Raccontare G.Zen.Net

89
con il sostegno di Raccontare G.Zen.Net a cura di Martino Lo Cascio RETE INTERISTITUZIONALE dell’UPL SAN FILIPPO NERI PALERMO CONFR DI SAN GIUSEPPE DEI FALEGNAMI ATERNITA Ente ecclesiale di culto, religione, istruzione, promozione umana e cristiana P alermo .zza Santa Chiara n.10 – 90134 P

Transcript of Raccontare G.Zen.Net

Page 1: Raccontare G.Zen.Net

con il sostegno di

’UPLAMI

CONFR DI SAN GIUSEPPE DEI FALEGNATERNITAEnte ecclesiale di culto, religione, istruzione,

promozione umana e cristianaP alermo .zza Santa Chiara n.10 – 90134 P

R

G

RETE INTERISTITUZIONALE dellSAN FILIPPO NERI

PALERMO

accontare

.Zen.Net

a cura di Martino Lo Cascio

Page 2: Raccontare G.Zen.Net

CONFRATERNITA DI SAN GIUSEPPE DEI FALEGNAMI

Ente ecclesiale di culto, religione, istruzione, promozione umana e cristiana

P.zza Santa Chiara n.10 – 90134 Palermo

RETE INTERISTITUZIONALE dell’UPLSAN FILIPPO NERI

con il sostegno di

Il presente lavoro si è avvalso della collaborazione della Dott.ssa Casella Claudia e della

Dott.ssa Anita Scarpello.

Si ringraziano tutti i partner del progetto G.Zen.Net:

Confraternita San Giuseppe dei Falegnami, Caritas Diocesana di Palermo, Istituto Don Calabria, Centro Socio Culturale E.Piazza onlus, Associazione Lega contro la droga, Associazione Apriti Cuore onlus, Centro Studi – Opera Don Calabria, Associazione Shalom, Associazione Lievito onlus, Associazione di volontariato “Centro Sociale Laboratorio Zen Insieme”, Circolo Culturale Nuova Società, La Panormitana Soc.Coop. Sociale onlus, Parrocchia S.F.Neri, Associazione “centro Sociale Dusmet” onlus, Ufficio Servizio Sociale per Minorenni- Palermo, I.C.S. G.Falcone, I.C.S. L.Sciascia,, M.I.U.R. –U.S.R. SICILIA U.S.P. Palermo, Osservatorio Scolastico Distretto 13 AT XV, ASP 6 Palermo Distretto 13 Unità Operativa Educazione alla Salute, I.P.S. G.Salvemini, Comune di Palermo, Centro di Accoglienza Padre Nostro, Centro di Solidarietà della “Compagnia delle Opere Don Giosuè Bonfardino”, Centro Assistenza Legale, Consorzio Comunità Nuova, ENDO-FAP, Circlo ACLI Padre Pino Puglisi, Società Cooperativa Sociale “La Lucerna”, INAS, Associazione Handala, Servizio Sociale di Comunità VII Circoscrizione

Si ringraziano tutti i membri del Comitato di Pilotaggio: Mons.Benedetto Genualdi, Giuseppe Mattina, Dott.ssa Rosalba Salierno, Claudia Casella, Anita Scarpello, MariaPia Avara, Martino Lo Cascio, Maurizio Artale, Carla Mazzola, Giuseppe Di Nunno, Claudia Cassarà, Passantino Dorotea, Girolamo Provenzano, Maurizio Gallo, Riso Salvatore, Massimo Castiglia e Salvatore Cavalieri.

Si ringraziano tutti i partecipanti al workshop del 1 Luglio 2011 :

Concetta Russo, Antonino Viola, Giuseppe Bonucci, Agnese Cracolici, Calogero Milanese, Martino Passanisi, Benedetto Madonna, Antonia Brancato, Nunzia Orlando, Rosalia Abbate, Vincenza Cardovino, Maurizio Gallo, Massimo Castiglia, Elbana Moro, Giuseppa Riccardi, Salvatore Casella,Catenina Bagnasco, Michele Mulà, Salvatore Cavalieri, Antonio Callea, Girolamo Provengano, Valentina Lo Castro, Maria Francesca Mansueto, Teresa Ferlisi,Caterina Furnari, Elisa Barraco.

2

Page 3: Raccontare G.Zen.Net

3

INDICE

Prefazione a cura di Mons.Benedetto Genualdi 4 Raccontare Gzennet: storied’operatori in giro per il quartiere a cura Martino Lo Cascio 1 Premessa e contesto 6

1.1 Fare Mente Locale 7

1.2 G.Zen.Net: un progetto con “Fondazione con il Sud” 8

2 Narrazione e lavoro sociale 11

3 Il workshop narrativo 14

4 Primo Sentiero: 17

4.1 Il corpo 19

4.2 Essere IN, essere OUT 21

4.3 Emozioni 24

4.4 Gli abitanti 28

4.5 Lo stile ed il metodo nel lavoro sociale 32

5 Secondo Sentiero: le cose andate storte 35

6 Terzo Sentiero : intuizione e scoperte 40

7 Quarto Sentiero: impegni per il futuro 46

8 Considerazioni Conclusive 50

Postfazione a cura della Dott.ssa Salierno 56 Allegati

Riflessioni i Narrazioni di un’avventura urbana 62

Biografia 89

Page 4: Raccontare G.Zen.Net

4

Prefazione A Cura di Mons. Benedetto Genualdi

La Caritas Diocesana di Palermo, ha sempre avuto una particolare attenzione

nei confronti delle periferie urbane della città.

Attraverso i suoi molteplici interventi, progetti, studi e ricerche si è sempre fatta

prossima nei confronti dei singoli e delle famiglie che abitano nei “quartieri difficili”,

attraverso l’indagine condotta con il progetto Aree Metropolitane si è rilevato il

cambiamento delle periferie, la loro trasformazione, tutto ciò ci ha permesso di

“progettare ed agire percorsi di umanizzazione e cambiamento”.

L’attenzione al quartiere San Filippo Neri, ha permesso un’analisi dell’esistente,

in termini di servizi, di attività, di sostegno ed inoltre si è analizzato il sistema delle

risorse sia quelle esistenti sia quelle potenziali, si sono avviati i contatti, le

comunicazioni, le relazioni, sempre supportati dalla rete interistituzionale San Filippo

Neri.

La strada intrapresa, ancora lunga da percorrere, che ci ha portato però alla

presentazione di un progetto, come risposta ad un bando promosso da Fondazione con

il Sud, alla vincita ed alla realizzazione del Progetto G.Zen.Net

Ripensare G.Zen.Net, alla sua nascita e soprattutto al suo sviluppo lento,

impervio ma estremamente deciso, riporta alla mente immagini, emozioni, stati

d’animo.

Alla conclusione di tutto il percorso è lecito chiedersi cosa ha lasciato, che

impatto ha avuto sia nei confronti degli operatori, degli enti ma soprattutto sul

quartiere e sui suoi abitanti.

Spinti dall’emozionante workshop conclusivo del progetto, nel mese di luglio, si

è giunti ad una scrittura collettiva di un testo frutto dell’esperienza di vita personale

e professionale, l’uso della metodologia narrativa utilizzata si è rivelata uno strumento

efficace al fine di manifestare l’agire dell’operatore, la scrittura, infatti, crea

“occasioni di crescita e di consapevolezza del vissuto.”

Il progetto G.Zen.Net ha restituito dignità non solo al quartiere “Zen” ma ad

ogni abitante, adulto o bambino, accompagnando e sostenendo il singolo e la comunità

nel normale e quotidiano percorso di vita.

Page 5: Raccontare G.Zen.Net

5

La presenza, l’essere e l’esserci, non solo con il corpo ma soprattutto con la mente e con

il cuore ha favorito la condivisone di valori, principi e stili di vita, “l’importanza di

vivere con loro, in strada, di conoscere ragazzi e famiglie, di farsi vedere vicini, di

chiacchierare anche del più e del meno in una panchina o al bar” ha consentito tutti di

essere e di farsi prossimi verso gli altri. E’ nell’incontro con le persone che

l’accoglienza diventa la prima forma di evangelizzazione e testimonianza.

Tantissime le persone, “i personaggi” e le situazioni che gli operatori durante

tutto l’arco della realizzazione del progetto hanno incontrato e conosciuto, questi

momenti sono riportati “fedelmente” all’interno del libretto, dalla loro lettura,

riflessione ed analisi emerge la costante ricerca qualcosa, qualcosa di perduto o

negato, contemporaneamente però si tocca con mano la voglia di un riscatto

individuale e collettivo nei confronti della vita,

“Raccontare G.Zen.Net”, rappresenta un modo diverso di raccontarsi e di

raccontare il quartiere attraverso il vissuto degli operatori e degli abitanti, è grazie

alla valorizzazione dell’esperienza che si riesce a cogliere la complessità

dell’esistente/reale.

La consapevolezza di lavorare in un luogo di forte fragilità umana, sociale e

culturale non deve essere un impedimento alla crescita di una coscienza civile e

maturità ecclesiale, il compito che tutti quanti dobbiamo assumerci da ora in poi è

quello di continuare a credere in ciò che facciamo ed affermare i principi di giustizia e

legalità impegnandoci a far rete sulla base dei nuovi stimoli e delle spinte

motivazionali emerse.

Page 6: Raccontare G.Zen.Net

Raccontare G.Zen.Net: storie d’operatori in giro per il quartiere

(a cura di Martino Lo Cascio)

1 Premessa e contesto

Presentare il S.Filippo Neri, ovvero lo Zen (Zona Espansione Nord), è

un’operazione davvero ad alto rischio. Talmente tante sono le rappresentazioni,

talmente incrostate le immagini che abbiamo negli occhi, talmente bugiarde le visioni

mediatiche tramandate, che qualsiasi descrizione teme di risultare poco credibile o,

addirittura, fraintesa e sfocata. Di sicuro lo Zen, negli anni, è stato etichettato quale

quartiere simbolo del degrado, dell’impossibilità di recupero, della disperazione

profonda, dell’assenza di Stato ed è stato uno dei quartieri europei che al contempo

usufruiva di grandi attenzioni, interventi pubblici e privati, sovvenzionamenti e

finanziamenti per un suo possibile riscatto.

Oggi la vera aspirazione del luogo che è stato spesso dipinto come “ghetto” è di

acquisire una sorta di normalità, una maturità e originalità d’espressione come frutto

di tutti questi anni di sacrifici personali, sperimentazioni sociali, ripensamenti

urbanistici, avventure culturali.

6

Page 7: Raccontare G.Zen.Net

7

1.1 Fare mente locale Circa 3 anni fa, a seguito di riflessioni congiunte della rete “S.Filippo Neri” è

stato redatto in forma partecipata il primo Piano di Sviluppo di Quartiere denominato

“Fare Mente Locale”. Il Piano nasce dopo alcuni anni di sperimentazione della

suddetta rete e punta sulla scommessa di rimettere il bene comune al centro

dell’interesse collettivo.

E’, dunque, la ricostituzione di un particolare assetto educativo ad essere il

perno, l’oggetto, la finalità di “Fare Mente Locale”. Ridare corso alle potenzialità

educative dell’intera comunità per ridare “progetto comune”, per riprendersi i desideri

condivisi, per ritornare alla reciprocità, per ristabilire l’intergenerazionalità

propositiva e costruttiva. Ripartire da un’educazione che renda necessaria e

apprezzata la convivenza. Ma la convivenza è il risultato di un processo. Si può

generare solo “insieme” ed è il luogo reale dove in concordanza di azioni concrete le

persone mettono in comune i loro desideri in una cornice di accettazione reciproca.

Educare, educarsi attraverso una migliore conoscenza di se stessi, delle proprie

caratteristiche individuali, familiari, comunitarie. Educarsi, educare, ristabilendo le

priorità, le modalità, gli aspetti etici.

Nello specifico il Piano di Sviluppo di Quartiere si basa sui principi della

ricerca-azione, della progettazione partecipata, delle strategie di rete e

dell’empowerment di comunità mentre si privilegiano gli interventi in 4 aree

principali:

Le strategie educative;

• Le relazioni abitanti-ambiente;

• La promozione della salute;

• Il lavoro: le nuove competenze e le prospettive comunitarie.

Il Progetto “GZenNet” viene concepito proprio insistendo nel tentare – con una

serie di vincoli e limiti non indifferenti – di rispettare e seguire le strade tracciate dal

piano di sviluppo “Fare Mente Locale”

Page 8: Raccontare G.Zen.Net

1.2 G.ZenNet: un progetto con “Fondazione con il Sud”

All’interno di questa temperie e dell’attuale fase di vita del quartiere, dunque,

possiamo calare il progetto “GZenNet”, nato dall’aggregazione di due differenti reti

interistituzionali che già operavano su quel territorio. G.Zen.Net nasce con l'obiettivo

di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti del quartiere San

Filippo Neri attraverso una serie variegata di interventi.

Il progetto è finanziato dalla Fondazione con il Sud e coinvolge 32 partner tra

cui istituzioni pubbliche, enti ecclesiastici ed associazioni che da anni lavorano insieme

nel quartiere e che hanno trovato in questo progetto la possibilità di operare

congiuntamente.

L’ente Capofila del Progetto è la Confraternita S.Giuseppe dei Falegnami -

Caritas Diocesana.

Il progetto si articola su tre principali aree d’intervento:

• AREA A: Cura e valorizzazione dei beni comuni;

• AREA B: Centro polivalente di prossimità: sviluppo, qualificazione di servizi

socio-sanitari-culturali, promozione di percorsi di legalità;

• AREA C: Comunicazione.

8

Page 9: Raccontare G.Zen.Net

9

Per entrare nello specifico del presente contributo, si aggiunge che all’interno di

quest’ultima area si è creato un gruppo di lavoro1 che sulla base delle numerose

sollecitazioni degli operatori e dei dirigenti si è incaricata di preparare, ideare e

attuare alcuni momenti di formazione ed autoformazione, sebbene non fossero stati

previsti in fase di progettazione. Da più parti, infatti, emergeva la necessità

impellente di riflettere sul proprio operato, sulle attività poste in essere,

sull’organizzazione generale, sui canali di comunicazione più adeguati per migliorare

la qualità dei servizi - sia relativamente all’utenza esterna sia nei confronti degli stessi

partner progettuali. Il gruppo di lavoro ha, peraltro, agito cercando costantemente di

costruire proposte che fossero non solo pragmaticamente utili ed efficaci per i

destinatari ma che potessero essere, attraverso riunioni e correzioni continue, pensate

insieme con l’intero corpo degli operatori beneficiari.

Due sono state le tappe pregnanti:

un incontro di due giorni su alcune parole chiave individuate in precedenza

nonché l’approfondimento dinamico e interattivo sulla progettazione

partecipata;

un workshop narrativo di valutazione complessiva e finale della propria

esperienza d’operatori dentro “GZenNet”.

E’, soprattutto, in questa seconda tappa del percorso che si sono utilizzate tecniche

narrative per raggiungere gli obiettivi che ci si era preposti e per le potenzialità che gli

si riconoscono in ambito sociale.

1 Dott.ssa Claudia Casella, Dott.ssa Anita Scarpello, Dott. Luciano D’Angelo, Dott. Martino Lo Cascio

Page 10: Raccontare G.Zen.Net

10

Page 11: Raccontare G.Zen.Net

2 Narrazione e lavoro sociale

Sono ormai diversi anni che l’ambito della formazione psico-sociale e della

ricerca-azione sulle nuove forme di cittadinanza si interroga sulle modalità e le

applicazioni che lo strumento narrativo può rappresentare per ampliare e rendere

complessa la conoscenza degli individui e dei loro contesti. Iniziano, così, ad esserci

alcune esperienze interessanti e si fa strada un filone di approccio alla realtà sociale

che sembra riservare ottime prospettive di sviluppo nella consapevolezza di fratture e

distanze che negli anni si sono originate tra operatori e utenti. In particolare,

riprendendo le parole di una proposta formativa della rivista “Animazione Sociale”

possiamo affermare che vi sia un vero deficit di narratività”: “Di ciò che fanno gli

operatori sociali i cittadini sanno poco e questo non sapere rischia di alimentare una

"società del diniego". Ovvero dell'indifferenza e dell'abbandono. Per questo è cruciale

oggi per gli operatori sociali apprendere, oltre ai linguaggi della tecnica e della

burocrazia, l'arte di raccontare”.

Come bene ha mostrato Bruner, si può parlare di un vero e proprio “pensiero

narrativo” che sta accanto al cosiddetto “pensiero paradigmatico”. La “psicologia

popolare” (quella che utilizziamo nella vita di tutti giorni) utilizza proprio questo

pensiero narrativo piuttosto che essere legata a leggi, logiche razionali e categorie

astratte. Il pensiero narrativo e il raccontare si occupano di permettere il confronto

delle persone con le convenzioni della propria cultura, di ricostruirne i significati, di

mettere ordine alle molteplici interpretazioni degli eventi. In particolare è molto utile

11in momenti d’empasse, come quello attuale, perché “l’attenzione alle trame (…) alle

Page 12: Raccontare G.Zen.Net

modalità attraverso le quali si racconta in una specifica cultura è spesso indicatore

(…) di un modo appreso e utilizzato per affrontare eventi critici, nuovi, portatori di

incertezza” (M. Tomisich, 1998)

Le strutture narrative sono modelli della mente per conoscere la realtà, per

compren

particolarmente

indicata

guente passaggio di un autore: “Nel

narrare

dere il mondo esterno e interno, per comunicare sulle cose della vita. E in

fondo gli schemi narrativi utilizzati ogni giorno da ciascuno di noi non differiscono

molto da quelli che, con altri intenti ed esiti, utilizzano i narratori di professione. Un

grande narratore diceva: “Ogni volta che chiedevo a mio padre di spiegarmi il

significato di qualche cosa, la risposta iniziava sempre con: “le cose stanno così….

C’era un uomo che viveva…Una volta uno studioso….C’era una vedova con un unico

figlio…Un uomo viaggiava per una strada solitaria…” e così via” (S. Bellow). Come già

ci diceva Bateson in “Mente e Natura”, quando vogliamo spiegarci cosa ci accade,

utilizziamo inevitabilmente una storia e il suo linguaggio metaforico.

L’uso della metodologia narrativa nel nostro lavoro, inoltre, è

per approssimarci “alla concezione di se stessi e delle proprie capacità” (J.

Bruner, 1996) e dunque alle rappresentazioni che gli operatori hanno del loro agire e

del loro “Sé professionale”. In una ricerca che si rivolga a gruppi e organizzazioni di

lavoro, d’altronde ciò che maggiormente attira non sono i singoli racconti ma l’affresco

che si compone mettendo insieme le varie storie.

Vale la pena riportare integralmente il se

la storia del proprio contesto lavorativo (o la propria storia in quel contesto),

può succedere in qualche caso che le storie riescano a dare visibilità a ciò che è noto

ma resta opaco: a quelle divaricazioni tra realtà esistente e realtà dichiarata che

12

Page 13: Raccontare G.Zen.Net

13

, idee,

emozion

permangono oggi in molte situazioni organizzative, alla possibilità di aprire spazi e

possibilità di comunicazione quando il percorso dell’azione organizzativa risulta

ancora provvisorio, imprevisto, o poco comprensibile” (A.Nannicini, 1998) Il nostro

stesso workshop ha evidenziato la grande richiesta di luoghi in cui raccontare e come

siano ricchi i tesori che vogliono emergere in superficie; abbiamo toccato con mano che

un vero “spazio narrante” è il luogo dove c’è desiderio di ascolto (Bompiani G.).

Un luogo (formativo ma non solo) in cui liberare parole, pensieri

i e favorirne la proliferazione secondo ricomposizioni inaspettate e creative. In

tal senso, osserviamo di sfuggita che diverso è scrivere (o raccontare) per sé o per

essere letti (ascoltati) dagli altri. In situazione pubblica il reciproco raccontarsi attiva

una funzione specchio che interroga, sfida le premesse, rimanda visioni perturbanti,

incontrollate e dunque ci mette in gioco, ci sottopone ad un rischio ma anche alla

possibilità di scrostarsi da atteggiamenti e comportamenti ormai sterili. Possiamo dire

che narrare sollecita esperienza sociale e immaginazione creativa incastrando in modi

imprevisti la moltiplicazione degli sguardi “risvegliati”.

Se raccontare “permette di staccarci dall’esperienza per esaminarla, di esplorare

situazioni da altri punti di vista, di formarci delle opinioni, di risolvere problemi, di

comunicare intuizioni, di mettere a confronto idee e di sviluppare l’immaginazione e la

creatività” (R. Dynes,) allora si dovrà utilizzarla soprattutto nell’immaginazione

sociale poiché gli interventi – in linea e in sincrono con i mutamenti perenni del sociale

– hanno una costituzionale necessità di trasformazione continua di strumenti, griglie

di lettura ed epistemologie di riferimento.

Page 14: Raccontare G.Zen.Net

14

3 Il workshop narrativo

Ricollegan lidoci a quanto si diceva sulla formazione proposta ag operatori del

progetto

onquiste;

Sono state scelte due tecniche differenti per abbordare le questioni. Per quanto

con

precisate nel capitolo

successivo) vi è l’idea che la scrittura biografica come tecnologia formativa possa

G.Zen.Net, nel workshop conclusivo si è richiesta al gruppo la scrittura vera e

proprio di un testo composto da vari capitoli, puntando sulle loro risorse narrative.

I capitoli del testo diventavano i seguenti:

gli episodi emblematici;

le cose andate storte;

le intuizioni/scoperte/c

gli impegni per il futuro.

cerne gli episodi emblematici, per loro natura necessitanti di un tempo più dilatato

e di una ritualità più precisa, si è utilizzato un classico “cerchio narrativo” e tutti

hanno avuto modo di scrivere e poi narrare in pubblico la storia che avevano prescelto

dal baule dei loro ricordi. Nella seconda sessione dei lavori, invece, si è interpellati

sempre in forma scritta, chiedendo loro pareri, idee, opinioni che poi hanno potuto

dibattere in piccoli gruppi per tema; successivamente, un dibattito in plenaria al fine

di completare e condividere con l’intera rete dei partecipanti i vari “capitoli”,

“paragrafi” e “frasi” da inserire definitivamente nel testo-libro.

Alla base di queste scelte metodologiche (meglio

Page 15: Raccontare G.Zen.Net

15

creare “occasioni di crescita e di auto sviluppo attraverso cui affrontare i momenti

“critici” e le fasi di passaggio da una condizione di incertezza ad una di maggiore

consapevolezza.

La riorganizzazione dell’esperienza consente l’evoluzione, il cambiamento, la

presa in carico e la risoluzione degli episodi di vita” (M. Cavallo, 2001). A noi serviva,

in questa delicata fase del progetto, cercare di rimandare segnali positivi e fare

emergere soprattutto i punti di forza non oscurando comunque criticità e punti di

fragilità intercettati nei quasi due anni di lavoro. La narrazione è, infatti, una

modalità alternativa e ancora poco sperimentata di esplorare temi, scegliere fatti

rilevanti per l’interpretazione e la riprogettazione, individuare relazioni significative e

nuove connessioni tra eventi, pratiche ed eventuali insuccessi. Inoltre, come elemento

non secondario e accessorio, si è voluto costruire uno spazio in cui ci si potesse anche

“ri-creare”, rigenerare e per ciò stesso ritrovare motivazione e piacere al proprio

lavoro. Un recupero delle emozioni lasciate taciute, dell’umanità debordante che si

sprigiona nelle relazioni lavorative con l’utenza. In parole povere stare bene insieme,

mettere in comune aspetti che promuovano l’agio tra operatori senza paure di essere

giudicati e senza onnipresenti sguardi e pressioni sul “risultato” da ottenere a tutti i

costi. Più schematicamente possiamo indicare i seguenti obiettivi raggiunti.

Page 16: Raccontare G.Zen.Net

16

biettivi generali:

di un nuovo gruppo di lavoro composto da operatori che vanno al di là delle appartenenze associative o istituzionali;

on gli abitanti del quartiere;

- ine alla cura di sé come soggetto professionale bisognoso di

Ob t

n forma differente le situazioni problematiche per enuclearne elementi solo intuiti, nuove prospettive di visione, modi di lettura alternativi;

- to

ogettare i passi da compiere sulla base di una

- - i nuove idee soprattutto in tema di

re, è stata

fondam

sato che si

doveva

ciascuno.

O

- Costituzione

- Costruzione di una cultura di riferimento che accomuni gli operatori per condividerla e farla interagire propositivamente c

- Apprendimento di alcune modalità narrative da implementare per affrontare il lavoro sul campo;

- Promozione della diffusione di luoghi narranti nel quartiere; Rinforzata l’attitudri-crearsi

- Connessione del lavoro sociale al mondo della vita;

iet ivi specifici:

- Ri-narrare i

- Lavorare sulla cura di sé derivante dall’incontro con le narrazioni altrui; Ricreare contesti di sollievo, di agio, di sostegno reciproco, di ben-essere vissuinsieme/grazie agli altri;

- Associare tasselli di momenti autobiografici per intrecciare una “memoria del futuro” e dunque co-prrielaborazione partecipata del passato; Favorire un contesto adeguato all’espressione personale e allo scambio; Stimolare la produzione congiunta dsostenibilità futura delle progettazioni nel quartiere;

- Sviluppare maggiore consapevolezza di sé e degli altri senza attivare meccanismi difensivi di attacco o di negazione;

- Operare un migliore rilassamento e abbassare le tensioni da lavoro.

Per fare ciò, oltre a immaginare le proposte specifiche da avanza

entale la costruzione del setting e dell’insieme di condizioni che aiutassero a

sentirsi piacevolmente immersi in un lavoro di approfondimento “leggero”.

Per quanto concerne il primo dei lavori narrativi, si è più volte preci

evitare di preoccuparsi di grammatica, sintassi, ortografia, che piuttosto

l’interesse era per le trame e l’affettività che le storie avrebbero trasportato con sé.

Naturalmente si sono esplicitate le cornici, gli scopi e gli obiettivi e – dopo aver letto

un breve racconto suggestivo sul tema che potesse indicare il tipo di storie richieste -

in un clima che alternava un silenzio denso ad alcune suggestive musiche per

abbandonarsi alla reverie del racconto si è precisato che sarebbero stati banditi

commenti e giudizi, svalutazioni e critiche nei confronti del concreto lavoro prodotto da

Page 17: Raccontare G.Zen.Net

4 Primo sentiero: gli episodi emblematici

17

Varia e ricca la sequenza dei racconti che sono stati prodotti nella prima

sessione di lavoro ed è davvero difficile riuscire a sintetizzare o estrapolare elementi

esaustiv

enucleare dei temi che ricorrono, giusto per segnalare punti di interrogazione, piste di

lavoro (

i

avverte

i. E’ da rimarcare come molti partecipanti abbiano proprio sottolineato, pur

sforzandosi di rintracciare un ricordo, che non é l’episodio singolo ma bensì la trama

continua dei rapporti ad essere fondamentale. L’episodio viene descritto come punta

dell’iceberg, emblematico proprio perché frutto di un processo a volte lunghissimo e in

qualità di segnale, di luce che rischiara zone fino ad allora solo presentite: “una storia dentro altre storie che si succedono incessantemente una dietro l’altra” .

Le 21 storie raccolte (presenti in allegato) sono davvero ricche e si possono

più che strade diritte sembrano tortuose e polverose carovaniere), intuizioni

per future esplorazioni, eventi metaforici che indicano un orizzonte di ripensamento. Certamente possiamo notare alcune ridondanze e, in alcuni casi, l’emergere di

discorsi spesso soffocati. Ci sono emozioni profonde che attraversano tutti i testi e s

una potente identificazione tra chi scriveva (la persona) e il personaggio che si

muoveva nella storia. Si tratta chiaramente di scritture autobiografiche ma è

interessante notare l’aderenza che si può rintracciare con quelle che sono le

dimensioni più riposte e “non dette” percepite soprattutto nei modi concreti del

racconto: incepparsi dell’eloquio, cambiamenti di toni, improvvisi silenzi, evidenti

reazioni di commozione nell’ascoltare e nell’ascoltarsi. I temi sono numerosi e prima di

approfondirne qualcuno si potrebbero già inventare titoli indicativi e parole evocative

Page 18: Raccontare G.Zen.Net

18

a

come per esempio: “dall’amaro al dolce”, “i tempi delle svolte”, “al di là della maschera”, “restare/andare”, “i muri invisibili”, ecc.. Si cercherà di enucleare alcuni

oggetti di riflessione, mantenendo salvo il fatto che i racconti hanno una loro

utonomia, forza e ragion d’essere a prescindere da qualsiasi analisi successiva e che

la loro pregnanza massima la si ritrova proprio nell’ascolto attivo e partecipe,

nell’esplorazione e nello scavo che essi suggeriscono alla nostra introspezione e ai

dialoghi che innescano.

Page 19: Raccontare G.Zen.Net

19

4.1 Il corpo.

Un elemento che immediatamente emerge è la presenza in moltissimi testi del

corpo, della dimensione materiale, della fisicità delle cose e delle persone, un fattore

da sem

dimenti

acio,

pre sottovalutato e non casualmente assente da molti degli insegnamenti e

degli approcci educativi e di servizio sociale. Nel momento in cui si da spazio al

racconto, questo veicolo di emozioni e strumento di contatto e scambio, smarcandosi da

termini troppo tecnicisti e da parole abusate dalla retorica del lavoro sociale, rifà

capolino il corpo e ne possiamo risentire il calore che si sviluppa nei rapporti sociali.

Nel racconto delle esperienze troviamo ri-umanizzata la relazione utente-

operatore, operatore-operatore e si scopre che, al di là delle parole (ma non

chiamo che la voce stessa con i suoi toni e le inflessioni è parte stessa del corpo,

parte che se ne distacca ma che appartiene alla fisicità) il quotidiano è fatto di sguardi,

saluti, pacche sulle spalle. Nelle fredde valutazioni quantitative o classiche ciò non

riesce a trovare dimora anche se sono proprio questi fattori inesprimibili che spesso

rendono ragione di un intervento riuscito o fallito, di un drop-out o di un destino

riaperto, di una perdita di motivazione o di un nuovo slancio:

“ripagati con un sorriso, un abbraccio, un b

beh tutta la fatica lo sforzo ti viene ripagato”

Page 20: Raccontare G.Zen.Net

20

Ci sono le s icano in una frazione

di secondo ciò che con enormi giri di parole è impossibile, ci sono tutti gli oggetti con

cui avv

trette di mano che sigillano patti o che comun

iene lo scambio, in cui si mantiene alta la temperatura della relazione: la

tazzina di caffè, la porta che si apre e accoglie, la sigaretta offerta e fumata insieme, il

muro che divide o le lacrime che segnano il percorso di un volto. In fondo è questo che

ricorderemo un giorno, più che il numero esatto di colloqui che abbiamo fatto quando ci

chiederanno perché abbiamo continuato ad essere lì, accanto a loro.

Page 21: Raccontare G.Zen.Net

21

4.2 Essere IN, essere OUT.

Una polarità che emerge con frequenza è quella che riguarda il sentirsi dentro

o fuori il quartiere, dentro o fuori i processi di lavoro, dentro o fuori il ruolo assegnato.

Insomm

tendosi

(gli abitanti del quartiere) e la necessità di prendere le distanze,

differe

partenenza a culture sostanzialmente differenti. Come in

ambit

rtanza

percep

a per recitare uno dei mantra del palermitano di borgata “Ma tu a ccu

appartieni?”.

Gli operatori sembrano oscillare tra il desiderio di essere accettati sen

uno di loro

nziarsi, assumere una posizione meno invischiata. Vi è, però, la consapevolezza

che per lavorare in questi contesti, in terre di frontiera molte rigidità vanno riviste e ci

si trova spesso a dovere fare i conti con forme ibride di rapporto professionale, costretti

ad inventare zone di mezzo, possibilità di appartenenze multiple e provvisorie. Come

se si dovessero costruire di volta in volta dei tavoli da gioco dove i ruoli si trasfigurano

e si gioca anche con la propria identità professionale. Momenti in cui si deve accorciare

bruscamente la distanza tra residenti e operatori e fasi in cui vanno ribaditi confini e

termini della convivenza.

Vi è, del resto, una sensazione generale di voler abbattere quella separatezza

che spesso è anche una ap

o interculturale si possono avvertire sensazioni di estraneità reciproca e uno iato

tra indigeni e stranieri, tra locali ed “invasori”, tra autoctoni e “colonizzatori”. Da qui

viene segnalata la necessità di individuare dei ponti (in alcuni casi anche l’uso del

dialetto può essere interpretato come un luogo di comunicazione – dove peraltro

finalmente l’utente è spesso più competente di noi), dei contesti dove chiarirci a

vicenda le nostre visioni della realtà, dei problemi, delle soluzioni immaginate.

E in quasi tutte le storie assume una rilevanza centrale la comprensione che c’è

bisogno di un tempo lungo, di un intervento non sporadico né precario, l’impo

ita di un lungo “sostare” insieme alle persone e persino nei pressi di quelle

architetture urbane. Entrare in una storia di condivisione delle dinamiche del

quartiere, senza colludervi ma per sentirle e provare a rintracciarne lembi da cui far

partire la trasformazione. “Dare tempo” di avere fiducia, darsi tempo di comprendere

senza costringere l’altro in categorie asfittiche e astratte, “sospendere il tempo” per

Page 22: Raccontare G.Zen.Net

stare nel malessere e per far sedimentare contenuti ed eventi. Solo così può realizzarsi

una complicità nuova che combatte altre complicità tese invece a mantenere il

quartiere nell’illegalità, nella dipendenza, nella disperazione.

In questo complesso gioco d’equilibrio sul confine è spesso possibile che un vero

confron

cative legate

alla s

quotidiano non mediato da regole che vengono da lontano”.

to possa risolversi da subito in uno scontro (di mondi, di prospettive, di

pratiche, di legalità, di linguaggi) ed è proprio da questa sorta di iniziale lotta che si

deve partire per entrare in relazione autenticamente, ridefinendo ruoli, obiettivi,

richieste e domande, aspettative e rappresentazioni reciproche. Per fare ciò può essere

significativo smarcarsi, a volte, dalle figure tradizionali e istituzionali, connotatesi nel

tempo come ostili o avversarie, come nemiche e incapaci di comprendere

In questo senso la forte presenza nel gruppo di lavoro di figure edu

trada rivela come tale soggetto-ponte debba essere molto valorizzato anche

nell’ottica improrogabile di rendere le istituzioni “prossime” e, se è il caso, di rivedere

le figure professionali. Si fa notare, per esempio, che in alcuni casi non si tratti di

resistenza malevola alle indicazioni degli operatori (che pur sempre rappresentano

una Norma, una Cultura, una Visione) ma della presenza nel quartiere e nelle

famiglie di logiche alternative, non globalizzate, non irreggimentate e che vogliono

sopravvivere, sentendo dunque la violenza di un intervento in cui si “esporta” la

democrazia per parafrasare disastrosi interventi di politica internazionale

“c’è un’energia incredibile, una forza di viversi un

22

Page 23: Raccontare G.Zen.Net

23

Per essere più vicini senza mescolarsi, i racconti ci mostrano che l’alleanza tra

adulti, tra operatori e genitori, tra figure prestigiose ed educatori è una delle vie

maestre per il cambiamento integrato e condiviso. Anche per questo la forte

eterogeneità dei background culturali degli operatori, come evidenziato dal gruppo che

ha partecipato all’incontro narrativo, è un punto di forza notevole perché permette di

piegare e rendere flessibile una certa tendenza monolitica delle organizzazioni e

istituzioni, permettendo di trovare varchi, soglie, spiragli per un reciproco

intendimento e per abbinamenti inusuali e la sensazione di essere ascoltati nella

propria diversità. Anche l’operatore sociale scopre di avere dentro di sé una

molteplicità e, consapevolmente e con finalità pragmatiche, potrà di volta in volta

creare sodalizi funzionali giocandosi alternativamente come professionista, come

uomo/donna, come cittadino, come straniero, come giovane/anziano, ecc. Non è facile e

lo scivolare sterile nella confusione di ruoli è sempre in agguato ma vale la pena

iniziare a far esercizi in tale direzione.

Page 24: Raccontare G.Zen.Net

4.3 Emozioni

Se c’è una materia che trova piena espressione nei racconti è – lo ribadiamo –

quella che fa capo alle emozioni. Le emozioni sono state spesso escluse dal raggio di

spiegazione e comprensione degli eventi sociali ma, negli ultimi due decenni stanno

ritrovando uno spazio significativo di ascolto, come riscattate dall’idea positivista di

essere d’intralcio alla conoscenza. Sappiamo, certo, che stiamo parlando di territori

esposti ad un continuo fraintendimento e non si tratta qui di privilegiare tesi e teorie

che puntano su una presunta e romantica efficacia dell’abbandonarsi sentimentale ad

un rapporto di confidenza con l’utente. E nemmeno di una acritica adesione al

“discorso dell’altro”, impigliati nelle proiezioni spesso difensive che l’utente propone.

Piuttosto si vogliono riconsiderare le emozioni come potente veicolo di sapere,

nel quale corpi e intelletti dialogano ad un livello di complessità ancora superiore. Ciò

implica anche una possibilità di confrontarsi – spesso con altri colleghi – su quanto in

noi e negli altri è provocato, alimentato, stimolato dall’incontro, dalla gravosità o

animosità di alcuni eventi vissuti nella relazione coinvolgente con il quartiere.

Nei racconti possiamo cogliere sia le emozioni positive che le negative, le

sensazioni di benessere o di disagio che quegli episodi o la permanenza per gli spazi

dello Zen ha indotto negli operatori. Fortunatamente sembrerebbe prevalere una sorta

di felicità e di soddisfazione che non sempre nei discorsi ufficiali o nelle riunioni

“tecniche” trapela, concentrati come si è spesso sulle disfunzioni e sui problemi. La

riflessione in altro contesto (formativo) e lo strumento narrativo riescono a ridare una

gestalt più completa dove le difficoltà della relazione non sono annullate o negate ma

24

Page 25: Raccontare G.Zen.Net

al contempo si riconnettono con una cornice di generale crescita e di maggiore

equilibrio affettivo.

Lo stesso disorientamento che viene sentito come un freno, una pillola amara,

un oggetto da allontanare e respingere, in questa nuova versione dei fatti in cui le

emozioni riprendono corpo e coscienza allora possono lasciare il posto a espressioni di

meraviglia di segno positivo. Il sentirsi “squilibrati”, privi di punti di riferimento può

essere declinato sul versante della sperimentazione controllata e dell’esplorazione di

potenzialità. Le domande senza risposta acquisiscono lo statuto di pungolo a

perseverare nella ricerca collettiva e partecipe.

Affiorano anche episodi di frustrazione ma, contrariamente ad altri setting, non

si risolvono in lamentazione e la stessa negatività della percezione si stempera in un

silenzio che non richiede commenti. La frustrazione e la rabbia connessa sono

articolate meglio con i vari fattori che la generano e la mantengono e vengono

osservate in un’ottica più umana, come fatti parziali di un processo fatto di cadute e di

momenti dolorosi. Anche la tolleranza alle frustrazioni, come recitano molti manuali di

psicologia, può essere un apprendimento fecondo in ambito di interventi sociali con

comunità e quartieri.

Colpisce, poi, come ritornano sulle labbra parole che si imparentano con l’amore,

altra questione spinosa e delicata. L’amore come forza propulsiva dei rapporti, in uno

sguardo non deturpato dall’accezione corrente e melensa, può ritornare ad essere

indicato come motore di trasformazione e cambiamento anche in questi territori.

Amore come scelta di dedicarsi al benessere dell’altro, come volersi “implicare”

coraggiosamente per costruire con gli altri la possibilità di un “bene comune”. L’amore

25

Page 26: Raccontare G.Zen.Net

trapela persino nel desiderio di imparare dagli utenti, riconoscendogli virtù e talenti,

apprezzando una vivacità anche dolente, e nel riconoscere piccoli risultati che

potranno nel tempo dare conseguenze significative:

“mi sono coinvolta, affezionata, “innamorata” di questi ragazzi,

così fragili e al tempo stesso capaci e desiderosi di essere stimati

e accompagnati a prendersi sul serio e a prendere sul serio

le circostanze e le opportunità che la vita ci offre”.

E si intravede la gioia che si sprigiona quando finalmente le cose funzionano, le

azioni vanno per il verso giusto e iniziano a raccogliersi i primi frutti di tanta fatica.

Una gioia che si fa stupore soprattutto quando - in un gesto, in uno sguardo, in un

ritorno inatteso - si coglie nell’utente la capacità adesso di stimarsi positivamente, di

apprezzarsi per quello che è, di riconoscersi delle qualità sconosciute. E questo amore

per se stesso può inevitabilmente passare solo da uno sguardo esterno (dell’operatore)

“innamorato”. In questo senso essere innamorati si potrebbe intendere come quella

capacità di sentire la nostra fondamentale interdipendenza, la partecipazione alla

ferita altrui, la specularità delle sofferenze e la dedizione agli altri come forma di

ricerca democratica e condivisa delle soluzioni ai nostri problemi, pratici o esistenziali

che siano.

26

Page 27: Raccontare G.Zen.Net

27

Un emozione che si trova, infine, ripetutamente è quella di desiderare lasciar

traccia, un segno che il proprio lavoro non è stato inutile e che possa sempre vedersi

inciso tra le strade del quartiere. Un emozione che è il corrispettivo della paura che

tutto sia stato vano, che il sistema sia così mastodontico e incancrenito da non riuscire

a mantenere una testimonianza viva delle strade alternative, di altri modi/mondi

possibili in quello stesso quartiere.

Page 28: Raccontare G.Zen.Net

4.4 Gli abitanti

Lo spaccato che si apre dalle storie si presta a varie interpretazioni e commenti.

Ad ogni modo sembrerebbe che anche lì ci siano delle oscillazioni tra un pregiudizio

positivo (in fondo sono migliori di noi) e un pregiudizio negativo (sono infarciti di errori

che dovremo estirpare) ma la cosa più ragguardevole è che le narrazioni rivelano una

processualità incessante durante il lavoro quotidiano. Ed è ancora l’ascoltare le storie

reali, questa volta quelle dei residenti, a far pulire le lenti dello sguardo sul quartiere.

Raccontarsi vicendevolmente appare come un canale per la comprensione reciproca e

un vero antidoto contro gli stereotipi, re-insegnando a valutare le situazioni a partire

dalla conoscenza concreta delle persone e della continua revisione delle premesse con

cui ci approcciamo. I drammi che stanno dietro quelle vite rendono più chiari alcuni

atteggiamenti che noi critichiamo e danno maggiore contezza di una pervasiva

diffidenza e sospetto degli abitanti verso chi viene dall’esterno.

Le storie suggeriscono di partire dall’idea che la fiducia sia una conquista e

giammai da intendersi come fatto dovuto, scontato e una volta e per tutte. Anche lo

stesso rispetto che riteniamo si debba verso le istituzioni e operatori dell’aiuto va

rivisto, poiché la storia pregressa con questi soggetti non è stata sempre facile. In

effetti, spesso entrambi si sono mostrati agli abitanti con il loro volto peggiore, più

afflittivo e giudicante, punitivo e colpevolizzante, irrispettoso e sordo. E anche la mano

che si tendeva in aiuto, in alcuni casi si è rivelata paradossalmente un problema. La

fiducia è un processo e va continuamente confermata con azioni precise e presidiata

con cura.

28

Page 29: Raccontare G.Zen.Net

Una prima fotografia sfocata che ci rimandano le storie comprende alcuni punti:

Le famiglie sono i veri luoghi inespugnabili del malessere e qualsiasi intervento che

non metta dentro il sistema familiare sarà ineluttabilmente inghiottito e reso vano.

Famiglie che lottano, famiglie che si sono arrese, famiglie che preferiscono soffrire

mandando “in esilio” i propri figli e consumarsi nel sacrificio, famiglie le cui buone

intenzioni sono piegate da condizioni fisiche o psicologiche intollerabili; I bambini “raccontati” sono certamente provati e doloranti, troppo grandi o troppo

piccoli, ma anche fonte di nuove energie ricreative e costruttive. Sono in alcuni casi

veri maestri e sonde per ripartire dalle empasse che ci bloccano. Le fasi della loro

vita sono descritte come storpiate in un quartiere periferico come lo Zen e nulla

segue un ciclo che si direbbe regolare, normale (ci sia concesso questo termine):

“attraversati dalla scontentezza, dalla furia,

dalla lotta, dalla voglia di fuggire”.

Verso i bambini ritorna un tentativo di ripristinare un canale corporeo, caldo,

materno come a doverli risarcire della durezza del loro entourage. Ci si scambia

giochi, voci, colori. Si cerca di lasciare un’impronta su cui riposare. E sempre

ritornano le mani

29

Page 30: Raccontare G.Zen.Net

30

“massaggio le piccole mani piano piano/le avvicino

le une alle alte e, come per magia ecco che

si toccano gioiose, allegre, amorevoli”.

L’indugiare sulla cura e la lentezza sono un tramite comunicativo essenziale e si

fondono dentro uno stile delicato e rispettoso;

Sono tangibili, anche grazie alla preziosa presenza nel gruppo di lavoro delle

mamme tutor, sentimenti ed emozioni sociali che probabilmente la maggior parte

degli abitanti prova. In particolare hanno contorni più definiti un misto di vergogna

e dignità della propria condizione. E si sente come dentro questi sentimenti assai

radicati ci siano anni di inestricabile interazione tra immagini rimandate

dall’esterno (i media, il Centro-Città, i ceti più abbienti o colti) e osservazione di sé

dall’interno. Bisogna ripartire proprio da lì, da queste premesse che il quartiere ha

di se stesso per spezzare l’identificazione riduttiva e viziosa tra cittadino e

quartiere di residenza (l’idea che se c’è un colpevole, del marcio, allora siamo tutti

colpevoli, marci), rimandando semmai ad un comune senso di appartenenza e di

attaccamento al proprio luogo di vita; Anche nei momenti di festa non bisogna dimenticare che vi è un disagio sottostante

e, pur restituendo serenità e una pausa ai travagli quotidiani, non bisogna far finta

di non accorgersi di quell’allarme. Ascoltare sempre, far festa per evadere ma non

per dimenticare. Non chiudere gli occhi di fronte ad un reale che esplode di fronte

ad ipotesi incongrue, ad aiuti che si sentono stridenti con la violenza di rapporti

quotidianamente subita. Far capire che la festa è solo una tappa di un abbraccio

più ampio e variegato, altrimenti l’abitante sente l’intervento come “sfasato”,

inopportuno, complice delle menzogne. Sono altre urla nel rumore. Come ulteriori

danni provocati della volontà di aiutare e dagli ostacoli e dai limiti che gli operatori

non riescono ad accettare. Così, a volte, si tratta di dover digerire un malessere

senza confini che ci prende alla gola proprio nel momento della gioia collettiva, un

sentimento di colpa e di impotenza verso chi non può condividere quella “pausa”

ludica. Un flash improvviso, nel divertimento generale riapre uno squarcio su chi è

sempre e comunque debole e marginale:

Page 31: Raccontare G.Zen.Net

“non voleva fare la foto con la mamma e le sorelle, ha strepitato,

ha scalciato, ha urlato, si è nascosto: la macchina lo ha

immortalato in un angolo della foto, imbronciato e

con gli occhi lucidi, mentre il resto della sua famiglia sorrideva”;

Risulta di capitale importanza evidenziare con la gente del quartiere ogni obiettivo

realizzato, ogni meta conquistata e le azioni svolte con successo. E’fondamentale

per persone che da sempre vivono nella frustrazione del sentirsi giudicati

inappropriati, inadeguati, fallimentari che ci sia una nuova valorizzazione

autentica e non di facciata. Essere visti come soggetti di diritti dà loro voglia di

farcela, esattamente come nella dinamica con i bambini più piccoli

31

Page 32: Raccontare G.Zen.Net

4.5 Lo stile e il metodo nel lavoro sociale

Il cerchio narrativo ha prodotto delle storie che in filigrana rimandano

parecchie suggestioni per un’impostazione più efficace del lavoro sociale. Sebbene non

fosse nella consegna e non fosse il fulcro della proposta, le storie racchiudono un tesoro

prezioso di ciò che può essere replicabile (best practices) o su cui comunque continuare

a investire, approfondire, sperimentare.

Sia in termini di metodo che in termini di stile personale e di sfumatura

relazionale del rapporto con l’utente si potrebbero adottare:

- Vivere il progetto come una scommessa che, dunque, deve coagulare tutte le nostre

energie e su cui vale la pena rischiare anche in termini personali. Il progetto è solo un

pezzo di un processo più lungo, di una vita “a prescindere” del quartiere, di un flusso

di persone ed eventi che ha un prima e un dopo. Il progetto diventa così un fatto

parziale e uno stimolo che può però sovvertire destini individuali;

- In alcune occasioni è bene ridiventare bambini, rispolverare una dimensione di

spensieratezza che ammortizzi un clima così rude e violento come quello che si respira

spesso allo Zen. L’ammorbidire il contatto e il mollare la presa può essere di buon

auspicio per modificare specularmente l’approccio duro di molti residenti. Se è vero che

vi è una forza modellante dell’ambiente che ci circonda allora anche noi siamo

“ambiente” nel momento in cui interagiamo di continuo e legittimamente con gli

abitanti. Gli schemi che si ri-modellano possono così subire un’ibridazione e dar luogo

ad altri modelli;

32

Page 33: Raccontare G.Zen.Net

- L’importanza di vivere con loro, in strada, di conoscere ragazzi e famiglie, di farsi

vedere vicini, di chiacchierare anche del più e del meno in una panchina o al bar.

Infatti “la narrazione spostandosi sulle storie va alla ricerca di fenomeni intrecciati

con la vita quotidiana, il racconto si intesse di analogie metafore, non offre prove o

dimostrazioni, anzi intreccia episodi drammatici con altri più simili alle chiacchiere,

connette volti, comportamenti, emozioni” (A. Nannicini, 1998). Si diventa una

comunità integrata che assiste se stessa e si spinge ad un’evoluzione etica dei

comportamenti;

- Adottare una pedagogia più attenta alle richieste sottostanti che ai diktat della società

dominante. Cercare di vivere e operare all’altezza dei loro desideri. Naturalmente qui

si rischia di muoversi su un terreno sdrucciolevole perché spesso, ad uno sguardo

meno superficiale, le stesse richieste dell’utenza collimano con l’omologazione e

l’alienazione provocata dal consumismo neocapitalista. Nello stesso scontro tra modelli

educativi e di visione del mondo, sussiste la possibilità per gli operatori di ridefinire le

richieste degli utenti, di ristrutturare domande e processi interpersonali, descrizioni

reciproche e progetti di vita. Di ribaltare visioni incrostate e sedimentate, sia in chi

lavora nel quartiere che nella gente che vi risiede. Lo si può fare perché:

“la forza non manca, l’intelligenza è oltre, l’umiltà è abbondante, la voglia è coinvolgente, la necessità collettiva è una giusta alchimia”;

- La centralità assunta da alcune figure che sono insieme operatori e residenti nel

quartiere. Si dovrà molto puntare su tali soggetti-ponte perché sono il vero zoccolo

33

Page 34: Raccontare G.Zen.Net

34

s

duro da cui partire in direzione di una reale e più matura progettazione partecipata. Si

tratta di vere e proprie cerniere e di laboratori viventi di sperimentazione della

commistione tra logiche e linguaggi. Formare persone che in autonomia potranno poi

rappresentare punti di riferimento per la comunità e, già in partenza, legarsi e

collaborare con leader prestigiosi e positivamente noti tra gli abitanti;

- Concepire l’intervento, talvolta come “un assalto al buio”. C’è, soprattutto in alcune

fasi, la necessità di spingersi oltre l’ostacolo senza troppe certezze, privi di alcune

garanzie che non arriveranno mai. Sapendo che è impossibile capire la verità e non

sempre si può carpire qualcosa che vada oltre ad atteggiamenti di menzogna ed

omertà che si respirano nel quartiere, ne fanno da trama e rendono viscido, paludoso,

un pantano il procedere dell’aiuto. Sta di fatto che molte domande restano aperte e

resta in alcuni il dubbio di non potere cambiare una virgola delle realtà troppo

complesse e ingarbugliate.

- Evitare nei percorsi del “privato sociale” (fattosi negli ultimi anni forse più aggressivo

e concorrenziale, allontanatosi spesso dalla mission di partenza e dai suoi slanci

comunitari) atteggiamenti deleteri come

“personali mi, potere, prendere spazi, non collaborazione, ecc.”

che certamente nuociono ad ogni intenzione di aiuto e ogni credibilità con il quartiere.

Il privato sociale deve al contrario rappresentare una discontinuità con certe logiche

imperanti nella nostra società e variamente declinate anche allo Zen. Superando,

peraltro, anche le rappresentazioni, interne ed esterne, di operatori matti, kamikaze,

martiri, missionari che non facilitano una presa in carico condivisa e feconda delle

istanze di cambiamento della gente del quartiere:

“Di cosa ti occupi?” qualcuno mi chiedeva ogni tanto. Ed io aggiungevo tra le altre cose “lavoro allo Zen”. Attimi, secondi di silenzio, poi il pallore sul viso misto a sorpresa e compassione nei miei confronti simile alla reazione che si poteva avere nel dare la notizia di una partenza senza ritorno per l’Afghanistan oppure ricevere un apprezzamento e i complimenti come se avessi fatto parte del commando che ha ucciso Bin Laden poco tempo fa…”.

Page 35: Raccontare G.Zen.Net

5 Secondo sentiero: le cose andate storte

Per questo capitolo (e i seguenti) del testo scritto dai partecipanti si è adottata

la tecnica di far scrivere dei bigliettini a ciascuno puntando quanto più è possibile

sulla memoria di fatti concreti da loro vissuti in GZenNet, dando poi ampio spazio ad

una discussione su quanto era emerso.

Quando una persona ricorda il suo passato, più che assumere il ruolo dello

storico in cerca di verità oggettive, rivive gli eventi trascorsi come una

rappresentazione teatrale in cui è l’interprete principale ed è in scena come

protagonista” (P. Farello e F. Bianchi, 2001). Ciò significa che tali appunti narrativi ci

avvicinano non tanto alla verità oggettiva in quanto tale quanto al senso che gli

operatori hanno dato alle esperienze compiute; a come stanno costruendo il loro sé

professionale in rapporto agli altri, al quartiere, a ciò che pensano del quartiere, ecc.

Quindi anche nel ripensare “le cose andate storte” siamo sempre in un ambito di

visione soggettiva che acquista valore e utilità progettuale se collegata in un contesto

dialogico con le osservazioni degli altri attori sociali implicati. Ad ogni modo, è pur

vero, che in me risuonava quanto scritto in ambito scolastico da Farello e Bianchi, cioè

che lo slancio a individuare ciò che funziona meno, “nasceva dall’impressione di una

perdita di senso della scuola: quando ci si fermava a ragionare, sempre appariva uno

scarto incolmabile e assurdo tra ciò che si faceva e ciò che sarebbe stato necessario

fare. […] sentire il disagio che deriva, talora, da una pratica scolastica che, al di là

delle enunciazioni di principio, sembra cristallizzata in modelli che ne sono l’esatta

35

Page 36: Raccontare G.Zen.Net

smentita” (P. Farello e F. Bianchi, 2001). In effetti, nel cammino arduo del lavoro

sociale ci si ritrova talvolta a svolgere compiti e routine che sono ormai lontani,

incoerenti, sterili rispetto al mutamento delle domande.

E’ interessante, così, sbirciare nel panorama di criticità che la seconda

sessione narrativa del seminario ha espresso. Si spazia da questioni metodologiche ad

altre più connesse al rapporto con l’utenza o con le organizzazioni di riferimento.

Dal punto di vista delle modalità di intervento si segnalano, per esempio:

- “il rischio di una “settorializzazione” dell’intervento che dia risposta solo ad un bisogno circoscritto e non raggiunga il cuore della situazione nella sua complessi à”. In questi casi vengono privilegiati i singoli aspetti perdendo di vista

la globalità della persona: si rischia di concentrarsi sul “fare” piuttosto che su una

riflessione olistica relativa all’azione;

t

- le dimensioni della rete proponente che appare troppo ampia, quasi elefantiaca

nella sua strutturazione plurale, con evidenti difficoltà di raccordo, comunicazione

e governo globale;

- la conoscenza carente e reciproca di alcuni soggetti della rete con conseguenti

difficoltà di comunicazione;

Dal punto di vista strutturale:

• “la mancanza dei mezzi di trasporto per raggiungere i laboratori”; • “la presenza di un numero di bambini eccedente rispetto alle reali possibilità di

lavoro”;

36

Page 37: Raccontare G.Zen.Net

37

• la mancanza di un luogo “fisico” di incontro permanente e costante per tutti gli

operatori del centro di prossimità alle famiglie;

• l’eccessivo turn-over di operatori nel quartiere in un flusso che non consente

sempre la creazione di rapporti fiduciari stabili;

• Dal punto di vista più squisitamente tecnico:

• una conoscenza ancora insufficiente del grande lavoro svolto da GZen Net.

Rimangono ancora molte fasce di utenti (attuali e potenziali) che rimangono

all’oscuro di numerose offerte o dei risultati ottenuti con determinate azioni,

mentre al contempo si avverte parallelamente una lieve carenza nelle forme della

pubblicizzazione all’intero contesto cittadino degli aspetti positivi e propositivi;

• un’operatività che non sempre è riuscita a percepirsi e, dunque, a concepirsi come

inserita in un flusso in cui c’è un prima (ciò che già è stato fatto, ciò che il quartiere

già esprime in termini positivi) e un dopo (come proseguire a fine progetto sulle

azioni avviate, come incastrare gli interventi con le necessità successive e con il

futuro del quartiere);

• la difficoltà di linguaggi che a volte si può far stridente tra gli operatori sul campo e

i vertici delle organizzazioni di appartenenza. Ciò può dar luogo a divaricazione di

obiettivi, a malintesi su quanto emerge quotidianamente, aspettative reciproche

poco realistiche e richieste non esaudibili;

Quello che appare, comunque, più rilevante ai fini del nostro discorso è la

capacità straordinaria dei partecipanti al laboratorio di non trincerarsi dietro a

lamentele e rivendicazioni ma di proporre contestualmente essi stessi possibilità di

evoluzione comprendendo l’inevitabile presenza di alcune aree di opacità. Nell’incrocio

dei racconti si è progressivamente fatta strada l’idea che uno dei pilastri delle

prossime progettazioni sarà un’area strutturata e ben congegnata a priori

relativamente alla supervisione degli interventi attuati. Ad essa vanno associati

momenti di formazione per tutti i soggetti interessati e che possano comprendere i vari

piani del lavoro e con obiettivi molteplici come: la consapevolezza del proprio operato e

dei risultati, la motivazione permanente, la chiarificazione delle mete e delle

metodologie, la condivisione e il coordinamento tra pubblico, privato e cittadini,

l’articolazione tra dimensioni teoriche e pratiche, cognitive ed emotive, di analisi e di

Page 38: Raccontare G.Zen.Net

38

proposte future. Inoltre, questa impostazione mette maggiormente al riparo il progetto

da eventuali frammentazioni interne e separatezze tra metodi, operatori, finalità,

evitando che l’enorme professionalità profusa possa disperdersi in mille rivoli che

prosciugano nel tempo la fonte da cui sorgono e su cui si alimentano. Come ci ricorda

la Arendt “nessuna esperienza produce alcun significato o anche solo coerenza senza

subire le operazioni di immaginare e pensare”.

E’ bene ricordare che il lavoro sociale è fortemente usurante e necessita di un

costante sostegno, di un supporto che deve diventare lo sfondo su cui reggere l’intero

sviluppo del/con il quartiere. Un vero sostegno a catena tra politici-dirigenti-operatori-

utenti: quando salta anche uno solo di questi anelli, si può stare certi che malesseri,

inefficacia e malumori faranno la loro comparsa, ingarbugliando le linee

dell’intervento e ostacolando il cammino di crescita comunitaria. E immaginare che

questo sostegno possa anche passare per un approccio narrativo non è un’idea

certamente peregrina: “dare forma di storia all’esperienza vissuta significava, allora,

come oggi, aver capito la necessità di dare ordine a quanto accade, conservarne la

memoria, creare un senso di appartenenza” (Rita Valentino Merletti, 1998).

A fronte delle “cose andate storte”, strutturare dei momenti di

formazione/autovalutazione/tutoraggio/conoscenza permette di creare storia comune di

quanto si “fa” ogni giorno e rende reali, vive, pulsanti, alcune maglie di reti che sennò

sono tali solo sulla carta e non possono valorizzare le proprie affinità e differenze. Ed è

ancora più impellente l’urgenza se ci si riferisce ad uno dei nodi più importanti e

nevralgici: quello che unisce l’associazionismo alle scuole. Questo è il vero luogo di

sfida e terreno principe per azioni di democrazia partecipativa e di cittadinanza attiva,

laboratorio per la trasformazione che può esprimere la sua vocazione solo se, senza

paure, mostra essa stessa flessibilità e doti auto- trasformative.

Il valore aggiunto di un buon tandem tra istituzioni deputate alla formazione e

privato sociale sarebbe anche una facilitazione - d’intesa con tutti gli altri soggetti

presenti in rete – nel costituirsi come soggetto politico, nel senso più nobile e profondo

del termine. Sebbene il gruppo dei partecipanti abbia evidenziato modalità differenti e

divergenti di approccio a tale questione mi sembra che tutti concordino sul fatto che è

davvero un peccato se non si riescono a sfruttare le conoscenze e le relazioni instaurate

sul territorio, l’immenso patrimonio di elaborazione delle informazioni sul quartiere, la

Page 39: Raccontare G.Zen.Net

voce che si può dare a richieste e diritti in pericolo. In assenza di una spinta politica

dal basso si ha la sensazione di girare a vuoto e di una certa inutilità sostanziale del

proprio operato.

Infine, ciò su cui tutti si attestano – non casualmente, visto che si era alla fine

del progetto – è la necessità di garantire sempre la sostenibilità del progetto, la

possibilità di farlo camminare con proprie energie, sulle proprie gambe. La

replicabilità di quanto innescato e la possibilità che soggetti del quartiere (qualcuno

dei presenti al workshop lo ha chiamato “il capitale umano”, “i beni relazionali”), se ne

possano incaricare con responsabilità e competenza appare priorità assoluta.

39

Page 40: Raccontare G.Zen.Net

6 Terzo sentiero: intuizioni e scoperte

Una delle ragioni esplicite per la realizzazione di questo workshop è stata la

richiesta istituzionale (della rete e della regia del progetto stesso) di attivare modalità

che permettessero di comprendere, documentare, rendere visibili, salvare quelle

numerose e preziose acquisizioni ottenute con GZenNet. Ed entrando prepotentemente

in gioco le identità professionali, gli obiettivi futuri, le parole degli abitanti, si è

ritenuto che raccontare fosse il modo migliore di rappresentarsi in forma simbolica e

metaforica. Scoperte e intuizioni possono ben usufruire della “sospensione dal

quotidiano” che si realizza nella formazione e dell’attenuazione dei giudizi critici che

l’approccio narrativo spesso riserva come valore aggiunto. L’intuizione può essere

rapida ma la sua declinazione in termini condivisi e sperimentabili ha bisogno un

tempo di raccoglimento, di “tregua”, “il tempo della sutura dei pezzi sparsi; è il tempo

in cui uno dei nostri io si fa tessitore” (D. Demetrio, 1999). La novità che abbiamo

apportato è che la ricucitura non è più di spezzoni di un singolo attore sociale ma il

patchwork di un intero progetto, di una comunità che si ascolta, di una coralità di voci.

Le intuizioni, le conquiste, le scoperte sono state sempre raccontate con grande

entusiasmo e, anche qualora fossero elementi già sentiti se ne avvertiva la marca

molto diversa in quanto frutto di un vissuto, di una fatica, piuttosto che di frasi

trattenute da un libro o da un convegno sul tema.

Innanzitutto è stato sottolineato da molti partecipanti l’avventura della

“fiducia” e il suo essere al cuore di ogni possibile intervento. Una fiducia che si fa

40

Page 41: Raccontare G.Zen.Net

collaborazione con gli altri operatori, con gli abitanti del quartiere e che è guadagnata

sul campo, con ferite e cadute, con la sincerità e l’autenticità del gesto di prossimità:

“nell’ultimo anno ho acquisito maggiore fiducia rispetto al quartiere,

alla sua capacità di farcela da solo ed alla disponibilità

di recepire e fare propri gli stimoli esterni”.

Si abbina a questo pensiero la scoperta che non è possibile a volte arroccarsi

sui ruoli istituzionali rigidamente prescritti e di cercare nuove vie e strade per

l’incontro (“io come te nel gioco)”, ribadendo la forza ristrutturante che il gioco e il

mettersi in gioco può rivestire nel quartiere. L’operatore, in questo circuito virtuoso di

fiducia e collaborazione deve anche ridare corso alla speranza, alla voglia di farcela e

riaccendere strade e storie evolutive, rendere possibile all’abitante del quartiere la

riappropriazione di sé come soggetto e di sapersi prendere cura di se stessi con amore

e autenticità.

L’operatore viene descritto come uno stimolo, come un solvente e non come

“soluzione”, come innesco di reazioni positive e attento ai modelli altri che vengono

esibiti e rivendicati nella relazione con gli abitanti. Vale la pena di trascrivere per

esteso una delle osservazioni di un partecipante:

“se si stringono legami di cooperazione, fiducia – scambio tra genitori/famiglie ed operatori si può con più facilità, vista la loro ritrosia, accedere al loro mondo e avere così la possibilità di proporre attività e momenti che portino con sé informazioni ed esperienze affettive discordanti e dissonanti rispetto al modo in cui essi danno

41

Page 42: Raccontare G.Zen.Net

42

r

significato alla realtà e dunque in parte trasformativi se accompagnati da consapevolezza”.

Un elemento che ricorre nei racconti e nelle osservazioni successive è

l’emozione di profondo stupore di fronte al palese apprezzamento che gli utenti fanno

del lavoro svolto nel quartiere. A riprova e a rinforzo di questa percezione vengono in

aiuto proprio le mamme tutor che più volte hanno ribadito la bontà e l’efficacia della

presenza degli interventi svolti

“lo Zen è cambiato, dall’amaro al dolce”

e sono loro le più accanite sostenitrici delle azioni messe in campo e degli operatori

sociali protagonisti. Le facce dei partecipanti si illuminano quando si confessano e

quando scoprono dalla viva voce delle mamme tutor la legittimità di quanto fanno

giorno per giorno, la giustezza della direzione intrapresa e nella stanza si sente un

clima di rinnovato desiderio di fare ancora. D’altronde, sia in formazione che con gli

utenti, “quando compare l’episodio autobiografico, immediatamente i rapporti si

umanizzano, il flusso delle emozioni irrompe sulla scena, i ruoli cessano di offrire

pretesti alla separazione e alla regressione e il riconoscersi gratifica i partecipanti, le

distanze si accorciano” (P. Farello e F. Bianchi, 2001). C’è anche chi ha già iniziato a

sperimentare il racconto e ne intesse le lodi:

“nel mio settore di intervento, il cambiamento principale avvenuto durante il percorso, ha riguardato la sperimentazione del metodo della nar azione biografica ed autobiografica per fare formazione socio- relazionale e socio-affettiva con le mamme tutor”

Su questa nuova consapevolezza di contare qualcosa, di non lavorare

inutilmente, di portare a casa dei risultati pregevoli (attenuando aspettative a volte

esagerate e di cambiamento nei macrosistemi) si installa il valore della ri-conoscenza,

intesa nella sua doppia accezione: “ri-conoscere” come possibilità che ci si da di

accedere a quelle parti dell’altro che spesso non vediamo o passate sotto silenzio, e “ri-

conoscenza” per l’aiuto, essere grati della mano tesa.

Page 43: Raccontare G.Zen.Net

Se ne coglie un’altra scoperta che potrebbe fare da base per tutti i prossimi

interventi, anche nell’ottica di riprendere i termini della progettazione partecipata in

seno al piano di sviluppo di quartiere “Fare Mente Locale”. Intavolare e preservare

una nuova alleanza: tra operatori e utenti, tra motivazioni e azioni, tra desideri degli

utenti e risposte sociali. Punto di partenza e base solida è l’apertura di un credito e

l’instaurare

“un rispetto reciproco tra operatori, genitori e bambini”

accomunati dalla “voglia di fare e di riuscita”.

Durante la sessione narrativa si scopre tutti insieme che il quartiere è una

risorsa e va valorizzata al massimo e dunque ci possiamo rispecchiare nell’idea che

“trasformare la realtà utente è “costruire con l’utente” una risposta ai bisogni, desideri

ed esigenze di individuazione ed emancipazione dell’utente stesso sulla base delle

risorse disponibili” (M. Tomisich, 1998). E allora non c’è più un male da sradicare, un

ordine unilaterale da ripristinare ma

“il quartiere ha una sua normalità e una capacità di cogliere stimoli nuovi e contributi. E ciò non risulta mai nella “vulgata” e negli stereotipi dei mass media”.

Certo può “funzionare un’opera di sensibilizzazione sull’uso di spazi, cose e relazioni” perché si è più volte constatato che “se lo spazio è stato vissuto come “spazio comune” allora si riesce a mantenerlo fruibile”.

43

Page 44: Raccontare G.Zen.Net

44

t

A partire da queste nascenti consapevolezze può persino venire desiderio di

non aspettare che la città giunga allo Zen ma che lo Zen stesso possa essere

“esportato” con la sua cultura/vitalità/ identità nel desiderio mai sopito di far entrare

in contatto varie altre realtà cittadine e non. Sono gli abitanti stessi che dentro

GZenNet hanno tirato fuori

“la voglia di avere un’opportunità nuova e diversa; la voglia di avere un luogo di incontro; la voglia di non appartenere solo alla propria realtà”.

Il quartiere sta dimostrando che è capace di reinventare e reinterpretare le

indicazioni che gli arrivano dall’ambiente esterno e di potersi lentamente

autonomizzare. Un processo lungo e pieno di insidie ma di cui se ne iniziano a cogliere

spunti ed esempi:

“il quartiere in realtà “cambia” sempre, a dispetto dell’immagine di immutabilità statica. Vi è una par ecipazione a flussi (globali ecc..). Una comunità di flussi e non solo di luoghi”.

E all’interno di questa nuova cornice comune una delle intuizioni più

spiazzanti è quella secondo la quale gli interventi sul fronte socio-culturale non sono

meno importanti che quelli che riguardano i bisogni materiali, anche laddove la

richiesta e il bisogno primario siano più pressanti. Emerge con chiarezza che

migliorando la qualità della vita (anche culturale) si cresce in autostima, capacità

percepita di potercela fare e di stare meglio, valorizzazione del proprio percorso

originale. E saranno esattamente queste competenze che permetteranno a molte

persone di ribaltare la propria vita e di uscire fuori da una sorta di vittimizzazione

“il passare da: “un sacciu niente” a “ci provo”

Aiutati, pertanto, indirettamente nell’auto-progettazione su come soddisfare i

loro bisogni primari potranno dar luogo a soluzioni impensabili, a scelte autonome e

radicali, spezzando così la dipendenza e l’assistenzialismo che sempre si nutre di

mancanza di fiducia nelle proprie potenzialità.

Page 45: Raccontare G.Zen.Net

45

t

A mettere al riparo da una tendenza a scivolare ancora verso vecchi modelli di

rapporto con l’utenza possono essere utili alcuni consigli “involontari” contenuti nei

bigliettini scritti dai partecipanti.

E’ bene per l’operatore:

- “non essere mai [ roppo] sicuri e non sentirmi al sicuro”;

- ritenere sempre di “non aver capito abbastanza”;

- ricordare sempre che “esiste un modo di vivere opposto al nostro e sapere che funziona”;

- mantenere “tenacia, perseveranza, fiducia in me stessa”;

- non accontentarsi di “dare risposte (ma) diventa centrale il lavoro sulla consapevolezza delle persone”;

- ritenere sinceramente che “la felicità è il dare/riceve benessere è di per sé curativa nelle persone e per il quartiere”;

- sapere che l’attesa, il tempo e la pazienza sono qualità indispensabili per

accettare continue sconfitte e ripensare quelle sconfitte”.

Page 46: Raccontare G.Zen.Net

7 Quarto sentiero: impegni per il futuro

La particolare proposta formativa ha avuto lo scopo di riconsiderare da un

altro polo eventi e accadimenti, prossimi e remoti, con un taglio fortemente indirizzato

all’avvenire. Non un esercizio di stile o una ricreazione accademica ma un procedere

rigoroso verso la delineazione di obiettivi e atteggiamenti futuri. Pertanto abbiamo

voluto considerare una particolare funzione del rimembrare cioè la sua predisposizione

ad essere uno dei fattori “per costruire i sogni che vorremmo realizzare, per prevenire i

fantasmi che insidiano le nostre realizzazioni, per costruire solidi i progetti futuri” (P.

Farello e F. Bianchi, 2001).

In questa ultima fase dei lavori, al di là della stanchezza inevitabile, i

partecipanti hanno mantenuto una continua posizione di rilancio e, come spesso

accade, hanno sperimentato come l’aspetto più arduo sia proprio la sfida

all’immaginazione, individuale e collettiva, e soprattutto il liberare energie che

prefigurino scenari futuri finché ci si sente gravati, oppressi e vincolati

ineluttabilmente dalle condizioni della realtà spesso frustranti.

Le dichiarazioni di impegno sono comunque fioccate, forse complice un certo

clima di unione e forte speranza, ma anche come segnale di passione professionale e

vocazione. Insomma la determinazione a non interrompere un flusso di relazioni,

scambi, apprendimenti tra operatori e quartiere:

- Il primo grande leit-motiv è stato il desiderio di continuare quanto intrapreso a

prescindere dalla presenza di una continuazione progettuale di GZen Net o di altri

finanziamenti. L’impressione che se ne ricava è di non volere ancorare un processo

46

Page 47: Raccontare G.Zen.Net

47

avviato a dei fattori estrinseci e non sempre alla nostra portata, consci anche delle

notevoli riduzioni e ristrettezze di cui le progettazioni sociali sono tragicamente

vittime. Un’azione potente e solida non può poggiare le basi sui finanziamenti

esterni, anche se ovviamente sono basilari. Le risposte dei partecipanti si situano su

un piano di lavoro che implica il rapporto umano con il quartiere, rapporto che non

può essere interrotto per questioni mercantili, per logiche di economia spicciola.

Nella discussione emerge d’altronde tutta la paura di un intervento precario e

attuato da soggetti “precari” sul versante occupazionale e, dunque, costretti loro

malgrado a dovere tagliare di netto la loro collaborazione se dovessero individuare

altre risorse per “campare”. In questo senso il discorso che emerge sembra altalenare

tra affermazioni di sincera e decisa volontà di esserci comunque e la paura profonda

e realistica di dovere rinunciare a questo mandato, non più solo organizzativo ma

ormai anche personale, interiore, esistenziale. Non v’è dubbio che serpeggia

concretamente il fantasma di cui si parlava prima: ancora una volta sarà “tutto al vento”. Molti hanno voluto esplicitamente esprimere il loro impegno individuale e si

sono ripromessi di rinforzare nelle organizzazioni di appartenenza la motivazione a

mantenere un forte sguardo e presa sul quartiere auspicando

“una maggiore responsabilizzazione dei membri dell’associazione nei confronti dell’impegno portato avanti nel quartiere, che possa favorire la messa in luce di una pluralità di risorse”.

- E’ interessante una risposta, apparentemente sibillina: “Sì…se; No…ma”. Provando

a “smorfiarla” diremmo “SI’, mi impegnerò nel futuro ancora SE mi verranno date le

condizioni anche minime. NO, non mi impegnerò – nonostante tutta la mia passione

– MA non so come potrò fare, come potrò essere sordo alle istanze esterne che mi

chiamano dentro e alle mie istanze interiori che mi legano profondamente a quelle

persone, di cui conosco volti, drammi e speranze”. L’operatore è in parte preso in una

piccola trappola, spaventandosi di non essere supportato in futuro e ciò sarebbe una

disfatta in termini anche umani proprio perché è riuscito

“ad andare oltre l’incarico “istituzionale” affidato, oltre i ruoli e le consegne ricevute e prendere a cuore le situazioni e le persone”

Page 48: Raccontare G.Zen.Net

Un altro impegno è quello di vedersi come un singolo tassello di un mosaico più

ampio e questa ottica permette di ottimizzare il proprio impegno perché, al di là

dell’aspetto quantitativo (per es. 3 ore o 20 ore), è la correttezza della direzione

intrapresa e la capacità d’integrare risorse e politiche.

“Pensare il ruolo dell’operatore sociale non come centrale, ma a partire dalla sua parzialità e dalla necessità di pensare il suo ruolo in relazione ad una serie sempre più ampia di attori”

in questa accettazione matura e consapevole si possono costruire impegni realistici e

di lungo passo. In linea con le proposte della giornata di approfondimento i

partecipanti hanno anche sottolineato l’utilità degli strumenti utilizzati in quanto

“pensare in modo narrativo sembra favorire la capacità di collaborazione con gli altri

per realizzare i propri progetti” (P.Farello e F. Bianchi, 2001) ed è particolarmente

indicato in momenti di recessione economica in cui bisogna dare fondo alla capacità di

essere un fronte compatto che non disperda energie, idee, memorie, aspirazioni.

Nel rinsaldare patti per il futuro sono state individuate anche quelle qualità di base

che dovrebbero sostenere e reggere il mantenimento degli impegni sottoscritti

collettivamente. Se ne possono qui enunciare alcuni:

- la perseveranza e la continuità;

48

Page 49: Raccontare G.Zen.Net

49

sr

- la gioia, la velocità e il sacrificio;

- il sorriso e il radicarsi in convinzioni profonde e sincere;

- “pungere, rompere, essere spina nel fianco a coloro che non credono”; - la congruenza del “tempo da dedicare”; - “la voglia di fare e rischiare”;

- la cooperazione come chiave di volta dell’intervento poiché: “da soli si può fare poco, serve una convergenza di obiettivi da realizzare con l’ausilio di tutti: istituzioni, scuola, a sociazioni, liberi cittadini, abitanti del quartiere”. E quindi

come corollario un ultimo punto, scontato ma opportuno ribadirlo, è: “ce care di implementare un buon lavoro di rete al fine di migliorare il mio lavoro”. Il

lavoro di rete non è solo una bella parola da usare ai convegni ma una fatica

quotidiana da sperimentare sulla propria pelle.

Page 50: Raccontare G.Zen.Net

8 Considerazioni conclusive

Il percorso che abbiamo vissuto è stato estremamente coinvolgente, sia quello di

GZenNet che delle giornate formative. Abbiamo potuto verificare direttamente la

tenuta e il soffio innovativo che l’approccio narrativo può instillare nel mondo della

valutazione e del monitoraggio delle azioni progettuali, prestandosi con la sua duttilità

a molteplici finalità. Abbiamo anche toccato con mano la differenza tra il generico

“mettere in parola”, atto già di enorme rilevanza trasformativa, e il concepire dei veri

racconti della propria esperienza. Non si afferma qui che il racconto sia la panacea per

tutte le situazioni né tanto meno che sia la nuova parola chiave, il nuovo concetto

guida, lo strumento-mantra del lavoro sociale ma può dare il suo valido contributo alla

comprensione e all’articolazione costruttiva ed evolutiva delle questioni poste da un

sociale in continuo movimento, smosso da perenni perturbazioni ambientali. Lo stesso

lavoro da noi svolto, alla fine ha prodotto ulteriori piani di riflessione poiché in fondo

“tutte le storie contengono semi di altre storie” (V.Chandra) e già possiamo

intravedere i semi che dovremo coltivare e nutrire nel prosieguo dell’impegno.

Più nello specifico e andando oltre la valenza anche “curativa” del racconto ci

sembra che il gruppo di lavoro abbia delineato alcune sfere poco battute solitamente e

che uno “spazio narrante” può intercettare:

50

Page 51: Raccontare G.Zen.Net

51

- “Raccontare le sfide” che percorrono i progetti e le azioni attivate. Quei territori

ancora poco esplorati e, dunque, poco dicibili, alieni, refrattari alle categorie

vigenti nell’ambito della ricerca quantitativa.

- Ricostruire le fatiche e le microinterazioni che danno luogo alle dinamiche più

globali e più facilmente visibili, creando moneta di scambio sociale fra abitanti e

operatori (entrambi infatti maneggiano storie);

- “Raccontare le frustrazioni e le sconfitte” che molto spesso vengono sottaciute per

difesa personale o per proteggersi da critiche e mancato accesso a nuovi

finanziamenti. Sappiamo bene che non c’è progetto (e forse operatore/persona) che

ama pubblicizzare le proprie deficienze, disfunzioni o errori ma sappiamo anche

benissimo che tutti i processi di intervento socio-culturale sono lastricati di passi

falsi, di cadute, di regressioni, di ripensamenti; e ciò soprattutto laddove si intende

smuovere terreni lasciati incolti per anni, zone del sociale di forte disagio e

comunità afflitte da problematiche vetuste e radicate. Riuscire ad avere contesti di

confronto, in cui gli errori e gli insuccessi abbiano piena dimora ed anzi sono il

vero “inciampo” su cui riorganizzare l’intervento ed il sapere sull’oggetto di lavoro,

non è semplice. Il cerchio narrativo e le altre tecniche connesse al racconto possono

essere la cornice più adatta ad evitare fughe nella negazione o, peggio ancora,

accuse sterili verso la presunta ottusità degli utenti e/o dell’istituzione. E’ chiaro

che utenti ed istituzione rappresentano spesso delle difficoltà estreme ma è anche

vero che, come si diceva un tempo, possiamo solo tentare di trasformare tali vincoli

in risorse feconde;

- Attraverso la liberazione di molti intrecci narrativi che popolano le nostre giornate

lavorative e le nostre spiegazioni a ciò che facciamo, si da più spazio alla voce reale

della gente. E sentiamo, nel caso dello Zen, una dignità pervasiva che la gente del

quartiere rivendica, con atti e parole. La dignità che chiede rispetto e

considerazione, la dignità nonostante qualsiasi giudizio si possa dare delle

situazioni di degrado, disagio, deriva che si incontrano:

“la madre, la sua dignità e la fatica che questa signora compie per portare avanti la famiglia, sapevamo anche che il ragazzino era tutt’altro che cattivo, anzi il problema era probabilmente che era “troppo buono”;

Page 52: Raccontare G.Zen.Net

- “raccontare la trama quotidiana” che costruisce e rigenera imperterrita le radici

della democrazia e della cittadinanza. Osservare anche il farsi di quelle condizioni

che invece la minano con altrettanta pervicacia. La struttura narrativa, per sua

natura “drammatica” e cioè schema perfetto per descrivere lo scontro tra

intenzionalità differenti, può rappresentare al meglio questa tessitura fatta di

gesti ordinari e straordinari, di piccoli eroismi ignoti, di tenacia e caparbietà

d’impegni di protagonisti del quartiere, di figure decisive per la tenuta delle nostre

istituzioni.

Infine due sono le cose che più ci colpiscono e che vogliono essere delle

questioni aperte, delle interrogazioni per i futuri interventi e riflessioni. Innanzitutto

il grande assente, l’innominato e innominabile, il convitato di pietra che in nessuna

delle discussioni viene messo dentro: la mafia. Mi ha sempre colpito questa latitanza,

anche in altri incontri, e non credo che sia casuale. Ritengo che ci sia una valenza

fortemente difensiva ma che dobbiamo cominciare a riconsiderare questa tessera

cruciale, pena il malinteso e l’operare solo alla superficie delle situazioni. Non c’è

dubbio, peraltro, che tutte le azioni di GZenNet, a ben guardare, possono essere rilette

come forme di aggressione indiretta alle logiche mafiose e al substrato socio-economico

e culturale su cui fa proseliti e affari. Tutto ciò che potenzia le aree dell’occupazione,

delle infrastrutture, della crescita culturale, dell’apertura del quartiere al mondo,

dell’espressione comunitaria delle voci represse, rappresenta una minaccia ad un

potere mafioso che si regge su chiusura, precarietà economica, sopravvivenza di codici

52

Page 53: Raccontare G.Zen.Net

53

violenti e familisti, silenzio omertoso. Un’ipotesi è che gli operatori non citino la mafia

per non provare eccessiva frustrazione di fronte alla percezione di un mostro che tutto

inghiotte, corrode e frantuma ma c’è anche l’ipotesi per la quale è più efficace una

strategia di basso profilo che non la nomini direttamente per non costringerla a

rispondere, sperando che si accorga troppo tardi di cosa sta cambiando nel quartiere.

La seconda osservazione, ancora allo statuto di possibile intuizione, di dato

intravisto è una certa specularità, in alcuni momenti, tra azione sociale e

caratteristiche del quartiere, come se l’influenzamento sia reciproco, come se il

progetto e le sue disavventure possano essere lette come un’originale cartina tornasole

dei meccanismi più sotterranei delle dinamiche sociali del quartiere. Pur nell’immensa

congerie di risultati positivi ottenuti ci sono zone del lavoro sociale che vorrebbero

introdurre logiche alternative nel quartiere mentre poi si ritrova esso stesso

impregnato di quelle stesse modalità che si vorrebbe ribaltare o, ancora, nella

contaminazione reciproca sono le aree di collusione (e non di dialogo tra diversità) a

decretare il fallimento nel raggiungimento degli obiettivi. Così anche fra gli operatori e

dirigenti circolano parole e questioni che ricordano da vicino alcuni “mali” dello Zen:

- L’ossessione delle Associazioni su ciò che è mio e di ciò che è tuo, di perdere

privilegi guadagnati nel tempo e il tentativo di arroccarsi sul possesso di pezzi

di lavoro nel quartiere. Una paura di essere invasi nel proprio spazio piuttosto

che un desiderio di ospitare gli altri, di renderli partecipi, di fare squadra. Un

solipsismo e una ricerca di fondi pubblici e privati che richiama un certo

isolamento dei residenti, chiusi nelle loro coriacee aree occupate;

- Gli operatori che nel tempo si “induriscono”, perdono la loro capacità empatica,

si concentrano solo sulla realizzazione del compito, dimenticando le ragioni e

vivacchiando dentro routine prive di futuro. Come gli abitanti, i bambini e le

fasce meno deboli che per sopravvivere devono tirare fuori gli artigli, rendersi

complici di dinamiche di violenza, chiudere gli occhi di fronte a palesi

ingiustizie. Abitanti, operatori, istituzioni ed Enti che smettono di interrogarsi e

accettano compromessi, sapendo che altrimenti potrebbero essere espulsi,

ostacolati, boicottati. Omologarsi al cliché può diventare a volte vitale per

sentirsi parte di un mondo, per non sentirsi soli, per avere delle relazioni

significative;

Page 54: Raccontare G.Zen.Net

54

- Al pari di persone del quartiere che hanno smesso di confrontarsi con i propri

vissuti per non reiterare la sofferenza, per non ricordarsi dello scacco in cui ci si

trova, per non riuscire a ribellarsi alle vessazioni del marito, del vicino, del

bullo, del boss di turno, anche l’operatore e l’istituzione talvolta smette di farsi

domande, di modificare l’intervento per tararlo sul cuore dei problemi più che

sui suoi fenomeni di superficie, magari ricavando anche l’idea che comunque

almeno qualcosa di buono la si sta facendo;

- E’ quando l’operatore smette di vestire i panni burocratico-amministrativi che

riesce ad avere soddisfazione e risultati; esattamente come per l’utente del

quartiere che inizia ad avviare un’evoluzione della sua situazione solo quando

smette di essere un numero, un freddo dato statistico, un numero di via, di

padiglione, di scala. Specularmente è il riacquisire valore di persona,

dimensione umana, di uscire fuori dal’anonimato (per abitanti e operatori) che

permette il recupero di una storia, di una relazione in cui si possono

immaginare e costruire mondi alternativi. A ben guardare le identità

professionali e delle stesse reti possono solo guadagnare da questa operazione di

“prossimità” reciproca;

- L’operatore che ha smesso di sperare è il riflesso dell’utente che ha smesso di

lottare: la demotivazione dell’uno è la rassegnazione dell’altro e viceversa.

L’operatore che illumina le positività dell’interlocutore, al contrario, lo salva dal

peso del continuo essere inondati di negativo, di storie rilette con disperazione,

dal focus fissato su un male che non riesce a placarsi.

Queste note sparse sono, in realtà, poca cosa rispetto al pozzo di

considerazioni che i partecipanti al gruppo hanno saputo sviluppare e la parola fine

non vorremmo dirla nemmeno noi. Speriamo in cuor nostro che questa fatica sia un

episodio di una lunga serie. Il prossimo passo dovrebbe essere quello in cui operatori e

abitanti del quartiere, davvero insieme e integrandosi, pensano, discutono, agiscono

per il bene comune, per la comunità. Per realizzare quel momento letteralmente vitale

che gli orientali definiscono “Saku Taku No-Ki”: l’istante in cui si rompe il guscio,

frutto del picchettare in sincrono e in parallelo della gallina e del pulcino, dall’interno

e dall’esterno.

Page 55: Raccontare G.Zen.Net

In gioco c’è la vita del quartiere o, al contrario, un’ indefinito sopravvivere “in

potenza”, relegati in una trappola asfittica.

55

Page 56: Raccontare G.Zen.Net

56

POSTFAZIONE A cura della Dott.ssa Salierno

Siamo dunque arrivati alla fine dell’ impresa collettiva messa in campo

attraverso il progetto G.Zen.Net?

La scommessa di farcela tutti insieme è stata vinta nonostante le difficoltà

incontrate, o abbiamo perso lungo la strada la motivazione e l’ entusiasmo che ci ha

spinto a tentare la grande impresa? …ma di che impresa si è trattato?

Sono le domande su cui ultimamente spesso mi soffermo a riflettere, quando

penso allo Zen e al forte investimento personale e istituzionale che scegliemmo di fare

nel lontano 2005, anno in cui fu istituita la Rete Interistituzionale S. Filippo Neri.

Ricordo con quanto entusiasmo accogliemmo la notizia della pubblicazione del

Bando di Fondazione con il Sud e come gli incontri di rete in quel periodo fossero

particolarmente frequenti e partecipati anche per la numerosità dei convenuti, tutti

desiderosi di condividere un’ occasione, che al di là delle singole, legittime aspettative

di natura economica, poteva rappresentare finalmente la realizzazione collettiva del

percorso di condivisione di valori e visioni nel lavoro sociale allo Zen. Infatti nel tempo

si era cercato di costruire una prospettiva integrata su azioni possibili volte allo

sviluppo locale del territorio (il piano di sviluppo di quartiere “Fare Mente locale” ne

rappresenta tutt’ora la pregevole esemplificazione).

La parola chiave su cui tutti convergevano era partecipazione, tant’è che si

parlava di progettazione partecipata, attraverso cui dare parola e coinvolgere

direttamente gli abitanti del quartiere. In realtà più che di progettazione partecipata

si realizzò, nel breve tempo a disposizione concesso dall’ ente finanziatore, una

sistematica e ben organizzata progettazione di rete, che ha comunque consentito non

solo di ascoltare attraverso vari strumenti (video, interviste ecc.) le testimonianze

dirette sui propri bisogni degli utenti dei vari enti, ma l’ attiva partecipazione al

processo di costruzione del progetto di tutti gli enti della Rete, che hanno

successivamente sottoscritto il progetto.

Inoltre l’ aspetto fortemente innovativo nella realizzazione del progetto è stato

costituito dalla stretta sinergia tra pubblico-privato, che si è realizzata attraverso l’

affidamento delle macroazioni del progetto (aree di intervento) agli enti pubblici della

Rete, all’ interno delle quali i singoli interventi previsti facevano riferimento: “cura e

Page 57: Raccontare G.Zen.Net

57

valorizzazione dei beni comuni”, affidati al coordinamento della Scuola, “Centro

Polivalente di prossimità: sviluppo, qualificazione di servizi socio-sanitari, culturali,

promozione di percorsi di legalità” al Comune e all’ ASP Palermo per alcune specifiche

azioni, “comunicazione”, all’ USSM di Palermo.

La scelta di un tale assetto organizzativo oltre a modulare il lavoro sul territorio

in sinergia con quello istituzionale, doveva garantire la sostenibilità delle azioni messe

in campo oltre il tempo limitato del progetto.

Per la prima volta a mia memoria, (in 25 anni di lavoro sociale a Palermo),

istituzioni importanti come il Comune, l’ ASP, la Scuola e l’ USSM erano concordi nell’

impegnarsi a supportare in ogni modo la praticabilità delle azioni previste dal

progetto, che perseguivano, tra gli altri, obiettivi e realizzazioni di una certa rilevanza

per promuovere lo sviluppo del quartiere, non solo in termini di realizzazione di opere,

quali i campi di atletica presso la scuola Falcone, la ristrutturazione della palestra

della scuola Sciascia, il ripristino dei corpi bassi dei campetti OPIAN, l’ archivio

storico del quartiere, ma anche per es. la possibilità di favorire il micro-credito per

sostenere e promuovere iniziative imprenditoriali.

Ciononostante si sono incontrati diversi ostacoli: tra quelli di tipo istituzionale,

vi è la capacità delle istituzioni di tener fede alle richieste nei tempi previsti dal

progetto (p.es. la praticabilità della ristrutturazione dei corpi bassi dei campetti

OPIAN, all’ interno dei quali poter collocare stabilmente il Centro Polivalente di

Prossimità realizzato dal progetto) e in alcuni casi i limiti fissati dallo stesso ente

finanziatore, (p.es. la possibilità di favorire l’ accesso al micro-credito, che ha

modificato, a mio avviso, una delle azione cardine del progetto).

Accanto al tali pregevoli opere realizzate, emerge con tutta evidenza lo spessore

qualitativo del lavoro sociale rivolto all’ utenza, la sperimentazione di azioni congiunte

tra operatore e utenti “l’ andare oltre l’ incarico istituzionale affidato, oltre i ruoli e le

consegne ricevute e prendere a cuore le situazioni e le persone”.

L’ investimento operativo è stato forte al punto che si desidera “lasciare traccia,

un segno che il proprio lavoro non è stato inutile e che possa vedersi inciso tra le

strade del quartiere”, che non sarà lasciato ancora una volta “tutto al vento”.

L’ intima consapevolezza di quanto “gli interventi sul fronte socio-culturale non

siano meno importanti di quelli che riguardano i bisogni materiali poiché solo

Page 58: Raccontare G.Zen.Net

58

migliorando la qualità della vita anche culturale si può passare da: “un sacciu niente”

“a ci provo””.

L’ intuizione della “necessità di una spinta politica dal basso” (………..) “perché

è giunto il momento di non accontentarsi più di dare risposte ma diventa centrale il

lavoro sulla consapevolezza delle persone”.

E’ stata dunque un’ impresa importante che ha cambiato anche gli operatori e

dare loro la possibilità di “mettere ordine su quanto accaduto” attraverso la narrazione

ha significato e significa effettivamente “creare senso di appartenenza”, conservando

insieme la memoria di ciò che G.Zen.Net ha rappresentato.

A questo punto sento forte la responsabilità di questa Rete, degli operatori che

ne fanno parte: quanti di essi hanno invece perso la motivazione e l’ entusiasmo?

Quanto non sono riusciti a cogliere la preziosa opportunità offerta dal progetto di

superare steccati, autoreferenzialità, paure, solipsismi privi di speranza?

E a coloro che l’ hanno fatto e che per questo sono diventati realmente una Rete,

a quanti dei loro auspici, bisogni e nuove consapevolezze potrò far fronte? Come

persona, ma soprattutto come istituzione?

Da parte mia non ho perso né la motivazione né l’ entusiasmo; la fiducia e la

speranza continuano a sostenermi, perché la sollecitudine verso gli ultimi per la

costruzione di una società più giusta e più equa è in grado di fare miracoli,

specialmente quando si agisce tutti insieme.

Per quanto mi riguarda, dunque, continueremo a fare la nostra buona battaglia,

a costruire insieme il futuro di G.Zen.Net!

Sono ottimista perché non sento che nel mio caso ci sia distanza con gli

operatori sul campo, (“la difficoltà di linguaggi che a volte si può far stridente tra gli

operatori sul campo e i vertici delle organizzazioni di appartenenza”) perché anzi

accolgo prontamente, condivido e sottoscrivo quanto “raccontato” così lucidamente

dagli operatori del progetto.

E’ effettivamente giunto il momento che la Rete inglobi al suo interno anche gli

abitanti del quartiere, in particolare “quelle figure che sono insieme operatori e

residenti nel quartiere”, che G.Zen.Net ci ha dato la possibilità di incontrare e

coinvolgere, al fine di farne dei punti di riferimento per il cambiamento culturale della

comunità e dei veri e propri “soggetti-ponte” con le istituzioni.

Page 59: Raccontare G.Zen.Net

59

L’ istituzione che rappresento non “smette di farsi domande”, è tesa “ad

indagare il cuore del problema “ ed è convinta della potenza del cambiamento operata

dalle minoranze attive.

In questo senso la Rete può diventare minoranza attiva!

Gli operatori giustamente non pensano di potersi scontrare con la mafia, è

strategico tenere sui territori un basso profilo che eviti reazioni violente, ma l’

istituzione non può tacere, deve denunciare che la Mafia esiste ed agisce in maniera

organizzata e la vicenda dei campetti OPIAN lo suggerisce.

Troveremo pure all’ interno di altre istituzioni persone disponibili, che

superando ogni reticenza, scelgano di mettersi in gioco per il perseguimento del bene

comune e per combattere la buona battaglia del servizio alla comunità, anche, laddove

necessario, contro la prevaricazione mafiosa!

E’ quello che ci auguriamo che avvenga proprio in questi ultimi questi durante i

quali sono state riprese le trattative interistituzionali per la vicenda OPIAN; hanno

partecipato all’ incontro tutte le istituzioni coinvolte nella gestione dei campetti, il

comune di Palermo, attraverso gli assessori allo sport, alle attività sociali e i

funzionari apicali dell’ assessorato ai lavori pubblici, la Caritas, l’ Istituto autonomo

Case Popolari (IACP), l’ Ufficio di Servizio Sociale per i Minorenni (USSM) di Palermo,

e, si spera, che anche attraverso il coinvolgimento della Prefettura si riesca tutti

insieme a vincere tale prevaricazione, che in questo momento si sta esprimendo

attraverso le continue difficoltà amministrativo-burocratiche connesse all’ apertura

della struttura, prevaricazione che troppo spesso, paradossalmente, strumentalizza

proprio quelle norme che, poste a salvaguardia della legalità, dovrebbero favorire,

anziché penalizzare il benessere della società civile.

L’ impresa collettiva quindi non si è esaurita, ha solo bisogno di sviluppare una

comune coscienza politica, nell’ accezione positiva del termine, che, frutto di una reale

partecipazione democratica dei territori, la orienti e la sostenga in una attivazione di

prossimità sempre più pregnante tra tutte le forze sane della nostra società locale.

Page 60: Raccontare G.Zen.Net

60

Allegati

Page 61: Raccontare G.Zen.Net

G.Zen.Net

Storie e appunti da un’avventura urbana

61

Page 62: Raccontare G.Zen.Net

62

INTRODUZIONE Il primo Luglio del 2011, nell’ambito delle azioni del progetto GZenNet, si è

tenuto presso i locali dell’Istituto “L. Sciascia” un workshop condotto da Dott.ssa C.

Casella (coordinatrice di GZenNet), Dott. M. Lo Cascio (Ufficio Servizio Sociale per i

Minorenni di Palermo, referente Area Comunicazione), dott.ssa A. Scarpello (tutor di

progetto).

La metodologia prescelta per i lavori è stata quella narrativa poiché la scrittura

biografica come tecnologia formativa crea “occasioni di crescita e di auto sviluppo

attraverso cui affrontare i momenti “critici” e le fasi di passaggio da una condizione di

incertezza ad una di maggiore consapevolezza. La riorganizzazione dell’esperienza

consente l’evoluzione, il cambiamento, la presa in carico e la risoluzione degli episodi

di vita” (M. Cavallo).

Al gruppo di partecipanti, appartenenti a molte delle organizzazioni partner di

GZenNet, è stata proposto un lavoro che avesse come risultato concreto la stesura vera

e proprio di un “testo” suddiviso in vari capitoli: gli episodi emblematici, le cose andate

storte, le intuizioni/scoperte/conquiste, gli impegni per il futuro.

Sono state scelte due tecniche differenti per abbordare le questioni. Per quanto

concerne gli episodi emblematici si è creato un classico “cerchio narrativo” e tutti

hanno avuto modo di scrivere e poi narrare in pubblico la storia che avevano fatto

riemergere dal baule dei loro ricordi. Nella seconda sessione dei lavori, invece, li si è

interpellati sempre in forma scritta, chiedendo loro pareri, idee, opinioni che poi hanno

potuto dibattere sia in piccoli gruppi che in plenaria, in modo da completare e

condividere con tutti i partecipanti i definitivi “capitoli”, “paragrafi” e “frasi” da

inserire nel “testo-libro”.

Schematicamente accenniamo ad alcuni degli obiettivi raggiunti:

Obiettivi generali:

- Costituzione di un nuovo gruppo di lavoro composto da operatori al di là delle

appartenenze associative o istituzionali;

- Primi passi verso la creazione di una cultura di riferimento che accomuni gli

operatori al fine condividerla per interagire con gli abitanti del quartiere;

Page 63: Raccontare G.Zen.Net

63

- Apprendimento di alcune modalità narrative da implementare per affrontare il

lavoro sul campo;

- Diffusione di “luoghi narranti” nel quartiere;

- Sviluppo dell’attitudine alla cura di sé come soggetto professionale bisognoso di

ri-crearsi;

- Connessione tra lavoro sociale e mondo della vita;

Obiettivi specifici:

- Ri-narrare in forma differente le situazioni problematiche per enuclearne

intuizioni ancora poco chiare, nuove prospettive e modi di lettura alternativi;

- Ricerca e cura di sé derivante dall’incontro con le narrazioni altrui;

- Ricreare contesto di sollievo, di agio, di sostegno reciproco, di ben-essere vissuto

insieme/grazie agli altri;

- Associare tasselli di momenti autobiografici per intrecciare una “memoria del

futuro” e dunque co-progettare i passi da compiere sula base di una

rielaborazione partecipata del passato;

- Favorire un contesto adeguato all’espressione personale e allo scambio;

- Stimolare la produzione congiunta di nuove idee soprattutto in tema di

sostenibilità futura delle progettazioni nel quartiere;

- Sviluppare maggiore consapevolezza di sé e degli altri senza attivare

meccanismi difensivi di attacco o di negazione;

- Operare un migliore rilassamento e abbassare le tensioni da lavoro;

Quella che segue è una trascrizione fedele delle storie raccontate (primo

sentiero) e una sintesi di alcuni pensieri emersi (secondo, terzo e quarto sentiero)

mentre una nota interpretativa sarà disponibile in un’altra versione del presente

lavoro. Si ritiene, peraltro, che la semplice lettura dei testi sia di per sé molto

interessante, piacevole, emozionante in alcuni punti, nonché – nella sua essenzialità -

ricca di stimoli e suggestioni per il futuro del lavoro sociale nel quartiere. Ciò che più

importa non sono tanto i singoli pensieri o frasi (su cui si può anche talvolta essere in

disaccordo) quanto l’immagine globale e l’affresco d’insieme che ci viene rimandato.

Buona lettura!

Page 64: Raccontare G.Zen.Net

64

Primo sentiero

EPISODI SIGNIFICATIVI

Page 65: Raccontare G.Zen.Net

65

1

Per me quello che mi ha colpito di più è quel poco di cambiamento che ha avuto lo zen

in positivo, perché mi ricordo negli anni 80 c’è stato un periodo che c’era da prendere il

primo volo e partire, perché ogni giorno si sentivano sempre cose brutte, invece da

quando sono diventata mamma tutor e sto a contatto con delle famiglie – bambini si

sente che lo Zen è cambiato, dall’amaro al dolce.

2

La particolarità di vivere un emozione non sta sicuramente nell’aver vissuto un

momento specifico, ma nella sua complessa totalità di eventi vissuti assieme, in questo

caso, ai bambini che frequentavano il doposcuola. Se dovessi trovare un episodio che

mi è rimasto impresso, direi senza ombra di dubbio la festa di carnevale. Bè apparte

vedere il giorno come puro svago e divertimento o come semplicemente il giorno del

travestimento, u buddielluuuu però oggi ancora non ho visto occhi così diversi, così

vicini, tristi ma pieni di emozione, coesi e lontani, ed ancora di più ricordo quel legame

stretto, a volte morboso che si venne a creare tra gli animatori e tutti loro Gabriele,

Desi, Andrea, Salvo, Salvo, Salvo,….perché si chiamano tutti salvo… e questo avviene

semplicemente per vedere la gioia di questi bambini e quando veniamo, perché poi è

quello che ho vissuto, ripagati con un sorriso, un abbraccio, un bacio beh tutta la fatica

lo sforzo ti viene ripagato e questo vale più di ogni altra cosa

3

Per me è stata un’esperienza difficile quella di “fare la mamma tutor” all’interno della

scuola, soprattutto all’inizio.

Ma ricordo tanti episodi e situazioni belle in modo particolare un agita fatta con i

bambini dell’elementari. Siamo andati al Parco di Carini pieno di animali e per me è

stato bello giocare con loro e festeggiare il compleanno di un bambino. Mi piace

divertirmi con loro, mi danno gioia e mi fanno sentire una di loro.

E’ stato ed è bello il rapporto che si è creato con le maestre, mi fanno sentire a mio agio

e si è creata tra noi un rapporto di confidenza.

Page 66: Raccontare G.Zen.Net

66

4

Il sorriso, anzi i sorrisi di tutti loro mi hanno colpito… ci hanno in qualche modo

contattato, hanno bisogno di una mano, da poco sono allo Zen, o meglio da poco è stata

data una sede da un politico che grazie alle promesse fatte alle persone dello Zen si

trova sulla sedia che molti ambiscono. Molti si credono potenti in questo modo!

Il quartiere non è molto contento di questo. Incontro una mamma che conosco da

tempo e mi dice: “ci livaro l’associazioni ai picciriddi nostri e ora i miei figli che fanno,

ma perché non se ne tornano nelle loro case” in pochi minuti spiego che loro vivono da

tanti anni allo Zen, che sono come noi cittadini palermitani, che stanno lottando per

essere riconosciuti tali, loro sono Tamil, e questa è una lotta fra poveri.

Hanno bisogno anche di qualcuno che faccia un corso di italiano per gli adulti… i miei

occhi si illuminavano, la mia mente si accende, i miei compagni di vita e di lavoro

capiscono che quella potrei essere io.

Il primo lunedì sera erano in tre, ora sono in 30 e mi chiamano pure il giorno del mio

compleanno e mi ringraziano per ogni cosa e si alzano quando arrivo e questa cosa mi

imbarazza e ogni volta gli spiego che non c’è bisogno, io sono Elbana, non solo la

maestra, sono una palermitana, che li sta aiutando per far si che questa città giorno

dopo giorno possa migliorare, sono la stessa Elbana cha da 11 anno crede che questo

quartiere possa migliorare, crede che tutti insieme possiamo fare qualcosa per

migliorarci.

Continuerò anche senza G.Zen.Net

5

Un giorno particolare, emblematico, non credo, non penso ci sia realmente stato,

perché ogni giorno è stato un giorno particolare a sé.

Per il tipo di attività svolta ogni giorno c’è sempre qualcosa di nuovo, di particolare, un

emozione che vedi negli occhi dei ragazzini che riescono a fare quel trick con gli

attrezzi, l’acquistare sicurezza ed equilibrio con i trampoli.

Si! Nel nostro laboratorio (laboratorio circense) ogni giorno è un momento a sé, non

posso descrivere uno solo, o per meglio dire, mi viene difficile parlare di un giorno in

particolare, sminuirei gli altri giorni ed il lavoro svolto, la complicità, la fiducia che

pian piano si è sviluppata ed evoluta in questo periodo passato insieme a loro.

Page 67: Raccontare G.Zen.Net

67

Ogni giorno abbiamo sempre un evento, ogni giorno accade qualcosa di nuovo, un

qualcosa che fa parte delle emozioni che vede e che vivi nei rapporti con questi

ragazzini.

6

Una storia dentro altre storie che si succedono incessantemente una dietro l’altra.

Non esiste per me una storia in particolare ogni momento, ogni incontro, ogni sguardo,

atteggiamento, parole, silenzi di questi ragazzi raccontano un mondo.

Mi viene in mente quando aspettano con i trampoli il nostro arrivo in palestra felici di

vederci e di essere presenti e di vivere assieme quei momenti regalati. Vedo la loro

soddisfazione di riuscita nell’utilizzo di un attrezzo circense, la loro autostima e

sicurezza.

Mi viene in mente un bambino di 8 anni che solamente in un incontro riusciva a far

roteare tre palline, meravigliato e anche un po’ disorientato di un risultato.

Mi viene in mente il carnevale, mi viene in mente un infinità di visioni particolari, per

me da quando arrivo a quando me ne vada è ricco di emozioni, mi colpisce tutto perché

tutto è importante come scrivere delle parole su un foglio bianco

Grazie

7

Per le persone, come me che son cresciute alla Zen ed hanno “continuato” ad operare

con impegno per lo stesso, l’opportunità di un “progetto” complesso ed articolato come

“G.Zen.Net” ha rappresentato una serie di stimoli positivi per continuare questo

legame.

Ovvero l’idea che in questo quartiere sia possibile costruire un intervento di sostegno

sociale partendo dai reali bisogni degli abitanti è stato per inizialmente come

scommettere, oltre che nel proprio vissuto, sulla “eterogeneità” di tutti gli altri soggetti

coinvolti nelle azione progettuali.

Purtroppo questa scommessa è stata parzialmente “persa” in quanto sin dall’inizio è

iniziato lo scontro di personalità tra alcuni soggetti, pur non entrando nel merito delle

questioni, va sottolineato come questi episodi hanno determinato in me la

Page 68: Raccontare G.Zen.Net

68

consapevolezza che il “progetto” in realtà servisse più a far emergere ed “imporre” la

propria per validità che a “fare” le azioni che ciascun partner aveva ideato.

8

La data era stata fissata. Non si tornava più indietro. Il tempo passava inesorabile e

quella data fissata sull’agenda restava lì, quella nota “ ore 9.00 allo Zen” sembrava

ormai scolpita come su marmo, indelebile. Non si tornava indietro.

“Di cosa ti occupi?” qualcuno mi chiedeva ogni tanto. Ed io aggiungevo tra le altre cose

“lavoro allo Zen”. Attimi, secondi di silenzio, poi il pallore sul viso misto a sorpresa e

compassione nei miei confronti simile alla reazione che si poteva avere nel dare la

notizia di una partenza senza ritorno per l’Afghanistan oppure ricevere un

apprezzamento e i complimenti come se avessi fatto parte del commando che ha ucciso

Bin Laden poco tempo fa…

Ripresi dallo choc ecco le raccomandazioni della gente per bene e senza alcun

pregiudizio: “Mizzica! Stai attento alla macchina!” oppure “Bedda matri! E ci vai da

solo?? Stai attento”

La data fissata è stata raggiunta, eccomi al mio “ore 9.00 allo Zen”. Mi metto in auto

senza tuta mimetica, né vetri antiproiettili, vestito solo dalla voglia di attraversare il

ponte… andare al di là, oltre ciò che tutti sanno dello zen senza averci mai messo né

piede né respirato la sua aria.

Eccomi dinanzi alla porta di casa lì c’è il ragazzo di cui dovrò occuparmi o meglio dovrò

cercare di accompagnare. E ora?? Che succederà? Chiameranno i vicini e mi

salteranno addosso? Riceverò minacce?? Uscirà il padre, il fratello e… cosa?

Ecco l’incontro. Una stretta di mano. Il gelo si scioglie. Il muro si abbatte. Viene

gettato il ponte tra me e lui, tra “noi” e “loro”.

Adesso lo Zen è fatto di volti, di occhi, di mani, di una porta che si è aperta, una tazza

di caffè che ti viene offerta.

Avevo timore ma sono stato accolto.

Avevo un fascicolo con me ma ho incontrato persone, ho guardato due occhi, ho stretto

una mano.

Page 69: Raccontare G.Zen.Net

69

9

Mediterraneo Antirazzista. Velodromo. Viene rubato un borsone. Il borsone

apparteneva ad un ragazzo etiope che veniva da Roma, insieme ad un associazione

aderente al progetto.

Dentro il borsone c’erano il suo telefonino, i ricambi, il portafogli e soprattutto i suoi

documenti, compreso il permesso di soggiorno. Praticamente le cose più importanti per

sopravvivere in Italia.

Insomma, nel bel mezzo di una festa straordinaria arriva questa notizia del cazzo a

rovinare a tutti l’umore.

I colpevoli? Non c’è voluto Sherlock Holmes per individuarli: tre ragazzini dello Zen

che presi dall’atmosfera euforica, e con un po’ di voglia di attirare l’attenzione, era da

un po’ di giorni che rompevano le scatole in giro e così vedendo un borsone incustodito

hanno deciso di continuare lo scherzo con cose più grandi di loro.

Ovviamente conoscevamo già tutti e tre i ragazzini, ad uno di loro in particolare

avevamo curato “posto casa” il disbrigo delle pratiche per l’iscrizione a scuola.

Conoscevamo anche la madre, la sua dignità e la fatica che questa signora compie per

portare avanti la famiglia, sapevamo anche che il ragazzino era tutt’altro che cattivo,

anzi il problema era probabilmente che era “troppo buono”.

Data l’importanza del contenuto del borsone abbiamo deciso comunque di andare a

casa del ragazzo per dirgli che sapevamo che non era un ladro, ma che era

importantissimo che uscissero fuori almeno i documenti contenuti nel borsone. Si

mobilita un intero quartiere per cercarli, ma i ragazzi ormai si sentivano troppo

mortificati per ammettere la bravata.

Tutto il resto dei partecipanti al torneo fa una colletta per il ragazzo a minima

ricompensa per la brutta avventura.

Ma non c’è lieto fine. Ci sono solo stereotipi che inevitabilmente si confermano, amaro

in bocca e domande che rimangono aperte.

Quelle per cui è ancora importante continuare a fare questo lavoro.

Page 70: Raccontare G.Zen.Net

70

10

Visita al quartiere

Mia figlia mi chiama al cellulare.

“Ciao papà sto rientrando in pullman ad Agrigento. Indovina dove sono stata”

“Forse sei stata qui all’Università. Avete organizzato qualcuna delle vostre visite

guidate con compagni e docenti di Architettura” dico io, senza però riuscire ad

immaginare cosa esattamente possano aver fatto qui a Palermo.

“Hai quasi indovinato; siamo venuti in 20 con il prof. Sciascia a studiare il quartiere

ZEN e dopo una passeggiata nelle strade e tra le insulae abbiamo visitato l’Archivio

presso la scuola Sciascia”

Ero quasi incredulo.

Mi ha colpito, non tanto l’episodio in sé, che qualcuno visitasse questo quartiere. Anzi

io stesso nel passato avevo partecipato a simili passeggiate turistiche.

Mi colpì la rapidità con la quale si era diffusa la notizia che nella scuola era già aperto

e utilizzabile l’Archivio di quartiere.

E’ stata una iniziativa a cui mi si sono dedicato con entusiasmo nell’ambito del

progetto di Fondazione Sud, a attraverso la partecipazione di operatori, gente del

quartiere, docenti delle scuole e dell’Università, avevamo appena concluso la fase di

raccolta di materiali di documentazione. L’Archivio era appena diventato un fatto

concreto. L’Avv. Piazza, responsabile dell’Associazione che lo gestisce aveva già

provveduto all’acquisto delle scaffalature, del computer e della indispensabile porta

blindata.

Mia figlia, con il suo gruppo della Facoltà di Architettura di Agrigento era stata la

prima visitatrice. Orgoglio di papà.

11

Io da quest’anno sono stata coinvolta più da vicino con le attività del laboratorio

scolastico dell’Associazione Centro di Solidarietà “ Don G. Bonfardino”

Quest’anno posso dire che è accaduto per me un avvenimento: mi sono coinvolta,

affezionata, “innamorata” di questi ragazzi, così fragili e al tempo stesso capaci e

desiderosi di essere stimati e accompagnati a prendersi sul serio e a prendere sul serio

le circostanze e le opportunità che la vita ci offre.

Page 71: Raccontare G.Zen.Net

71

Martedì mattina 21 Giugno ore 9.00

Alcuni ragazzi sono in attesa di affrontare la prova orale dell’esame di licenza media.

Si prevede un ritardo nella commissione. Mi siedo con A. e decidiamo di rivedere gli

argomenti della tesina, riguardiamo la carta geografica. Ci fermiamo a parlare dei suoi

programmi futuri. Mi dice che da qualche tempo sta riprendendo in seria

considerazione l’idea di proseguire gli studi, iscrivendosi all’Alberghiero per conseguire

la qualifica.

E’ teso, nervoso ,a allo stesso tempo è passato l’atteggiamento di sfida che

caratterizzava il suo impatto con gli adulti all’inizio. Mi chiede spiegazioni e

delucidazioni sugli argomenti ed è disposto a lavorare fino alla mezz’ora prima degli

esami.

Arriva il momento.

A. si siede ed espone con fierezza e padronanza gli argomenti che avevamo preparato.

Il discorso si amplia….le Torri gemelle… Bin Laden… A. non si tira indietro riesce a

tener testa alla conversazione dimostrando una buona conoscenza dei fatti di attualità.

La commissione gli chiede dei suoi progetti per il futuro. Alla fine uno dei prof gli dice

“ti ho osservato in questi giorni… Ti ho visto cambiato hai affrontato questi esami con

la maturità di un ragazzo di 20anni” e A. “Si cresce, prof”.

Quello che desidero per questi ragazzi è che possano vivere “all’altezza dei loro

desideri…”

12

Io come mamma tutor ho avuto una esperienza molto bella anche se i primi giorni e

stata dura perché non mi conoscevano nel quartiere però giorno dopo giorno ho

acquistato fiducia. Dicendogli che non ero un’ assistente sociale, anzi, poi erano i

genitori stessi a dirmi di far capire ai suoi figli che la scola era importante.

E ancora oggi dopo tanto tempo quando mi vedono mi abbracciano e mi baciano

dicendomi sempre grazie.

Page 72: Raccontare G.Zen.Net

72

13

Assalto al Buio

Raccogliere i pensieri, le idee, le emozioni di punto in bianco non è mai semplice per

me.

Raccontare una delle migliaia straordinarie “ cose” vissute o semplicemente osservate

qui allo zen per me che ho avuto la fortuna di vivermi la mia infanzia serenamente

non è immediato.

Sicuramente non basterebbero 2 risme di carta per raccontare, tra correzioni e

aggiunte, le “cose” … e si perché per me si tratta di “cose”, di “cose” che ci sono, che ho

visto e di “cose” che non ci sono.

Ho sempre avuto un punto di vista molto materiale sul mio impegno qui allo zen.

Quello che c’è è quello che manca… quello che manca dove c’è e quello che c’è dove

manca…

Si ma in fondo, cosa manca…. Il lavoro, l’istruzione, spazi per la cultura, ambienti

sani, in una parola “serenità” di credere in un futuro bello, solare, possibile per se e

per i propri cari.

E poi cosa c’è… una energia incredibile, una forza di viversi un quotidiano non

mediato da regole che vengono da lontano, un lontano però solo geografico in questo

caso.

E si perché parole e atteggiamenti purtroppo hanno molto di lontano in questo pezzo

importante di Palermo.

Ecco perché per me è un “assalto al buio”

La forza non manca,

l’intelligenza è oltre,

l’umiltà è abbondante,

la voglia è coinvolgente,

la necessità collettiva è una giusta alchimia!!

Grazie Zen!

Page 73: Raccontare G.Zen.Net

73

14

Ai margini di una fotografia

Festa finale per la chiusura del doposcuola nel mese di maggio, intorno alle tre del

pomeriggio, ci ritroviamo con le mie colleghe, qualche aiutante in palestra per mettere

a posto le ultime cose prima di dare via alla festa; una festa organizzata da tempo che

abbiamo voluto intitolare “festa della famiglia” col chiaro intento di incontrare la

famiglia ma soprattutto di consentire alle famiglie di incontrare, nel senso di venire

incontro ai propri figli. I momenti in cui avevamo pensato di articolare la festa

consistevano per primo nella costruzione partecipata genitori – figli, di un lavoretto

nel quale bisognava creare una cornice ad una foto che noi provvedevamo a scattare al

momento dell’ingresso, questa foto avrebbe dovuto cogliere la famiglia in un momento

di unione, di collaborazione, nella presenza, nel suo esserci, lì e non altrove… per gli

altri momenti erano previsti dei giochi e un rinfresco.

G. un bambino di 8 anni, con occhi azzurri intensi e densi ogni volta di un sentimento

diverso, purtroppo spesso attraversati dalla scontentezza, dalla furia, dalla lotta, dalla

voglia di fuggire, che ci mettono molte volte di fronte ad un comportamento che non

riusciamo a comprendere e che ci impedisce di incontrarlo, non voleva fare la foto con

la mamma e le sorelle, ha strepitato, ha scalciato, ha urlato, si è nascosto: la macchina

lo ha immortalato in un angolo della foto, imbronciato e con gli occhi lucidi, mentre il

resto della sua famiglia sorrideva.

15

Ricordo quando ero piccola che giocavo sempre ai campetti di via Adamo Smith

insieme ai miei amici, ci divertivamo un mondo tra i giochi e l’aria pura che

respiravamo tra gli uccelli che cinguettavano la nostra innocenza e spensieratezza, e

un ricordo bellissimo mi piacerebbe ritornare indietro e riviverlo.

16

SONO MANI CHE PARLANO

QUESTE PICCOLE MANI. . . QUANTE PICCOLE MANI

QUANTA POTENZA IN QUESTE PICCOLE MANI. . .

TI SPINGO . . . TI TOCCO. . . TI PARLO CON

Page 74: Raccontare G.Zen.Net

74

LE MANI. . . E’ MIO!

PRENDO IL COLORE, PRENDO LA GOMMA, LO STRAPPO

GRIDO CON LE MANI. . . MI AFFERRO CON LE

MANI. . . MANI CHE MI RAPPRESENTANO!

SONO PICCOLE MANI CHE

APPARTENGONO A BAMBINI “TROPPO GRANDI”: SONO

LA LORO VOCE, LA LORO PAROLA, LE LORO EMOZIONI.

TUTTO NELLE MANI. . .

SIAMO INSIEME. . . STIAMO GIOCANDO. . . PROVIAMO AD

INCONTRARCI, A COMUNICARE : RISCOPRIAMO LE MANI.

E COSI’ LASCIAMO NUOVE IMPRONTE COLORATE SU UN CARTELLONE

BIANCO, DENTRO UNA NUVOLA. . .

BASTA UN ATTIMO. . . ED ECCO LA TRASFORMAZIONE

MASSAGGIO LE PICCOLE MANI PIANO PIANO

LE AVVICINO LE UNE ALLE ALTRE E, COME

X MAGIA ECCO CHE SI TOCCANO GIOIOSE, ALLEGRE, GIOCOSE

AMOREVOLI: SONO LE PICCOLE MANI DI BAMBINI PICCOLI

CHE GIOCANO E PARLANO!

DEDICATO AI BAMBINI DELLA SCUOLA ELEMENTARE (IV C) SCIASCIA

17

La cosa che mi ha colpito

È stato 3 – 4 anni fa. C’era la festa della Madonna. . . mentre camminavo verso le Zen

2 il prete diceva lave maria. Ad tratto anno aceso lo stereo in tutto volume e mentre

alziamo la testa per vedere chi era stato ci arriva un secchio d’aqua. In quel momento

ho avuto tanta vergogna come se que secchio daqua lavessi lanciato io me ne sono

ritornata a casa molto triste.

Forse perche nel mio quartiere ci degno molto e non ho vergogna di dire Abbito allo

ZEN

Page 75: Raccontare G.Zen.Net

75

18

L’episodio che ricordo con maggiore chiarezza di dettagli è quello relativo al caso di un

adolescente a rischio di drop-out, affidatomi dal Servizio Sociale. Ricordo ancora molto

bene il groviglio di emozioni che mi ha accompagnato il giorno in cui decisi di

“mettermi alla ricerca, nel senso letterale del termine, di Ignazio, era questo il nome

del ragazzo con il quale avrei dovuto cercare un “confronto” o forse uno “scontro”. Con

me avevo solo un nome, un cognome e il nome della “scala”, una delle tante che

compone, come un pezzo di un puzzle, uno dei padiglioni del quartiere San Filippo

Neri di Palermo. Dopo essermi addentrata all’interno del Padiglione, e dopo diverse

vicissitudini, riesco a prendere i contatti con la famiglia di Ignazio, la quale mi accoglie

con sorprendente entusiasmo, forse perché riponevano nella mia “figura” tutte le loro

speranze di poter finalmente “condurre il figlio nella retta via” sempre che una retta

via ci sia. Faccio appena in tempo a sedermi che mi ritrovo inondata di racconti

relativi alla vita del giovane adolescente caratterizzati da rifiuti, “cattive amicizie”,,

scelte sbagliate, mancato rispetto e riconoscimento per la famiglia e il contesto scuola.

Il suo rifiuto per la scuola, per le regole, per il lavoro ha portato la famiglia a chiedere

aiuto ai Servizi Sociali, affinché il figlio venisse allontanato dal quartiere “Zen”, visto

come luogo di perdizione di se stessi, delle proprie risorse, ambizioni e desideri, per

poter intraprendere un percorso di crescita presso una casa famiglia, ma tutto a una

condizione, che essa fosse fuori città, come a voler metaforicamente rappresentare il

loro desiderio di “trascinare” letteralmente il figlio fuori dal loro “ microcosmo” quasi

in modo salvifico e magico.

Di fronte a me avevo lo sguardo perso nel vuoto di Ignazio, che incontro dopo incontro

ha iniziato gradualmente ad incrociare il mio e che adesso forse guarda più lontano

verso una direzione.

Adesso frequenta un corso professionale, non so cosa farà del suo futuro, ma forse sarà

contento di aver trovato nella sua vita una mano tesa verso di lui, uno sguardo attento

alle sue vicissitudini di vita quotidiana e un amico pronto ad ascoltarlo.

Page 76: Raccontare G.Zen.Net

76

19

Fiducia

Un giorno di primavera mi trovavo all’interno di una casa ad ascoltare una donna, una

mamma che raccontava la propria storia e quella della sua famiglia.

Durante il racconto la mia attenzione venne distolta da un'altra donna che era intenta

a sbucciare una banana a suo figlio. La cosa che mi colpì fu che la donna faceva questa

operazione fumando. Teneva la sigaretta ora in bocca ora in una mano mentre dava

dei pezzetti di banana al figlio che la guardava.

“Ma come si fa a dare da mangiare ad un bambino così piccolo con una sigaretta in

mano, con la cenere che cade continuamente” pensavo.

Nei giorni seguenti conobbi la donna e anche la sua famiglia e così come per le altre

famiglie cercai di rispondere alle richieste che di volta in volta mi venivano fatte.

Questa donna aveva un altro figlio. Una bambina di sette anni circa, di costituzione

più piccola rispetto all’età ma molto sveglia. Non parlava bene. Inizialmente non

riuscivo a capirla avevo bisogno di un “traduttore” che di volta in volta era la mamma

o il papà.

Questa bambina era molto vivace e col tempo scoprì che assumeva o le davano compiti

superiori alla sua età, come per esempio occuparsi del fratellino più piccolo.

Avevano fiducia in me e io in loro. Cercavo di aiutarli come meglio potevo anche se non

sempre riuscivo a risolvere tutti quei problemi che mi venivano chiesti. Mi chiamavano

anche in orari che non erano quelli di lavoro per chiedermi cose che in quel momento o

non riuscivo a soddisfare o che erano totalmente banali che si risolvevano in quel

momento.

Una mattina ricevo una telefonata. Mi viene detto che la bambina ha avuto un

incidente. E’ stata investita da una moto davanti casa. Le hanno rotto il femore e il

bacino.

La vado a trovare in ospedale. Nella stanza dove si trovava c’era la nonna. I genitori

erano a casa a prenderle un cambio. La bambina ha uno sguardo vuoto, spaventato mi

racconta cosa si è rotto e cosa le hanno fatto. E’ immobilizzata dal bacino in giù. Non

sembra perdere la vivacità che l’ha sempre contraddistinta.

Sto un po’ lì cercando di rassicurarla poi vado via.

Page 77: Raccontare G.Zen.Net

77

Nei giorni successivi chiamo i genitori per saper se ci sono progressi. Mi raccontano

che l’hanno operata e ingessata. Il giorno successivo alle dimissioni della bambina

dall’ospedale vado a trovarla.

La bambina ha il gesso dal bacino alle gambe e questo non le permette neanche di

stare seduta.

Sono molto colpito da questa visione. Ma c’è una cosa che mi sorprende. La madre mi

racconta che mentre la bambina era in ospedale sono venuti i carabinieri e i “miei

colleghi”, si sono presi la bambina di lato e l’hanno interrogata, chiedo il perché. Mi

dice che non credono in un incidente ma che qualcuno dei componenti della famiglia

l’ha picchiata: così risulta da una denuncia anonima.

Guardo entrambi i genitori negli occhi e gli chiedo se c’è qualcosa di vero. Mi giurano

che non è così che c’è qualcuno che gli vuole del male. Giro il mio sguardo verso l’altra

donna, presente al racconto dei genitori. Mi guarda ma non dice nulla. . .

20

Erano i primi giorni di Novembre,il mio ruolo di coordinatore presso il doposcuola

dell’Associazione Lievito era iniziato da poco. Come spesso accade, quando si prende il

posto di un responsabile in corso d’opera, il primo periodo serve a capire come

funzionano le cose e come poter sistemare tutti possibili problemi esistenti.

I primi giorni furono molto difficili, non era facile trovare una soluzione a tutte le

piccole cose che, secondo me, non andavano bene.

Il problema principale che avevo rilevato era il numero eccessivo di bambini rispetto

ad operatori e volontari presenti nella struttura.

Decisi come prima cosa di non accettare altri bambini e cercare di coinvolgere più

volontari in questo progetto.

Nelle successive due settimane ebbi tante segnalazioni, tanti genitori richiesero di

poter iscrivere i loro figli al doposcuola, ma con sommo dispiacere, fui costretto a non

accettare le richieste.

Un giorno una maestra ripropose di iscrivere un bambino per il doposcuola, spiegai la

situazione ma lei insistette motivando il tutto con una frase che mi spiazzo: “Questo

bimbo ha grossi problemi in famiglia”. Inizialmente pensai, che purtroppo, in quartiere

Page 78: Raccontare G.Zen.Net

78

tanti bambini avevano problemi familiari ma le dissi che avrei incontrato il padre del

bimbo per capire come aiutarlo.

L’incontro con il papà di Giuseppe fu inizialmente disastroso. Lo vedevo come una

persona che pretendeva un aiuto che purtroppo sapevo di non poter fornire.

Che fare, presi un po’ di tempo per capire meglio la situazione. Lui però insisteva,

aveva tantissime buone motivazioni che io ignoravo.

Un giorno mi spiegò le sue difficoltà, i suoi problemi si aprì davvero con me e mi

raccontò il suo dramma familiare.

A quel punto mi convinse che forse il suo modo fare, il suo “pretendere” derivasse da

questo suo dramma e mi decisi a far entrare Giuseppe nel progetto.

Dopo 6 mesi ogni volta che incontro quest’uomo vedo nei suoi occhi la gratitudine.

21

Io come mamma tutor sono contenta perché o avuto dell’esperienze che non conoscevo

cioè: cioè stare a contatto con la scuola con le insegnanti, gli alunni e le famiglie

soprattutto. Un giorno la scuola ci ha chiamato per andare a consegnare delle lettere

la cui una famiglia non la trovavamo, non la conosceva nessuno.

Siamo saliti in un padiglione domando se conoscevano questa famiglia e tutti ci

dicevano no poi ci hanno chiesto se eravamo dell’assistenza sociale e noi con

gentilezza abbiamo detto no noi siamo mamme tutor che siamo ad disposizione della

scuola cioè portare comunicazioni alle famiglie da parte della scuola, lavoriamo sia con

le mamme e con i figli.

Solo dopo aver spiegato cosa significava mamma tutor ci anno detto dove abitava la

signora.

Abbiamo avuto modo di conoscere la Signora che ci ha invitati a casa sua e abbiamo

consegnato la comunicazione della Preside.

La signora ci ha ringraziato ed era molto contenta, e noi più della Signora perché

abbiamo realizzato il nostro obbiettivo.

22

Uno dei partecipanti, anche sulla base della sua competenza specifica in materia, ha

preferito un racconto orale e ha riservato al foglio bianco consegnatogli, un disegno

della situazione raccontata.

Page 79: Raccontare G.Zen.Net

79

Secondo sentiero

LE COSE ANDATE STORTE

Page 80: Raccontare G.Zen.Net

80

Questioni Strutturali del Progetto:

- Il rischio di una “settorializzazione” degli interventi che, non dialogando fra

loro, potrebbero non raggiungere il cuore della situazione nella sua complessità;

- Mancanza, talvolta, di risorse strutturali per consentire una buona fruizione

delle azioni previste (es. sede centro di prossimità, mezzi di trasporto autonomi,

ecc);

- Rete forse troppo vasta e bisognosa di un rodaggio più esteso. Reti così ampie,

complesse e variegate devono dotarsi di organizzazione e regia molto ben

strutturate;

- Una migliore pianificazione in alcune aree progettuali e la necessità di inserire

meglio GZenNet in una storia ed in un flusso di lavoro sociale pluridecennale,

per evitare inutili duplicati e per non disperdere esperienze cruciali;

Questioni legate all’Attuazione del Progetto

- La quantità di utenza e di bisogni da esaudire superiore alle reali possibilità

offerte;

- In alcuni momenti difficoltà di coordinamento tra partner o tra azioni con

problemi di comunicazione che, però, venivano sempre affrontati per trovare

delle soluzioni efficaci;

- Una pubblicizzazione da incrementare significativamente sia all’interno del

quartiere che della stessa rete progettuale;

- Su alcune azioni una forte inerzia burocratico-amministrativa dell’Ente Locale;

Page 81: Raccontare G.Zen.Net

81

- Per l’estensione della rete molto vasta e la complessità del lavoro da svolgere,

alcuni momenti organizzativi e riunioni sono apparsi piuttosto faticosi e talvolta

non molto produttivi;

- In qualche caso difficoltà varie presso le strutture dove gli operatori si recavano

per effettuare le attività (per es. sovrapposizione a scuola di attività interne e

attività progettuali);

- Un lavoro ancora insufficiente per stimolare l’autosostenibilità del progetto e del

quartiere;

- L’assenza di un posto fisico unico, riconoscibile, permanente dove effettuare

alcune delle attività (per es. Centro di prossimità);

- Necessità, in taluni casi, di immettere risorse proprie delle associazioni per

consentire l’efficacia della azioni stesse;

- Vicissitudini personali imprevedibili dell’utenza che hanno inficiato alcuni

risultati molto positivi che gli operatori e il progetto stavano raggiungendo

Page 82: Raccontare G.Zen.Net

82

Terzo sentiero

CONQUISTE, INTUIZIONI, SCOPERTE

Page 83: Raccontare G.Zen.Net

83

Se si stringono legami di cooperazione, fiducia, affetto, collaborazione, scambio

tra genitori/famiglie ed operatori si può con più facilità, vista la loro ritrosia, accedere

al loro mondo e avere così la possibilità di proporre attività e momenti che portino con

sé informazioni ed esperienze affettive discordanti e dissonanti rispetto al modo in cui

essi danno significato alla realtà e dunque in parte trasformativi se accompagnati da

consapevolezza;

Stupore e soddisfazione per la consapevolezza e l’apprezzamento che gli abitanti dello

Zen (bambini e adulti) hanno fatto del lavoro svolto dagli operatori di GZenNet;

La motivazione enorme che deriva dal vedere i sorrisi e la felicità degli utenti, il

vederli passare da “un sacciu niente” a “ci provo”;

La scoperta condivisa con gli abitanti che chiedere un “supporto” non è una debolezza

ma un punto di forza e dona, paradossalmente, maggiore fiducia in se stessi;

La comprensione che lo Zen non è un quartiere da occupare ma un mondo da scoprire e

che avvicinarsi ad altre modalità di vedere le cose può solo arricchirci;

L’apertura alla diversità interna al quartiere ha permesso di osservare e far venir

fuori il profondo desiderio degli abitanti di impegnarsi in una qualche attività

formativa, di conoscere altre possibilità, di riuscire, di avere opportunità nuove e

diverse, di luoghi di incontro;

L’importanza di mantenersi umili, in ascolto, passibili di fallimenti, con una visione

inevitabilmente parziale, capaci di attendere i “tempi” del cambiamento senza forzarli,

consapevoli che ci sono modi di vivere lontani dal nostro ma che hanno una loro

coerenza ed efficacia. Ciò permette anche di vedere il quartiere come un soggetto che

deve contare progressivamente sulla sua capacità di farcela da solo e di

autonomizzarsi;

Page 84: Raccontare G.Zen.Net

84

Fiducia nuova nella possibilità di ridare spazi al quartiere e alle persone;Spazi di

agibilità non possibili prima

Nuova consapevolezza che il nostro lavoro si incrocia con grandi temi e macrosistemi

politici, culturali e finanziari. Esempio emblematico sono i grossi progetti speculativi

sullo Zen;

La scoperta della centralità del sapere flessibilmente rimodulare pragmaticamente i

progetti, anche quelli pensati da altri;

Avere conquistato il piacere nelle cose che si fanno ha fatto apparire il lavoro in una

dimensione pur sempre professionale ma più umana e meno faticosa. La “riscoperta”

del valore assoluto dell’altro e della propria storia ha rinforzato il valore

dell’esperienza e la spinta motivazionale ad andare avanti nonostante gli ostacoli e le

difficoltà

Scoprire che, talvolta, non devi necessariamente andare lontano per trovare soluzioni

o opportunità ma basta “ bussare” alla porta del vicino.

Una conquista è il lasciare che gli abitanti (per esempio le mamme tutor) siano i

protagonisti della propria crescita psicologica e culturale, anche nelle relazioni sociali.

Il quartiere è risorsa per se stesso ed è complementare ad un’opera di sensibilizzazione

sull’uso di spazi, cose e relazioni.

Si può ipotizzare la chance di “esportare” lo zen con alcuni suoi elementi di vitalità,

identità e desiderio di entrare in contatto con altre realtà cittadine e non.

Un’intuizione profonda è comprendere che al di là dei bisogni primari molti eventi

mostrano che migliorando la qualità della vita (anche culturale) si cresce come

autostima, capacità percepita di potercela fare e di stare meglio (aiutando anche

l’auto-progettazione sui bisogni primari);

Page 85: Raccontare G.Zen.Net

85

Il quartiere in realtà “cambia” sempre, a dispetto dell’immagine di immutabilità

statica. Partecipando a flussi (globali ecc..) si determina una comunità di flussi e non

solo di luoghi

I progetti devono prevedere una sostenibilità altrimenti si rischia di aprire aspettative

che verranno deluse

La capacità di per sé curativa e apportatrice di benessere della dimensione del

dare/ricevere

Page 86: Raccontare G.Zen.Net

86

Quarto sentiero

Impegni per l’avvenire

Page 87: Raccontare G.Zen.Net

87

Molti dei partecipanti hanno manifestato l’intenzione di:

- continuare ad impegnarsi anche dopo l’esperienza di G.ZEN.NET, continuando

a far rete sulla base di nuove spinte emotive e motivazioni, di nuovi incontri con

gli abitanti del quartiere;

- responsabilizzare e condividere costantemente con i vertici delle loro

Organizzazioni ed Enti affinché il sostegno ed il lavoro sociale del quartiere non

sia un fenomeno isolato ma una strategia complessiva di cambiamento che

favorisca la messa in luce di una pluralità di risorse;

- ristrutturare le attività da proporre ai cittadini per migliorare quantità e

qualità delle offerte e per renderle sempre più vicine ai reali bisogni, soprattutto

di chi appare maggiormente in difficoltà;

- Mantenere rapporti costanti con i nodi della rete risultati particolarmente

adeguati ad un lavoro coordinato e integrato, sviluppando il partenariato che

riesca ad avere metodologie condivise, obiettivi comuni ed interventi mirati;

- Impegnarsi non solo per un’azione sociale ma anche politica verso i cittadini e

l’amministrazione comunale;

- Con passione provare un “assalto al cielo” per non “gettare tutto al vento”;

- Avere uno sguardo e un’azione più ampia e globale verso la persona, nella

complessità dei suoi bisogni e risorse, non limitandosi ad un intervento di

pronto soccorso, riuscendo ad andare oltre l’incarico “istituzionale” affidato,

oltre i ruoli e le consegne ricevute e prendendo a cuore le storie degli abitanti

del quartiere;

- Non perdere mai l’impegno, lasciare sempre un tempo da dedicare allo Zen,

preservare la voglia di fare con entusiasmo e di rischiare;

- Provare a mettere in pratica le seguenti parole-chiave:

o perseveranza e mai resa;

o continuità e gioia;

o Capacità di sacrificio e di sorriso;

o Essere pungolo per coloro che smettono di credere;

- costruire assieme agli attori (che hanno voglia reale di scommettere)una rete

“forte ed autorevole” in grado di progettare e attuare percorsi progettuali.

Page 88: Raccontare G.Zen.Net

88

- costruzione e regalo di trampoli personalizzati;

- possibilità di mandare avanti il lavoro svolto con i ragazzi e non deluderli con

una nostra scomparsa nel loro quartiere.

- Nella continuazione del lavoro sociale assicurare al quartiere una proposta più

variegata e con strumenti ancora più idonei;

- Impegnarsi a “far emergere” piuttosto che “introdurre” cambiamenti: “il deficit

principale da colmare non sono le infrastrutture o le opportunità socio-

economiche e lavorative, ma la formazione delle persone. Vi è un enorme

potenziale umano e sociale del tutto represso. Il basso grado di istruzione della

popolazione adulta e la scarsa qualità delle relazioni interpersonali dentro le

famiglie e nell’ambito sociale più allargato, impediscono di far concretizzare le

speranze ed i progetti di vita di ciascuno”;

- Incrementare le sperimentazioni relative alla peer education e a quella in cui gli

adulti diventano facilitatori dei progetti di altri adulti;

- Più concretamente ci si impegna a continuare a realizzare il carnevale sociale, il

mediterraneo antirazzista, un percorso di accompagnamento alla genitorialità

presso il consultorio, le attività di sostegno scolastico;

Page 89: Raccontare G.Zen.Net

89

Bibliografia essenziale

Bruner Jerome, (1996), “La cultura dell’educazione” Feltrinelli, Milano

Cavallo Michele, (2001), “Il racconto che trasforma”, EdUP

Demetrio Duccio, (1999) “Raccontarsi”, Raffaello Cortina, MIlano

Farello Patrizia e Bianchi Ferruccio, (2001), “Laboratorio dell’autobiografia”, Erickson, Trento

Kaneklin Cesare, Scaratti Giuseppe, (1998), “Formazione e narrazione”, Raffaello Cortina Editore, Milano

Merletti Rita Valentino, (1998), “Raccontar storie”, Mondadori, Milano

Nannicini Adriana, (1998) “Narrazione, formazione e letteratura, in Kanekline Scaratti, op.cit.

Tomisich Manuela, (1998) “Scuola e formazione”, in Kanekline Scaratti, op.cit.