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RAPPORTO SULLA CONTRAFFAZIONE NEGLI STATI UNITI : APPROFONDIMENTO SUI PRODOTTI ITALIANI FALSIFICATI

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RAPPORTO SULLA CONTRAFFAZIONE NEGLI STATI UNITI :

APPROFONDIMENTO SUI PRODOTTI ITALIANI

FALSIFICATI

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RAPPORTO SULLA CONTRAFFAZIONE NEGLI STATI UNITI :

APPROFONDIMENTO SUI PRODOTTI ITALIANI

FALSIFICATI

a cura dell’IPR Desk di New York

ottobre 2010 Il lavoro di analisi sul fenomeno della contraffazione dei prodotti italiani negli Usa è stato redatto da: Donatella Iaricci, Responsabile dell’IPR Desk - New York – struttura e redazione testi Sabina Lepre Leva, Esperto legale dell’IPR Desk - New York – redazione testi Michelina Zambella LaSalle, Assistente MKTG dell’IPR Desk - New York – ricerca fonti, raccolta informazione ed editing Si rammenta che questo rapporto non costituisce un parere legale; si rimanda alle normative vigenti negli Stati Uniti che fanno testo nella versione originale in lingua inglese.

Copyright © 2010 IPR Desk NY-ICE. All right reserved

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SOMMARIO Pag. INTRODUZIONE 4 1. GLOSSARIO DELLA CONTRAFFAZIONE NEGLI USA 6 Le definizioni 6 2. ATTIVITÀ DI ANALISI E RICERCA 7 Le fonti di informazione 7 2.1 Contatti e scambio di corrispondenza con istituzioni italiane

e statunitensi ed organizzazioni internazionali attive nella lotta alla contraffazione

8

2.2 Partecipazione a conferenze e seminari sulla contraffazione e pirateria

9

2.3 Contatti con associazioni, studi legali statunitensi con portafoglio di aziende italiane ed esperti

10

2.4 Raccolta di dati, analisi di documenti ufficiali, monitoraggio dell’informazione attraverso quotidiani, riviste specializzate e websites

11

2.5 Focus sulla città di New York 13 3. STRUTTURA DEL SISTEMA DI CONTROLLO DOGANALE NEGLI

USA 15

La rilevazione del traffico dei prodotti contraffatti e le misure adottate dalle dogane USA

15

3.1 Organizzazione dello US Customs and Border Protection 16 3.2 Il processo di verifica 18 3.3 Dati sui sequestri di merci contraffatte 20 3.4 Suggerimenti delle dogane USA sulle buone pratiche da

adottare 22

4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

24

Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti 24 4.1 Lo scenario 25 4.2 Settore moda: la contraffazione nel mercato fisico 27 4.3 Settore moda: i dati statistici sulla contraffazione nel

mercato fisico 29

4.4 Settore moda: le azioni di contrasto delle aziende italiane e le proposte di legge USA sui disegni di moda

32

4.5 Settore moda: la contraffazione nel mercato virtuale 37 4.6 Settore moda: i dati statistici sulla contraffazione nel

mercato virtuale 39

4.7 Azioni legali da parte di aziende italiane e proposta di legge negli Usa per contrastare la vendita del contraffatto su Web

43

4.8 I social network e il loro ruolo nella contraffazione del fashion

46

4.9 Settore agro-alimentare: il mercato dei prodotti italiani negli USA

50

4.10 Il mercato dei prodotti Italian Sounding negli USA 51 4.11 Altri settori residuali: ceramica, farmaceutica e meccanica 58 5. LE MISURE DI DIFESA 60

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INTRODUZIONE

La difesa del “Made in Italy” passa anche attraverso la tutela dei marchi commerciali, dei brevetti e degli altri titoli di proprietà intellettuale. Le violazioni di questi diritti sono spesso causa di fenomeni quali la contraffazione e la pirateria. L’intento del presente rapporto, a cura dell’Intellectual Property Rights Desk di New York (IPR Desk), è quello di rappresentare il mercato dei prodotti italiani contraffatti negli Stati Uniti, analizzando il sistema e la struttura di controllo doganale, le caratteristiche del mercato e gli aspetti legati alla interattività delle tecnologie della comunicazione, che stanno producendo nuovi canali di commercializzazione del falso. Nella redazione dell’elaborato sono state considerate le peculiarità del mercato statunitense, dove gli illeciti legati alla contraffazione e alla pirateria dei prodotti italiani assumono connotati diversi rispetto a quelli rilevati in altri paesi. In primo luogo, si tratta di un mercato che riceve il “contraffatto” più che produrlo. Pertanto, il ruolo assunto dalle dogane statunitensi è essenziale sia per le attività di contrasto sia per la quantificazione del flusso dei falsi. Secondariamente, tra Italia e Stati Uniti esistono alcune tematiche “calde” che vedono contrapposti i due paesi nella rivendicazione dei rispettivi diritti e nel denunciare i danni economici derivanti alle proprie aziende: la pirateria dei prodotti multimediali e l’Italian Sounding per il comparto agro-alimentare. Gli Stati Uniti contestano all’Italia un sistema di enforcement debole che causa, attraverso la pirateria, ingenti danni economici alle imprese statunitensi del settore multimediale; per questo motivo l’Italia è inserita da anni nella Watch List dello Special 301 Report1. Le rivendicazioni dell’Italia si riferiscono invece all’Italian Sounding, cioè a quel fenomeno di contraffazione evocativa che colpisce i prodotti italiani del settore agro-alimentare, anche se protetti da Indicazioni Geografiche. Trattasi dei cosiddetti prodotti DOP e IGP, vale a dire Denominazioni di Origine Protetta e Indicazioni Geografiche Protette. Tecnicamente è l’uso di parole, colori, immagini e riferimenti geografici nei brand e nelle confezioni dei beni, che induce il consumatore americano ad associare erroneamente il prodotto locale a quello italiano e che arreca perdite in termini di fatturato ai produttori italiani del settore che operano negli USA. La complessità di queste due tematiche scaturisce anche da discrepanze sotto l’aspetto normativo e sanzionatorio.

1 Si v. http://www.iipa.com/special301.html, dove si legge, inter alia, “..è un processo di revisione annuale a cura dell’Ufficio dello US Trade Representative sulla tutela della proprietà intellettuale e le procedure di accesso al mercato nei paesi stranieri..”

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La rilevazione del falso italiano ha riguardato anche altri settori, tra questi la moda, in cui si sono riscontrate violazioni della proprietà intellettuale, con un focus sul fenomeno della contraffazione su Web, che sta diventando la piattaforma ideale per piazzare la merce contraffatta. Una nota è stata dedicata anche ai Social Network e alle case d’asta online come eBay che si stanno trasformando sempre più in strumento di marketing e potenzialmente veicolo di commercializzazione di prodotti contraffatti. Negli Stati Uniti, dove l’acquisto online è la modalità di shopping più diffusa, si stanno studiando misure per contrastare i prodotti “taroccati” su Web al fine di difendere i consumatori. Nel rapporto sono stati evidenziati i rimedi attuati e in fase di studio da organizzazioni, istituzioni ed imprese statunitensi unitamente alle misure intraprese da alcuni gruppi italiani, detentori di famosi brand del fashion, dal punto di vista legale. Sotto l’aspetto metodologico, il lavoro dell’IPR Desk di New York si è avvalso di dati forniti da fonti ufficiali, tra cui preme menzionare il contributo degli uffici dello US Customs and Border Protection a Washington, e di documenti ottenuti da attività di rilevazione, analisi e ricerca, attraverso la partecipazione ad eventi dedicati al tema della contraffazione, e dello sviluppo di contatti diretti con traders, esperti in pi (proprietà intellettuale), associazioni ed imprese italiane.

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1. GLOSSARIO DELLA CONTRAFFAZIONE E

PIRATERIA NEGLI USA

Le definizioni Brick and mortar: un’espressione adoperata per definire un’attività commerciale che ha una sede fisica dove il consumatore può effettuare operazioni di acquisto personalmente. La stessa può anche avere una presenza su Internet per vendite online. Cease-and-desist letter: una lettera di intimidazione da parte dell’avvocato a cessare un'attività su cui altri vantano dei diritti. Counterfeit: contraffazione. Falsificare, ingannare o defraudare. Una copia o l’imitazione di qualcosa che vuole apparire come autentica per truffare terzi. Cybersquatting and Typosquatting: con il termine cybersquatting si intende la registrazione di nomi a dominio di un marchio originale allo scopo di rivenderli al proprietario legittimo estorcendo un profitto. Con il termine typosquatting si intende una forma di cybersquatting che riguarda la registrazione intenzionale di un nome a dominio analogo a quello di un dominio ufficiale già esistente ma con errori di battitura che possono indurre in confusione l'utente. Dilution: pregiudizio arrecato al carattere distintivo del marchio laddove vi sia la probabilità che un marchio diluisca la qualità distintiva del marchio anteriore (in inglese “blurring”), o che ne offuschi la reputazione (in inglese “tarnishment”). Questo si verifica anche qualora non vi sia probabilità di confusione fra i due marchi, o una effettiva concorrenza fra gli stessi o anche un reale danno economico al marchio anteriore. Fakes: altro termine di uso comune in inglese per definire copie di prodotti autentici, knockoffs, repliche o merce contraffatta. Forgery: falsificazione. Copiare con l’intento di ingannare. Knockoff: prodotti contraffatti o imitazioni offerte in vendita che, pur riproducendo il disegno o lo stile di un prodotto, non ne copiano esplicitamente il marchio. Italian Sounding: idiomatismo per definire il fenomeno di contraffazione imitativa che negli Stati Uniti colpisce i prodotti italiani del comparto agro-alimentare, anche se protetti da indicazioni geografiche o denominazioni di origine. Piracy: pirateria. L’uso o la riproduzione non autorizzata di materiale coperto da brevetto o copyright. Social Networks: un qualsiasi gruppo di persone connesse tra loro da diversi legami sociali, che vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro, ai vincoli familiari. Costituisce, ai fini dell’indagine in corso, un metodo nuovo ed efficace di diffusione del brand, nonchè di promozione pubblicitaria e di marketing. Fra questi, Facebook, Twitter, My Space, Youtube, Second Life, ecc. Word of mouth”: passaparola tra persone

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2. ATTIVITÀ DI ANALISI E RICERCA

Le fonti di informazione

Contatti con istituzioni italiane e statunitensi ed organizzazioni internazionali attive nella lotta alla contraffazione e pirateria

Partecipazione a conferenze e seminari sulla contraffazione e pirateria

Contatti con associazioni, studi legali statunitensi con portafoglio di aziende italiane, ed esperti

Raccolta di dati, analisi di documenti ufficiali, monitoraggio dell’informazione attraverso quotidiani, riviste specializzate e siti web

Focus sulla città di New York

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2. ATTIVITÀ DI ANALISI E RICERCA

2.1 Le fonti di informazione

Contatti e scambio di corrispondenza con istituzioni italiane e statunitensi ed organizzazioni internazionali attive nella lotta alla contraffazione

U.S. Customs and Border Protection – Office of International Trade Textiles/Apparel Policy – Washington DC

U.S. Customs and Border Protection – IPR Policy Branch – Los Angeles

USTR - U.S. Trade Representative - Textiles and Apparel

FBI- NYC Criminal Cyber Squad

USPTO - US Patent and Trademark Office

Guardia di Finanza c/o Ambasciata d’Italia negli Stati Uniti

ICE – Istituto Nazionale per il Commerio Estero

Authentics Foundation

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2. ATTIVITÀ DI ANALISI E RICERCA

2.2 Le fonti di informazione

Partecipazione a conferenze e seminari sulla contraffazione e pirateria

18th Annual Conference on I.P. Law & Enforcement – c/o Fordham Law School New York, 8-9.4.2010

Anticounterfeiting Summit 2010 – “The Next Fake Frontier: The

Internet, Food, Fragrance and Film” – c/o Hearst Tower New York, 18 .5.2010

“U.S. Textiles & Apparel Trade Policy and the National Export

Iniziative” – c/o Fashion Institute of Technology New York, 27.5.2010

“Challenges in Protecting Foreign GIs in the US”, Washington 3.6.2010

“Fashion 2.0 – Social Media, Virtual Worlds….and the Real World too” – c/o Cowan, Liebowitz e Latman, P.C., New York, 16.6.2010

“5th Anticounterfeiting and Brand Protection Summit”, New York, 28-29.9.2010

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2. ATTIVITÀ DI ANALISI E RICERCA

2.3 Le fonti di informazione

Contatti con associazioni, studi legali statunitensi con portafoglio di aziende italiane ed esperti

Orrick, Herrington & Sutcliffe, LLP - Alan D’Ambrosio, Esq., Partner

Cowan, Liebowitz & Latman, P.C. –Joel Karni Schmidt, Esq. Cowan, Liebowitz & Latman, P.C. –William M. Borchard, Counsel

BZA, LLC - Barbara Zaccone, President and Founder LVMH (Gruppo Vuitton- Divisione Fendi) - Nisa Ojalvo, Senior Counsel

Fordham Law - Susan Scafidi, Esq., Prof. in Fashion Law Smith, Gambrell & Russell, LLP – Mark K. Neville, Esq. FBI-Intellectual Property Squad - Peter Grossgold-Supervisory Special Agent

Dolce & Gabbana - Matthew Platzer, Loss Prevention Coordinator Fender Musical Instruments Corp. - Carl Schiessl, Associate General Counsel

Sondaggio dell’IPR DESK rivolto alle reti di importatori e distributori in USA - IPR Desk NY

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2. ATTIVITÀ DI ANALISI E RICERCA

2.4 Le fonti di informazione Raccolta di dati, analisi di documenti ufficiali, monitoraggio dell’informazione attraverso quotidiani, riviste specializzate e siti web

Studi, rapporti, sondaggi e documenti ufficiali:

- “The Economic Impact of Counterfeiting and Piracy 2008 – Automotive Sector” – a cura dell’OECD

- Estratto da “L’America a Tavola” - a cura dell’ICE con elaborazione dati di Studio della Management Resources of America (MRA) – 2009

- “Analisi giuridica sul fenomeno dell’Italian Sounding” - a cura dell’IPR Desk di New York - 2009

- “Special 301 Report 2010” – a cura dello US Trade Representative - 2009 Internet Crime Report – a cura dell’Internet Crime Complaint Center - “US Web Analytics Forecast, 2008-2014” – a cura di John Lovett per Direct Marketing Professionals

- IPR Enforcement Report 2009 – Gruppo di lavoro Commissione UE SEC(2009)360

- Sondaggio sull’identikit del consumatore americano di specialità alimentari – a cura di Mintel e Greenfield Online e della rivista Specialty Food Magazine - luglio 2009

- “Counterfeit Goods: How Did We Get Here and Where Will We Go Next?”- a cura di Jenny T. Slocum – 15.2.2010

- American Apparel & Footwear Association – 26.4.2010 - “US Web Analytics Forecast, 2008 to 2014” - a cura di John Lovett – 27.5.2009 -“Shopping for Gucci on Canal Street: Reflections on Status Consumption, Intellectual Property and the Incentive Thesis” - a cura di American Law & Economics Association Annual Meetings

- “The new normal in consumer shopping behavior” – a cura di Lisa E. Philips, Senior Analyst di eMarketer – 2.8.2010

Articoli pubblicati da: - New York Times - WWD (Women’s Wear Daily) - Journal of International Taxation - Il Sole 24 Ore

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Siti web istituzionali:

- http://www.cbp.gov/ - http://www.stopfakes.gov/ - http://lookstoogoodtobetrue.com - http://www.ice.gov/iprcenter/ - http://www.quotidianosanita.it

Siti web di associazioni, traders ed altri operatori: - http://www.myauthentics.com/ - http://fakesareneverinfashion.com/ - http://www.counterfeitchic.com/ - http://www.apparelfootwear.org - http://www.christianlouboutin.com/#/intro - http://www.slideshare.net/frozenfrogs/social-media-2009

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2. ATTIVITÀ DI ANALISI E RICERCA

2.5 Le fonti di informazione

Focus sulla città di New York

Le attività di rilevazione effettuate dall’IPR Desk sul mercato del falso di prodotti italiani hanno dedicato una sezione particolare alla città di New York. È stato stimato, infatti, che il danno procurato dal mancato incasso di tasse a causa del mercato della contraffazione nella sola città di New York è pari a 1 miliardo di dollari Usa ogni anno. I motivi scaturiscono dal fatto che nell’area tra la Brodway e Canal Street, al confine meridionale con Soho, uno dei quartieri più alla moda di Manhattan, vi è un insediamento di punti vendita, gestiti da cinesi, dove vengono smerciate imitazioni di articoli della pelletteria, occhialeria e profumeria di scadente qualità. Un altro aspetto sui generis è la vendita di prodotti knockoffs da parte di ambulanti che sono posizionati lungo le strade più esclusive di New York e adiacenti ai negozi dei brand del lusso. Ciò avviene perchè nello Stato di New York, i tribunali hanno stabilito che sia lecito vendere "knockoffs", a condizione che sulle imitazioni non sia apposto il marchio di fabbrica del prodotto originale. È un fenomeno che riguarda, in particolare, articoli come portafogli, portachiavi e borse. Sono state effettuate 9 rilevazioni da parte dell’IPR Desk di New York su “banchetti” localizzati nei seguenti punti della città:

Madison Avenue (and 67th ) Fifth Avenue (51st & 52nd) Times Square Orchard Street Bryant Park Union Square Broadway (and Spring)

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I punti nevralgici del contraffatto da strada sono evidenziati nella mappa sottostante:

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3. STRUTTURA DEL SISTEMA DI CONTROLLO

DOGANALE NEGLI USA

La rilevazione del traffico dei prodotti contraffatti e le misure adottate dalle dogane USA

Questa sezione si articola in quattro capitoli e descrive sia la struttura che il sistema di verifica adottato dallo US Customs & Border Protection per contrastare il fenomeno della contraffazione negli USA. I dati riportati sui sequestri effettuati dalle dogane statunitensi sono stati estrapolati da documenti ufficiali, a chiusura dell’anno fiscale 2009, così come i suggerimenti rivolti agli operatori americani e stranieri sulle “best practices” (buone pratiche) da adottare.

Organizzazione dello US Customs and Border Protection

Processo di verifica

Dati statistici sui sequestri di merci contraffatte

Suggerimenti delle dogane USA sulle buone pratiche da adottare

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3. STRUTTURA DEL SISTEMA DI CONTROLLO DOGANALE NEGLI USA

3.1 La rilevazione del traffico dei prodotti contraffatti e le misure adottate dalle dogane USA

Organizzazione dello US Customs and Border Protection

Il ruolo svolto dallo US Customs and Border Protection (CBP) è determinante ai fini della quantificazione del commercio di beni contraffatti, che viene rilevato in base al numero dei sequestri effettuati. L’elaborazione statistica delle dogane statunitensi tiene conto dell’ultimo porto di provenienza delle merci contraffatte e della tipologia di prodotto. Non esiste una rilevazione della merce per brand e neppure viene stilato un elenco dei paesi esteri, di cui sono originari i prodotti autentici, danneggiati dal mercato del falso negli USA. Risulta alquanto complicato ottenere un dato preciso sui prodotti italiani contraffatti negli USA. Gli uffici doganali statunitensi più attivi nella lotta alla contraffazione sono quelli localizzati lungo le coste orientali ed occidentali degli Stati Uniti. Il confine terrestre, in particolare quello con il Messico, è più esposto ad altro tipo di violazioni. Lo US CBP è un ufficio del Department of Homeland Security (Dipartimento di Sicurezza Nazionale) avente il duplice compito di garantire la sicurezza lungo i confini e le coste, nonchè il controllo delle operazioni commerciali, comprese le ispezioni sulle merci importate per impedire l’ingresso di prodotti contraffatti. La struttura dello US CBP può contare su: 42.000 addetti preposti ai controlli, distribuiti su 7.000 miglia di confine terrestre e su 327 punti d‘ingresso. Annualmente vengono effettuati controlli sulle merci per un valore di 1,7 trilioni di dollari USA. All’interno dello US CBP operano l’Office of Field Operations, che ha il compito di ispezionare i prodotti in ingresso negli USA, e l’Office of International Trade, con competenze in materia di IPR e di attività di cooperazione con analoghe strutture doganali di altri paesi stranieri.

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Direttore Generale -----------------

Vice Direttore Generale

Capo del Gabinetto --------------------

Vice Capo del Gabinetto

Direttore Ufficio Indirizzi e Programmazione

Direttore Esecutivo Ufficio Per i Diritti Civili

e Per la Diversità

Direttore Esecutivo Iniziativa Sicurezza

Frontiere

Direttore Ufficio Relazioni Commerciali

Consigliere Capo Ufficio Legale

Assistente del Direttore Generale

Ufficio per le

Attività Operative

Assistente del Direttore Generale

Ufficio Guardia Aerea e Costiera

Capo

Ufficio della Polizia di Frontiera

Assistente del Direttore Generale

Ufficio per le Relazioni

Legislative

Assistente del Direttore Generale

Ufficio per

l’Interscambio Internazionale

Assistente del Direttore Generale

Ufficio Affari Internazionali

Assistente del Direttore Generale

Ufficio Intelligence e

Coordinamento Operazioni

Assistente del Direttore Generale

Ufficio

Amministrativo

Assistente del Direttore Generale

Ufficio per la Gestione

del Personale

Assistente del Direttore Generale

Ufficio Informazioni e

Tecnologia

Assistente del Direttore Generale

Ufficio Affari Interni

Assistente del Direttore Generale

Ufficio Sviluppo e

Formazione

Assistente del Direttore Generale

Ufficio Affari Pubblici

Struttura dell’Ufficio Dogane USA

(Fonte: Ufficio Dogane USA )

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3. STRUTTURA DEL SISTEMA DI CONTROLLO

DOGANALE NEGLI USA

3.2 La rilevazione del traffico dei prodotti contraffatti e le

misure adottate dalle dogane USA

Il processo di verifica Sulla merce in entrata, le dogane Usa esercitano diverse forme di controllo, verificando che:

si tratti di un prodotto con marchio registrato a livello federale e trascritto presso gli stessi uffici doganali;

si tratti di un nome commerciale (la ragione sociale dell’azienda); in questo caso, il nome non si registra presso lo USPTO, ma è comunque registrabile presso le dogane se consiste nel nome utilizzato per identificare l’impresa o il produttore per un periodo di tempo di almeno sei mesi;

si tratti di diritti di copyright registrati presso lo US Copyright Office e successivamente trascritti presso le dogane.

Qualora dall’attività di verifica si riscontri che le merci in entrata rechino marchi contraffatti, le dogane statunitensi possono vietarne l’accesso ovvero possono bloccarle e/o sequestrarle.

Si procede al sequestro dei beni in presenza di un marchio considerato contraffatto, da intendersi come un prodotto falso che sia identico o sostanzialmente indistinguibile da un marchio regolarmente registrato a livello federale.

Inoltre, in assenza del consenso del titolare del marchio legittimo all’ingresso della merce recante marchio contraffatto, le dogane possono procedere alla confisca e distruzione della merce. È possibile anche che le dogane, dopo aver rimosso il marchio, dispongano la consegna delle merci confiscate ad altri uffici federali o statali o anche locali, ovvero le diano in donazione a centri di beneficenza o le vendano ad aste pubbliche. Nel 2009, beni contraffatti, tra cui calzature e capi di abbligliamento dai quali erano stati rimossi loghi o targhette, ammontanti ad un valore pari a 78 milioni di dollari Usa, sono stati donati dalle dogane Usa a varie associazioni benefiche2. Lo US CBP ha anche l’autorità di multare qualsiasi individuo che abbia gestito, assistito economicamente o in altra forma, o abbia aiutato e favorito l’importazione di merce recante marchio contraffatto.

2 Fonte: Jim Dwyer, “Closing Pipeline to Needy, City Shreds Clothes,” New York Times, January 12, 2010.

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Per la merce non registrata presso le dogane - lo US CBP può ugualmente procedere, in via amministrativa, al sequestro della merce recante marchio contraffatto quando violi un marchio registrato in ambito federale. Per un marchio simile al punto da generare confusione - un marchio o un nome aziendale non propriamente contraffatto ma che sia una copia o imitazione di un marchio regolarmente registrato - le dogane Usa possono negare l’ingresso e procedere al sequestro per 30 giorni. L’importatore può ottenere la riconsegna della merce rimuovendo il marchio ovvero se il legittimo titolare del marchio registrato acconsenta al rilascio delle merci per iscritto. Trascorsi 30 giorni senza aver ottemperato a quanto sopra, la merce viene definitivamente confiscata. La merce dal marchio simile e confusorio, che non sia registrata con le dogane Usa, non è soggetta a detenzione o confisca. Per le importazioni parallele - beni prodotti all’estero contraddistinti da un marchio autentico o con un nome commerciale identico o praticamente indistinguibile da quello registrato di titolarità di un cittadino Usa o di cui sia proprietaria una società o un’istituzione creata o organizzata negli Usa, e che vengono importati negli Usa senza consenso del titolare dei diritti di marchio negli Stati Uniti (il medesimo marchio registrato negli USA, gode di tutele ben più limitate allorché il suo titolare non abbia cittadinanza statunitense) - lo US CBP può procedere al blocco della merce e a un eventuale sequestro e confisca. Le dogane Usa possono bloccare l’ingresso negli Usa anche quando si tratti di merce oggetto di importazione parallela qualora questa presenti delle differenze sostanziali (“material differences”) rispetto a quella introdotta nel mercato americano con il consenso del titolare del marchio. Viene consentito al viaggiatore in arrivo in un punto di entrata Usa l’ingresso di un singolo articolo - contraddistinto da un marchio registrato, ovvero da un marchio contraffatto o da un marchio simile al punto da generare confusione o da un marchio il cui accesso sia limitato dalle leggi sulle importazioni parallele - quando sia per uso personale. Le dogane USA hanno l’autorità di sequestrare e confiscare copie pirata di materiale protetto da copyright e registrato presso lo US Copyright Office. Talvolta, in via amministrativa, lo US CBP può procedere d’ufficio al sequestro di prodotti pirata anche in assenza della registrazione doganale. A seguito del Digital Millenium Copyright Act adottato nel 1998, qualora vengano scoperti dispositivi volti all’accesso non autorizzato a materiale tutelato, le dogane Usa possono sequestrare e confiscare suddetti dispositivi. Le dogane Usa non mantengono un registro in cui vengono trascritti i brevetti previamente registrati presso lo USPTO. Tuttavia, qualora l’Istituto Internazionale del commercio Usa (United States International Trade Commission, USITC) abbia emesso un’ordinanza di esclusione per pratiche di concorrenza sleale su un prodotto da importare negli Usa, le dogane danno esecuzione all’ordinanza, negando l’ingresso della merce.

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3. STRUTTURA DEL SISTEMA DI CONTROLLO DOGANALE NEGLI USA

3.3 La rilevazione del traffico dei prodotti contraffatti e le misure adottate dalle dogane USA

Dati sui sequestri di merci contraffatte

Le attività svolte dalle dogane statunitensi relative alla violazione di pi, per l’anno fiscale 2009, hanno riguardato 14.841 sequestri per un valore di 260.697.937 di dollari USA. La tabella che segue riepiloga il trend della attività di contrasto effettuate dalle dogane statunitensi negli ultimi 5 anni.

Dati espressi in valore e quantità su sequestri effettuati dallo US CBP per violazione pi

anno fiscale n. di sequestri valore in dollari Usa 2009 14.841 260.697.937 2008 14.992 272.728.879 2007 13.657 196.754.377 2006 14.675 155.369.236 2005 8.022 93.234.510 Rispetto al 2008, i sequestri per violazione di pi si sono ridotti dell’1% con un leggero decremento pari al 4% del valore complessivo dei beni. Nel 2009, la Cina continua ad essere il paese da cui proviene la maggior parte del contraffatto, con una percentuale del 79% rispetto al totale dei sequestri, mentre le calzature costituiscono il settore che registra la percentuale più alta come prodotto falsificato, con una percentuale pari al 38%. Sempre nel settore delle calzature, il 98% dei beni contraffatti proviene dalla Cina. Nella tabella sottoriportata sono elencati i dati relativi ai sequestri delle merci, suddivisi per categoria.

MERCI SEQUESTRATE PER SETTORI ANALISI COMPARATIVA ANNI FISCALI 2008-2009 (valore espresso in dollari Usa)

Settori

Anno Fiscale 2008 Ammontare

economico del danno

% del Valore Totale

Anno Fiscale 2009 Ammontare

economico del danno

% del valore totale

Calzature 102.316.577 38% 99.779.263 38% Abbigliamento 25.119.580 9% 21.462.276 8% Borse/Pelletteria/Zaini 29.609.053 11% 21.501.614 8% Apparecchi elettronici 22.997.685 8% 31.773.625 12% Prodotti Farmaceutici 28.106.578 10% 11.057.991 4% Tabacchi 6.444.649 2% Computer/Hardware 7.589.534 3% 12.546.098 5% Media/Mezzi di Comunicazione

5.967.332 2% 11.099.758 4%

Occhiali da Sole/Parti 7.919.385 3% Gioielli 10.499.243 4% Giocattoli/giochi elettronici 5.503.143 2% Altro 29.941.771 11% 19.941.004 8% Valore Totale in dollari Usa delle merci sequestrate

272.728.879 260.697.937

Numero totale di sequestri 14.992 14.841

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meno di 1%meno di 1%

meno di 1%meno di 1%

meno di 1%

meno di 1%79%

10%1%

meno di 1%

6%

Cina Hong Kong India Taiw an Korea Paraguay

Filippine Svizzera Pakistan Vietnam Altri

Nel 2009, importante rilevare che, nella lista delle prime 10 categorie di prodotti contraffatti, sono entrati per la prima volta i gioielli e i giocattoli/giochi elettronici. Nella tabella seguente, sempre secondo quanto pubblicato dallo U.S. Customs and Border Protection, sono indicati i valori, in percentuale, dei paesi maggiormente coinvolti nel traffico di merci contraffatte negli Stati Uniti.

Paesi di provenienza delle merci sequestrate – anno fiscale 2009 Paese Valore dei sequestri % sul totale dei

sequestri Cina 204.656.093 79% Hong Kong 26.887.408 10% India 3.047.311 1% Taiwan 2.453.914 >1% Corea 1.510.443 >1% Paraguay 1.496.043 >1% Filippine 1.479.958 >1% Svizzera 1.277.646 >1% Pakistan 710.658 >1% Vietnam 603.529 >1% Altri 16.574.934 6%

Valori espressi in dollari Usa

Paesi maggiormente coinvolti nei sequestri di merci contraffatte –

anno fiscale 2009

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3. STRUTTURA DEL SISTEMA DI CONTROLLO

DOGANALE NEGLI USA

3.4 La rilevazione del traffico dei prodotti contraffatti e le misure adottate dalle dogane USA

Suggerimenti delle dogane USA sulle buone pratiche da adottare

Negli Stati Uniti, uno strumento ulteriore per la tutela della pi è rappresentato dalla possibilità di registrare elettronicamente con lo U.S. Customs and Border Protection marchi e copyright regolarmente rilasciati. Questa pratica facilita le attività di sequestro e di confisca di beni e prodotti contraffatti. Le dogane, avendo l’immediata disponibilità di queste informazioni, possono, in sostanza, monitorare l’ingresso di spedizioni sospette e prevenire l’esportazione e l’importazione di merci contraffatte. Un’altra iniziativa parallela è costituita dall’inoltro elettronico di avviso alle dogane Usa, da parte di cittadini interessati, di presunte attività illecite di import/export (le c.d. e-allegations submissions possono anche essere riportate telefonicamente al numero verde 1-800-BE-ALERT).

Recentemente, è stata predisposta un’informativa per i titolari di marchi e copyright, che traccia alcune linee guida da seguire per una corretta comunicazione dei dati alle dogane USA che faciliti a quest’ultime l’identificazione di possibili merci contraffatte o copie pirata. Si tratta del “product identification training guide” che raccomanda di fornire i seguenti dati:

Informazioni sull’azienda: si tratta di redigere un breve documento riepilogativo sull’azienda che comprenda: marchi, loghi, copyrights e brevetti e qualsiasi altro diritto di proprietà intellettuale di cui l’azienda sia titolare; nomi, indirizzi, numeri di telefono e fax, indirizzi di posta elettronica dei contatti aziendali, che possono dare immediata assistenza su aspetti tecnico-amministrativi al personale doganale sulla merce sospetta.

Informazioni sulla registrazione e trascrizione: questa sezione comprende le informazioni sui numeri di registrazione assegnati dallo USPTO e dallo U.S. Copyright Office, sui numeri di registrazioni doganali assegnati dalle Dogane e sui numeri di pratica attribuiti ai c.d. exclusion orders per i brevetti, emessi dallo International Trade Commission. Per gli articoli provenienti dall’Europa viene richiesto di indicare il numero di ufficio delle domande nazionali di registrazione, il numero di ufficio delle domande comunitarie e la lista degli Stati Membri nei quali sono state presentate registrazioni nazionali di marchi, marchi internazionali, diritti sui disegni, diritti sui disegni internazionali, copyright e diritti derivati,

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brevetti, certificati di tutela supplementare, DOP, IGP, DOC, DOCG, i diritti sulle varietà vegetali e registrazione dei marchi comunitari (i c.d. CM).

Informazioni sul prodotto: questa voce riguarda le caratteristiche fisiche degli articoli originali incluse le informazioni relative a dispositivi di sicurezza, targhette fatte a mano, cuciture, confezioni, bolla di accompagnamento o documento di trasporto ed altre descrizioni utili che consentano ai doganieri di distinguere facilmente un articolo vero da uno sospetto; foto chiaramente etichettata che mostri le differenze fra il prodotto genuino e quello falso; valore doganale; tariffario doganale; data di rilascio e/o di produzione ovvero la data approssimativa per stili particolari, modelli o linee di prodotto; cataloghi dei prodotti ovvero siti web che mostrino immagini o foto, nonchè il numero di serie del modello.

Produzione e distribuzione della merce: è importante menzionare i nomi dei produttori e degli spedizionieri degli articoli originali, i paesi nei quali sono state prodotte le merci originali, i nomi e gli indirizzi degli importatori e/o dei licenziatari autorizzati, le modalità di trasporto dei prodotti originali importati, i porti di entrata/uffici doganali dei prodotti genuini, i canali di distribuzione.

Informazioni riguardanti le fattispecie violative: in questa sezione possono essere indicati i nomi e gli indirizzi di contraffattori già segnalati, i distributori, gli intermediari, i trasportatori, gli importatori, i consegnatari e gli esportatori già conosciuti; le rotte note per il trasporto dei prodotti falsi e le modalità di trasporto; i paesi e le città di produzione dei beni sospetti; i canali di distribuzione; la soglia minima di valore commerciale; i prodotti particolari (es. stile, brand, modello) che sono quelli più copiati; i documenti di trasporto particolari che mancano o sono diversi; le caratteristiche fisiche dei prodotti sospetti.

Un’ultima avvertenza di cui tener conto: l’informativa deve essere datata al momento della sua redazione, con successivi aggiornamenti qualora vi siano cambiamenti significativi quali nuove registrazioni, contatti o linee produttive. Da una ricerca effettuata sulle banche dati dello US Customs & Border Protection è emerso che molte aziende italiane non mettono in atto questa best practice. Tra queste anche brand famosi quali Tod’s, Loro Piana, Roberto Cavalli, Borghese, Acqua di Parma, Missoni, Perla, Cosabella, Intimo Privato, Vera Donna Italy, Gianna Meliani, Sergio Rossi, Bottega Veneta, Valentino, Damiani, Brioni, Canali, Elsa Peretti, Alessandro Sartori, Sergio Tacchini, Elsa Schiaparelli, Nino Cerruti, Bruno Magli, Enrico Coveri, Alessandra Facchinetti, Alberta Ferretti, Fiorucci, Renzo Rosso (aggiornamento a ottobre 2010).

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI

PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Questa sezione del rapporto prende in considerazione i comparti italiani più danneggiati dalla contraffazione negli Usa, in particolare i settori moda ed agro-alimentare. Sono evidenziati i nuovi aspetti legati alla contraffazione nel mercato virtuale e ai social network per i prodotti del fashion unitamente alle caratteristiche del mercato dell’Italian Sounding per l’agro-alimentare, così articolati:

Lo scenario Settore moda: la contraffazione nel mercato fisico e i relativi dati statistici, le azioni di contrasto delle aziende italiane e le proposte di legge USA sui disegni di moda, la contraffazione nel mercato virtuale e i relativi dati statistici, le azioni legali da parte di aziende italiane e la proposta di legge statunitense per contrastare la vendita del contraffatto su Web

I social network e la contraffazione Settore agro-alimentare: il mercato dei prodotti italiani e dei prodotti Italian Sounding negli USA

Altri settori residuali: ceramica, farmaceutica e meccanica.

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI

PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4.1 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Lo scenario

Il mercato del contraffatto negli USA si caratterizza più per i canali di vendita che per la produzione di falsi. Il confine costiero è quello destinatario dei prodotti falsificati rispetto a quello con Messico e Canada. In particolare, le dogane Usa identificano come punti caldi per l’immissione dei falsi sul mercato americano gli aereoporti di New York e Newark ed i porti di Baltimore e Savannah sul lato orientale degli Stati Uniti, mentre sul versante occidentale si ritengono punti nevralgici di arrivo e di smistamento delle merci contraffatte il porto di Seattle e quelli di San Francisco e Long Beach in California. Principalmente i canali di distribuzione sono due: il primo è costituito da punti vendita dove il prodotto contraffatto viene venduto assieme agli articoli originali, il secondo, che è quello in fase di espansione, è il commercio su Web. In quest’ultimo caso il fenomeno è preoccupante, poichè gli acquisti online da parte del consumatore americano sono una consuetudine già consolidata e in continua ascesa. Una tendenza dimostrata da uno studio condotto negli Usa già nel 2006, che quantificava gli acquisti di capi di abbigliamento online intorno all’8%3, e che ha visto un significativo balzo in avanti nel 2009, con acquisti in rete di vestiti/scarpe/accessori assestatasi intorno al 36%. Si tratta, infatti, della seconda tipologia di merce più venduta in rete dopo i libri4. In un nuovo report sugli usi dei consumatori online5, è emerso che 8 persone su 10, corrispondenti all’83% dei consumatori Usa, comprano in rete per lo meno una volta a settimana, con previsioni nei prossimi sei mesi che puntano sul settore abbigliamento come il secondo comparto per gli acquisti su Internet, subìto dopo lo shopping di intrattenimento, quale film, musica, videogiochi e libri. I dati statistici indicano un aumento delle spese online pari al 9% nel secondo trimestre del 20106. Nello stesso report si legge che il totale della spesa Usa in rete ammonta a 32,9 miliardi di dollari Usa, un aumento appunto del 9% rispetto a quanto registrato nel secondo trimestre del 2009, dove il totale era stato di 30,2 milardi di dollari Usa.

3 New York Times , http://www.nytimes.com/2007/05/14/technology/14clothing.html 4 http://www.marketingcharts.com/direct/875mm-consumers-have-shopped-online-up-40-in-two-years-3225/nielsen-global-ecommerce-most-popular-online-purchases-copyjpg/ 5 http://www.retailerdaily.com/entry/54509/consumers-shop-online-weekly/. 6 http://www.comscore.com/. The Q2 2010 Compete Online Shopper Intelligence Study was compiled from a survey of 3,119 online purchasers between May and July 2010

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Sotto osservazione il proliferare del mercato del contraffatto rappresentato dalle case d’asta come eBay, già al centro di casi giudiziari per aver consentito la vendita di beni contraffatti sul proprio sito. Accanto a queste ultime, sono finiti sotto la lente di ingrandimento anche i social network per la loro capacità di promuovere un brand oltre i confini della pubblicità tradizionale. Qui di seguito alcune cifre, che contribuiscono a dare una misura di quanto queste reti condizionino i gusti ed influiscano sulle scelte dei consumatori Usa, favorendo lo shopping online: nel secondo trimestre del 2010 il 31% dei consumatori ha visitato le pagine dei fan di un prodotto su Facebook o i feeder di vendita su Twitter. Questa cifra, il 31%, è equivalente a quasi il doppio dei visitatori rispetto alle stesse rilevazioni effettuate nel terzo trimestre del 2009. Per tornare al focus di questa indagine, il mercato del falso di beni italiani negli Stati Uniti riguarda alcuni settori e con diverse sfaccettature. I prodotti contraffatti si possono rinvenire per lo più nei comparti della moda, con particolare riguardo agli articoli del lusso, e dell’agro-alimentare. Relativamente a quest’ultimo settore, la contraffazione dei prodotti è legata ad un fenomeno imitativo che si chiama Italian Sounding, più diffuso nella costa orientale. È stata rilevata, in qualche misura, anche la commercializzazione di imitazioni di oggetti che richiamano alla tradizione artigianale italiana. La contraffazione nei settori della meccanica e dei prodotti farmaceutici italiani non è statisticamente rilevata negli USA e non emerge dalle indagini condotte dall’IPR Desk di New York, sebbene i sequestri e le azioni di contrasto dichiarati dalle dogane statunitensi provino l’esistenza di un mercato del falso di pezzi di ricambio e di medicinali. Secondo le statistiche dello US Customs and Borders Protection per l’anno fiscale 2009, il 79% dei prodotti contraffatti proviene dalla Cina. Al contrario, per quanto concerne i prodotti multimediali, gli Stati Uniti considerano l’Italia un paese carente sotto l’aspetto delle misure di enforcement, ritenute inefficaci contro le pratiche di download illegale, a danno delle imprese statunitensi dei settori della cinematografia, della musica e dei videogiochi.

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4.2 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Settore moda: la contraffazione nel mercato fisico

Il mondo della moda, che racchiude i settori dell’abbigliamento, delle calzature, della pelletteria e degli accessori, è fra i più colpiti dal fenomeno della contraffazione negli Stati Uniti. Secondo quanto indicato dall’Associazione Usa dell’Abbigliamento e delle Calzature (American Apparel and Footwear Association), le merci contraffatte continuano a penetrare il mercato in maniera allarmante nonostante le dogane Usa abbiano intensificato gli sforzi per contrastarne la diffusione. Una precisazione ai fini di questa analisi: le attività illecite si svolgono sia nei mercati fisici, quali contraffazione di strada e in negozi e punti vendita che possono distribuire knockoffs ovvero merce ritenuta autentica, che online nei mercati virtuali. Secondo le statistiche divulgate dalle dogane Usa, nel 2009 sono stati effettuati intorno ai 15.000 sequestri per un valore complessivo di 260 milioni di dollari Usa. Il valore dei sequestri è diminuito dell’1% rispetto al 2008, di fronte ad una riduzione totale delle importazioni, laddove la Cina si conferma come il principale esportatore di falsi, con una percentuale pari al 79% sul totale dei beni sequestrati nel 2009. Fra le varie tipologie di merce contraffatta del comparto moda, al primo posto si posizionano le calzature che coprono il 38% del totale dei prodotti illeciti sequestrati, per un valore di 100 milioni di dollari Usa. Alle calzature fanno seguito gli accessori che comprendono borse, cinture e portafogli per un valore corrispondente a 21 milioni e mezzo di dollari Usa. L’abbigliamento si posiziona al secondo posto fra tutte le merci sequestrate per un valore di 21 milioni di dollari Usa. È evidente che questi dati, in termini di valore, non esprimono il danno reale che la contraffazione causa al comparto moda, poichè si basano esclusivamente sui sequestri effettuati dalle dogane negli Stati Uniti. Offrono, però, una fotografia sui prodotti che sono più imitati, sulla loro provenienza e sui canali di distribuzione utilizzati. Infatti, mentre il commercio nel mercato fisico, quello che si definisce in inglese come “brick and mortar”, avviene attraverso una sede commerciale o negozio ed è maggiormente controllabile, anche in virtù di accordi di collaborazione fra i titolari dei negozi, rivenditori e distributori, il commercio virtuale consente ai truffatori di aggirare più facilmente i divieti, ad esempio attraverso l’utilizzo di spedizioni di merci

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contraffatte in pacchi di piccole dimensioni che possono sfuggire al controllo, sia pure attento, dei doganieri. A titolo di esempio, si cita un sequestro effettuato recentemente dalle dogane statunitensi che ha riguardato un carico di borse della casa di moda italiana Prada. La merce, di provenienza dalla Cina, era arrivata al porto di entrata Usa con una targhetta metallica dalla quale apparentemente non era possibile desumere che fosse un prodotto “taroccato”. Infatti, sebbene all’occhio non esperto potesse sembrare una borsa di foggia e stile simile ad un articolo Prada, tecnicamente non avrebbe potuto definirsi come un oggetto contraffatto in quanto non recava il logo “Prada” visibile o altri dettagli, che potessero destare sospetto ed autorizzare il sequestro e l’eventuale confisca. Il logo contraffatto, recante la tipica scritta della casa, tuttavia era presente ed era situato nel retro della targhetta. Per capire appieno la configurazione del mercato fisico del contraffatto negli Stati Uniti e la valenza di un caso come quello Prada appena descritto, bisogna fare un distinguo fra i knockoffs e le imitazioni di marchio vere e proprie. La fattibilità di vendere in strada i knockoffs7 risiede in una prassi giurisprudenziale consolidata, in particolare nello Stato di New York, che non considera tali condotte lesive dei diritti del marchio detenuti dal titolare. Pertanto, nell’aggiudicazione di queste fattispecie, non si rinvengono gli estremi giuridici di una violazione sanzionabile8, come sarebbe quella perpetratasi laddove siano il marchio ovvero il logo o anche la targhetta ad essere falsificati. Da sfatare anche il preconcetto comune che i falsi presenti sul mercato fisico siano di bassa manifattura e che quindi non siano in grado di confondere il fruitore tipico dei prodotti di lusso, che può discernere agevolmente fra copie ed originali. Fino a poco tempo fa, come rilevato dall’avvocato nonchè blogger esperta di costume Vivian Chen in un suo articolo9, le grandi case di moda italiane, che rimangono fra le vittime preferite dei produttori del falso, non hanno apprestato strategie aggressive per contrastare questi illeciti. I brand italiani ritenevano, infatti, che le imitazioni non inficiassero l’immagine del loro prodotto e che i costi di eventuali azioni di enforcement negli Usa superassero i danni derivanti dalle perdite in volume di vendite. Questa valutazione non risponde più al vero, soprattutto negli Stati Uniti, dove i falsi rinvenibili possono essere anche di ottima fattura. Da constatazioni giornalistiche, come quella dell’avv. Chen, così come da studi di marketing, si va evidenziando con sempre maggiore chiarezza quanto il panorama sia cambiato anche fra i consumatori. Oggi l’acquirente del falso “di qualità” è lo stesso consumatore che spende somme considerevoli per comprare i prodotti autentici. 7 Per knockoffs si intendono quelle riproduzioni dell’originale che pur rifacendosi al disegno o allo stile dell’articolo famoso di uno stilista affermato non ne utilizzano il logo. 8 Si v. People v. Rosenthal, 2003 NY Slip Op. 51738(U) (Criminal Ct., N.Y. County, decided March 4, 2003, J. Cooper), dove il giudice stabilisce che, mentre è perfettamente legale vendere merce che copia il disegno e lo stile di un prodotto a cui spesso si fa riferimento come ad un “knockoffs”, costituisce un illecito vendere prodotti che rechino un marchio contraffatto (dall’inglese: “while it is perfectly legal to sell merchandise that copies the design and style of a product often referred to as “knock offs”, it is against the law to sell goods that bear a counterfeit trademark”). 9 Si v. http://www.law.com/jsp/cc/PubArticleCC.jsp?id=900005455839

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI

PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4.3 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Settore moda: i dati statistici della contraffazione nel mercato fisico

Come già evidenziato nel corso di questa indagine, l’elaborazione statistica delle dogane statunitensi tiene conto dell’ultimo porto di provenienza delle merci contraffatte e della tipologia di prodotto. Non esiste, pertanto, una rilevazione della merce per brand e neppure viene stilato un elenco dei paesi esteri, da cui provengono i prodotti autentici, danneggiati dal mercato del falso negli USA. Sulla base, però, di segnalazioni da parte di aziende italiane che si sono rivolte all’IPR Desk e di altre attività di monitoraggio, come le rilevazioni a New York sui knockoffs, molti marchi italiani di moda, falsificati in Cina e altrove, sono commercializzati negli Usa.

Dolce & Gabbana Fendi Prada Moschino Ferragamo Gucci Versace Armani Furla Ray-Ban (Luxottica) Diesel Zanotti Renè Caovilla Ferrari Zegna Mauri

Accanto alla vendita dei prodotti knockoffs sta facendosi largo anche un’altra pratica. In punti vendita come Banana Republic, una catena di negozi di abbigliamento ed accessori diffusissima negli Stati Uniti ed in grado di servire 80 paesi nel mondo attraverso un sistema efficiente di spedizione, molti articoli in lana riportano accanto all’etichetta “made in China”, applicata nel dietro di maglie e maglioni, un’altra etichetta con la scritta “made of Italian yarn”, dal significato “fatto con filato italiano”.

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Il richiamo all’italianità serve ad avvalorare il prodotto made in China, che sebbene più abbordabile come prezzi, resta sempre, nella mente del consumatore americano, di gran lunga inferiore ai prodotti italiani sotto l’aspetto qualitativo. Per quanto riguarda le categorie di prodotti, si elencano i brand italiani più famosi imitati soprattutto come knockoffs:

Borse � D&G � Fendi � Prada � Moschino � Ferragamo � Gucci � Versace � Valentino

Portafogli � D&G � Gucci � Fendi

Cinture � Armani � Dolce & Gabbana � Versace

Occhialeria � Dolce & Gabbana � Furla (venduto con il

marchio Furlux) � Ray-ban

Orologi � Ferrari

Profumi � Zegna � Ferrari � Versace � Bulgari � Diesel � Moschino � D&G

Calzature � Mauri � Gucci � Versace

Abbigliamento � Versace � Gucci

Etichette � Prada10 � D&

10 È l’immagine dell’etichetta triangolo utilizzata dai contraffattori cinesi sulle borse Prada destinate al mercato americano.

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La presente tabella mostra la forbice dei prezzi di alcuni prodotti knockoffs nell’area di New York. Tra le categorie indicate, va sottolineato che le borse sono tra gli articoli contraffatti che possono costare oltre 100 dollari USA. Per alcune categorie di prodotto, le oscillazioni del prezzo di vendita sono rappresentate con due colori diversi.

0 10 20 30 40 50 60 70 80

Profumi

Portafogli

Jeans

Orologi

Occhiali

Magliette e Camicie

Cinture

Borse

Prodotti

Prezzi

Prezzi di Vendita (in Dollari USA, unità, 2010)

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI

PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4.4 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Settore moda: le azioni di contrasto delle aziende italiane e le proposte di legge USA sui disegni di moda

Negli Stati Uniti, agli illeciti commerciali di natura contraffattiva e alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale corrisponde, in misura esponenziale, la crescita delle casistiche giudiziali che vedono in prima linea il mondo della moda. Alcuni casi hanno riguardato la casa di moda Fendi Srl, che si è resa protagonista di almeno 4 azioni giudiziali di larga risonanza, e la casa di moda Gianni Versace Spa. Gli esiti delle azioni di contrasto intraprese dalla Fendi Srl e dalla Gianni Versace Spa si sono risolti positivamente e pertanto si ritiene utile citarli come casi studio. Va sottolineato, altresì, che le misure di contrasto negli Stati Uniti, in termini di azioni legali, sono particolarmente onerose e che, per arginare il fenomeno della contraffazione, lo stesso Consiglio degli Stilisti d’America sta premendo per una legge che dia una tutela più ampia ai disegni di moda.

I 4 casi Fendi

1) Nella prima fattispecie, Fendi v. Wal-Mart, 06-CV-4370, U.S. District Court for the Southern District of New York (Manhattan)11, che risale al 2006 ed il cui esito si è avuto a giugno del 2007, la casa italiana ha intentato causa al gruppo Wal-Mart, il più grande retailer mondiale, per la vendita di borse e portafogli recanti il marchio Fendi contraffatto nei negozi Sam’s Club, divisione della catena Wal Mart. Le parti hanno raggiunto un accordo extragiudiziale, laddove il gruppo Wal-Mart si è impegnato a risarcire la società italiana per un ammontare che non è stato reso noto e Fendi ha accettato di ritirare la denuncia. Inter alia, Wal-Mart ha anche acconsentito a risarcire gli acquirenti dei prodotti falsamente etichettati.

2) Nella seconda fattispecie, l’azienda Fendi Adele srl ha apposto un pubblico avviso nel Wall Street Journal, e altri principali quotidiani statunitensi, in data 28 giugno 2010, con cui ha reso noto l’accordo extragiudiziale raggiunto fra la stessa e la Filene’s Basement Liquidating Estate, Inc. (FB), riguardo a ripetute contraffazioni del marchio Fendi. Le fattispecie violative cui la Fendi faceva riferimento risalgono all’anno 2001, con illeciti reiterati nuovamente dall’anno 2003 fino al 2005, laddove la FB aveva venduto merce Fendi falsa, recante marchio contraffatto. L’accordo ha previsto un sostanzioso risarcimento danni, peraltro non quantificato nell’annuncio, e contempla anche un’azione inibitoria permanente, che ha proibito alla FB di acquistare o vendere qualsiasi prodotto Fendi senza previo consenso della casa di moda italiana.

11 Si v. http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=newsarchive&sid=aoip.LC2na_w

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3) Nella terza fattispecie, l’azienda Fendi si è accordata nell’aprile scorso con Big M Inc., facente business come Annie Sez, catena di negozi di abbigliamento di fascia bassa, colpevole di vendere prodotti Fendi contraffatti, dopo una causa giudiziale tenutasi davanti al tribunale federale di Manhattan. La conclusione: un accordo economico del quale non sono stati resi noti i dettagli ed un’azione inibitoria permanente che ha proibito a tutti i negozi Annie Sez di vendere merce Fendi.

4) Nella quarta fattispecie, l’azienda Fendi, parimenti ai tre casi di cui sopra, ha raggiunto un accordo extragiudiziale con una società Usa che aveva contravvenuto ai diritti del marchio Fendi violandone l’esclusività. Si tratta della Burlington Coat Factory Warehouse Corp., un grande magazzino dai prodotti a basso costo, che si è vista costretta a risarcire la casa di moda italiana per oltre 10 milioni di dollari Usa al termine di una disputa giudiziale iniziata nel 1986.

Il caso Versace

Anche l’azienda italiana Versace ha scelto di adire le vie legali per porre fine a ripetute violazioni del suo marchio, ottenendo una storica vittoria giudiziale negli Stati Uniti contro Monir Awada, proprietario della Tres Hermanos Inc.

La giuria popolare della California del Sud ha, infatti, accolto la richiesta di risarcimento presentata da Versace, pronunciando un verdetto che ha assegnato all’avente causa 20 milioni di dollari Usa come compenso per i danni subiti quali conseguenza della condotta illecita del convenuto.

Nella domanda presentata dalla Versace nel 2003, la casa milanese asseriva che fossero stati commessi vari illeciti da parte dei 67 convenuti, fra cui violazione e contraffazione del marchio aziendale, diluizione dello stesso, denominazione di orgine falsa e collusione, nonchè presunte condotte criminose secondo quanto disposto dal Racketeer Influenced and Corrupt Organizations ("RICO") Act. Al termine di una battaglia giudiziale durata 7 anni, la Versace è riuscita a dimostrare le sue ragioni e a prevalere nel contenzioso.

Bisogna evidenziare che Versace è titolare di numerosi marchi, debitamente registrati, inerenti all’uso del nome Versace, e detiene anche l’esclusiva sul disegno del logo, che è la Medusa. Tali marchi vengono adoperati nella produzione e nella messa in commercio di tutto l’inventario moda, che comprende jeans, articoli di abbigliamento, borse, scarpe, articoli di pelletteria ed altri accessori.

Secondo quanto affermato da Versace, Awada, attraverso la Tres Hermanos, aveva illecitamente prodotto, distribuito, importato e venduto merce recante il marchio Versace contraffatto in più di 80 negozi. La società italiana asseriva, inoltre, che essi ingannavano potenziali acquirenti spacciando articoli di qualità di gran lunga inferiore come autentici capi Versace.

Durante l’istruttoria, è stato accertato che la Tres Hermanos aveva messo in vendita all’incirca 4.000 capi di abbigliamento con il marchio Versace contraffatto e che questa merce era praticamente indistinguibile da quella autentica. Si trattava infatti

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di varie combinazioni dei marchi Versace, da "Versace" a "Gianni Versace", da "Versace Jeans Couture" a "Versace Classic V2" e "Medusa".

La corte ha inoltre stabilito che, a ragione della vasta esperienza accumulata da Awada nel comparto moda, della sua cognizione in tema di marchi, delle sue precedenti vicende processuali per illeciti della stessa natura, e della fine, nel 2001, del suo rapporto commerciale con la Versace, Awada era volutamente incorso nelle condotte illecite contestategli. La deliberatezza dell’atto lesivo ha indotto la corte ad imporre un risarcimento di un milione di dollari Usa per ciascun tipo di marchio violato.

Per di più la giuria popolare, che aveva potere discrezionale in merito all’ammontare del risarcimento, ha ritenuto che il compenso di un milione di dollari Usa per ciascuna delle 18 violazioni di cui si era resa responsabile la Tres Hermanos ed il compenso di 500mila dollari Usa per le rimanenti 4 violazioni fossero una misura equa.

Proposta di legge negli Usa sui disegni di moda

Dopo un anno di trattative, il Senatore Charles R. Schumer ha presentato il 5 agosto 2010 una proposta di legge per la protezione di modelli e disegni di moda negli Stati Uniti, che è stata favorevolmente accolta dall’industria della moda nonostante alcune perplessità emerse in merito alla sua natura: requisiti più restrittivi affichè il disegno, unico ed effettivamente distinguibile da imitazioni, possa essere protetto come un diritto di copyright12.

Arrivato dopo quattro anni di lotte per la difesa dei diritti d’autore connessi ai disegni di moda, lo “Innovative Design Protection and Piracy Prevention Act” (S. 3728, Schumer-D NY), anche abbreviato come “New Bill” (la nuova proposta), risponde alla volontà di tutelare tutti i disegni di moda, inclusi abiti, borse, cinture e montature per occhiali, da copie non autorizzate. Per ora, trattasi esclusivamente di una proposta in esame al Senato, in attesa di approvazione da parte di entrambe le Camere del Congresso e del Presidente Obama per poter finalmente entrare in vigore.

Tra il plauso di molti stilisti, secondo cui la manovra potrebbe dare un maggiore impulso all’innovazione di un settore sensibilmente colpito dalla contraffazione, e le preoccupazioni per i maggiori oneri di prova a carico dei ricorrenti, sui quali graverà il compito di dimostrare in sede giudiziaria l’effettiva unicità della propria creazione, l’iniziativa di Schumer ha trovato pieno consenso presso il Consiglio degli Stilisti d’America, i cui membri costituiscono il cuore creativo dell’industria della moda, e presso l’Associazione Statunitense per l’Abbigliamento e le Calzature, che rappresenta più di 700 produttori e fornitori.

12 Si v. William M. Borchard, “Highlights of the 2010 Fashion Design Bill”, Client Alert, 23 agosto 2010, Cowan&Liebowitz&Latman; Cathy Horyn, “In Congress, a First Step Toward Protection Designers”, The New York Times, 8 agosto 2010)

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Rispetto alle precedenti proposte, la penultima delle quali risale al 30 aprile 2009 (la c.d. Design Piracy Prohibition Act), l’attuale versione dovrebbe infatti semplificare la procedura di ottenimento della protezione del disegno di moda. Entrando nel merito della questione, si riportano i punti più rilevanti dell’atto: 1. Disegni Protetti: gli elementi originali, o la composizione e collocazione di ogni elemento, saranno tutelabili soltanto se risultano dallo sforzo creativo dello stilista e costituiscono “una variazione unica, distinguibile, non banale e non funzionale rispetto a disegni precedentemente creati per la stessa tipologia di articolo”. 2. Violazioni: l’accusa di violazione del copyright legato ad un disegno di moda sussiste solo se si tratta di una “copia sostanzialmente identica”, con ciò intendendo un “articolo di abbigliamento che è molto simile in apparenza tale da essere considerato il disegno protetto, dal momento che contiene solo quelle differenze nella lavorazione o nel disegno che sono meramente insignificanti”. Inoltre, non sussiste la violazione laddove un articolo includa un disegno, anche pubblicitario, creato senza la consapevolezza che si trattasse di una copia ovvero senza che fosse facilmente desumibile, dall’insieme delle circostanze, che si trattasse di una copia. 3. Requisiti: la nuova proposta non considera la registrazione una condicio sine qua non per la tutela del disegno. Secondo la proposta in esame, il disegno verrebbe protetto per tre anni a partire dalla prima apparizione in pubblico dell’articolo di abbigliamento contenente il disegno stesso. Per stabilire l’originalità del disegno non si possono rivendicare il colore o la sequenza o le immagini grafiche. Laddove venisse approvata, la nuova proposta consentirebbe al proprietario del disegno di ottenere un’azione inibitoria che impedisca il proseguimento della condotta lesiva. Tuttavia, qualora questi intendesse rivendicare un risarcimento pecunario, è necessario che sia apposto un “avviso” sul disegno, che consista: (a) nelle parole “disegno protetto” (in inglese “Protected Design”), o nell’abbreviazione delle stesse, vale a dire “Prot’d Des.”, ovvero nella lettera “D” all’interno di un cerchio, oppure nel simbolo “*D*”; (b) nella scritta dell’anno in cui la produzione è cominciata; (c) ovvero nel nome del proprietario, o in una sua abbreviazione ovvero in una designazione alternativa del nome del proprietario generalmente conosciuta. 4. Sanzioni e danni: le pene comminate per la copia non autorizzata continuano ad ammontare tra i 5 e 10mila dollari USA; l’importo che il tribunale può assegnare per il danno subìto dal legittimo proprietario a causa della violazione del disegno, di converso, è stato ridotto dai 50mila dollari USA ad un dollaro per copia, rispetto alla precedente versione della proposta legislativa che prevedeva dai 250mila ai 5 dollari USA per copia. 5. Eccezione per il cucito in casa: la normativa prevede una nuova eccezione per il cucito in casa di una singola copia di un disegno, laddove si tratti di uso personale o familiare. La pubblicazione delle istruzioni per fare copie in casa, comunque, non è consentita.

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6. Particolarità delle dichiarazioni processuali dell’attore: la nuova proposta richiede che i ricorrenti, in particolare, dimostrino che: (a) si tratti di un disegno protetto; (b) che il disegno del convenuto sia in violazione di quello protetto; (c) che il disegno protetto, o un’immagine di esso, sia facilmente disponibile in modo che si possa ragionevolmente dedurre che il convenuto, alla luce delle circostanze agli atti, potesse averlo visto o che ne fosse comunque a conoscenza. 7. Enforcement: la nuova proposta contempla solo la possibilità della domanda di ricorso da parte dell’attore, impedendo al Customs & Border Protection o al Servizio Postale USA di sequestrare o confiscare la merce risultata in violazione. Lo scopo più restrittivo di questo disegno di legge potrebbe facilitarne l’approvazione; d’altro canto, i fautori della protezione del disegno di moda potrebbero obiettare che termini così limitativi ne rendano vana l’applicazione pratica.

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4.5 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Settore moda: la contraffazione nel mercato virtuale Secondo le previsioni lanciate dal rapporto della Forrester Research13, il Web ha preso il sopravvento rispetto alle tradizionali fonti di informazioni quali giornali, riviste e televisione, favorendo anche la crescita del commercio online. Il rapporto Forrester stima che all’e-commerce saranno destinate il 40% di tutte le vendite, vista la fiducia del consumatore negli acquisti fatti su Internet quale mezzo di ricerca. Parallelamente all’incremento delle vendite in rete, si registra l’intensificarsi della messa in commercio di merce contraffatta che viene venduta in quanto tale o con l‘intento di farla passare per il prodotto autentico. Le innovazioni informatiche contribuiscono alla creazione di sofisticati canali di produzione che hanno accresciuto il “consumo di massa di falsi”. Le statistiche mondiali parlano di una maggiore propensione verso il risparmio, confermato anche dall’aumento del numero di utenti sulla rete, perennemente alla ricerca dell’affare del secolo e quindi maggiormente inclini a comprare il contraffatto. Secondo un’analisi condotta da Lisa E. Phillips14, i consumatori stanno riaggiustando le loro abitudini di spesa concentrandosi per lo più sul valore e sul marchio dei prodotti. Secondo un recente sondaggio (PriceGrabber.com), il 55% degli intervistati ha ammesso che nell’anno in corso trascorre molto più tempo su Internet per fare spese e acquisti di quanto non facesse nel 2009, dove le statistiche si assestavano intorno al 26% degli intervistati15. Adeguandosi ai cambiamenti di costume, la contraffazione ha fatto il suo salto di qualità: commercializzazione su larga scala di prodotti falsi quotidianamente immessi sia su mercati reali, primari o paralleli, che sulle piazze mercato digitali di Internet; fra i nuovi settori colpiti, accanto a quelli tradizionali del tessile-abbigliamento e calzature, si annoverano anche i profumi, gli articoli del lusso, il settore enogastronomico, i medicinali, i dispositivi meccanici per macchine ed aereoplani, gli shampoo, i dentifrici, le batterie, i prodotti chimici e quelli elettronici.

13 John Lovett, “US Web Analytics Forecast, 2008 to 2014”, 27 maggio 2009 14Lisa E. Phillips, “The new normal in consumer shopping behavior”, 2 agosto 2010

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È difficile per i consumatori individuare quali prodotti siano effettivamente falsi e quali autentici su Internet, così come individuare se un sito sia autorizzato o meno a venderli. Il punto è che non esiste ancora una disciplina universale applicabile al mondo di Internet. Ciascun settore e materia riceve, a seconda della giurisdizione nazionale cui fa riferimento, un trattamento normativo differenziato, che aggrava il problema della lotta alla contraffazione. Di converso, è la prassi giurisprudenziale che sta facendo da apristrada e accogliendo la richiesta di leggi chiare, trasparenti e univoche.

Dalle vendite d’asta online su siti come eBay alle nuove strategie di marketing, che utilizzano social network quali Facebook e Twitter, o ancora piattaforme multimediali di condivisione video quali Youtube (p.e. il video della collezione autunno/inverno 2010 di Prada è uno dei video moda più cliccati del sito), emergono nuove opportunità commerciali. Nel contempo, sorgono preoccupazioni sempre più pressanti in mancanza di una legislazione uniforme che regolamenti il nuovo mondo virtuale.

L’e-commerce italiano nel comparto abbigliamento ed accessori (moda) è ancora limitato, costituendo soltanto il 7% del totale, ma rappresenta comunque un punto di forza nelle vendite delle case italiane, registrando nel 2009 una crescita di +51% rispetto al 200816.

16 Marco Pedota, “Ripresa economica in Italia ed andamento delle vendite online: fine della crisi?”, http://magazine.artistiko.net/, 26 novembre 2009

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI

PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4.6 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Settore moda: dati statistici della contraffazione nel mercato virtuale

Per dare un’idea tangibile del fenomeno contraffazione online e quantificarne i potenziali danni, è sufficiente guardare le cifre.

Interessante riportare i dati raccolti dall’Internet Crime Complaint Center (IC3)17 che, in collaborazione con la FBI e il National White Collar Crime Center (NW3C), ha pubblicato il Rapporto Annuale 2009 sulle attività fraudolente e criminali che si verificano ogni giorno su Internet18.

Secondo l’indagine relativa all’anno 2009, gli illeciti commessi in rete sono aumentati in maniera esponenziale rispetto al 2008. I casi di frodi online segnalati allo IC3 durante il 2009 sono stati 336.655, registrando un aumento del 22,3% rispetto al 2008, e hanno causato un danno per un totale di $559,7 milioni USA, sensibilmente cresciuti rispetto ai $265 milioni del 2008, come si evince dalla tabella che segue.

ANNO DENUNCE RICEVUTE

PERDITE IN MILIONI DI DOLLARI USA

2009 336.655 $559.7

2008 275.284 $265

2007 206.884 $239.09

2006 207.492 $198.44

2005 231.493 $183.12

Le indagini riportano dati relativi a diverse fattispecie violative, come si evince dal grafico di cui sotto. In cima alla lista dei dieci motivi di denunce pervenute al Centro, si posiziona una tipologia definibile come “truffa FBI”, con una percentuale del 16,6%. Si tratta di email che inducono il consumatore a credere che il mittente sia il Federal Bureau of Investigation (FBI).

17 L’Internet Crime Complaint Center (IC3) è un centro nato da un’operazione congiunta tra la FBI e il National White Collar Crime Center (NW3C) che raccoglie le denunce per violazioni penali aventi ad oggetto illeciti su Internet, allertando le autorità Usa circa attività sospette o violazioni civili. 18 2009 Internet Crime Report, disponibile su http://www.ic3.gov/media/annualreport/2009_IC3Report.pdf.

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A questa tipologia fanno seguito: truffe che consistono nella mancata consegna della merce e/o dei servizi acquistati online ovvero in truffe sui pagamenti che ammontano all’11,9%; richieste fraudolente di anticipo di pagamento per alcuni voci di spesa sull’ordine effettuato pari al 9,8%; furto d’identità con appropriazione indebita di dati personali o bancari pari all’8,2%; truffa sulle vendite con un importo eccedente il valore della merce venduta pari al 7,3%; frodi varie pari al 6,3%; spam equivalente al 6,2%; truffe sulle carte di credito equivalenti a 6,09%; truffe sui siti d’asta pari al 5,7%, danni al computer pari al 4,55%.

Prime dieci categorie di denunce più comuni riportate all'IC3, espresse in percentuale sul totale di denuce riportate nel 2009

4.5%

5.7%

6.0%

6.2%

6.3%

7.3%

8.2%

9.8%

11.9%

16.6%

0.0% 5.0% 10.0% 15.0% 20.0%

Truffa FBI

Mancata consegna merce/truffe sui

pagamenti

Richiesta di pagamento anticipato

Furto d'identità

Vendita con importo eccedente

Frodi varie

Spam

Frodi sulle carte di credito

Frodi sui siti d'asta

Danni al computer

Fonte: http://www.ic3.gov/media/2010/100312.aspx

Se si adotta una prospettiva mondiale nell’analisi dei crimini online, gli Stati Uniti appaiono ancora una volta il numero uno nella lista dei primi dieci paesi in cui sono stati individuati i principali illeciti, con una percentuale pari al 65,4 %, cui fanno seguito percentuali sottodecimali nel Regno Unito, Nigeria, Canada, Malesia, Gana, Sud Africa, Spagna, Camerun e Australia.

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Fra i brand italiani maggiormente copiati e venduti in rete si rilevano:

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Per poter comprare in rete senza incorrere nelle truffe appena citate, una delle prime precauzioni da prendere è quella di rivolgersi a siti sicuri, siano essi monomarca (Prada, Gucci, Marni, ecc.), siano portali che raccolgono la possibilità di acquistare capi di numerose case di moda italiane. Quella che segue è una lista non esaustiva e a puro scopo esemplificativo, considerata la vastità del mercato, di siti accessibili negli Usa, che vendono prodotti italiani autentici del comparto moda, a cui segue una lista, parimenti a titolo di esempio, dei siti dove viene venduto il contraffatto: Fra quelli monomarca:

Gucci - http://www.gucci.com/us/home Marni - http://www.marni.com/ Emporio Armani/Armani Exchange - http://www.armani.com/ Salvatore Ferragamo - http://www.ferragamo.com/ Dolce&Gabbana - http://www.dolcegabbana.com/ (soltanto D&G) Prada - http://www.prada.com/ (soltanto alcuni accessori)

Fra quelli plurimarca:

Bluefly-www.bluefly.com Net-a-porter-www.net-a-porter.com Portero Luxury-www.portero.com Yoox-www.yoox.com

Fra quelli notoriamente “falsi” :

www.christiannloubotinshoessuk.org www.hereshoes.org

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI

PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4.7 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Azioni legali da parte di aziende italiane e proposta di legge negli Usa per contrastare la vendita del contraffatto su Web

Negli ultimi anni, vale a dire a partire dal 2008 fino ad arrivare al 2010, Gucci America ha intrapreso una campagna aziendale di enforcement assai agguerrita per osteggiare e sconfiggere l’operato dei contraffattori del marchio Gucci, che risulta uno dei più copiati al mondo. Infatti, la divisione Usa di Gucci ha presentato per lo meno 5 azioni legali, qui di seguito elencate, per bloccare le imitazioni del logo e la conseguente violazione del marchio contro società produttrici e anche, cosa ancora più importante ai fini di questa indagine, contro terzi che possano aver contribuito indirettamente agli atti violativi. Gucci ha allargato il pool dei convenuti anche agli istituti di credito adducendo che questi avessero facilitato la vendita di prodotti contraffatti Gucci su Internet. Dall’atto di citazione presentato da Gucci allo U.S. District Court di Manhattan, in New York, si legge, inter alia: “Non solo questi istituti forniscono la piattaforma per lo svolgimento di queste operazioni, ma sono soci a tutti gli effetti nel perpetramento di queste attività fraudolente”.

Dunque un passo ulteriore nella lotta alla contraffazione che mira ad estendere la responsabilità vicaria anche ai gestori di siti19 o, come nel caso di cui sopra, conclusosi con un accordo extragiudiziale fra le parti, Gucci e Frontline, a coloro che, garantendo credito a siti a rischio per le attività illegali svolte e dalla natura sospetta, si rendono compartecipi degli illeciti stessi. La decisione del giudice distrettuale, con la quale veniva respinta la mozione della difesa (in rappresentanza delle agenzie di credito) che chiedeva il rigetto delle tesi accusatorie e che, in assenza di un accordo,

19 Si v. Tiffany (NJ) Inc. v. eBay Inc., nel quale il Secondo Circuito della Corte di Appello degli Stati Uniti ha tuttavia dato ragione a eBay ritenendo che la violazione del marchio sussista soltanto qualora un provider come eBay continui a fornire servizi a specifici individui di cui sa, o ha ragione di sapere, che stiano vendendo merce contraffatta. eBay è riuscita a dimostrare di aver attivato delle misure anticontraffazione, tra cui la procedura di “segnalazione e rimozione” (notice-and-take-down procedure), anche nota come programma VeRo, laddove eBay si impegna a rimuovere i listini merce presumibilmente violativi entro 24 ore dalla ricezione dell’allerta. eBay ha, inoltre, reso noto il suo impegno a voler difendere la sicurezza degli acquisti in rete, ribadendo l’accordo siglato nel marzo 2010 con l’FBI e la NRF (National Retail Federation, ovverosia la Federazione Nazionale della vendita al dettaglio), sorto con l’intento di voler arginare il problema della contraffazione su Web. Da notare infine come il secondo circuito, sulla rivendicazione che si tratti di pubblicità ingannevole, ha comunque rimandato l’esame di merito alla corte distrettuale per ulteriori considerazioni.

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avrebbe consentito un giudizio di merito, indica un cambiamento di indirizzo giudiziale nei contenziosi relativi alla contraffazione negli Usa. Essa implica, altresì, un rigore maggiore nell’applicazione della legge che considera anche eventuali responsabilità secondarie a carico di siti online ovvero istituti di credito che favoriscono le attività commerciali dei contraffattori non effettuando i necessari controlli. Da ultimo, giova ricordare che il caso Gucci v. Frontline fa seguito alla sentenza emessa nel 2008 contro Laurette Co., titolare del sito web TheBagAddiction.com, terminata appunto con un giudizio di colpevolezza per responsabilità vicaria nella vendita di prodotti Gucci falsi e con un risarcimento di 5,2 milioni di dollari Usa.

Casistica Gucci per contraffazione su WEB 2008-2010

Gucci America, Inc. v. Frontline Processing Corporation et al, Deposito Ricorso: 8/5/2009

Gucci America, Inc. et al v. Laurette Company, Inc. et al, Deposito Ricorso: 6/3/2008

Gucci America, Inc. et al v. Curveal Fashion et al, Deposito Ricorso: 10/5/2009

Gucci America, Inc. v. Dominick J. Mirabella et al, Deposito Ricorso: 2/19/2009

Gucci America, Inc. v. Paulette Tyrrell-Miller et al, Deposito Ricorso: 5/21/2008

Gucci America, Inc. et al v. Joseph Zev Goldblatt et al, Deposito Ricorso: 5/27/2008

Come nota a margine, si vuole menzionare un altro contenziosio collegato a quanto sopra. La fattispecie vede coinvolti Chanel, Inc. (“Chanel”), Gucci America, Inc. (“Gucci”), Louis Vuitton Malletier, S.A.’s (“Louis Vuitton”), e Tiffany (NJ) LLC (“Tiffany”) come attori, e Jennifer a/k/a Jennifer, conosciuta in commercio come GlobalReplica.com, ovvero www.FancyFakes.com, ovvero www.BlueFakes.com, ovvero www.JennyBags.com, ovvero www.AllFakes.com, ovvero www.FakeGifts.net, ovvero Gifts, Inc. quale convenuto.

Trattasi di una serie di siti web del falso, condannati nel novembre del 2009 dal giudice federale della Florida, espressosi a favore degli attori, non solo ad interrompere le attività illecite con un’azione inibitoria permanente, ma anche a trasferire immediatamente i suddetti siti e i loro corrispettivi nomi a dominio agli attori. Da notare quest’ultima disposizione: per alleviare il problema della contraffazione online delle case di moda e del lusso si consente a queste ultime di appropriarsi, al termine di vertenze giudiziali, dei siti “colpevoli” di infrazioni, impedendone ai contraffatori l’utilizzo qualora intendessero continuare le loro condotte criminose, cosa che accade assai di frequente.

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Proposta di legge negli Usa per contrastare la vendita del contraffatto sul web

È in sede di approvazione la nuova proposta di legge presentata al Congresso USA, intitolata “The Combating Online Infringement and Counterfeits Act”, volta ad abbattere i c.d. “rogue web site” ( definiti in italiano “siti canaglia”), ovverosia siti web nazionali e con sedi all’estero che alimentano il problema della pirateria e contraffazione, con seri danni all’economia mondiale. Appoggiata dal Senatore Patrick Leahy, Presidente del Comitato giudiziario del Senato, e dal Senatore Orrin Hatch, la futura legge mira a proteggere gli investimenti delle aziende americane, le cui perdite in termini finanziari e di forza lavoro stanno crescendo di anno in anno, a causa del problema della contraffazione. Secondo la International AntiCounterfeiting Coalition, negli Stati Uniti il flusso di beni contraffatti comporta un danno annuale per le aziende e per i loro brand di circa 250 miliardi di dollari USA, ed è responsabile della perdita annuale di 750.000 posti di lavori. Da una lettura dei dati pubblicati dallo U.S. Customs and Border Protection, si evince che nell’anno fiscale 2009 gli Stati Uniti hanno sequestrato merce falsa il cui valore ammontava a circa 260 milioni di dollari USA, principalmente scarpe, accessori e cosmetica. La nuova legge prevede l’assegnazione di maggiori poteri al Dipartimento di Giustizia Usa e tempi più brevi per la chiusura dei siti che vendono merce contraffatta. Gli ufficiali giudiziari, richiedendo un’ordinanza dispositiva al tribunale competente, possono presentare un’azione civile in rem contro i nomi a dominio illeciti. Dopo l’esecuzione dell’ordinanza sul nome a dominio, l’Avvocato Generale di Stato Usa (Attorney General) ha l’autorità di inoltrare l’ordinanza al registro dei nomi a dominio, che procede alla sospensione del nome risultato in violazione. Laddove il registro o il soggetto registrato non risiedesse negli Stati Uniti, la normativa in esame rimetterebbe alla discrezione del giudice l’autorità di notificare l’ordinanza in un paese terzo ai vari soggetti coinvolti, compresi i fornitori di servizi, i processori di pagamento e le reti di connessione ad Internet. Queste parti terze dovrebbero a loro volta interrompere l’attività su quel sito, bloccando ad esempio l’accesso ai siti canaglia o non processando l’ordine d’acquisto su quel sito. Con la presente legge si intende dunque munire il Dipartimento di Giustizia di tutti gli strumenti atti a proteggere i consumatori, le aziende ed i lavoratori statunitensi. Ci si auspica di scoraggiare i contraffattori e le sottostanti organizzazioni criminali, le cui attività illecite ledono le produzioni e il prestigio di marchi statunitensi e mondiali.

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4.8 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

I social network ed il loro ruolo nella contraffazione del fashion Quando si parla di social network si fa riferimento a quelle reti di connessione per utenti che stabiliscono o mantengono relazioni sociali e contatti20. Dati concreti sui nuovi mezzi di comunicazione:

i social media rappresentano l’attività principale su Internet; il numero di utenti di Facebook, sicuramente il più importante fra i social network, è cresciuto di oltre 200 milioni in meno di un anno (2010);

Youtube viene considerato il secondo motore di ricerca; tra i fan di Facebook negli Stati Uniti si registra un aumento del segmento femminile di età compresa fra i 55 ed i 65 anni (una fascia con ampio potere di acquisto).

Gli studiosi del fenomeno negli Usa definiscono i social network come una “two way street”, vale a dire una strada a doppio senso, che si contrappone al modo tradizionale di fare pubblicità dei brand che è una “one way street”, vale a dire una strada a senso unico. Pertanto, la promozione di un prodotto di abbigliamento non è più vincolata al messaggio pubblicitario del quale i consumatori erano ricettori passivi ma, al contrario, alimentato da un vortice di scambi, da un rimbalzare di opinioni laddove il consumatore è un protagonista attivo e partecipe. Da uno studio Usa si rivela che il 78% dei consumatori si affida ai giudizi degli amici e/o coetanei prima di acquistare un prodotto, in contrasto con il 14% che ancora fa affidamento sulla pubblicità. Fra i brand italiani del settore moda con maggiore esposizione mediatica attraverso i social network vogliamo ricordare:

Ferrari Diesel Gucci Prada D&G Armani Geox Bulgari

20 Si v. http://www.informaticapratica.com/cosa-sono-i-social-network-ed-a-cosa-servono/.

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Cifre da capogiro provengono da Facebook. Si contano:

� 400 milioni di utenti nel mondo; � in media 130 connessioni; � collegamenti con 60 pagine, eventi e gruppi; � un campione di 130 amici, che ha la capacità di raggiungere 16.900

utenti; � un brand con una base di 10.000 fan, che può arrivare ad includerne

un milione e mezzo; � una media del 10% del traffico web sulle pagine di Facebook per la

maggior parte dei retailers. L’utilizzo di media come Facebook è frutto di una programmazione che include i seguenti steps:

una fase iniziale di studio, a cui fa seguito la messa a punto di una strategia, che si concretizza in un piano marketing;

una seconda fase che ricalibra il piano marketing a seconda di quanto dettato dal mercato e da quanto emerso dalla rete;

una terza fase per disegnare una strategia ancora più efficace e conforme al gusto espresso dagli utenti, che sono fan di quel particolare brand o di uno specifico settore merceologico.

L’impiego di questi strumenti può considerarsi ottimale quando tiene conto di fattori quali l’abilità di gestire reclami da parte dei clienti, di influenzarne i gusti, di generare una clientela di base di una certa entità, di fornire un buon servizio clienti, di creare promozioni speciali e saldi e comunque in genere di incrementare le vendite. Accanto a Facebook, vanno ricordati i blogs, i c.d. “image network” come Youtube o Flickr, i social network come Twitter e MySpace, i social network a scopo di business quali LinkedIn e Plaxo, i mercati virtuali come Craigslist e eBay, i peer-to-peer network come BitTorrent, i mondi virtuali come Second Life, o anche le applicazioni/software per i telefoni cellulari di nuova generazione. Importante per la crescita commerciale dei social network anche l’avvento nel 2009 dei “vanity URLs”, vale a dire di un indirizzo Facebook personalizzato che si basa sul nome registrato dell’utente e sulla sua capacità di raggiungere un certo numero di amici. Per esempio, digitando www.facebook.com/gucci si accede immediatamente alla pagina Gucci. Dati significativi anche per il secondo social network, Twitter, che ha lungamente superato MySpace: 106 milioni di utenti che inviano al giorno 55 milioni di messaggi (Tweets) di una lunghezza massima di 140 caratteri! Twitter utilizza anche il sistema della pubblicità “pay-per-click”, vale a dire l’invio di Tweets pubblicitari che promuovono prodotti posizionati nelle pagine risultanti da una ricerca21.

21 Si v. http://support.twitter.com/entries/142101-promoted-tweets

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Interessante, per i brand della moda, l’uso di “Apps” (applicazioni) sull’iPad o sullo iPhone, che richiedono l’individuazione del target di consumatori ai quali la pubblicità intende rivolgersi e, nel contempo, la maestria da parte degli utenti nell’uso delle nuove tecnologie interattive multimediali.

Ruolo dei social network nella contraffazione Per non diventare vittime di fenomeni contraffattori anche attraverso i social media o i mondi virtuali, è importante capire bene i meccanismi di comunicazione e di pubblicità ed approntare le misure giuste per prevenire i possibili illeciti e/o arginarne gli effetti. Con l’espandersi di queste piattaforme dove i contenuti, altresì protetti dai diritti di copyright o dai diritti sul marchio, vengono messi a disposizione di un grandissimo bacino di utenti, diventa essenziale ritenere il controllo sul flusso di informazioni e sul know-how da divulgare. Ad esempio, la casa di moda DKNY, del gruppo Donna Karan, famosa stilista Usa, pur consentendo l’uso del marchio nel negozio virtuale su Second Life, ha ritenuto opportuno tutelarne i diritti, presentando domanda di deposito ed ottenendo la registrazione del marchio il 16 febbraio 2010. Da notare come nella descrizione della classe di beni o servizi, si legga quanto segue: “servizi di intrattenimento, vale a dire, utilizzo on line, non scaricabile, di capi di abbligliamento virtuali per uso esclusivo nell’ambiente virtuale e nei soli negozi virtuali”22. Nella strategia della casa di moda Usa si delinea, pertanto, l’esigenza di tutelare il proprio brand attraverso gli strumenti normativi a disposizione ma, al contempo, di essere presenti sui nuovi mercati virtuali. Da non sottovalutare anche che si tratta di meccanismi che si evolvono continuamente e che i contraffattori sono sempre alla ricerca di mezzi più efficaci per eludere i sistemi di controllo. La sfida per i titolari dei brand di moda è quella di mantenere l’integrità del prodotto e del suo “good will” (avviamento aziendale) con pressanti azioni di ispezione e verifica rivolte anche alla salvaguardia del consumatore che può cadere inconsapevolmente vittima di illeciti. Il marketing attraverso i social network ed i media interattivi consente di raggiungere un target di consumatori quasi a costo zero per le aziende. D’altra parte, l’incertezza sulle identità create appositamente per il commercio elettronico e la non rintracciabilità di persone fisiche solleva questioni di sicurezza e di privacy non solo per le aziende ma anche per i consumatori finali. Gli sforzi delle aziende del settore moda debbono tener conto delle strumentalizzazioni negative dei social network da parte dei contraffattori. Alcuni esempi possono essere la promozione di prodotti falsi sugli spazi pubblicitari di Google e/o di Facebook, dove è possibile “taggare” la merce contraffatta nelle foto condivise in rete tra gli amici e le comunità virtuali, o anche notificare agli utenti la reperibilità di merce contraffatta tramite aggregatori di informazione quali i feed RSS23.

22 Si v. http://tess2.uspto.gov/bin/showfield?f=doc&state=4006:vtglll.2.23, dove si legge, inter alia, “Entertainment services, namely, providing online, non-downloadable virtual clothing for use in virtual environments, and specifically in virtual retail stores”. 23 Si v. http://www.spaghettiwordpress.com/2008/05/finalmente-spiegato-cose-un-feed-rss/, dove i feeds RSS vengono definiti come “un sistema per la distribuzione di contenuti (soprattutto post di blog o articoli/news) attraverso Internet”.

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A titolo esemplificativo, si valuti l’impatto che può avere un messaggio su Twitter, come quello di cui sotto:

Il contraffatore di turno pubblica un Tweet sviante fingendosi un distributore autorizzato e indirizza l’utente ad una pagina Web su cui, accanto a prodotti dai prezzi congrui, vende una borsa “Prada” a $28.00! (la foto in alto, a destra).

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI

PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4. 9 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Settore Agro-alimentare: il mercato dei prodotti italiani negli USA

Nel 2009, da un’elaborazione dei dati statistici forniti dallo US Department of Commerce, le esportazioni negli Stati Uniti dei prodotti italiani del comparto agro-alimentare, compresi i vini, hanno sfiorato il valore di 3,108 miliardi di Euro e le previsioni, ad agosto 2010, hanno evidenziato un trend positivo, con un incremento di circa il 4%. Una lieve ripresa, dopo il generale indebolimento registratosi nel 2009, in linea con la flessione dei consumi che ha fatto seguito alla crisi finanziaria esplosa nel 2008. La crisi ha colpito in modo particolarmente significativo la fascia alta del mercato delle specialità alimentari, nella quale rientrano la maggior parte dei prodotti importati dall’Italia. I prodotti alimentari italiani più diffusi negli Stati Uniti sono l’olio di oliva, i formaggi, le paste, i prosciutti, le acque minerali che collocano l’Italia come primo paese fornitore per queste categorie di beni.

Nonostante una certa contrazione negli acquisti, il mercato statunitense del settore alimentare vale 60 miliardi di dollari USA - di cui il 5,5% è costituito da prodotti importati dall’Italia – e si rivolge a 138 milioni di consumatori; il 46% è rappresentato da compratori di fascia medio alta. Un sondaggio condotto dalla rivista Specialty Food nel luglio 2010 ha rilevato, inoltre, che i prodotti italiani sono al primo posto tra gli acquisti dei consumatori americani di specialita’ straniere. Si tratta di una fascia di consumatori localizzata prevalentemente nel Nord-Est degli Stati Uniti che costituisce il maggior mercato attuale e potenziale per le esportazioni italiane di prodotti agro-alimentari. È da sottolineare che dopo i Paesi UE, gli Stati Uniti sono la principale destinazione del Made in Italy agro-alimentare. Nel 2009, sempre secondo le statistiche ufficiali dello US Department of Commerce, l’Italia si è collocata al 5 posto tra i principali paesi fornitori, dopo Canada (20,522 miliardi di $US), Messico (12,441 miliardi di $US), Cina (4,486 miliardi di $US) e Tailandia (3,266,48 miliardi di $US); posizionamento che sarebbe ben diverso e che deve tener conto dell’attacco alle specialità italiane alimentari da parte dei prodotti Italian Sounding, che rallentano la crescita dell’export italiano negli Stati Uniti. Con il termine Italian Sounding si intende quel fenomeno di contraffazione imitativa diffuso negli Stati Uniti relativo ai prodotti alimentari Made in USA che, attraverso l’utilizzo di parole, colori, immagini e riferimenti geografici sulle etichette e sulle confezioni, inducono il consumatore americano ad associare erroneamente il prodotto locale a quello italiano. È un aspetto che assume rilevanza, in particolare alla luce delle criticità del mercato, perchè può influenzare le scelte dei consumatori americani, tra cui quelli che avevano iniziato ad apprezzare l’autentico italiano, inducendo quest’ultimi a scegliere imitazioni domestiche o anche provenienti da altri paesi, accessibili a costi più bassi.

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI

PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4. 10 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Il mercato dei prodotti Italian Sounding

La presente disamina sul mercato dei falsi italiani del comparto agro-alimentare negli Stati Uniti, i c.d.. prodotti Italian Sounding, non tiene in considerazione il settore dei vini poichè trattasi di un prodotto ben assestato sul mercato USA - e da lungo tempo - anche per la pressione che le aziende ed i produttori vinicoli italiani ed europei sono riusciti ad esercitare per ottenere una tutela più ampia. Infatti i vini sono stati oggetto di un accordo specifico fra l’Unione Europea e gli Stati Uniti (Accordo Enologico), entrato in vigore con decisione del Consiglio 2006/232/CE. Nota stonata dell’Accordo Enologico appena citato è rappresentata dalla categoria di vini considerati “semi-generic”, che include denominazioni prestigiose come Marsala e Chianti. Secondo la normativa statunitense, nella predetta categoria ricadono i nomi di vini che evocano sia un abbinamento tra vino e zona di provenienza, che una tipologia di prodotto completamente scollegata dal territorio richiamato dal nome stesso. Sulla base di siffatta interpretazione, gli Stati Uniti giustificano la produzione e commercializzazione sul proprio territorio di vini contrassegnati da nomi che, da un punto di vista europeo, sono sicuramente indicazioni geografiche. In sintesi, il consumatore che acquista il Chianti della California è a conoscenza che si tratta di un vino tipologia “Chianti” ma che viene prodotto negli Stati Uniti. È da evidenziare inoltre che liquori e vini negi Stati Uniti vengono commercializzati in punti vendita dedicati e/o enoteche e che l’esposizione dei prodotti viene effettuata in base alla provenienza geografica, proprio allo scopo di non confondere il consumatore. Al contrario, il fenomeno dell’Italian Sounding tocca in modo preponderante tutte le altre categorie e si manifesta appunto con messaggi evocativi all’italianità attraverso l’utilizzo di diciture, colori, nomi che possono avere aspetti svianti sugli acquisti del consumatori, anche laddove sia indicato come luogo di produzione gli Stati Uniti. Ad aggravare il tutto è anche l’aggettivazione geografica delle etichette con riferimenti a noti luoghi italiani, accompagnate da espressioni quali “genere”, “del tipo..”, “stile..”, “imitazione di ..”, “secondo la tradizione..”, “secondo la ricetta tipica..” e simili nelle parti descrittive dei prodotti agro-alimentari. È bene sottolineare che quanto appena menzionato è considerato lecito e conforme alle normative statunitensi in materia di etichettatura. Il fenomeno trova le sue origini nell’apprezzamento da parte dei consumatori americani del cibo italiano e nella necessità di rispondere a tale domanda da parte di aziende statunitensi, spesso create da italo-americani e assorbite successivamente da multinazionali.

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Queste ultime sono state capaci di attivare politiche di distribuzione e di marketing aggressivo, agevolate anche da un sistema di protezione del marchio diverso da quello vigente in Italia ed in Europa, e sono divenute temibili concorrenti degli esportatori italiani, conquistando quote di mercato rilevanti negli USA. In sintesi, il sistema di produzione di prodotti imitativi è costituito da:

Piccole e piccolissime aziende, tipiche della tradizione americana, a diffusione locale (sono da considerarsi quelle che offrono esempi di fake più fantasioso e grossolano ma per certi versi anche più dannosi all’immagine dei prodotti autentici italiani);

aziende di medie dimensioni a diffusione nazionale come Bel Giososo, Primo Taglio, Pollyo, Progresso, Sorrento;

aziende controllate da multinazionali come Nestlè, Kraft, Heinz, General Mills, Campbell.

I prodotti italiani più imitati ed esposti nei supermercati americani sono, diversamente da quanto accade nel comparto della moda, quelli dove non vi è importazione poichè vengono prodotti in loco. Il Wisconsin è lo stato dove si produce il più alto numero di imitazioni di prodotti italiani, in particolare i formaggi. Le categorie più colpite sono:

formaggi, in particolare quelli tipici pasta, alimentare e fresca sughi per pasta pomodori pelati e conserve di pomodori olio d’oliva aceti salumi e affettati

Una stima elaborata da uno studio della MRA (Management Resources of America) sul fatturato aggiuntivo che le aziende italiane potrebbero ottenere, se riuscissero ad aumentare le quote di export dell’autentico italiano, assorbendo completamente quelle sui prodotti Italian Sounding, quantifica un aumento del giro d’affari che duplicherebbe il fatturato all’esportazione. Nel riquadro che segue sono rappresentate le confezioni di prodotti alimentari made in USA e non solo, commercializzati negli Stati Uniti, che sono testimonianza del fenomeno di imitazione evocativa a cui sono sottoposte le aziende italiane del settore.

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Esempi di prodotti Italian Sounding “Made in Usa”

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I Prodotti DOP/IGP e Italian Sounding

Un’altra questione problematica riguarda la difficoltà da parte dei titolari di prodotti DOP/IGP24 ad ottenere tutele giuridiche più ampie da parte dello USPTO (US Patent & Trademark Office), l’agenzia federale che rilascia brevetti e marchi, sulla base di quanto previsto dalla normativa statunitense. Come è noto, in Italia, la normativa sulle indicazioni geografiche riflette il dettato comunitario e, a seguito dell’approvazione del codice di proprietà industriale (D.L. 30/2005) e successive modifiche, gli istituti delle DOP/IGP sono divenuti a tutti gli effetti titoli di pi. L’ottenimento di un’indicazione geografica presuppone da parte dei consorzi un investimento economico, il rispetto di un disciplinare di produzione e il controllo di tutto il processo di lavorazione da parte degli organi competenti, a testimonianza della qualità, tipicità e vocazione territoriale del prodotto tutelato. Va evidenziato che l’Italia per questa categoria di prodotti guida la classifica dei paesi a cui l’Unione Europea ha concesso più DOP e IGP, con 215 riconoscimenti e che la quota di quest’ultimi, sulle esportazioni italiane negli Stati Uniti, ha un peso rilevantissimo. I prodotti più esportati sono sicuramente quelli più blasonati come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Prosciutto di Parma, che giocano un ruolo da leone; tra le categorie, i formaggi e i prodotti a base di carne. Nella visione Usa, le indicazioni geografiche non hanno una collocazione a sè nel panorama giuridico, rientrano bensì nella normativa a disciplina dei marchi. È, infatti, opportuno segnalare come a diversi prodotti italiani targati DOP/IGP sia stato negato il riconoscimento del certification mark (che può considerarsi la “risposta americana” alle indicazioni geografiche in senso comunitario) con la motivazione che l’indicazione geografica è considerata nome generico e quindi non tutelabile. (Un’espressione o un segno sono definiti generici quando il loro uso sia talmente diffuso da indurre il consumatore a considerarlo come una categoria che comprende tutti i beni o i servizi dello stesso tipo, piuttosto che una designazione di origine geografica). Questo comporta che i produttori italiani di DOP/IGP, impossibilitati a rivendicare le peculiarità dei propri prodotti attraverso una tutela maggiore negli Stati Uniti, si trovino a competere con prodotti made in USA che hanno lo stesso nome (a causa dell’Italian Sounding) ma non le stesse caratteristiche di qualità. A titolo di esempio, si prenda il formaggio Asiago (prodotto DOP): nel Winsconsin è prodotto un formaggio con lo stesso nome che è commercializzato come Asiago Cheese. Inoltre, proprio il non riconoscimento di alcune peculiarità esclusive del prodotto, che ne costituiscono la componente di valore, contribuisce alla diminuzione del valore stesso del prodotto sul mercato. Questa distorsione del mercato, a sua volta, crea di fatto una situazione di “concorrenza sleale”, che è evidenziata nelle tabelle a seguire, in cui sono messi confronto i prodotti Italian Sounding e prodotti DOP/IGP, distinti per tipologia e relativi prezzi al consumo.

24 DOP e IGP stanno rispettivamente per Denominazione di Origine Protetta e Indicazione Geografica

Protetta

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Immagini di Prodotti DOP autentici e la relativa versione Italian Sounding

Prodotto Italiano DOP

Versus Imitazione Americana “Italian Sounding”

San Marzano DOP v.

San Marzano Italian Sounding

Asiago DOP v. Wisantigo “Asiago

Cheese"

Gorgonzola DOP v.

Combonzola

Parmigiano Reggiano

v. Parmesan

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Le immagini proposte riguardano i prodotti italiani DOP e i rispettivi prodotti Italian Sounding commercializzati in famosi negozi di specialità alimentari e supermaket a New York. I punti vendita presi in considerazione sono localizzati in aree newyorkesi (Upper-East Side) dove il target del consumatore corrisponde all’acquirente di fascia medio-alta, in grado di apprezzare le specialità alimentari italiane e riconoscere al cibo italiano un posto di rango. Eppure, osservando le immagini dei prodotti DOP ed Italian Sounding può apparire difficile al consumatore “ignaro” fare una distinzione tra l’autentico e il falso, se non è in grado di intepretare l’etichettatura sulle confezioni o non sa ancora riconoscerne il gusto. Quindi, laddove può esistere confusione, il fattore prezzo diventa determinante. Nel grafico che segue vengono messi a confronto, , a titolo di esempio, i prezzi al consumo di alcuni prodotti Dop ed Italian Sounding per la stessa categoria, con prevalenza di esempi sui formaggi che sono i prodotti più colpiti. Prodotto DOP costo Imitazione Italian

Sounding costo Diff.

Parmigiano Reggiano DOP sfuso

15.99 Parmigianito Argentino sfuso 7.99 +8 $

Parmigiano Reggiano DOP confezionato “Ambriola”

16.99 Parmesan Cheese Bel Gioioso confezionato

12.99 +4 $

Australian Parmesan Cheese Millel confezionato

12.99 +4$

Reggiano Parmesan “Gran Cello” confezionato

9.99 +7$

Pomodori San Marzano DOP* 4.79-5.49 Pomodori San Marzano I.S.* 3.79-3.99 ca.+1 $ Asiago DOP 13.99-17.80 Asiago Cheese Bel Gioioso 9.99-12.99 Ca. +5 $ Asiagno Cheese Stella 9.99 Grana Padano DOP 11.99-12.99 American Grana Bel Gioioso 9.99 +3 $ Gorgonzola DOP (dolce e piccante)

12.99-15.80 Gorgonzola Cheese 12.99 Ca. +3 $

* Barattolo da un Kg. Costo relativo ad 1 pound (453,5 gr) di prodotto in US$ Appare evidente la differenza di prezzo al consumo tra le due categorie di prodotto, laddove l’autentico italiano deve competere con prodotti che utilizzano le stesse denominazioni, venduti però a costi sensibilmente inferiori.

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Relativamente ai prodotti DOP/IGP si registra, in senso positivo, l’aumento di confezioni di prodotti con apposti i relativi loghi comunitari, in particolare tra gli aceti balsamici di Modena sia DOP che IGP, la mozzarella di bufala campana e i pecorini (Sardo e Toscano) allo scopo di rendere più distinguibile l’autentico italiano dal prodotto Italian Sounding. Va menzionato, inoltre, un dato importante sotto l’aspetto commerciale sull’Asiago, il quarto formaggio italiano DOP di latte di vacca, che nonostante la concorrenza sleale dell’Asiago Cheese prodotto in Wisconsin, è riuscito ad entrare nel paniere di prodotti di Wal Mart, colosso della grande distribuzione statunitense.

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4. ARTICOLAZIONE DEL MERCATO DEL FALSO DEI PRODOTTI ITALIANI NEGLI USA

4.11 Comparti merceologici italiani maggiormente coinvolti

Altri settori residuali: ceramica, farmaceutica e meccanica

Dall’attività di assistenza fornita dall’IPR Desk di New York ad imprese italiane sono emersi 2 episodi di contraffazione nel settore della ceramica e della lavorazione del vetro. Entrambi rientrano in una fascia di prodotti dove il lavoro artigianale spesso si mescola alla maestria di antica tradizione tanto da creare delle vere e proprie opere d’arte. Il caso più eclatante ha riguardato le ceramiche del Comune di Deruta. Si tratta di un marchio che sebbene negli Stati Uniti sia anche protetto come certification mark (ma non è stato ancora registrato presso le dogane statunitensi) è sottoposto al fenomeno della contraffazione di provenienza cinese, sia sul mercato fisico che su quello virtuale. In Cina è stato creato un distretto che si chiama Deruta, proprio come il famoso comune italiano, che produce ceramiche designate “Deruta CE”, (dove il CE sta per China Export) con l’intento di ingannare i consumatori. Questi prodotti trovano anche uno sbocco nel mercato del Nord-America, destinatario ultimo degli stessi. Le segnalazioni hanno riguardato la commercializzazione di prodotti del famoso brand attraverso la casa d’asta eBay; non erano riproposti i disegni caratteristici delle ceramiche Deruta ma ne veniva riportato il marchio. Anche su alcuni siti, quali www.williams-sonoma.com/ e www.surlatable.com/, sono stati rinvenuti messaggi ed immagini promozionali relativi a presunte ceramiche Deruta. Nel caso di Sur la Table, è stato constatato che la vendita di queste ceramiche di dubbia provenienza avviene anche nella sede fisica di New York della catena di articoli per la casa. Nell’immagine sottoriportata è da notare l’associazione della parola style a Deruta e il fuorviante messaggio promozionale.

Deruta-Style Rooster Pitcher

Inspired by the Umbria region of Italy, our Deruta -style collection is crafted in a style that dates back to the Renaissance.

Fonte: www.surlatable.com/

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Uno dei settori più colpiti dal fenomeno della contraffazione negli Stati uniti è anche quello della farmaceutica. Una delle peculiarità del commercio di medicinali contraffatti è che ha prevalentemente luogo su Web, dove è più semplice ingannare i consumatori. Non sono stati rilevati casi che hanno colpito case farmaceutiche italiane ma va evidenziato il programma di cooperazione internazionale per la lotta alla contraffazione su Web che coinvolge l’agenzia statunitense FDA (Food and Drug Administration) ed il nucleo italiano dei NAS. In concreto, si tratta di un progetto in fase di realizzazione, che riguarda un modulo formativo realizzato dalla FDA, tarato su metodi e strumenti utilizzati per contrastare il commercio di farmaci contraffatti su Web, da condividere con altri organismi stranieri preposti ad attività di enforcement. Secondo un rapporto dell’OCSE del 2008, che cita le stime della US Federal Trade Commission, il mercato mondiale del contraffatto relativo al settore dei pezzi di ricambio per autovetture, ha toccato i 12 miliardi di dollari USA, di cui 3 miliardi soltanto negli Stati Uniti. I pezzi più contraffatti sono: i filtri (30%), gli accessori (25%), i freni e le candele (20%) e altri componenti (25%). Sempre nel rapporto vengono indicati i centri di produzione di pezzi contraffatti, tra questi la Cina (90%) e a seguire Turchia, Russia, paesi dell’America Latina. Il Nord-America è l’area che assorbe in modo rilevante il contraffatto dei pezzi di ricambio per autovetture. Non si registrano attività illecite ai danni delle aziende italiane del settore, anche se va ricordato il tentativo cinese di riprodurre la Ferrari, esibito come esempio eclatante di imitazione ad un evento svoltosi a New York nel 2009, dedicato alla lotta alla contraffazione, supportato dall’IPR Desk di New York. Ferrari falsa

Fonte: foto di Authentics Foudation

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5. LE MISURE DI DIFESA

Le misure legali, gli strumenti di enforcement e le pratiche marketing

In sintesi, cosa fare per difendere i propri prodotti da possibili contraffazioni negli Stati Uniti? In primis, le aziende italiane operanti sul mercato Usa devono evitare fuoriuscite incontrollate dei propri prodotti che possano alimentare i mercati paralleli e/o della contraffazione.

Il punto di partenza per qualsiasi azienda che intenda approntare un sistema organico di tutela deve incentrarsi sulla protezione giuridica, sull’adozione di misure di enforcement e sull’analisi delle motivazioni di acquisto che spingono il consumatore di quella tipologia di beni a comprare quel particolare brand.

Per avere un quadro chiaro di ciò è necessario mettere in atto dapprima una serie di misure legali che rafforzino le azioni di contrasto, in particolare attraverso:

la registrazione del marchio aziendale presso lo USPTO e presso le dogane statunitensi;

la stipula, sempre, di un accordo di distribuzione dove siano definite le modalità di uso del marchio e la titolarità del diritto sullo stesso;

inserimento della clausola Shrik wrap agreement25 negli accordi di licenza;

l’invio di una lettera di cease and desist26, in caso di truffa conclamata, come primo passo necessario per bloccare le violazioni in corso.

Quanto all’e-commerce, i contraffattori intervengono su Internet acquistando non solo le parole chiavi ma anche occupando illegalmente gli spazi vuoti non coperti dal prodotto originale; è dunque consigliabile per le aziende assicurarsi una certa presenza sui principali domini.

Si suggerisce inoltre alle aziende italiane presenti su Web di intensificare le attività legali di contrasto, ma anche di premunirsi, per poter rispondere tempestivamente alle nuove sfide poste dall’e-commerce. La reattività delle imprese alle azioni di siti

25 Si v. http://www.legalmatch.com/law-library/article/shrink-wrap-agreements.html. Con il termine ad

arte shrink wrap agreement vale a dire contratto nella pellicola di plastica, ci si riferisce a quei contratti di acquisto che sono racchiusi all’interno di prodotti da spedizione e che contengono I termini ele condizioni contrattuali. L’aspetto problematico di questi contratti consiste nel fatto che spesso il consumatore non divenga familiari con le condizioni contrattuali finquando non abbia aperto la confezione. 26 Per cease and desist letter si intende una lettera di intimidazione da parte dell’avvocato a cessare un'attività su cui altri vantano dei diritti.

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su cui avvengono vendite illegali di merci contraffatte rappresenta un punto dolente del sistema commerciale mondiale, poichè, considerate le conoscenze tecnologiche dei contraffattori, non è più attuabile internamente all’azienda ma necessita di personale esterno specializzato. Negli Usa infatti si sono fatte strada nuove società di consulenza tecnologica, capaci di offrire soluzioni preventive ad hoc, quali ologrammi e sistemi di autenticazione del prodotto, nonchè strumentazioni volte ad identificare siti illegali.

I contenziosi per la protezione del marchio sorti in rete spesso non sono risolvibili mediante l’invio di una lettera di cease and desist che interdisca la vendita di prodotti falsi e/o paralleli, anche se questa rimane la prima forma di contrasto ed il primo passo da intraprendere. La possibile mancanza di efficacia di questa azione scaturisce dalla velocità con cui i pirati del Web interagiscono in rete costruendo e smantellando in tempo luce negozi virtuali, laddove vengano identificati.

Oltre dunque alla sopracitata lettera, gli strumenti di enforcement basilari per la protezione su Web includono:

le investigazioni attraverso strumenti di ricerca immediati su Web che consentano di identificare tempestivamente i siti della contraffazione (es. i siti di dominio);

l’inserimento nel sito aziendale di una sezione che elenchi i siti su cui vengono presentati e commercializzati i prodotti contraffatti;

la ottimizzazione dei motori di ricerca: lo scopo è quello di collocarsi in cima alla lista dei primi siti che risultano dalle ricerche online, onde evitare divergenze degli utenti su siti illegali;

il posizionamento dei siti sui quali si va con più frequenza fra i “preferiti” così da non doverne digitare i nomi a dominio;

l’utilizzo di un motore di ricerca che adoperi la tecnologia anti-phishing27.

Per quanto concerne i siti d’asta, da più parti è stato sottolineato come, per evitare i problemi connessi alla dottrina del “First Sale”28 o delle licenze aperte, sia necessario assicurarsi che i beni siano legittimi, originali e non contraffatti, onde evitare casi quali il già citato Tiffany v. eBay.

È altresì importante, per la società licenziante, controllare gli accordi di licenza del bene (accordo di imballaggio e impacchettatura ovverosia Shrik wrap agreement). Ancora, nell’eventualità che si tratti di beni in saldo o svendita,

27 Si v. http://www.anti-phishing.it/archivio/checose.php. Con tale termine ad arte, o meglio con il termine antitetico phishing, si intende quella pratica illecita che consente all’internauta criminale di sottrarre dati personali e riservati all’utente ignaro che immetti tali informazioni credendo di trovarsi sul sito autentico e di essere protetto. 28 Si v. http://www.aallnet.org/committee/copyright/pages/issues/firstsale.html. Per dottrina del “first sale” o prima vendita, letteralmente tradotto, si intende un principio che si basa sulla normative del copyright, secondo cui la persona che ha acquistato un bene tutelato da registrazione può venderlo o ne può comunque disporre come meglio crede, sia pure soggetto a certe condizioni e con le dovute eccezioni (Section 109(a)).

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bisogna verificarne i termini e assicurarsi che il bene non possa essere rivenduto senza previo consenso dell’azienda produttrice.

A queste azioni bisogna affiancare le corrette pratiche marketing, come protocollo standard per ogni azienda che esporti all’estero e che intenda seriamente prevenire illeciti sul marchio, fattispecie di concorrenza sleale o anche casi di pubblicità falsa ed ingannevole.

Questi alcuni degli steps:

campagne educative rivolte ai consumers americani; inserimento nel sito aziendale di una sezione dedicata alla contraffazione con immagini ed informazioni per aiutare il consumatore a distinguere il prodotto autentico da quello falso;

sondaggi presso i consumatori per capirne le preferenze, per misurare i tempi e le modalità di acquisto;

monitoraggio delle pagine dei social network, dove vengono riportate impressioni, commenti critici e scambi di informazione sui prodotti;

auditing, intesi come controlli di qualità sulla filiera di produzione (dalla fabbrica di produzione ai controlli presso i punti vendita dei mercati esteri, p.e. esposizione dei prodotti) ma anche come revisioni contabili per accertare eventuali irregolarità.

Si vuole menzionare, infine, un ultimo tassello importante per le imprese italiane che siano intenzionate a prevenire e/o contrastare pirateria e contraffazione dei propri prodotti negli Usa. Si tratta della realizzazione di campagne promozionali attraverso pubblicità comparative, consentite dalla normativa Usa. Queste vanno affiancate a campagne di sensibilizzazione dei consumatori che si poggino sulla diffusione di informazioni relative agli attributi fisico/geografici e alle caratteristiche produttive del prodotto esportato, in particolare per quanto attiene ai prodotti del settore agroalimentare e vinicolo.

Ai consumatori, infine, si rivolgono i seguenti avvisi:

controllare lo dicitura corretta dei nomi italiani che spesso vengono erroneamente riportati nelle targhette dei prodotti scadenti;

controllare bene i dettagli del prodotto. Nel caso di capi di abbigliamento, bottoni, fibbie, chiusure lampo di bassa fattura o senza logo possono essere indicatori di un bene contraffatto;

controllare la confezione o imballaggio del prodotto, che nelle merci autentiche è spesso molto curata;

controllare le cuciture, nel caso di prodotti di vestiario, o gli ingredienti, nel caso di prodotti alimentari;

controllare il luogo di vendita dei prodotti, rivolgendosi soltanto ai negozi autorizzati o ai siti web ufficiali;

controllare il prezzo.

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