RAPINA I- RIFONDA/IONE: L'ORO EGIZI - Galleria d'Arte · naro e il superamento di non poche...

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RAPINA I - R I F O N D A / I O N E : L ' O R O EGIZI «(Carlo) praticò col più grande scrupolo e col più alto fer- vore la religione cristiana, nella quale era stato educato fin dall'infanzia. Appunto per ciò innalzò in Aquisgrana una basilica di eccezionale bellezza, che adornò d'oro e d'ar- gento, di lampadari e di balaustrate e porte di bronzo massiccio. Poiché non poteva procurarsi altrove le colon- ne e i marmi necessari alla sua costruzione, li fece traspor- tare da Roma e da Ravenna» (Eginardo, Vita Karoli, Cata- nia 1963). Lo spoglio delle rovine antiche che Eginardo, per vent'anni alla corte di Carlo Magno, registra a indica- zione della pietà e della devozione dell'imperatore è prati- ca comune per tutto l'alto Medio Evo e risulta necessitata dall'idea di un riutilizzo del materiale pagano, della LJrbs imperiale al nuovo potere vincente, una nuova Roma che si estende ai confini ormai ampli della Cristianità, in una significativa associazione con la trafugazione e l'esporta- zione dai luoghi santi delle reliquie, ma anche dalla caren- za dei materiali costruttivi «nobili» che il sogno classico rendeva adeguati alla maestà del luogo da edificare. Pro- prio su quest'ultimo aspetto tecnologico fa riferimento Eginardo: il trasporto dai centri italiani alle nuove capitali dell'impero, seguendo le rotte dei pellegrini come dei le- gati curiali, è avvenimento di un contatto e una prolifera- zione che supera le difficoltà e la lunghezza delle distanze. Come ha giustamente rilevato E. Panofsky a proposi- to dell'intenzione di Suger di rintracciare in Roma quelle colonne necessarie all'abbellimento della sua cattedrale «preoccupato dalla coerenza e convenienza reciproca del- le parti», lo spoglio dalla città imperiale è un topos costante nella sensibilità dell'epoca. Come commenta acutamente Settis se il viaggio da Roma a Saint-Denis, in cui oltretut- to veniva prevista anche una necessaria elargizione agli in- fedeli di Spagna perché il viaggio avvenisse senza perico- lo, non si realizza in quanto il materiale da costruzione sa- rà miracolosamente trovato nella cava di Pontoise, altri viaggi non sono immaginari, e si ricollegano a una «conti- nuità» con il mondo antico che passa attraverso il trasferi- mento nelle nuove sedi dei documenti religiosi e pagani conservati nella città. Così Benedetto Biscop, del mona- stero in Northumbria, giungerà a Roma e se ne partirà «carico di mercanzie spirituali», dagli istruttori del canto liturgico romano alle icone della Vergine e degli apostoli. Nel suo Chronicon Monasteri! Casinensis Leone Ostiense relaziona del viaggio di Desiderio di Montecassino a Ro- ma nel 1066 per la terza costruzione del celebre monaste- ro, una volta rasa al suolo completamente la fabbrica pre- cedente, testimoniando in questo modo un interesse all'unità delle parti e dello stile della architettura che anti- cipa il medesimo atteggiamento di Suger. Questa sensibi- lità degli abati costruttori sembra in altri termini realizza- re quella differenza fra «vecchio» e «antico» che sarà con- trapposizione fondante la storia dell'arte immaginata da Giorgio Vasari. L'abate comunque, dispensando a piene mani denaro e chiedendo consigli a «tutti quegli che più gli erano amici», acquista nella città colonne e ornamenti il cui trasporto presenta anch'esso un grave esborso di de- naro e il superamento di non poche difficoltà materiali. Via fiume e via terra comunque, «dall'Urbe al porto, e dal porto romano per mare fino alla torre di Garigliano, e di qui a Suio, su navi prese in affìtto a caro prezzo. Di lì poi fino a Montecassino,-fece trasportare ogni cosa su carri, non senza enorme fatica» (Settis 1986, p. 388). Lo spoglio delle antichità di Roma e il loro riutilizzo è, si è detto, continuità, e redenzione del passato a un tem- po: Alfano di Salerno, di ampia e enciclopedica cultura, monaco a Montecassino prima e successivamente, nel 1058, vescovo di Salerno, celebrerà nei suoi «Carmi» la gloria del nuovo monastero. La descrizione della nuova chiesa è oltremodo interessante, una volta che la geogra- fia «moralizzata» ha posto la regione nel grembo dell'Ita- lia, ricca di acque e provvidenzialmente capace di acco- gliere la strada che porta i pellegrini verso la città aposto- lica: «L'esterno e anche l'interno della chiesa risplendono di marmi. Qui ogni colonna fu trasportata dalla città - Urbs evidentemente, Roma - con grande difficoltà ed aspra fatica». La citazione replica in sintesi il viaggio che era stato dettagliato da Leone Ostiense. Diventa però in- teressante osservare come nei versi successivi Alfano ac- costi al reperto del mondo pagano moralizzato, l'attività dei «nuovi» artigiani, chiamati per un desiderio di eccel- lenza della chiesa abbaziale: «Tutte le altre cose che ivi si trovano, fatte venire da varie località, furono comprate a altissimo prezzo, né bastarono gli artigiani italici: ché ci si servì anche di mano d'opera proveniente dalla Tracia. A 29

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R A P I N A I- R I F O N D A / I O N E : L ' O R O E G I Z I

«(Carlo) praticò col più grande scrupolo e col più alto fer­vore la religione cristiana, nella quale era stato educato fin dall'infanzia. A p p u n t o per ciò innalzò in Aquisgrana una basilica di eccezionale bellezza, che adornò d'oro e d'ar­gento, di lampadari e di balaustrate e porte di bronzo massiccio. Poiché non poteva procurarsi altrove le colon­ne e i marmi necessari alla sua costruzione, l i fece traspor­tare da Roma e da Ravenna» (Eginardo, Vita Karoli, Cata­nia 1963). Lo spoglio delle rovine antiche che Eginardo, per vent'anni alla corte di Carlo Magno, registra a indica­zione della pietà e della devozione dell'imperatore è prati­ca comune per tut to l'alto Medio Evo e risulta necessitata dall'idea di un riutilizzo del materiale pagano, della LJrbs imperiale al nuovo potere vincente, una nuova Roma che si estende ai confini ormai ampli della Cristianità, in una significativa associazione con la trafugazione e l'esporta­zione dai luoghi santi delle reliquie, ma anche dalla caren­za dei materiali costruttivi «nobili» che i l sogno classico rendeva adeguati alla maestà del luogo da edificare. Pro­prio su quest'ultimo aspetto tecnologico fa riferimento Eginardo: i l trasporto dai centri italiani alle nuove capitali dell'impero, seguendo le rotte dei pellegrini come dei le­gati curiali, è avvenimento di un contatto e una prolifera­zione che supera le difficoltà e la lunghezza delle distanze.

Come ha giustamente rilevato E. Panofsky a proposi­to dell'intenzione di Suger di rintracciare i n Roma quelle colonne necessarie all'abbellimento della sua cattedrale «preoccupato dalla coerenza e convenienza reciproca del­le parti», lo spoglio dalla città imperiale è un topos costante nella sensibilità dell'epoca. Come commenta acutamente Settis se i l viaggio da Roma a Saint-Denis, in cui oltretut­to veniva prevista anche una necessaria elargizione agli in­fedeli di Spagna perché i l viaggio avvenisse senza perico­lo, non si realizza in quanto i l materiale da costruzione sa­rà miracolosamente trovato nella cava di Pontoise, altri viaggi non sono immaginari, e si ricollegano a una «conti­nuità» con i l mondo antico che passa attraverso i l trasferi­mento nelle nuove sedi dei documenti religiosi e pagani conservati nella città. Così Benedetto Biscop, del mona­stero in Northumbria , giungerà a Roma e se ne partirà «carico di mercanzie spirituali», dagli istruttori del canto liturgico romano alle icone della Vergine e degli apostoli.

N e l suo Chronicon Monasteri! Casinensis Leone Ostiense relaziona del viaggio di Desiderio di Montecassino a Ro­ma nel 1066 per la terza costruzione del celebre monaste­ro, una volta rasa al suolo completamente la fabbrica pre­cedente, testimoniando in questo modo un interesse all'unità delle parti e dello stile della architettura che anti­cipa i l medesimo atteggiamento di Suger. Questa sensibi­lità degli abati costruttori sembra in altri termini realizza­re quella differenza fra «vecchio» e «antico» che sarà con­trapposizione fondante la storia dell'arte immaginata da Giorgio Vasari. L'abate comunque, dispensando a piene mani denaro e chiedendo consigli a «tutti quegli che più gl i erano amici», acquista nella città colonne e ornamenti i l cui trasporto presenta anch'esso un grave esborso di de­naro e i l superamento di non poche difficoltà materiali. Via fiume e via terra comunque, «dall'Urbe al porto, e dal porto romano per mare fino alla torre di Garigliano, e di qui a Suio, su navi prese in affìtto a caro prezzo. D i lì poi fino a Montecassino,-fece trasportare ogni cosa su carri, non senza enorme fatica» (Settis 1986, p. 388).

Lo spoglio delle antichità di Roma e i l loro riutilizzo è, si è detto, continuità, e redenzione del passato a un tem­po: Alfano di Salerno, di ampia e enciclopedica cultura, monaco a Montecassino prima e successivamente, nel 1058, vescovo di Salerno, celebrerà nei suoi «Carmi» la gloria del nuovo monastero. La descrizione della nuova chiesa è oltremodo interessante, una volta che la geogra­fia «moralizzata» ha posto la regione nel grembo dell'Ita­lia, ricca di acque e provvidenzialmente capace di acco­gliere la strada che porta i pellegrini verso la città aposto­lica: «L'esterno e anche l ' interno della chiesa risplendono d i marmi . Q u i ogni colonna fu trasportata dalla città -Urbs evidentemente, Roma - con grande difficoltà ed aspra fatica». La citazione replica in sintesi i l viaggio che era stato dettagliato da Leone Ostiense. Diventa però in­teressante osservare come nei versi successivi Alfano ac­costi al reperto del mondo pagano moralizzato, l'attività dei «nuovi» artigiani, chiamati per un desiderio di eccel­lenza della chiesa abbaziale: «Tutte le altre cose che ivi si trovano, fatte venire da varie località, furono comprate a altissimo prezzo, né bastarono gli artigiani italici: ché ci si servì anche di mano d'opera proveniente dalla Tracia. A

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questi artigiani fu affidato di preferenza i l preciso lavoro del mosaico, in cui la varietà dei colori adorna con tale perfezione la sembianza umana che questa, nell ' immagi­ne, non appare diversa dal vero» (Alfano di Salerno, 1956). L'aspetto interessante del passo è questa ricerca geograficamente dilatata fino alle sponde della cultura «greca» che fa superare le distanze e denuncia ancora una volta una volontà di sintesi fra le espressioni, dell'antico come del contemporaneo la cui eccletticità può forse aver st andalizzato il purista, ma che rimane una dei tratti ineli­minabili della sensibilità medioevale nella sua fase di fon­dazione. I I marmo della Roma imperiale si coniuga allora con la maestranza tracia: - e da questo punto di vista la stessa capitale del Cristianesimo aveva offerto modelli in­superati di tale sintesi. U n secondo aspetto comunque si deve sottolineare: la lode «imitativa» della tecnica musiva, <. ap.k e di far confondere i l modello realizzato con la realtà concreta, è luogo comune della teorica classica di Plinio fino alla sua ripresa rinascimentale. Luogo letterario, con­venzionale quindi , in una relatività del percepire che con­trasta violentemente con i l giudizio sprezzante delle ••abcrrazi< mi grei he formulato da ( i hi berti e da ili > stesso Vasari. Ma il problema è altrove brevemente discusso; r i ­sulta significativa la conclusione con cui Alfano completa la sua celebrazione della nuova fabbrica. E cosciente della sua novità, almeno sul suolo italiano, (solo di recente quest'arte - del mosaico - per lungo tempo esclusivamen­te straniera, è divenuta nostra) e termina: «Risplende in quest'opera d'arte una tal gloria di bellezza che, a parere mio, Roma stessa non può vantare di meglio».

Ancora una volta i l riferimento è alla città imperiale e papale: ma questa volta non si tratta della fonte a cui at­tingere a cui sottrarre le spoglie dei tesori sepolti, ma di un paragone di eguaglianza, che denuncia una sensibilità ormai emancipata dall ' ingombrante dipendenza.

N e l già citato intervento Salvatore Settis registra altre traslazioni da Roma: Enrico di Blois nel 1150, Riccardo di Ware dalla Gran Bretagna: l 'Abate Bono, arcivescovo di Pisa, per la sua cattedrale. Paganesimo e Cristianesimo convivono in una significativa sintesi: «secondo una per­cezione «estetica», che punta sull'eccellenza dell 'ornato e l'abilità del suo remoto artefice, i l frammento antico con­tribuisce a nobilitare la chiesa i n cui è inserito; secondo una percezione «ideologica», questo reimpiego è giustif i ­cato in quanto sintomo e prova della vittoria sul pagane­simo, e però implica insieme la coscienza dell 'origine paga­na del manufatto e l'apprezzamento per la sua qualità» (cit . p. 391).

I l riutilizzo dell'antico, i l marmo, la gemma ma anche la cultura pagana, quella degli Auctores, sembra allora da registrare senza dubbio in un confl i t to simbolico, fra l ' i n ­gombrante eredità, alternativamente considerata come ostacolo o come propedeutica alla «sapienza» cristiana, e l'originalità e la particolarità della nuova fede, che appun­to quell'eredità ha sconfìtto; ma al pr imo fattore occorre aggiungere anche quello motivato dalla penuria di mate­

riale, spirituale e concreto, che spesso le nuove fabbriche, teologiche e architettoniche, denunciano. E il caso, sem­pre citato da Settis (p . 392-sgg.) di Lanfranco impegnato nel 1099 nella costruzione del D u o m o di Modena o il sin­golare dialogo fra Francesco e Messere Salvestro registra­to nel secondo fioretto, in cui l'usura dimostrata da quest'ultimo nel pretendere i l saldo per le pietre «che tu comperasti da me per racconciare le chiese» si converte ben presto in un atto di contrizione e di devozione del prete alla causa dell'ordine minore. Ma la mancanza del materiale, lo stato anche di degrado in cui versa la Chiesa e la sua costruzione denunciano la volontà di rinnovare una struttura ormai guasta e inadeguata a rispondere alla nuova esigenza del X I I I secolo. La scoperta dell 'indigen­za è relativa all'ambizione dei nuovi fondatori, dei rifor­matori . Ma questo è già momento successivo rispetto a quello cui si voleva in testo frangente fare riferimento, più strettamente legato al confl i t to fra «continuità» rispet­to al mondo classico e esigenza, coscienza della novità della nuova era, in quanto paradossalmente i l «vincitore» si presenta sotto spoglie «umili» e lo sconfìtto, sia pure d i ­strutto nella superbia degli archi caduti e delle biblioteche spazzate dal fuoco e dall'ignoranza, invece offre di sé, an­che per frammenti , una immagine di ricchezza e di pro­fondità incomparabili .

Per legittimare i l parallelismo fra i l riutilizzo dell'anti­co per la nuova cattedrale cristiana, Settis cita significati­vamente uno stralcio della lettera del benedettino W i b a l -do, già a Stavelot e a Montecassino, nel 1137 a Manegol-do; la drammaticità della scelta fra mondano, pagano e spirituale, è ancora presente nella prima metà del X I I se­colo, ma ha alle spalle una tensione altrettanto forte e aperta. Citare alcune tappe del problema vuole indicare soprattutto la sua radicalità e la sua permanenza in un ar­co cronologico che da Origene giunge fino alla afferma­zione definitiva della scolastica.

Scrive dunque W i b a l d o : «Ma non comincerai forse ... a rimproverarmi e a incolparmi? Potresti dire che io, mo­naco e già al principio della vecchiaia, vado leggendo e meditando su opere dei genti l i . Ma sappi dunque che nei loro accampamenti io non entro come disertore e transfu­ga, ma come esploratore bramoso di fare bott ino; e se r iu­scirò a rapire una donna Madianita, le taglierò unghie e capelli per potermi congiungere a lei i n matr imonio legit­timo» (Settis, cit. p. 383).

I l riferimento iniziale e un passo biblico, Deuterono­mio , X X I , 10-4, in cui si accenna al possibile matr imonio con una «bella prigioniera» una volta che quest'ultima sia stata purificata nell'aspetto come nello spirito. Alla fine di un debito intervallo di tempo i l matr imonio risulterà legitt imo. È Origene, controversa figura di esegeta dell 'Oriente cristiano, a piegare la lettura del passo al rap­porto fra i l cristiano e la cultura pagana: «Anch'io spesso sono partito in guerra contro i miei nemici, e ho trovato nel mio bot t ino una donna di bell'aspetto. Perché anche tra i nostri nemici troviamo delle cose buone e ragionevo-

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l i . Se dunque leggiamo in uno di essi parole sagge e dotte, dobbiamo purificarle, togliere da quella scienza e buttar via quanto vi è di morto e di inutile, come i capelli e le un­ghie prese nel bott ino del nemico. E noi ne faremo una sposa, quando essa non avrà più niente che abbia sapore d'infedeltà e di morte nel capo e alle mani, in modo che nei suoi sentimenti e nei suoi atti non abbia nulla di i m ­puro» (/// Levittco, h. 7, n. 6).

Vissuto a cavallo fra I I e I I I secolo, ammirato per la propria sapienza cosi radicata nella continuità della tradi­zione platonica, Origene conoscerà traversie personali e controversie dottrinali che giungeranno alla condanna di nove sue proposizioni a opera di Giustiniano I ; i l suo pensiero e la sua dottrina saranno ambiguamente utilizza­ti dai pr imi padri della Chiesa, soprattutto Gerolamo e r i ­fiutati come sospetti. Ciò non toglie che la sua influenza, proprio in quanto anello fra i due mondi , è d i fondamen­tale importanza per la formazione della nuova cultura. La frequentazione e l 'utilizzo della cultura pagana diventa al­lora possibile attraverso una sua «moralizzazione». L'esempio di Origene e la sua interpretazione conosce­ranno, come si è detto, una considerevole fortuna che in un saggio citato de Lubac ricostruisce ampiamente (cit . pp. 522-sgg.): i l percorso comunque può anche conoscere obiezioni, oppure consigli alla prudenza. Proprio Gerola­mo afferma che «occorre fare attenzione a non voler avere la prigioniera come moglie, per non ricadere negli i d o l i ; se proprio fossimo catturati dal suo amore, allora la si pu­rifichi...» (p . 527). E questo atteggiamento di r i f iuto, o co­munque di prudenza è giustificato ulteriormente in una lettera a Pammachio, quando Gerolamo afferma che la vera sapienza coincide con Cristo che nelle Scritture si trova i l suo tesoro. Con accenti non diversi si pronuncerà un altro padre della chiesa, Basilio, che porrà l'accento non tanto «sull'utilità dello studio degli autori profani» quanto «sul pericolo che essi rappresentano e la maniera di vincerlo».

Ancora Origene, nella sua lettera a Gregorio ( N o r d e n p. 68l) , esprime i l proprio pensiero fuori dalla metafora biblica: «Io vorrei che tu dedicassi tutta la forza delle tue disposizioni, in quanto allo scopo, esclusivamente al Cr i ­stianesimo, ma che, come mezzi per quello scopo, traessi dalla filosofìa ellenica le conoscenze di vita pratica e d i cul­tura preparatoria che possono in certo qual modo essere uti l i al Cristianesimo...». Se le arti liberali sono le «ancel­le» della filosofìa per la mentalità pagana, la filosofia, quindi i l complesso della cultura antica diventa «ancella» del Cristianesimo. La distinzione di Origene fra mezzo e scopo, l'attribuzione alle «arti liberali» di una funzione di «cultura preparatoria» per la vera e rinnovata sapienza è un secondo luogo» della tradizione filosofica fra mondo pagano e Cristianesimo. È Eduard Norden, nella sua cita­ta ricognizione sulla «prosa d'arte» a percorrerne le tappe essenziali fino alle soglie dell'Umanesimo, a partire da un secondo «esempio» tratto dalla letteratura biblica, questa volta riferibile a Agostino. «Come g i i Egiziani non aveva­

no solo idoli che i l popolo d'Israele spregiava, ma anche vasellame, vesti e ornamenti d'oro e argento che quel po­polo, nella sua fuga d'Egitto, prese di nascosto per farne in certo qual modo migliore uso... così le dottrine dei pa­gani non contengono solo invenzioni false e superstiziose e zavorra inutile, ma anche le arti liberali più adatte al ser­vizio della verità, ed alcune massime morali estremamen­te u t i l i . . . Questo, ossia in certo qual modo i l loro oro e ar­gento, deve trarre da esse i l cristiano, per usarlo nel giusto modo nella predicazione dell'Evangelo» (Norden, p.684).

I l bagaglio della cultura classica, appunto le lìberales di-sciplinae, diventa lo strumento di partenza per accedere al­le soglie della vera sapienza; di tale eredità occorre espun­gere quanto di falso, di deviato rispetto alla «vera doctri-na»: l'interpretazione di Agostino, successivamente ripre­sa da Cassiodoro (Inst. dìv. 28), avrà, come la precedente di Origene, una fortuna continua per tut to i l Medio Evo, anche se non mancano, i n Occidente come in Oriente, voci contrarie alle Artes che in ogni caso non infirmano la fortuna dell'atteggiamento di continuità rispetto alla cul­tura classica ma che eventualmente chiariscono la dialetti-cità e la complessità del pensiero medioevale, troppe vol­te semplificato in un mortificante quanto falso unanimis­mo. Questo riutilizzo della tradizione pagana, concepito evidentemente in modo «funzionale» al chiarimento della verità (attraverso la «scientia», le «artes liberales» si giun­ge, afferma Onor io di A u t u n , alla Sacra Scrittura come alla vera patria, nella quale regna la Sapienza esauriente) esclude, almeno teoricamente, l'amore per la «bella forma pagana» scissa dalla sua funzione di «mezzo» per raggiun­gere lo scopo, che è la dottrina cristiana: su questo spar­tiacque pericoloso si affronteranno i contendenti, i fauto­ri della «continuità» del nuovo dal vecchio mondo e quel­li dello «strappo» operato dalla rivelazione cristiana. Per la sensibilità umanistica, rileva ancora Norden (p. 685), la moralizzazione dell'estetica classica costituirà l'errore più radicale del passato, non quindi l 'oblio, non tanto l ' igno­ranza, quanto lo stravolgimento, la scimmiottatura della «forma» perfetta piegata a finalità estranee: ma lo studio e la rapente attrattiva della prigioneria saranno «pericoli" r i ­correnti nella mentalità che stiamo individuando, che sbocceranno, segnati contraddittoriamente, nella rinasci­ta laica del X V secolo negli studioli emancipati dal con­trol lo ecclesiastico. Ma anche in questo caso, come prece­dentemente sottolineato, al partito dello «strappo» si può contrapporre quello della continuità, come ha recente­mente sottolineato Cesare G n u d i a proposito delle «svol­te» del gotico in Europa.

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