"Rand Paul visita Israele guardando alla Casa Bianca", in "L'Opinione delle Libertà", 2013-01-2013

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Direttore ARTURO DIACONALE Fondato nel 1847 - Anno XVIII N.16 - Euro 1,00 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 - DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale Domenica 20 Gennaio 2013 delle Libertà Cronache dall’apocalisse (aspettando la bomba) i vogliono le spalle larghe per sopportare l’annichilimento mediatico che piove ogni giorno da giornali, tv, radio, internet e social network. Crisi economica, spread altalenante, paesi in bilico, l’intera Europa che barcolla, violenza e cri- minalità che aumentano in modo direttamente proporzionale all’im- poverimento generale e all’incer- tezza imperante, l’estremismo isla- mico che uccide, si allarga a macchia d’olio e lavora per con- quistare tutto il confine meridionale europeo nel silenzio e nel disinte- resse generali, l’antisemitismo che riesplode nel cuore dell’Europa, la Siria che tortura e massacra i suoi C bambini, l’Iran che gioca indistur- bata al piccolo chimico con buona probabilità di essere presto in gra- do di cambiare drasticamente la cartina geografica del Medioriente, e molto, molto altro. In mezzo a questa bufera quelli che riescono a tenere la testa fuori dall’acqua sono i giornalisti, che si cibano dello stesso veleno che di- stribuiscono con una certa estranei- tà, come i medici che a forza di ve- derne di tutti i colori smettono di immedesimarsi e impietosirsi. Biso- gna pur sopravvivere. So bene che per il giornalista la priorità è la no- tizia, la rassegna stampa, sapere, scrivere, ragionare. In una parola, lavorare. Sì, ma oggi non mi va di lavorare. Oggi mi prendo una pausa e vesto i panni dell’altra me: la cit- tadina, la donna, la madre, la mo- glie, la persona che combatte la bat- taglia quotidiana per la vita, una battaglia che si è fatta sempre più difficile e che è scandita da domande oramai divenute ossessive: ce la fa- remo anche questo mese? L’euro so- pravviverà? Siamo in grado di pa- gare tutto? I conti sono in ordine? I documenti fiscali sono a posto? Questa medicina sarà prescrivibile? Possiamo permetterci questa visita urgente? Ci saranno prodotti in of- ferta al supermercato? Questo lavo- ro me lo pagheranno? Quanto costa la benzina oggi? Prendo la macchina o vado a piedi? Quale scuola per nostro figlio? Ce la facciamo a fargli fare un’attività extrascolastica? Co- me pagheremo il mutuo se la crisi peggiorerà? Che faremo se dovessi- mo ammalarci? Dormirò stanotte? No, penso di no. Meglio prendere le gocce. È così che il cittadino su- bisce sulla propria pelle una realtà su cui ha un potere limitato, come le notizie di cui giornalisti e com- mentatori parlano e dibattono in tv e sulla carta stampata, spesso con il distacco di chi sta comunque dal- l’altra parte della barricata, anche se poi, di fatto, non è così. Continua a pagina 2 Il crollo della pubblicità porta in rosso l’editoria a crisi economica abbatte la pubblicità. Il crollo della pub- blicità porta in rosso i ricavi dell’editoria. Sono stati resi noti i dati dell’accertamento diffusione stampa (Ads) da parte della Fe- derazione editori dai quali risulta che i dieci giornali più venduti in Italia non raggiungono i due mi- lioni e trecento mila copie al gior- no. Se ci mettiamo le vendite de- gli altri 60-70 quotidiani regionali e locali si supera appena i due milioni e mezzo di copie. Una miseria. Da tempo sono analizzate le cause della scarsa diffusione dei giornali in Italia: una cattiva di- L stribuzione (la resa è molto alta), scarsi abbonamenti anche a causa dei ritardi con i quali arriva a ca- sa la posta, propensione quasi nulla dei giovani ad acquistare un quotidiano preferendo i siti web, non tirare fuori dalla tasche un euro al giorno, mancanza o quasi di quotidiani popolari come in Inghilterra e Usa che usano un linguaggio più facile di lettura, basso livello di leggibilità e com- prensione da parte del lettore che si trova davanti paginate e pagi- nate di politica e incomprensibili articoli sull’economia. Ridimen- sionati anche i quattro quotidiani sportivi che messi insieme supe- rano appena le 619mila copie vendute al giorno, che crescono il lunedì. Dalle analisi mensili del- l’Ads emerge la necessità che i quotidiani del post Internet de- vono riposizionarsi e superare il ritardo negli investimenti in tec- nologie e digitale. I bilanci in qualche modo reggono solo gra- zie ai ricavi supplementari gene- rati dai mezzi collaterali (web, in- serti, libri). Per avere un quadro completo della situazione occorre tener conto delle vendite in edi- cola, di quelle realizzate con altri canali e degli abbonamenti (in ve- rità pochi per tutti). Il metodo utilizzato da Repubblica per ac- creditarsi come primo giornale non è esatto. Il Corriere della se- ra, diretto da Ferruccio de Bor- toli, resta il quotidiano più ven- duto con 396.069 copie che costituisce la somma di 306.828 copie vendute in edicola, più 82.294 di canali diversi e 6.947 abbonati. Il quotidiano di via Sol- ferino aveva subito una contra- zione di circa il 2 per cento nei mesi di settembre e ottobre. Continua a pagina 2 di SERGIO MENICUCCI Calo degli investimenti, cattiva distribuzione, scarsi abbonamenti anche a causa dei ritardi con i quali arriva a casa la posta, propensione quasi nulla dei giovani ad acquistare quotidiani: l’editoria tradizionale è in crisi irreversibile? di VALENTINA MELIADÒ Crisi economica, spread altalenante, paesi in bilico, violenza e criminalità in aumento. E l’estremismo islamico si allarga a macchia d’olio e lavora per conquistare il confine meridionale europeo. Nel silenzio generale Bankitalia: un 2013 di recessione K Vede nero il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Che in una lectio magistralis all’università di Fi- renze parla di un’economia italiana «an- cora in recessione», poco prima che il suo intervento venisse interrotto dall’ir- ruzione di studenti dell’estrema sinistra. «Nel quadro macroeconomico presen- tato nel Bollettino economico della Banca d’Italia di oggi - spiega Visco - il Pil dell’Italia sarebbe sceso di poco più del 2% nel 2012. Nell’estate del 2011, prima che la crisi dei debiti sovrani si estendesse al nostro Paese, si preve- deva una crescita di circa un punto». «La recessione potrebbe avere fine nella seconda parte del 2013», dice Visco. «Al di là della congiuntura sfavorevole, il no- stro paese deve saper trovare le motiva- zioni e gli incentivi per affrontare con decisione il problema della crescita». E la conferma alle sue parole arriva nelle previsioni contenute nel «Bollettino eco- nomico» diramato venerdì. Peggiorano le stime sul Pil, mentre l’occupazione si ridurrà anch’essa di quasi l’1% nel 2013 e ristagnerà nel 2014, quando tasso di disoccupazione arriverà al 12%.

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Rand Paul, Israele

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Direttore ARTURO DIACONALE Fondato nel 1847 - Anno XVIII N.16 - Euro 1,00

DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 - DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale

Domenica 20 Gennaio 2013

delle Libertà

Cronache dall’apocalisse (aspettando la bomba) i vogliono le spalle larghe per

sopportare l’annichilimentomediatico che piove ogni giorno dagiornali, tv, radio, internet e socialnetwork. Crisi economica, spreadaltalenante, paesi in bilico, l’interaEuropa che barcolla, violenza e cri-minalità che aumentano in mododirettamente proporzionale all’im-poverimento generale e all’incer-tezza imperante, l’estremismo isla-mico che uccide, si allarga amacchia d’olio e lavora per con-quistare tutto il confine meridionaleeuropeo nel silenzio e nel disinte-resse generali, l’antisemitismo cheriesplode nel cuore dell’Europa, laSiria che tortura e massacra i suoi

C bambini, l’Iran che gioca indistur-bata al piccolo chimico con buonaprobabilità di essere presto in gra-do di cambiare drasticamente lacartina geografica del Medioriente,e molto, molto altro.

In mezzo a questa bufera quelliche riescono a tenere la testa fuoridall’acqua sono i giornalisti, che sicibano dello stesso veleno che di-stribuiscono con una certa estranei-tà, come i medici che a forza di ve-derne di tutti i colori smettono diimmedesimarsi e impietosirsi. Biso-gna pur sopravvivere. So bene cheper il giornalista la priorità è la no-tizia, la rassegna stampa, sapere,scrivere, ragionare. In una parola,

lavorare. Sì, ma oggi non mi va dilavorare. Oggi mi prendo una pausae vesto i panni dell’altra me: la cit-tadina, la donna, la madre, la mo-glie, la persona che combatte la bat-taglia quotidiana per la vita, unabattaglia che si è fatta sempre piùdifficile e che è scandita da domandeoramai divenute ossessive: ce la fa-remo anche questo mese? L’euro so-pravviverà? Siamo in grado di pa-gare tutto? I conti sono in ordine?I documenti fiscali sono a posto?Questa medicina sarà prescrivibile?Possiamo permetterci questa visitaurgente? Ci saranno prodotti in of-ferta al supermercato? Questo lavo-ro me lo pagheranno? Quanto costa

la benzina oggi? Prendo la macchinao vado a piedi? Quale scuola pernostro figlio? Ce la facciamo a farglifare un’attività extrascolastica? Co-me pagheremo il mutuo se la crisipeggiorerà? Che faremo se dovessi-mo ammalarci? Dormirò stanotte?No, penso di no. Meglio prenderele gocce. È così che il cittadino su-bisce sulla propria pelle una realtàsu cui ha un potere limitato, comele notizie di cui giornalisti e com-mentatori parlano e dibattono in tve sulla carta stampata, spesso con ildistacco di chi sta comunque dal-l’altra parte della barricata, anchese poi, di fatto, non è così.

Continua a pagina 2

Il crollo della pubblicità porta in rosso l’editoria a crisi economica abbatte la

pubblicità. Il crollo della pub-blicità porta in rosso i ricavidell’editoria. Sono stati resi notii dati dell’accertamento diffusionestampa (Ads) da parte della Fe-derazione editori dai quali risultache i dieci giornali più venduti inItalia non raggiungono i due mi-lioni e trecento mila copie al gior-no. Se ci mettiamo le vendite de-gli altri 60-70 quotidianiregionali e locali si supera appenai due milioni e mezzo di copie.Una miseria.

Da tempo sono analizzate lecause della scarsa diffusione deigiornali in Italia: una cattiva di-

L stribuzione (la resa è molto alta),scarsi abbonamenti anche a causadei ritardi con i quali arriva a ca-sa la posta, propensione quasinulla dei giovani ad acquistare unquotidiano preferendo i siti web,non tirare fuori dalla tasche uneuro al giorno, mancanza o quasidi quotidiani popolari come inInghilterra e Usa che usano unlinguaggio più facile di lettura,basso livello di leggibilità e com-prensione da parte del lettore chesi trova davanti paginate e pagi-nate di politica e incomprensibiliarticoli sull’economia. Ridimen-sionati anche i quattro quotidianisportivi che messi insieme supe-

rano appena le 619mila copievendute al giorno, che cresconoil lunedì. Dalle analisi mensili del-l’Ads emerge la necessità che iquotidiani del post Internet de-vono riposizionarsi e superare ilritardo negli investimenti in tec-nologie e digitale. I bilanci inqualche modo reggono solo gra-zie ai ricavi supplementari gene-rati dai mezzi collaterali (web, in-serti, libri). Per avere un quadrocompleto della situazione occorretener conto delle vendite in edi-cola, di quelle realizzate con altricanali e degli abbonamenti (in ve-rità pochi per tutti). Il metodoutilizzato da Repubblica per ac-

creditarsi come primo giornalenon è esatto. Il Corriere della se-ra, diretto da Ferruccio de Bor-toli, resta il quotidiano più ven-duto con 396.069 copie checostituisce la somma di 306.828copie vendute in edicola, più82.294 di canali diversi e 6.947abbonati. Il quotidiano di via Sol-ferino aveva subito una contra-zione di circa il 2 per cento neimesi di settembre e ottobre.

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di SERGIO MENICUCCI

Calo degli investimenti,cattiva distribuzione, scarsi abbonamenti anche a causa dei ritardicon i quali arriva a casala posta, propensionequasi nulla dei giovaniad acquistare quotidiani: l’editoria tradizionaleè in crisi irreversibile?

di VALENTINA MELIADÒ

Crisi economica, spreadaltalenante, paesi in bilico, violenza e criminalità in aumento.E l’estremismo islamico si allarga a macchia d’olio e lavora per conquistare il confinemeridionale europeo.Nel silenzio generale

Bankitalia: un 2013 di recessioneK Vede nero il governatore dellaBanca d’Italia, Ignazio Visco. Che in unalectio magistralis all’università di Fi-renze parla di un’economia italiana «an-cora in recessione», poco prima che ilsuo intervento venisse interrotto dall’ir-ruzione di studenti dell’estrema sinistra.«Nel quadro macroeconomico presen-tato nel Bollettino economico dellaBanca d’Italia di oggi - spiega Visco - ilPil dell’Italia sarebbe sceso di poco piùdel 2% nel 2012. Nell’estate del 2011,prima che la crisi dei debiti sovrani siestendesse al nostro Paese, si preve-deva una crescita di circa un punto».«La recessione potrebbe avere fine nellaseconda parte del 2013», dice Visco. «Aldi là della congiuntura sfavorevole, il no-stro paese deve saper trovare le motiva-zioni e gli incentivi per affrontare condecisione il problema della crescita». Ela conferma alle sue parole arriva nelleprevisioni contenute nel «Bollettino eco-nomico» diramato venerdì. Peggioranole stime sul Pil, mentre l’occupazione siridurrà anch’essa di quasi l’1% nel 2013e ristagnerà nel 2014, quando tasso didisoccupazione arriverà al 12%.

l recupero e lo smantellamentodella Concordia visto dal fron-

te opposto, quello del governo edin particolare della Protezione Ci-vile.

Nei giorni scorsi all’isola delGiglio il prefetto Gabrielli in con-ferenza stampa ha divulgato itempi del cronoprogramma del re-cupero del relitto ma alcune suedichiarazioni, non riportate inte-gralmente, sono sembrate in con-flitto con quelle del Ministrodell’Ambiente. Di conseguenza, lasua tabella di marcia non è sem-brata corrispondere con quella delministro Corrado Clini: «La naveverrà rimessa in asse e spostataentro settembre, salvo problemidi maltempo e mareggiate» la fra-se incriminata.

A questo proposito è interve-nuta la responsabile dell’ufficiostampa della Protezione CivileFrancesca Maffini, a sottolinearedegli aspetti potenzialmente malinterpretabili: «Innanzitutto dalpunto di vista economico - spiega- il Ministero dell’Ambiente ha an-ticipato 5 milioni di euro per con-sentire un abbattimento dei tempi.Nel dettaglio, questa somma verràrestituita per intero dalla societàarmatrice che ha già usato un mi-lione per effettuare gli studi scien-tifici sia sulla rimozione che sul ri-pristino dei fondali. Agendosecondo la prassi, avremmo dovu-to indire una gara europea conuno slittamento lunghissimo perl’aggiudicazione. Invece è stata lastessa Carnival, proprietaria delgruppo Costa Crociere, a sceglierela ditta specializzata e si è partitoimmediatamente con il recupero,previo nostro benestare. La stessaCosta inoltre si sta occupando del-le spese straordinarie. Tra loro egli uffici governativi si è instaurataun’ottima sinergia».

I Nel dettaglio, gli studi preven-tivi già effettuati: «Sono state usatedelle tecnologie avanzatissime -prosegue la Maffini - con la crea-zione di algoritmi e modelli mate-matici al fine di avere delle simu-lazioni il più verosimili possibili.Un’altra difficoltà è stata quella dinon avere riferimenti nel passato:è la prima volta che accade unevento simile».

Sul fronte dei lavori, specie perquanto attiene alla solidità dei fon-dali, si è a buon punto: «La palifi-cata è già stata costruita a novem-bre, anche se i tecnici non siaspettavano di trovare dei vuotinella roccia che hanno fatto sor-gere problemi di stabilità alla Con-cordia. Dopo aver corretto qualchecalcolo, adesso si sta procedendoaffinché vengano riempiti anchequesti».

Infine l’ultimo passaggio, quello

del rimorchio: «Dai 30 ai 45 giornidi stop ai lavori sono stati preven-tivati per via del maltempo maquesto non costringerà ad una di-luizione dei tempi. In una datacompresa fra luglio e settembre del2013 la nave verrà rimessa in asse- conclude Francesca Maffini - e ri-morchiata in porto per il disarmo».

ALESSIO VALLERGA

mmaginate per un attimo Ber-sani che si impegna quale futu-

ro premier a rendere l’Italia piùgiusta, o Casini che protegge i fi-gli e la famiglia o Fini che, dopoaver tradito la sua parte politica,si preoccupa della rinascita ita-liana diventando seguace di Mon-ti. Vi è davvero da inorridire difronte a simili slogan, inseriti neimanifesti che campeggiano nellacittà eterna. Bersani, cresciuto apane e prosciutto condito con fal-ce e martello, non vede l’ora diassaporare il potere quello vero,dopo il fallimento dei compagniOcchetto e Veltroni. Questi ulti-mi, travolti per venti anni dall’on-da berlusconiana e messi all’an-golo a meditare una rivincita chefino a qualche giorno fa davanoper scontata. Casini, vecchio de-mocristiano con due o tre fami-glie e con figli e figlie da sistema-re, non può trascurare gliinteressi economici del suoceroCaltagirone, in possesso di par-tecipazioni varie in banche e so-cietà di alto profilo economico.Fini, che non contento del regalofatto in Costa Azzurra al cognato,dopo aver voltato le spalle al suoelettorato di destra sociale trovail modo di non sparire dalla vitapolitica. La svolta, aggrapparsialla Lista Mont, piena zeppa difigli, generi e nipoti e di personesempre vissute alle spalle del po-polo italiano. Certo Casini pro-tegge i suoi figli così come pro-tegge la sua famiglia allargata,così come Fini continua, attraver-so l’escamotage montiano, a farpolitica nell’ottica di proteggeregli interessi suoi e della sua fami-glia, pur essa allargata con il ma-trimonio con la signora Tullianie con i figli di primo e secondoletto. La gente, quella per bene eche lavora pagando le tasse, si

I

chiede se Bersani, Casini e Finismettessero di fare politica checosa sarebbero in grado di fare,posto che per tantissimi anni nonhanno mai dimostrato di saperesercitare una professione od unmestiere. La risposta è semplice,niente ma vivrebbero bene lostesso grazie ai privilegi econo-mici acquisiti nel tempo. Dall’al-tra parte, cioè dalla parte dellagente che lavora, non vi è alcunacertezza, posto che i dipendentipubblici e privati affamati daiprovvedimenti montiani non san-no come conciliare il pranzo conla cena ed i liberi professionisti,specie giovani faticano a trovarlavoro e quando lo trovano sonocostretti a percepire emolumenticosì di poco conto da essere in-vidiosi di elettricisti, idraulici emagari parrucchieri. Ciò graziealle false liberalizzazioni ed allaconcorrenza voluta dal mercato,

quello europeo, che ha determi-nato uno scadimento culturalesenza precedenti. In questo sce-nario Berlusconi è un gigante,avendo gioco facile con i suoi av-versari che, da quando è sceso incampo non dormono più, avendopaura del confronto, tipo il co-munistello Bersani che vuole di-battere solo con i candidati pre-mier e non con i capi dellecoalizioni. Pietose bugie che na-scondono la pochezza delle ideepolitiche che portano avanti, spe-culando sulle finte primarie cheavevano messo in moto per di-mostrare alla gente che la politicaè cambiata, entusiasmando finan-che il Cavaliere, che aveva rice-vuto il sindaco di Firenze MatteoRenzi, salvo successivamente con-statare che si è trattato di unasemplice burla. E che dire diMonti che, immesso nel circuitoeuropeo proprio da Berlusconi,lo diffama etichettandolo come“pifferaio magico” che raccontaballe, sapendo di non poter man-tenere le promesse fatte, mentrelui che ha vergognosamente au-mentato la pressione fiscale, cre-ando recessione, al posto del pro-messo sviluppo, per ottenere ilvoto di qualche disperato, pro-mette di rimodulare l’Imu e ridur-re la pressione fiscale della qualeindica un solo responsabile, SilvioBerlusconi. I sondaggisti defini-scono il movimento di Monti“centrino”, lo definisco sempli-cemente una organizzazione truf-faldina, con il vecchio sapore delvecchio, facilmente scongiurabileove da parte del Cavaliere si pon-ga attenzione a non favorire il ri-ciclaggio di persone squalificatepoliticamente e che la gente perbene non riesce più a sopportarené tanto meno a vedere.

TITTA SGROMO

IIPOLITICAII

K Casini e Monti

Per la Protezione Civile“gli studi effettuatihanno scampatoil rischio-contrattempiNemmeno il maltempoimpedirà il rimorchioentro settembredella nave naufragata”

segue dalla prima

Arriva l’apocalisse(...) Perché, con le dovute proporzioni, neiguai fino al collo ci stiamo tutti e la rabbiasi diffonde in modo assolutamente democra-tico: senza distinzione di classe, ceto, reddito.Ma, d’altronde, come si fa a rimanere calmicon gli scandali che travolgono l’Italia danord a sud, i partiti che si disfano, le faideinterne, le scaramucce tra rappresentanti delvecchio establishment - incollati alla propriainutile superbia - e giovani rampanti nonsempre sufficientemente concreti, per nonparlare dei terzi incomodi che festeggiano lavittoria di Chavez sperando di riportare in-dietro le lancette della storia di un paio disecoli? Come si fa a non scoraggiarsi di fron-te ad una politica che continua a non vedereoltre il proprio naso, isterica tra le pastoie diuna legge elettorale che non si sa se riusciràmai a partorire, e il fuggi fuggi generale dichi, in vista delle elezioni, smania per lasciareincarichi subalterni e puntare dritto al Par-lamento? È in questo quadro generale che ilgoverno si riunisce fino a notte tarda per va-rare una serie di provvedimenti. Per la cre-scita, pensano tutti. Sbagliato. Spiccano, trale decisioni prese, il taglio di un punto per-centuale dell’Irpef per i redditi fino a 28milaeuro, l’aumento dell’Iva a partire dal prossi-

mo luglio, e i tagli della nuova spending re-view: 600mila euro nel settore sanità e l’ope-razione “cieli bui”. Quest’ultima, in partico-lare, sembra un effettivo incentivo agli unicisettori che non soffrono la crisi: criminalitàe psicoanalisi. Più oscurità per tutti. Anchela minaccia di un ulteriore taglio alla sanità,già duramente colpita dalla vecchia “spendingreview”, dà da tremare. Essendo arcinotoche il buco nero del settore è determinatodagli sprechi e dalla malagestione, sarebbeforse opportuno concentrarsi sulla traspa-renza della spesa e il controllo della dirigenza,o altrimenti farsi una passeggiata per i repartie parlare con qualche capoinfermiere. Perscoprire che ogni singola benda viene protettasottochiave per evitare che finisca in un altroreparto in cui mancano perché “rubate” daun altro reparto ancora e così via. Le fascecome qualsiasi altra cosa. Spariscono persinole fotografie, quelle che testimoniano il per-corso di guarigione, magari, di una ferita dadecubito o da diabete e che vengono usate ascopo didattico. E l’Iva? Compensata dal ta-glio dell’Irpef? Nemmeno per idea. Perchél’aumento dell’Iva si cumula. Non solo al-l’aumento di un punto percentuale già effet-tuato dal governo Monti all’inizio del man-dato, ma ai rincari consequenziali determinatiin ogni singolo settore. Col risultato che il

prezzo del prodotto finale e’ fissato dall’in-sieme del cumulo dell’aumento della benzina,dell’elettricità, del trasporto, delle materieprime, ecc. Con tutto ciò che ne deriva in ter-mini di produttività, occupazione, reddito.Una rovina. Ma, per tirarmi su, posso semprericordare a me stessa che c’è la concreta pos-sibilità che fra un paio di mesi l’Iran abbiamesso a punto la bomba atomica, e che tuttiquesti problemi si trasformeranno, improv-visamente, in chiacchiere da cortile, oppureposso decidere di mettermi a lavorare e an-dare a caccia del distacco professionale.

VALENTINA MELIADÒ

Editoria in rosso(...) La Repubblica di Ezio Mauro risale a357.811 copie vendute, rappresentate da340.039 di vendite in edicola (più del Cor-sera), da 13.556 di canali diversi e da 4.276abbonati. Niente sorpasso,quindi, sul rivale.La forbice tra i due principali quotidiani ita-liani resta a vantaggio di Milano. Al terzoposto troviamo il giornale economico dellaConfindustria ora diretto da Roberto Napo-letano che ha toccato a novembre la cifra di250.556 copie vendute.

SERGIO MENICUCCI

Fra Monti, Casini e Finipuro matrimonio di interessi

Concordia, rimozionenei tempi stabiliti

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L’OPINIONE delle Libertà DOMENICA 20 GENNAIO 20132

IIPOLITICAII

Simboli politici, branding in un vuoto di significatidi STEFANO CECE

econdo il filosofo Hegel “il sim-bolo è più o meno il contenuto

che esso esprime come simbolo”. Quel “più o meno” è diventato

quanto mai d’attualità se circo-scritto ai simboli e loghi che con-traddististinguono i partiti politicidella Seconda e Terza Repubblica,dall’avvento del partito-azienda diBerlusconi, Forza Italia, che giàdal manifesto evocava non certouna tradizione storica consolidatama un qualcosa di più simile allostemma di una squadra di calcio.

Ci sono partiti che hanno pre-ferito mantenere nell’old style unariconoscibilità che non evaporassenel tempo, come la foglia d’ederadel Partito repubblicano o il soleche sorge dei socialdemocratici,altri hanno adottato tecniche distilizzazione più adatte ai tempimoderni senza disconoscere il “di-segno” iniziale.

Ciò che salta all’occhio nel si-gnificato sempre più rarefatto senon ambiguo dei simboli politiciè la dimensione pubblicitaria epropagandistica che hanno assun-to dal ‘94 ad oggi. Più sigle dun-que, più nomi (e cognomi) inl(u)ogo al posto dei simboli. Si èpassati da simboli storici come lafalce e martello del Partito comu-nista, a ricordare le lotte della clas-se operaia, per arrivare alle quercecon il simbolo, agli ulivi senzasimbolo, e infine all’acronimo: Pd.Va detto che partiti della sinistrapiù radicale, due per tutti come

S

Rifondazione e Pdci, non hannovoluto rinunciare alla falce e mar-tello mantenendo quindi un idealefilo nostalgico con il passato.

Slegati da un rapporto direttocon sentimenti collettivi e indivi-duali, colpa soprattutto della per-dita di emozioni e passioni politi-che, i simboli politici si sono viavia ridotti a segni grafici, sigle, se

non a veri e proprio messaggipubblicitari.

Nella vasta galassia dei partiti,il simbolo più accattivante dalpunto di vista grafico nonchéidentitario sembra essere quellodella Lega nord (il leggendario ca-valiere Alberto da Giussano), peril resto è una lunga lista di simboliincolori e vuoti che poco hanno

da trasmettere in termini di lin-guaggio e suggestioni.

Si va dall’arcinoto logo del Po-polo della libertà nel quale cam-peggia lo stampatello “Berlusconi”ai Fratelli d’Italia di Crosetto eMeloni, fino ai Moderati in rivo-luzione di Samorì, passando perla scelta civica con Monti. Quattropartiti che, seppure per certi versi

distanti fra loro, non si discostanomolto per scelta grafica. Il nastrinotricolore è un must replicato piùvolte. Il Movimento cinque stelleha giocato tra nome e simbolo in-serendo 5 stelline sul logo. Si la-vora per sintesi, per sottrazione,per abbreviazione, fino ad arrivareall’approssimazione.

va detto che per la loro naturai simboli servono per affermare,testimoniare, essere. C’è un’atten-zione molto pragmatica in questafase del nuovo millennio nella rea-lizzazione dei simboli politici. Unvuoto di immagini ben diverso peresempio da segni come la falce emartello, il sole nascente o lo sudocrociato, intrisi di significati (classelavoratrice, avvenire, fede).

Esiste una difficoltà tutta inter-na ai partiti nell’elaborare i proprisimboli e nel comunicare signifi-cati propri fatti veicolare dalle im-magini. Una vecchia professoressadi liceo sosteneva che a New Yorki nomi delle strade non hanno no-mi ma numeri in quanto la storiaamericana è troppo breve perriempire la toponomastica dellagrande mela di personaggi celebri.Se manca la cultura politica l’im-poverimento corrode anche la sim-bologia. E allora il branding di-venta sottocultura incapace diesprimersi semanticamente. Man-cando le motivazioni ideali in gra-do di trasformarsi in emblemi, siutilizza il più banale dei segni gra-fici per rappresentare un movi-mento vuoto. O un vuoto di signi-ficato.

Casillo: il candidato ideale contro certe toghe rossedi RUGGIERO CAPONE

residente Berlusconi, dicaa Pier Ferdinando Casini,

dato che si dice cattolico: memen-to homo! Visto l’atteggiamentoostile che l’onorevole Casini haassunto nei Suoi personali con-fronti, gli ricordi ciò che accaddela mattina dell’8 febbraio 1994,ultimo giorno utile per l’apparen-tamento delle liste delle famoseelezioni che La videro entrare nel-l’orbita politica. Lei accettò cheMastella, Casini e D’Onofriorientrassero in gioco (preceden-temente rifiutati per la pretesa diavere ministero del Lavoro eIstruzione) solo per le pressioniche Le feci prima mediante Do-menico Mennitti, mio ex direttoredel “Roma”, poi attraversoAdriano Galliani e, infine, perl’intervento risolutivo di MarcelloDell’Utri alle 7:30, mentre la pie-tosa delegazione dei mendicantiavevano preso comunque l’aereoverso Milano, speranzosi in unmiracoloso ultimo mio interventopresso di Lei. Ricordi a Casiniche li fece prelevare in extremisall’aeroporto di Linate con unavostra macchina. Rammenti an-che a Casini che intervenni dopole ossessive e continue telefonatedel giorno precedente continuateal mattino dell’onorevole Mastel-la, il quale mi riferì che in mac-china (in taxi verso Fiumicino)con lui c’era anche Casini eD’Onofrio. Peccato, che non esi-stano tracce registrate! Eppure,

«Pessendo il sottoscritto, già dall’an-no precedente, nel mirino dell’An-timafia di Napoli e, di lì a pocoarrestato, mercoledì 21 aprile ’94,mi fa meraviglia che un “camor-rista” della mio livello, e, a diredegli inquirenti, socio in malaffaridi Alfieri e Galasso, non avesse iltelefono sotto controllo! Di tuttoquesto, me ne se sono lamentatoanche in un pubblico processo.Le pare verosimile? O non, piut-tosto, che sia stato tutto messo atacere? Poiché, delle due una: oil mio telefono non era sotto con-trollo, e sarebbe roba da inettioppure è stato tutto dolosamenteinsabbiato. Le scrivo questo soloper ricordare a Lei chi ero, a Ca-sini la sua ingratitudine (senza diLei, politicamente, sarebbe già de-funto) e allo Stato... qualche ri-dicola inadempienza! Saluti. Ro-ma, 17 gennaio 2013, PasqualeCasillo».

Questo il contenuto della mis-siva che Pasquale Casillo (all’epo-ca imprenditore agroalimentaredi rilievo mondiale, editore delquotidiano Roma e proprietariodi club calcistici) ha inviato a Sil-vio Berlusconi.

«Attualmente ho la fedina pe-nale integra! - precisa Casillo -Sono stato assolto, dopo ben 13anni, su richiesta della stessa Pro-cura che mi aveva arrestato, se-questrato l’intero patrimonio econseguentemente fatto falliretutte le aziende del mio Gruppo(56 aziende in tutto il mondo)che all’epoca fatturavano ben

2.000 miliardi, a causa di un am-ministratore giudiziario (il mioBondi) la cui segretaria era una“segreteria telefonica”. Questosignore da me denunciato, e daben quattro anni attendo un Ctudalla procura di Napoli».

Le persecuzioni giudiziarie neiriguardi di Pasquale Casillo sonodurate 29 anni (iniziavano nel1984).

Ma l’imprenditore è poi risul-tato assolto in tutti i processi.Dopo decine di assoluzioni nes-sun giornale ha mai provvedutoa riabilitare l’uomo dinnanzi al-l’opinione pubblica. Casillo cirammenta i due casi più recentiin ordine di tempo. «Il fallimentodella società capogruppo - spiegaCasillo - la Casillo Grani snc, peruna presunta accusa di bancarot-ta fraudolenta aggravata (un casosimile a Cirio e Parmalat che siconsumava 10 anni prima) che sisarebbe prescritta dopo 18 annie 6 mesi, ma che a 17 anni, guar-do un po’! - rimarca l’imprendi-tore - essendo ancora allo statoindiziario (solo iscritta al modello21) quindi senza neppure averfatto un’udienza o un interroga-torio, è stata archiviata (12 mar-zo 2012) con motivazione “il fat-to non sussiste”.

È più grave assolvere col fattonon sussiste o che oggi comunquesi sarebbe prescritta senza inizia-re. Si sarebbe prescritta a febbraio2013, non penso esista caso simi-le in Europa».

L’episodio che ancora turba

Pasquale Casillo è come sia statocostruito in suo danno il processoper “concorso in associazione ca-morristica”.

«Processo per concorso in as-sociazione camorristica - ci ripeteCasillo con tono indignato - dopoquasi 13 anni unico imputato…in quaranta minuti (di cui 10 dicamera di consiglio), senza con-traddittorio dei pentiti, senza i te-sti di accusa e di difesa (ho rinun-ciato ai mie 70 testi): sono statoassolto con formula piena su ri-chiesta della Procura. Non hoavuto il piacere di avere come te-sti d’accusa né il capo dei Ros diallora né quello della Dia, eppureavevano firmato i verbali. E pen-sare che i signori dell’antimafiaavevano confuso l’ambasciatoreUsa Peter Secchia con un camor-rista...».

Pasquale Casillo è ancora unapersona solare, sorridente, allamano. La persecuzione non hanemmeno scalfito il suo caratteremite, pacioso. «Era un vero ami-co del calcio!», ci rammentava unsignore incontrato in un bar diFoggia.

Fu Casillo ad ingaggiare Zde-nek Zeman per il Foggia calcioscivolato in C1: Casillo contri-buiva di fatto alla costruzioned’una città per allenare i giovani,i giornali l’appellarono subito“Zemanlandia”, intanto svettavail “Foggia dei miracoli”.

Così Zeman, dopo una stagio-ne alla guida del Messina, non re-sisteva al nuovo ingaggio di Ca-

sillo, sempre nel Foggia, neopro-mosso in Serie B. Nel 1989 al“Foggia dei miracoli” fa solo om-bra la Foggia che scende di trepunti nelle statistiche della disoc-cupazione, grazie alle assunzioninella Casillo grani.

1993-1994, ultima stagioneprima dell’addio di Zeman, ilFoggia sfiora l’ingresso in CoppaUefa, sconfitto (0-1) da un Na-poli all’ultima giornata di cam-pionato. Nonostante la persecu-zione giudiziaria, Casillo nonabbandona il campo.

Nella stagione 2003-2004all’Avellino calcio, Zeman ritrovail presidente Pasquale Casillo. Edarriviamo al 20 luglio 2010,quando la famiglia dell’ormai sto-rico presidente degli anni della ri-balta (Pasquale Casillo) riacquistaufficialmente il Foggia, e natural-mente richiama come allenatoreZeman. «Il Foggia dei miracoli ètornato», urlano i tifosi per stra-da. Ma dopo aver continuato apensare in grande, con l’appro-vazione di un accordo di pro-gramma per realizzare un nuovostadio comunale e 1000 apparta-menti a Foggia, la lobby dei co-struttori mette in piedi mille pa-letti per far abortire il sogno.

Oggi chi restituirà i posti dilavoro nella Casillo grani? So-prattutto chi risarcirà la famigliaCasillo di quasi 30 anni di mala-giustizia? Oggi Foggia è l’ultimacittà d’Italia per Pil, ai tempi dellaCasillo grani se la batteva con leridenti cittadine del centro-nord.

L’OPINIONE delle LibertàDOMENICA 20 GENNAIO 2013 3

IIECONOMIAII

Negli Usa aumenta il debito, l’Europa è al biviodi MARIO LETTIERIe PAOLO RAIMONDI

accordo di capodanno perscongiurare che il fantoma-

tico fiscal cliff potesse portare auno choc fiscale, alla recessione eal blocco del bilancio dello statofederale Usa, non è una vittoriadella stabilità. Dovrebbe inveceessere considerato un rischio ul-teriore di instabilità per il restodel mondo, in primis per l’Europa.

L’evento ha una valenza tuttaamericana, molto importante peri giochi di potere interni. Sancisceperò una politica complessiva-mente fallimentare, sia dei demo-cratici che dei repubblicani, nellagestione della finanza.

Si sono trovati i 600 miliardidi dollari necessari per evitare, al-meno sulla carta, che alcune speseper il welfare vengano automati-camente bloccate e alcune agevo-lazioni fiscali siano cancellate.

In realtà l’accordo partorisceun aumento del debito per ben4.000 miliardi di dollari nel pros-simo decennio. La stima non èfornita da una qualche fucinaideologica neoliberista anti Oba-ma, bensì dal prestigioso e indi-pendente Congressional BudgetOffice.

Come noto, il Cbo è un’istitu-zione finanziata dal Congresso peranalizzare i costi delle politiche dibilancio. Il suo direttore viene no-minato congiuntamente dai pre-sidenti della Camera e del Senato.L’attuale direttore, Douglas El-mendorf, è stato scelto nel genna-io 2009 quando entrambi i presi-denti erano democratici.

Il fiscal cliff quindi non è la ve-ra emergenza finanziaria ameri-cana.

Si è trattato, piuttosto, di unpreparativo psicologico. Il veropericolo che gli Usa devono af-frontare è, invece, lo sfondamentodel tetto del debito pubblico.

A fine anno, infatti, il debitopubblico americano ha raggiuntoil ceiling cioè il tetto massimo sta-bilito dalla legge finanziaria di bi-lancio che è di 16.400 miliardi didollari, equivalente al 103% delpil. Sarebbe dovuto bastare finoal 30 settembre 2013, cioè fino al-la scadenza del bilancio annuale.Ma così non sarà.

Che succederà adesso? Fino asettembre, di fatto, non c’è coper-tura per le spese di bilancio. Il mi-nistro del Tesoro, Tim Geithner,ha detto che il suo dicastero hagià raggiunto il limite dei prestitipossibili e ha affermato che pos-sono trovarsi «altri mezzi per rac-cogliere fondi per pagare il debi-to» per un periodo massimo di6-8 settimane.

Al di là dei trucchetti contabili,il dato è che gli Usa sarebbero tec-nicamente già in default. Una si-tuazione simile si era già creatanell’agosto del 2011, quando il bi-lancio federale era stato prosciu-gato e mancavano i soldi per i pa-gamenti dei dipendenti pubblici,dei fornitori, degli assegni di di-soccupazione e delle pensioni. Al-lora, come si ricorderà, si decisedi alzare il tetto del debito pub-blico di ben 2.000 miliardi di dol-lari.

In poco più di un anno peròquesti fondi sono stati bruciati

L’

senza significativi effetti per l’eco-nomia americana.

Certamente si è evitato l’im-mediato aumento della disoccu-pazione e della povertà ma non siè rimessa in moto l’economia. So-no mancate una vera strategia diripresa della produzione e degliinvestimenti, oltre a una più giustariforma fiscale.

In sintesi, lasciando da parte lenote schermaglie ideologiche, gliUsa, sia il governo Obama che ilCongresso nel suo insieme, sistanno muovendo verso un ulte-riore aumento del debito pubbli-co. In poche parole nulla di nuovosotto il cielo, visto che la politicadi crescita del debito e della liqui-dità è quella che da anni portaavanti la Federal Reserve di BenBernanke.

Il suo bilancio (balance sheet)è passato da 869 miliardi del2007 a 2.880 miliardi del 2012.Ben due terzi dei titoli del tesoroamericano che arrivano sul mer-cato vengono comprati dalla Fed.

Dopo aver deciso lo scorso set-tembre l’acquisto di mortgage-backed securities, quei titoli tossicilegati ai mutui subprime, per 40miliardi di dollari ogni mese, laFed a novembre ha deciso di ac-quistare mensilmente 45 miliardidi dollari di bond del tesoro e dialtre obbligazioni simili a lungotermine e in cambio di vendere iben più appetibili titoli a brevescadenza in suo possesso. È un al-tro bel regalo al sistema bancarioamericano.

Queste decisioni non potrannoche produrre un serio allarme perl’intero sistema finanziario mon-diale. I paesi emergenti lo diconoda tempo, denunciando i riverberinegativi sulle loro economie e sul-le loro monete.

In tale scenario l’Europa èspiazzata. In un sistema globaliz-zato, dove la finanza opera pervasi comunicanti, i governi euro-pei si sono ingessati con il fiscalcompact, mentre gli Usa alzano apiacere il tetto del loro debitopubblico.

Tra l’altro, in un sistema ban-cario senza riforme, gli istituti dicredito americani sono agevolatidalle politiche della Fed, mentrequelli europei sono compresse daiparametri richiesti da Basilea III.

Purtroppo in Europa c’è chi ir-responsabilmente chiede di farecome negli Usa. Secondo noi, in-vece, queste ricette sono disastro-se.

Non ci sono scorciatoie, né ser-ve l’illusione psicologica di chivuol vedere la luce alla fine deltunnel. Occorre affrontare alla ra-dice le cause della crisi globale erimuoverle, senza nasconderle co-me si continua a fare.

Il vero pericolodegli Stati Unitiè lo sfondamentodel debito pubblicoche a fine annoha raggiunto il tetto massimostabilitodalla legge finanziaria.Il dato evidenteè che gli Usaa livello tecnicosarebbero ormai in default.Già nel 2011il bilancio federalepresentaval’assenza di denaroper pagaredipendenti pubblici,fornitorie gli assegnidi disoccupazione.Il vecchio continentein tale contestoè spiazzato.I governi europeisi sono ingessaticon il fiscal compacte gli istituti di creditosono compressidai parametri richiestida Basilea III.Qualcuno chiededi seguire il modelloa stelle e strisceeppure questa ricettapotrebbe risultaredisastrosa.L’obiettivo principaleè affrontare da subitole cause della crisi globaleinveceche continuarea nasconderle

L’OPINIONE delle Libertà DOMENICA 20 GENNAIO 20134

IIESTERIII

Rand Paul visita Israeleguardando alla Casa Biancadi MARCO RESPINTI

li statunitensi sono rigida-mente monolingui. Non par-

lano, non comprendono, non scri-vono lingue straniere. I pochi chelo fanno, sono indicati a dito co-me li circondasse un’aura doratae loro stessi si sentono degli intel-lettuali sofisticati. Del resto, quan-do un americano maneggia unalingua straniera di solito si trattadel latino o del greco classico. El’italiano serve solo a qualcunoper leggere direttamente Dante.Hanno ereditato praticamente tut-to dai loro progenitori britannici,e ciò gli basta.

Gli italiani, invece, l’inglese loparlano tutti, per lo più da cani,e infatti normalmente non se nefanno nulla.

Tradotto in politica (sulla tri-stezza degli scambi culturali sten-diamo un velo pietoso), ciò signi-fica che normalmente gliamericani non sanno niente dellenostre vicende, e che quel pocoche sanno è solo quanto smozzi-cano in tre frasi i corrispondentiesteri, che però sarebbe come pen-sare che Giovanna Botteri èun’autorità sugli Stati Uniti. Gliitaliani, invece, pensano di saperetutto di Oltreoceano solo perchéconoscono il ritornello di qualcheloro canzonetta. Nel mezzo, la ve-ra politica sia dell’Italia sia degliStati Uniti prosegue imperturba-bile il proprio corso, e pochi san-no cosa davvero ciò comporti.

La settimana scorsa il Sentorerepubblicano del Kentucky RandPaul ha compiuto un viaggio inIsraele. Negli Stati Uniti è stata lanotizia del giorno per giorni, unviaggio seguito in presa direttapasso dopo passo mentre da noinessuno se n’è accorto. Giusto, di-rà qualcuno, mene interne chenon c’interessano. Sbagliato inve-ce.

Rand Paul, per chi non lo ri-cordasse, cioè i più, è stato nel2010 una delle punte di diamantepolitiche dei Tea Party, un benia-mino del loro popolo, un arteficedel loro successo alla Camera deideputati nelle elezioni di “mediotermine” di quell’anno. Rand Paulè un nemico giurato degli scialac-qui pubblici, delle tasse esagerate,delle elefantiasi statalistiche, in-somma è un libertarian tetragono.Eletto alla Camera, è stato subitoprotagonista del “Tea Party Cau-

Gcus” dentro quell’assise, ovvero la“commissione” informale di elettiproveniente dai Tea Party e decisia rappresentarne senza compro-messi le istanze dentro il Congres-so. La crescita di Rand Paul è sta-ta magari lenta, ma continua,concreta, sensibile. Rand Paul èinoltre, notoriamente, figlio diRon Paul, l’ultrà libertarian cheall’età di 77 anni ha corso nel2012 l’ultima sua campagna pre-sidenziale totalizzando un succes-so di gradimento pubblico mai co-nosciuto prima. I due Paul, Randfiglio e Ron padre, da buoni liber-tarian, si portano dietro anche unbel bagaglio “isolazionista”. Abor-rono le imprese militari all’estero,le spese per la Difesa che cresconovorticosamente, la perdita di li-bertà concreta per i cittadini cheuno Stato gendarme comportasempre. Ron Paul ha cercato lanomination repubblicana e cosìha guadagnato numeri enormi, se-gno evidente che è assai menomarziano di quanto certuni vor-rebbero dipingerlo. Così configu-rati, Ron e Rand non sono peròaffatto dei pacifisti nel senso sini-stro che (giustamente) attribuiamoal termine. Sono invece totalmentefavorevoli, come ogni buon liber-tarian, al libero possesso personaledi armi da fuoco, esattamente co-me stabilisce la Costituzione fede-rale americana a norma di dirittonaturale. Anzi, Ron Paul, in cam-pagna elettorale, ha chiarito be-nissimo che un conto è la difesalegittima di un Paese, un contol’aggressione indebita a un altro;un conto l’interesse nazionale ve-ro, un altro quello che viene solospacciato come tale; un conto unesercito, un altro un’armata im-perialista. Infine, da buoni liber-tarian che credono nel diritto na-turale e nella legge divina che lofonda, Ron e Rand sono due cri-stiani (protestanti) convintissimi,quindi due antiabortisti irriducibilicon cognizione persino biologicadi causa, essendo Ron, il padre,un ginecologo prestato alla poli-tica e Rand, il figlio, un oftalmo-logo professionista. Anche lui tan-to prestato bene alla politica che,sull’onda del successo del padre,di cui condivide la maggior partedel programma, e forte del succes-

so personale che da due anni mie-te dentro il Congresso, sta forsepensando di correre per la CasaBianca nel 2016. L’enorme inte-resse per il suo viaggio in Israelesi spiega così.

Rand Paul, in corsa per la Ca-sa Bianca, non è infatti acqua fre-sca. Per molti versi, Paul jr. è unuomo capace di scompaginareschemi vecchi e logiche logore. Difar lievitare appropriatamentel’impasto fra libertarianism e con-servatorismo socio-culturale; seforse non a vincere, può comun-que mirare a ottenere successicondizionanti e pesanti. Hai infattila physique du rôle per studiareda concentrato del meglio dei mi-gliori Repubblicani apparsi di re-cente sulla scena, di ricapitolare edi rilanciare l’immarcescibile ere-dità reaganiana, nonché di portareall’ultima fase la trasformazioneinterna del Partito Repubblicanoamericano, da formazione ondi-vaga a squadra conservatrice.

Solo che il libertarianism e l’al-lure “isolazionista” di uno comeRand Paul si portano dietro puregl’immancabili sospetti di ostilitàverso Israele, se non addiritturadi antisemitismo. Certo tutti san-no, così come però tutti pure scor-dano, che antisemitismo, antigiu-daismo e antisionismo sono realtàassai diverse; epperò nessuno puònegare che il Novecento ha avvi-luppato l’una cosa dentro l’altra,rendendo alla fine l’elemento raz-zistico praticamente indistinguibiledalla critica di natura teologica edalla lotta politica. Ancorché siasempre opportuno, quindi, distin-guere fra le tre diversissime cose,nessuna persona di buon senso

può oggi pensare di lanciarsi inuna delle tre, soprattutto nella se-conda e nella terza, l’antigiudai-smo teologico e l’antisionismo po-litico, immaginando di nonpassare anche da antisemita raz-ziale.

Ora, tutto questo, anche solopartendo dal mero dato politico,pesa oggettivamente su Rand Paule sulla sua possibile candidaturaai vertici politico-istituzionali delPaese nordamericano. Il primo asaperlo è proprio lui, Rand Paul.Il quale infatti sta facendo di tuttoper convincere il mondo, Israele eStati Uniti in primis, che presen-tarsi con un programma politicosolidale con quello di suo padreRon non significa affatto esseredegli antisemiti. Antisemita non èmai stato nessuno dei due Paul,né il padre, né il figlio, e solo unosciocco potrebbe insinuarlo, su-bendone però le conseguenze. Ep-però il loro anti-imperialismo suo-na male a chi, fra gli statunitensi,fra gli ebrei americani e dentro ilPartito Repubblicano, lo traducesubito e sine glossa in ostilità ver-so Israele. Ecco dunque il sensodel pellegrinaggio alla Canossaisraeliana di un Rand Paul (cheperò non ha nulla da farsi perdo-nare, solo sospetti da allontanare)con la kippah in capo. Deve con-vincere, non di non essere antise-mita, ché nessuno lo pensa, ma dinon essere ostile a Israele quandocritica il ruolo degli “Usa gendar-mi del mondo”, quando distinguefra interesse nazionale e avventu-rismo bellico, quando dice cheaiutare economicamente troppoIsraele e condizionarne sempre ein ogni caso la politica fa male an-zitutto a Israele, Paese di cui RandPaul non perde, né in patria néfuori, occasione per dirsi irriduci-bile amico e fedelissimo alleato.Non ha ancora convinto tutti, ov-viamente, ma è sulla buona stra-da. Perché nutre prospettive dilungo termine, prepara adeguata-mente le mosse, studia bene gli av-versari, conosce gli amici e saquanto può essere carogna l’in-formazione. Il percorso è lungo,Rand Paul ci si è appena incam-minato, ma già muove adeguata-mente un passo dopo l’altro. Sevince la propria scommessa, RandPaul sarà riuscito in un numeropolitico-culturale che molti atten-dono da tempo.

da “Italia Domani”

Da coerente libertario,il Senatore repubblicano,figlio di Ron Paul,è anch’egliun isolazionistaconvinto. Una posizionepolitica scomoda che,nel negare aiuti allo Statoebraico, può esporsiad accuse antisemitismo. Rand Paul, proprio per fugare ogni dubbio, si è recato in visita in Israele, doveha rilasciato numerosedichiarazioni per ribadire l’alleanza storica fra Washington e Gerusalemme. Il giovane Paul deve riuscire a conciliareil libertarismo con il conservatorismo,se vuol contribuirea rifondare su basipiù solide il PartitoRepubblicano.E se vuole, lui stesso,mirare alla Casa Bianca

L’OPINIONE delle LibertàDOMENICA 20 GENNAIO 2013 5

IIESTERIII

Lo status symbol americano? Mangiare all’italiana

di UMBERTO MUCCI

a cucina è da sempre parte im-portante dell’emigrazione italia-

na negli Stati Uniti. Partiti in condi-zioni di povertà per un Paese chequasi nulla sapeva di cucina italianae che proponeva sapori e piatti com-pletamente differenti, costretti a vi-vere con difficoltà insieme a conna-zionali spesso di diverse regioni etradizioni culinarie, gli italiani emi-grati in America volevano trovaresulle loro tavole qualcosa che ricor-dasse loro la buona cucina di casa.Lentamente la introdussero nella so-cietà americana, ognuno a modosuo, con gli ingredienti che si trova-vano, le ricette che si ricordavano,le commistioni da accettare obtortocollo. La tavola era il nido nel qualerifugiarsi e celebrare il Nuovo Mon-do ricordando le bontà di quellovecchio. Col tempo, la cucina italia-na in America è divenuta un grandebusiness: libri, tv, siti web oggi la ce-lebrano in tutti i modi, con diversitentativi di imitazione e di stravol-gimento, più o meno consapevoli.Quasi tutti i nomi italoamericanidello star system possiedono un ri-storante tricolore: da Francis FordCoppola a Lady Gaga, da SylvesterStallone a Robert De Niro, da Dan-ny DeVito a Hulk Hogan.

Da quando mangiare bene si tra-duce con il mangiare tricolore, inAmerica si trovano migliaia di ri-storanti “italiani”: non tutti potreb-bero fregiarsi rigorosamente del ti-tolo, ed è per questo che èimportante preservare l’eccellenzadella cucina italiana. Uno dei piùimportanti artefici di questo compi-to è Tony May, che quest’anno ce-lebra il suo cinquantesimo anno diAmerica. Premiato molte volte daistituzioni sia americane che italianeper il suo talento ed il suo impegnonell’imprenditoria culinaria, papàdi diversi ristoranti a New York(compresi Gemelli e Pasta Break,che erano nel World Trade Centere andarono distrutti l’11 settembredel 2001, quando Tony si adoperòin prima persona per nutrire e so-stenere coloro che prestarono soc-corso), autore di un libro di successo

Ldal titolo “Italian Cuisine: BasicCooking Techniques”, Tony May èa tutti gli effetti un ambasciatoredella cucina italiana negli Usa. Unperfetto ponte di collegamento fraItalia e Stati Uniti.Mister May, lei è il proprietario diuno dei migliori e più famosi risto-ranti italiani di New York, il SD26,dove le istituzioni Italiane invitaronoil presidente Napolitano in visita uf-ficiale a gustare quanto bene si man-giasse italiano anche nella GrandeMela. Qual è la chiavfe del suo suc-cesso come imprenditore, e qualepensa che sia il suo contributo al mi-glioramento della percezione dellacucina italiana in America?

Quando sono arrivato in Ame-rica nel 1963 ho trovato un tipo dicucina che non riconoscevo e, tal-volta, una lingua che non capivo.La cucina italiana era ancora cono-sciuta come “eyetalian”, il cibo delmassimo comfort definito “buono,abbondante e a buon mercato”. Hopromesso a me stesso di fare qual-cosa a tal riguardo. Così nel 1979ho fondato il Gruppo RistoratoriItaliani, che ancora oggi presiedo.Nel 1984 con il Gri ho istituito ilCatherine De Medici Restaurantpresso il Culinary Institute of Ame-rica, mentre nel 1991 ho dato vitaall’Italian Culinary Institute for Fo-reign Professionals in Piemonte. Du-rante la mia permanenza nel boarddel Culinary Institute of America aHyde Park a NY, la scuola ha costi-tuito il Colavita Center for Italianfood and wine, nel 2001. Infine, nel2004 ho fondato la Italian CulinaryFoundation, per realizzare program-mi di insegnamento nelle istituzioniculinarie di tutta l’America. Credoche il modo migliore per cambiarela vecchia percezione della cucinaitaliana sia l’istruzione: è per questoche ho creato le istituzioni incorag-giando programmi per la nuova ge-nerazione di professionisti.Quali sono la storia e l’obiettivo delGruppo Ristoratori Italiani - Lea-ding Italian Restaurants in America,e come agisce?

Il Gri è un’associazione senzafini di lucro costituita nel 1979 daun piccolo gruppo di influenti ri-

storatori italiani per ottenere unamigliore comprensione della cucinaItaliana, del nostro cibo e del no-stro vino.

Nel corso degli anni, il Gri è cre-sciuto molto ed oggi siamo l’unicaassociazione di ristoratori dedicataa preservare il dono della cucina Ita-liana qui, e una delle associazioniculinarie più rispettati nel settorealimentare americano. Nel corso de-gli anni abbiamo raggiunto diversirisultati. Abbiamo fondato ilGri/Giacomo Bologna Scholarshipche fornisce agli studenti meritevoliperiodi di studio avanzato nell’arteculinaria in Italia ogni anno. Inoltre,ogni anno organizziamo un viaggioin una regione italiana per educarei nostri membri e parte della stampaspecializzata americana circa unadiversa cucina regionale italiana, isuoi prodotti e la cultura che ne ga-rantisce la tradizione ed il gusto. Ab-biamo creato e sosteniamo il pro-gramma di studio sulla cucinaitaliana presso il Culinary Instituteof America. Abbiamo anche testi-moniato davanti al Congresso perconto dei produttori di pasta italia-na per la lotta contro i dazi doganalisull’importazione del prodotto negliUsa. Quanto difficile è stato ed è ancoraoggi, spiegare e mostrare al popoloamericano la vera cucina italiana?

L’America si è innamorata facil-mente di una cucina italiana facileda preparare a casa, conveniente emolto gustosa. Col passare degli an-ni la cucina si è evoluta con l’arrivodi nuovi immigrati, che hanno por-tato nuove idee, nuovi prodotti ehanno iniziato ad usare i forni a le-gna. Gli americani hanno così im-parato a conoscere la focaccia, lamozzarella di bufala, la bottarga, iltartufo bianco e molti altri meravi-gliosi prodotti italiani, ma soprat-tutto hanno scoperto l’olio extravergine di oliva: in pratica hannopotuto apprezzare che la cucina ita-liana è più in linea con i valori nu-trizionali di un consumatore moder-no che vuole mangiare bene, magro,gustoso e sano. Sulla base di questiprincipi il consumatore americanoha fatto della cucina italiana quella

più popolare in America. Gli anni‘70 e primi anni ‘80 hanno visto an-che l’arrivo di una nuova ondataitaliana di chef e di operatori del set-tore: imprenditori come Aldo Bozzi,Pino Luongo, Mauro Vincenti, PieroSelvaggio, Roberto Ruggeri, Fran-cesco Antonucci, Lidia Bastianich echef come Valentino Marcattilii, Pie-rangelo Cornaro, Angelo Paracuc-chi, Andreas Hellrigl, Adriano Za-notti, Sandro Fioriti, Sergio Mei.Questi nuovi grandi professionistihanno sostituito i loro predecessori:insieme con autori come MarcellaHazan, Giuliano Bugialli e altri,hanno contribuito ad informare gliamericani sul cibo italiano, avviandoe implementando con successo ilprocesso di miglioramento della per-cezione dei consumatori statunitensi.Questi innovatori hanno anche crea-to tanta curiosità nelle nuove gene-razioni, affascinate da questo stilediverso, dalla ricchezza degli ingre-dienti, dal gusto rinnovato di unacucina che pensavano di conoscere:questo ha portato molti giovani aviaggiare in Italia, per conoscere idiversi gusti e le mille sfumature del-la cucina italiana contemporanea.ed oggi sono usciti i talenti: PaulBartolotta, Andrew Carmellini, Mi-chael White, Mario Batali, Tom Co-licchio, Scott Conant, Michael LoMonaco, Carl Portale, Danny Ma-yer. Siamo impegnati a dimostrareagli americani che la cucina italianasi è evoluta: oggi gli italiani utiliz-zano soprattutto l’olio di oliva percuocere, l’aglio è usato con parsi-monia, il cibo è cotto molto menoper mantenere i sapori, le porzionisono molto più piccole e in linea conuno stile di vita più rilassato. Inoltreci si preoccupa di più anche di comeil cibo viene presentato. Diciamotutti i giorni ai nostri clienti che gliitaliani utilizzano prodotti di qualità:è questo l’ingrediente più importantenecessario per cucinare italiano.Che cosa può fare l’Italia per aiutaredi più a promuovere la vera buonacucina italiana, per migliorare ciòche già è stato fatto?

L’Italia può aiutarci mantenendola sua autenticità in cucina. Identi-ficare e riconoscere l’autenticità ri-chiede tempo, studio, interesse, cu-riosità e la comprensione della gentee della loro cultura: una cultura checonsidera quello della tavola unodei piaceri più importanti della vita.La stampa americana non è proba-bilmente disposta ad impiegare tem-po ed energie per studiare l’auten-ticità: noi italiani, invece, ci teniamoe ci preoccupiamo perché non vo-gliamo che la cucina italiana venga“americanizzata” e per questo rischidi perdere il suo gusto. In un mondoin rapida evoluzione dove tutto èglobale, abbiamo bisogno di man-tenere identità e cultura. Se l’Italialo farà, certamente ci aiuterà a farela nostra parte qui in America. Immagini di parlare con un giovaneimprenditore italiano di talento, chevuole venire negli Stati Uniti apren-do un ristorante suo. Che consigliogli darebbe?

Si tratta di un Paese diverso, conuna mentalità diversa, e un mododiverso di condurre gli affari. C’èancora spazio per le persone giustedisposte a lavorare sodo ma devonodarsi il tempo di conoscere gli StatiUniti, il loro popolo e il loro am-biente di business. Poi si può cuci-nare e conquistare.

Parla Tony May,deus ex machinadella cucina tricoloredi Oltreoceanoche in Americaha fondato una serie di enti specializzatinella tutelae nella conservazionedelle tradizionimangereccedel Belpaese:«Negli anniabbiamo trovatogli strumentiper far crescereuna generazionedi chef italoamericanibravissimi ed osservantidelle regole. L’Italia?Al Paese spetta il compito di conservareil patrimonio della tavolasenza commistionio intromissionia stelle e strisce,dirette emanzionidalla globalizzazione»

L’OPINIONE delle Libertà DOMENICA 20 GENNAIO 20136

IICULTURAII

Django Unchained, il grande ritorno di Tarantinodi DIMITRI BUFFA

ue attori premi Oscar per unwestern B movie. A propria

volta remake riveduto e scorrettodi un noto prodotto italiano deglianni ’70 con Franco Nero (che fral’altro vi recita anche una parte)cioè “Django”. Quentin Tarantinonon finisce mai di stupirci e di di-lettarci con le proprie trovate pulpmoralistiche e stavolta, dopo averecombattuto il nazismo riscrivendola storia in “Bastardi senza gloria”,ricrea pure l’epopea del West e lesue atmosfere infilandoci “un ne-gro” anti schiavista, Jamie Foxx,come protagonista. Con buona pa-ce del finto politically correct diSpike Lee che era finito sulle primepagine per via di quelle censure allaparola “nigger” troppe volte fattapronunciare agli attori da Taranti-no nel film. Come se negli StatiUniti del 1860 qualcuno usasse nellinguaggio l’espressione “di colore”.Magari Spike Lee avrebbe preferito“diversamente bianco”, in quelloche può anche essere giudicato co-me un inconsapevole razzismo allarovescia. Ma tant’è.

La trama di questo B western,pieno di battute e di azione e davedere assolutamente in lingua ori-ginale, è ambientata nel Sud degliStati Uniti due anni prima delloscoppio della Guerra Civile. JamieFoxx nel ruolo di Django imper-sona uno schiavo la cui brutalestoria con il suo ex padrone, dacui tenta di fuggire (ma viene ripre-so), lo conduce al fatale incontrocon il dentista pistolero KingSchultz (anche lui premio Oscar,Christoph Waltz). Un cacciatoredi taglie di origine tedesca. Schultzlo riscatta dopo avere ucciso chistava riportando Django dal suoschiavista. E lo assolda come vice:la prima impresa li vede sulle traccedei fratelli Brittle, noti assassini, el’aiuto di Django sarà decisivo perucciderli e riscuotere la taglia chepende sulle loro teste. Schultz avevaassoldato Django con la promessadi donargli la libertà una volta cat-turati i Brittle – vivi o morti.

Ma il successo dell’operazioneinduce Schultz a tenersi come viceil “negro” appena reso libero dallaschiavitù. Anzi Schultz sceglie dipartire alla ricerca dei criminali piùricercati del Sud con Django al suofianco. E a ogni cittadella in cui ar-rivano a cavallo creano scandalo escalpore: negli stati del sud del-l’epoca anche andare a cavallo eraproibito agli uomini di colore, o“negri” che dir si voglia. Affinandole vitali abilità di cacciatore, Djan-go resta concentrato su un soloobiettivo: trovare e salvare Broom-hilda (Kerry Washington), la moglieche aveva perso tempo prima, do-po che era stata venduta comeschiava.

La loro ricerca li conduce infineda Calvin Candie (il candidatoall’Oscar Leonardo Di Caprio),proprietario del “Candyland”, unafamigerata piantagione. Esplorandola proprietà e accampando scuse,Django e Schultz suscitano i sospet-ti di Stephen (il candidato all’OscarSamuel L. Jackson), lo schiavo difiducia di Candie. Le loro intenzio-ni vengono smascherate e un’infidamacchinazione si abbatte sulle loroteste. Django e Schultz intendonofuggire con Broomhilda, ma le cose

Dnon andranno secondo i canoni dellieto fine e naturalmente Tarantinometterà un’incredibile scena di plu-ri mattanza finale.

La trama però, come l’ambien-tazione, è solo un artificio narrativodel regista per spiegare al volgo lasua “weltanschauung”, che è defi-nibile come “pulp positivista”. Allafine i buoni vincono ma devonosterminare una marea di cattiviusando i loro stessi metodi e so-prattutto lo stesso linguaggio esi-stenziale e cinematografico e sacri-ficare qualcuno dei propri alleatiper la causa. Accade in “Djangounchained” come era accaduto in“Bastardi senza gloria”. E il nazi-smo ridicolizzato in quest’ultimapellicola sta a gli occhi di Tarantinocome lo schiavismo degli stati delSud reso parodistico in questo riu-scitissimo film. Queste connotazio-ni del moralismo sui generis delleultime pellicole del regista, che re-cita anche una parte nel film, ren-dono ancora più incomprensibilile polemiche sollevate da Spike Lee.A meno di non volere credere a chiparla di “invidia del pene” cinema-tografico da parte del regista di“Do the right thing”, da tempo infase creativa pre crepuscolare. Spi-ke Lee con la polemica in questioneavrebbe in realtà avuto quella ri-balta e quelle prime pagine che lesue ultime fatiche in digitale o in35 millimetri gli stanno negando.Rispetto al film, nelle note di pro-duzione, Tarantino ricorda come“il viaggio di Django Unchainedper il grande schermo” sia iniziatooltre 10 anni fa, quando lo scritto-re-regista ha pensato al personag-gio principale che da il nome alfilm. «All’origine vi era l’idea diraccontare uno schiavo che diven-ta un cacciatore di taglie e parte al-la ricerca dei sorveglianti di schiaviche si nascondono nelle piantagioni– spiega - ed era solo quello cheera, il sesto di sette schiavi che for-mavano una fila. Poi ha iniziato aprendere sempre più forma, manmano che andavo avanti con lasceneggiatura». Infine l’illumina-zione di trasformare il western inuno spaghetti western: «Amo il ge-nere, ma siccome ho sempre prefe-rito gli “spaghetti western” ho pen-sato che se mai ne avessi fatto uno,sarebbe dovuto assomigliare aquelli di Sergio Corbucci».

Il produttore Reginald Hudlin,da parte sua, concorda che il gene-re era «non convenzionale ma mol-to appropriato». «Il mutevole tonomorale - spiega ridendo - gli angolioscuri, la complessità etica di “Perun pugno di dollari” e dei film diCorbucci, sono stati di grande ispi-razione per il racconto di Quentin.I suoi approfonditi studi del genere,lo hanno condotto all’ispirata ideadi mescolare la narrativa sulloschiavismo con lo “spaghetti we-stern”, contribuendo così a creareun film mai visto prima».

E quello che c’è di bello in quasiogni film di Tarantino, che si ispiria B movies di maniera come “Pulpfiction” o a semi sconosciute pelli-cole cinesi come “Lady snow blo-od” (“Kill Bill 1 e 2”, ndr), è pro-prio la capacità del regista di creareun prodotto assolutamente nuovoe strabiliante maneggiando mate-riale di repertorio. Due ore e mezzadi divertimento assicurato da nonperdere per alcun motivo.

Quentin Tarantino non finisce mai di stupirci con le proprietrovate pulp moralistiche e stavolta, dopo averecombattuto il nazismoriscrivendo la storia in “Bastardi senza gloria”, ricrea pure l’epopea del West e le sue atmosfereinfilandoci un “negro” anti schiavista, Jamie Foxx, come protagonista. Con buona pace del finto politically correct di Spike Lee.La trama di questo B western, pieno di battute e di azione e da vedereassolutamente in lingua originale, è ambientata nel Sud degli Stati Uniti due anni prima dello scoppio della Guerra Civile.«Amo il western», dice Tarantino, «ma siccome ho sempre preferito gli “spaghetti western” ho pensato che se mai ne avessi fatto uno, sarebbe dovutoassomigliare a quelli di Sergio Corbucci».Il risultato sono due ore e mezza di divertimentoassicurato da non perdere assolutamente

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