RADUNO DEI GIOCATORI SENZA CONTRATTO - Il...

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N° 4 - 2005 Luglio/Agosto Spedizione in abb. post. art. 2 comma 20/C legge 665/96 - Filiale di Roma Coverciano, 22 Luglio - 9 Agosto 2005 RADUNO DEI GIOCATORI SENZA CONTRATTO Coverciano, 22 Luglio - 9 Agosto 2005 RADUNO DEI GIOCATORI SENZA CONTRATTO Il gruppo dei giocatori Il team dei tecnici

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N° 4 - 2005Luglio/Agosto

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Coverciano, 22 Luglio - 9 Agosto 2005

RADUNO DEI GIOCATORI SENZA CONTRATTO

Coverciano, 22 Luglio - 9 Agosto 2005

RADUNO DEI GIOCATORI SENZA CONTRATTO

Il gruppo dei giocatori

Il team dei tecnici

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Il nuovo Consiglio Direttivo del Settore Tecnico della F.I.G.C.

FIRENZE, 25 luglio – Ha avuto luogo stamani, alCentro tecnico di Coverciano, la riunione di in-sediamento del nuovo Consiglio direttivo delSettore Tecnico della Federcalcio, presiedutodall’ex CT Azeglio Vicini. Il saluto della Federa-zione e del presidente Franco Carraro è statoportato dal vicepresidente vicario GiancarloAbete e dall’altro vicepresidente InnocenzoMazzini che hanno preso parte ai lavori nelcorso dei quali sono state affrontate diversetematiche da proporre al prossimo Consigliofederale, come la distinzione tra il ruolo di Se-gretario del Settore e quello di Direttore delCentro, così come il miglioramento del sistemadi terzietà della giustizia sportiva nei confron-ti dei singoli allenatori, con l’istituzione di unaCommissione disciplinare che sarà nominatadallo stesso Presidente del Settore Tecnico.Sono stati poi rivisitati alcuni aspetti funzio-nali quale quello di togliere, su indicazionedell’Associazione allenatori, il limite dei 65 an-ni per l’esercizio della professione di allenato-re, sempreché questi siano in possesso dellanecessaria idoneità psicofisica.

Questa la composizione del Consiglio direttivodel Settore: Presidente Azeglio Vicini; compo-nenti: Marcello Lippi (Commissario Tecnicosquadra Nazionale), Giancarlo Camolese, Cirode Martino, Antonio Papponetti, Azeglio Rachi-ni, Aldo Serena, Giuseppe Terraneo, GiulianoMilesi (LND), Fabrizio Corsi (LNP), Giuliano Ra-gonesi (AIAC), Luigi Agnolin (SGS), Alberto Bo-schi (AIA), Enrico Castellacci (LAMICA), EnricoDemarchi (LPSC), Gianni Grazioli (AIC), MarioMarella (AIPAC), Nardino Previdi (ADISE).

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SOMMARIO

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21di Roberto IsacchiniCALCIO E PRESTAZIONISCUOLAALLENATORI

5di Gianni Di FerdinandoCOVERCIANO, RITIRO MODELLOSCUOLAALLENATORI

8di Francesco ContiMOVIMENTI DIFENSIVI DEL 4-4-2SCUOLAALLENATORI

24di Massimo CacciatoriESERCITAZIONI PER PORTIERISCUOLAALLENATORI

28di Sergio RoticianiLA PRIMA REGOLA È IL GIOCOSCUOLAALLENATORI

31di Marco LucarelliARBITRI E FREQUENZA CARDIACASCUOLAALLENATORI

41di Vincenzo VergineLE LOMBALGIE DA OVERUSESCUOLAALLENATORI

Per richiedere copie arretrate del Notiziario inviare una richiesta scritta indirizzata a:F.I.G.C. Settore Tecnico Via G. D’Annunzio 138, 50135 Firenze. Non saranno accettate richieste effettuate per telefono.

Fotocomposizioneimpaginazionee disegniA&S Grafica

FotografieArchivio Settore Tecnico

StampaSTILGRAFICA s.r.l.Via Ignazio Pettinengo, 31/3300159 ROMA - Tel. 06/43588200Spedizione in abbonamento postalecomma 27 - art.2 legge 28/12/1995 n.549 Roma

Registrazione del Tribunale diFirenze del 20 maggio 1968 n.1911

La rivista è stata chiusa in tipografiail 28 luglio 2005

Tutto il materialeinviato non verràrestituito.La riproduzione diarticoli o di imma-gini è autorizzataa condizione chene venga citata lafonte.

DirettoreAzeglio ViciniDirettore ResponsabileFranco MorabitoHanno collaborato a questo numeroFelice Accame, Antonio Acconcia, Alberto Andorlini, Daniele Baldini,Luigi ‘Cina’ Bonizzoni, Elena Castellini, Fabrizio Cattaneo,Rosario D’Onofrio, Stefano D’Ottavio, Franco Ferrari, Luca Gatteschi,Gianfranco Laperuta, Gianni Leali, Guido Lotti, Marco Maestripieri,Vincenzo Manzi, Mario Marella, Luigi Natalini, Paolo Piani,Antonio Pintus, Monica Risaliti, M. Grazia Rubenni, Gennaro Testa,Leonardo Vecchiet, Marco Viani

4di Azeglio ViciniEDITORIALE

48di Marco GaburroSPORT E TALENTISEZIONE SVILUPPOCALCIO GIOVANILE

35di Marco VianiBOMBER MONDIALICENTRO STUDI E RICERCHE

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ED

ITO

RIA

LE

EDITORIALE

S i è appena conclusa un’altra estate difficile per il calcio italiano, e forse nonsarà neppure l’ultima, ma, seppure fra tanti inevitabili scontenti, non si può

negare che siano state adottate con fermezza decisioni importanti, nell’intento dirimettere ordine in un sistema incontrollabile e soffocato da difficoltà e scandali.Sono state migliorate ed imposte regole importanti che, negli ultimi anni, nonsi era riusciti ad applicare interamente; regole spesso eluse da molti dirigentisocietari che, quando erano entrati nel mondo del calcio, avevano accettatoquelle stesse regole.In tempi così difficili per i problemi economici, regolamentari, morali, che crea-no delusione e sconcerto nella massa degli appassionati, è il momento in cuideve affermarsi la figura dell’allenatore come personaggio che fa presa sull’opi-nione pubblica col suo comportamento e con il bagaglio calcistico e culturaleche lo colloca al di sopra delle parti.Cominciando col diffondere la conoscenza del Regolamento di giuoco nei mini-mi particolari e, quindi, intervenendo sui propri giocatori anche con l’ausilio dipersonaggi del settore arbitrale.La conoscenza precisa delle regole del gioco evita protesta, reazioni, falli spes-so inutili che portano a conseguenti sanzioni tecniche e disciplinari a carico deigiocatori, con grave danno alle società ed agli allenatori.Il Settore Tecnico si farà portavoce affinché ci sia una più significativa parteci-pazione dei tecnici ai problemi regolamentari che sono di grande attualità, invi-tandoli anche a valutare con attenzione le proposte di cambiamenti. Non tuttociò che è nuovo risulta necessariamente positivo.Oggi vengono proposti l’inserimento della moviola in campo e l’applicazione disofisticate apparecchiature tecnologiche all’interno delle porte e nei palloni, solu-zioni non applicabili in tutte le nazioni ed in tutte le categorie dei campionati.Questo potrebbe rappresentare una spaccatura nel movimento calcistico, infat-ti fino ad oggi tutte le modifiche regolamentari hanno avuto un carattere di uni-versalità venendo applicate ovunque ed a tutti.Poche settimane fa è stato ratificato dal Consiglio Federale della FIGC il nuovoRegolamento del Settore Tecnico che pubblicheremo sul “Notiziario” o cheinvieremo direttamente a tutti gli iscritti all’Albo. Regolamento che contienenovità che devono essere conosciute per una corretta informazione e gestionedell’attività professionale.

Azeglio Vicini

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ergio Campana, presidente

dell’AIC, lo ha definito “il ri-

tiro più invidiato d’Europa”.

Il massimo dirigente dell’As-

sociazione Italiana Calciatori

non ha tutti i torti se si ana-

lizzano due dati che caratte-

rizzano da alcuni anni il raduno dei gioca-

tori senza contratto che, per l’ottava volta

consecutiva, è andato in scena al Centro

tecnico federale di Coverciano, dal 22 lu-

glio al 9 agosto scorso.

Il primo riconducibile all’aspetto del collo-

camento, con il 90 per cento dei parteci-

panti che nelle fasi successive alla conclu-

sione del ritiro trovano squadra. Il secon-

do, da collegare alla possibilità che viene offerta ai partecipanti di

conseguire il patentino di allenatore di base e che permette al ri-

manente 10 per cento che non entra nella precedente statistica,

di sistemarsi come tecnico anche in società di settore giovanile, di

categorie dilettantistiche, oppure, come verificatosi proprio in

questa circostanza per il fiorentino Riccardo Rocchini, classe 69,

ex difensore di Pontedera, Montevarchi, Cappiano, che ha attac-

cato le scarpe al chiodo, per diventare l’allenatore in seconda di

Pane allo stesso Cappiano.

A differenza di quello che si verificava fino ad alcune stagioni fa,

in pochi abbandonano in anticipo il ritiro rispetto alla data di con-

clusione proprio per non perdere la possibilità di conseguire l’a-

bilitazione ad allenare. Interpellati dagli emissari delle singole so-

cietà, i diretti interessati preferiscono rinviare la firma sul con-

tratto alla conclusione delle tre settimane di duro lavoro.

Un ritiro che fa scuola e che le altre associazioni di categoria cer-

cano di riproporre nei loro Paesi. È il caso del Messico, che ha in-

viato un suo rappresentante, il difensore Moises Gonzalez Mar-

quez, classe 71, esperienze con il Cruz Azul ed in Argentina, che

vi ha partecipato per metabolizzare usi e costumi in vista della ri-

proposizione di un’analoga iniziativa nel suo Paese a partire dal-

la prossima estate. Un ritiro mèta di direttori sportivi ed operato-

ri di mercato che affollano le tribune degli stadi che accolgono le

partite delle tre squadre nelle quali sono divisi i sessanta parteci-

panti, con anche nomi di prestigio, come nell’ultima edizione,

quelli degli ex portieri del Bari e del Piacenza, Graziano Battistini

e Paolo Orlandoni, dell’ex centrocampista della Lucchese, Giovan-

ni Martusciello, degli ex difensori del Bologna e del Pescara, Fa-

bio Petruzzi e Pietro Fusco, e dello svizzero, ex attaccante del Na-

poli, David Sesa, per scovare il giocatore che può fare al caso lo-

ro e necessario per completare o irrobustire la rosa in vista dell’i-

nizio dei campionati.

Una società della serie A greca, l’Akratitos, che ha svolto la pre-

S

*Giornalista - Allenatore di Base

COVERCIANO, RITIRO MODELLOdi Gianni Di Ferdinando*

Da destra, in piedi, Massimo Fanfani, Gennaro Testa, Attilio Maldera, Luca Gatteschi, Biagio Savarese, MarcoMaestripieri, Monica Risaliti. Accosciati, Fausto Cannavacciuolo, Gianni Di Guida, Nicola Bosio, Dario Pivotto,Fidenzo Nardello e Alessandro Selvi.

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parazione precampionato in una località bresciana del Lago di

Garda, ha seguito a lungo un gruppetto di giocatori ai quali vo-

leva far firmare un contratto. Tra questi il difensore ex del Vicen-

za, Cristian Adami, il pari ruolo ex del Pescara, Michele Zeoli, l’ex

della Salernitana, Orfei, e l’attaccante, ex del Catanzaro, Fabrizio

Cammarata. Il Catania ha fatto soggiornare un suo emissario di

mercato per dieci giorni a Firenze per seguire il lavoro giornalie-

ro dei disoccupati.

I sessanta giocatori ammessi al ritiro Aic sono stati divisi in tre

gruppi di venti, guidati ciascuno da uno dei tre tecnici federali,

Gianni Di Guida, Attilio Maldera e Marco Maestripieri, che hanno

affiancato nel lavoro quotidiano il coordinatore tecnico, Biagio Sa-

varese. Ogni gruppo ha potuto contare su di un qualificato staff di

lavoro che prevedeva la presenza di medici, preparatori atletici e fi-

sioterapisti mentre la preparazione dei portieri, in maniera con-

giunta, è stata affidata a Massimo Cacciatori. Una giornata tipo

prevedeva un impegno costante dislocato nell’arco di dodici ore.Al-

lenamento al mattino dalle 8,30 alle 11. Prima lezione in aula dal-

le 11 alle 13. Pranzo, riposo fino alle 16, poi fino alle 18 seconda le-

zione in aula. Dalle 18 alle 20, seconda seduta di allenamento e do-

po la cena dalle 21alle 23 la terza sessione di lezione. Il tutto con-

dito dalla disputa di nove amichevoli con avversarie del calibro in

successione temporale di Messina, Modena, Forlì, Parma, Cappia-

no, Sangiovannese, Pisa, Poggibonsi e Carrarese, con la chiusura

dedicata alla seconda edizione del ‘Memorial Roberto Clagluna’, in

ricordo del compianto allenatore del Settore tecnico, per alcune sta-

gioni responsabile del corso e prematuramente scomparso nell’e-

state del 2003. Le tre settimane di lavoro sono state chiuse dagli

esami per conseguire l’abilitazione come allenatore di base, ed ora

i sessanta partecipanti possono disporre di un’ulteriore opzione su

cui poter contare nella gestione della loro carriera.

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Di seguito riportiamo l'elenco dei calciatori senza contratto che hanno preso parte al ritiro precampionato Aic di Coverciano dal 22 luglio al 9 ago-

sto 2005 (P=portiere; D=difensore; C=centrocampista; A=attaccante).

NOME NATO IL RUOLO ULTIMA SQUADRA

ADAMI CRISTIAN 20/12/1976 D VICENZA - B

ALBINO MARCELLO 07/10/1971 C CAGLIARI - A

ANNONI PAOLO 21/01/1970 D PRO PATRIA - C1

BATTISTINI GRAZIANO 30/09/1970 P BARI - B

BINI CHRISTIAN 23/05/1970 P NOVARA - C1

BUCCHIONI ROBERTO 01/02/1973 D PALAZZOLO - C2

CAGNALE ALESSANDRO 07/05/1974 D PISA - C1

CAMMARATA FABRIZIO 30/08/1975 A CATANZARO - B

CAZZARÒ MICHELE 15/01/1973 C MARTINA - C1

CHIAROTTO VANNI 30/01/1979 C MARTINA - C1

CINETTO GIANCARLO 03/05/1972 D SUD TIROL - C2

COMI ALESSANDRO 06/07/1974 A MONZA - C2

CUSINI JONATHAN 27/02/1977 C PALAZZOLO - C2

D'ALOISIO MARINO 28/09/1969 D FANO - C2

DE CECCO ANDREA 11/05/1979 C OLBIA - C2

DE POLI ALESSANDRO 07/10/1969 C MANTOVA - C1

DE STEFANI ALESSIO 06/09/1979 D FORLÌ - C2

DI MURO BERARDINO 12/05/1978 D POTENZA - C2

ERRA ALESSANDRO 11/05/1973 D FOGGIA - C1

FRATI ALESSIO 30/08/1973 A GIULIANOVA - C1

FREZZA MARCO 12/09/1975 C FIDELIS ANDRIA - C1

FUSCO PIETRO 11/08/1971 D PESCARA - B

GUTILI ENRICO 05/08/1969 D GROSSETO - C1

LAMONICA ALESSANDRO 24/06/1973 D PRATO - C1

LANDINI LUIS 31/01/1974 A SASSUOLO - C2

LAURIA FEDERICO 24/05/1975 A VALENZANA - C2

MANITTA EMANUELE 12/01/1977 P CATANZARO - B

MARCON SERGIO 09/11/1970 P CHIEVO - A

MARGHERITI GIANNI 14/07/1974 A SASSUOLO - C2

MARTUSCIELLO GIOVANNI 19/08/1971 C LUCCHESE - C1

NOME NATO IL RUOLO ULTIMA SQUADRA

MASSARO MARIO 03/09/1973 C BENEVENTO - C1

MELANI MATTEO 23/06/1977 D MONZA - C2

MICILLO DAVIDE 17/04/1971 P CATANZARO - B

MODESTI AURELIANO 19/03/1974 C PRO SESTO - C2

MONACO SALVATORE 28/12/1972 D TERNANA - B

MONACO GENNARO 05/01/1968 D TARANTO - C2

MONETTA MIRKO 14/03/1975 C IVREA - C2

MONTICCIOLO ALESSANDRO 27/11/1976 C ASCOLI - B

MONZA ALDO 20/08/1969 C NOVARA - C1

NAPOLI ROCCO 05/11/1974 A PALAZZOLO - C2

ORFEI GIOVANNI 31/01/1976 D SALERNITANA - B

OTTOLINA ALFREDO 17/08/1970 D OLBIA - C2

PAGLIARINI MIRKO 28/10/1975 C CROTONE - B

PALO ANTONIO 26/02/1979 D POTENZA - C2

PANDOLFI ANDREA 08/05/1976 A LODIGIANI - C2

PARISI ANIELLO 01/09/1973 D LODIGIANI - C2

PAVONE CRISTIANO 28/06/1972 D ANCONA - C2

PENNACCHIETTI MARCO 25/07/1972 D NOCERINA - C2

PETRUZZI FABIO 24/10/1970 D BOLOGNA - A

PIZZI FAUSTO 21/07/1967 C FORLÌ - C2

RIPA FRANCESCO 07/04/1974 P SORA - C1

ROCCHINI RICCARDO 16/10/1969 D CUOIO CAPPIANO - C2

SASSARINI CARLO 14/01/1971 D ASCOLI - B

SCICHILONE MASSIMILIANO 19/02/1972 A CAVESE - C2

SESA DAVID 10/07/1973 A PALAZZOLO - C2

SIROTI PAOLO 26/05/1970 D GIULIANOVA - C1

STURBA ALESSANDRO 23/02/1972 C TERAMO - C1

TEODORANI ALESSANDRO 09/12/1971 C AREZZO - B

TURONE ALESSANDRO 04/08/1974 D MANFREDONIA - C2

ZEOLI MICHELE 23/04/1973 D PESCARA - B

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SCUOLAALLENATORI

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TECNICO-TATTICA

a scelta di affrontare questo argomento come dis-

cussione del Corso ha origini lontane e si è consoli-

data nelle mie ultime stagioni lavorative. Durante gli

ultimi tre anni di collaborazione tecnica con Luigi

Del Neri, ho maturato la convinzione che l´organiz-

zazione difensiva è la base di partenza per esaltare

al meglio le caratteristiche di squadra. La creazione

di una didattica (dal semplice al complesso) e l´idea che è consi-

gliabile il lavoro globale in funzione di quello analitico, porta a

raggiungere numerosi obiettivi. Tra questi quello più significativo

è la possibilità di riuscire ad avere giocatori che “pensino ed agi-

scano collettivamente” (linguaggio comune). Questo aspetto pro-

duce il raggiungimento di una ottima capacità di lettura del gio-

co che permette agli atleti di non farsi trovare impreparati al va-

riare delle situazioni. È risaputo che nel calcio ci sono vari modi di

difendersi zona-uomo-misto, a 3-4-5 giocatori e ciascuno di essi

può essere più o meno efficace. La cosa importante è la grande

conoscenza che l´allenatore deve avere su ciò che desidera ese-

guano i propri giocatori. Come tutte le pianificazioni il raggiungi-

mento dell’obiettivo deve avvenire attraverso varie situazioni che

non devono essere trascurate durante l’organizzazione e la rea-

lizzazione del lavoro. Tutto parte sempre da una attenta analisi

della situazione di partenza a cui seguirà la scelta accurata dei

mezzi e dei metodi. Per questi motivi la scelta di giocare con 4 di-

fensori avverrà dopo una attenta valutazione da parte dell’alle-

natore delle singole capacità.

PRINCIPI TEORICI

L’organizzazione del reparto difensivo deve avere alla base degli

aspetti legati al movimento individuale in quelle che sono determi-

nate situazioni. A prescindere dal modulo di gioco che viene ad es-

sere sviluppato successivamente è fondamentale che i difensori se-

guano e conoscano i seguenti:

– Principi di tattica individuale:

a) Presa di Posizione: Essere tra avversario e porte, cercare di ave-

re nel proprio campo visivo la palla, i compagni, l´avversario, ri-

manendo utili il più a lungo possibile.

b) Marcamento: cercare di assumere la posizione più efficace per

intervenire. Si è responsabili della propria zona di campo, e del-

le zone limitrofe (scalare) la posizione da assumere è determi-

nata dalla palla. Si aggredisce chiunque entri nella propria zo-

na in possesso palla, eccetto quando ci si trova in inferiorità

numerica. L´avversario senza palla si accompagna.

c) Intercettamento: creare finte zone libere per poi intervenire sul

passaggio, permettendo la riconquista della palla. Non presup-

pone la presenza dell’avversario, ed è più frequente nella mar-

catura a zona.

d) Tackle - Contrasto: diretto (frontale, laterale, da tergo o scivo-

lato) quando si cerca di togliere la palla all´avversario diretta-

mente con contrasto fisico. Indiretto: quando l´avversario non

è in possesso palla e il difensore con una anticipata presa di

posizione mette in zona d´ombra il diretto avversario.

e) Difesa della porta: significa frapporsi fisicamente, al momento

del tiro, tra la palla e la porta, limitando lo specchio di porta. E´

importante non dare mai le spalle al tiratore (si rischiano de-

viazioni pericolose) e cercare se l´avversario riesce a tirare di

correre verso il proprio portiere per “coprirlo” in caso di re-

spinte corta.

Il reparto difensivo dovrà fare riferimento anche ad aspetti legati

al gruppo che comunemente sono definiti:

- Principi di tattica collettivi (fase di non possesso) che sono

i punti fondamentali, i cardini su cui si basa l´organizzazione di

gioco.

LMOVIMENTI DIFENSIVI DEL 4-4-2di Francesco Conti*

*Dalla tesi finale del Corso Master 2003/2004 per l’abilitazione ad allenato-re professionista di 1ª Categoria.

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- SCAGLIONAMENTO: il reparto non deve farsi trovare su una li-

nea piatta, in modo da permettere la reciproca copertura. I di-

fensori non solo devono marcare il propri avversario, ma deb-

bono cercare di coprire anche gli spazi dei quali è responsabile

l´intera difesa.

- AZIONE RITARDATRICE: si può effettuare tramite due atteggia-

menti diversi che vanno a modificare i tempi di gioco:

a) Temporeggiamento: cioè arretrando, dando campo all’avver-

sario ricordandoci del concetto “imbuto difensivo” uguale

concentrazione difensiva; faccio anche giocare, ma esterna-

mente guadagnando un tempo di gioco

b) Pressing e Fuorigioco: invece di scivolare all’indietro, avanzo

con tutto il reparto per limitare tempo e spazio al possessore

di palla avversario ed impedirgli giocate facili.

- CONCENTRAZIONE: non significa atteggiamento mentale, ma

dislocazione sul terreno di gioco. L´obiettivo è quello di portare

più giocatori possibili dietro la linea della palla. La difesa deve

cercare di presentarsi sempre in superiorità numerica per per-

mettere le reciproche coperture. La disposizione ad imbuto con-

sente di mantenere e ridurre lo spazio della zona pericolosa del

tiro in porta.

- EQUILIBRIO: coprire tutti gli spazi, non farsi allargare o allonta-

nare mantenendo la possibilità di copertura reciproca in ogni

circostanza. Sfruttare la visione periferica in funzione della pal-

la e dei compagni coprendo le zone pericolose.

- CONTROLLO e CAUTELA: non farsi attrarre solo dalla palla, cer-

cando di tenere sotto controllo tutti gli elementi del gioco: pal-

la, compagni, avversari, spazio, porta.

Se dal generale passiamo allo specifico non possiamo tralasciare i:

Principi di marcamento della zona.

1) Ogni giocatore è responsabile della zona di campo assegnata

e degli avversari che sono in quella zona;

2) Deve inoltre guardare e sorvegliare le zone limitrofe;

3) Si muove nella zona in funzione ed in dipendenza della posi-

zione della palla;

4) Deve sempre andare in pressione sull’avversario con palla che

entra nella propria zona, eccetto quando è in inferiorità nume-

rica, cercando di far giocare l´avversario sempre in condizione

di palla coperta;

5) Nella marcatura a zona i difensori devono continuamente

adattarsi ad avversari che possono cambiare spesso e con ve-

locità, si richiede perciò la massima concentrazione.

Nonostante i suddetti principi non possiamo dimenticare che

quando lo spazio tra il difensore e l´avversario sarà minimo, in

vicinanza della zona pericolosa (16 metri), anche nella zona a 4

difensori varranno tutti i principi e le regole della marcatura a

uomo:

1) Posizionarsi sempre tra avversario e porta

2) Controllare palla e avversario.

REQUISITI E CARATTERISTICHE TECNICHE E FISICHE DEIGIOCATORI NELLA ZONA A 4

Andiamo ora ad analizzare nel dettaglio i requisiti dei difensori

che compongono la linea di difesa:

IL DIFENSORE CENTRALE ideale dovrebbe essere il leader del re-

parto, grazie al carisma di cui necessita per poter guidare la dife-

sa, deve avere una buona tecnica di base ed essere dotato di un

calcio lungo e preciso per poter ribaltare l´azione (passare velo-

cemente da una azione difensiva ad una offensiva). Deve essere

rapido e veloce (recuperatore), buono nei contrasti diretti e nella

marcatura, dotato di una grande capacità attentiva per la miglio-

re lettura della situazione e soprattutto molto abile nel gioco ae-

reo. Ritengo questo ultimo punto di fondamentale importanza; in-

fatti la fisicità diventa una condizione necessaria per un buon esi-

to della fase difensiva. Deve avere un ottimo senso tattico, sa-

pendo scegliere sempre la posizione più consona alla situazione

di gioco, conoscere bene i principi della tattica difensiva indivi-

duale e collettiva. Deve conoscere i tempi di attacco o temporeg-

giamento, deve sapere controllare l´aggressività e l´emotività, ri-

uscire a trasmettere fiducia ai compagni guidando la difesa nelle

varie situazioni tattiche. Siccome è raro riuscire a trovare due cen-

trali con queste caratteristiche, normalmente i due difensori han-

no requisiti diversi, sia sul piano strutturale che sul piano tecnico

tattico; uno è più portato alla marcatura l´altro all´organizzazione

del reparto, in modo da miscelarsi in maniera ottimale.

IL DIFENSORE ESTERNO pur rimanendo un ruolo prevalentemen-

te difensivo, nel calcio attuale ha compiti sempre più offensivi.

Con la zona di centrocampo sempre più intasata, si può dedurre

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TECNICO-TATTICA

che l´unico reparto sempre in superiorità numerica è proprio quel-

lo difensivo ed è per questo motivo che spetterà ai difensori ini-

ziare la manovra, oppure di proporsi come passaggio di scarico ad

un compagno pressato. Oltre ad occuparsi dei giocatori esterni

avversari, coprire la fascia sia laterale che a volte centrale (dia-

gonale difensiva) dovrà avere una buona lettura del tempo di in-

serimento per arrivare al cross o al tiro in porta. Deve avere buo-

ne capacità condizionali, essere dotato di buona struttura fisica

(sul cambio gioco la statura garantisce metri di copertura). Le do-

ti tecniche del difensore esterno sono:

- Buon calcio per gestire il gioco sia corto che lungo.

- Riuscire a stoppare la palla in modo orientato, lo stop in funzio-

ne del gesto e dello scopo.

- Capacità di correre velocemente e con la palla sotto controllo.

- Riuscire ad eseguire cross sia dal fondo campo sia dalla tre-

quarti campo.

- Capacità di marcare e contrastare.

- Riuscire a leggere le traiettorie aeree.

Dal punto di vista tattico il difensore esterno deve:

- Saper marcare d´anticipo l´avversario ponendosi internamente.

- Saper stringere gli spazi verso il centro su un attacco sulla fascia

opposta, per dare copertura accorciando le distanze e nello stes-

so tempo poter intervenire nel lato debole su un eventuale cam-

bio gioco.

- Saper temporeggiare.

- Saper attaccare l´avversario in possesso palla nel momento più

opportuno, cercando l´intervento al momento dello stop.

- Accompagnare la squadra in fase offensiva.

- Attaccare gli spazi con il giusto tempo d´inserimento.

LA DIDATTICA

Ritengo che questa sia la fase che contraddistingue e dà grande

credibilità all’allenatore, penso che la progressione didattica deb-

ba procedere dal semplice al complesso e dal generale al partico-

lare. Proprio per questo motivo è opportuno inserire nel program-

ma di allenamento precampionato esercitazioni di 1>1 2>2 3>3,

che diventano la pietra miliare per l´apprendimento dei movi-

menti e dei tempi di marcamento e copertura. Nell’introdurre la

squadra alla Didattica è bene tenere presente alcuni punti:

- Far sì che il giocatore memorizzi concetti tattici e tecnici e dis-

ponga situazionalmente di essi facendo uso in ordine delle se-

guenti capacità: vedere, capire, scegliere, ed eseguire.

- L´organizzazione difensiva penso vada lavorata, per reparto,

proponendo sedute specifiche di 20´- 25´ ripetute più volte nel-

la settimana tipo, per raggiungere automatismi consolidati.

- Convincere il giocatore che solo con la massima applicazione in

allenamento potrà migliorare.

- Ottenere la massima concentrazione e la massima carica ago-

nistica.

- Cercare di preparare ed allenare tutte le situazioni possibili po-

nendosi come obiettivo un continuo e graduale miglioramento.

- Proporre inizialmente esercitazioni senza avversari allo scopo di

rendere chiari i concetti che diventeranno un caposaldo dei mo-

vimenti difensivi.

- Avere anche il supporto di materiale audio-visivo, perché se è

vera la sequenza:

ASCOLTO = DIMENTICO

VEDO = RICORDO

ESEGUO = IMPARO

sicuramente posso ottenere un vantaggio nel rivedere situazio-

ni positive e negative.

- Porsi come risultato anche il fatto che tutti i difensori abbiano le

stesse conoscenze e di conseguenza le stesse soluzioni senza

aver bisogno di un comando verbale (ci può essere) così da po-

ter anticipare anche di una frazione di secondo l´eventuale deci-

sione tattica.

LE ESERCITAZIONI

Al fine di poter organizzare la difesa in modo ottimale, la se-

quenza delle esercitazioni che analizzeremo viene ad essere svi-

luppata toccando 5 punti fondamentali:

1. Esercitazioni per l’ampiezza;

2. Esercitazioni per la diagonale e per la piramide difensi-

va;

3. Esercitazioni per il marcamento e la copertura;

4. Esercitazioni per i movimenti orizzontali della linea;

5. Esercitazioni per i movimenti verticali della linea (elasti-

co difensivo) (fuorigioco).

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1. Esercitazioni per l’ampiezza

I quattro difensori, con palla in possesso agli avversari, si de-

vono stringere (max 40 Metri) riducendo gli spazi all’interno

del reparto.

In seguito, più la palla si avvicina alla zona pericolosa, più si

devono ridurre le distanze. Elementi fondamentali per valutare

la disposizione in ampiezza della linea a 4 saranno poi la posi-

zione della palla, la posizione ed il numero degli attaccanti av-

versari.

Per questo motivo quando si affronta una squadra che schiera 2

punte centrali la linea si mantiene più stretta (copertura recipro-

ca evitando il 2>2 centrale) rispetto a quando dovrà fronteggiare

un attacco a 3 punte (punta centrale + 2 punte esterne) dove si

può guadagnare qualche metro in ampiezza.

Esercitazioni: dispongo la linea difensiva a 3/4 campo con 2 av-

versari posti esternamente davanti circa 10 metri ai difensori

esterni.

A turno l’attaccante porta palla, puntando il difensore. L’esterno

di competenza attacca la palla accompagnando l’avversario

senza intervenire; l’intero reparto difensivo scivola all’indietro,

restringendo gli spazi via via che la palla si avvicina in zona pe-

ricolosa.

Far notare alla linea di copertura l’importanza di non farsi trova-

re piatta su un eventuale cross, in modo tale di mantenere il più

a lungo possibile la linea di copertura. (fig. 1+ fig. 1 bis).

Fig. 1

Fig. 1 bis

2. Esercitazioni per la diagonale e per la piramide difensiva

Diagonale e piramide difensiva: con questi due termini si racchiu-

dono i concetti più importanti del gioco a zona.

Su palla esterna, abbiamo già visto che la difesa accorcia in zona

palla e si dispone in diagonale formando 1 linea di copertura, (che

mi permette di togliere profondità agli attacchi avversari essendo

inoltre più adatta alla tattica del fuorigioco). Su palla centrale si

formerà piramide difensiva dove è evidenziata la posizione del di-

fensore centrale rispetto alla palla, e le posizioni di copertura a 1

linea degli altri difensori. Inoltre, vista la copertura di palla sono

evidenziate le zone dei lati deboli da lasciare libere.

Esercitazioni: colloco la difesa a 4 un paio di metri oltre la lu-

netta dell’area di rigore. Sulla 3/4 dispongo quattro sagome con

casacche di colore diverso, che occupano il campo in ampiezza a

circa 10 metri una dall’altra. A questo punto chiamo liberamente

il colore delle sagome; la linea è chiamata ad attaccare veloce-

mente il colore chiamato, ponendosi secondo i casi in diagonale

o formando la piramide difensiva.

Spunti d’osservazione sono: evidenziare lato forte e lato debole,

cura della copertura, delle distanze e delle posture da assumere

(fig. 2).

Come sopra, ma al posto delle sagome colorate dispongo 4 gio-

catori con l’obbligo di fare un giro palla a 2 tocchi. Si vanno ad

osservare gli stessi concetti precedenti, e di volta in volta si ri-

chiede più intensità nell’attaccare palla (fig. 3).

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SCUOLAALLENATORITECNICO-TATTICA

Esercitazioni: stessi concetti delle precedenti esercitazioni; si in-

seriscono 3 attaccanti che possono andare a concludere in porta,

sia in maniera individuale che collettiva.

L’allenatore deve essere in grado di correggere le distanze e le va-

rie interpretazioni secondo i movimenti degli attaccanti.

4. Esercitazioni per i movimenti orizzontali della linea

I 4 difensori devono muoversi in orizzontale con i tempi giusti, an-

dando in accorciamento nei pressi della palla e mantenendo le

stesse distanze nel reparto. Importante è che i 4 difensori sappia-

no scalare.

Lo spostamento a scalare si concretizza con lo scorrimento del re-

parto che adegua la disposizione ad una sopraggiunta situazione

d’inferiorità numerica.

Proprio nel caso in cui un difensore venga saltato o sia fuori po-

sizione gli altri compagni di reparto dovranno rapportarsi alla

nuova situazione scalando, applicando il concetto che lo spazio

lasciato libero dal compagno viene coperto dallo spostamento del

giocatore vicino.

I 4 difensori fanno un giro palla sulla 3/4 campo. Al segnale il di-

fensore che ha la palla si trasforma in attaccante, gli altri devono

immediatamente adeguarsi alla situazione ricompattando il re-

parto (fig. 4).

Un attaccante in possesso palla punta il difensore esterno. Il ter-

zino accompagna l’attaccante senza intervenire e al segnale si fa

superare.

La difesa dovrà quindi scalare in funzione della palla e il terzino

superato dovrà leggere la situazione (portarsi in raddoppio di

marcatura o ricompattando il reparto difensivo in zona centrale e

diagonalmente rispetto alla palla (fig. 5).

Un giocatore sempre esternamente punta il terzino, che ha una

punta larga nella sua zona. In questo caso, è il difensore centrale

che si va ad occupare del portatore di palla con la conseguente

scalata del reparto (fig. 6).

Come sopra, ma il portatore palla consegna alla punta larga e si

propone in sovrapposizione. Il terzino non interviene sul portato-

re (compito del centrale di competenza) ma si interessa del gio-

catore che si propone senza palla (fig. 7).

3. Esercitazioni per il marcamento e la copertura

I movimenti visti fino ad ora non includevano giocatori d’at-

tacco; ritengo importante porre l’accento sul fatto che la pre-

senza di questi ultimi può determinare adattamenti nella dis-

posizione dei difensori che devono rispettare i principi del mar-

camento.

Infatti, il difensore deve essere capace di marcare e coprire allo

stesso tempo; per questo non potrà limitarsi a controllare l’avver-

sario diretto ma dovrà posizionarsi in modo da dare copertura ai

compagni più vicini in modo di poter intervenire tempestivamen-

te sulla palla nel caso in cui un compagno venga superato dal-

l’avversario (reciproca copertura).

Fig. 2

Fig. 3

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vimento a onda muovendo la linea in continuazione non neces-

sariamente per lunghi tragitti, ma mai ferma, applicando l’elasti-

co difensivo.

È proprio quest’ultimo atteggiamento, analizzato nel dettaglio e nel-

le sfumature, che possono essere il valore aggiunto della squadra.

Per elastico difensivo s’intende il movimento coordinato in

avanzamento o in arretramento che la linea compie secondo la si-

tuazione di gioco ed ha una duplice finalità:

5. Esercitazioni per i movimenti verticali della linea:

• Elastico difensivo

• Fuorigioco

La difesa, oltre a muoversi e scalare per vie orizzontali, deve an-

che sapersi muovere in verticale.

La morte della difesa è la staticità, ed è proprio per questo che il

reparto non dovrà mai farsi trovare immobile, ma sempre in mo-

Fig. 4

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 7

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SCUOLAALLENATORITECNICO-TATTICA

- Togliere profondità all’attacco avversario.

- Mantenere la squadra corta.

Per ottimizzare al meglio questo atteggiamento è indispensabile

la corretta interpretazione generale di palla coperta (c’è pressio-

ne sulla palla, l’avversario non è nelle condizioni di fare una gio-

cata verticale precisa) e palla scoperta (il possessore vede il gio-

co frontale ed ha tutta la libertà di verticalizzare). Nell’ipotesi di

palla scoperta è necessario che i difensori scivolino all’indietro;

nel caso la palla sia coperta dovrà mantenere un atteggiamento

aggressivo, accorciando verso la palla per consentire alla squadra

di rimanere corta e compatta. In tutte le varie esercitazioni pro-

poste ritengo indispensabile l’utilizzo del portiere, che così impa-

rerà anche lui a leggere le varie situazioni e di conseguenza ad al-

zarsi o ad abbassarsi all’unisono con i compagni di reparto.

Analizziamo ora in quali momenti la linea difensiva, nella nostra

metà campo, ha il tempo di avanzare e tenere la squadra corta in

situazione di palla coperta:

- l’avversario sotto pressione non ha la giocata verticale;

- su rinvio del portiere;

- su calcio liberatorio o su una respinta del difensore (far osser-

vare alla difesa che il tragitto della palla in avanti dà tempo di

avanzare e di guadagnare campo in avanti);

- quando l’avversario conduce o si libera della palla con spalle al-

la porta nella nostra metà campo;

- su un cambio gioco lungo;

- tutte le volte che l’avversario guida palla ed il piede d’appoggio

è distante dalla palla stessa.

La difesa in generale scivola all’indietro quando:

- c’è inferiorità numerica sull’attacco avversario, l’obiettivo è gua-

dagnare un tempo di gioco per permettere ai compagni di rien-

trare;

- si subisce un break e si è costretti a difendere partendo da una

posizione sbilanciata degli uomini in campo.

Situazioni tattiche che meritano una particolare attenzione sono

il taglio in profondità dell’attaccante ed il movimento incontro a

ricevere.

Nel primo caso il difensore che vede e “prende“ il taglio dovrà

compiere il movimento “prendo e mollo”, dovrà quindi in un pri-

mo momento accompagnare il marcamento della punta per poi

salire ad integrarsi con il reparto non appena l’avversario avrà su-

perato la linea ed il passaggio non sarà stato ancora eseguito, la-

sciando l’attaccante in fuorigioco.

Quando invece la punta si muove incontro alla palla, il difensore

dovrà eseguire il movimento di “seguo e lascio”; si segue l’attac-

cante per poi lasciarlo, ricompattando il reparto, nel caso questo

non riceva palla. È molto importante seguire l’attaccante che si

propone incontro alla palla, perché altrimenti la punta potrebbe

ricevere tra le linee e poi puntare la difesa frontalmente.

Esercitazioni per l’elastico difensivo

Schiero la difesa sulla 3/4 campo. Posso utilizzare i giocatori in ec-

cedenza del reparto difensivo, e li colloco sia centralmente che la-

teralmente con un pallone, a simulare gli attaccanti. Il giocatore

chiamato parte palla al piede puntando la difesa che deve indie-

treggiare (palla scoperta). Dopo circa 10 metri il portatore palla si

arresta e torna sui suoi passi per rientrare in posizione e conse-

gnare palla ad un altro compagno. La difesa accompagna la sali-

ta dell’avversario per scivolare ancora all’indietro quando questi

passa palla ad un compagno fronte porta. (fig. 8)

Ora l’attaccante guida palla (come sopra) ma dopo essersi fer-

mato esegue un passaggio all’indietro, la difesa arretra quando è

puntata frontalmente per poi salire nel tragitto del passaggio, e

successivamente riscivolare quando l’avversario rientra in posses-

so della palla (fig. 9).

Nella esercitazione successiva inseriamo 2 attaccanti che hanno

come obiettivo quello di cercare la profondità. La situazione è co-

me quella precedente ma quando l’esterno dà palla all’indietro

chi riceve mette in mezzo di prima. La difesa scivola, quando è

puntata risale ad accompagnare il tragitto della palla, infine risci-

vola al momento del cross.

Questa esercitazione prevede sempre un attaccante esterno in

possesso palla che va a puntare il terzino di zona. Due punte se-

guono lo sviluppo dell’azione durante l’attesa del cross. Quando

l’attaccante esterno all’altezza dell’area di rigore trovandosi chiu-

so rientra per crossare con il piede opposto, la difesa accompagna

la salita della palla in diagonale; considerando che con gran pro-

babilità le punte attratte dalla situazione favorevole si troveran-

no in area di rigore l’elastico difensivo mi permetterà di sfruttare

un eventuale fuorigioco (fig. 10).

La difesa resta schierata all’altezza della lunetta dell’area di rigo-

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re. Quattro bersagli stanno all’altezza della linea mediana del

campo coprendolo in ampiezza per circa 50 metri. Tre allenatori si

dispongono con i palloni: 1 centralmente a metà campo, 2 late-

ralmente ai 30 metri. A turno gli allenatori calciano la palla in di-

rezione dei difensori che respingono cercando i bersagli, e ac-

compagnano la salita palla fino a quando il bersaglio non è in

condizione di giocare palla. A questo punto i quattro scivolano al-

l’indietro, o salgono a seconda se l’avversario li punta o se si vol-

ta e guida palla all’indietro (fig. 11).

Il fuorigioco

Nella strategia generale della squadra la tattica del fuorigioco po-

trebbe essere definita come l’insieme di comportamenti che si

pongono come obiettivo la riconquista della palla, riconquista che

può avvenire in due modi specifici:

- usufruendo di un calcio di punizione indiretto;

- sottraendola agli avversari in virtù dell’applicazione del pres-

sing.

Fig. 8

Fig. 9

Fig. 10

Fig. 11

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SCUOLAALLENATORITECNICO-TATTICA

Qualora si decida di ricorrere alla tattica del fuorigioco, è assolu-

tamente indispensabile l’applicazione sincrona del pressing, salvo

che lo si voglia attuare su palla inattiva.

Per mezzo del fuorigioco individuale e della lettura spazio tem-

porale della palla (libera - coperta), la squadra potrà più facil-

mente muoversi in sincronia nella fase di non possesso, essendo

imprevedibile e “fastidiosa“ agli attaccanti avversari, perché non

sempre riescono a comprendere e interpretare il momento in cui

la squadra sale oppure arretra.

Si capisce che per far ragionare nello stesso modo ed in tempo

brevissimo più calciatori, si presuppone gran didattica semplifica-

tiva da parte dell’allenatore unita ad una grande partecipazione

ed attenzione da parte dei calciatori.

Un’ultima considerazione da fare è che con il modificare delle

norme che regolamentano il fuorigioco rimane una tattica da

sfruttare nelle seguenti situazioni:

- parità o inferiorità numerica difensiva;

- respinta in zona centrale dopo lancio o cross;

- respinta in zona centrale dopo esecuzione di calcio d’angolo;

- quando la punta, spalle alla porta, esegue un passaggio all’indietro.

Nell’attuazione del fuorigioco è indispensabile che uno dei due

centrali detti i tempi di uscita con comando verbale.

In considerazione di quest’analisi, possiamo dedurre che, la tatti-

ca del fuorigioco prevede tutte le situazioni in precedenza analiz-

zate trattando l’elastico difensivo, ma la differenza sostanziale è

che nel fuorigioco non è previsto l’arretramento, poiché la difesa

continua a salire, mentre l’elastico mi sembra più sicuro perché è

in grado di sopportare anche inserimenti del 3° uomo.

Eercitazioni per l’applicazione della tattica del fuorigioco

Il “taglio” si può definire come “azione di smarcamento eseguita

con corsa in diagonale davanti al compagno in possesso palla“.

L’applicazione della tattica del fuorigioco sul taglio può essere at-

tuata con buona certezza di riuscita se il reparto difensivo adotta

una sola linea di copertura sia nell’esecuzione della diagonale

(palla sull’esterno) che della piramide (palla in zona centrale).

Nelle fig. 12-13-14 è rappresentata una situazione “tipica“ con

palla sull’esterno, nella quale si evidenzia il comportamento dei

difensori per mettere in fuorigioco l’attaccante avversario che

esegue il taglio.

La situazione che andiamo a ricreare inizia in fig. 12 con “l’av-

versario “A” in possesso palla; al comando dell’allenatore lo stes-

so “A” trasmette palla a “B“, il quale controlla e serve il compa-

gno “C“, che stava eseguendo il taglio.

Il comportamento dei difensori è il seguente: il n° 3, nel momento in

cui “A” trasmette palla a “B”, attacca quest’ultimo (essendo una

esercitazione, lascerà spazio a “B”, affinché lo stesso possa calcia-

re); il n° 5, sullo scatto in profondità (taglio) di “C”, non fa altro che

seguirlo tenendo sempre sotto controllo la linea dell’attaccante pro-

teso in profondità (C), allo scopo di interrompere la corsa nel “mo-

mento” giusto; idealmente, l’interruzione della corsa del n°5 per

mettere in fuorigioco “C”, sempre che quest’ultimo, nel momento in

cui parte la palla dai piedi di “B”, si trovi oltre la linea difensiva.

Gli altri due difensori, n°6 e n°2, debbono cercare di rimanere in

linea con il n°5 (scivolando all’indietro insieme a lui) per poi risa-

lire tutti insieme nel momento in cui il n°5 “lascia” l’avversario

“C” per farlo “cadere” nella trappola del fuorigioco.

In fig. 13 è “fotografato “l’istante in cui il portatore di palla av-

versario “B” sta per servire in profondità “C”.

In fig. 14 è “fotografato” l’istante in cui il pallone si stacca dai

piedi di “B”. Si evidenzia che, nella esercitazione proposta, ”B”

prima controlla il pallone e poi lo mette in profondità per “C”; in

tal caso la scelta del tempo per lasciare andare oltre la linea di-

fensiva, è abbastanza comprensibile.

Fig. 12

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Facendo riferimento sempre alla situazione proposta, l’applica-

zione della tattica del fuorigioco sarebbe più complessa se “B”

giocasse palla in profondità senza prima controllarla, vale a dire

con un solo tocco. In tal caso, il n°5 e gli altri difensori n°6 e n° 2

non hanno alcun riferimento nella scelta del tempo per far “ca-

dere” in fuorigioco “C”, pertanto il n°5 accompagnerà e seguirà

l’attaccante “C”, mentre il n°6 e il n°2 si allineeranno con lui.

Un’altra esercitazione utile che permette di analizzare il compor-

tamento dei difensori nell’attuazione della tattica del fuorigioco

sul taglio è quella riportata in sequenza nelle fig. 15 - 16 - 17.

Nell’esercitazione che andiamo a proporre la palla è in zona cen-

trale, quindi la difesa si dispone formando la piramide ad una li-

nea di copertura.

L’esercitazione inizia in fig. 15 con l’avversario “C” in possesso di

palla ed i 4 difensori già schierati. Al comando dell’allenatore,

”C” trasmette palla a “B”, il quale controlla e serve in profondi-

tà il compagno “A” che sta eseguendo il taglio.

Il comportamento dei difensori sarà il seguente: il n° 5, nel momen-

to in cui “C” trasmette palla a “B”, attacca quest’ultimo (essendo

una simulazione, lascerà spazio a “B” affinché possa calciare), il n°

3, sul taglio di”A”, non farà altro che seguirlo, tenendo sempre sot-

to controllo la linea dell’attaccante “A” proteso in profondità, allo

scopo di interrompere la corsa un istante prima rispetto al passag-

gio in profondità di “B” per “A”, sempre che quest’ultimo, nel mo-

mento in cui parte la palla dai piedi di “B”, si trovi oltre la linea di-

fensiva, quindi, per quanto detto precedentemente, oltre se stesso.

Gli altri due difensori, il n° 6 e n° 2 devono farsi trovare allineati con

il n° 3 arretrando insieme con lui per poi risalire al momento op-

portuno quando si capisce che l’avversario è caduto in fuorigioco.

In fig. 16 è “fotografato“ l’istante in cui il portatore di palla av-

versario “B” sta per servire in profondità “C”; mentre in fig. 17 è

“fotografato” l’istante in cui il pallone si stacca dai piedi di “B”.

Fig. 13

Fig. 14

Fig. 15

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SCUOLAALLENATORITECNICO-TATTICA

Esercitazione per l’applicazione del fuorigioco su calcio di

punizione

In fig. 18 semplifico un’idea per l’applicazione del fuorigioco su

calcio di punizione, con palla indirizzata verticalmente verso l’a-

rea di rigore. Se si intuisce che l’avversario che sta per battere la

punizione calcerà la palla lunga in avanti, i difensori, e più in ge-

nerale i difendenti (ci possono essere anche centrocampisti o at-

taccanti) si disporranno in linea con gli avversari di turno e, dopo

essersi preventivamente accordati, nel momento in cui il giocato-

re avversario che batte la punizione fa il gesto di calciare la palla

(oscillazione della gamba), salgono verticalmente.

Facendo riferimento alla fig. 18, nel momento in cui l’avversario

“A” fa il gesto di calciare la palla, i difensori n° 2-6-5 e 3 salgono

verticalmente per mettere in fuorigioco gli attaccanti avversari.

La situazione che si determina applicando il fuorigioco nella si-

tuazione descritta, è riportata in fig. 19.

Esercitazioni varie di verifica del reparto difensivo

Dopo aver lavorato su tutti i concetti difensivi che si vogliono ve-

dere attuati, passiamo ora a addestrare la linea difensiva in si-

tuazioni di gioco, cercando di osservare e di pretendere l’aiuto

verbale del reparto in tutte le situazioni di gioco:

Fig. 18

Fig. 19

Fig. 16

Fig. 17

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Situazione di 4>4 nella metà campo

I difensori applicano i principi di restringimento dello spazio, pres-

sione, copertura e diagonale, elastico difensivo, fuorigioco ecc.

L’allenatore dà inizio al gioco consegnando palla agli attaccanti.

Se i difensori conquistano palla devono fare meta nella linea di

metà campo (fig. 20).

Situazione di 4 >6 nella metà campo

I difensori applicano i principi appresi, cercando di mantenere il

reparto il più compatto possibile, temporeggiando, stando vicini e

allenandosi in condizioni di inferiorità numerica.

Cambiando la disposizione degli avversari possiamo abituare i no-

stri difensori ad allenarsi contro diversi moduli di gioco d’attacco.

Uno degli obiettivi di quest’esercitazione è cercare di aumentare

l’autostima dei difensori, che a seconda del buon esito dell’eserci-

tazione matureranno grande consapevolezza (fig. 21 - 21 bis).

Partita a settori 4>6 / 6>4

Si gioca una partita quattro contro sei in una metà campo e sei

contro quattro nell’altra metà.

Quindi non abbiamo fatto altro che divedere le squadre in due tron-

coni, ciascuno in una metà campo (in una metà campo si difende

in inferiorità numerica, nell’altra si attacca in superiorità numerica).

Quando una linea difensiva riconquista palla la gioca nell’altra

metà campo ai suoi centrocampisti che a loro volta danno inizio

all’azione offensiva.

Rispetto alla precedente esercitazione abbiamo una maggior con-

tinuità d’azione inserendo anche la fase di transizione (passaggio

da una fase di gioco ad un’altra), e avendo a disposizione un nu-

mero maggiore di giocatori posso verificare velocemente il grado

d’apprendimento delle varie letture del gioco. (fig. 22).

Fig. 20

Fig. 21

Fig. 21 bis

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SCUOLAALLENATORITECNICO-TATTICA

Partita 6>8 calcio rugby per i difensori

Partita dove i 4 difensori, che sono aiutati dai due centrocampisti

centrali, devono difendere la porta contro otto avversari; se i di-

fendenti conquistano palla possono andare a segnare gol oltre-

passando la linea di centrocampo. (fig. 23).

CONCLUSIONI

Il calcio viene definito da sempre come “gioco situazionale“, per-

ché le variabili che lo contraddistinguono sono varie e tra esse vi

sono il tempo e lo spazio.

La buona riuscita di una azione di natura tecnico-tattica è legata

prevalentemente al tempo dell’esecuzione e allo spazio nel quale

essa avviene. Si pensi ad una chiusura, ad una marcatura, al rad-

doppio, all’anticipo, all’applicazione del pressing, dell’elastico di-

fensivo, del fuorigioco: se non vengono eseguiti nello spazio “giu-

sto”e nel tempo “giusto”, saranno sicuramente inefficaci.

Fig. 22 Fig. 23

Ecco il motivo per il quale è molto importante avere a disposizio-

ne giocatori bravi “situazionalmente”nel percepire, analizzare,

decidere ed eseguire velocemente.

Credo che una buona sequenza didattica nell’allenare le situazio-

ni di gioco diventi condizione fondamentale per la crescita di

squadra. Attraverso tali sistemi di allenamento, che fanno rivive-

re le condizioni e le problematiche domenicali, si stimolerà la

creatività e la responsabilità, si stimolerà un maggior affiatamen-

to tra gli atleti, si stimolerà la collaborazione e la cooperazione.

Grazie a tutto ciò sarà possibile formare un calciatore abile ad

usare la tecnica al servizio della tattica nelle diverse situazioni

che si presentano in gara.

Voglio concludere con un´ultima considerazione: il mio vissuto da

calciatore e da allenatore mi ha permesso di conoscere Mister Del

Neri in tre fasi diverse e successive; ho trovato un allenatore che si

è sempre migliorato, grazie alla curiosità, allo studio, all’entusia-

smo e alla passione, requisiti fondamentali per tutti noi allenatori.

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SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

l calcio viene definito un sport di squadra di situa-

zione, a carattere invasivo e ad elevato coefficiente

tecnico coordinativo, in cui il contesto tecnico è in

funzione del risultato che si vuole raggiungere.

Sport di situazione in quanto l’esecuzione del ge-

sto tecnico dipende dal contesto agonistico e dal-

l’opposizione dell’avversario. Pertanto sarà necessa-

rio adattarsi in ogni momento alla situazione tecnico-tattica ve-

nutasi a creare, cercando da un lato di mantenere elevata la pro-

pria tecnica e dall’altro di disorganizzare il più possibile la tecni-

ca dell’avversario.

Si parla di sport a carattere invasivo in quanto il calciatore

può svolgere i propri spostamenti in qualsiasi parte del terreno di

gioco, con la possibilità anche del contatto fisico.

Sport ad elevato coefficiente tecnico coordinativo poiché

utilizza prevalentemente i piedi nella esecuzione dei gesti tecnici,

con la conseguente maggiore difficoltà tecnica in considerazione

della contemporanea necessità di un controllo visivo per acquisi-

re informazioni dall’ambiente di gioco.

In tutti gli sport va presa in considerazione la capacità di pre-

stazione sportiva che si basa sulla funzionalità del sistema

neuromuscolare e di quello energetico.

Il grado di funzionalità del sistema neuromuscolare dipende

dalla coordinazione e dal controllo e regolazione dei movimenti.

Il grado di funzionalità del sistema energetico dipende dalla

capacità di trasformazione, liberazione e reintegro dell’energia

necessaria per eseguire lavoro meccanico.

Ritornando a parlare della prestazione calcistica, questa da

un punto di vista energetico può essere definita come un alter-

narsi di impegno aerobico-anaerobico.

È necessario fare una piccola digressione per aver presente che

per impegno aerobico e anaerobico si intendono i mec-

canismi energetici attraverso cui i muscoli si fabbricano l’e-

nergia di cui necessitano per lavorare. A tal fine i muscoli utiliz-

zano l’energia biochimica contenuta in una molecola, l’ATP det-

ta anche “benzina” dei muscoli. Questa molecola è compressa da

legami fisici che rompendosi producono energia (la contrazione

muscolare). Siccome l’ATP presente nell’organismo è limitata

questa non sarebbe sufficiente per portare a compimento uno

sforzo fisico, soprattutto quando questo è di elevata intensità (si

pensi che consente sforzi ad elevatissima intensità soltanto per

1”-2”). Pertanto i muscoli, durante lo sforzo, riproducono ATP uti-

lizzando l’energia che proviene da altre molecole.

Il meccanismo aerobico è caratterizzato dal fatto che l’ener-

gia per la ricostituzione dell’ATP proviene dalla combinazione

dell’ossigeno con zuccheri, grassi e in piccola parte proteine.

Il meccanismo anaerobico si caratterizza perché i muscoli per

la produzione dell’energia non utilizzano l’ossigeno e si suddivi-

I

*Allenatore di Base.

CALCIO E PRESTAZIONIdi Roberto Isacchini*

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SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

de in lattacido e in alattacido. Nel primo vi è una demolizione del-

le molecole di zucchero in assenza di ossigeno e comporta la pro-

duzione di acido lattico, dannoso per l’organismo in quanto pro-

voca fatica e diminuisce la funzione muscolare. Nel secondo la ri-

costituzione dell’ATP avviene attraverso l’utilizzazione di una mo-

lecola presente nell’organismo, la fosfocreatina, ad alto potenzia-

le energetico ma molto limitata nell’organismo.

L’utilizzo di un meccanismo energetico rispetto all’altro dipende dal

tipo di sforzo che l’organismo si trova a compiere, in considerazio-

ne del tempo che impiega per la ricostituzione dell’energia: per

sforzi a bassa intensità (attività di resistenza e lunga durata) utiliz-

za il meccanismo aerobico, per attività della durata di 1-3 minuti

utilizza il meccanismo anaerobico lattacido e per sforzi ad elevatis-

sima intensità (sprint) il meccanismo anaerobico alattacido.

Il meccanismo attraverso cui l’organismo recupera da uno sfor-

zo anaerobico viene definito debito d’ossigeno, ovvero la

quantità d’ossigeno che l’organismo utilizza per ripristinare le

riserve energetiche utilizzate attraverso la prestazione (dai

30”ai 3’-4’ per ricreare fosfocreatina e dai 10’-2h per smalti-

mento acido lattico).

Nell’ambito della prestazione calcistica l’alternanza del mecca-

nismo aerobico-anaerobico dipende dalla variabilità del gioco che

richiede impegni di diverso tipo nelle diverse situazioni. È infatti

evidente come il calciatore nell’ambito della stessa partita esegue

sia corse a bassa e media intensità che sprint, sia cambi direzio-

ne che corse di recupero, sia salti che contrasti, sia decelerazioni

che tiri in porta, ecc.ecc.

Attraverso la valutazione del comportamento del calcia-

tore in gara ed in laboratorio è possibile ottenere delle ri-

sposte statistiche (anche in riferimento alla variabile ruolo) che

consentano da un lato di individuare i vari tipi di sforzo compiuti

e conseguentemente valutare il tipi di carico di allenamento più

appropriati.

Esaminando il calciatore in gara è emerso, ad esempio, che in un

tempo di gara il calciatore esegue 37 scatti mantenendo la velo-

cità massima per 112 sec. con circa 3 sec. di lavoro massimale per

scatto (Vittori), oppure che un calciatore professionista percorre

durante una gara dagli 8 ai 10 Km. (per Saltin sono 12 Km.), di

cui 15% di velocità massima, 30% submassimale, 45% corsa len-

ta e di passo 5% corsa all’indietro (Saltin parla di 20-25% di max

velocità, 45-50% di velocità moderata e 35-25% al passo). Sinte-

tizzando si deduce che il rapporto gioco-pausa è di circa 2:1, la

maggior parte delle azioni ha una durata media di 20”-30”, rela-

tivamente molti sono gli scatti massimali di breve durata (3”), lo

spazio totale percorso alla velocità massima è di circa 1000 mt. E

il recupero non è mai completo.

Esaminando l’atleta in laboratorio si è osservato che i valori di po-

tenza aerobica oscillano tra i 55/66 ml/O2/Kg/min., vi è un buon

livello di potenza anaerobica alattacida ed elasticità muscolare

elevata, mentre gli atleti di alto livello possiedono una maggiore

forza (sia a velocità di contrazione elevate che velocità minori) ri-

spetto a quelli di basso livello.

Si è detto che attraverso la valutazione è possibile individuare il

carico di allenamento più appropriato. Innanzitutto il carico fi-

sico si definisce come l’insieme delle azioni motorie volontarie

dirette all’obiettivo della disciplina sportiva in oggetto, e si di-

stingue tra carico esterno che rappresenta l’insieme degli sti-

moli motori proposti (tipo di lavoro proposto dall’allenatore) e

carico interno, che consiste nell’insieme delle risposte agli sti-

moli esterni da parte degli apparati e dei sistemi interni di ciascun

individuo. Il ripetersi e l’interazione degli stimoli produce nel tem-

po il fenomeno dell’adattamento.

Il carico fisico è sottoposto a 5 principi che l’istruttore-allenatore

deve rispettare nella organizzazione dei carichi di allenamento. Il

primo è il principio della specificità che distingue il carico in

specifico (attività molto correlata con la gara) e generale (attività

poco correlata con la gara) ed in base al quale l’allenamento de-

ve considerare determinate caratteristiche che nella prestazione

sono significative. Il secondo è il principio della progressivi-

tà, in base al quale per avere degli stimoli il carico deve avere

una tendenza alla crescita, deve superare una soglia (meccani-

smo della supercompensazione in base al quale se l’organismo

viene sottoposto ad una serie di stimoli ravvicinati opportuna-

mente, omogenei e di entità crescente la sua risposta consiste, nel

tempo, in modificazioni sempre più stabili e consolidate creando

le premesse per un innalzamento delle sue capacità e del suo li-

vello di prestazione). Il terzo è il principio della continuità

che consente un aumento delle capacità prestative attraverso una

successione costante degli allenamenti. Vi è poi il principio del-

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l’alternanza in base al quale dopo uno stress sia ha sempre bi-

sogno di recupero, da intendersi sia all’interno della seduta di la-

voro che nell’ambito di una programmazione a medio-lungo ter-

mine. Il recupero è condizionato da una serie di variabili quali il

tipo di lavoro proposto, le funzioni organiche chiamate in causa,

le caratteristiche dello sport praticato, il livello di qualificazione

dell’atleta (grado di allenamento). Vi è infine l’ultimo principio,

quello della individualizzazione in base al quale bisogna tener

conto della capacità psicofisica di carico, della capacità di accet-

tarli e dei speciali bisogni dell’atleta.

Il carico fisico può essere valutato sulla base di tre parametri: la

quantità che rappresenta il valore numerico dato dalla somma

di elementi omogenei (Km. percorsi, Kg. sollevati ecc. ecc.); l’in-

tensità che rappresenta il valore del singolo stimolo motorio (es.

velocità con cui percorro una determinata misura); la densità

che rappresenta il rapporto tra tempo di lavoro e tempo di recu-

pero (più il rapporto è inferiore a uno e più stiamo eseguendo un

lavoro di qualità).

Diverse sono le componenti che costituiscono la prestazione

del calciatore: innanzitutto devono essere valutate le compo-

nenti genetiche e i fattori morfologici funzionali, ovvero i

requisiti primari quali fattori ereditari, strutture biologiche ecc.;

vengono poi in considerazione le componenti percettivo-sen-

soriali, legate alle informazioni provenienti dall’ambiente di gio-

co (estremamente variabile), e quelle tecnico-coordinative

che dipendono dalla strutturazione delle abilità tecniche paralle-

lamente allo sviluppo delle capacità coordinative; vi sono poi le

componenti condizionali che dovranno essere indirizzate alla

costruzione di un adeguato sostegno metabolico di tipo orga-

nico funzionale; sulla prestazione del calciatore incidono infine le

componenti tattiche, psicologiche e sociali, che l’istruttore-

allenatore deve tener presente per favorire con precocità lo svi-

luppo del “pensiero tattico” (creando nel giocatore i presupposti

decisionali necessari), per instaurare un clima psicologico che ge-

neri le giuste motivazioni alla prestazione e per ampliare le op-

portunità di interazione sociale. (da S. D’Ottavio - “La prestazio-

ne del giovane calciatore” – 2000 Società Stampa Sportiva)

È necessario che l’istruttore-allenatore conosca tali componenti

nel selezionare i mezzi da utilizzare nei processi di formazione e

sviluppo del calciatore.

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SCUOLAALLENATORITECNICA E TATTICA DEL PORTIERE

l fine di allenare alcune capacità specifiche tecnico-

tattiche in portieri evoluti si propongono alcune

esercitazioni per il miglioramento delle seguenti

specificità:

- posizionamento e copertura della porta con la giu-

sta bisettrice

- presa nei vari modi

- deviazioni e respinte (con mano omologa e cambio mano)

- corretta battuta (destra, sinistra) negli stacchi su parabole alte

- lanci e rilanci di mano e di piede (attacco del portiere)

- stacchi con tuffo (deviazione) con handicap (filo teso).

Queste esercitazioni possono essere modificate in alcuni dettagli

senza però stravolgerne l’obiettivo. Si consiglia di effettuare po-

che ripetizioni per ogni esercizio puntando più sulla qualità che

sulla quantità.

Queste esercitazioni sono state riprese dal libro “Il portiere mo-

derno”, testo adottato dalla Scuola Allenatori del Settore Tecnico

Federale di Coverciano per le lezioni sulla tecnica del portiere.

Esercitazioni per corretta posizione sulla porta (bisettrice)

A

*Docente Corsi Allenatori.

ESERCITAZIONI PER PORTIERIdi Massimo Cacciatori*

Fig. 1/a - L’attaccante guidando palla (o con palla in mano) si spo-sta lateralmente e calcia. Il portiere segue costantemente il pallo-ne cercando di mantenere la bisettrice giusta.

Fig. 2/a - Serie di palloni all’esterno della lunetta dell’area di ri-gore. Si chiamano in successione (anche in modo sfasato) i cal-ciatori al tiro. Il portiere interviene cambiando sempre posizione.

Fig. 4/a - Tre calciatori partono contemporaneamente da posizionidiverse guidando palla. Effettuerà il tiro solo il numero chiamatodal tecnico. Il portiere cambierà, quindi, rapidamente posizione.

Fig. 3/a - L’attaccante corre verso tre palloni; all’ultimo momentodecide, chiamando un numero (1, 2 o 3), di calciare il pallone cor-rispondente. Il portiere si posiziona di conseguenza.

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Esercitazioni per la presa (nei vari modi)

Esercitazioni per deviazioni e respinte

Fig. 1/b - Afferrare palline da tennis (con la mano destra e con lasinistra) lanciate con parabole e forze diverse.

Fig. 2/b - Alternare prese con un pallone normale a quelle con unpallone medicinale (peso massimo 3 kg).

Fig. 1/c - Deviazione con mano omologa alla traiettoria del pallo-ne. Lanciare il pallone con le mani o calciarlo. Il portiere partefrontalmente e di spalle all’allenatore.

Fig. 3/b - Cercare sempre la presa, anche su tiri violenti e ravvici-nati, partendo da posizioni varie (in piedi, seduti, distesi sul fian-co, in ginocchio).

Fig. 2/c - L’allenatore, a 6-7 metri in diagonale sul palo, lancia ilpallone verso l’angolo alto. Il portiere, partendo dal centro dellaporta, va a deviare in volo alternando mano di deviazione.

Fig. 4/b - Porre più corpo possibile dietro la palla nelle prese contraiettoria della palla stessa rasoterra o bassa.

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SCUOLAALLENATORITECNICA E TATTICA DEL PORTIERE

Fig. 3/c - Serie di palloni dai 10-12 metri. Sequenza di tiri (discre-tamente violenti). Il portiere in tuffo devia il pallone. Per una cor-retta esecuzione dell’esercizio, alla fine i palloni dovrebbero esse-re tutti posizionati nella zona esterna ai pali.

Fig. 6/c - Con l’opposizione di 3-4 avversari, il portiere respinge(con 1 o 2 pugni) il pallone che arriva con parabole laterali e fron-tali.

Fig. 4/c - Portiere a 7-8 metri dalla linea di porta. L’allenatore lan-cia il pallone con parabola alta e il portiere, con corsa e stacco aritroso, devia oltre la traversa (normalmente ciò avviene con cam-bio mano). La partenza può avvenire in vari modi (in piedi, sedu-ti, proni, supini).

Fig. 5/c - Da distanza ravvicinata si calcia il pallone con violenzain prossimità del portiere, che deve respingere come può.

Fig. 1/d - Parabole dall’esterno e da posizione centrale. Con l’op-posizione di avversari, cercare la presa o, in alternativa, respinge-re. Staccare con la gamba omologa alla provenienza del pallonese si cerca la presa, con la gamba opposta se si sceglie di respin-gere.

Fig. 2/d - Anticipare la caduta del pallone su parabole alte e lun-ghe, consentendo massimo un rimbalzo. Andare in chiusura sulpallone anche con tuffi.

Esercitazioni per la battuta negli stacchi su parabole alte

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Fig. 1/e - Effettuato l’intervento in presa, il portiere normalmenterilancia con le mani in un settore opposto alla direzione di prove-nienza della palla.

Fig. 2/e - Effettuato l’intervento in presa, il portiere normalmenterilancia con i piedi in un settore opposto alla direzione di prove-nienza della palla.

Fig. 1/f - Eserctazione con filo perpendicolare al centro della por-ta

Fig. 2/f - Esercitazione con filo (h 40-50 cm) dal palo a 45° versoil centro dell’area di porta. Il portiere parte dal centro della porta,tocca un pallone posto di fronte a 4-5 mt e rapidamente scatta aritroso per intervenire sul pallone lanciato verso l’angolo alto sal-tando il filo.

Esercitazioni per lanci e rilanci (mani e piedi) Esercitazioni per il tuffo con meno rincorsa possibile

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SCUOLAALLENATORI

ra il 1985 e durante il Corso biennale di specializza-

zione sul calcio organizzato dalla F.I.G.C. e

dall’I.S.E.F. de L’Aquila un valente professore di nome

Nicola Comucci esordì in questo modo: “Nella dia-

lettica degli opposti avviene la sintesi del concreto”.

Pioniere della scienza e della metodologia e teoria

dell’allenamento calcistico, ha nutrito per decenni

le generazioni di “imberbi” cultori del calcio che attraverso i

suoi insegnamenti hanno scritto pagine di storia memorabile

nel firmamento calcistico nazionale. Anche noi come la maggior

parte degli attuali allenatori di grido, eravamo dei giovani di

grandi speranze e nobili ideali: Stefano D’Ottavio, Otello Cata-

nia, Gennaro Testa, Tonino Di Musciano , Rudy Bressanini, Pao-

lo Pierangeli, Ivan Nonni, Mauro Tossani ed altri compagni di

ventura che, diversamente da noi, hanno successivamente intra-

preso strade diverse.

Questo altero e “nobile signore” nel tempio di Coverciano affa-

scinava noi e tutta la nostra generazione sulle nuove frontiere del

calcio. Nel calcio le verità assolute non esistono, ed era essenzial-

mente questo il concetto che il Professore voleva inculcare nelle

nostre giovani menti a volte troppo integraliste, a volte troppo ti-

morose del nuovo, a volte innovative e piene di esuberanza dia-

lettica. Il Professore, e mai troppo questo appellativo fu così

straordinariamente efficace nell’identificare una grande persona-

lità, ha segnato la cultura di quasi mezzo secolo di scienza del cal-

cio. I suoi trattati e i suoi testi sono ancora attuali, come quel suo

esordio, quell’affermare che nel calcio come nella vita non dob-

biamo essere assolutisti ma aperti al nuovo e alla perfetta co-

esione tra idee solo apparentemente contrastanti. Solo nella giu-

sta sintesi possiamo raggiungere o avvicinarci al vero, a quel par-

ticolare “nirvana” didattico/metodologico che chi lavora nel cal-

cio tenta quotidianamente di raggiungere.

Il gioco del calcio, essendo una sport di situazione, annovera nel

suo DNA fasi di gioco tra loro agli antipodi, non facilmente stan-

dardizzabili e riconducibili ad un modello rigido. Il calciatore stes-

so ha nel suo patrimonio fisico caratteristiche che lo avvicinano

allo sprinter, come in taluni momenti del gioco può somigliare ad

un atleta di resistenza, e queste qualità tra loro sono contrastan-

ti per antonomasia.

Tra gli stessi cultori e studiosi della preparazione fisica ottimi ri-

sultati hanno raggiunto chi faceva del lavoro aerobico il proprio

credo e viceversa lo stesso hanno ottenuto chi privilegiava nel-

l’allenamento una attività con caratteristiche maggiormente

orientate verso la velocità.

Questa dicotomia o conflittualità che nella prestazione fisica si

osserva nell’alternanza - durante la gara - tra impegni ad alta in-

tensità ed altri di minore intensità, e nei metodi di lavoro scelti tra

sollecitazioni prevalentemente di natura anaerobica ad altri di na-

tura aerobica, può essere ricondotto all’ambito didattico e meto-

dologico, nel conflitto che esiste tra i metodi di insegnamento.

Esistono fondamentalmente due modi di concepire l’insegna-

mento e la formazione calcistica: uno che si basa sulla centrali-

tà dell’istruttore, l’altro che vede protagonista l’allievo. Conse-

guentemente l’approccio metodologico si esprime attraverso

una direzionalità di tipo deduttivo da una parte e di tipo indut-

tivo dall’altra.

Nel corso degli ultimi decenni un radicale cambiamento sociale

ha investito la nostra società, il marcato sviluppo tecnologico ha

determinato una modifica delle nostre abitudini, la necessità di

movimento e di gioco ha trovato in molti giovanissimi la sua sod-

disfazione nel mondo virtuale. Al tempo stesso la continua urba-

nizzazione ha contribuito soprattutto nei grandi centri a limitare

gli spazi e gli ambienti da dedicare al gioco favorendo l’ipocinesi

e il sedentarismo.

Il continuo calo demografico ha determinato un impoverimento

E

*Allenatore di Base - Preparatore Atletico.

LA PRIMA REGOLA È IL GIOCOdi Sergio Roticiani*

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della quota sportiva giovanile; spazi che una volta erano notoria-

mente occupati dai bambini, come i parchi, gli oratori, i cortili so-

no desolatamente vuoti. I bambini per poter giocare a calcio de-

vono fare riferimento ai club, dove hanno la possibilità di giocare

a calcio con i propri coetanei.

La scuola agenzia educativa che tra l’altro dovrebbe fornire servi-

zi nell’ambito di una adeguata formazione motoria, risulta impre-

parata, povera di stimoli e incerta nelle proposte educative. Il de-

ficit motorio e sportivo, che si viene a creare nei nostri giovani,

viene colmato dalle scuole calcio con una proposta di attività

agonistica offerta ad un elevato numero di bambini.

Esaltiamo nell’insegnamento la componente tecnicistica, svilendo

la componente ludica, convinti che solo attraverso una procedu-

ra gerarchicamente rigida, che parte dalla conoscenza del fonda-

mentale per arrivare successivamente alla sua applicazione nella

situazione, possa realizzarsi la formazione del calciatore.

Riteniamo che l’insegnamento dell’azione tecnica debba avveni-

re in un contesto che solleciti integralmente le componenti pre-

senti nel gioco; la corretta esecuzione si deve realizzare in ma-

niera funzionale (D’Ottavio), coinvolgendo sia la componente psi-

chica e che quella fisica.

Il mero addestramento, la convinzione che una procedura didat-

tica in serie (prima il gesto e poi l’utilizzo dello stesso in situa-

zione) possa essere la soluzione nella formazione calcistica, ri-

sulta attualmente inadeguata. L’insegnamento dell’azione tecni-

ca non può prescindere da una sua collocazione in un contesto

dinamico, flessibile e aperto; la parcellizzazione e l’analisi dell’a-

zione, il soffermarsi sull’esecuzione del fondamentale, assume ri-

levanza nell’insegnamento come momento iniziale di presa di

coscienza del gesto e successivamente di perfezionamento dello

stesso, comunque da ricondurre immediatamente in un contesto

situazionale.

“La dinamica del gioco non permette azioni prestabilite che il gio-

catore può riprodurre esattamente in quanto tutte le azioni di gio-

co sono azioni discrezionali da risolvere a seconda delle situazio-

ni. In sintesi le varie sequenze di gioco esprimono la capacità del

giocatore di percepire, decidere, eseguire, interpretare trattenen-

do e interagendo tramite operazioni di memoria” (D’Ottavio).

L’utilizzo prevalente di giochi situazionali, lo ribadiamo, si rende

necessario per due motivi fondamentali, espressi precedentemen-

Foto di gruppo del Corso biennale di specializzazione sul calcio del 1985.

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SCUOLAALLENATORI

te: il bambino vuole giocare e misurarsi con gli altri, se non si di-

verte abbandona lo sport e cerca il soddisfacimento ai propri bi-

sogni in contesti diversi (uno è il mondo virtuale); il calcio è un

gioco, dove l’elemento tecnico è uno strumento essenziale per ri-

solvere problemi, piccoli o grandi che siano, legati alla situazione

di gioco.

È vero, tristemente potremmo dire, ma il calcio oggi esprime una

qualità tecnica più povera rispetto a qualche decennio fa. Senza

inoltrarci in disquisizioni di natura fisico-atletica, ovvero il gioco

più veloce non permette l’estrinsecarsi di una espressione tecnica

esteticamente apprezzabile, nel calcio moderno sembra esserci

meno spazio per le giocate imprevedibili e fantasiose.

Pochi sono i giocatori di “alta qualità”, merce rara da acquista-

re prevalentemente nei “bazar sudamericani” dove ancora pre-

vale un calcio più ruspante e genuino costruito nelle favelas e

nelle spiagge assolate, o addirittura nelle strade e nei cortili do-

ve partite interminabili provocano una germinazione spontanea

di talenti.

I nostri giovani privati di un calcio spontaneo, di tempi di matu-

razione adatti ai loro ritmi di sviluppo, vengono spesso soffocati,

durante la loro formazione tecnica, da elucubrazioni cervellotiche

che confinano “il gioco più

bello del mondo” a una parti-

ta di scacchi, dove i tatticismi

esasperati e lo schema sono

l’unico itinerario percorribile

per soddisfare la fame di vit-

torie. Ha ragione Ottavio

Bianchi quando affermava

che i nostri azzurrini non ri-

dono più, sono tristi e preoc-

cupati di ripetere a memoria

il compitino tattico assegnato

loro. Vincere una partita già a

livello di tredicenni, è diven-

tato talmente importante che

si rischia persino l’esonero

per una partita persa.

Esiste un’equazione, che si ri-

ferisce al poco tempo reso

disponibile per giocare a calcio e la minore qualità tecnica che le

nostre giovani generazioni esprimono. Il migliore apprendimento

avviene per imitazione e per prove ed errori, attraverso la speri-

mentazione dei propri comportamenti tecnici in un contesto di

gioco e di confronto.

La gioia di riuscire, la consapevolezza che un errore non verrà giu-

dicato negativamente ma verrà visto come indispensabile anello

per arrivare al gesto più corretto e più efficace rappresentano mo-

menti essenziali nella formazione calcistica giovanile.

Alle nostre giovani generazioni manca la gioia di provare senza

essere giudicati, di entusiasmarsi per una giocata ad effetto. Può

apparire un processo irreversibile questo impoverimento tecnico

delle nostre generazioni calcistiche, e lo diverrà sicuramente se

non si disporrà un piano di recupero e valorizzazione degli spazi

di gioco libero.

Ritornando al nostro Professore, il suo buon senso didattico ci

suggerirebbe che solo attraverso un procedura metodologica mi-

sta, che va dal globale all’analitico, dall’induttivo al deduttivo, dal

palleggio all’uno contro uno, dal rimprovero all’elogio si può tro-

vare la sintesi e una soluzione alla corretta formazione dell’uomo

calciatore.

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SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

li assistenti arbitrali sono i principali collaboratori

dell’arbitro durante una partita di calcio con il qua-

le cooperano per permettere un regolare svolgimen-

to del gioco.

È ormai assodato la loro fondamentale collabora-

zione tecnica per l’individualizzazione del fuorigio-

co, rimesse laterali, calci d’angolo, falli di gioco com-

messi in prossimità delle fasce laterali e di altre valutazioni che

segnalate da una prospettiva possono risultare sicuramente di-

verse e migliori di quelle dell’arbitro.

Ogni assistente svolge la propria funzione in una metà campo,

quello che si trova nella parte dove sono dislocate le panchine è

definito Assistente n° 1; conseguentemente quello che opera nel-

la metà campo opposta è definito Assistente n° 2.

L’assistente quindi agendo su distanze di 50m troverà la palla

sempre tra lui e l’arbitro durante lo svolgimento del gioco.

I suoi interventi tecnici si esplicano attraverso segnali che in base

alle varie posizioni della bandierina assumono significati diversi.

Tra i fondamentali tecnico-tattici che adopera il più significativo è

sicuramente quello di posizionarsi sempre in linea con il penulti-

mo difensore, poiché gli permetterà di identificare al meglio una

eventuale posizione di fuorigioco.

OBIETTIVI DELLA VALUTAZIONE

Gli spostamenti dell’assistente sono rapidi, caratterizzati da acce-

lerazioni improvvisi atte a seguire lo svolgimento del gioco sem-

pre più veloce e conseguentemente al mantenimento del giusto

allineamento con il penultimo difensore.

Nell’arco della partita si registrano diversi lavori con intensità e

distanze che variano a secondo dell’andamento della partita.

L’intento dell’indagine, vista la continuità con cui si susseguono que-

sti spostamenti, è di verificare con attenzione l’impegno organico.

Attraverso l’utilizzo di Polar S 610 applicati durante partite uffi-

ciali di campionato di Serie A nella Stagione sportiva 2003-2004,

si è osservato l’andamento della frequenza cardiaca .

Gli assistenti monitorati susseguentemente sono stati sottoposti

a un test massimale per la valutazione della FC max.

La distribuzione delle relative frequenze monitorate insieme ai ri-

ferimenti individuali hanno permesso di identificare delle fasce di

intensità diverse di lavoro.

Per informazione nelle stesse partite anche gli arbitri sono stati

monitorati facendo riscontrare delle intensità di lavoro diverse

(Notiziario Tecnico n°2 2004).

RISULTATI DELL’ANALISI.

Il grafico n° 1 rappresenta il tracciato della frequenza cardiaca di

un assistente durante la partita che messo a confronto con quel-

lo dell’arbitro (grafico n°2) nella stessa partita, dimostra sostan-

ziali differenze.

GARBITRI E FREQUENZA CARDIACAdi Marco Lucarelli*

*Allenatore 2a cat. - Preparatore atletico professionista c/o CAN.

2502252001751501251007550250

FC/bpm

Tempo: 0.00.000.00.00 0.30.00 1.00.00 1.30.00 2.00.00

2502252001751501251007550250

FC/bpm

Tempo: 0.00.000.00.00 0.30.00 1.00.00 1.30.00 2.00.00

grafico n°1

grafico n°2

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SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

La media della FC registrata nel corso delle 5 partite (10 assistenti

monitorati) è di 75 % e 74% della Max rispettivamente nel 1°

tempo e nel 2° tempo, con un tempo medio a queste intensità di

10 min. nella prima frazione di gara e 11 min. nella seconda, quin-

di non si riscontrano differenze sostanziali tra il 1° e 2° tempo di

gioco (grafico n°3).

Da questa prima approssimata stima sicuramente l’impegno del

sistema aerobico non è da considerarsi ad alta intensità.

Se si osserva la media dei minuti notiamo come la distribuzione

delle percentuali di intensità variano tra il 1° e 2° tempo.

Si nota inoltre che frequenze ad alta intensità (85%-90%) e quel-

le a media intensità (75%-80%), durante la gara, sono persegui-

te per un tempo medio relativamente più alte nella seconda fra-

zione di gioco (grafico n°4).

Nel computo di una partita le intensità cambiano a secondo del-

l’andamento delle gare, infatti prendendo in considerazione la

grafico n°3

distribuzione della frequenza cardiaca media rilevata per un tem-

po maggiore ogni quarto di gioco (15’), si denota come i primi 30’

minuti del primo tempo segnalano, in assoluto, FC cardiache più

alte rispetto ai primi 30’ del secondo tempo.

Negli ultimi 15’ del primo tempo si registrano FC più basse ri-

spetto a quelle del secondo tempo e in assoluto, intensità di la-

voro più basse rispetto a tutto l’arco della gara (grafico n°5).

Questo andamento è conseguente ad un atteggiamento tattico

in cui le squadre non si affrontano “a tutto campo”, ma si schie-

rano più accorte nella propria metà campo con conseguenti spo-

stamenti dell’assistente su un asse del campo in cui le distanze

da ricoprire ad intensità alte diminuiscono e aumentano i tempi

di recupero.

CONFRONTO TRA GLI ASSISTENTI N°1 E N°2 E DATI STATISTICI

Lo sviluppo di una partita determina per i due assistenti un adat-

tamento diverso e un impegno organico muscolare specifico che

viene influenzato dall’atteggiamento tattico delle 2 squadre a

confronto.

Infatti le due compagini porteranno pressione in posizione del

campo a seconda se c’è da difendere un risultato positivo o ribal-

tare un risultato negativo.

Se consideriamo alcune statistiche scaturite dall’analisi di 20 par-

tite di serie A emergono dei dati che per gli assistenti assumono

un valore tecnico importante (dati statistici concessi dalla SICS).

La lettura di questi dati permette agli assistenti di riconoscere si-

tuazioni di gara che si potrebbero verificare e soprattutto cono-

grafico n°5

grafico n°4

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scere lo sviluppo tattico e la tipologia di gioco che le squadre

esprimono.

Le squadre che effettuano per esempio più passaggi effettuano

mediamente più passaggi corti (r2= 0.96) , chi fa più passaggi ef-

fettua un maggiore numero di cross (r2=0.64) .

Se mettessimo a confronto il numero dei cross fatti e il numero

dei falli subiti vedremmo che esiste una discreta correlazione

r2=0.42.

La prima osservazione da fare è che squadre in possesso di qua-

lità tecniche importanti esprimeranno un gioco fatto di passaggi

corti e veloci e sfrutteranno il campo in tutta la sua ampiezza, per

cui durante il match l’assistente dovrà fare particolare attenzione

a mantenere ancor più elevata la concentrazione nella rispettiva

posizione di competenza con squadre che posseggono tali requi-

siti tecnico-tattici.

Un altro parametro da considerare è la correlazione relativa tra il

numero dei passaggi totali e lanci lunghi riusciti (cioè la squadra

che lancia conquista campo mantenendo il possesso palla) è di

r2= 0,40.

Si osserva inoltre che la squadra che effettua più intercettazioni

(intesa come la conquista della palla sulla traettoria di passaggio

tra chi passa e chi riceve) effettua anche più passaggi negativi

(r2=0,51).

Questi elementi lasciano dedurre che la soluzione tattica che

spesso si adotta è di conquistare spazio in verticale con palloni

lunghi e soprattutto ripartenze immediate dopo la riconquista

della palla con percentuale di errore alta.

L’assistente dovrà rispondere con repentini movimenti per man-

tenere l’allineamento. È altresì importante sottolineare che gli im-

pegni si differenziano a secondo se le azioni offensive di una

squadra prevalgono sull’altra costringendola ad un atteggiamen-

to più difensivo nella propria metà campo, così da sviluppare una

densità di interventi su una corsia esterna predominante rispetto

all’altra.

In aggiunta a queste considerazioni di carattere tecnico- tattiche,

il monitoraggio della Frequenza Cardiaca esprime un’intensità

che riflette l’andamento della gara che nel caso dei due assisten-

ti è da considerare differente.

Le medie delle FC più alte per tempo di permanenza espresse in

% rispetto alla FC Max. Individuale sono relativamente differenti

per i due assistenti.

Nel primo tempo non si registrano praticamente differenze, men-

tre nel secondo tempo si registrano FC più alte per l’assistente n°

2 (grafico n°6).

grafico n°6

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SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

CONCLUSIONI

Il monitoraggio della frequenza cardiaca dell’assistente arbitro

durante partite ufficiali di calcio appartenenti alla massima serie,

evidenzia innanzitutto una sostanziale differenza prestativa con

l’impegno dell’arbitro impegnato nella stessa gara. La prestazio-

ne dell’assistente si attesta su valori di media intensità aerobica.

La prestazione caratterizzata da andature diverse con sposta-

menti rapidi, accelerazioni e decelerazioni improvvise permette di

recuperare a sufficienza tra un impegno e l’altro.

La capacità di esprimere gesti esplosivi e la capacità di ripetere

azioni di sprint sono gli elementi principali da perseguire durante

le sedute di allenamento. La differente intensità prestativa che si

denota tra l’assistente n° 1 e l’assistente n° 2 è da attribuire prin-

cipalmente all’andamento della gara e dalla disposizione tattica

assunta in campo dalle due squadre che nel caso particolare del-

le partite prese in esame in questa analisi dimostrano intensità

relativamente più alte per l’assistente n° 2.

Se osserviamo l’andamento della frequenza ogni 15 minuti, os-

serviamo che nel primo tempo l’assistente n°1 fa registrare nei

primi 15’ frequenze più alte, mentre negli ultimi 15’ sono le più

basse. Per l’assistente n°2 andamento è leggermente diverso con

una diminuzione per quanto riguarda l’ultima frazione di gioco

(grafico n°7).

Ciò fa pensare che nei primi 15’ le squadre si affrontano con con-

tinuità su spazi maggiori, mentre negli ultimi 15’ le squadre si

schierano con attenzioni maggiori, ma diminuendo lo spazio di

gioco ad intensità elevate.

Nel secondo tempo l’andamento della frequenza dell’assistente

n° 1 è simile a quella del primo tempo, mentre per il n° 2 gli ulti-

mi 15’ tende a risalire rispetto alla frazione intermedia (15’-30’)

(grafico n° 8).

L’analisi dimostra che l’impegno è maggiore nel 2 tempo per l’as-

sistente n° 2, probabilmente perché lo sviluppo del gioco media-

mente si è sviluppato, nelle partite esaminate, con più continuità

nella metà campo dell’assistente di competenza.

grafico n°8

grafico n°7

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CENTRO STUDI E RICERCHECALCIO INTERNAZIONALE

’ultimo è stato Ronaldo che, con i suoi 8 gol, è en-

trato nel leggendario gruppo dei maggiori realizza-

tori di tutte le edizioni dei Mondiali, aiutando se

stesso (cosa non trascurabile) a diventare campione

del mondo. Un’accoppiata che lo mette accanto ad

altri suoi colleghi di varie epoche, come si può sco-

prire scorrendo questa storia di “perle nere”, “bom-

bardieri”, “testine d’oro” e altri, nella quale figurano, insieme a

veri prodigi, calciatori non proprio straordinari o tanto celebri, ol-

tre che meno fortunati.

URUGUAY 1930: GUILLERMO STABILE (ARGENTINA), 8 GOL

Primo attaccante a realizzare una tripletta nella Coppa del Mon-

do. Una gioia, però, non senza dispiacere perché la sua Argentina

perse la finale con l’Uruguay, paese organizzatore, per 2 a 4. Na-

to nel 1906 a Buenos Aires da padre italiano e madre argentina,

debuttò nell’Huracan diventando quasi subito “el filtrador” per

l’abilità con cui riusciva a sgusciare fra le difese avversarie. Già in

nazionale a vent’anni, ma non titolare nella partita d’esordio del

Mondiale, dove fu schierato Roberto Eugenio Chierro. Stabile en-

trò al suo posto nella seconda gara e fu immediatamente strepi-

toso: tre gol al Messico nei primi 20 minuti. Poi altri due al Cile

nel primo quarto d’ora. Altri due contro gli Stati Uniti. Nella fina-

le (affrontata dagli argentini come una “santa crociata”) Stabile

segnò il gol del vantaggio ma fallì maldestramente quello che

avrebbe potuto cambiare l’esito dell’incontro: “Vincevamo due a

uno e verso la fine del primo tempo ebbi tra i piedi la palla del

terzo gol ma la sbagliai in modo incredibile: ci scivolai sopra, a

pochi passi da Ballestreros. Negli spogliatoi, poi, i nostri avversa-

ri ritrovarono sicurezza e giocando piuttosto rudemente ci scon-

fissero…”. Pochi mesi dopo la fine del torneo Stabile fu ingag-

giato dal Genoa (duecentomila lire di ingaggio, il prezzo di otto

autocarri Citroen, e mille lire al mese) diventando uno dei rari su-

damericani a giocare in Europa. Sbarcò un venerdì dal “Conte ros-

so” e due giorni dopo debuttò in campionato segnando tre gol al

Bologna, rivale storico dei liguri. La domenica successiva non toc-

cò palla, il Genoa fu travolto 5-0 dalla Lazio. Poi un grave infor-

tunio, due anni di sosta, il trasferimento al Napoli, solo tre gol in

venti partite, ancora Genoa, una partita e un gol, infine l’addio a

Parigi, nelle file del Red Star. Dal 1941 al 1958 fu allenatore della

nazionale argentina, senza però gloria pur lanciando il famoso

trio degli angeli dalla faccia sporca Maschio – Angelillo – Sivori.

È morto d’infarto a 60 anni dopo aver fatto anche il telecronista

e aver interpretato un film sul calcio. Era intitolato “La pelota de

trapa”, la palla di stracci.

ITALIA 1934: OLDRICH NEJEDLY (CECOSLOVACCHIA), EDMUND

CONEN (GERMANIA), ANGELO SCHIAVIO (ITALIA), 4 GOL

È la sola edizione

della Coppa del

Mondo in cui tre

giocatori hanno

fatto più gol realiz-

zando ciascuno

una tripletta. Il

maggior protago-

nista è stato però

Schiavio, non solo

perché autore di

242 gol in 374

partite di campio-

nato (resta il mi-

glior realizzatore

del Bologna), ma anche perché mise a segno nei tempi supple-

mentari della finale contro la Cecoslovacchia (2-1) il gol decisivo

per la vittoria dell’Italia. Nato a Bologna nel 1905, diventato cal-

LBOMBER MONDIALI di Marco Viani*

*Collaboratore del Settore Tecnico F.I.G.C.

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CENTRO STUDI E RICERCHECALCIO INTERNAZIONALE

ciatore quasi per caso in una famiglia di nobili origini (Schiavio

Stoppani) e di agiati commerci nel ramo tessile, Angelino (“Anzo-

len” per i tifosi bolognesi) divenne il centravanti simbolo e l’ido-

lo dello “squadrone che tremare il mondo fa” vincendo quattro

scudetti a lunghi intervalli, dal 1925 al 1937. In nazionale ha se-

gnato 15 gol: il quindicesimo è quello che dette all’Italia il titolo

mondiale. Quella della finale contro la Cecoslovacchia era anche

la sua ventunesima partita. L’ultima. Così racconta quel giorno:

“Avevo 29 anni e cominciavo ad accusare la fatica. Nei tempi sup-

plementari dissi a Pozzo che non ce la facevo più e chiesi di gio-

care all’ala destra”. Da lì partì “con la residua energia che anco-

ra avevo nelle gambe” per il tiro della vittoria. Dopo, dissero,

svenne per l’emozione, “macché, ero sfinito”. Si ritirò dal calcio a

32 anni . Aveva esordito quando la serie A si chiamava Divisione

nazionale, appena diciassettenne. È morto d’infarto a 85 anni.

Nato nel 1909 a Rakovnik, centravanti dello Sparta Praga che lo

aveva acquistato giovanissimo per 200.000 corone, Oldrich Ne-

jedly debuttò in prima divisione segnando cinque gol. Da allora

giocò con la maglia rossa del club ceco più di 400 gare realizzan-

do 391 gol, cifra record, vincendo quattro scudetti. Grande op-

portunista, goleador istintivo ma anche capace di assist straordi-

nari, per Meazza era “un fuoriclasse in grado di interpretare qual-

siasi ruolo di attacco”. Giocò da dilettante fino al 1951 nella

squadra della città natale, a pochi chilometri da Praga. Morì alla

vigilia di “Italia 90”, cinquantasei anni e un giorno dopo la fina-

le di quella Coppa Rimet di cui era stato capocannoniere. Anche

Conen è deceduto.

FRANCIA 1938: LEONIDAS (BRASILE), 8 GOL

Fece sensazione giocando una parte delle gare a piedi nudi ed an-

che perché il suo passaggio, nel 1939, dal Flamenco al Sau Paulo

per 200 mila cruzeiros fu il primo trasferimento nella storia del

calcio brasiliano. Chiamato il “Diamante Nero”, ma anche “hom-

men de boracha”, “demone del pallone”, “il cannoniere sorri-

dente”, fu considerato il miglior attaccante tra le due guerre e nel

suo paese ed è ritenuto il più grande attaccante prima di Pelé. Lo

si ricorda anche come l’inventore di quella rovesciata a suo tem-

po chiamata “cilena” o “bicicletta”: gesto tecnico-acrobatico

senza precedenti. Vasco da Gama, Botafogo, Flamenco (tre cam-

pionati e tre titoli di capocannoniere) e Sao Paulo le sue squadre.

In nazionale ha segnato 22 gol in 19 partite. Beffardo per lui l’e-

sito del mondiale di Francia: il c.t. Ademar Pimenta volle rispar-

miargli la semifinale contro l’Italia, fiducioso di utilizzarlo, al me-

glio della condizione, nella finale. Furono invece gli azzurri di Poz-

zo a liquidare il Brasile e Leonidas dovette accontentarsi di fir-

mare due gol nell’amara partita per il terzo posto. A fine carriera

divenne prima allenatore, senza avere però troppo successo, poi

commentatore di calcio in radio e televisione. Una grave malattia,

purtroppo, lo costrinse a rinunciare presto a questa passione. Pro-

prietario di un magazzino di mobili, Leonidas è deceduto nel gen-

naio 2004, a 90 anni, in una clinica a San Paolo dove era curato

a spese del Sao Paulo, il suo più vero club. In questo Mondiale

francese segnò 8 gol in 5 partite.

BRASILE 1950: ADEMIR (BRASILE), 9 GOL

Ha scritto una pagina della storia del calcio in occasione della pri-

ma Coppa del Mondo del dopoguerra: con i suoi 9 gol segnati re-

sta il miglior attaccante brasiliano in una competizione mondiale.

Quel successo venne però oscurato dalla disfatta al Maracana di

Rio de Janeiro: in un clima da tragedia nazionale, il Brasile fu

sconfitto per 2-1 dall’Uruguay, considerato per molti motivi lar-

gamente sfavorito, che andò a consacrarsi campione del mondo

per la seconda volta. Ademir lavorò in seguito come cronista in

radio e televisione. Nato a Recife nel 1922, baffetti alla Herrol

Flynn e fama di playboy, occhi azzurri che gli valsero il sopranno-

me di “diablo azul”, è morto nel 1996 al termine di una malattia

incurabile. Detto il “Dinamitero”, ma anche “maestro di ballet-

to”, poteva giocare sia da centravanti che da mezzala risultando

determinante per il suo cambio di ritmo, le sue finte, i suoi drib-

bling e per un mirabile tiro ad effetto. Figlio d’arte, cresciuto nel

Recife, giocò nel Vasco de Gama e nella Fluminense trascinando

entrambe alla conquista del titolo nazionale, per poi concludere

la carriera nel 1956 di nuovo con i colori della squadra di Rio de

Janeiro. Nel suo palmares cinque titoli carioca e 396 reti in 479

partite di campionato. Un mese prima dell’inizio del mondiale,

proprio Brasile e Uruguay si affrontano in amichevole a San Pao-

lo e lui segna tre gol. Non bastano: il Brasile esce sconfitto per 4-

3. Sembra una premonizione. Dopo 39 partite e 31 gol nella Sele-

cao, Ademir esce di scena a 32 anni per un grave infortunio. Di-

venta anche amministratore del Maracanà. Uno dei suoi compiti

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era quello di controllare lo stato del terreno. Su quell’erba, nella

partita inaugurale dei Mondiali, proprio lui aveva firmato il primo

gol nella storia del mitico stadio: al messicano Carbajal, l’unico

portiere al mondo ad aver disputato cinque campionati iridati.

SVIZZERA 1954: SANDOR KOCSIS (UNGHERIA), 11 GOL

“Il re dell’aria”,”testina d’oro”, “l’angelo degli stadi” per le sue

straordinarie doti acrobatiche, quasi che una invisibile molla lo

sollevasse su tutti, a raccogliere i cross dei compagni ed a colpi-

re di testa “con la violenza di un montone”. In questo Mondiale

segnò a tutti gli avversari meno che alla Germania nella finale di

Berna, dove con uno stacco imperioso centrò in pieno la traversa

mancando il gol più importante della sua grande carriera (75 gol

in 68 partite internazionali). Pur avvalendosi della sua classe,

l’Ungheria, “la squadra modello” del Mondiale 1954, fu sconfitta

dai tedeschi per 2 a 3 tra la sorpresa generale. Capitano dell’e-

sercito, giocò nella Honved (quattro scudetti), nel Ferencvaros e

come altri suoi compagni chiese asilo politico in Spagna dopo la

rivolta di Ungheria del 1956. Col Barcellona vinse due scudetti in-

sieme al suo amico Czibor. Sull’altra sponda, tra i grandi rivali del

Real Madrid, tirava i suoi ultimi mirabili calci un altro amico, Fe-

renc Puskas. Kocsis tornò, ormai trentatreenne, sul campo del

Wandkorf, dove aveva visto svanire il titolo mondiale, per dispu-

tare la Coppa del Campioni contro il Benfica. Segnò un gol ma la

sua squadra uscì sconfitta, anche questa volta, per 3 a 2. Era il

giugno 1961. Kocsis mise fine alla sua carriera nel 1966. È morto

a soli 49 anni, gettandosi dal balcone di una clinica di Barcello-

na dove era ricoverato.

SVEZIA 1958: JUST FONTAINE (FRANCIA), 13 GOL

Nessun altro ha segnato tanti gol in una Coppa del Mondo. E pen-

sare che era stato selezionato per i Mondiali in Svezia (sempre in

gol nelle 6 gare disputate e Francia al terzo posto) solo perché il

titolare, René Biliard, si era infortunato prima della competizione.

Sarà – come scrivono i francesi – probabilmente per l’eternità il

miglior cannoniere di una fase finale dei Mondiali. Sulla maglia

aveva il numero 17 e dopo la finale vinta sui tedeschi per il terzo

posto, miglior risultato ottenuto fino allora dalla Francia, i com-

pagni lo portarono in trionfo. Nato nel 1933 a Marrakesh, maroc-

chino naturalizzato francese, figlio di un ispettore generale della

Tabacalera, ha segnato 30 reti in 21 partite internazionali (quasi

un gol e mezzo a partita). Ha giocato prevalentemente nello Sta-

de Reims (esordio nel Marrakesh, valorizzazione a Casablanca,

Olimpique Nice la sua prima squadra transalpina) ed ha appeso

definitivamente le scarpette al chiodo a 28 anni per una gravissi-

ma, doppia frattura alla gamba sinistra. La sua brillante carriera

di calciatore è andata avanti tra la meraviglia dei medici perché

era stato colpito, fin dalla più tenera infanzia, da una decalcifica-

zione delle ossa. Centravanti di notevole potenza, “Justo” è sta-

to uno dei cannonieri più efficaci della storia del calcio, vincitore

di tre titoli e due coppe nazionali, autore di 159 gol nel campio-

nato francese. Oggi abita nella regione di Tolosa, dove vive delle

sue rendite, partecipando saltuariamente a trasmissioni sul calcio.

CILE 1962: DRAZEN JERKOVIC (JUGOSLAVIA), 5 GOL

Il suo successo fu sorprendente perché, grazie a lui, la Jugoslavia

arrivò seconda nel Campionato d’Europa del 1960. Di origine croa-

ta, nato nel 1936, è stato uno dei migliori attaccanti jugoslavi di

tutti i tempi, diventando una leggenda nella Dinamo Zagabria. Do-

po l’indipendenza della Croazia, è stato il primo allenatore della

nazionale (1990-1991), per essere poi nominato direttore tecnico

dell’NK Zagabria (l’antica Dinamo). Jerkovic fu il vero assoluto ca-

pocannoniere del mondiale senza averne il riconoscimento ufficia-

le. Gli annali della manifestazione tramandano da sempre un er-

rore storico mettendo alla pari ben sei giocatori – oltre a lui, i bra-

siliani Garrincha e Vava, l’ungherese Albert, il sovietico Ivanov, il ci-

leno Sanchez – con quattro gol a testa. Cinque invece i suoi gol:

tre alla Colombia (come risulta da film, archivi FIFA e rapporto del-

l’arbitro) e non due (come dai tabelloni che attribuiscono il terzo

gol a Galic). Jerkovic, due anni prima dei Mondiali, era rimasto vit-

tima di un grave infortunio che gli aveva impedito di partecipare

alle Olimpiadi vinte dalla sua nazionale. Oggi vive delle sue rendi-

te nella città natale di Zagabria.

INGHILTERRA 1966: EUSEBIO (PORTOGALLO), 9 GOL

“La perla nera”, nata a Laurenco Marques in Mozambico nel

1942, fu acquistata (grazie anche al fiuto di un osservatore italia-

no) dal Benfica quando aveva 19 anni per l’equivalente di 13.000

dollari d’oggi. Con questa squadra Eusebio è stato dieci volte

campione del Portogallo, ha vinto cinque coppe nazionali e la

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CENTRO STUDI E RICERCHECALCIO INTERNAZIONALE

cord della Bundesliga. Nel 1974 è diventato campione del mondo

con la nazionale segnando il gol del 2-1 contro l’Olanda nella fi-

nale. In questa edizione, col numero 13 sulla maglia (suo numero

portafortuna), realizzò 4 reti che aggiunte alle 10 fatte nella pre-

cedente fa un totale di 14, numero che non ha uguali. Nato nel

1945 a Nordlingen in Baviera, ex tessitore, cresciuto nel Nordlin-

gen, passò al Bayern nel 1964 indossandone la maglia per quin-

dici stagioni e vincendo per sette volte il titolo di cannoniere,

quattro campionati, quattro coppe nazionali, tre Coppe dei Cam-

pioni, una Coppa intercontinentale ed una Coppa delle Coppe.

Nel 1979 approdò negli USA dove concluse la sua carriera nel

1982 giocando nel Fort Lauderdale e nello Smith Brothers Loun-

ge. Rimase in Florida dove aprì un ristorante ma non tardò a tor-

nare in Germania. Dal 1992 Muller fa parte del corpo degli alle-

natori del Bayern Monaco dove si occupa prevalentemente di cal-

cio giovanile. Pallone d’oro nel 1970, si è anche laureato Cam-

pione d’Europa nel 1972 con la Nazionale.

GERMANIA 1974: GRZEGORZ LATO (POLONIA), 7 GOL

L’uomo dai pochi capelli fu la rivelazione della Coppa del Mondo

1974. Si deve in particolare a lui se la Polonia riuscì ad aprirsi la

strada verso il terzo posto, tra la sorpresa generale. Lato, ala de-

stra, ha giocato soprattutto nel Stal Mielec, ha partecipato a tre

edizioni della Coppa del Mondo (1974, 1978, 1982) ed ha dispu-

tato nel 1984 la sua ultima partita internazionale. Ha inoltre mi-

litato in squadre belghe, messicane e canadesi. Oggi ha 52 anni e

si occupa da qualche tempo di giovani calciatori per conto della

Federcalcio polacca.

ARGENTINA 1978: MARIO KEMPES (ARGENTINA), 6 GOL

Le sue due reti in finale contro l’Olanda lo hanno reso immortale

nel suo paese. Potenza, senso del gol, notevoli qualità tecniche lo

hanno portato spesso ad essere “l’hombre del partido”, “el ma-

tador”, “mortifero”. Gol quasi sempre pesanti quelli della sua

carriera internazionale, 20 in 43 partite. Nato a Belville nel 1952,

ha giocato nell’Istituto de Cordoba, nel Rosario Central e nel Ri-

ver Plate, poi nel Valencia (184 partite, 116 gol, una Coppa delle

Coppe) e nel St. Polten, club provinciale austriaco. Ha successiva-

mente intrapreso la carriera di allenatore che lo ha portato in In-

donesia, in Venezuela, in Bolivia, in Albania e nella serie D italia-

Coppa dei Cam-

pioni nel 1962. Ha

indossato questa

maglia per quindici

stagioni, segnando

316 gol in 294 par-

tite di campionato.

Ha poi giocato in

squadre USA, mes-

sicane e canadesi,

con una parentesi

nella seconda divi-

sione lusitana, nel

Beira Mar. Ha fat-

to felici milioni di

tifosi con le sue

prodezze ed i suoi gol (movimenti felini, eleganti progressioni, po-

tenti conclusioni) per quasi tutta la durata della sua lunghissima

carriera, conclusasi anche per un infortunio al ginocchio. Oggi

rappresenta il Benfica ed è anche ambasciatore di calcio del Por-

togallo, incaricato di organizzare EURO 2004. Pallone d’oro nel

1965, considerato nei suoi migliori anni secondo solo a Pelè, Eu-

sebio in 64 partite nella nazionale portoghese ha segnato 41 gol

ed è stato il suo autentico trascinatore verso il terzo posto mon-

diale del 1966.

MESSICO 1970: GERD MULLER (GERMANIA), 10 GOL

Nel suo paese viene an-

cora chiamato “il bom-

bardiere”, ma è pure ri-

cordato come “torpedi-

ne”, come un “diavolo

che sbuca dalla botola in

piena area di rigore” per

sottolineare il suo genio

di rapinatore di gol. In 62

partite in nazionale ha

segnato 68 reti e con un

palmares di 365 centri in

427 partite detiene il re-

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na. In Albania il valoroso cacciatore di reti, determinante nel

trionfo “mundial” (“un puledro inarrestabile che si mise in luce

galoppando con la chioma al vento sopra un campo imbiancato

di coriandoli”), abbandonò la panchina dopo soltanto due parti-

te a causa della guerra civile. Dal gennaio 2002 allena il San Fer-

nando, club spagnolo di terza divisione.

SPAGNA 1982: PAOLO ROSSI (ITALIA), 6 GOL

Già affermato alla

fine degli anni 70,

ribattezzato “Pa-

blito” dagli argen-

tini durante il

Mondiale del

1978, i suoi gol

“spagnoli” decre-

tarono la sua con-

sacrazione cata-

pultando gli azzur-

ri verso il più gran-

de successo del

dopoguerra. Attac-

cante purissimo, fu

convintamente ripescato (se così si può dire) da Bearzot, appena

scaduti due anni di squalifica per il suo coinvolgimento nella vi-

cenda del calcio–scommesse. Ha giocato nel Como, Vicenza (ca-

pocannoniere nel 1978 con 24 gol), Perugia, Juventus, Milan e Ve-

rona. In bianconero le più grandi prestazioni, con due scudetti,

una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Coppa Ita-

lia e una Supercoppa europea. In serie A ha giocato 215 partite

segnando 82 gol, in nazionale 48 presenze e 20 realizzazioni (con

Baggio è l’azzurro che ai mondiali ha segnato complessivamente

più gol: nove). Nel 1987, a 31 anni, Rossi ha messo fine alla sua

carriera a seguito di un rinnovato infortunio al ginocchio. Oggi ha

46 anni e vive a Vicenza dove è presidente e azionista di mag-

gioranza di una società immobiliare. Ha vinto il Pallone d’oro nel

1982.

MESSICO 1986: GARY LINEKER (INGHILTERRA), 6 GOL

In Inghilterra è ancora amato non solo per i suoi tanti gol – 48 in

80 partite internazionali – ma soprattutto per il suo fair-play. Mai,

infatti, ha ricevuto un cartellino giallo. Lineker ha finito la sua car-

riera in Giappone, nel Nagoya Grampus Eight. Ha detto di essere

andato a giocare là essenzialmente per motivi di denaro, per fi-

nanziare la terapia estremamente onerosa di uno dei suoi quat-

tro figli, colpito da una malattia dalla quale poi è guarito. Ha gio-

cato nel Leicester, Everton, Barcellona e Tottenham. Da qualche

anno è commentatore calcistico per una catena televisiva inglese.

ITALIA 1990: SALVATORE SCHILLACI (ITALIA), 6 GOL

Prima di questa

edizione della

Coppa del Mondo

era quasi scono-

sciuto. Aveva gio-

cato nel Messina

in serie B e stava

giocando nella Ju-

ventus. La fortuna,

aiutata da indubbi

suoi meriti, gli sor-

rise proprio in oc-

casione di “Italia

90”. Segnando 6 gol in 7 partite, “Totò” si rivelò al mondo e di-

venne a suo modo una star. Passò all’Inter e poi raggiunse il Ju-

bilo Iwata in Giappone, dove però non riuscì più a imporsi. In Na-

zionale ha giocato 16 partite segnando 7 gol. Si è ritirato dal cal-

cio nel maggio 1999. Oggi ha 38 anni,vive a Palermo, dove è na-

to (Cep, quartiere povero della città), e lì dirige una scuola di cal-

cio. Una Coppa Italia e una Coppa Uefa i suoi trofei. In “Italia 90”

esordì contro l’Austria quando mancava un quarto d’ora alla fine

e il risultato era ancora fermo sulla 0-0. Appena quattro minuti e

segna il gol della vittoria. Da quel momento centellina i suoi gol,

quasi tutti decisivi, uno per volta, alla Cecoslovacchia, all’Uru-

guay, all’Irlanda, all’Argentina, all’Inghilterra.

USA 1994: OLEG SALENKO (RUSSIA), HRISTO STOITCHKOV

(BULGARIA), 6 GOL

Salenko vanta una prestazione mai realizzata in Coppa del Mon-

do: 5 gol segnati nel corso di Russia – Camerun, 6-1 a Palo Alto,

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tra squadre già eliminate. Con questa cinquina, più un gol alla

Svezia, riuscì a conquistare, giocando solo tre partite, il titolo di

capocannoniere alla pari con Stoitchkov, che ne aveva giocate

sette. Salenko, 25 anni, giocava in Spagna: il Logrones lo aveva

acquistato dalla Dinamo Kiev. Poco prima che cominciasse il Mon-

diale lo ingaggiò il Valencia per quattro miliardi. In Spagna, pe-

rò, non riuscì a confermare la sua fama di temibile attaccante. Fu

infine spostato sulla fascia, ma non riuscì a ritrovare nelle sue di-

verse successive squadre la sua forma migliore a causa di gravi

problemi al ginocchio. Oggi ha 33 anni e vive a Kiev dove gioca

in una squadra Senior.

Anche Stoitchkov andò a segno sei volte in USA 94 ed ebbe gran

merito nella conquista (una sorpresa) del terzo posto raggiunto

dalla sua Bulgaria. L’eccentrico attaccante era già una stella pri-

ma della Coppa del Mondo, quando con il Barcellona vinse la

Coppa dei Campioni. Continuò la carriera in Arabia Saudita e poi

negli USA. Oggi vive principalmente a Barcellona, fa il cronista e

si dice che pensi di entrare in politica.

FRANCIA 1998: DAVOR SUKER (CROAZIA), 6 GOL

Ha fatto gol per tutte le squadre - Osijek, Dinamo Zagabria, Sivi-

glia, Real Madrid – in cui ha giocato. Si deve soprattutto a lui (a

segno in sei partite su sette) se la Croazia è riuscita ad arrivare in

semifinale nel Mondiale 1998. Dopo questa competizione, la sua

bella stella si è appannata. I suoi gol sono diventati più rari e il

Real Madrid lo ha ceduto al West Ham United. Nell’ultima sta-

gione ha giocato per i tedeschi del Monaco 1860. Suker è l’uni-

co miglior cannoniere del Mondiale ad essere stato anche cam-

pione del mondo junior nel 1987. Un brillante passato che però

non è stato

rinverdito. In

Corea-Giap-

pone, infatti,

la sua Croa-

zia è stata

eliminata al

primo turno

e lui non è

mai andato

in gol.

CENTRO STUDI E RICERCHECALCIO INTERNAZIONALE

I SUPER CANNONIERI

14 GOL

GERD MULLER Germania 1970/10 1974/4

13 GOL

JUST FONTAINE Francia 1958/13

12 GOL

PELE’ Brasile 1958/6 1962/1 1966/1 1970/4

RONALDO Brasile 1998/4 2002/8

11 GOL

SANDOR KOCSIS Ungheria 1954/11

JURGEN KLINSMANN Germania 1990/3 1994/5 1998/3

10 GOL

HELMUT RAHN Germania 1954/4 1958/6

TEOFILO CUBILLAS Peru 1970/5 1978/5

GRZEGORZ LATO Polonia 1974/7 1978/2 1982/1

GARY LINEKER Inghilterra 1986/6 1990/4

GABRIEL BATISTUTA Argentina 1994/4 1998/5 2002/1

9 GOL

LEONIDAS Brasile 1934/1 1938/8

ADEMIR Brasile 1950/9

VAVA Brasile 1958/5 1962/4

UWE SEELER Germania 1958/2 1962/2 1966/2 1970/3

EUSEBIO Portogallo 1966/9

JAIRZINHO Brasile 1970/7 1974/2

PAOLO ROSSI Italia 1978/3 1982/6

K.H. RUMMENIGGE Germania 1978/3 1982/5 1986/1

ROBERTO BAGGIO Italia 1990/2 1994/5 1998/2

CHRISTIAN VIERI Italia 1998/5 2002/4

8 GOL

GUILLERMO STABILE Argentina 1930/8

OSCAR MIGUEZ Uruguay 1950/4 1954/4

DIEGO MARADONA Argentina 1982/2 1986/5 1994/1

RUDI VOLLER Germania 1986/3 1990/3 1994/2

RIVALDO Brasile 1998/3 2002/5

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SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

a colonna vertebrale è costituita da una serie di

“strutture semplici”, le vertebre, che assieme alle

proprie articolazioni, ai legamenti, ai muscoli, costi-

tuiscono una struttura complessa di grande impor-

tanza per la cinetica globale del corpo. Tale struttu-

ra è notoriamente divisa in più settori (cervicale-dor-

sale-lombare) funzionalmente diversi ma stretta-

mente collegati tra loro. Per quanto riguarda il settore lombare,

quello specificatamente trattato, va ricordato il ruolo importantis-

simo delle vertebre dodicesima dorsale e terza lombare:

- la prima costituisce il punto di passaggio tra la cifosi dorsale e

la lordosi lombare, quindi una vera e propria vertebra cerniera,

importante in quanto i muscoli del piano posteriore vi passano

sopra senza prendervi valide inserzioni liberando l’arco da sol-

lecitazioni muscolari.

- la seconda costituisce l’apice della curva lordotica lombare e ri-

sulta essere molto importante sul piano funzionale in quanto

funge da relais muscolare tra i fasci lombari discendenti dal dor-

so e quelli ascendenti provenienti dall’osso iliaco, che in gran

parte si inseriscono sulle apofisi trasverse.

Che cos’è la lombalgia

Per lombalgia si intende dunque una sindrome algica localizzata

alla regione lombare bassa ed a quella sacrale alta, che com-

prende cioè un rettangolo delimitato in alto dalla seconda e ter-

za lombare e in basso dalla seconda sacrale, e che si estende la-

teralmente sino alle articolazioni sacro iliache. Sul piano clinico

distinguiamo:

- le lombalgie acute, che insorgono improvvisamente, spesso con

notevole intensità.

- le lombalgie croniche che possono essere primitive o susse-

guenti ad una forma acuta e che sono caratterizzate da un dis-

turbo più subdolo, spesso discontinuo; vanno inoltre ricordate le

forme irradiate all’arto inferiore, sotto forma di lombo-cruralgia,

per interessamento del plesso lombare (e quindi delle radici L2

L3) o di lombosciatalgia, per interessamento del plesso sacrale

(e quindi delle radici L4, L5 ed S1).

La classificazione

Volendo fare una classificazione delle lombalgie potremmo di-

stinguerle in:

- lombalgie da alterazioni congenite della colonna vertebrale;

- lombalgie da ridotta resistenza dell’osso con e senza schiaccia-

menti vertebrali a causa, ad esempio, di osteopenia, osteoporo-

si, osteopatie metaboliche ecc.

- lombalgie da malattie degenerative;

- lombalgie da cause extravertebrali;

- lombalgie di origine psico-nevrotica o psico- somatica;

- lombalgie statico-dinamiche o posturali (che andremo a tratta-

re nello specifico )

LOMBALGIE STATICO CINETICHE O POSTURALI

Alterazioni statiche

Primitive: - scoliosi

- cifosi

- iperlordosi

Secondarie: - dismorfismi anca

- ginocchio valgo, varo o recurvato

- piede piatto o cavo

- eterometria arti inf.

- ecc.

L

LE LOMBALGIE DA OVERUSEdi Vincenzo Vergine*

*Tesi di fine studio del Corso per Preparatore Atletico 2004/2005

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SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

Squilibri muscolo legamentosi:

- lassità, spasmi, paresi, atrofie discinesie

- fibrosi glutea

- atteggiamenti viziati professionali

- microtraumatismi complessi e ripetuti

- sovraccarichi funzionali da lavoro e/o da sport

Alterazioni posturali:

- alterazioni morfologiche globali del rachide

- atteggiamenti viziati

- squilibri muscolo-legamentosi

- malfunzionamento degli organi deputati al controllo del sistema

tonico posturale (sistema nervoso centrale e periferico).

Lombalgie da overuse nel calciatore d’elite

Questo lavoro presentato nello specifico dal Dott. Giuseppe Pa-

laia (responsabile medico U.S. LECCE) al II CONGRESSO NAZIO-

NALE DI MEDICINA DELLO SPORT di FIRENZE pone particolare at-

tenzione alle lombalgie da overuse nel calciatore d’elite che rien-

trano, secondo lo schema precedentemente evidenziato, nelle

lombalgie da sovraccarico e/o da sport.

Gli elementi caratteristici della sindrome dolorosa lombare me-

glio definita come sindrome dolorosa miofasciale o delle faccette

articolari sono:

- il disturbo doloroso di Junghans o disturbo intervertebrale mi-

nore (D.I.M.);

- i “TRIGGER POINT”(TP);

Sovraccarico del segmento posteriore

Sindrome delle faccette articolari

Il D.I.M. è una disfunzione vertebrale segmentaria dolorosa, di na-

tura meccanica e riflessa, generalmente reversibile.

Questa definizione non entra volutamente nel merito della patogene-

si del disturbo doloroso, che in realtà è una disfunzione a varia gene-

si di tutto il segmento mobile nelle sue diverse componenti: articola-

zioni, legamenti, dischi.Tutti questi elementi possono essere la sede di

origine di un dolore vertebrale o di un dolore riflesso sia in sede mu-

scolare paravertebrale sia in sedi più lontane metamericamente con-

nesse con il livello in questione, e che può situarsi sia a livello della cu-

te che delle fasce dei tendini, dei periosti oltreche dei muscoli.

In questo caso si fa riferimento alla sindrome cellulo-teno-

mialgica segmentaria, racchiudendo in questa terminologia un

insieme di manifestazioni neurotrofiche riflesse che accompagnano

frequentemente i dolori vertebrali segmentari di natura meccanica.

L’altro elemento peculiare di questa sindrome è rappresentato ap-

punto da un’area di ipersensibilità chiamata “trigger point”(tp),

ossia zona grilletto o punto scatenante, localizzato nel contesto di

uno o più muscoli, spesso esteso al tessuto connettivo. Il trigger

point consiste in una porzione circoscritta, di muscolo o fascia

(banderella palpabile), indurita e dolente alla palpazione. La digi-

topressione del TP evoca dolore a distanza nella cosiddetta “tar-

get area“ (area bersaglio o zona di riferimento), che rappresenta

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anche essa un elemento caratteristico.

Disturbo intervertebrale minore (DIM) o sofferenza

segmentarla vertebrale del segmento mobile

Digitopressione sulle spinose del segmento mobile interes-

sato dal DIM

Sindrome cellulo-teno-mialgica di Maigne dovuta a irrita-

zione del ramo posteriore del nervo spinale

Ricerca della sofferenza vertebrale minore o del D.I.M.(me-

todo del Palper Rouler)

Sindrome miofasciale

T.P. nella sindrome vertebrale segmentaria evidenziati con

il metodo del Palper-Rouler e digitopressione.

Trattamento e terapia

È opportuno ricordare che trattandosi di calciatori d’elite, si è cer-

cato di evitare l’approccio farmacologico tipico della terapia de-

gli anni ottanta (agopuntura, mesoterapia, chimiopuntura) per

dare spazio alla terapia manipolativa e al trattamento dei trigger

point.

Terapia:

- stretch e spray

- digitopressione

- infiltrazioni di analgesico locale

- sblocco articolare con manipolazione vertebrale

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Una volta localizzato il D.I.M. con la tecnica della digito- pressio-

ne delle spinose e una volta reperiti con la stessa tecnica i T.P. si

procede all’annullamento degli stessi con dei movimenti circolari

in senso antiorario ad intensità crescente e/o con infiltrazioni di

anestetico locale nel contesto dei T.P. Si passa poi alla terapia ma-

nipolativa rispettando i vari tempi della manipolazione: messa in

posizione, messa in tensione, manipolazione vera e propria sem-

pre dal lato del non dolore.

La prevenzione

Il gesto atletico nelle attività sportive che impegnano la colonna

vertebrale scarica sulle strutture del rachide diversi tipi di solleci-

tazioni: forze in compressione, forze in torsione, forze in tensione

e taglio; queste forze possono essere effettuate in modo dinami-

co, provocando una patologia di tipo acuto, oppure in modo cicli-

co, determinando una patologia di tipo cronico.

Le forze in compressione vengono prevalentemente scaricate nel-

la sezione anteriore della colonna, e più precisamente sui corpi

vertebrali e sui dischi intervertebrali.

Le forze in torsione vengono assorbite sia dalla sezione anteriore

(compressione in torsione del disco) sia da quella posteriore della

colonna vertebrale, in modo particolare dalle faccette articolari.

Le forze in tensione e taglio sono le forze prodotte dai movimen-

ti di flesso-estensione e di inclinazione laterale della colonna ver-

tebrale e che operano principalmente a livello della sezione po-

steriore del rachide. Le tre sedi vertebrali interessate sono per-

tanto il disco intervertebrale, le articolazioni interapofisarie e gli

istmi; sono comunque da comprendere i tessuti molli paraverte-

brali (legamenti, capsule articolari, muscoli).

Il gesto atletico responsabile del sovraccarico funzionale e delle

conseguenti azioni meccanotraumatiche è da ricercare nella ripe-

tizione di movimenti specifici attuati con elevata intensità e per

lunghi tempi.

Nell’ambito della prevenzione è bene ricordare che trattandosi di

atleti top-level occorre un’attenzione particolare al tipo di lavoro

svolto, specie in allenamento, e alle caratteristiche muscolari, ar-

ticolari, posturali del soggetto nella sua globalità.

Qui di seguito sono riportati due mezzi di lavoro per l’allenamen-

to della forza degli arti inferiori. Mentre il primo esercizio potreb-

be provocare un sovraccarico funzionale specialmente se è ese-

guito in maniera scorretta e per lungo tempo; il secondo esercizio

riduce notevolmente i rischi perchè ci da la possibilità di modula-

re i carichi di lavoro avvalendosi di rilievi obiettivi.

Mezzo di allenamento della forza esplosiva (corsa

balzata)

Modulare i carichi di lavoro con rilievi obiettivi (leg-press

con ergopower per l’allenamento della forza degli arti in-

feriori)

SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

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Le basi della prevenzione sono:

- la forza

- la mobilitàmuscolare (flessibilità)

- la propriocezione

La forza (in riferimento al tessuto muscolare)

Sono stati sviluppati numerosi strumenti per valutare la forza del

tronco, con l’obiettivo di quantificare la forza dei muscoli del dorso

e la resistenza degli estensori del rachide. Secondo alcuni, l’idea di

applicare valori quantitativi alla funzionalità del rachide è sicura-

mente attraente, poiché permetterebbe di approntare protocolli

specifici per l’allenamento della forza muscolare. Ma è valido il pre-

supposto secondo il quale, nella lombalgia, i muscoli della schiena

possono diventare deboli e quindi devono essere “rinforzati”? Di-

versi elementi clinici e la nostra esperienza professionale ce ne fan-

no alquanto dubitare. D’altronde, l’identificazione di bassi livelli di

funzionalità dei muscoli estensori del soggetto lombalgico non

chiarisce se tale deficit sia dovuto alla mancanza di forza, al dolo-

re, o all’impoverimento di schemi efficaci. A proposito poi del risul-

tato di un eventuale esercizio di rinforzo, non possiamo dimentica-

re che l’esercizio proposto dovrebbe essere peculiare alla funzione

di ogni muscolo. Nella sua analisi della statica vertebrale, Perrin ha

mostrato la dissociazione funzionale dei muscoli paravertebrali: i

muscoli superficiali (lunghi del dorso, sacrolombari, interspinosi)

sono estensori a vocazione cinetica e volontaria, quindi utilizzati

per il raddrizzamento dalla flessione o per frenare quest’ultima; i

muscoli profondi (intertrasversali, trasverso-spinosi) sono erettori a

vocazione tonica che funzionano in modo automatico, quindi sono

responsabili delle posizioni statiche. Gruppi muscolari diversi, sot-

toposti a controllo neuromuscolare diverso, che necessitano ovvia-

mente di un eventuale “rinforzo” diversificato! Quindi, un rinforzo

specifico della funzionalità dinamica ed un rinforzo specifico della

funzione statica. La postura in piedi piegati in avanti, utilizzata per

agire sulla catena muscolare posteriore e per evidenziarne i com-

pensi, oltre che essere utile alla riprogrammazione neuromotoria

della flessione anteriore, attua di fatto un “rinforzo” della musco-

latura dinamica del rachide, perché utilizza un esercizio di contra-

zione eccentrica che è fisiologico per il rachide e produce il maggior

aumento di forza massimale.

Inoltre, la selettività e la precisione che possiamo avere con que-

sta postura, ci permette di controllare che il paziente non effettui

gli ultimi gradi di flessione anteriore con una strategia legamen-

tosa. Sappiamo infatti come in questa posizione sia più facile

mettere la zona lombare in cifosi, vicariando di fatto il lavoro mu-

scolare attivo, richiesto per il mantenimento di questa posizione

“critica”, con una tensione legamentosa. Il ripristino del control-

lo lombo-pelvico si traduce quindi in “forza attiva”. Di contro, il

“ rinforzo” (o meglio il riequilibrio) dei gruppi muscolari a voca-

zione tonica, ha senso solamente se viene attuato con un lavoro

funzionale in carico, ricercando l’integrazione tramite la proprio-

cezione e l’ economicità dei riequilibri acquisiti .

Il rinforzo muscolare specifico prevede:

1) rinforzo degli estensori del tronco che devono essere fat-

ti in posizione di scarico (da decupito supino o in quadrupedia):

- sollevamenti bilaterali delle spalle

- sollevamenti di braccia e gambe controlaterali

- sollevamenti bilaterali delle spalle con le mani alla nuca

- sollevamenti bilaterali delle spalle con le braccia completa-

mente distese.

2) rinforzo della muscolatura addominale utilizzando pre-

feribilmente la contrazione isometrica/eccentrica.

Esercizio in contrazione isometrica

Esercizio in contrazione eccentrica

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La mobilità articolare (flessibilità) in riferimento al tes-

suto connettivo)

Di pari passo agli esercizi di rinforzo muscolare vanno fatti quelli

di mobilità articolare; nel 1977 Frey definì la mobilità articolare

(che riguarda la struttura articolare) e la capacità di allungamen-

to (che riguarda i muscoli, i tendini, i legamenti e l’apparato cap-

sulare) come componenti della flessibilità e come tali rappresen-

tano sottotermini dello stesso concetto. In riferimento alla capa-

cità di allungamento è doveroso fare chiarezza circa la classifica-

zione delle tipologie di esercizi di allungamento muscolare.

Nell’allungamento dinamico il muscolo viene sottoposto ad

allungamento o per effetto della contrazione dinamica del mu-

scolo antagonista (allungamento dinamico attivo) o attraverso

l’applicazione di una forza esterna (allungamento dinamico pas-

sivo).

Nell’allungamento statico il muscolo viene sottoposto ad un al-

lungamento (lento e progressivo) o per effetto della contrazione sta-

tica della muscolatura antagonista (statico-attivo) o in seguito ad

applicazione di una forza esterna (statico-passivo) quale la forza di

gravità, partner, o l’applicazione di forze di altre regioni del corpo.

Questa forma di allungamento è elettiva per migliorare la cede-

volezza delle strutture implicate nella restrizione della mobilità

articolare (diminuisce la stiffness) ed è quella preferita nella fase

di recupero al termine della seduta di allenamento.

Nell’ambito dell’allungamento di tipo statico-passivo abbiamo

anche altre metodiche efficaci: PNF (contrazione agonista + al-

lungamento antagonista); TRS (tensione + rilassamento + allun-

gamento); CHRS (contrazione + tenuta + rilassamento + allunga-

mento); ognuna di queste metodiche trova una sua giustificazio-

ne in base al contesto, alla finalità ed alla peculiare situazione in

cui viene applicata.

In riferimento all’argomento trattato, particolare cura dovrà esse-

re rivolta ai seguenti gruppi muscolari: ILEO-PSOAS (l’accorcia-

mento tonico di questo muscolo è implicato nell’atteggiamento di

antiversione del bacino e di iperlordosi lombare).

ISCHIO-CRURALI (Busquet afferma che un accorciamento eccessi-

vo soprattutto se di diversa entità tra i due arti, impedisce una

buona biomeccanica della regione sacro-iliaca, predisponendo at-

traverso una catena di eventi, a problematiche di vario tipo sia a

livello del bacino che del ginocchio).

GLUTEI, ADDOMINALIe LOMBARI la cui condizione di contrattura

può accentuare l’angolo di lordosi lombare.

In questa fase è opportuno compensare eventuali squilibri statici

ed atteggiamenti adattivi antalgici attraverso una vera e propria

rieducazione posturale. A tal fine si utilizza il metodo di Mezieres

che, attraverso posture specifiche consente, con una messa in ten-

sione progressiva e globale, lo stiramento assiale delle catene

muscolo-fasciali retratte e/o contratte, la regolarizzazione dell’ar-

monia tensiva tra muscoli agonisti e antagonisti avvalendosi di

una corretta dinamica respiratoria.

Stretching globale decompensato

La propriocezione (in riferimento al tessuto nervoso)

L’apparato locomotore possiede dei propriocettori generali che

sono organi di senso stimolati dai movimenti delle fibre muscola-

ri e delle articolazioni. Questi c’informano sullo stato delle ten-

sioni muscolari, sulla direzione e posizione del corpo rispetto allo

spazio e sulla posizione spaziale dei singoli segmenti del corpo.

Sono il punto di partenza delle vie afferenti (cioè che portano gli

stimoli verso il cervello) per riflessi che regolano la postura ed il

tono muscolare.

I più importanti sono:

- I fusi neuromuscolari si trovano nelle fibre muscolari dentro le

fibre intrafusali. Sono posti in parallelo tra le fibre muscolari e

registrano i cambiamenti di tensione delle fibre dando informa-

zioni, durante la contrazione, sulla velocità e ampiezza dello sti-

ramento. Sono quindi misuratori di lunghezza e di velocità. Se il

muscolo viene contratto si pongono a riposo inviando stimoli

blandi al sistema nervoso centrale. Quando, invece, il muscolo

SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

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viene allungato repentinamente si allungano generando poten-

ziali di azione di frequenza crescente che causano una imme-

diata risposta di tipo contrattile delle fibre (riflesso miotatico fa-

sico).

- Gli organi tendinei del Golgi sono posti in serie nella parte ten-

dinea che si dirama dal muscolo. Il loro compito è quello di for-

nire informazioni sulle modificazioni della tensione (forza di

contrazione) e reagiscono allo stiramento producendo un rila-

sciamento del muscolo (riflesso inverso da stiramento). In so-

stanza, proteggono le fibre muscolari da possibili lacerazioni do-

vute ad un’azione troppo brusca e violenta. La loro reazione si

scatena dopo 6-8 secondi dall’inizio della tensione.I recettori di

Pacini ed i corpuscoli di Ruffini sono situati all’interno delle cap-

sule articolari. Danno informazioni sulla ampiezza, velocità e

senso del movimento. La riabilitazione post-traumatica si pone

come obiettivo principale il ristabilimento del tono e del trofi-

smo muscolare e la rieducazione delle articolazioni al movimen-

to. Pertanto i movimenti utilizzati si riducono alla semplice fles-

sione, estensione e rotazione di uno o più segmenti del corpo.

Va sempre tenuto presente che il corpo è un’unità che interagisce

con l’ambiente in maniera totale e complessa e che la lunga inat-

tività dovuta al trauma comporta anche l’acquisizione di nuovi

schemi motori, equilibri e coordinazioni di compenso che posso-

no permanere, anche solo parzialmente, anche dopo la riabilita-

zione. Pertanto attraverso la riabilitazione propriocettiva si cerca,

una volta ristabilita la funzionalità della zona traumatizzata, di

recuperare anche tutti gli schemi motori ottimali per il fisiologico

equilibrio statico e dinamico di tutto il corpo. Praticamente “ri-

programmare” in maniera corretta i normali schemi motori di mo-

vimento (camminare, correre, sedersi correttamente, salire le sca-

le, ecc.). Per questo vengono usati diversi attrezzi (pallone psico-

motorio, pedane oscillanti ecc.) con superfici instabili in modo da

costringere il sistema muscolare e nervoso ad un lavoro di corre-

zione continua per mantenere il corpo in equilibrio. Il cervello ri-

ceve un flusso continuo d’informazioni cinestetiche che vanno mi-

gliorando:

- le carenze propriocettive distrettuali;

- la sensibilità cinestetica;

- la coscienza corporea;

- il controllo dell’equilibrio.

Percezione del corpo su superficie instabile (pallone psico-

motorio).

Valutazione propriocettiva della colonna (delos)

BIBLIOGRAFIA

- G.N.VALOBRA Trattato di medicina fisica e riabilitazione - Utet

- L. BUSQUET Le catene muscolari - Vol. I - II - III - IV - Marrapese

- F. P. KENDALL I muscoli funzioni e test - Verduci

- WEINECK La preparazione fisica ottimale del calciatore -

Calzetti-Mariucci

Riviste

- GSS - Gruppo di studio della scoliosi e delle patologie vertebrali

- Notiziario settore tecnico

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SETTOREGIOVANILE

a società occidentale sta cambiando continuamente

e repentinamente. La giornata “tipo” del bambino di

oggi è diversa da quella del suo coetaneo di venti,

quindici, dieci anni fa. Le caratteristiche principali di

questo cambiamento riguardano le situazioni che

egli vive: gli spazi liberi utilizzabili per giocare sono

sempre di meno ed il tempo a sua disposizione vie-

ne speso in prevalenza per attività nelle quali il movimento è una

componente marginale. Questa purtroppo è una costante della

maggior parte degli ambienti da lui vissuti, sia nelle ore trascorse

a scuola che in quelle appartenenti al cosiddetto tempo libero.

L’ambiente urbano è ormai imbottito di traffico e malvivenza, tan-

to che i genitori non si fidano a lasciar giocare i bambini per stra-

da. Lo sviluppo delle tecnologie d’appartamento, come il personal

computer e la play station, inoltre, sembrano invitarli a vivere

quasi solo tra le mura domestiche. Internet e i telefoni cellulari

stanno modificando fortemente il modo con il quale si relaziona-

no tra di loro. Questi cambiamenti si ripercuotono sulla capacità

di rapportarsi con l’ambiente, da un lato, e con le persone, dal-

l’altro. La prima conseguenza è quella di una crescente fragilità

strutturale, perché meno ci si muove e meno il proprio corpo si

adatta a farlo, rischiando di infortunarsi al mutare delle situazio-

ni esterne. Non solo. Muoversi poco e male nei primi anni di vita

comporta dei problemi nella formazione anatomica del cervello.

Alla nascita, infatti, il tessuto nervoso non è formato, ma sempli-

cemente “abbozzato”, grazie alla presenza di un certo numero di

neuroni. Quei neuroni necessitano però di stimoli quotidiani pro-

venienti dall’esterno per rafforzare i contatti tra loro sia in quan-

tità che in qualità. Un cervello che cresce e si forma in un bambi-

no che si muove poco, quindi, sarà il cervello di un adulto limita-

to, non solo nelle funzioni motorie ma in tutta la sfera cognitiva.

Ecco perché la fragilità delle strutture scheletriche, muscolari, tes-

sutali e soprattutto nervose va prevenuta e l’unico modo per far-

lo è garantire al bambino nei primi anni di vita un elevato nume-

ro di esperienze, attraverso l’utilizzo di tutte le vie predisposte a

ricevere informazioni dall’ambiente: quelle visiva, uditiva, olfatti-

va, gustativa, tattile… ma anche e soprattutto quelle vestibolari

e cinestesiche, in grado di dare informazioni relative all’equilibrio

e alla posizione del proprio corpo nello spazio. In appartamento o

seduti ad un tavolo queste vie vengono utilizzate solo in minima

parte e le risposte motorie non possono che essere poche e sca-

denti. Tra le mura domestiche, inoltre, si incontrano pochi coeta-

nei. I bambini di oggi parlano sempre di meno ed invece si rap-

portano con gli altri digitando e chattando. L’effetto di tutto que-

sto è una crescente solitudine, sommata ad una diminuzione del

dialogo, ad una modifica dei processi utilizzati per comunicare, al-

l’uso di un linguaggio sempre più povero. Lo sviluppo cognitivo

del bambino passa attraverso il rapporto con l’ambiente e quello

con gli altri e quindi i bambini del prossimo futuro rischiano di

non sfruttare appieno le proprie potenzialità. La carenza di con-

fronti con sé stessi (muovendosi) e con gli altri (parlando) forse

non comprometterà l’intelligenza, ma sicuramente influirà nega-

tivamente su autocontrollo e fiducia in sé stessi. Parafrasando

una nota pubblicità, si potrebbe ricordare che “l’intelligenza è

nulla senza controllo”.

La maggior parte del tempo, però, i bambini lo trascorrono a scuo-

la. L’inadeguatezza dell’ambiente urbano alle loro necessità, quin-

di, potrebbe in parte essere compensata da un’ideazione dei con-

tenuti e degli spazi in ambito scolastico capace di garantirgli quel

movimento che il resto del mondo ormai gli proibisce. Se la finali-

tà della scuola è quella di educare e formare i cittadini del futuro,

come può non avere negli obiettivi principali quello di permettere

alla potenzialità cognitiva di esprimersi nella sua interezza?

Il sistema scolastico attuale, pur riconoscendo teoricamente al

SPORT E TALENTIdi Marco Gaburro*

*Allenatore di 2ª Categoria

L

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movimento la stessa dignità delle altre materie, lo porta, in prati-

ca, ad avere un ruolo marginale nel percorso formativo dei gio-

vani. Le cause sono principalmente due: il modo con il quale ven-

gono formati gli insegnanti (percorso magistrale) non sempre uti-

lizza il giusto approccio nei confronti dell’importanza del movi-

mento umano, non considerandolo preponderante per un equili-

brata attuazione dei processi cognitivi ma relegandolo a banale

elemento ludico, utile quasi esclusivamente a far riposare il cer-

vello tra un’attività cognitiva e l’altra; le strutture, inoltre, a livel-

lo nazionale sono molte volte inadeguate per permettere a chi di

dovere di proporre nel migliore dei modi l’attività motoria. Di con-

seguenza al primo problema si hanno insegnanti che non danno

il giusto peso all’attività motoria, oppure che, pur intuendone

l’importanza, si trovano privi degli strumenti indispensabili per

poterla proporre correttamente e quindi “senza fare danni”. Dal-

la mancanza di strutture adeguate, invece, consegue una vera e

propria impossibilità a far muovere i bambini. Il tutto in una pro-

grammazione che riserva al movimento solo qualche briciola del-

l’orario settimanale. Si pensi che l’educazione fisica non è previ-

sta negli asili nido, mentre nella scuola dell’infanzia e in quella

primaria è lasciata alla buona volontà degli insegnanti, non più di

un’ora a settimana. In alcuni casi sono i genitori ad accollarsi la

spesa di qualche integrazione, chiamando ad intervenire profes-

sionisti extrascolastici. Un insegnante di educazione fisica vero e

proprio compare solo nella scuola secondaria e non ha a disposi-

zione più di cento minuti alla settimana. A dieci anni, però, lo svi-

luppo motorio del bambino è ormai in gran parte compromesso,

tanto che risulterà sempre più difficile intervenire per migliorarlo

in futuro. Ogni settimana, inoltre, viviamo centosessantotto ore.

Anche se il bambino ne dormisse la metà, gliene rimarrebbero ot-

tantaquattro da trascorrere sveglio. E praticare attività fisica nel-

la scuola secondaria per due ore alla settimana significa dedicare

all’educazione motoria un tempo irrisorio rispetto al totale delle

ore a disposizione. In realtà il movimento dovrebbe essere tanto

e di qualità. Nella necessità di ridurlo, si dovrebbe intervenire su-

gli anni successivi a quelli dell’infanzia, mentre attualmente av-

viene proprio il contrario. E’ disarmante che sia proprio la fascia

d’età 0-6 anni quella più scoperta dal punto di vista motorio, vi-

sto che si tratta del periodo più importante nello sviluppo del

bambino. A tutto questo si aggiunge una “tendenza generale” da

parte di componenti esterni alla scuola (genitori e mass-media)

ad accelerare i tempi, bruciando le tappe. Così già agli asili nido i

bambini sono chiamati a compilare schede, a sedersi al tavolo, ad

allontanarsi dal loro istinto di muoversi e giocare usando il pro-

prio corpo, per iniziare il prima possibile a sviluppare solo alcune

delle loro facoltà mentali. Alla scuola dell’infanzia succede la

stessa cosa, tanto che la maggior parte di loro arriva alla scuola

primaria già in grado di leggere e scrivere. Da questa “corsa con-

tro il tempo”, però, ne esce sconfitto soprattutto il bambino, che

vede privilegiare a torto solo alcuni aspetti del suo percorso evo-

lutivo, a scapito, purtroppo, di quelli più importanti.

L’unica soluzione possibile sembrerebbe essere quella di una re-

visione radicale del sistema scolastico nazionale. I bambini do-

vrebbero partire dall’esperienza, dal gioco. Da li dovrebbero sca-

turire quegli stati di necessità che permettano poi di approfondi-

re sui libri le varie materie. Dal giardino, dal campo giochi, dalla

palestra dovrebbero nascere i presupposti della curiosità e del bi-

sogno di conoscenza. Seguendo l’orientamento attuale, invece,

l’educazione fisica troverà sempre meno spazio nelle scuole. I

bambini saranno sempre prima e sempre più in fretta indottrina-

ti, informatizzati, omologati.

Le strutture degli uomini occidentali saranno, conseguentemente,

sempre meno adatte a muoversi e tutte quelle attività che richie-

dono un elevato contributo motorio ne risentiranno. I lavori fisi-

camente più impegnativi, come quelli edili o agricoli, verranno

probabilmente svolti da uomini nati in Africa, in Asia ed in Sud

America, cresciuti in un ambiente stimolante e non inibente. Lo

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SETTOREGIOVANILE

sport, che dovrebbe rappresentare l’esaltazione del movimento

umano, subirà un cambiamento simile, vedendo primeggiare sem-

pre più gli atleti provenienti da quegli stessi Paesi. E’ solo una

questione di tempo: quando i vantaggi ambientali saranno ac-

compagnati da un aumento di cultura sportiva, il gioco sarà fat-

to. Troppe volte si è data una spiegazione di natura “genetica” al-

la grande abilità dei brasiliani di giocare a calcio o dei cubani di

giocare a pallavolo. La componente genetica è fondamentale nel-

la formazione di un talento sportivo, ma non si dimentichi che

nella formazione e nello sviluppo del sistema nervoso, l’apporto

genetico è relativo e soprattutto è condizionato fortemente dagli

input provenienti dall’ambiente esterno nei primi anni di vita.

Quindi è difficile che senza una base genetica un bambino diven-

ti un talento, ma è altrettanto difficile che con una base genetica

sufficiente, un bambino possa diventare tale senza le sollecitazio-

ni adeguate provenienti dal mondo in cui cresce e vive.

Da anni si sprecano i dibattiti su “come” allenare un atleta, su

quanto una buona metodologia d’allenamento possa incremen-

tare le possibilità che un individuo geneticamente dotato arrivi a

fare sport ad altissimo livello. Il calcio italiano sta perdendo sem-

pre più in “qualità”. Più che in serie A, dove la presenza di gio-

catori stranieri in parte compensa tale lacuna, lo si può notare nei

campionati professionistici minori, dove è palese l’impoverimen-

to tecnico generale. Visto che la predisposizione genetica degli

italiani a giocare a calcio non dovrebbe essere mutata di molto da

vent’anni a questa parte, si finisce spesso con il dare la colpa al-

la scuola calcistica. In Italia si sarebbe prediletto per anni (ed è

vero) l’insegnamento della tattica e l’irrobustimento fisico dei

giovani calciatori a scapito della cura della tecnica. In Italia, in

pratica, si sarebbe preteso di allenare calcio senza proporre cal-

cio. Una pretesa che, alla luce delle poche ore dedicate dai bam-

bini al gioco del calcio, ha preso le sembianze di una presunzio-

ne. Spesso si prende ad esempio la scuola brasiliana. Bene: in Bra-

sile innanzitutto si gioca a calcio. Non c’è un metodo scientifico,

una via studiata a tavolino per “costruire” talenti; ci sono la stra-

da, il gioco libero, la creatività. E nella strada c’è una componen-

te fondamentale troppo spesso trascurata nelle analisi intellet-

tuali occidentali: la quantità. Perché è indiscutibile che meglio un

atleta lavora e più è facile che si migliori, ma se quella qualità è

concentrata in un numero di ore irrisorio, rischia di diventare inu-

tile. La strada brasiliana, senza allenatori, preparatori atletici,

macchine di potenziamento muscolare, elettrostimolatori, è in

grado di aiutare gli elementi geneticamente predisposti ad eccel-

lere nel gioco del calcio molto di più rispetto alle alchimie tecno-

logiche occidentali, semplicemente perché il tempo dedicato al

gioco da parte dei bambini brasiliani è decisamente superiore ri-

spetto a quello dedicato dai nostri bambini. Gli allenatori sportivi

dovrebbero cercare di intervenire sulla motricità dei loro allievi in

modo da aiutarli a migliorare, favorendo confronti utili. Quegli

stessi confronti che il gioco spontaneo permetterebbe di compie-

re in tempi più dilatati. I vantaggi derivanti dalla presenza di un

allenatore però, passano attraverso due condizioni: il livello pro-

fessionale dell’allenatore e il numero delle ore comunque dedica-

to alla disciplina. Quando la differenza tra le ore dedicate alla di-

sciplina sportiva libera da un bambino brasiliano e quelle dedica-

te alla disciplina sportiva guidata da un bambino occidentale è

troppo marcata a svantaggio del secondo, gli accorgimenti meto-

dologici diventano irrilevanti.

I talenti sportivi occidentali diminuiranno sempre più, fino a

quando il modello di vita non cambierà, fino a quando non ver-

ranno restituiti ai bambini quegli spazi e quei momenti ludici in-

dispensabili per il loro sviluppo. Solo così si potrà invertire la ten-

denza, permettendo di trarre vantaggi a tutti, non solo agli spor-

tivi. Perché un’infanzia in movimento garantirebbe uno sviluppo

più equilibrato anche a chi successivamente decidesse di vivere

seduto ad una scrivania. Nello sviluppo cognitivo, come visto. E

nel gettare le basi per una salute più duratura. In tal senso vanno

sensibilizzate le famiglie. In questa direzione, soprattutto, deve in-

dirizzarsi il dibattito sulla scuola. Per ottenere risultati concreti va

per forza di cose riconsiderata la valenza educativa dell’attività

motoria. Nei fatti oltre che nelle parole, aumentando drastica-

mente il numero delle ore settimanali da dedicare al movimento.

L’obiettivo finale è quello di ritornare ad una società più vivibile

ed equilibrata. Una società che permetta di nuovo ai bambini di

giocare all’aria aperta. E questo può avvenire solo dopo aver

cambiato la scuola, il modo con il quale si formano i bambini, gli

stati di necessità che in loro si inducono. Saranno loro, poi, a cam-

biare la società in cui si troveranno, perché la riterranno inade-

guata. Saranno loro che restituiranno alle generazioni future

quell’ambiente vivibile che noi abbiamo perduto.

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FORZAAZZURRI!