grande centrale solare del paese, con una potenza di 210 kw. Da poco il Marocco ha inaugurato la prima fase del piano solare Noor-Ouarzazate che prevede di incre-mentare la quota di energia rinnovabile del paese all’interno del mix elettrico nazionale al 42 per cento nel 2020 e al 52 per cento nel 2030. Obiettivo del progetto è di utilizzare l’energia prodotta per produrre acqua dissalata e soddisfare la crescente domanda energetica ed idrica del settore domestico, turistico e agricolo. Anche l’Egitto si è lanciato nella gestione integrata acqua-energia attraverso la realizzazione il progetto Mats, un impianto solare termodinamico che sorgerà all’interno del campus universitario di Borg-el-Arab, vicino Alessandria d’Egitto, e sarà in grado di produrre elettricità, calore, raffreddamento ed acqua dissalata utilizzando l’energia solare integrata con altre fonti pulite.

Grandi opportunità nel settore delle energie rinnovabili deri-vano dalla cooperazione euro-mediterranea. Sebbene per decenni il Medio Oriente e il Nord Africa abbiano svolto un fondamentale ruolo di approvvigionamento energetico (soprattutto petrolio e gas) per l’Europa, da alcuni anni i paesi dell’area mediterranea stanno perseguendo progetti congiunti di diversificazione ener-getica basati, principalmente, sullo sviluppo di tecnologie legate al solare e all’eolico. Alla base di questa scelta vi è innanzitutto la crescente domanda di energia nel bacino del Mediterraneo – destinata a crescere in media dell’1,5 per cento l’anno entro il 2030 – e la volontà della regione Mena di diventare un importante esportatore di energie rinnovabili verso l’Europa. Lo sviluppo delle capacità di produzione, trasferimento e distribuzione delle energie rinnovabili costituisce una delle priorità per l’Unione per il Mediterraneo che, attraverso una serie di grandi progetti mira da diversi anni alla creazione di un mercato euro-mediterraneo dell’energia verde. Già nel corso della Conferenza ministeriale del dicembre 2007, era stata sottolineata l’importanza di pro-muovere lo sviluppo sostenibile nel settore dell’energia attraverso un impiego sempre più diffuso di fonti di energia rinnovabili ed il miglioramento dell’efficienza e del risparmio energetico. Da allora sono stati varati diversi piani come il Piano solare per il Mediterraneo (Psm), il progetto Desertec e il progetto MedGrid

Page 261: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 261

che mirano a incrementare l’utilizzo dell’energia solare e di altre tecnologie rinnovabili per la produzione, entro il 2020, di 20 GW di energia elettrica allo scopo di soddisfare la crescente doman-da energetica dei paesi della riva Sud-orientale e di esportare il surplus di energia nei paesi europei attraverso la creazione di una rete di trasporto su lunga distanza.

In seguito a queste iniziative, diversi Psem hanno varato Piani nazionali solari come il Marocco (8 GW al 2020 con un piano solare in corso di 2 GW gestito dall’Agenzia Masen), la Tunisia (40 progetti di cui 17 solari, 3 eolici, 7 di efficienza, 7 di biomasse per un investimento di 2 miliardi di euro), l’Algeria (3 GW solari fotovoltaici e termodinamici), l’Egitto (annunciati nuovi progetti fino a 15 GW), la Giordania (600 MW solari e 600 MW eolici per raggiungere il 10 per cento dell’energia elettrica prodotta al 2020)24.

La cooperazione euro-mediterranea nel settore delle rinnova-bili può, quindi, accelerare la transizione dei paesi mediterranei verso un modello economico a basso contenuto di carbonio e soddisfare allo stesso tempo sia gli obiettivi di mitigazione previsti dalle politiche europee, sia le esigenze di adattamento agli impatti del cambiamento climatico dei paesi della riva Sud-orientale.

Conclusioni

Antropocene è il termine coniato dal biologo statunitense Eugene Stoermer negli anni ’80 per descrivere una nuova era geologica in cui la pressione umana sull’ambiente rappresenta un agente di trasformazione talmente rilevante da poter essere considerata una forza geologica al pari di quelle che hanno plasmato e modificato la Terra nel corso della sua lunga storia. Uno studio pubblicato sulla rivista «Nature» ha introdotto il concetto di «confine planetario» individuando nove soglie che l’intervento umano non deve oltrepassare per non innescare trasformazioni irreversibili dei sistemi naturali25. Quattro di questi limiti, il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, il ciclo dell’azoto e il cambiamento nell’utilizzo del suolo, sono già stati superati e ciò richiede la transizione verso un’economia

24 Abaza et al., Green Economy.25 Rockström et al., A Safe Operating Space for Humanity.

Page 262: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

262 Desirée A.L. Quagliarotti

diversa come emerge dalla stessa enciclica di Papa Francesco Laudato sì. Il nuovo paradigma di «ecologia integrale» proposto dal Pontefice condanna l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo basato su un consumo illimitato di risorse da parte del mondo occidentale cui si accompagna una crescente dise-guaglianza in termini di qualità della vita e di accesso ai servizi essenziali che penalizza soprattutto i paesi meno sviluppati e le fasce più deboli delle popolazioni. La strategia individuata dal Pontefice per mitigare le dicotomie sociali e ambientali impone il superamento della cultura dello scarto e il riconoscimento del buon funzionamento degli ecosistemi naturali come sistemi capaci di riutilizzare i rifiuti trasformandoli in risorse all’interno di un modello circolare.

Dal punto di vista strettamente economico questo implica il passaggio da un sistema economico lineare a uno circolare definito dall’Agenzia europea per l’ambiente come pilastro per concretizzare un progetto di economia verde allo scopo di rendere l’Europa più competitiva ed efficiente nell’impiego delle risorse. Molti degli elementi chiave dello sviluppo sostenibile e della green economy costituiscono i nuovi obiettivi strategici adottati nell’ambito dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile che hanno sostituito i Millennium Development Goals, gli otto obiettivi di sviluppo decisi dalla comunità internazionale nel 2000 che dovevano essere portati a termine entro il 2015.

In un contesto caratterizzato da crisi economica, instabilità po-litica, degrado ambientale e aleatorietà climatica, il Mediterraneo rappresenta un laboratorio all’interno del quale sperimentare un nuovo modello di sviluppo basato sui principi della sostenibilità.

Il Mediterraneo è una delle aree maggiormente esposte agli effetti del cambiamento climatico perché oltre a rappresentare un confine storico, sociale e culturale, costituisce anche un confine meteorologico tra le zone di medie latitudini e le aree tropicali. Qualora la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera dovesse crescere al ritmo attuale, la temperatura media del bacino del Mediterraneo potrebbe aumentare fino a 6 gradi entro la fine del secolo. Se i paesi della riva Nord sono tra i principali respon-sabili delle emissioni di gas serra, i paesi della riva Sud-orientale sono quelli più vulnerabili a causa della loro scarsa capacità di risposta all’impatto del surriscaldamento globale. Secondo gli esperti, le aree più colpite dagli effetti del cambiamento climatico

Page 263: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

La green economy 263

saranno le zone costiere mentre gli impatti più significativi si ma-nifesteranno sulle risorse più fragili e maggiormente minacciate dall’azione umana come la disponibilità idrica, la conservazione e fertilità del suolo e la diversità biologica.

La sfida del cambiamento climatico impone una strategia a li-vello euro-mediterraneo basata sull’azione combinata di interventi volti alla mitigazione e all’adattamento. Attraverso lo sviluppo e la diffusione di fonti energetiche alternative è possibile ridurre le emissioni di gas serra e, allo stesso tempo, limitare la vulnerabilità dei sistemi socio-economici maggiormente esposti agli effetti del surriscaldamento globale attraverso l’ottimizzazione del nexus tra cibo, acqua ed energia.La regione mediterranea possiede un’enorme potenzialità di sviluppo dell’energia rinnovabile che sfruttando le caratteristiche geo-climatiche dei diversi territori, può assumere diverse forme (eolica, solare, idroelettrica, marina, geotermica, biomassa e biocarburanti).

La green economy rappresenta, quindi, lo strumento più ef-ficace per rispondere alla sfida climatica sfruttando soprattutto le potenzialità offerte dal settore delle energie rinnovabili che consentono, da un lato, di abbattere le emissioni di gas serra legate all’uso dei combustibili fossili e, dall’altro, di soddisfare la domanda energetica in continua crescita di un’Europa assetata di fonti energetiche alternative e di un Mediterraneo assetato di fonti idriche non convenzionali.

Riferimenti bibliografici

Abaza H. et al., Green Economy. Sustainable Transition in a Changing Arab World, Beirut, Afed, 2011.

European Commission, Renewable Energy Progress Report, Brussels, European Commission, 2015.

Eurostat, Eurostat Yearbook 2015, disponibile online all’indirizzo http://ec.europa.eu/–eurostat/statistics-explained/index.php/Eurostat_yearbook.

Fao (Food and Agriculture Organization of the United Nations), The Status of the World’s Soil Resources, Roma, Fao, 2015.

— Climate Change and Food Security: Risks and Responses, Roma, Fao, 2016.

— Aquastat database 2015, Roma, Fao, 2015, disponibile online all’in-dirizzo http://www.fao.org/nr/water/aquastat/main/index.stm.

Page 264: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

264 Desirée A.L. Quagliarotti

Dasgupta S. et al., The Impact of Sea Level Rise on Developing Coun-tries: A Comparative Analysis, Washington, World Bank, 2007.

Ferragina E., Quagliarotti D.A.L., Gli effetti delle dinamiche globali sui paesi mediterranei: rischio e vulnerabilità ambientale, in Rap-porto sulle economie del Mediterraneo. Edizione 2015, a cura di E. Ferragina, Bologna, Il Mulino, 2015.

Global Footprint Network, How Can Mediterranean Societies Thrive in an Era of Decreasing Resources?, Geneva, Global Footprint Network, 2015.

Hsu A. et al., Environmental Performance Index, New Haven, Yale University, 2016.

Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate), Climate Change 2013: The Physical Science Basis, Geneva, Ipcc, 2013.

Irena (International Renewable Energy Agency), Mena Renewables Status Report 2013, Abu Dhabi, Irena, 2013.

Morabito R. (a cura di), Verso la Green Economy: strategie, approcci e opportunità tecnologiche, Roma, Enea, 2012.

Navarra A., Il bacino Mediterraneo e le frontiere del clima, in «Eco-scienza», 5, 2013.

Nicolazzi M., Rossetto N. (a cura di), L’età dell’abbondanza. Come cambia la sicurezza energetica, Milano, Epoké-Ispi, 2016.

Pedde N., La primavera araba e la crisi libica. Impatti del possibile rias-sesto geopolitico del Maghreb e del Medio Oriente sulle politiche di cooperazione nel settore della difesa e della sicurezza, Roma, CeMiSS, 2012.

Quagliarotti D.A.L., L’ambiente. Il turismo nel bacino del Mediterra-neo tra sostenibilità socio-economica e sostenibilità ambientale, in Rapporto sulle economie del Mediterraneo. Edizione 2014, a cura di E. Ferragina, P. Malanima, Bologna, Il Mulino, 2014.

Rockström J. et al., A Safe Operating Space for Humanity, in «Nature», 461, 2009, pp. 472-475.

Sadik A.K., El-Solh M., Saab N., Arab Environment: Food Security, Annual Report n. 7, Beirut, Afed, 2014.

Talbot V., Europa e Mediterraneo oltre la crisi, Milano, Ispi, 2012.Unep (United Nations Environment Programme), A Guidance Manual

for Green Economy Policy Assessment, Nairobi, Unep, 2014. Verda M. (a cura di), Energia e geopolitica. Gli attori e le tendenze del

prossimo decennio, Milano, Ispi, 2014. World Bank, Renewable Energy Desalination. An Emerging Solution to

Close the Gap in the Middle East and North Africa, Washington, World Bank, 2012.

— World Development Indicators 2015, Washington, World Bank, 2015.

Page 265: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Gli autori

RobeRto Aliboni, Istituto Affari Internazionali ([email protected]).

FAbio AmAto, Università L’Orientale di Napoli, Dipartimento di Scienze umane e sociali ([email protected]).

FRAncesco cARchedi, Università La Sapienza di Roma, Coope-rativa Parsec ([email protected])

michele colucci, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo ([email protected]).

luigi di comite, Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Scienze politiche ([email protected]).

AnnA mARiA FeRRAginA, Università degli Studi di Salerno, Dipartimento di Scienze economiche e statistiche ([email protected]).

eugeniA FeRRAginA, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo ([email protected]).

lucA FoRte, responsabile Osservatorio Mediterraneo, SRM, Studi e Ricerche per il Mezzogiorno ([email protected]).

steFAniA giRone, Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Scienze politiche ([email protected]).

AlessAndRo PAnARo, responsabile Infrastrutture, Finanza pub-blica e Public Utilities, SRM, Studi e Ricerche per il Mezzogiorno ([email protected]).

Page 266: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

266 Gli autori

desiRée A.l. QuAgliARotti, Consiglio Nazionale delle Ricer-che, Istituto di Studi sulle Società del Mediterraneo (desiré[email protected]).

AlessAndRo RomAgnoli, Dipartimento di Scienze economi-che, Alma Mater Studiorum Università di Bologna ([email protected]).

mARco ZuPi, Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI) e Università internazionale di Hanoi, Bac Ha ([email protected]).

Page 267: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 268: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano

Finito di stampare nel mese di settembre 2016 dalle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino

Page 269: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 270: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 271: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano
Page 272: Rapporto sulle economie del Mediterraneo · Il quadro geopolitico del Mediterraneo sta cambiando perché in un mondo «interconnesso, conteso e complesso» 5 equilibri che sembravano