Rapporto finale Valutazione ex post dei PIT della Regione...

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Consorzio Metis Via Bonardi, 3 - 20133 Milano Rapporto finale Valutazione ex post dei PIT della Regione Puglia 2000-06 contratto rep. n. 011728 del 21.6.2010 30 giugno 2011 revisione di dicembre 2011

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Consorzio Metis – Via Bonardi, 3 - 20133 Milano

Rapporto finale

Valutazione ex post dei PIT della Regione Puglia 2000-06

contratto rep. n. 011728 del 21.6.2010

30 giugno 2011

revisione di dicembre 2011

Consorzio Metis – Via Bonardi, 3 - 20133 Milano

Sommario

INTRODUZIONE ............................................................................................................................................ 3

LA RISPOSTA ALLE DOMANDE VALUTATIVE: UNA SINTESI COMPLESSIVA .......................... 4

1 Tema A. La valutazione del modello di governance dei PIT ......................................................... 4

1.1 La domanda di ricerca ................................................................................................................... 4

1.2 Il processo di attuazione dei PIT: un percorso di multi-level governance ....................... 5

1.3 La funzionalità degli Uffici unici e il ruolo del PIT manager ................................................. 7

2 Tema B. L’efficacia delle azioni realizzate .......................................................................................... 9

2.1 La domanda di ricerca ................................................................................................................... 9

2.2 Uno sguardo d’insieme: una buona capacità realizzativa ................................................... 10

2.3 Una buona capacità di spesa ..................................................................................................... 11

2.4 L’esperienza dei PIA-PIT tra luci ed ombre .......................................................................... 14

2.5 I Master universitari: integrazione progettuale, mancata continuità ............................... 15

2.6 I Centri Servizi: infrastrutture senza gestione...................................................................... 16

2.7 Lo stato di funzionamento dei siti e dei portali ................................................................... 17

2.8 Conclusioni sull’efficacia realizzativa delle azioni................................................................. 18

3 Tema C. Le relazioni tra l’esperienza PIT e le altre esperienze di sviluppo locale .............. 19

3.1 La domanda di ricerca ................................................................................................................ 19

3.2 La discontinuità rispetto al passato ........................................................................................ 19

3.3 La capacità generativa dei PIT .................................................................................................. 21

4 Conclusioni e raccomandazioni ........................................................................................................ 24

4.1 Difficoltà e opportunità di una politica di sviluppo locality based ................................... 24

4.2 I PIT pugliesi: uno sguardo d’insieme ..................................................................................... 25

4.3 Il percorso di programmazione locale e la discontinuità della strategia ........................ 26

4.4 La coerenza interna dei progetti ............................................................................................. 28

4.5 La governance .............................................................................................................................. 29

4.6 Il partenariato .............................................................................................................................. 31

4.7 L’efficacia dei Progetti Integrati Territoriali .......................................................................... 32

4.8 Suggerimenti e raccomandazioni ............................................................................................. 33

5 LE FONTI DI INFORMAZIONE ...................................................................................................... 36

6 LA VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DEL SERVIZIO ............................................................ 40

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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INTRODUZIONE

Questo rapporto è stato redatto sulla base delle indicazioni e specificazioni all’Offerta tecnica

avanzate nella riunione di kick off del progetto, realizzata il 1° luglio 2010, del primo incontro

con lo Steering group dei PIT, il 7 settembre 2010, e del secondo incontro con lo Steering

Group, avvenuto il 7 marzo 2011. I documenti realizzati dal Consorzio Metis sono l’Inception

report del progetto (9 settembre 2010); il Rapporto intermedio (15 febbraio 2011); il presente

Rapporto finale. Questo Rapporto è stato presentato allo Steering group dei PIT il 26

settembre 2011.

Questo Rapporto finale assume le conclusioni contenute nel Rapporto intermedio, cui si

rimanda per alcuni aspetti di dettaglio, e fornisce un’esplicita risposta alle domande valutative

contenute nel bando di gara, ed in particolare:

Tema A. La valutazione del modello di governance dei PIT

Tema B. L’efficacia delle azioni realizzate

Tema C. Le relazioni tra l’esperienza PIT e le altre esperienze di sviluppo locale.

Gli approfondimenti si basano sulle informazioni raccolte nella ricostruzione preliminare dei

dieci casi di studio contenuta nei Dossier PIT, già forniti in prima bozza nel Rapporto

intermedio, e su ulteriori approfondimenti di seguito specificati.

La struttura del rapporto è la seguente.

La prima parte contiene una sintesi della risposta alle domande dei tre Temi di valutazione: il

capitolo 1 sintetizza le conclusioni del Tema A (si veda anche l’Allegato I); il capitolo 2

sintetizza la valutazione del Tema B (si vedano gli Allegati II, III, IV, V); il capitolo 3 sintetizza la

risposta al Tema C (si veda l’Allegato VI). Segue un capitolo dedicato alle conclusioni e alle

raccomandazioni (capitolo 4). I capitoli 5 e 6 contengono rispettivamente l’elenco delle fonti

informative e l’autovalutazione della qualità del servizio. Tutti i capitoli hanno come base

informativa comune l’Allegato VII costituito da 10 Dossier sui PIT pugliesi, realizzati con la

metodologia degli studi di caso.

La documentazione di approfondimento è fornita in una serie di Allegati così composti:

Allegato 1. Tema A. La valutazione del modello di governance dei PIT (report

complessivo)

Allegato II. Lo strumento PIA-PIT

Allegato III. I master universitari

Allegato IV. La realizzazione e l’implementazione dei centri servizi nei PIT

Allegato V. Lo stato di funzionamento dei siti e dei portali

Allegato VI. Le relazioni tra l’esperienza PIT e le altre esperienze di sviluppo locale

(report complessivo)

Allegato VII. Dossier PIT (documento aggiornato).

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LA RISPOSTA ALLE DOMANDE VALUTATIVE: UNA SINTESI

COMPLESSIVA

1 TEMA A. La valutazione del modello di governance dei PIT

1.1 La domanda di ricerca

La valutazione del modello di governance (vedi Allegato I) costituisce il primo degli

approfondimenti richiesti dalla domanda di valutazione e ha visto un preliminare

approfondimento in occasione del Rapporto intermedio di valutazione (Consorzio Metis,

Valutazione ex post dei PIT della Regione Puglia 2000-06. Rapporto intermedio, 15 febbraio

2011).

Le principali domande di valutazione in questo ambito erano così formulate:

Le modalità organizzative prescelte si sono rivelate adeguate alla finalità, agli obiettivi

del PIT e ai compiti operativi assegnati all’Ufficio Unico?

Il processo di attuazione dei PIT ha condotto ad un effettivo decentramento di

funzioni, di poteri decisionali e responsabilità ai livelli istituzionali più vicini al

territorio? Con quali effetti?

La risposta alle domande di valutazione viene fornita traendo le informazioni da tre

approfondimenti:

Il primo è costituito dalla ricostruzione delle vicende attuative realizzata nell’ambito dei

Dossier PIT, già forniti in allegato al Rapporto intermedio e qui riproposti in versione

aggiornata (Allegato VII);

Il secondo è costituito da un approfondimento sulla funzionalità dell’Ufficio unico e

l’adeguatezza del suo assetto organizzativo in funzione del raggiungimento degli

obiettivi del PIT. L’approfondimento è stato realizzato sulla base di interviste a

testimoni privilegiati (referenti istituzionali di livello locale, esponenti del partenariato

socio economico, referenti regionali), in parte già interpellati per il rapporto

intermedio ed in parte ricontattati tra marzo e maggio 2011, e sulla base della

documentazione fornita dagli uffici unici; per i dettagli si rimanda all’Allegato I.

Il terzo è costituito da un’analisi dei profili di competenza, delle esperienze pregresse e

del ruolo esercitato dai PIT manager di alcune delle esperienze più significative,

individuati in accordo con lo Steering group PIT ed intervistati sulla base di un

questionario a risposte aperte. Si veda ancora l’Allegato 1.

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1.2 Il processo di attuazione dei PIT: un percorso di multi-level governance

L’assetto previsto dalla Regione Puglia per l’attuazione dello strumento PIT ha permesso di

attivare un’interlocuzione molto significativa e concentrata, prevalentemente, tra due

livelli istituzionali: il livello regionale e quello locale.

Il sistema prevedeva un quadro di regole definito a livello regionale, ma anche un’attribuzione

effettiva di ruoli e potere decisionale alle amministrazioni locali. A livello regionale, è stata

attivata un’azione di coordinamento svolta sia tramite l’Ufficio PIT, creato in seno al Servizio

Programmazione e politiche dei Fondi Strutturali, sia tramite la definizione di procedure e

modalità di coordinamento tra le diverse strutture ed organismi impegnati nel processo di

progettazione integrata (ad esempio, responsabili di misura; Nucleo di valutazione e verifica

degli investimenti pubblici).

L’Assemblea dei sindaci per la fase di programmazione, e l’Ufficio Unico per quella di

attuazione, costituiscono gli elementi principali della governance a livello territoriale.

A livello Regionale, è stata allestita una Struttura PIT collocata all’interno del Settore

Programmazione ed in stretto raccordo con l’Autorità di gestione del POR Puglia 2000-2006,

dedicata al coordinamento dell’intero processo della progettazione integrata territoriale.

Principali interlocutori dei PIT a livello regionale erano inoltre costituiti dai Responsabili di

Misura del POR 2000-06, e dal Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici con

compiti diretti nel percorso di approvazione delle iniziative.

I compiti reciproci che impegnavano gli Enti locali e la Regione sono stati definiti nell’ambito di

Accordi tra amministrazioni. Le modalità organizzative per la realizzazione dei PIT e per la

collaborazione tra Enti a livello locale, incluso il riparto delle risorse a supporto del PIT, sono

state oggetto di specifiche convenzioni. L’Ufficio unico doveva in particolare occuparsi del

supporto alla progettazione e dell’implementazione delle azioni facenti capo alle misure del

POR 2000-06 delegate al livello locale (in particolare le misure 4.2 relative ad interventi

infrastrutturali, e le misure 6.2, azioni b/c). Per le opere infrastrutturali (misura 4.2 del POR

2000-06) l’Ufficio unico aveva tra suoi compiti quello di verificare la conformità dei progetti

predisposti ed approvati dai singoli comuni convenzionati, nominare i responsabili unici dei

procedimenti, controllare la documentazione relativa agli stati di avanzamento, i certificati di

regolare esecuzione/collaudo, monitorare e rendicontare la spesa.

L’Ufficio unico doveva inoltre fornire indicazioni agli Uffici regionali nella predisposizione dei

bandi relativi ai regimi di aiuto ed alle attività formative, iniziative la cui attuazione rimaneva a

titolarità regionale. Questa interlocuzione tra livello regionale e locale è stata effettiva durante

la fase di programmazione delle iniziative. Questo si è tradotto nella possibilità, per le

amministrazioni locali coinvolte nel percorso di programmazione, di contribuire alla

definizione dell’idea di sviluppo del territorio e, in quella attuativa, di partecipare alla

definizione dei criteri di selezione delle misure mantenute in capo alla regia regionale.

In modo ancora più evidente, la delega di poteri al territorio si è concentrata su quelle misure

del POR affidate alla diretta attuazione del livello territoriale. Ciò ha riguardato, in particolare,

le azioni inerenti le operazioni infrastrutturali, e alcune operazioni sui temi della società

dell’informazione, dell’internazionalizzazione e della integrazione. I progetti esecutivi su questi

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temi sono stati sviluppati a livello locale, pur all’interno di una costante, anche se spesso

faticosa, interlocuzione con il livello regionale e con il NVVIP.

In sostanza, tutto il percorso di programmazione ha visto ripetuti momenti di confronto tra il

livello regionale e quello territoriale, ha favorito il mantenimento di un buon livello di coerenza

delle iniziative rispetto all’idea strategica inizialmente stabilita e, in alcune occasioni, ha

supportato la soluzione di problemi più o meno gravi che avrebbero potuto bloccare il

percorso a livello locale (si pensi ad esempio alla crisi determinata dal dissesto finanziario del

Comune di Taranto).

Questo percorso ha senza dubbio costituito un arricchimento reciproco per gli attori in

gioco ma si è tradotto, anche, in tempi decisamente lunghi per l’avvio dell’attuazione:

le fasi di programmazione dei PIT (calcolando nel complesso il tempo intercorso tra l’avvio

delle operazioni del Programma Operativo, entro cui si inscrive lo strumento PIT, e

l’approvazione definitiva dei Programmi di azione da parte della Regione) e di avvio delle

strutture di gestione (vale a dire, il tempo intercorrente perché a livello locale fossero

attrezzate ed entrassero in operatività le strutture di gestione dei Programmi PIT, includendo

in questo periodo anche i tempi necessari alla progettazione esecutiva degli interventi a

gestione diretta degli Uffici Unici) hanno richiesto circa il doppio del tempo poi rimasto per

mettere in opera le decisioni prese: in definitiva, il tempo effettivamente dedicato

all’attuazione delle iniziative si è condensato tra il 2006 ed il 2009, con alcune “code”

nell’anno successivo. In effetti, solo due Uffici unici hanno avviato alcune attività significative

(pubblicazione di bandi o approvazione di progetti esecutivi di una qualche complessità) nello

stesso anno della firma degli accordi tra amministrazioni. Questi tempi sono, inoltre,

decisamente superiori alle scadenze inizialmente immaginate per la conclusione delle attività

allocate ai PIT: i tempi per la conclusione delle operazioni, secondo i programmi iniziali della

Regione, erano infatti previsti a luglio 2006 per la realizzazione delle opere pubbliche, a

settembre 2007 per le azioni a valere sulla misura 6.2.

La diluizione dei tempi di programmazione e avvio delle strutture di implementazione, a scapito

dei tempi disponibili per la realizzazione e rendicontazione dei progetti, ha influenzato in modo

significativo alcune scelte a livello territoriale. A questo si aggiunge il cambio di strategia a

livello regionale, a seguito anche di riflessioni e cambi di rotta a livello nazionale ed europeo.

Nel 2005 l’esperienza dei PIT si prospettava, secondo molti interlocutori, come un caso di

fallimento; i ritardi nella conclusione degli Accordi tra amministrazioni mettevano in dubbio la

capacità di spesa di una parte delle risorse POR e, d’altra parte, avevano reso più complessi i

rapporti della Regione con alcuni degli Enti locali di maggiore dimensione.

Una nuova strategia, più dei PIT orientata da un approccio “bottom up”, sembrava pertanto

necessaria e nel 2005 furono varate le Aree Vaste, basate sulla predisposizione di piani

strategici e sulla possibilità di dare vita a nuove alleanze territoriali. Questa sovrapposizione ha

tuttavia ridotto e in più casi annullato le aspettative sul futuro del PIT, che nel

frattempo avevano raggiunto l’avvio della fase di attuazione, cioè di avvio operativo della

realizzazione dei progetti. Ciò ha in diversi casi improntato l’azione degli Uffici Unici alla

realizzazione e chiusura degli interventi affidati, senza che venisse dedicata una particolare

attenzione al consolidamento e prosecuzione di quei progetti, oltre il termine dei finanziamenti

comunitari. A causa delle modifiche di contesto e dei tempi ridotti per la chiusura delle attività,

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una delle maggiori preoccupazioni è stata accordata alla salvaguardia dei finanziamenti ricevuti e

quindi alla rapida e corretta spesa delle risorse assegnate. La preoccupazione per il “dopo” è

stata messa in secondo piano e ciò si è tradotto nel depotenziamento di alcuni progetti più

ambiziosi, tra cui ad esempio i portali web ed i centri servizi per le imprese (si veda oltre,

capitolo 2).

1.3 La funzionalità degli Uffici unici e il ruolo del PIT manager

La ristrettezza dei tempi disponibili ha certamente influenzato le caratteristiche organizzative e

le finalità degli Uffici unici costituiti presso gli Enti capofila. La ricostruzione effettuata nei

Dossier PIT non ha mostrato evidenze sulla preesistente disponibilità, presso le

amministrazioni capofila, di strutture adeguate alla presa in carico delle funzioni e delle

responsabilità dei PIT. Inoltre, i soggetti che in periodi precedenti avevano gestito alcuni

progetti complessi di sviluppo territoriale (come i Patti territoriali o i GAL) sono stati quasi

ovunque esclusi da funzioni dirette nell’ambito del PIT.

In questo modo, l’allestimento delle strutture di gestione presso gli Enti capofila ha preso due

strade: una orientata a reperire all’interno delle amministrazioni il nucleo di competenze

necessario ad esercitare i compiti dell’Ufficio unico, l’altra orientata a reperire tali competenze

all’esterno. L’urgenza attuativa ha portato alla costituzione di strutture snelle (nuclei

composti da 2 a 6 unità), con il supporto di personale esterno reperito sia per competenze

specialistiche sia per gran parte delle funzioni di tipo tecnico-amministrativo (come ad esempio,

la rendicontazione dei progetti). Il numero delle collaborazioni esterne per le attività degli

Uffici unici è stato flessibile, più elevato nei periodi di picco delle attività (tra il 2007 ed il

2009), per poi tornare a ridursi a poche unità in fase di chiusura. La resilienza organizzativa ha

anche ridotto il ricorso a personale in “avvalimento” da parte di altre amministrazioni – fatta

eccezione per la collaborazione degli uffici tecnici competenti per le opere infrastrutturali.

Vi sono alcuni casi in cui la scelta di ricorrere alle risorse interne è stata più esplicita.

In questi casi, tuttavia, i necessari adeguamenti organizzativi si sono tradotti in rallentamenti e

difficoltà nella composizione dei gruppi di lavoro e nella strutturazione degli uffici. Questi casi

d’altra parte sono anche quelli che, a differenza dei PIT completamente “esternalizzati”, hanno

testimoniato di un maggiore impatto della vicenda PIT sulla crescita della capacità

amministrativa delle amministrazioni coinvolte. Si tratta di un trade-off che dovrebbe essere

attentamente considerato. Il caso di Bari è esemplare da questo punto di vista. Nel periodo di

costituzione della struttura PIT, i rappresentanti del Comune hanno a lungo contestato la

formula dell’Ufficio unico prescelta dalla Regione, tanto da affidare parte delle funzioni

dell’Ufficio unico alla Provincia di Bari (decisione poi rigettata dalla Regione). Inoltre, in

contemporanea all’avvio delle attività sul PIT, il Comune di Bari ha subito diversi interventi di

riorganizzazione che hanno influenzato sia i settori sia il vertice amministrativo. La situazione si

è stabilizzata solo nel 2007, sfociando nella costituzione della Ripartizione Programmazione

Economica e Politiche Strutturali e con l’affidamento del ruolo di PIT manager al dirigente della

medesima struttura organizzativa, che ha curato anche l’avvio dell’Area vasta.

La figura dei PIT manager è stata centrale nell’indirizzare le attività degli Uffici unici; la

scelta è ricaduta in due terzi dei casi su personale interno alle Amministrazioni capofila, in un

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terzo dei casi è stato invece reperito all’esterno. Praticamente tutti i 18 PIT manager

complessivamente coinvolti nei PIT sono stati selezionati con incarichi diretti da parte dei

vertici politici delle Amministrazioni. Gli approfondimenti effettuati hanno mostrato che i

manager dei PIT avevano un curriculum formativo e lavorativo di buon livello, anche se pochi

avevano esperienze precedenti di programmazione complessa. La maggior parte dei PIT

manager aveva un profilo tale da assicurare la “buona gestione” dei progetti affidati all’Ufficio

unico ed il presidio della spesa (cioè, l’impiego e rendicontazione di tutte le risorse disponibili a

valere sul POR). D’altra parte, è evidente come una propria prospettiva relativamente agli

obiettivi da conseguire a livello territoriale, la capacità di gestire i rapporti con il partenariato e

la continuità nell’incarico, hanno costituito elementi essenziali dei manager che più hanno

contribuito a buone esperienze di sviluppo locale, quelle cioè che hanno mostrato un maggiore

grado di continuità anche dopo la conclusione del programma PIT.

Nel complesso gli Uffici unici hanno risposto in modo positivo ai compiti ad essi attribuiti,

riuscendo ad impegnare gran parte delle risorse affidate ed in alcuni casi a reperire risorse

aggiuntive. Ciò significa che la capacità progettuale affidata agli Uffici unici, e la capacità

amministrativa connessa all’impostazione delle procedure di selezione, è stata abbastanza

elevata.

L’Ufficio unico ha infatti semplificato i canali di comunicazione tra la Regione e gli Enti locali

impegnati nei progetti di sviluppo territoriale, permettendo ai referenti regionali di interagire

con un numero ridotto di interlocutori (gli undici PIT manager) rispetto ai 254 comuni

coinvolti nella progettazione integrata e, in qualche caso, sollecitando “dal basso” la struttura

regionale al controllo della coerenza / non contraddittorietà delle informazioni e delle direttive

impartite.

In secondo luogo, l’Ufficio Unico ha operato come un centro di coordinamento delle

attività del partenariato locale, affidando il controllo tecnico delle attività ad un soggetto

unico, stabile nel tempo e con una forte “certificazione” da parte dell’Ente regionale. In questo

modo la collocazione dell’Ufficio unico in capo ad un Ente capofila definito in accordo con la

Regione, ha agito come collante rispetto a forze centrifughe (derivanti per esempio dagli

avvicendamenti elettorali) e probabilmente ha anche permesso di contenere le richieste di

modifica dei progetti esistenti (o di inserimento di nuovi progetti) all’interno di soglie

accettabili e comunque generalmente coerenti con l’”idea forza” stabilita per il PIT.

In terzo luogo, e con più evidenza, la formula degli Uffici unici ha funzionato bene come

centro di spesa. L’attività mirante a garantire la velocità della spesa ha infatti favorito, in

qualche caso, la rinuncia a progetti più complessi (dove si sono presentate criticità, non sono

state poste in essere azioni significative volte al loro superamento) e più spesso la

concentrazione su azioni più rapidamente cantierabili. In sostanza, e al netto di alcune pur

rilevanti criticità, gli Uffici unici hanno garantito l’efficienza produttiva dei progetti territoriali

(utilizzare tutte le risorse disponibili garantendo la correttezza delle procedure, per la

rendicontabilità delle spese) ma di rado il presidio dei progetti più “sfidanti”.

D’altra parte, ad oggi solo uno degli undici Uffici unici costituiti durante il percorso è ancora

attivo. Tutti gli Uffici unici, eccetto uno (PIT 2 Nord Barese, la cui convenzione tra Enti è stata

prorogata per ulteriori cinque anni), hanno concluso le proprie attività o lo faranno al termine

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delle procedure di rendicontazione dei progetti; solo il Comune di Bari ha, con molte difficoltà,

attivato una ripartizione dedicata alla gestione dei progetti complessi. Dal punto di vista

dell’impatto sulle capacità amministrative degli Enti coinvolti, l’esperienze PIT può essere

considerata un’occasione mancata: l’urgenza attuativa, le scelte di “esternalizzazione” degli

Uffici unici, lo slittamento di attenzione rappresentato dalle Aree Vaste hanno favorito scelte

“a tempo” e di conseguenza ridotto la portata delle trasformazioni possibili.

La scelta verso strutture flessibili e “a progetto” ha costituito senz’altro una strategia plausibile

da parte dei territori, dato il sistema di vincoli ed opportunità della policy PIT; del resto, la

Regione stessa non ha promosso obiettivi di consolidamento delle strutture di gestione anche

al di là del PIT (lasciando, ad esempio, aperta la possibilità di selezionare i nuovi capifila delle

aree vaste). Tuttavia, questo esito contrasta in modo più significativo con uno degli elementi

dell’efficacia dei PIT, vale a dire con la gestione di alcuni progetti realizzati grazie al

finanziamento PIT. L’ottica di breve periodo, infatti, ha di rado concesso di dedicare tempo e

risorse alla concreta attivazione di strutture e servizi, lasciando privi di gestione alcuni

ambiziosi portali informativi o i molti centri servizi allestiti grazie ai finanziamenti comunitari.

2 Tema B. L’efficacia delle azioni realizzate

2.1 La domanda di ricerca

Il secondo tema intorno al quale si sono concentrati gli approfondimenti della seconda fase

dell’attività di valutazione ha riguardato la capacità dei PIT realizzati in Puglia di contribuire in

modo efficace alla promozione dello sviluppo locale e alla produzione di beni pubblici

attraverso i quali irrobustire il sistema economico locale, qualificare il capitale umano e

migliorare la qualità della rete di servizi territoriali.

Per questa ragione, a valle delle analisi svolte nei 10 Dossier PIT presentati nel Rapporto

intermedio e allegati anche in questo Rapporto finale, abbiamo deciso di concentrare

l’attenzione su quattro filiere di azioni che hanno interessato quasi tutti i PIT che ci

permettono di svolgere alcune considerazioni sintetiche sull’efficacia della progettazione

integrata.

Due approfondimenti hanno riguardato misure a regia regionale (l’esperienza del finanziamento

in regime d’aiuto attraverso lo strumento dei Programmi Integrati di Agevolazione, PIA e

l’attivazione di Master universitari realizzati nell’ambito dei PIT); mentre altri due

approfondimenti hanno riguardato iniziative gestite direttamente dagli Uffici unici (la

progettazione e realizzazione di Centri servizi e l’attivazione di portali web e di siti dedicati).

La scelta di questi quattro approfondimenti, concordata con l’Amministrazione regionale e con

lo Steering Group PIT, è stata dettata sia dalla rilevanza finanziaria di alcune di queste

azioni, sia dalla loro varietà dal punto di vista del modello gestionale e del rapporto con la

strategia generale dei PIT.

Di seguito presenteremo gli esiti dei quattro approfondimenti realizzati attraverso l’indagine

sul campo, preceduti da alcune brevi considerazioni d’insieme sulla capacità realizzativa dei PIT.

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2.2 Uno sguardo d’insieme: una buona capacità realizzativa

Già nel Rapporto intermedio, nel quale ci eravamo concentrati in particolare sulle azioni

direttamente gestite dagli Uffici unici, avevamo evidenziato come la capacità realizzativa

dei PIT, intesa sia come capacità di spesa che come effettiva realizzazione dei

progetti proposti, sia stata complessivamente buona. Tuttavia, l’analisi dei singoli PIT

evidenziava anche una certa difformità territoriale dal punto di vista della capacità di realizzare

le iniziative compiutamente i progetti incardinati nei PIT. Nel Rapporto intermedio avevamo in

particolare evidenziato che le principali azioni promosse nell’ambito dei PIT e gestite dagli

Uffici unici si sono concentrate in sei categorie di attività.

La prima categoria riguarda un numero limitato di progetti infrastrutturali e di opere

pubbliche di dimensioni significative, prevalentemente nei tre PIT logistico-infrastrutturali

(Area metropolitana di Bari, Brindisi, Taranto). La capacità realizzativa su questi progetti è stata

in generale modesta, per ragioni diverse, talora, come nel caso di Taranto, dipendenti da

fattori esogeni, ma soprattutto per la difficoltà di governare, in tempi brevi, la progettazione e

l’implementazione di progetti ad elevata complessità, a loro volta connessi con altri progetti

gestiti da attori ed entro dispositivi istituzionali estranei al PIT. In linea generale, i PIT pugliesi,

così come altri progetti integrati territoriali nelle Regioni Ob.1, non si sono rivelati dispositivi

efficaci per garantire la progettazione e realizzazione di progetti infrastrutturali complessi e di

dimensioni finanziariamente rilevanti.

La seconda categoria riguarda la realizzazione di infrastrutture stabili per il sistema delle

imprese, orientate a fornire servizi reali alle filiere produttive identificate come target nei

diversi PIT. Sotto il profilo della progettazione e dell’integrazione con l’idea-guida dei PIT

queste azioni potevano rivelarsi molto efficaci: tuttavia, a una buona capacità realizzativa non

sempre ha fatto seguito una adeguata attenzione all’aspetto della sostenibilità gestionale e

organizzativa nel tempo delle iniziative finanziate. Il caso più significativo è quello dei Centri

servizi alle imprese e alle filiere produttive, sui quali è stato realizzato uno specifico

approfondimento del quale si dirà tra poco.

Le terza categoria riguarda le azioni di promozione dell’internazionalizzazione e di

marketing territoriale. In generale si è trattato di operazioni condotte con un certo

successo, in alcuni casi con la collaborazione fattiva degli attori economici e sociali e con un

significativo ruolo della consulenza esterna. Le interviste effettuate ad imprenditori e

rappresentati delle organizzazioni sindacali e delle associazioni imprenditoriali hanno tuttavia

evidenziato come l’efficacia di medio periodo di queste azioni sia tuttavia più incerta, in ragione

della loro natura sporadica e del coinvolgimento strutturato di un numero di imprese nel

complesso limitato.

La quarta categoria riguarda le azioni a sostegno dell’informatizzazione e più in generale della

società dell’informazione. Quasi tutti i PIT hanno promosso la realizzazione di portali

territoriali, sui quali ancora una volta si rinvia alla descrizione dell’approfondimento empirico

realizzato nella seconda fase dell’indagine valutativa.

La quinta categoria riguarda azioni per la realizzazione di azioni di carattere sociale, spesso

in connessione alla promozione di Patti locali della legalità e della sicurezza. A

prescindere dalla valutazione delle specifiche iniziative, si è trattato in generale di azioni

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efficaci ma poco integrate alle altre operazioni PIT, che hanno costruito specifici policy

networks e hanno scarsamente interagito con i PIT nel loro complesso.

Infine, l’ultima categoria ricorrente riguarda le opere pubbliche di ristrutturazione e

riorganizzazione di aree produttive. Si è trattato di una famiglia importante di operazioni,

sia per numero di azioni promosse, sia per quota di spesa ad esse dedicata (vedi Tabelle 2-3

più sotto). In termini generali si può parlare di operazioni che hanno garantito l’efficienza della

spesa (intendendo in senso lato la capacità di spendere con rapidità le risorse disponibili) e in

diversi casi, la tenuta del partenariato ma il cui valore strategico, anche per la dispersione

geografica degli interventi, appare incerto.

2.3 Una buona capacità di spesa

Questo insieme di attività, congiuntamente a quelle gestite direttamente dall’Amministrazione

regionale ci restituiscono dunque una immagine d’insieme nella quale la capacità di spesa è

stata buona.

Questa prima valutazione, emersa nelle analisi sul campo dei dieci PIT, è corroborata dai dati

del monitoraggio regionale MIR-web aggiornati a maggio 2011 e sintetizzati nelle Tabelle 1-4. I

dati forniti dall’Amministrazione regionale, per ciascun PIT, registrano l’importo effettivo

ammesso e l’importo effettivo impegnato da parte dei partner pubblici per tutte le misure

ammissibili nell’ambito della programmazione dei PIT.

Il quadro d’insieme è complessivamente positivo.

Gli ultimi dati disponibili sulla spesa PIT mostrano che le risorse stanziate complessivamente

sui PIT sono state pari a 705 milioni di euro; di queste, è stato effettivamente impegnato

(a maggio 2011, dati Regione Puglia) il 78%, pari a 552 milioni di euro. Con due sole eccezioni

(il PIT 1 – Area del tavoliere e il PIT 8 – Area Ionico-Salentina), la percentuale di risorse

complessivamente impegnate sui singoli PIT è superiore al 70%, e in cinque casi su dieci

superiore all’80%. Il tasso di impegno totale oscilla tra il 54% del PIT dell’Area Jonico Salentina

ed il 92% del PIT Taranto.

Va precisato che in queste quote rientrano sia misure POR a regia o titolarità

regionale, sia misure concesse in gestione agli Enti locali – Uffici unici.

Le misure affidate al livello locale riguardano principalmente il tema delle infrastrutture (4.2), il

tema della Promozione della Società dell’Informazione (6.5) e dell’Internazionalizzazione (6.2).

Le risorse allocate su queste misure variano tra i vari PIT: da un minimo di 8,5 milioni di euro

(PIT 8) ad un massimo di 31 milioni di euro (PIT 2). Queste misurano mostrano tassi di

impegno decisamente elevati, che oscillano tra il 95,2% (misura 4.2, PIT 3 Bari) ed il 100%

in molti casi; nel complesso le due misure presentano tassi di impegno delle risorse superiori al

98%. Per le stesse misure, anche se non sono disponibili i dati ufficiali aggiornati, la rilevazione

sul campo ha permesso di stimare un tasso di spesa effettiva (liquidazioni), da parte degli

Uffici unici, sempre superiore all’80% e spesso prossimo al 100% delle risorse disponibili. Un

po’ inferiore il tasso di impegno della misura 3.13 (complessivamente pari all’83% delle risorse

stanziate), misura in parte attuata con progetti realizzati dai PIT (sui Poli tecnologici).

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

12

Alcune misure a regia regionale mostrano invece una minore capacità di impegno

di spesa: queste sono state in particolare la misura 4.14 “Supporto alla competitività,

all’innovazione delle imprese e dei sistemi di imprese turistiche” (solo per il PIT 10, tasso di

impegno pari al 48,9%); la misura 4.3 “Investimenti nelle aziende agricole” e la misura 4.5

“Miglioramento delle strutture di trasformazione dei prodotti agricoli” (PIT 1, 4 e 8, con un

tasso di impegno attorno al 50%); la misura 4.9 “Diversificazione delle attività delle imprese

agricole” (PIT 1, 4, 8 e 10, con un tasso di impegno inferiore al 50%).

Tabella 1 Importi ammessi ed importi impegnati. Situazione a maggio 2011

PIT Importo effettivo ammesso

per il PIT

Effettivo impegnato

Beneficiario finale Pubblico

% di impegno

PIT 1 Tavoliere 68.161.374,31 38.083.153,16 56%

PIT 2 Nord Barese 78.759.972,52 69.446.632,78 88%

PIT 3 Area metropolitana

di Bari 71.486.806,72 55.106.273,14

77%

PIT 4 Area della Murgia 105.468.609,24 76.032.740,97 72%

PIT 5 Valle d’Itria 50.854.485,17 45.976.879,87 90%

PIT 6 Taranto 51.306.492,47 47.282.635,57 92%

PIT 7 Brindisi 44.879.304,25 39.537.146,52 88%

PIT 8 Area Jonico

Salentina 89.806.717,00 48.456.450,98

54%

PIT 9 Territorio Salentino

Leccese 50.285.424,21 47.050.286,27

94%

PIT 10 94.552.295,95 85.055.312,46 90%

TOTALE 705.561.481,84 552.027.511,72 78,2%

Fonte: Regione Puglia, maggio 2011

Le tabelle successive mostrano gli importi effettivi ammessi per ciascuna misura nei diversi PIT,

le risorse effettivamente impegnate ed il tasso di impegno per ciascuna misura.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

13

Tabella 2 Importo effettivo ammesso, per Misura e per PIT (in grigio le misure ad attuazione locale)

Misura

PIT 1.2 1.3 1.4 1.6 1.7 1.8 2.1 2.2 3.13 3.7 4.1 4.14 4.2 4.3 4.5 4.8 4.9 6.1 6.2 6.5 Totale

1

1.000.000 790.000 2.999.392 27.783.622 28.512.196 1.060.884 6.015.280 68.161.374

2 6.198.449 2.549.366 38.320.707 24.906.250 6.320.000 465.200 78.759.973

3 6.864.902 1.289.960 16.987.810 14.203.043 19.056.592 12.857.600 226.900 71.486.807

4 4.720.597 930.000 34.232.474 13.789.526 28.316.654 14.222.873 2.990.886 6.055.000 210.600 105.468.609

5 11.782.366 840.000 23.247.210 10.784.909 4.200.000 50.854.485

6 2.653.486 770.000 20.189.940 9.907.368 13.540.678 4.245.020 51.306.492

7 3.748.350 1.089.706 21.625.308 6.035.796 9.613.744 2.766.400 44.879.304

8 1.109.104 2.439.476 46.389.342 29.066.289 4.670.906 5.822.400 309.200 89.806.717

9 7.514.046 2.000.000 25.937.735 8.243.143 6.302.400 288.100 50.285.424

10 15.871.144 13.344.641 17.817.982 6.929.364 3.882.632 2.683.898 3.248.364 3.045.057 1.526.265 14.114.470 1.062.470 3.938.370 432.900 852.339 5.802.400 94.552.296

Totale 15.871.144 13.344.641 17.817.982 6.929.364 3.882.632 2.683.898 3.248.364 3.045.057 46.008.462 11.368.135 194.655.654 1.062.470 97.247.274 102.489.618 71.801.358 432.900 9.575.015 42.211.014 60.386.500 1.500.000 705.561.482

Tabella 3 Impegni effettivi del Beneficiario pubblico, per Misura e per PIT

Misura

PIT 1.2 1.3 1.4 1.6 1.7 1.8 2.1 2.2 3.13 3.7 4.1 4.14 4.2 4.3 4.5 4.8 4.9 6.1 6.2 6.5 Totale

1

1.000.000 790.000 2.999.392 12.637.946 14.216.182 424.354 6.015.280 38.083.153

2 5.999.199 2.541.945 29.623.800 24.496.488 6.320.000 465.200 69.446.633

3 5.226.236 1.289.960 15.278.300 13.521.043 7.271.995 12.291.839 226.900 55.106.273

4 3.918.018 930.000 27.949.487 13.741.957 14.676.148 7.079.286 1.472.641 6.054.604 210.600 76.032.741

5 8.124.669 840.000 22.056.260 10.762.431 4.193.520 45.976.880

6 2.653.486 770.000 16.907.760 9.471.625 13.268.266 4.211.498 47.282.636

7 3.704.447 1.089.703 17.547.179 6.035.796 8.473.622 2.686.400 39.537.147

8 1.097.143 2.439.476 22.247.734 14.379.237 2.171.035 5.822.129 299.696 48.456.451

9 6.765.158 1.967.053 23.484.433 8.243.143 6.302.400 288.100 47.050.286

10 15.183.118 13.325.899 14.504.188 6.285.007 3.809.244 2.525.753 3.244.310 2.916.781 1.144.597 11.041.970 519.840 3.938.370 432.900 380.936 5.802.400 85.055.312

Totale 15.183.118 13.325.899 14.504.188 6.285.007 3.809.244 2.525.753 3.244.310 2.916.781 38.535.809 11.315.805 163.889.189 519.840 95.649.721 49.561.828 35.674.705 432.900 4.448.966 29.013.884 59.700.070 1.490.496 552.027.512

Tabella 4 Il tasso di impegno delle risorse ammesse, per Misura e PIT

Misura

PIT 1.2 1.3 1.4 1.6 1.7 1.8 2.1 2.2 3.13 3.7 4.1 4.14 4.2 4.3 4.5 4.8 4.9 6.1 6.2 6.5 Totale

1 100,0% 100,0% 100,0% 45,5% 49,9% 40,0% 100,0% 56%

2 96,8% 99,7% 77,3% 98,4% 100,0% 100,0% 88%

3 76,1% 100,0% 89,9% 95,2% 38,2% 95,6% 100,0% 77%

4 83,0% 100,0% 81,6% 99,7% 51,8% 49,8% 49,2% 100,0% 100,0% 72%

5 69,0% 100,0% 94,9% 99,8% 99,8% 90%

6 100,0% 100,0% 83,7% 95,6% 98,0% 99,2% 92%

7 98,8% 100,0% 81,1% 100,0% 88,1% 97,1% 88%

8 98,9% 100,0% 48,0% 49,5% 46,5% 100,0% 96,9% 54%

9 90,0% 98,4% 90,5% 100,0% 100,0% 100,0% 94%

10 95,7% 99,9% 81,4% 90,7% 98,1% 94,1% 99,9% 95,8% 75,0% 78,2% 48,9% 100,0% 100,0% 44,7% 100,0% 90%

Totale 95,7% 99,9% 81,4% 90,7% 98,1% 94,1% 99,9% 95,8% 83,8% 99,5% 84,2% 48,9% 98,4% 48,4% 49,7% 100,0% 46,5% 68,7% 98,9% 99,4% 78,2%

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

14

2.4 L’esperienza dei PIA-PIT tra luci ed ombre

Il primo approfondimento empirico realizzato (vedi Allegato II) ha riguardato lo strumento dei

Programmi Integrati di Agevolazione (PIA), attivato nell’ambito dei PIT pugliesi per sollecitare e

irrobustire i sistemi produttivi locali in modo coordinato rispetto alle strategie di sviluppo promosse dai PIT

e per favorire la cooperazione tra imprese attraverso la promozione di programmi di investimento connessi

a processi di innovazione tecnologica, anche attraverso la crescita delle competenze del capitale umano.

L’analisi empirica si è basata su interviste, basate su un questionario a risposta chiusa, a tutte le

aziende o consorzi ammessi al finanziamento nei bandi PIA-PIT, che sono stati promossi in 8 PIT su 10.

L’intervista, realizzata telefonicamente o somministrata per mail alle aziende, ai responsabili dei Consorzi e

in qualche caso ai consulenti che hanno aiutato le imprese nella redazione delle domande di finanziamento,

era finalizzata a comprendere sia che tipo di soggetti avesse partecipato ai bandi, sia che valutazione

dell’esperienza fosse maturata nel tempo (vedi Allegato II, § 2). Abbiamo dunque deciso di intervistare

anche le aziende o i consorzi ammessi che, per diverse ragioni, hanno rinunciato al finanziamento, e siamo

stati in grado di intervistare 53 soggetti (22 aziende e 31 consorzi) su un totale di 72 soggetti

ammessi al finanziamento.

Tra le aziende o i consorzi che non hanno utilizzato il finanziamento, un numero rilevante degli intervistati

ha sottolineato come alcune difficoltà da parte dell’azienda leader del consorzio, in una fase critica del

mercato, abbia portato alla rinuncia al finanziamento.

L’intervista ci ha permesso di indagare innanzitutto alcune caratteristiche dei consorzi o delle aziende

ammesse al finanziamento. Si tratta per lo più di realtà aziendali recenti (molti consorzi sono nati proprio

per poter partecipare ai bandi), di piccole dimensioni sia per addetti che per fatturato, distribuite in molti

settori produttivi con una certa concentrazione nel settore ICT, nel tessile-abbigliamento-calzature e nei

servizi alle imprese.

Abbiamo poi cercato di comprendere quale sia stato il giudizio dei beneficiari sul dispositivo PIA; l’immagine

d’insieme che emerge dalle risposte è che tra i beneficiari che hanno effettivamente utilizzato i finanziamenti

oltre il 50% li ha ritenuti molto utili per la realizzazione sia di innovazioni di prodotto, sia di innovazioni di

processo. Assai minore è il numero di beneficiari che dichiara di avere utilizzato i finanziamenti per favorire

o realizzare nuove assunzioni.

Diverso è stato il gradimento dal punto di vista delle procedure. Due beneficiari su tre hanno espresso

giudizi negativi sia sulla lentezza dell’erogazione dei finanziamenti, sia su una certa rigidità delle

procedure.

Nel complesso l’analisi delle risposte ai questionari dimostra che i PIA sembrano strumenti efficaci di

intervento a sostegno delle imprese, ma che il loro utilizzo efficace dipende da una serie di

condizioni che non sempre si sono realizzate. I PIA permettono infatti di costruire progetti integrati a

livello aziendale o consortile, superando alcuni dei limiti propri dei bandi legati esclusivamente a specifiche

misure. I consorzi e le imprese intervistati restituiscono in sostanza una valutazione positiva di uno

strumento che sembra in grado di finanziare non tanto una specifica azione puntuale, ma un vero e proprio

progetto integrato imprenditoriale.

D’altra parte, è difficile sostenere che i PIA siano stati un tassello di una più ampia strategia di sviluppo

locale. La connessione tra la partecipazione ai bandi PIA e la capacità di utilizzare in modo sinergico e

integrato altri servizi e beni pubblici prodotti dai PIT appare in definitiva limitata.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

15

Infine, solo in parte lo strumento PIA sembra essere riuscito a produrre in modo stabile comportamenti di

carattere cooperativo tra le imprese, molte delle quali dichiarano di avere avviato i consorzi esclusivamente

per catturare i finanziamenti.

In sintesi, per quanto si può desumere dal giudizio degli imprenditori coinvolti, il dispositivo PIA presenta

alcuni elementi controversi: una buona capacità di agire come strumento di finanziamento di

progetti imprenditoriali complessi; una eccessiva lentezza nell’erogazione dei finanziamenti; una

parziale capacità di sostenere forme stabili di cooperazione tra le imprese; un rapporto limitato

con le altre iniziative dei PIT.

2.5 I Master universitari: integrazione progettuale, mancata continuità

Un secondo approfondimento relativo a iniziative a regia regionale ha riguardato la promozione e

realizzazione di Master universitari incardinati nei PIT (vedi Allegato III).

Per il periodo di programmazione 2000-2006, nell’ambito dei PIT pugliesi, sono stati promossi un totale di

33 Master universitari, con la collaborazione di tutte le università pugliesi: undici master sono stati

attivati presso l’Università di Lecce; nove presso l’Università di Foggia; nove presso l’Università di Bari; due

presso l’Università LUM Jean Monnet; due presso il Politecnico di Bari.

D’altra parte, non tutti i PIT hanno scelto di investire nella formazione universitaria. I PIT 5

(Valle d’Itria) e 6 (Taranto) non hanno infatti attivato progetti di questa natura, mentre i programmi nei

quali è stato compiuto un investimento maggiore sono il PIT 7 di Brindisi e il PIT 9 del Territorio salentino-

leccese dove sono stati attivati 5 Master.

Dal punto di vista progettuale, l’attivazione dei Master, per temi e per figure professionali identificate,

appare in generale molto coerente con l’idea guida e la strategia di sviluppo locale dei diversi PIT. Da

questo punto di vista si può sicuramente affermare che, in fase di progettazione, molta attenzione è stata

prestata all’integrazione tra strategie formative per il capitale umano e strategie di sviluppo del sistema

produttivo. La coerenza programmatica tra gli obiettivi, i profili e i temi dei Master e la più complessiva

strategia di sviluppo locale promossa con i PIT può certamente considerarsi uno dei segnali di maggiore

successo dal punto di vista dell’integrazione tra azoni all’interno dei PIT.

Dal punto di vista economico, i Master sono costati mediamente tra i 200.000 e i 350.000 Euro; tutti sono

stati attivati per l’anno accademico 2006-2007. Nessuna università è tuttavia riuscita a garantire più di una

edizione del Master, anche se la LUM Jean Monnet ha segnalato la possibilità di riattivare i due master

promossi nel PIT grazie a fondi aggiuntivi reperiti attraverso il programma “Bollenti Spiriti”.

La motivazione di questa concentrazione temporale dell’offerta formativa è dipesa da un effetto di

“eccesso di offerta” di percorsi formativi di questo tipo, da parte sia delle Università pugliesi, sia di altre

Università italiane. Non a caso, molti Master non sono riusciti a reperire con facilità il numero minimo di

studenti, ed i bandi in alcuni casi sono stati riaperti più volte. Fanno eccezione in tal senso i Master attivati

nell’ambito del PIT del territorio Salentino Leccese dove, per una disponibilità di 20 posti per master, si

sono presentati su ogni proposta da 80 a più di 150 candidati.

Dal punto di vista dell’efficacia sotto il profilo occupazionale è difficile, sulla base delle informazioni limitate

in nostro possesso, esprimere un giudizio compiuto. Solo il PIT dell’Area del Tavoliere fornisce, nella

relazione finale delle attività svolte, informazioni esaustive sull’andamento dei Master, includendo anche

alcuni dati riferiti al 2009 sul numero degli occupati che varia, a seconda del percorso formativo, dal 15% al

40%. L’Università LUM Jean Monnet ha fornito direttamente i dati sugli occupati dei partecipanti ai master

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

16

attivati presso la propria sede, secondo i quali la quasi la totalità dei partecipanti al Master in “Sicurezza

pubblica” risultava già occupata nel corso dello svolgimento del Master stesso presso uffici comunali e di

polizia municipale; mentre la percentuale degli occupati partecipanti al master in “Management dei trasporti

e della logistica integrata” è invece stata circa del 75%.

Nel complesso, con riferimento all’esperienza dei Master, possiamo affermare che si è trattato di un

tentativo riuscito di integrazione nella fase di progettazione tra la strategia di sviluppo locale dei

PIT e gli orientamenti per la formazione di capitale umano qualificato. Più incerti gli esiti per quanto

riguarda la capacità di collocamento lavorativo degli studenti dei Master. Infine, è importante

sottolineare come in quasi tutti i casi i Master siano nati e morti con i PIT, garantendo una sola edizione a

fronte del finanziamento effettuato. Da questo punto di vista non si può affermare che l’esperienza sia

stata generativa di strategie stabili nel tempo di formazione superiore connessa alle esigenze e alle

strategie di sviluppo territoriale.

2.6 I Centri Servizi: infrastrutture senza gestione

Un ulteriore approfondimento relativo ad azioni realizzate in molti PIT è stato dedicato alla

progettazione e attivazione di Centri servizi per il sistema produttivo locale (vedi Allegato IV).

In molti PIT i Centri servizi costituivano uno dei flagship project, giocando un ruolo essenziale nella

costruzione di un patrimonio permanente di beni pubblici e di servizi per il sistema produttivo, con

particolare riferimento alle filiere produttive sulle quali si concentrava l’attenzione dell’idea guida dei diversi

PIT.

Nell’ambito dei PIT sono stati progettati complessivamente 14 Centri servizi dedicati alle imprese (si

vedano le schede dell’Allegato IV). Non hanno previsto la realizzazione di centri servizi alle imprese i PIT 2

e 6 .

Nel PIT 1 Tavoliere il modello è quello del centro servizi “diffuso”: sono presenti una sede centrale, punto

nodale di un network di centri di sevizio in sedi più periferiche distribuite sul territorio che contribuiscono a

diffondere capillarmente all’innovazione della cultura d’impresa e al sostegno alle opportunità

imprenditoriali.

Nel PIT 3 Area Metropolitana di Bari, nel PIT 4 Area Murgiana (per il centro servizi di Grumo Appula),

oltre che nel PIT 5 Valle d’Itria, la strategia perseguita è stata quella di avviare un centro servizi localizzato

entro aree industriali (ed in particolare aree programmate attraverso Piani di Insediamento Produttivo, PIP).

In questi casi si è trattato di strutture realizzate in prossimità delle imprese che dovrebbero fruire dei

servizi proposti.

Nel PIT 4 Area Murgiana, per il centro servizi di Santeramo in Colle e nel PIT 9 Area Salentino Leccese per

il piccolo centro servizi del Comune di Cursi sono state pensate sedi più inconsuete. A Santeramo in Colle

il centro servizi è collocato nell’edificio storico Palazzo Marchesale, da tempo abbandonato. A Cursi si è

provveduto all’adeguamento e restauro dell’edificio storico di Palazzo De Donno.

Nel PIT 7 di Brindisi il progetto consiste nell’infrastrutturazione info-telematica di una sede presso la

Cittadella della Ricerca a Brindisi.

Nel PIT 8 Jonico-Salentino i tre centri servizi, collocati nelle tre provincie coinvolte, sono le sedi provinciali

del distretto agroalimentare jonico-salentino, e dovrebbero ospitare anche le attività di distretto e altri tipi

di servizi.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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Nel PIT 10 (Monti Dauni) è stata realizzata una tipologia di attività di servizio diversa. Si tratta di 29 centri

di informazione e accoglienza integrati a itinerari turistico-culturali e coerenti con l’idea forza del PIT.

L’analisi dello stato di attuazione dei progetti ci mostra un quadro diversificato, e tuttavia

caratterizzato da alcune invarianti. In tutti i casi considerati la parte infrastrutturale della

realizzazione della sede o del recupero di edifici già esistenti per localizzarvi il Centro servizi

è stata completata. In molti casi anche gli allestimenti interni sono stati completati.

Molto più critica è invece la situazione con riferimento sia al modello gestionale e

all’affidamento in gestione dei servizi previsti, sia alla effettiva erogazione previsti degli stessi. Pur in

presenza di una specifica richiesta da parte degli Uffici PIT relativamente alla parte gestionale e operativa, in

tre soli casi (se si esclude la specifica e particolare situazione dei Monti Dauni) la gestione dei servizi è stata

affidata ed il servizio è effettivamente operativo: il Centro servizi di Grumo Appula nel PIT dell’Area

Murgiana; il Centro servizi di Tuglie dell’area Salentino Leccese e, solo per alcune attività, il Centro servizi

previsto nel PIT Tavoliere.

Nel complesso, in riferimento ai Centri Servizi, possiamo parlare di un esito solo parzialmente

soddisfacente. A fronte di una buona capacità di realizzazione dei “contenitori” (con la

riqualificazione degli edifici che ospitano i Centri servizi), è stata rilevata una limitata capacità di

costruire un modello gestionale efficace per garantire l’operatività dei Centri, nonostante ciò fosse

esplicitamente richiesto in sede di programmazione PIT. Ciò è dipeso, secondo quanto emerge dalle

interviste, sia dalla difficoltà degli Uffici unici nella costruzione dei bandi per la gestione, sia dal limitato

coinvolgimento delle reti locali di attori nella costruzione di credibili strategie di implementazione.

2.7 Lo stato di funzionamento dei siti e dei portali

Un approfondimento specifico ha poi riguardato la realizzazione di siti e di portali internet progettati con

finanziamenti PIT (vedi Allegato V).

Nel corso della vicenda PIT sono stati realizzati diversi siti internet e portali finalizzati a vari scopi. Sono

stati realizzati alcuni siti di tipo prettamente comunicativo sui PIT (come nel caso del PIT Tavoliere,

del PIT Nord Barese, del PIT di Brindisi e del PIT 9 Salentino Leccese). La maggior parte di questi siti

internet è tuttora accessibile ma non recentemente aggiornata; si tratta infatti, in prevalenza, di siti

informativi sulle opportunità di bando attivate durante il periodo 2006-09. L’unico sito internet ricco di

informazioni ed aggiornato è quello attivato nell’ambito del PIT e gestito dalla Provincia di Brindisi con

informazioni e novità sui temi legati all’innovazione di impresa in diversi settori.

Vi sono, inoltre, alcuni siti realizzati in occasione di progetti particolari: si tratta, ad esempio, dei siti

realizzati nell’ambito dei progetti finanziati a valere sulla Delibera CIPE n.26/03. Pur ricchi di informazioni,

molti di questi siti non sono risultati più visibili a partire dal 2011. Fanno eccezione un sito del PIT Tavoliere

in materia di lavoro, ed il sito dedicato al progetto Get Local del PIT Monti Dauni. Quest’ultimo portale è

l’unico tuttora visibile e funzionante tra quelli di maggior dimensione finanziaria (in questo caso oltre alla

realizzazione del progetto è stato dato incarico per la gestione del sito per un periodo di tempo ulteriore).

Infine vi sono le iniziative di grande respiro realizzate in tema di Società dell’informazione, finanziati a

valere sulla misura 6.2. Su questa voce sono stati finanziati sia l’architettura dei portali sia varie voci spesso

molto cospicue di dotazione hardware (come nel caso dell’acquisto di sistemi di videosorveglianza per il

territorio o di hardware per l’allestimento di reti di interconnessione tra amministrazioni). Nessuno di

questi siti risulta ad oggi attivo; quelli che è stato possibile visionare, nell’inverno del 2010, mostravano

contenuti spesso del tutto preliminari, come nel caso dei portali dedicati al marketing territoriale. Uno degli

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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elementi di maggiore criticità è stato connesso alla gestione dei portali stessi, che spesso richiedeva un

contributo significativo da parte del personale dell’amministrazione oppure l’affidamento in appalto

dell’alimentazione dei siti, in ogni caso da prevedere oltre la data di chiusura formale dei PIT. Informazioni

recenti mostrano che l’Area Metropolitana di Bari, dopo numerose problematiche, ha dato avvio (giugno

2011) alla gestione dei cinque portali allestiti nell’ambito della misura 6.2 c (Portale multicanale

metropolitano, Rete delle identità del territorio, Rete intercomunale per le politiche attive del lavoro, Rete

per la sicurezza e la Qualità della vita, Rete delle economie locali).

Nel complesso possiamo affermare che vi sia stata una assoluta sproporzione tra le risorse

impegnate per la realizzazione di portali e siti e la loro efficacia. Molti portali, come detto, non

sono nemmeno operativi; altri non hanno chiare connessioni con la strategia PIT nel suo insieme. Nel

complesso, si è certamente trattato di una occasione mancata di sperimentare una effettiva integrazione tra

le azioni a sostegno dell’informatizzazione e più in generale della società dell’informazione e le politiche di

servizio alle imprese e ai cittadini.

2.8 Conclusioni sull’efficacia realizzativa delle azioni

La rivisitazione delle informazioni contenute nei Dossier PIT, gli approfondimento valutativi restituiti

analiticamente negli Allegati II-V, l’analisi dei dati disponibili di monitoraggio permettono di svolgere alcune

sintetiche valutazioni conclusive relativamente all’efficacia e agli esiti empiricamente rilevabili delle azioni

realizzate nell’ambito dei PIT pugliesi.

In prima istanza gli approfondimenti svolti nella seconda fase dell’indagine valutativa confermano la buona

performance realizzativa dei PIT pugliesi, e più in generale di una buona capacità di spesa e di

produzione degli output previsti, a fronte di una loro limitata capacità “strategica” dal punto di vista

dell’integrazione ex-post tra azioni diverse nel quadro di una strategia condivisa di sviluppo locale.

D’altra parte, come evidenziato ampiamente dalla letteratura sulla valutazione delle politiche di sviluppo

locale, per valutare più compiutamente l’efficacia degli interventi, oltre che la loro efficienza, sarebbe

necessario probabilmente un tempo più lungo dalla conclusione degli interventi, oltre che una indagine

ancora più ampia sul campo. Alcuni degli esiti di interventi rilevanti (per esempio quelli di carattere

infrastrutturale o quelli legati alla formazione) manifesteranno alcuni dei loro effetti più significativi in un

tempo presumibilmente più lungo.

Tuttavia, possiamo affermare che la buona capacità di integrazione dimostrata in fase di progettazione (per

esempio nella procedura di attivazione dei Master e nella costruzione dei bandi PIA-PIT) non ha sempre

comportato una effettiva e verificabile integrazione a valle. Per fare solo un esempio, le imprese

coinvolte nei PIA non erano molto spesso consapevoli delle relazioni tra PIA e PIT e non hanno utilizzato

altri servizi prodotti nell’ambito dei PIT. D’altra parte alcuni PIT manager non conoscevano la strategia PIA

e le aziende che avevano acquisito i finanziamenti.

In alcune tipologie di progetti rilevanti, ivi compresi la realizzazione dei Centri servizi e dei Portali web è

mancata una capacità di progettazione esecutiva della fase di implementazione e gestione dei

progetti, anche in ragione degli oggettivi ritardi nel cronoprogramma complessivo dei PIT.

Emerge inoltre come la crisi economica che ha investito l’economia pugliese a partire dalla seconda metà

del 2008, ed in particolare alcune delle filiere direttamente sostenute dai PIT, ha ridotto nel breve periodo

alcuni dei benefici potenziali degli interventi, a partire dai finanziamenti alle imprese realizzati attraverso i

PIA.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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Più in generale, possiamo affermare che i potenziali effetti degli interventi PIT sul sistema produttivo locale

e sulle dinamiche di sviluppo sono stati frenati sia da alcuni ritardi nell’attivazione operativa di alcune

misure, sia da una oggettiva difficoltà nella costruzione di una “regia strategica” che facilitasse la

produzione di effetti di integrazione territoriale a valle tra azioni in regime di aiuto alle imprese, politiche di

formazione e qualificazione del capitale umano, produzione di infrastrutture e servizi reali al sistema

produttivo.

Certamente molto è stato realizzato, e la capacità di spendere le risorse ricevute è stata nel complesso

buona. Rimane più di una perplessità sulla necessità di utilizzare uno strumento relativamente complesso

come i PIT per realizzare opere pubbliche ordinarie, che avrebbero potuto essere collocate entro una

normale programmazione settoriale e circa la possibilità per i PIT di manifestare pienamente gli effetti attesi

di integrazione in relazione a strategie complesse di sviluppo locale.

3 Tema C. Le relazioni tra l’esperienza PIT e le altre esperienze di sviluppo locale

3.1 La domanda di ricerca

L’analisi di continuità (vedi Allegato VI) ha riguardato sia le esperienze successive ai PIT, che progetti e

iniziative di sviluppo precedenti ai progetti integrati. Obiettivo delle due fasi di indagine è stato quello di

rispondere ad una domanda di ricerca relativa ai diversi modi in cui si articolano nel tempo i rapporti tra

politiche di sviluppo.

La prima domanda di ricerca è relativa all’esistenza e alla rilevanza delle esperienze di

progettazione precedenti. L’analisi è stata principalmente bottom-up, basandosi sulla percezione degli

attori relativa alla situazione del territorio al momento dell’avvio dei progetti.

La seconda domanda di ricerca ha riguardato la continuità tra PIT e successive esperienze di

sviluppo, al fine di valutare la capacità generativa dei PIT, con l’obiettivo di cogliere effetti potenzialmente

di lungo periodo e conseguenze anche inintenzionali della progettazione integrata.

Si è deciso di declinare il valore di continuità su quattro dimensioni analitiche:

- continuità territoriale,

- continuità strategica,

- continuità organizzativa

- continuità del network di attori.

A questa rilevazione puramente descrittiva, l’analisi aggiunge un giudizio valutativo: continuità o

discontinuità possono infatti entrambe interpretarsi in senso positivo, se quale sono il frutto di un processo

di apprendimento, di rielaborazione critica o evoluzione rispetto all’esperienza PIT realizzata.

3.2 La discontinuità rispetto al passato

Le informazioni raccolte mostrano un panorama complesso, fatto di relazioni talvolta di continuità, più

spesso di rottura con il passato di programmazione complessa. In genere, gli elementi di continuità rilevati

riguardano soprattutto il ritorno di alcuni temi strategici, mentre la scelta del modello dell’ufficio unico

rende sostanzialmente assente la continuità organizzativa.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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Più specificamente, molti PIT prendono le mosse dai Patti territoriali che in qualche caso presentavano

un partenariato istituzionale dai confini analoghi a quelli del PIT (Nord Barese, Murgia), in altri invece

assumevano confini amministrativi più ridotti o più ampi (il Patto territoriale per l’industria della provincia di

Lecce, ad esempio, copriva l’intero territorio provinciale).

Tuttavia, in diverse situazioni i PIT si presentano esplicitamente come esperienze di rottura rispetto ai

Patti, indipendentemente dal successo o dall’insuccesso che le esperienze pattizie avevano maturato. Ciò

accade certamente in ragione delle differenze sostanziali tra i due dispositivi: i patti sono accordi per lo

sviluppo locale promossi direttamente da attori istituzionali e sociali, in assenza della mediazione regionale; i

PIT sono meccanismi di attuazione del POR FESR nei quali un ruolo essenziale è giocato dalla la regia

regionale e dall’identificazione di un dispositivo di attuazione a regia esclusivamente pubblica.

Non si tratta solo di una diversa configurazione istituzionale e gestionale. Nella maggior parte dei casi, la

rottura rispetto all’esperienza dei Patti ha a che vedere con avvicendamenti politici e con l’emergere di

nuove leadership locali, che non si riconoscono in quelle che avevano sorretto i Patti. Su quest’ultimo

punto, è interessante il caso del Tavoliere, in cui la decisione di assegnare il ruolo di capofila al Comune di

Foggia segnala una discontinuità rispetto al ruolo guida assunto dalla Provincia di Foggia nell’attuazione del

Patto territoriale.

Dal punto di vista organizzativo, l’assunzione del dispositivo gestionale dell’Ufficio unico mette fuori

gioco anche le Agenzie di sviluppo locale che in qualche caso (per esempio nel Nord Barese, con

l’esperienza dell’Agenzia che aveva gestito con successo il Patto territoriale Nord Barese Ofantino, o nella

Murgia, con la Società Murgia Sviluppo nata per la gestione del Patto e che attualmente gestisce il SUAP

intercomunale) erano state le protagoniste della stagione dei patti.

Per tutte queste ragioni si può affermare che la continuità tra Patti e PIT è in generale piuttosto

bassa, con l’eccezione del PIT Area della Murgia e la parziale eccezione del PIT Monti Dauni e, dal punto di

vista tematico, del PIT del Territorio Salentino Leccese che ripropone temi e strategie di un precedente

Patto.

I Patti territoriali non sono tuttavia le sole politiche pregresse rilevanti per comprendere l’avvio e la

maturazione dei PIT. Per i PIT caratterizzati come rurali e agroalimentari, localizzati in aree collinari e

montane, un ruolo rilevante è giocato anche dai GAL e più in generale dai progetti comunitari Leader. Per

certi aspetti, il PIT Monti Dauni può essere ad esempio accomunato, per tipologia di azioni intraprese e per

il ruolo giocato da attori come le due Comunità montane, ad un progetto Leader.

I PIT più strettamente connessi alla filiera logistico-trasportistica (Area metropolitana di Bari, Brindisi e

Taranto) sono invece incardinati su politiche infrastrutturali esistenti e in alcuni casi si propongono

esplicitamente di realizzare in modo complementare progetti capaci di integrare tali politiche con il

sostegno ai sistemi produttivi locali (è il caso dei progetti retroportuali per Brindisi e per Taranto).

In definitiva, i PIT si caratterizzano per una continuità limitata con le precedenti politiche di sviluppo locale,

anche se in qualche caso le esperienze pregresse rappresentano un punto di riferimento (eventualmente

anche “in negativo”) nella fase di attivazione. Inoltre, il relativo successo dei progetti non sembra legato alla

preesistenza di un capitale progettuale o relazionale significativo, con coalizioni inedite che riescono ad

instaurare relazioni di successo in ambito PIT. In breve, la dipendenza dal percorso non sembra in

grado di spiegare l’evoluzione dei PIT, permettendo cambiamenti di direzione anche sostanziali.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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3.3 La capacità generativa dei PIT

L’analisi ha restituito un quadro eterogeneo, in cui il giudizio generale è quello di un livello di continuità

tra PIT ed esperienze successive relativamente basso. Ciò si è dovuto da una parte alla mancata

rielaborazione dell’esperienza PIT, sia per un’impossibilità effettiva data la parziale sovrapposizione

temporale tra cicli di programmazione, sia per la percezione di una sostanziale estraneità dei diversi

strumenti. I dettagli di questa analisi sono riportati in forma integrale nell’allegato 6, qui ne riassumiamo i

principali risultati.

Un primo oggetto di indagine è stato la programmazione di area vasta, quale possibile erede naturale

dell’esperienza PIT. In realtà, dato che l’apertura del processo di area vasta è avvenuto in concomitanza con

l’inizio della fase attuativa del PIT, ben difficilmente i soggetti gestori avrebbero potuto coincidere, creando

un parallelismo almeno parziale tra PIT e area vasta.

Tuttavia, la discontinuità rilevata è più profonda del solo dato temporale, e riguarda la stessa natura

strategica dei due strumenti. Mentre il PIT aveva un focus strategico-territoriale molto forte, i piani di area

vasta comprendono interventi eterogenei, anche parzialmente in continuità con il PIT, ma privi di una

caratterizzazione strategica forte. In alcuni territori inoltre, il focus si sposta del tutto, con casi di completo

stravolgimento della direzione strategica (così ad esempio per il PIT Tavoliere e per l’area vasta Capitanata

2020).

Per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, gli Uffici Unici, scelta in parte innovativa e giudicata in generale

in modo positivo, non ottengono conferme nelle aree vaste, non solo perché logicamente non vengono

riconfermati quali soggetti gestori, ma perché coinvolti soltanto di rado nella definizione dei piani (fanno

eccezione il PIT di Bari, il PIT di Taranto, il PIT Valle d’Itria e in parte quello Salentino leccese).

Infine, gli attori leader della nuova programmazione sono in buona parte mutati. Ciò è riconducibile

senz’altro alle ridefinizioni territoriali (c’è in generale un movimento di territori in uscita e in entrata per

quasi ogni PIT), ma riguarda più specificamente le alternanze politiche, che in molti casi hanno degli effetti

sulla gestione degli stessi PIT. Inoltre, una minoranza degli enti (i comuni di Foggia, Bari e Casarano)

confermano la propria leadership quali soggetti capifila tra i due cicli di programmazione.

Il secondo oggetto dell’indagine ha riguardato i distretti produttivi. Si tratta di uno strumento diverso dal

PIT sia sotto il profilo soggettivo (la prevalenza di imprese e associazioni di categoria con una posizione

ancillare delle istituzioni), sia su quello territoriale (con una valenza di rappresentanza regionale), sia infine

per l’aspetto strategico, che si concentra su un panorama di specializzazioni produttive chiaramente più

focalizzato rispetto a quelle presenti nei PIT.

Tuttavia, proprio sotto il profilo strategico, alcuni distretti riprendono temi riconducibili ai PIT (tra

gli altri la moda, il legno-arredo, quello logistico e quello dell’informatica) ma le prime interviste ricognitive

hanno mostrato una cesura netta tra l’esperienza PIT e quella distrettuale. Buona parte della spiegazione

risiede nell’eterogeneità soggettiva già detta e nella stessa natura dello strumento, che non si pone quale

centro gestionale con capacità di spesa, ma come interlocutore regionale e organizzatore delle istanze

settoriali.

Non è casuale che diversa sia la storia dei due distretti produttivi agroalimentari pugliesi, quello Jonico-

salentino e quello delle Terre Federiciane. Entrambi riproducono le coalizioni del PIT (più o meno allargate)

ed entrambi lavorano sui preesistenti PIT agroalimentari. In parte, il carattere sub-regionale (si tratta degli

unici distretti che non riguardano l’intero territorio pugliese) ha facilitato il mantenimento di una continuità

più forte e quindi anche il recupero di strutture e progetti sviluppati nella progettazione integrata. Tra i

due, il PIT jonico-salentino, che già rappresentava le tre province di Brindisi, Taranto e Lecce, mostra uno

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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sviluppo più propriamente continuo se confrontato con quello delle Terre Federiciane, che rispetto al PIT

Tavoliere deve integrare le province di Bari e BAT.

Infine, nell’Allegato VI vengono presentate nel dettaglio due esperienze risultanti dall’analisi bottom-

up, di iniziative sviluppatesi partendo da progetti interni ai singoli PIT. Mentre nel caso delle aree vaste e

anche in quello dei distretti, si cerca una razionalità ad un livello potremmo dire centrale (quindi una

riprogettazione che tenga conto della precedente progettazione integrata) qui si tratta di esperienze più

propriamente decentrate, qualificabili quali spin-off o iniziative collaterali ai singoli PIT.

Il primo caso riguarda il consorzio Consapor Puglia, un consorzio per l’export composto da trenta aziende

del territorio jonico-salentino, che presenta un carattere di notevole dinamicità. L’interesse è qui per la

genesi del consorzio, che nasce dalle ceneri delle esperienze di internazionalizzazione del PIT 8, attraverso

le quali le imprese hanno compreso che il loro potenziale individuale non permetteva di competere sul

mercato internazionale.

Il secondo riguarda invece un tipo di continuità diverso, ovvero il proseguimento di attività del PIT

attraverso una riconferma della struttura tecnica e organizzativa. È il caso del PIT 2 attraverso il progetto

Nord Barese Sicuro, in cui la gestione delle infrastrutture di rete condivise tra i partecipanti al PIT è stata

riconfermata all’ufficio unico, che subisce quindi una specializzazione funzionale, ponendosi come

riferimento del territorio anche per nuovi progetti e servizi condivisi nell’ambito della sicurezza.

Come si anticipava, il giudizio complessivo è che il livello di continuità sia generalmente basso. In

larga parte, per le aree vaste e per i distretti, ciò non deriva da una rielaborazione critica del PIT, quanto

piuttosto dall’assenza di questo momento valutativo, quindi dall’effettiva mancanza di collegamenti espliciti

con la progettazione integrata. Ciò è dovuto, come già detto, alle sovrapposizioni temporali, ma anche

all’avvicendamento soggettivo e al carattere eterogeneo degli strumenti.

Tuttavia, dato il ritardo di attuazione dei PIT e i parallelismi che ne sono derivati, i risultati non sembrano

significativi al fine di valutare la capacità dei progetti integrati di produrre apprendimento territoriale ed

effetti di lungo termine. Vale quindi la pena provare a concentrarsi sulle esperienze che mostrano un livello

di continuità significativo, tentando di identificare alcuni possibili fattori di successo.

In via generale, sarebbe possibile affermare che la rilevazione di un livello significativo di continuità indica

che le relazioni tra gli enti aderenti hanno funzionato e che la scelta degli interventi ha riscosso un consenso

duraturo. Si tratta però di un giudizio che va caratterizzato, sia guardando al livello di partenza del capitale

relazionale degli enti, sia con riferimento all’effettiva modalità con cui si esprime la continuità.

Per quanto riguarda il primo profilo – il capitale relazionale di partenza – le esperienze sono molto

diverse: da reti istituzionalizzate e almeno in parte rodate come per la Comunità montana dei Monti Dauni,

a network “sperimentali”, privi di referenti istituzionali, come ad esempio quello del PIT inter-provinciale

jonico-salentino. Se ciò vuol dire che relazioni consolidate preesistenti non sono condizione necessaria a

spiegare il livello di continuità, il caso dei Monti Dauni – unico in cui si rileva un percorso almeno

inizialmente in stretta continuità tra PIT e area vasta – richiede una spiegazione più approfondita. Qui

sembra che – più che nella densità delle relazioni e nell’incremento di capitale relazionale – le ragioni della

continuità vadano ricercate nell’esistenza di una rete ristretta, stabile nel tempo, con una leadership politica

dominante e con un efficace dispositivo organizzativo.

Sul secondo profilo, anche le modalità di prosecuzione dei progetti sono eterogenee: da progetti interni al

PIT che vengono proseguiti in un panorama complessivo di sostanziale discontinuità (come è il caso del

Nord Barese), a progetti che – almeno nelle intenzioni – vengono portati avanti nella loro totalità, com’è il

caso dei due distretti agroalimentari. Volendo provare a formulare un’ipotesi, è possibile che il livello di

integrazione del progetto giochi un ruolo favorevole nello spiegare una riconferma parziale o complessiva:

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

23

mentre il Nord Barese prolunga la vita della coalizione soltanto per una parte del PIT, cioè quella relativa ai

beni indivisi; un progetto di distretto è strutturalmente meno soggetto a distribuzione e quindi più

chiaramente predisposto verso una ripresa integrale. Queste considerazioni suggeriscono che la presenza

di progetti di rete, che in parte obbligano ad una manutenzione congiunta, può costituire un

incentivo alla cooperazione, anche dopo la chiusura dei progetti.

Evidentemente non si tratta di una condizione sufficiente: l’integrazione caratterizza molti progetti PIT, ma

soltanto in alcuni si rilevano livelli di continuità significativi. Com’è ovvio, la volontà degli attori nel portare

avanti determinate iniziative è cruciale: paradigmatico in tal senso il caso del distretto jonico-salentino, che

si costituisce come distretto produttivo vincendo le stesse resistenze della Regione. Se qui giocano anche

questioni di rivendicazione identitaria e di mantenimento del controllo di progetti realizzati sul proprio

territorio, nei casi analizzati è evidente – come si diceva – che le coalizioni hanno funzionato e che la

volontà di continuare indica una valutazione positiva sul lavoro svolto e sulle sue ricadute di lungo periodo.

Qui, il fattore chiave riguarda in buona parte l’idea progettuale, ovvero la sua capacità di individuare il giusto

territorio target e le effettive esigenze di questo territorio.

Infine, in parte diversa è l’esperienza del Consapor Puglia, unico caso in cui si rileva un vero e proprio

effetto di apprendimento. Si tratta infatti di un caso di discontinuità, vero e proprio cambiamento di

percorso, in cui i beneficiari delle azioni di internazionalizzazione del PIT comprendono la loro

inadeguatezza al mercato internazionale e decidono di consorziarsi, istituendo una specifica partnership per

l’export. Si potrebbe sostenere infatti che le attività di internazionalizzazione non erano correttamente

bilanciate rispetto alle potenzialità delle imprese coinvolte, ma quello che è più rilevante è che ciò ha

generato una riflessione sulle proprie debolezze e la scelta per una soluzione collaborativa.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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4 Conclusioni e raccomandazioni

4.1 Difficoltà e opportunità di una politica di sviluppo locality based

L’esperienza dei PIT pugliesi permette di effettuare alcune osservazioni conclusive sull’utilizzo dei percorsi

di sviluppo locale nell’ambito della programmazione comunitaria.

E’ importante osservare, in primo luogo, che una lettura dell’esperienza PIT in Puglia deve necessariamente

collocarsi nell’ambito di una più generale interpretazione del ruolo, delle possibilità e dei limiti delle

politiche di sviluppo locale nell’ambito delle strategie di coesione e sviluppo territoriale a scala italiana ed

europea.

Tanto la riflessione teorica quanto l’indagine empirica di singole esperienze hanno evidenziato con chiarezza

alcuni limiti delle politiche di progettazione integrata territoriale nell’ambito della

programmazione comunitaria. Questi limiti dipendono da più fattori, connessi al disegno delle politiche, alla

capacità di implementazione e di radicamento delle esperienze, ai problemi di commitment degli attori

istituzionali e sociali, alla identifìcazione non sempre facile dei meccanismi che presiedono nel contesto

specifico al successo dell’iniziativa. In definitiva, sia per il gap temporale tra gli interventi realizzati e il

dispiegamento compiuto dei loro effetti su un sentiero locale di sviluppo, sia per la difficoltà oggettiva dei

processi attivati in territori caratterizzati da contesti economici, sociali e istituzionali fragili, l’attivazione

attraverso politiche di sviluppo locale di processi robusti e stabili nel tempo di sviluppo e coesione

territoriale è oggettivamente delicata e difficile.

Di recente Fabrizio Barca ha proposto una concettualizzazione dei possibili modelli di intervento pubblico

per promuovere lo sviluppo1. Tra questi Barca identifica e difende un modello che definisce “rivolto ai

luoghi”, basato essenzialmente su tre ipotesi: le conoscenze necessarie all’attivazione dei processi di

sviluppo non pre-esistono alle politiche, ma si generano nel processo stesso; le conoscenze locali devono

essere integrate e fertilizzate da conoscenze e risorse esterne al contesto; le élite locali rappresentano il

principale ostacolo al pieno dispiegamento delle potenzialità di sviluppo. Da questo punto di vista, una

politica di sviluppo “rivolta ai luoghi” deve promuovere assetti istituzionali, progetti e investimenti integrati,

relazioni a rete con altri luoghi, attraverso una interazione tra attori e processi esogeni ed endogeni che

siano in grado di destabilizzare gli equilibri economici e sociali e insieme di accompagnare questa rottura

degli equilibri consolidati attraverso pratiche di governance multilivello.

Come è facile comprendere, i requisiti di partenza e le condizioni di successo di una politica di questo tipo

pongono l’asticella molto in alto. Da questo punto di vista il tentativo compiuto in Italia con i PIT è stato

certamente generoso ma anche molto rischioso, e non stupisce che un pieno successo delle esperienze sia

stato un caso abbastanza raro, non solo in Puglia. D’altra parte, una politica di sviluppo “rivolta ai luoghi”

richiede una forte capacità di governance sia a livello locale che in chiave multi-level, un robusto partenariato

socio-economico disposto a rischiare, un orientamento all’innovazione delle istituzioni e delle élite locali,

una capacità di progettazione di politiche e investimenti capaci di mettere in rete risorse endogene ed

1 Si veda la comunicazione “La politica di coesione europea aiuterà una svolta nello sviluppo?”, tenuta alla IX Biennal of

European Towns and Town Plannwers organizzata dall’Istituto Nazionale di Urbanistica e tenutasi a Genova, 14-17

settembre 2011. La comunicazione riprende molti temi e suggerimenti del cosiddetto “Barca Report”, il rapporto “An

Agenda for a Reformed Cohesion Policy”, redatto da Fabrizio Barca per la Commissione Europea (Regional Policy)

nell’aprile 2009.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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esogene, un forte orientamento alla capitalizzazione dei processi di capacity building e di apprendimento

locale.

In questa prospettiva l’esperienza dei PIT pugliesi rappresenta una buona cartina di tornasole delle

difficoltà oggettive di una politica di sviluppo “centrata sui luoghi”. L’analisi svolta sul campo e

restituita in questo rapporto sembra infatti corroborare l’idea che una politica efficace di questa natura ha

bisogno di molto “locale” e di molto “extra-locale”, di molta capacità istituzionale e manageriale e di molta

mobilitazione delle risorse sociali e cognitive.

Forse, in linea generale, la vicenda dei PIT pugliesi conferma che, date le condizioni oggettivamente difficili

che presiedono al successo di una politica di sviluppo “basata sui luoghi” come quella attivata attraverso i

PIT, questo tipo di dispositivi dovrebbe essere messo in campo solo sulla base di una analisi ex-ante e

verificabile dell’esistenza delle condizioni di possibilità per il successo, e dovrebbe dunque concentrare

territorialmente e selettivamente gli interventi in modo molto più deciso.

4.2 I PIT pugliesi: uno sguardo d’insieme

In questa prospettiva non stupisce che l’analisi svolta nel lavoro valutativo restituito da questo Rapporto e

dal Rapporto intermedio restituisca una immagine non uniforme e in chiaroscuro dell’esperienza

dei PIT pugliesi.

l programma di intervento basato sui PIT ha complessivamente impegnato 552 milioni di euro, circa il 10%

del totale dei fondi disponibili a valere sul POR 2000-06 e pari al 78% dei fondi allocati a questo strumento.

Nel loro complesso, i PIT hanno evidenziato una buona capacità realizzativa, ed hanno giocato un

ruolo importante come strumenti di spesa a livello locale. Nell’ambito della programmazione comunitaria

2000-06, in effetti, lo strumento PIT ha permesso di ottenere un doppio obiettivo: da una parte, agire a

supporto della capacità di spesa dei fondi disponibili; dall’altro, favorire l’integrazione delle risorse

catalogate all’interno di Assi e Misure del POR Puglia Obiettivo 1.

Dal primo punto di vista, la scelta della Regione di attribuire una quota delle risorse disponibili al

livello territoriale, dopo una fase di preparazione lunga e carica di incertezze, si è alla fine rivelata

positiva: ha permesso infatti di redistribuire il carico di gestione di un vasto programma

finanziario che per il resto gravava quasi completamente sulla struttura regionale. La capacità di

spesa a livello locale è stata significativa, in alcuni casi più elevata della parte di

programmazione gestita tramite misure a regia regionale. Le informazioni raccolte a livello locale

mostrano ad esempio che la capacità di spesa a livello locale è stata prossima, in diversi casi, al

100% (ad esempio PIT 2 Nord Barese, PIT 4 Area Murgiana, PIT 9 Territorio Salentino Leccese),

superiore a quella delle risorse gestite a livello regionale. Il PIT 1 Tavoliere ha, ad esempio,

impegnato circa il 90% delle risorse attribuite all’Ufficio unico, mentre (includendo nel conto le

azioni a titolarità regionale) la capacità di impegno è stata inferiore al 60%.

Dal secondo punto di vista, lo strumento PIT ha effettivamente costituito una modalità per

perseguire fini di integrazione delle fonti di spesa e degli obiettivi del Programma

Operativo 2000-06, così come suggerito dal QCS per le Regioni Obiettivo 1: ha consentito,

infatti, di canalizzare varie misure del POR all’interno di progetti unitari, e superare almeno in parte

la tradizionale “separatezza” delle misure di implementazione del Programma Operativo (e che

presumibilmente si aggrava nel caso di programmi operativi monofondo, come accade nell’attuale

periodo di programmazione).

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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Questo è stato possibile grazie al focus territoriale dei progetti integrati di sviluppo: in effetti, il

riferimento territoriale è un aspetto che distingue questo tipo di programmi rispetto alla più

tradizionale programmazione per linee di intervento. Il focus territoriale permette agli attori

coinvolti nei processi di programmazione di porre maggiore attenzione alle reciproche influenze e

ai benefici derivanti dall’utilizzo di risorse di varie fonti. Se questo è vero, tale valore aggiunto è

tanto più ampio quanto più il territorio oggetto di intervento è ben definito e “riconoscibile”, in

modo da costituire un riferimento comune (ed in alcuni casi, un elemento identificante: si pensi

all’area del Salentino) per l’azione di tutti gli attori in gioco. Come si dirà più avanti, e come

testimoniato da alcuni degli attori locali, la modifica e talvolta la sovrapposizione di questi confini

nell’ambito di successive esperienze di programmazione (i patti, i PIT, i PIS, i distretti, le aree

vaste…) riduce la chiarezza e riconoscibilità di questo riferimento.

Più controverso, e in parte prematuro, è il giudizio sull’efficacia dei PIT nell’attivazione di

processi virtuosi e integrati. Come già evidenziato nel Rapporto intermedio, solo un numero

limitato di PIT ha davvero funzionato come un vero progetto di sviluppo locale: questi PIT sono

quelli che hanno offerto un valore aggiunto significativo per il contesto locale, non solo dal

punto di vista della capacità realizzativa, ma anche delle dinamiche di apprendimento organizzativo e

di irrobustimento delle coalizioni di sviluppo. I PIT che con più evidenza hanno mostrato queste

caratteristiche sono il PIT del Tavoliere, il PIT Territorio Salentino Leccese, il PIT Jonico-Salentino

e per alcuni aspetti, anche il PIT Nord Barese ed il PIT Monti Dauni. Oltre ad avere completato in

buona parte la realizzazione dei progetti previsti, questi PIT hanno più chiaramente degli altri

espresso un’”idea di sviluppo” coerente mantenendola durante tutto il processo attuativo e, per

alcuni di essi, riversandola nella programmazione successiva (Distretti, Aree Vaste). Questi casi

sono anche quelli che più intensamente hanno promosso o beneficiato dell’apporto del partenariato

nell’attivazione o implementazione delle iniziative.

Gli altri PIT possono essere assimilati a dispositivi di tipo puramente “attuativo”, che hanno

evidenziato una buona capacità di spesa o realizzativa, ma che, in larga misura, non si sono tradotti

in veri e propri progetti integrati. Al di là della coerenza formale delle proposte, si tratta infatti in

questi casi di programmi di attività caratterizzati da una bassa integrazione sostanziale tra

azioni e misure, una ridotta efficacia sotto il profilo degli effetti di medio periodo e una logica

prevalentemente “performativa”, orientata alla spesa più che alla creazione di sviluppo territoriale.

4.3 Il percorso di programmazione locale e la discontinuità della strategia

Sebbene la valutazione abbia permesso di derivare un giudizio complessivamente positivo dell’esperienza

PIT, questo deve essere articolato e non può sorvolare sulle criticità del percorso di

programmazione di “lungo periodo” dello sviluppo territoriale pugliese:

Il percorso dei PIT è stato, infatti, faticoso e molto lungo: “mettere in campo” le operazioni (cioè

definire il quadro di regole a livello regionale, concordare la programmazione territoriale, attivare

le necessarie strutture di gestione a livello locale) ha richiesto circa il doppio del tempo poi rimasto

per mettere in opera le decisioni prese.

La lunghezza del percorso ha molte ragioni e spesso ha a che fare con cambi di rotta ed incertezze

del livello strategico, con conflitti o incapacità a livello locale; tuttavia, è proprio in queste

dinamiche e nella crescita reciproca che ne consegue che sta il punto nodale delle

strategie di sviluppo locale. In altre parole, la lunghezza dei tempi è praticamente ineliminabile

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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nei percorsi di sviluppo locale. Posto che i percorsi di sviluppo locale richiedono tempi mediamente

lunghi, la modifica delle regole di fondo alla ricerca di “modelli” migliori di sviluppo comporta più costi che

benefici.

L’interlocuzione tra partner di sviluppo costituisce l’elemento di maggiore rilevanza

dell’esperienza di sviluppo locale, ma si tratta di un risultato che viene facilmente eroso dal

mutamento degli attori e da quadri di regole in evoluzione. D’altro canto, il cambio di rotta

nell’esperienza delle Aree Vaste, con un’eccessiva libertà lasciata al livello locale, si è tradotta in un

aggravio, e non in una semplificazione, del percorso di programmazione.

L’esperienza PIT ha messo in luce l’importanza di un quadro di regole definito a livello

regionale, per orientare l’azione dei partenariati locali chiamati ad intervenire nel percorso

di programmazione e per sostenerne la partecipazione attiva. In tutta la prima fase del

percorso PIT (dall’avvio del processo nel 2000 fino al 2003, anno in cui il Presidente della giunta

Regionale invita i Comitati dei PIT a presentare le proprie proposte di programmazione) la Regione

ha giocato un ruolo centrale nella dinamica partenariale, definendo un modello di attivazione e

attuazione dei PIT piuttosto centralizzato. La predeterminazione forte degli ambiti e dei contenuti dei

PIT ha fatto sì che, soprattutto laddove erano già presenti forme di attivismo locale conseguente a

precedenti iniziative di programmazione negoziata, i rappresentanti del partenariato socio-economico si

attivassero immediatamente in risposta alla proposta regionale.

Tuttavia, il periodo di stallo a livello regionale che ne è seguito – di circa un anno – ha avuto un

impatto negativo sulla spinta progettuale locale, contribuendo a creare un clima di incertezza e

sfiducia nei confronti dell’attuabilità dell’intera operazione. I processi di sviluppo locale sono processi

di costruzione di fiducia reciproca e i rallentamenti intaccano o rompono questo legame.

Tutto ciò si è tradotto in un ripensamento complessivo della strategia avvenuto nel 2005

(promosso e sostenuto da simili cambi di rotta a livello nazionale e comunitario), e la sostituzione

delle Aree Vaste (caratterizzate da un approccio molto più bottom up, oltre che da maggiore libertà

nell’allestimento delle partnership e delle strutture organizzative) ai PIT. Ciò ha creato una cesura

importante, anche dal punto di vista simbolico, con l’esperienza dei PIT che nel 2005 si trovavano,

peraltro, ad avviare finalmente la fase di implementazione.

Il cambio di strategia si è tradotto nella possibilità di scegliere soluzioni istituzionali diverse da

quelle utilizzate (in base a un modello imposto dal livello regionale stesso) nei PIT. Ciò ha

negativamente influenzato la possibilità di consolidare i nuclei di competenza in corso

di attivazione all’interno degli Uffici unici, e tolto ai PIT il proprio orizzonte di sviluppo. La gran

parte delle strutture di gestione dei PIT è stata chiusa in corrispondenza delle ultime operazioni di

rendicontazione: si tratta di un’occasione persa di capitalizzare gli sforzi fatti in precedenza. Al momento

della rilevazione risultava ancora operativo l’Ufficio unico del PIT 2 Nord Barese, confermato per

ulteriori 5 anni con l’obiettivo di implementare azioni congiunte sul tema della Sicurezza. Altre

amministrazioni di maggiori dimensioni (Bari, Taranto) mantengono la gestione delle aree vaste in

capo alle stesse strutture che avevano gestito il PIT in precedenza.

La sovrapposizione delle strategie ha inoltre impedito di promuovere quella riflessione

sull’esperienza PIT e quindi di trarre lezioni dall’esperienza precedente. Da questo punto di vista,

l’impostazione della nuova strategia non si è avvalsa di adeguati strumenti di valutazione per la

revisione critica dell’esperienza in corso. Il monitoraggio ha avuto caratteristiche tipicamente

“rendicontative”, finalizzate alla rilevazione degli aspetti finanziari e procedurali dei progetti, mentre

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

28

il rilievo come strumento di supporto alla gestione e al partenariato è stato minimo. Da questo

punto di vista, va anche sottolineato che il giudizio negativo sull’esperienza PIT era offerto sulla base

dell’assenza di concreti risultati derivanti dai progetti, così sottostimando il lavoro progettuale e di

costruzione del partenariato realizzato nel corso degli anni.

D’altro canto, la discontinuità strategica non si è verificata soltanto tra PIT e Aree Vaste, ma anche

tra PIT e precedenti esperienze di programmazione complessa. Nonostante alcuni

significativi scambi di esperienze, lo scarto tra i confini dei Patti e quelli dei PIT non ha favorito il

rafforzamento delle coalizioni costruite in precedenza, ed in alcuni casi si è assistito ad una vera e

propria spartizione delle sfere di competenza tra diversi attori dello sviluppo. In diverse

situazioni i PIT si presentano esplicitamente come esperienze di rottura rispetto ai Patti,

indipendentemente dal successo o dall’insuccesso delle esperienze pattizie precedenti. D’altra

parte, la scelta regionale verso il modello istituzionale dell’ufficio unico mette fuori gioco anche le

Agenzie di Sviluppo locale che in qualche caso (ad esempio nel Nord Barese, con l’esperienza

dell’Agenzia che aveva gestito il Patto territoriale Nord Barese Ofantino o nella Murgia, con la

Società Murgia Sviluppo) erano state protagoniste della stagione dei Patti. La scelta dell’ufficio unico

interno alle amministrazioni è stata, come si dirà, una soluzione per molti versi positiva, ma i cui

costi (in termini di negoziazione ed organizzazione) sarebbero stati assai più giustificabili in un’ottica

di apprendimento organizzativo ed institution building di lungo respiro. Questo obiettivo tuttavia

sembra del tutto assente nelle indicazioni regionali che hanno concesso, e quindi incentivato, nel

lungo periodo, la periodica rivisitazione dei referenti locali a guida delle coalizioni di sviluppo, in un

assetto instabile e quindi con diverse difficoltà di radicamento.

Al di là delle specifiche soluzioni individuate nei PIT e nelle Aree Vaste, ciò che qui preme

sottolineare è che i percorsi di sviluppo territoriale, proprio perché si fondano sulla costruzione ed

il dialogo tra diversi livelli amministrativi e settori, richiedono tempi significativamente lunghi all’interno

di un quadro di regole sufficientemente stabile per consentire l’apprendimento reciproco. Questi tempi

sono spesso messi in difficoltà dalle scadenze comunitarie: è necessario individuare gli elementi-ponte

che permettano di dare continuità alla strategia tra vari periodi di programmazione.

La complessità dei percorsi e l’omogeneità delle procedure richiede risorse manageriali e gestionali

distribuite a tutti i livelli. Questa complessità è stata sottovalutata nel disegno regionale: da una

parte, la Regione ha concentrato l’attenzione su soggetti territoriali per i quali le esperienze

precedenti di programmazione complessa erano assenti o molto ridotte; dall’altra, ha promosso un

sistema di operazioni inclusivo (tutto il territorio regionale, nessuno escluso) e sfidante per la

gestione di fondi ingenti, compresi tra i 44 ed oltre 100 milioni di euro. Anche qualora si voglia

mantenere l’inclusività dell’opzione territoriale (tutto il territorio regionale, nessuno escluso) un

sistema a più velocità permetterebbe di valorizzare le esperienze più mature e eventualmente speciali

iniziative di supporto per gli altri.

4.4 La coerenza interna dei progetti

L’impostazione del modello PIT ha messo in evidenza alcuni elementi di indubbio valore.

Un aspetto in generale positivo dell’esperienza PIT è quello della coerenza interna dei progetti

e della loro capacità di identificare chiaramente le risorse sottoutilizzate che il progetto sui

proponeva di mobilitare. La scelta di orientare la progettualità dei PIT sulla base di una

identificazione di massima di una o più filiere produttive significative per il territorio (per fare solo

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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alcuni esempi: l’agroalimentare nel Tavoliere; la logistica portuale a Brindisi e Taranto; le filiere

agroalimentari del vino e dell’olio nell’area Jonico-Salentina; il tessile-abbigliamento nell’area

Salentina Leccese; il mobile imbottito e l’agroalimentare nella Murgia) è stata veicolata

dall’impostazione definita nella programmazione regionale.

La chiara identificazione ha permesso di costruire idee-guida sufficientemente precise,

e orientate a definire condizioni contestuali per il miglioramento delle performance dei sistemi

produttivi locali. In questa direzione, supportata anche dalla selezione ex-ante delle misure del POR

sulle quali era possibile presentare i progetti nell’ambito dei PIT, i diversi progetti integrati sono

stati in grado, durante la lunga fase di programmazione, di garantire una buona coerenza tra idea

guida e progetti più significativi.

A ciò ha contribuito il lavoro di pre-selezione dei temi generali del lavoro fatta dalla Regione e la

definizione di alcune regole generali di strutturazione delle partnership locali (assemblea dei

sindaci, ufficio unico).

La definizione di un tetto indicativo di risorse cui i territori avrebbero potuto accedere con la

presentazione del PIT ha inoltre favorito la definizione di un quadro progettuale relativamente

selettivo, “tarato” sulla disponibilità economica. Il contrario, come si è visto nel caso dei Piani

strategici di Area Vasta, porta ad una sovra-produzione progettuale e conseguenti maggiori tempi

ed oneri per la selezione dei progetti candidabili al finanziamento.

Il confronto costante, sviluppato non solo nella fase di programmazione ma anche in quella di

implementazione, tra proposte avanzate dal livello locale e livello regionale, dove in particolare il

Nucleo di Valutazione e Verifica degli Interventi Pubblici ha giocato un ruolo chiave nel

contenimento delle spinte centrifughe provenienti da più fronti. In effetti, l’interazione tra attori

collocati ai diversi livelli (locale e sovra-locale) costituisce un fattore essenziale per una

buona definizione del tipo di soluzioni possibili ai problemi di sviluppo del territorio e le modalità di

questo confronto devono essere attentamente progettate.

E’ stato però, come si è detto, un percorso faticoso anche per l’ampiezza territoriale del

riferimento dello sviluppo locale (tutta la Regione) e per la “linearità” dell’approccio: non sono

infatti stati definiti percorsi selettivi o a più velocità tra i territori. Questo ha fatto sì che il

processo si sia conformato al “ritmo del più lento”, e non abbia stimolato la competizione tra aree

territoriali per orientare la programmazione. Questo è un tema che deve essere attentamente

considerato: in effetti, le esperienze di sviluppo locale promosse a livello europeo mostrano una più decisa

e generalizzata propensione all’utilizzo di procedure competitive per stimolare la definizione di “buone idee

di sviluppo” e buoni progetti operativi.

4.5 La governance

Uno degli aspetti di maggior successo dell’esperienza PIT è stato costituito dalla soluzione degli Uffici unici

PIT e dal ruolo dei PIT manager.

La costruzione degli Uffici unici aveva come obiettivo quelli di semplificare e accelerare il completamento

dell’elaborazione ed attuazione dei PIT e la loro gestione, nonché dare attuazione al quadro normativo in

tema di decentramento.

In effetti, gli Uffici unici hanno funzionato come strumenti di semplificazione, dal

momento che hanno permesso di individuare 11 referenti (per 10 PIT) a fronte di 254 enti locali

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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coinvolti. Ciò ha permesso di ridurre drasticamente il numero di interlocutori della Regione

(con particolare riferimento ai responsabili di misura, alla struttura PIT e al NVVIP) per la gestione

delle misure finanziate dal POR, e di sollecitare la qualificazione manageriale dei responsabili

degli Uffici;

L’Ufficio unico ha operato come un centro di coordinamento del partenariato locale

affidando il controllo tecnico delle attività ad un soggetto unico, stabile nel tempo e con una forte

“certificazione” da parte del livello regionale, con ciò sollecitando anche una maggiore

compliance delle attività realizzate rispetto alle regole formali;

La figura del PIT manager è cruciale così come la scelta di un profilo di elevata

professionalità. In alcuni casi si è data preferenza a profili di tipo finanziario contabile a garanzia

della correttezza della spesa; in un numero minore di casi, a esperti di sviluppo locale o comunque

manager con una “visione” della politica territoriale e dei risultati da raggiungere. Quest’ultimo

elemento costituisce un valore aggiunto rispetto alla mera “buona gestione” dei compiti assegnati,

che naturalmente è una precondizione essenziale. Altri fattori come la continuità a capo dell’Ufficio

unico (o al contrario la dipendenza del PIT manager dalle alternanze politiche), il sostegno dei

partner politico-istituzionali e la disponibilità di strutture di supporto adeguate sono elementi in

grado di spiegare gli esiti di alcuni PIT rispetto ad altri.

La ricostruzione effettuata ha permesso di stimare in minimo un anno, ma più spesso due, il tempo

necessario per l’allestimento delle strutture tecniche di supporto. Solo il PIT 1 Tavoliere ed il PIT 9

Salentino Leccese erano già pronti a realizzare i progetti all’epoca della firma degli accordi. Il tempo

di “costruzione delle architetture gestionali” va ad aggiungersi a quello della concertazione per la

definizione del programma territoriale, ulteriormente restringendo il tempo disponibile per

l’attuazione dei progetti. Si tratta di tempi difficilmente comprimibili che devono essere attentamente

considerati, tutte le volte che nuovi modelli promuovono nuove forme di gestione.

Le esperienze analizzate hanno mostrato alcune difficoltà nell’organizzazione delle strutture

gestionali, tranne nel caso in cui si è trattato di strutture professionali esterne alle amministrazioni,

allestite “a tempo determinato” per la realizzazione dei progetti (si vedano le esperienze del PIT 4

Murgia, del PIT 5 Valle d’Itria, del PIT 2 Nord Barese e del PIT 9 Salentino Leccese). Il ricorso a

consulenza esterna è stata in questi casi pervasiva. La soluzione prevista del personale “in avvalimento”

da parte degli altri enti partner è stata quasi ovunque fallimentare, dal momento che risulta incompatibile

con le esigenze del processo (disporre di personale con la necessaria qualificazione per la gestione di

progetti da realizzare in tempi brevi).

Alcuni Enti hanno investito sul rafforzamento interno delle proprie strutture per lo sviluppo locale:

si tratta di percorsi complessi ma che nel medio periodo consentono un maggiore radicamento

delle competenze interne (ad esempio, non senza difficoltà, il PIT 3 Area Metropolitana di Bari e

PIT 6 Taranto). Va però segnalato che l’avvio delle Aree Vaste non ha costituito un’occasione di

ulteriore coinvolgimento del personale degli Uffici unici, anzi i due percorsi si sono svolti spesso in

modo separato. Il cambio della strategia regionale ha spostato l’attenzione verso nuovi nuclei di

competenza e ha sottratto agli Uffici PIT i propri orizzonti di sviluppo. La gran parte delle strutture

PIT sono state chiuse in corrispondenza delle ultime operazioni di rendicontazione: si tratta di un’occasione

persa di capitalizzare gli sforzi fatti in precedenza.

Durante il periodo di programmazione PIT la Regione ha allestito un ufficio incaricato di fare da punto

di snodo tra le strutture regionali coinvolte nella gestione del POR (responsabili di misura, autorità di

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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gestione ecc.) ed i PIT. Questa struttura è stata considerata una soluzione positiva al fine di

supportare i responsabili della programmazione a livello locale (in particolare, i PIT manager) e

rafforzare l’unitarietà di indirizzo da parte della Regione stessa. Una lezione appresa dall’esperienza

PIT è che una tale struttura di coordinamento interno alla Regione dovrebbe essere ulteriormente

rafforzata nel caso di nuove esperienze di sviluppo territoriale, assorbendo compiti di indirizzo,

assistenza tecnica, monitoraggio delle attività realizzate a livello locale anche indipendentemente dal

POR. Ciò permetterebbe di affrontare la settorializzazione tipica delle burocrazie amministrative di

grande dimensione, che diventa ancora più significativa data la struttura dei programmi operativi per

fondo, assi e misure.

4.6 Il partenariato

La creazione ed il rafforzamento di reti partenariali complesse è uno degli elementi caratterizzanti una

strategia di sviluppo territoriale. Uno degli assunti è che sia necessario da una parte coinvolgere un numero

sufficientemente ampio di attori di livello locale per “fare massa critica” in modo da concordare e realizzare

le soluzioni di sviluppo a partire dalle risorse disponibili; dall’altra attivare il coinvolgimento di attori sovra-

locali per acquisire risorse (conoscitive, economiche, politiche….) non presenti a livello locale ad un

sufficiente grado di complessità.

Le partnership emerse dalle esperienze PIT sono prevalentemente attuative, selezionate almeno in

certa misura attorno all’idea di sviluppo che ha caratterizzato la strategia del PIT. Gli attori di tipo

istituzionale costituiscono decisamente la categoria prevalente, ma anche la presenza di attori

economici deve essere presa in considerazione. Si tratta di partnership economiche

prevalentemente di livello territoriale, con pochi esempi, talvolta fallimentari, di cooperazione con

attori di dimensione più ampia (si pensi ad esempio alle autorità portuali o alle ferrovie, partner di

progetti mai avviati).

Il coinvolgimento di questi attori deriva da una pluralità di iniziative potenzialmente “attrattive” per

l’imprenditoria locale, quali ad esempio i PIA-PIT, le azioni di internazionalizzazione, la

collaborazione diretta all’implementazione di alcuni progetti. Va inoltre osservato che la presenza

imprenditoriale è stata sostenuta nei PIT anche dalla presenza di un’organizzazione abbastanza

capillare e strutturata di Confindustria e delle organizzazioni sindacali, che oltre a partecipare allo

Steering group regionale, hanno nominato propri referenti per ciascun territorio coinvolto nella

programmazione.

D’altra parte, la cooperazione degli attori economici è particolarmente sensibile agli effetti di

ritardi (quali ad esempio, nei rimborsi ai finanziamenti ricevuti) o nell’episodicità degli strumenti di

coinvolgimento. Le interviste effettuate hanno spesso messo in luce come i percorsi PIT

consistessero, agli occhi degli imprenditori, in richieste di coinvolgimento saltuario, cui seguivano

lunghi periodi di “silenzio” delle istituzioni sui progetti in corso.

In alcuni limitati casi la costruzione della partnership è stata un vero e proprio obiettivo

del percorso PIT. I casi più significativi sono costituiti da: il PIT 1 Tavoliere, dove i tavoli di

partenariato sono stati gestiti in modo continuo con l’obiettivo di utilizzare il percorso PIT per

giungere alla costituzione del Distretto Agro-Alimentare; il PIT 2 Nord Barese, dove ad una lunga

fase di forte criticità ha fatto seguito il consolidamento delle relazioni tra alcuni dei partner del PIT

e la decisione di proseguire la collaborazione sul tema della Sicurezza; il PIT 8 da cui è nata

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

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un’esperienza consortile per l’import-export di prodotti salentini; il PIT 9 Salentino leccese che ha

potuto contare su un contributo molto attivo del partenariato socio-economico.

4.7 L’efficacia dei Progetti Integrati Territoriali

Gli approfondimenti realizzati hanno in sostanza mostrato una buona coerenza ed integrazione formale dei

PIT a livello progettuale, una buona capacità realizzativa (produzione di output) e una limitata “persistenza”

delle strategie territoriali entro successivi percorsi di sviluppo.

Quando i programmi PIT sono stati approvati ed è stata avviata la fase di implementazione dei

progetti, gli Uffici unici si sono trovati di fronte ad una vera e propria urgenza attuativa: la necessità

di concludere le azioni entro termini stringenti (tra 2 e 3 anni) ha dato prevalenza a progetti

relativamente semplici (ad esempio, infrastrutture di taglia medio-piccola), e l’abbandono di

alcuni grandi progetti inizialmente previsti. Si tratta di una strategia tutto sommato condivisibile dal

momento che la realizzazione di progetti di grande portata finanziaria è difficilmente gestibile

all’interno di un percorso di sviluppo locale.

Gli approfondimenti realizzati hanno mostrato una buona capacità di realizzare alcuni progetti

specifici, come i master universitari, le infrastrutture per i centri servizi, le azioni di

internazionalizzazione, le azioni in tema di sicurezza. Tuttavia, in alcuni tipi di progetti rilevanti, ivi

compresa la realizzazione dei centri servizi e soprattutto dei portali web, vi è stato un debole

presidio della gestione dei progetti una volta attuati, che rende oggi dubbia l’efficacia di

questi tipi di interventi.

È più in generale mancata la costruzione di una regia strategica, che facilitasse la produzione di

effetti di integrazione territoriale a valle tra azioni in regime di aiuto alle imprese, politiche di

formazione e qualificazione del capitale umano, produzione di infrastrutture e servizi reali al sistema

produttivo. Questa incapacità riguarda sia il livello locale sia quello regionale: in effetti, a differenza

della fase di programmazione, in fase di implementazione l’attenzione al valore aggiunto derivante

dall’integrazione dei progetti è stata decisamente trascurata.

Più in generale, un elemento da sottolineare è la debolezza degli strumenti di supporto di questa

strategia: monitoraggio, valutazione, comunicazione dei risultati sono strumenti molto

deboli nell’esperienza PIT e ciò contribuisce a sottostimare l’esperienza di programmazione

territoriale realizzata. Solo un PIT (il Tavoliere) ha ad esempio sviluppato percorsi di

autovalutazione interna, pochi hanno utilizzato gli strumenti di comunicazione come strategia per il

coinvolgimento del partenariato (tra questi il PIT 9 Territorio Salentino Leccese) e la

comunicazione dei risultati. Questi elementi portano ad un basso livello di conoscenza su cosa è

stato realizzato e cosa è possibile valorizzare attraverso successivi strumenti di incentivo e follow

up.

In questo senso, le risorse conoscitive sui risultati conseguiti diventano un elemento strategico dell’attività di

guida e coordinamento svolto dalla regione, oltre che una risorsa cruciale per l’auto-promozione delle

coalizioni locali.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

33

4.8 Suggerimenti e raccomandazioni

In conclusione, e nonostante le diverse criticità ricordate, alcune esperienze PIT hanno effettivamente

mostrato una spinta allo sviluppo che è andata oltre la mera attuazione dei progetti inseriti nel

programma di attività. Le esperienze di maggior successo hanno mostrato il consolidamento delle

coalizioni di attori e che oggi continuano a lavorare su temi trattati, in prima istanza, durante l’esperienza

PIT. Tra questi rilevano alcuni esempi principali:

la creazione del distretto agro-alimentare Jonico Salentino: il Distretto era già tra gli obiettivi

del PIT, le cui azioni previste erano finalizzate al consolidamento del distretto: il portale doveva

servire quale interfaccia per l’organizzazione dei produttori del territorio e le sedi dei centri

servizi erano pensate quali sedi provinciali del distretto. La massa critica in termini di imprese e

la necessaria capacità organizzativa per la costituzione del distretto esistevano già, e il comitato

del PIT è riuscito a raccordarsi con la legge sui distretti produttivi ottenendo infine il

riconoscimento.

Il caso del Consorzio Consapor, nato a seguito delle missioni di internazionalizzazione del PIT

8, dalla collaborazione di diverse aziende del salentino: da produttori di vino e olio – che ne

costituiscono la parte maggioritaria – ad aziende di formaggi, conserve, tonno, miele, prodotti

da forno.

Il caso del Distretto delle Terre Federiciane, dove l’eredità del PIT Tavoliere risulta essere un

capitale esistente, anche se ancora non completamente sfruttato;

Il caso delle azioni in tema di Sicurezza realizzate del Nord Barese, la cui partnership

istituzionale nasce (e riconferma) l’accordo siglato con il PIT 2 mentre la coalizione sull’area

vasta ha preso una diversa architettura;

Il caso dei Monti Dauni, dove il Piano di Area Vasta sostanzialmente conferma e prosegue gli

obiettivi strategici individuati nell’ambito del PIT 10.

In tutti questi casi, non si è trattato tanto di un “modello PIT” ad aver favorito il raggiungimento

degli esiti, quanto della presenza, a livello territoriale, di risorse ad un livello tale da

consentire il conseguimento di quegli esiti. Queste risorse sono state di vario tipo: dalla

presenza di leader di peso che hanno giocato un ruolo pivotale nelle decisioni del partenariato, al

ruolo di PIT manager che alle competenze tecniche hanno saputo associare una precisa idea di

sviluppo del territorio, all’aggregazione di partner socio-economici attorno ad un’idea di soluzione

ai problemi del territorio. Anche gli esiti dei PIT vanno ricercati in ambiti diversi; si tratta in

alcuni casi del consolidamento delle reti istituzionali su progetti anche diversi da quelli promossi dal

PIT, o al contrario sull’acquisizione da parte di soggetti privati di iniziative avviate grazie ai

finanziamenti pubblici; in allestimento di strutture di gestione di progetti complessi/integrati o in

creazione di nuove realtà pubblico-privato per la promozione delle risorse del territorio.

Ciò significa che gli esiti dei PIT ed i fattori che li hanno favoriti sono quasi sempre peculiari della

realtà locale cui si riferiscono, così come lo sono anche le spiegazioni relative ai maggiori

fallimenti registrati in queste esperienze, anche se è proprio dalla reciproca fertilizzazione ra risorse

e conoscenze endogene ed esogene che emergono i risultati più significativi.

Significa anche che le strategie di promozione che adottano un unico modello a supporto di realtà

differenti (ed il caso della Puglia mostra, in linea con la programmazione nazionale, un’eccessiva

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

34

preoccupazione verso l’individuazione di “buoni modelli” per lo sviluppo locale), inevitabilmente,

saranno molto adatte a favorirne alcune mentre non lo saranno affatto per altre.

In altre parole, gli strumenti di incentivo e sanzione dovrebbero essere attentamente

calibrati sulla base dei risultati conseguiti o sulle potenzialità espresse dalle diverse

realtà. Questo implica ovviamente che i compiti della governance multilivello non si esauriscono

nella fase di programmazione e nella definizione dell’architettura degli interventi, ma che il dialogo

dovrebbe proseguire anche in seguito, concordando iniziative supplementari sulla base di contratti

successivi.

L’esperienza dei PIT dimostra inoltre come sia cruciale una valutazione ex-ante, il più

possibile accurata, delle condizioni di possibilità per il dispiegamento degli effetti

virtuosi di una politica di sviluppo territoriale “centrata sui luoghi”. Ciò implica la

costruzione di un quadro che permetta di identificare le conoscenze e le risorse locali in uso o

sottoutilizzate, le reti di attori esistenti e potenziali, le connessioni già esistenti tra attori e

istituzioni locali e altri contesti locali e sovralocali, il patrimonio di progetti e politiche già esistente

e attivo.

Le due principali conseguenze di questa accurata valutazione ex-ante sono da una parte la

costruzione di una politica selettiva, capace di concentrare territorialmente gli investimenti e

di promuovere politiche di sviluppo locale solo in contesti che presentino alcuni requisiti minimi.

Ciò implica l’abbandono della logica “coprente”, che spalma su tutto il territorio gli interventi dei

progetti integrati (PIT prima, aree vaste poi), assumendo coraggiosamente una politica di

articolazione e selezione territoriale degli interventi che richiede un forte committment politico a

livello regionale e locale. Di conseguenza, alcuni territori potrebbero rimanere esclusi da queste

dalle nuove opportunità costituite da un programma “a più velocità”: si tratta probabilmente di

costi inevitabili al fine di salvaguardare un metodo finalizzato a valorizzare le risorse del territorio.

L’uniformità delle procedure e la simultaneità dei tempi di programmazione ed attuazione

costituiscono ostacoli che dovrebbero essere, il più possibile, rimossi.

La seconda conseguenza è la necessità di una cura minuziosa dei meccanismi istituzionali e

organizzativi per il radicamento e l’istituzionalizzazione degli esiti delle politiche, sia

dal punto di vista delle strutture manageriali, che sotto il profilo dei partenariati. Selettività e cura

richiedono una forte capacità di governance multi-livello, a partire da una regia regionale consistente

nel tempo.

Una ulteriore raccomandazione che da questa esperienza è possibile trarre, riguarda la necessità di

introdurre stabilmente forme di analisi, valutazione e comunicazione dei risultati

conseguiti sia a livello locale sia regionale, per un doppio scopo. Il primo e più ovvio è quello

di rispondere in modo razionale a criticità inattese; il secondo è quello di mantenere e ove

necessario recuperare il coinvolgimento dei diversi partner attorno all’idea di sviluppo locale e

guidare la programmazione degli interventi successivi. In sostanza, un più completo sistema di

monitoraggio, valutazione e comunicazione di quanto fatto permetterebbe non solo di apprendere

dai fallimenti, ma anche e forse soprattutto di disporre di conoscenza utile a valorizzare le

esperienze migliori, in una logica di “preselezione” degli interventi candidabili a nuove forme di

sostegno/accompagnamento.

Ciò permetterebbe di valorizzare le esperienze di successo, sanzionando (o lasciando

“spegnersi”) iniziative insoddisfacenti o pretestuose. In questo senso, le risorse conoscitive sui

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

35

risultati conseguiti diventano un elemento strategico dell’attività di guida e coordinamento svolto

dalla Regione, e gli strumenti di monitoraggio, valutazione e comunicazione dovrebbero con più

decisione supportare questo ruolo. Significa inoltre che il sistema di gestione dello sviluppo locale

dovrebbe trovare anche in Regione un più saldo sistema di presidio e controllo finalizzato non solo

alla rendicontazione delle risorse verso l’Unione Europea, ma soprattutto a supportare la

traduzione della strategia regionale entro percorsi di sviluppo di livello locale.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

36

5 LE FONTI DI INFORMAZIONE

Per la realizzazione di questo rapporto sono state raccolte informazioni a livello regionale e a livello locale,

attraverso:

documenti ufficiali e documentazione “grigia” sul processo di attuazione dei PIT, quali bandi,

deliberazioni, graduatorie, piani finanziari ecc., raccolti sia a livello regionale sia livello locale;

interviste dirette ai soggetti responsabili della programmazione a livello regionale;

interviste dirette ai responsabili degli uffici unici dei PIT, a politici locali, ad attori del partenariato

economico ed altri testimoni rilevanti per la ricostruzione delle storie attuative;

documenti ufficiali, fonti web, interviste e documentazione grigia in materia di centri servizi. master

universitari e portali;

un’indagine rivolta a 53 aziende beneficiarie dei fianziamenti PIA-PIT;

interviste in profondità rivolte ai PIT manager di 5 PIT;

i dati del MIR-Web, il sistema di monitoraggio della Regione Puglia. Questi dati, forniti a maggio

2011, contengono le informazioni relative agli stanziamenti e agli impegni di spesa a valere sulle aree

PIT, ma non quelle relative alla spesa effettiva. Questo aspetto, pertanto, non è stato analizzato nel

dettaglio. Le considerazioni sugli avanzamenti di spesa sono state tratte dai materiali documentali e

dalle informazioni fornite dai PIT manager a livello locale.

Sono state realizzate in totale 89 interviste dirette (alcuni degli intervistati sono stati contattati più volte)

oltre a 53 interviste realizzate tramite questionario.

Le attività sono state condotte tra settembre 2010 e maggio 2011 dal gruppo di ricerca del Consorzio

Metis, sotto la direzione scientifica di Bruno Dente. Hanno partecipato alle attività di ricerca: Erica Melloni

(referente per il Tema A); Gabriele Pasqui (referente per il Tema B); Giancarlo Vecchi (referente per il

Tema C). Le attività di indagine e ricerca sul campo sono state condotte da: Simonetta Armondi; Paola

Briata; Simone Busetti; Erica Melloni; Cristina Vasilescu. Le interviste telefoniche per i PIA-PIT sono state

realizzate da Silvia Foffa e l’elaborazione dei dati è stata effettuata da Alessandra Naldi.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

37

Per la realizzazione dei Dossier PIT e per il Tema A sono state intervistati i seguenti soggetti:

Tabella 5 Le interviste effettuate tra settembre 2010 e giugno 2011

Interviste di

inquadramento

1. Elisabetta Biancolillo (Regione Puglia), 30.9.2010

2. Pasquale Orlando (Regione Puglia), 30.9.2010

3. Mario Barberio (CGIL), 30.9.2010

4. Umberto Bozzo (Confindustria), 30.9.2010

5. Nicola Di Girolamo (Regione Puglia), 15.12.2010

6. Palma Mallardi (Regione Puglia), 15.12.2010

7. Lucia Crocitto (Regione Puglia), 7 marzo 2011

8. Pietro Bianco, Regione Puglia, responsabile di misura

9. Michele D’Ursi, Regione Puglia, responsabile di misura

PIT 1 Tavoliere 10. Dott. Carlo Dicesare (PIT Manager) – 10 novembre 2010

11. Dott.ssa Olga Buono (consulente PIT del Comune di Foggia) – 10novembre 2010

12. Dott. Giovanni Cera (rappresentante CIA nel PIT1) – 10 novembre 2010

13. Prof. Francesco Contò (rappresentante Confagricoltura nel PIT 1) – 9 novembre 2010

14. Prof. Gianluca Nardone (direttore D.A.R.E) – 12 novembre 2010

15. Dott. Giuseppe Palladino (rappresentante Coldiretti nel PIT 1) – 12 novembre 2010

16. Arch. Francesco Parisi (ex vice –presidente alla Provincia di Foggia) – 9 novembre 2010

17. Dott. Giovanni dello Iaconno (funzionario del Comune di Foggia; staff dell’Area Vasta) – 10 novembre 2010

PIT 2 Nord Barese 18. Maria Luisa Caringella, Pit Manager, Comune di Andria, 10.11.2010.

19. Gaetano Pierro, Dirigente lavori pubblici del Comune di Barletta, RUP del Pit, 11.11.2010.

20. Santa Scommegna, dirigente del settore attività produttive-sviluppo economico del Comune di Barletta,

intervista telefonica, 4.11.2010.

PIT 3 Area

Metropolitana di Bari

21. Vincenzo Ficarella, pit manager, 29 settembre 2010

22. Letizia Di Lorenzo, funzionario amministrativo dell’Ufficio Unico, 29 settembre 2010

23. Egidio Pani, ex vicesindaco del Comune di Bari, 29 settembre 2010

24. Carlo L’Arab, funzionario del Comune di Bari, 29 settembre 2010

25. Cristina di Pierro, Comune di Bari, 29 settembre 2010

26. Raffaele Calafiore, funzionario CCIAA di Bari, 30 settembre 2010

27. Vito Santacesaria (imprenditore), 30.9.2010

28. Gianni Sebastiano (imprenditore), 30.9.2010

29. Vito Nitti, responsabile Area Vasta, 11 maggio 2011

30. Mario Marchillo, PIT manager 2005-07, 11 maggio 2011

PIT 4 Area della Murgia 31. Emiddio Romano, imprenditore Romano Exhibit, 13.12.10

32. Anna Martina Zingarello, pit manager, 13.12.10

33. Cinzia Lagioia, consulente progetto Murgia Sicura e Integra Murgia, 14.12.10

34. Vito Giampetruzzi, assessore Provincia di Bari e vice sindaco comune di Santeramo in Colle, 14.12.10

35. Vito Lillo, Sindaco di Santeramo in Colle, 14.12.10

36. Maria Pia di Medio, Sindaco di Cassano delle Murge, 14.12.10

37. Ignazio di Mauro, Sindaco di Poggiorsini, 14 dicembre 2010

38. Francesco Savoia, Engineering spa, 14.12.10

39. Mario Antonio Stacca, sindaco di Altamura, 20 gennaio 2011 (intervista telefonica)

40. Giovanni Divella, Sindaco di Gravina di Puglia, 20 gennaio 2011 (intervista telefonica)

PIT 5 Valle d’Itria 41. Salvatore Alemanno, Pit Manager (segretario generale del Comune di Noci e di Martina Franca), 9.11.2010.

42. Angela Scianatico, assistenza tecnica PIT, società Profin Service srl di Bari, 9.11.2010.

43. Stanislao Morea, Vice sindaco di Noci, 9.11.2010.

44. Ing. Labruna proprietario dell’Azienda AS di Monopoli, intervista telefonica,17/11/2010.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

38

45. Geom. Giuseppe Palmisano, Rup del Centro Servizi di Locorotondo, intervista telefonica, 24.11.2010

PIT 6 Taranto 46. Maurizia Merico – PIT Manager dal 05.05.2006

47. Rossella Donnici – Collaboratrice dell’Ufficio Unico con riferimento al progetto e.I.S.LOG

48. Daniela Solito – Collaboratrice dell’Ufficio Unico con riferimento al progetto di internazionalizzazione

49. Francesco Benincasa – Autorità Portuale (attore rilevante con riferimento al progetto “Taranto Linked to the

World”)

PIT 7 Brindisi 50. Giovanni Antelmi, Pit Manager 2005-2009, 11 novembre 2010

51. Lorenzo Cirasino, Assessore Provincia Brindisi, 8 novembre 2010

52. Fabio Lacinio, R.U.P. Comune di Brindisi, 8 novembre 2010

53. Sergio Rini, Pit Manager 2009, 8 novembre 2010

54. Carlo Ruffo, Responsabile Misura 6.1, 10 novembre 2010

55. Francesco Rodia, Consulente Junior Ufficio Unico Pit 7 8 novembre 2010

56. Madia Semeraro, Cna Brindisi, 10 novembre 2010

57. Domenico Tanzarella, Sindaco di Ostuni, 11 novembre 2010

PIT 8 Area Jonico-

Salentina

58. Lorenzo Cirasino, Assessore Provincia Brindisi, 11 novembre 2010

59. Luigi De Bellis, Direttore Master Manager Produzioni Florovivaistiche Unisalento, 08 novembre 2010

60. Antonio De Tommasi, Addetto Ufficio Unico PIT, 08 novembre 2010

61. Cosimo Durante, Sindaco Leverano, 10 novembre 2010

62. Diego Lazzari, CNA Lecce, 10 novembre 2010

63. Maurizio Mazzeo, Pit Manager 2005-2010, 08 novembre 2010

PIT 9 Territorio

Salentino-leccese

64. Caterina Mastrogiovanni – PIT Manager dal 2005

65. Carla Petrachi – Ufficio Unico

66. Remigio Venuti – ex Sindaco di Casarano

67. Umberto Vitali – Project Manager

PIT 10 Monti Dauni 68. Carmelo Mora – ex presidente della CM Monti Dauni Meridionali;

69. Armando Palmieri – ex presidente della CM Monti Dauni Settentrionali

70. Daniele Borreli – direttore Gal Meridaunia

71. Pietro Lamarucciola – sindaco PietraMontecorvino

72. Ernesto Cicchetti – sindaco Castelnuovo della Daunia ed ex presidente della CM Monti Dauni Settentrionali

73. Tommaso Lecce – PIT Manager Comunità Montana Monti Dauni Meridionali

74. Prof. Nardone – consulente area vasta Monti Dauni Meridionali

Per l’approfondimento sul Tema B – l’efficacia delle azioni realizzate nell’ambito della progettazione

integrata territoriale sono state intervistate, tramite un questionario a risposta chiusa, 53 imprese

distribuite sulle aree dei PIT 2, PIT 3, PIT 4, PIT 5, PIT 6, PIT 7, PIT 9, PIT 10.

Per l’approfondimento sul tema C – Le relazioni tra l’esperienza PIT e le altre esperienze di sviluppo locale

sono state intervistate le seguenti persone:

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

39

Tema C Continuità 75. Gianni Sebastiano, Presidente Distretto Informatica, 6 maggio 2011

76. Pantaleo Piccinno, Coldiretti, 4 maggio 2011

77. Santo Ingrosso, Confcooperative, 4 maggio 2011

78. Maurizio Mazzeo, PIT Manager, 5 maggio 2011

79. Alessandro Candido, Presidente Distretto, 5 maggio 2011

80. Diego Lazzari, Confagricoltura, 4 maggio 2011

81. Nicola Spagnuolo, CIA, Consapor Puglia, 5 maggio 2011

82. Mario Totaro, Presidente Distretto Filiera Moda, 27 aprile2011

83. Dario longo, Confartigianato, Segretario Distretto Filiera Moda, 2 maggio 2011

84. Antonietta Majellaro, Presidente Distretto Legno e Arredo, 29 aprile 2011

85. Giusj Parascandalo, Confindustria Taranto, per il distretto logistico, 6 maggio 2011

86. Carlo Dicesare, PIT Manager Tavoliere, 2 maggio 2011

87. Giovanni Cera, CIA, 3 maggio 2011

88. Giuseppe Longo, Camera di Commercio Foggia, 3 maggio 2011

89. Maria Luisa Caringella, 11 maggio 2011

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

40

6 LA VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DEL SERVIZIO

Uno specifico approccio è stato utilizzato dal Consorzio Metis per l’autovalutazione della qualità del

servizio. Tale approccio costituisce un adattamento alle specifiche caratteristiche del servizio della

riflessione sui criteri di valutazione della qualità è il contributo metodologico fornito nell’ambito del

progetto MEANS2. Per ciascun criterio sono state definite in sede di Offerta tecnica le Proposte

metodologiche per l’autovalutazione; è stata inoltre definita una scala Likert per l’attribuzione del punteggio

di autovalutazione.

Le tabelle seguenti riportano le modalità con cui il Consorzio Metis ha corrisposto alle aspettative di qualità

del servizio e un giudizio finale dato dalla media delle singole voci (esclusa la n.10, non pertinente in

relazione allo stadio della ricerca). La media dei giudizi espressi in autovalutazione è pari a 3,6, configurando

quindi un livello di servizio superiore al “livello buono”.

CRITERI MEANS PROPOSTE

METODOLOGICHE

COSA È STATO FATTO (RAPPORTO INTERMEDIO)

Soddisfazione delle

esigenze

Definizione degli obiettivi dell’attività

attraverso interazioni formali e informali con referenti dello Steering group regionale dei PIT

Riunione con il Committente e con lo steering group PIT (1° luglio; 7

settembre 2010; 7 marzo 2011)

Ridefinizione parziale dei contenuti delle attività di ricerca e di alcune metodologie in relazione alle osservazioni dello Steering Group

Pertinenza dell’ambito di applicazione

Garantire la coerenza tra l’oggetto di analisi e le domande di valutazione poste dal Committente

Le analisi effettuate nell’ambito del rapporto finale hanno utilizzato le ricostruzioni (Dossier PIT) già realizzate in occasione del Rapporto Intermedio arricchendole con ulteriori approfondimenti. La scelta dei

casi di approfondimento è stata effettuata in accordo con la Committenza.

Processo aperto Organizzazione di momenti di incontro ed interazioni con i differenti soggetti coinvolti, al fine di coglierne

le diverse esigenze ed aspettative (sia il personale degli Steering group regionale sia referenti dei PIT a livello

locale). L’approfondimento dei Dossier PIT permetterà di affinare il metodo valutativo relativo agli

approfondimenti tematici

Nell’ambito degli Steering Group sono stati discussi e condivisi i punti di criticità dell’esperienza PIT e delle opportunità di approfondimento

Sono state realizzate alcune interviste ulteriori con la struttura di

gestione a livello regionale e con il partenariato socio-economico di livello regionale, per approfondire alcune delle questioni emerse nell’ambito dello Steering Group

L’analisi delle esperienze locali è stata improntata alla raccolta di informazioni e giudizi da parte di un ampio spettro di interlocutori (politici, istituzionali, socio-economici) inclusi referenti che hanno

partecipato soltanto alle prime fasi di programmazione dei PIT

Giustificazione

dell’impianto

Verifica affinché metodi e strumenti

proposti siano congruenti con gli obiettivi degli approfondimenti tematici e coerenti con i fondamenti e le motivazioni

dell’assunzione dell’approccio della progettazione integrata nell’ambito della programmazione regionale

2000-2006.

I metodi e gli strumenti di analisi e valutazione sono stati definiti in

stretta relazione con i presupporti teorici e metodologici alla base della progettazione integrata. Il collegamento tra strumenti tecnici per l’estrazione delle informazioni e l’elaborazione dei giudizi è legato a tali presupposti ed è costantemente tenuto sotto controllo, discusso e

rivisto nell’ambito di periodiche riunioni del gruppo di lavoro e nella revisione complessiva dei risultati delle analisi.

Attendibilità dei dati L’attendibilità dei dati utilizzati è

garantita dall’esperienza del proponente nei metodi di raccolta ed

A differenza di quanto ipotizzato inizialmente, i dati di monitoraggio

regionale sullo stato di avanzamento dei PIT sono stati forniti a fine attività (maggio 2011) e relativi solo agli impegni di spesa. Questa lacuna

2 I criteri MEANS sono indicati come criteri di qualità della valutazione intermedia dal Documento di orientamento

della Commissione Europea “La valutazione intermedia degli interventi dei Fondi Strutturali”, successivamente precisati dal

Working Document della Commissione Europea Indicative Guidelines on Evaluation Methods: evaluation during the

programming period.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

41

elaborazione di dati quantitativi e qualitativi provenienti non solo da

fonti statistiche o amministrative, ma

anche da un’attività di ricerca sul campo adeguata e in grado di produrre risultati attendibili.

informativa è stata compensata rafforzando le attività di ricerca sul campo e recuperando, ove possibile, i dettagli informativi necessari a

valutare l’avanzamento realizzativo (output e risultati) e finanziario

(capacità di spesa). I Dossier PIT e le conclusioni del rapporto sono realizzati sulla base di tali dati e sulle informazioni aggiornate basate sul MIR-Web. Ciò tuttavia ha comportato da una parte una disomogeneità

nella copertura informativa dei casi di livello locale (che è dipesa dal grado di completezza e affidabilità delle informazioni fornite dai PIT manager), dall’altra una copertura incompleta di informazioni rilevanti

per la valutazione della capacità realizzativa e finanziaria delle azioni condotte a regia regionale.

Validità dell’analisi I metodi e gli strumenti proposti ed adottati sono validati dall’esperienza decennale del Consorzio Metis nel campo della valutazione dello sviluppo

locale e verranno sistematicamente presentati, evidenziandone la portata ed i limiti

I dati utilizzati per il report finale derivano principalmente da 1) fonti documentali ufficiali e “documentazione grigia”, 2) interviste dirette agli attori di livello regionale e locale. Altre informazioni derivano da fonti quali siti internet, ricerche di approfondimento, ecc. Le interviste dirette

a livello locale sono stata l’occasione per raccogliere ulteriore documentazione predisposta dagli Uffici unici per ampliare le fonti informative sulle singole esperienze. Il metodo per l’utilizzo di tali dati è

stato improntato alla “triangolazione” delle informazioni ove possibile; in casi diversi (es. un giudizio di un singolo soggetto intervistato) la parzialità dell’informazione è stata opportunamente sottolineata

nell’ambito della trattazione.

Credibilità dei risultati I riferimenti teorici e metodologici

della valutazione saranno costantemente chiamati a riferimento per l’espressione dei giudizi

I riferimenti teorici e metodologici alla base dell’espressione dei giudizi

sono richiamati nell’inception report e discussi con la Committenza. I giudizi preliminari sui singoli PIT e i giudizi comparativi complessivi inseriti nel Report intermedio sono stati discussi con lo Steering Group

PIT che ha approvato il Report intermedio.

Imparzialità delle conclusioni

L’esperienza, l’indipendenza e la multidisciplinarietà del gruppo di

lavoro e le costanti interazioni formali ed informali con i soggetti coinvolti, ed in particolare con lo Steering

group costituiscono una garanzia dell’imparzialità delle conclusioni espresse.

Le valutazioni sono state espresse sulla base dei presupposti metodologici, del riferimento teorico complessivo alla teoria dello

sviluppo locale ed in particolare dell’impostazione di base della progettazione integrata e sono state espresse esclusivamente sulla base delle informazioni raccolte; queste ultime sono esattamente

documentate nel Rapporto.

Chiarezza Produzione di elaborati facilmente comprensibili, ma soprattutto

sintetici, specifici e orientati ai diversi fabbisogni dei destinatari ed efficaci nelle attività diffusione dei risultati del

servizio

I Dossier PIT sono stati impostati secondo un comune template di trattazione, in modo da favorire la comparazione delle informazioni. Gli

approfondimenti realizzati in occasione del Rapporto finale sono state condensate in Allegati sintetici. Una sintesi complessiva dei diversi approfondimenti è fornita in apertura del apporto

Raccomandazioni utili Esplicitazione di raccomandazioni per la nuova programmazione finalizzata al

rafforzamento del processo di gestione della progettazione integrata

Il rapporto contiene alcuni giudizi conclusivi e raccomandazioni sull’esperienza PIT.

Consorzio Metis – Rapporto finale – giugno 2011

42

La tavola seguente sintetizza tali elementi di autovalutazione del servizio secondo una scala Likert:

1 Inaccettabile 2 Accettabile 3 Buono 4 Eccellente

1. Soddisfazione delle esigenze

x

2. Pertinenza dell’ambito di applicazione

x

3. Processo aperto x

4. Adeguatezza della metodologia

x

5. Attendibilità dei dati

x

6. Validità dell’analisi x

7. Credibilità dei

risultati

x

8. Imparzialità delle

conclusioni

x

9. Chiarezza del

rapporto

x

10.

Raccomandazioni utili (non espresse nel rapporto intermedio)

x