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R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Roma
SSeezziioonnee IIIIII^̂ CCiivviillee composta dai signori magistrati Dott. Giuseppe Lo Sinno Presidente, relatore ed est., Dr.ssa Antonella Miryam Sterlicchio Consigliere Dott. Michele Di Mauro Consigliere, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile di II° grado iscritta al N. 8275/2015 del Reg. Gen. Affari Contenziosi, posta in decisione ex art.352 c.p.c. all’udienza del 21.03.2017 (con concessione dei termini ex art.190 c.p.c. di gg. 60 + 20 scaduti il 12.06.2017) e vertente
tra
DE FILIPPIS DAVID (c.f. DFLDVD71B24H501D) e GALLINARO MARIA VERONICA (c.f. GLLMVR73B43D708J), entrambi in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sulla minore De Filippis Arianna (nata a Roma il 27.3.2006), rapp.ti e difesi dagli avv.ti Antonio Buonemani e Giuseppe Gallinaro del foro di Latina e dom.ti in Roma, via Girolamo da Carpi n. 1, presso lo studio dell’avv. Antonio Funari, giusta delega in atti;
- appellanti -
c/
D’ALESSIO dr. PAOLO MARIA (c.f. DLSPMR64E08H501R), rapp.to e difeso
dell’Avv. Mauro Amadio Vicere’ del foro di Roma e domiciliato in Roma, Via
Dardanelli, 15, presso lo studio del medesimo avvocato, giusta procura in atti;
- appellato-
e
CALUGI prof. ALBERTO (c.f. CLGLRT38T16E472J), rapp.to e difeso dagli avv.ti
Giuseppe Di Nardo del foro di Velletri e Daniele Di Nunzio del foro di Roma e
domiciliato in Roma, via E. Accinni n.63, presso lo studio dell’Avv. Di Nardo, giusta
delega in atti;
- appellato e appellante incidentale
e
ISTITUTO Religioso “FIGLIE DI SANTA MARIA DI LEUCA” (p iva
01419700586), con sede in Roma, via Tiberina 191, in persona del legale rapp.te
p.t., rapp.to e difeso dagli avv.ti Giorgio Vaccaro e Ignazio Moroni del foro di Roma
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e domiciliato in Roma, Via Flaminia n. 466, presso lo studio dell’Avv. Vaccaro
Giorgio, giusta delega in atti;
- appellata ed appellante incidentale
e
ASSICURATORI DEI LLOYD’S – Rappresentanza Generale per l’Italia , con sede
in Milano, Corso Garibaldi n.86 (c.f. 07585850584) – che hanno assunto il rischio di
cui al certificato n. 1600901 – rapp.ta e difesa dagli avv.ti Anna Berra del foro di
Milano e Francesco Corvasce del foro di Roma e domiciliata in Roma, Viale Delle
Milizie 48, presso lo studio del secondo, giusta procura in atti;
- appellata
e
ALLIANZ S.p.A. (c.f. 05032630963), con sede in Trieste, largo U. Irneri n.1, in
persona del suo legale rapp.te p.t. – assicuratrice del dr. Paolo Maria D’Alessio -
domiciliata in Roma, Piazza Cavour n.17, presso lo studio dell’Avv. Michele Roma
del foro di Roma che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
- appellata -
e
ALLIANZ S.p.A. (c.f. 05032630963) con sede in Trieste, Largo U. Irneri n.1, in
persona del suo legale rapp.te p.t. - cessionaria della Bernese Assicurazioni S.p.A.
ed assicuratrice del prof. Alberto Calugi - domiciliata in Roma, Via Panama n. 88,
presso lo studio dell’Avv. Spadafora Giorgio del foro di Roma che la rappresenta e
difende giusta procura in atti;
- appellata -
e
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.p.A. con sede in Bologna, via Stalingrado n.45
(c.f. 00818570012) – quale subentrata a MEIE Aurosa Assicurazioni spa
assicuratrice del dr. Paolo Maria D’Alessio nonché quale ex Fondiaria SAI
assicuratrice del prof. Alberto Calugi – rapp.ta e difesa dell’Avv. Alessandro
Foschiani del foro di Roma e domiciliata in Roma, Via Monte Santo n.10/a, presso lo
studio del medesimo avvocato, giusta procura in atti;
- appellata -
e
SOCIETA’ CATTOLICA DI ASSICURAZIONE – SOCIETA’ COOP. a R.L. con
sede in Verona, Lungadige Cangrande n.16 (c.f. 003201600237) – assicuratrice
dell’Istituto Figlie di Santa Maria di Leuca - rapp.ta e difesa dall’avv. Fabio
Alberici del foro di Roma e domiciliata in Roma, Via Delle Fornaci n. 38, presso lo
studio del medesimo avvocato, giusta procura in atti;
- appellata -
OGGETTO: appello avverso sentenza n. 22737/2015 emessa dal Tribunale di Roma
(responsabilità professionale medica e risarcimento danni).
CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da rispettivi atti e da verbale dell’udienza di p.c..
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 20.04.2010 i signori De Filippis David e
Gallinaro Maria Veronica, sia in proprio che quali esercenti la potestà genitoriale
sulla figlia minore Arianna De Filippis, avevano citato in giudizio – davanti al
Tribunale di Roma - il Dr. Paolo Maria D’Alessio, il Dr. Alberto Calugi e l’Istituto
Religioso “Figlie Santa Maria di Leuca”, per ivi sentir accogliere le seguenti
conclusioni:
“accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale dei
convenuti per inadempimento dell’obbligazione, sia quanto ai medici dott. D’Alessio
e dott. Calugi che quanto alla Clinica Figlie di Santa Maria di Leuca, e per aver
violato diritti costituzionalmente garantiti della gestante e del futuro padre,
nonché del nascituro, sotto il profilo della lesione del diritto alla salute ed
all’integrità psicofisica e del diritto all’autodeterminazione; accertare e dichiarare
l’esistenza del relativo danno subito sia dalla Signora M. Veronica Gallinaro che dal
Sig. David De Filippis, nonché dalla piccola Arianna e riconoscere, per l’effetto, il
diritto dei coniugi De Filippis, in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale
sulla minore Arianna, al risarcimento del danno, come appresso specificato, con
condanna dei convenuti in solido: a) per la Signora Gallinaro, € 26.592,38 a titolo
di danno biologico, calcolato come descritto nell’atto introduttivo, o la somma
maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di quantificazione a mezzo
CTU, oltre interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al soddisfo; b) per la
Signora Gallinaro, € 13.296,00, a titolo di danno morale, calcolato come riportato
nell’atto introduttivo, o la somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a
seguito di quantificazione a mezzo CTU, oltre interessi e rivalutazione dalla data
del fatto fino al soddisfo; c) per la Signora Gallinaro, € 8.864,12 a titolo di danno
esistenziale, calcolato come detto nell’atto introduttivo, o la somma maggiore o
minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di quantificazione a mezzo CTU, oltre
interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al soddisfo; d) per il Sig. De
Filippis, € 15.939,38 a titolo di danno biologico, calcolato su un danno pari al 10% e
rapportato all’età del padre al momento della nascita della bimba, o la somma
maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di quantificazione a mezzo
CTU, oltre interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al soddisfo; e) per il
Sig. De Filippis, € 7.969,69 a titolo di danno morale, calcolato come detto, o la
somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di quantificazione a
mezzo CTU, oltre interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al soddisfo; f)
per il Sig. De Filippis, € 5.313,12 a titolo di danno esistenziale, calcolato come
sopra, o la somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di
quantificazione a mezzo CTU, oltre interessi e rivalutazione dalla data del fatto
fino al soddisfo; g) per entrambi i coniugi De Filippis, quali esercenti la potestà
genitoriale sulla figlia minore Arianna, € 1.026.755,04 a titolo di danno biologico,
calcolati sull’invalidità civile totale riconosciuta alla bambina, oltre ad € 513.377,50
a titolo di danno morale calcolato su ½ del danno biologico, o la somma maggiore o
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minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di quantificazione a mezzo CTU, oltre
interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al soddisfo; h) per entrambi i
coniugi De Filippis, al ristoro delle spese, quantomeno, documentate, pari, alla data
della citazione- ad € 12.444,75 (ma in corso di ulteriore incremento come risulterà
dal prosieguo della causa); In via subordinata, accertare e dichiarare il diritto dei
Sigg.ri Gallinaro e De Filippis, in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale
sulla minore Arianna, al risarcimento delle voci di danno sopra specificate,
quantificando il risarcimento in via equitativa ex art. 1216 c.c., e, per l’effetto,
condannare i convenuti in solido al pagamento della somma ritenuta di giustizia;
Accertare e dichiarare il danno lavorativo subito da entrambi i coniugi De Filippis a
causa dei cambiamenti che hanno dovuto porre in essere per le patologie di Arianna
e, per l’effetto, condannare i convenuti in solido al pagamento della somma ritenuta
di giustizia, anche in via equitativa; Condannare i convenuti in solido al pagamento
delle spese, competenze ed onorari di causa”.
A sostegno della domanda avevano dedotto che nell’anno 2005 la signora Maria
Veronica Gallinaro iniziava la sua seconda gravidanza, dopo aver avuto, nel 2004
una primogenita, deceduta dopo soli dieci giorni dalla nascita.
In data 18.11.2005, in corso della 17^ settimana, l’attrice effettuava un esame
ecografico re-morfologico dal quale si evidenziava la “presenza di due golf ball nel
ventricolo sinistro”, e successivamente, il 23.12.2005, alla 21^ settimana di
gestazione, in regime di ricovero (giacché alla 20^ settimana la signora Gallinaro
doveva essere ricoverata e sottoposta a cerchiaggio cervicale presso la Casa di
Cura privata Santa Maria di Leuca per pericolo di parto pretermine) veniva
effettuata, dal Dr. D’Alessio, una ecografia morfologica. In quell’occasione,
l’ecografista riferiva ai coniugi De Filippis di “non riuscire a visualizzare la vena
polmonare, forse a causa della posizione del feto”. L’ecografista refertava “la
presenza nel cranio di piccola cisti a destra di circa 4.3. mm, la presenza, nel
torace, di piccola golf ball ventricolo sinistro”, nonché l’impossibilità di verificare
lo stato del torace, “non visualizzato con accuratezza a causa della posizione, non
visualizzate le emergenze dei grossi vasi”.
Non essendo, quindi, l’indagine esauriente, il 29.12.2005 il Dr. D’Alessio seguiva una
nuova ecografia, ma nel referto, in questa occasione, non indicava la presenza di
alcuna problematica, limitandosi ad osservare: “Torace: Cuore fetale visualizzato
normoposto; Quattro camere visualizzate; Attività cardiaca presente”. A causa di
nuove minacce di parto precoce, la Signora Gallinaro veniva ricoverata presso
l’Ospedale di Gaeta, e di lì trasferita presso l’Ospedale Sant’Eugenio di Roma,
dotato di Terapia Intensiva Neonatale.
Il parto aveva luogo il 27.3.2006, con taglio cesareo, alla 33^ settimana di
gravidanza, ed alla neonata veniva subito riscontrata una gravissima malformazione
cardiaca, il truncus arteriosus, o sindrome di Di George.
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La vena (rectius, arteria polmonare) non visualizzata in morfologica a causa “della
posizione del feto”, in effetti mancava del tutto e doveva essere ricostruita con un
delicatissimo intervento da effettuarsi con estrema urgenza; intervento non
definitivamente risolutivo.
Per questo in data 6.4.2006 la piccola Arianna veniva sottoposta ad intervento
cardiochirurgico di ricostruzione della confluenza delle arterie polmonari e
correzione di Truncus Arteriosus, presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di
Roma. Il decorso postoperatorio si complicava a seguito di paralisi del diaframma,
per cui il 24.4.06 la bambina veniva sottoposta ad intervento di plicatura
dell’emidiaframma destro e dimessa cinque mesi dopo con innumerevoli
problematiche irrisolte, poiché non risolvibili.
La bimba ancora dopo molti anni dalla nascita soffriva di cardiopatia congenita,
ritardo e gravi limitazioni nello sviluppo linguistico e motorio, crisi di apnea,
disturbo dell’alimentazione riferito a difficoltà di deglutizione e masticazione con
reflusso gastroesofageo; necessità di continui controlli ed accertamenti, nonché di
costanti terapie mediche, psicomotorie e farmacologiche, senza possibilità di
soluzione positiva del problema ma, anzi, con seria probabilità di peggioramento del
quadro generale e delle singole patologie.
A detta degli attori tutte le patologie della figlia sarebbero state prevedibili ed
accertabili tramite idonei approfondimenti specialistici, che dovevano essere
indicati nel momento in cui vennero eseguiti l’ecografia morfologica ed il successivo
approfondimento. La presenza di “due golf ball nel ventricolo sinistro” evidenziata
nel corso dell’ecografia premorfologica, unitamente al decesso della primogenita
dei signori De Filippis, ed alle dubbie risultanze diagnostiche emerse dall’ecografia
morfologica del 23.12.2005, avrebbe dovuto indurre i medici curanti a richiedere
esami più specifici.
Un’indagine più approfondita, come l’ecocardiocolordoppler o simili, eventualmente
supportata da altre, avrebbe consentito di visualizzare correttamente la patologia
cardiaca, permettendo alla gestante di esercitare il proprio diritto ad una
procreazione cosciente e responsabile, scegliendo se interrompere o proseguire la
gravidanza ai sensi della legge 194/78. La grave mancanza dei medici aveva inciso
negativamente, quindi, sulla facoltà di autodeterminazione della donna
all’interruzione di gravidanza.
Nel corso del giudizio di primo grado si erano costituite tutte le parti convenute
contestando la fondatezza della domanda attrice e chiedendone il rigetto e,
contestualmente, chiedendo di chiamare in causa le rispettive compagnie di
assicurazione (rispettivamente Allianz e Unipol Sai per il dr. D’Alessio, Lloyd’s ed
Allianz per il dr. Calugi, Società Cattolica di ass.ni per l’Istituto Religioso) al fine di
essere manlevati in caso di soccombenza.
Concessa l’autorizzazione, anche le compagnia chiamate in causa si costituivano in
giudizio formulando le rispettive deduzioni ed eccezioni.
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All’esito dell’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio e precisate le
conclusioni, la causa veniva decisa dall’adito Tribunale con sentenza in data
10.11.2015 che rigettava la domanda attrice compensando le spese di lite.
Hanno proposto appello De Filippis David e Gallinaro Maria Veronica, anche per
conto della minore Arianna De Filippis, chiedendo la riforma della sentenza di
primo grado.
D’Alessio Paolo Maria ha resistito al gravame e spiegato appello incidentale.
Calugi Alberto ha resistito al gravame e spiegato appello incidentale.
L’Istituto Figlie Di Santa Maria Di Leuca ha resistito al gravame e spiegato
appello incidentale.
Gli Assicuratori Dei Lloyd’s hanno resistito al gravame.
La Allianz Spa (garante del dr. D’Alessio) ha resistito al gravame
La Allianz Spa (cessionaria della bernese assicurazioni spa e garante del dr.
Calugi) ha resistito al gravame.
La Unipolsai Assicurazioni Spa ha resistito al gravame.
La Cattolica Di Assicurazioni Soc Coop. a r.l. ha resistito al gravame.
All’esito della verifica della costituzione delle parti, sono state precisate le
conclusioni all’udienza collegiale del 21.03.2017 ove la causa è stata trattenuta per
la decisione ai sensi dell’art.352 c.p.c. con concessione dei termini fissati
dall’art.190 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare sulla eccepita inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art.342
c.p.c. (nuova formulazione).
L’eccezione è infondata.
Invero, nonostante la riforma del citato articolo del codice di rito, rimane fermo
che il requisito della specificità dei motivi, di cui all’art. 342 c.p.c., deve ritenersi
sussistente, secondo una verifica da effettuarsi in concreto, quando l’atto di
impugnazione consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le
statuizioni impugnate, sì da consentire al giudice di comprendere con certezza il
contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la
propria attività difensiva, mentre non è richiesta né l’indicazione delle norme di
diritto che si assumono violate, né una rigorosa e formalistica enunciazione delle
ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione (cfr. Cass. civ., sez. III, 23-10-2014,
n. 22502), né una formalistica indicazione di come l’appellante vorrebbe che la
sentenza appellata venisse modificata, tanto più quando la decisione gravata abbia
rigettato la domanda e l’appellante chieda l’accoglimento della stessa secondo la
prospettazione iniziale con una riforma secondo le formulate conclusioni.
Nel rispetto delle previsioni dell’art.342 c.p.c. la parte appellante ha impugnato la sentenza per i seguenti motivi: I° motivo di appello “ha errato il Tribunale a ritenere che gli attori avrebbero omesso di indicare e quantificare il danno da mancata interruzione della gravidanza e conseguentemente ha errato a non liquidarlo - Violazione art. 112 cpc”;
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II° motivo “ha errato il Tribunale ad escludere la responsabilità del D. Calugi ginecologo ed a rigettare la domanda promossa nei suoi confronti - violazione art. 116 cpc”; III° motivo “ha errato il Tribunale a rigettare le richieste di risarcimento danni biologico e morale subiti dalla minore e dai genitori a seguito della invalidità totale riscontrata alla bambina – violazione artt. 1218 e 2059 c.c. in relazione art. 6 e 7 L: 194/78”; IV° motivo “ha errato il Tribunale a rigettare sostenendo il difetto dei requisiti richiesti dalla legge 194/78 per l’interruzione della gravidanza oltre il 50° giorno ed a ritenere esistente il difetto di prova sul nesso causale – contraddittorietà della decisione su tale ultimo punto istanza ex art. 356 c.p.c. - violazione art. 6 lett. b) L. 194/78 – violazione art. 116 cpc”. I vari motivi vanno esaminati congiuntamente per attinenti alla stessa questione di fondo. In merito ai rilievi sollevati dalla appellante giova riportare la decisione del Tribunale che aveva così motivato la sua decisione: “In data 17.12.05, alla 20ª settimana di gestazione circa, Gallinaro Maria Veronica fino ad
allora svoltasi regolarmente, si sottoponeva ad un controllo ostetrico presso uno studio medico
di Formia ove veniva riscontrata la presenza di una dilatazione cervicale (collo dell’utero aperto
di 1 cm). Su consiglio del medico si ricovera presso la Casa di Cura convenuta ove il Calugi le
consigliava di eseguire un cerchiaggio cervicale. A momento del ricovero la paziente informava
i sanitari che il giorno 2.01.06 presso il centro Artemisia avrebbe dovuto eseguire un’ecografia
morfologica; i sanitari decidevano di anticipare l’esecuzione di tale esame in quanto la Gallinaro
avrebbe dovuto sottoporsi al suddetto intervento.
L’ecografia morfologica veniva eseguita il 23.12.05 dal D’Alessio; l’operatore precisava nel
referto che, a causa della posizione fetale, non era riuscito a visualizzare correttamente la
posizione dei vasi cardiaci; il 27 dicembre veniva eseguito l’intervento di cerchiaggio cervicale.
Prima della dimissione veniva deciso di eseguire una nuova ecografia morfologica, date le
incertezze di quella del 23 dicembre; essa veniva effettuata il 29 dicembre sempre dal
D’Alessio. Nel referto l’operatore non evidenziava elementi patologici. Seguivano ulteriori
ricovero all’Ospedale di Gaeta e all’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, mentre il parto avveniva il
27 marzo 2006 alla 33ª settimana di gestazione mediante taglio cesareo d’elezione e la piccola
Arianna risultava affetta da una cardiopatia congenita, nella fattispecie tronco arterioso comune,
nel contesto di una patologia cromosomica, la sindrome di Di George; in data aprile veniva
eseguito intervento di correzione della cardiopatia. Attualmente la bambina presenta le seguenti
alterazioni: severa insufficienza polmonare, ventricolo destro moderatamente dilatato con
funzione sistolica globale ai limiti inferiori, arteria polmonare destra di calibro lievemente
ridotto nel tratto medio-distale.
Ciò premesso, deve in primo luogo rilevarsi che nella consulenza tecnica d’ufficio viene
evidenziato che non si può far risalire al comportamento incongruo dei sanitari convenuti la
causa della patologia da cui è attualmente affetta la minore; tale patologia, infatti, riconosce
un’eziologia naturale non potendo, pertanto, inserire alcun comportamento e/o azione umana nel
determinismo causale della stessa.
Ne consegue che non possono trovare accoglimento le richieste di risarcimento di danno
biologico e morale subiti dalla minore e dai genitori a seguito della invalidità totale subita dalla
bambina. La patologia che l’ha colpita non avrebbe potuto essere evitata o curata in alcun modo
a prescindere dal tipo di esame diagnostico a cui la Gallinaro avrebbe potuto essere sottoposta.
Gli attori allegano anche la sussistenza di un danno da mancata interruzione della gravidanza –
peraltro senza procedere ad alcuna specifica indicazione e quantificazione - deducendo che, ove
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fosse stata correttamente visualizzata la patologia cardiaca, ciò avrebbe consentito alla gestante
di esercitare il proprio diritto ad una procreazione cosciente e responsabile, scegliendo se
interrompere o proseguire la gravidanza ai sensi della legge 194/78. La grave mancanza dei
medici aveva, ad avviso degli istanti, inciso negativamente, quindi, sulla facoltà di
autodeterminazione della donna all’interruzione di gravidanza.
Orbene, rilevano al riguardo i consulenti tecnici d’ufficio, dopo aver illustrato le linee guida
dell’epoca della Società di Ecografia Ostetrica e Ginecologica (SIEOG 2002), che l’ecografia
effettuata il 23.12.05 dal D’Alessio ha correttamente indagato tutti parametri biometrici
suggeriti dalle suddette Linee Guida, evidenziando, al livello cranico e addominale, un regolare
sviluppo del feto, mentre a livello toracico, pur in presenza di una normale visualizzazione delle
4 camere cardiache, era rilevata una “golf ball” (focus iperecogeno del cuore del feto) del
ventricolo sinistro e non erano visualizzate le emergenze dei grossi vasi. Evidenziano, quindi, il
comportamento diligente del D’Alessio, in quanto, nel tentativo di valutare gli efflussi cardiaci,
ha cercato di visualizzare l’emergenza dei grossi vasi cardiaci, al fine di individuare la presenza
di una eventuale anomalia cardiaca.
A questo punto due erano le opzioni diagnostiche: la prima, scelta nel caso in esame, era
rappresentata da un nuovo controllo ecografico, così come praticato il 29 dicembre, che avrebbe
dovuto indagare con particolare attenzione, cura e diligenza l’efflusso cardiaco fetale e, quindi,
l’emergenza dei grossi vasi; la seconda era una ecocardiografia fetale, esame di secondo livello,
il cui utilizzo sarebbe stato giustificato non solo dalla mancata visualizzazione dell’emergenza
dei grossi vasi durante l’esame ecografico del 23 dicembre, ma anche da un ulteriore aspetto,
che emergeva nel corso di detto esame, ovvero il riscontro di una “golf ball” del ventricolo
sinistro. Un ulteriore aspetto che avrebbe giustificato il ricorso all’ecocardiografia fetale era
rappresentato dal fatto che un altro figlio degli attori era stato colpito da arresto cardiaco
improvviso, inquadrabile in una SIDS (morte in culla).
Concludono sul punto nel senso che l’anamnesi positiva per pregressa morte neonatale, la
presenza di una “golf ball” (reperto talvolta correlato ad una cromosomopatia) e la mancata
visualizzazione dei grossi vasi sono elementi che presi singolarmente potrebbero essere
considerati privi di significato patologico ma, valutati in un contesto in cui erano presenti
contemporaneamente, avrebbero dovuto giustificare il ricorso ad approfondimenti diagnostici,
quale una ecografia fetale.
Tale esame non avrebbe consentito una diagnosi di certezza della patologia cromosionica da
cui era affetta la De Filippis, ma avrebbe quanto meno determinato la possibilità di porre
diagnosi di tronco arterioso comune: esso è caratterizzato dalla presenza di un unico grosso vaso
arterioso che dà origine alla circolazione polmonare, sistematica e coronarica.
L’eventuale riscontro di tale patologia avrebbe necessariamente dovuto condurre i sanitari a
sottoporre, in un secondo momento, la paziente ad indagini di genetica molecolare, al fine di
evidenziare eventuali aberrazioni cromosomiche, presenti nel 15-20% dei casi di anomalie
cono-truncali (come il cono arterioso comune); con la successiva indagine di citogenetica
molecolare sarebbe stato possibile giungere all’identificazione dell’anomalia cromosomica della
sindrome di Di George da cui è affetta Arianna De Filippis.
La mancata identificazione di tale patologia può essere fatta, dunque, risalire al comportamento
incongruo del D’Alessio, il che esclude, in ogni caso, la sussistenza di qualsiasi responsabilità
dell’altro medico convenuto, dr. Calugi, nei cui confronti la domanda deve essere rigettata.
Osservano, in particolare, i consulenti d’ufficio che nell’esame eseguito il 29 dicembre non
viene riportato alcunché riguardo all’emergenza dei grossi vasi; è proprio la carenza relativa a
questo aspetto che configura un comportamento censurabile del dr. D’Alessio, facendo supporre
che l’esame sia stato condotto verosimilmente in modo superficiale. Infatti, se fosse stato
condotto in maniera più attenta e più approfondita, il D’Alessio si sarebbe potuto accorgere
dell’alterazione dell’emergenza dei grossi vasi ed arrivare alla diagnosi della patologia di
Tronco arterioso Comune.
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Occorre, a questo punto, accertare se al momento in cui avrebbe potuto essere posta la diagnosi
di Tronco arterioso Comune sussistevano i presupposti per consentire alla Gallinaro di scegliere
se interrompere o meno la gravidanza oltre il 90° giorno.
Dispone l’art. 6 della legge n. 194 del 1978 che l’interruzione volontaria della gravidanza, dopo
i primi 90 giorni può essere praticata in due ipotesi: << a) quando la gravidanza o il parto
comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi
patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che
determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna>>.
Il successivo art. 7, all’ultimo comma, stabilisce che <<quando sussiste la possibilità di vita
autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla
lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a
salvaguardare la vita del feto>>.
Premesso che non risulta che la gravidanza o il parto abbiano comportato un grave pericolo per
la vita dell’attrice, il succitato art. 7 non definisce la soglia cronologica della possibilità di vita
autonoma del feto; la Comunità Scientifica Internazionale (la Società Italiana di Perinatologia
già nel 1990), ha ridefinito il concetto di aborto, prima inteso quale interruzione della
gravidanza entro il 180° giorno completo di amenorrea, ossia 25 settimane e 5 giorni.
L’esperienza clinica maturata all’epoca della emanazione della legge 194, infatti, aveva
consentito, con ragionevole margine di certezza, di collocare la possibilità di vita autonoma del
feto tra la fine del secondo e l’inizio del terzo trimestre di gestazione, ma i progressi straordinari
raggiunti in ambito di rianimazione e assistenza neonatale, hanno notevolmente anticipato tale
soglia, attestandosi attorno alla 22ª settimana.
La giurisprudenza ha chiarito che per possibilità di vita autonoma del feto si intende quel grado
di maturità del feto che gli consentirebbe, una volta estratto dal grembo della madre, di
mantenersi in vita e di completare il suo processo di formazione anche fuori dall'ambiente
materno. Pertanto in una causa in cui si discute se la donna sia stata impedita ad interrompere la
gravidanza da un inadempimento del medico ad una sua obbligazione professionale, l'eventuale
interrogativo concernente la possibilità di vita autonoma del feto va risolto avendo riguardo al
grado di maturità raggiunto dal feto nel momento in cui il medico ha mancato di tenere il
comportamento che da lui ci si doveva attendere (Cfr. Cass. 13/10).
Nel caso in questione la Gallinaro, alla data in cui venne eseguita la seconda ecografia ostetrica,
era giunta alla 22ª settimana + 4 giorni di gestazione; nell’eventualità, quindi, di dover prendere
una decisione relativa all’interruzione volontaria della gravidanza, si trovava comunque in una
situazione di complessa valutazione ostetrico –ginecologica, specialmente in relazione alla
valutazione della possibilità di vita autonoma del feto.
Proseguono i consulenti d’ufficio precisando che la Gallinaro si trovava, al momento della
mancata diagnosi, in una situazione border-line. Il completamento dell’iter clinico e legislativo
necessario prima di potersi procedere all’interruzione della gravidanza avrebbe, inoltre,
aumentato l’età gestazionale dell’attrice, trascinandosi intorno alla 23ª settimana di gravidanza.
Una volta superata la 24ª settimana, non si sarebbero più verificate le condizioni che avrebbero
consentito di attuare la procedura per l’interruzione di gravidanza, in quanto si presume che il
feto (alla 24ª settimana) è dotato di possibilità di vita autonoma.
Affrontando il caso specifico, osservano, poi, che il feto della Gallinaro era affetto da una grave
malformazione cardiaca incompatibile con la vita in assenza di una assistenza neonatale
immediata e di un immediata e di un delicato intervento cardiochirurgico e che le stesse
evidenze scientifiche in ambito ostetrico ritengono che la 22ª settimana sia il limite ultimo sotto
il quale il feto non è dotato di vita autonoma.
Inoltre, dopo aver sottolineato che i feti nati tra la 22ª e la 24ª settimana, pur se sani e senza
malformazioni, hanno scarsa possibilità di sopravvivenza, anche in presenza di efficaci
trattamenti in terapia intensiva neonatale, dovendo valutare il caso specifico, la vitalità del feto
della Gallinaro al momento dei fatti, quando questo aveva quasi raggiunto la 23 settimana
gestazionale, ritengono che, tenuto conto delle malformazioni cardiache di cui era portatore,
essendo affetto di sindrome di Di George, esso non aveva possibilità di vita autonoma.
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Ne consegue che la facoltà di richiedere l’interruzione della gravidanza non era limitata soltanto
all’ipotesi di cui alla lettera a) del succitato art. 6 della legge n. 194 del 1978.
Occorre, quindi, accertare se sussiste il requisito di cui alla lettera b) del medesimo art. 6; la
Suprema Corte (Cfr. Cass. 6735/02) ha stabilito che, in tema di responsabilità del medico da
nascita indesiderata, allorquando occorre stabilire se la donna avrebbe potuto esercitare il suo
diritto di interrompere la gravidanza ove fosse stata convenientemente informata sulle
condizioni del nascituro, non si deve accertare se in lei si sia instaurato un processo patologico
capace di evolvere in grave pericolo per la sua salute psichica, ma se la dovuta informazione
sulle condizioni del feto avrebbe potuto determinare durante la gravidanza l'insorgere di un tale
processo patologico. (Nella specie la Suprema Corte ha peraltro confermato la sentenza di
merito che, nel riferirsi alla reazione instauratasi nella madre al momento della nascita del figlio,
ha espresso il giudizio che analoga reazione si sarebbe determinata durante la gravidanza, ove la
gestante avesse potuto rappresentarsi le conseguenze che sulla vita sua e del nascituro sarebbero
potute derivare dalle malformazioni che il feto presentava). In altri termini, si deve stabilire - in
base al criterio (integrabile da dati di comune esperienza evincibili dall'osservazione dei
fenomeni sociali) del "più probabile che non" e con valutazione correlata all'epoca della
gravidanza - se, a seguito dell'informazione che il medico omise di dare per fatto ad esso
imputabile, sarebbe insorto uno stato depressivo suscettibile di essere qualificato come grave
pericolo per la salute fisica o psichica della donna (Cfr. Cass. 22837/10). Ed ancora, in tema di
responsabilità medica, il sanitario che formuli una diagnosi di normalità morfologica del feto
anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la
visualizzazione nella sua interezza, ha l'obbligo d'informare la paziente della possibilità di
ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, in vista dell'esercizio del diritto
della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti. Al riguardo la prova,
pur se incombente sulla parte attrice, lamentandosi la mancata informazione da parte del
medico, non può che essere di natura presuntiva quanto al grave pericolo per la salute psichica
della donna che costituisce la condizione richiesta dalla legge per l'interruzione di gravidanza
(Cf. Cass. 15386/11).
Quanto all’onere della prova la Suprema Corte ha, altresì, precisato che spetta alla donna che
chiede di essere risarcita la prova dei fatti costituitivi della pretesa azionata - id est, che
l'informazione omessa avrebbe provocato un processo patologico tale da determinare un grave
pericolo per la sua salute, e, in stretta connessione, che, nella situazione ipotetica data, ella
avrebbe effettivamente optato per l'interruzione della gravidanza – con la conseguenza che il
rischio della mancanza o della insufficienza del quadro probatorio acquisito andrà a suo carico
(Cfr. Cass. 7269/13) Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno cosiddetto da
nascita indesiderata (ricorrente quando, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario
dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di abortire) è
onere della parte attrice allegare e dimostrare - con riguardo alla sua concreta situazione - la
sussistenza delle condizioni legittimanti l'interruzione della gravidanza ai sensi dell'art. 6, lett.
b), della legge 22 maggio 1978, n. 194, ovvero che la conoscibilità, da parte della stessa,
dell'esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato
patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica (Cfr. Cass. 27528/13).
Nella succitata sentenza n. 7269 del 2103 viene anche precisato che la verifica dell'esistenza o
meno, all'epoca dell'assunto diritto all'interruzione della gravidanza, del grave pericolo per la
salute fisica o psichica della donna, va condotto con giudizio ex ante, di talchè ciò che si è
effettivamente verificato successivamente può avere solo valore indiziario o corroborativo, ma
non decisivo.
Ciò premesso, nel caso in esame la Gallinaro è attualmente affetta, come accertato dai
consulenti tecnici d’ufficio, da Disturbo dell’adattamento con ansia di lieve entità.
Verosimilmente nel passato si è verificato un episodio di Depressione Maggiore, seppure non
documentato a sufficienza. Entrambi sono sintomi di rilevanza psichiatrica e rientrano nella
nosografia di cui al DSM IV. Secondo un giudizio di altissima verosimiglianza esiste un nesso
di causalità tra la suddetta malattia e la nascita della figlia Arianna. Detta malattia si innesta in
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un quadro di precedente disagio, seppure tale disagio non sia stato la causa diretta della
successiva patologia; aggiungono, inoltre, che a causa della patologia attuale può ravvisarsi
nella scoperta delle condizioni di salute della piccola Arianna; non c’è relazione, invece, tra le
condizioni di Arianna ed il precedente disagio.
Concludono valutando il Disturbo dell’adattamento con ansia di lieve entità da cui è affetta la
Gallinaro quale danno biologico quantificabile nella misura del 7%.
Le risultanze della relazione peritale inducono a ritenere, in via presuntiva, in difetto di ulteriori
elementi di valutazione, che analoga reazione si sarebbe manifestata nella madre durante la
gravidanza, ove essa fosse stata edotta circa le conseguenze che sarebbero potute conseguire
dalle malformazioni che presentava il feto sulla sua vita e su quella del figlio che aveva in
grembo.
La suddetta percentuale del 7% per una patologia che gli stessi consulenti tecnici d’ufficio
definiscono di lieve entità esclude che nel caso in esame possa ritenersi sussistente il requisito di
cui alla lettera b) dell’art. 6 della legge n. 194 del 1978 laddove esso richiede che <<….siano
accertati processi patologici…che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica
della donna>>, cioè una situazione patologica oggettivamente seria al punto da mettere
gravemente a rischio la salute della madre.
Pertanto, l’attrice non avrebbe potuto decidere se procedere o meno all’interruzione volontaria
della gravidanza in base alla legge n. 194 del 1978 per mancanza di uno dei requisiti richiesti
dalla legge stessa.
Inoltre, neppure gli istanti hanno allegato e dimostrato che, se la signora Gallinaro fosse stata
informata delle malformazioni del concepito, avrebbe effettivamente optato per l’interruzione
della gravidanza; trattandosi di fatto costitutivo della pretesa azionata, esso andava provato da
parte attrice.
Ed invero, in tema di risarcimento del danno da negligenza professionale medica, in ordine al
difetto di informazione circa la presenza di malformazioni fetali, l’onere probatorio incombe
sulla madre, secondo il criterio dell’eius incumbit qui dicit, e non sul medico dimostrare la
probabile o certa della volontà abortiva della gestante. Il giudice, invece, è chiamato a desumere
caso per caso, senza ricorrere a generalizzazioni statistiche, le conseguenti inferenze probatorie
e il successivo riparto dei relativi oneri, posto che la richiesta di uno o più accertamenti
diagnostici in corso di gravidanza costituisce un indice non univoco della volontà abortiva,
salvo che siano finalizzati alla scoperta di eventuali malformazioni (Cfr. Cass. 12264/14 in linea
con la n. 7629/13). Tale pronuncia ritiene che una diversa distribuzione degli oneri probatori
trasformerebbe il giudizio risarcitorio in una vicenda para-assicurativa collegata, nella sostanza,
al solo verificarsi dell’evento di danno conseguente all’inadempimento del medico.
Alla luce di tali considerazione ritiene il giudicante che la domanda non possa trovare
accoglimento sia per difetto dei requisiti richiesti dalla legge n. 194 del 1978 per l’interruzione
della gravidanza oltre il 90° giorno, sia per difetto di prova in ordine al nesso causale.
L’esito della domanda attrice rende superfluo l’esame di quelle di garanzia formulate dai
convenuti nei confronti delle rispettive compagnie assicuratrici.
Le spese relative alla CTU vanno poste in via definitiva a carico di parte attrice.
Infine, sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra tutte le parti in causa in
considerazione della indubbia complessità delle questioni trattate. “
* Ritiene questa Corte che la decisione appellata, sebbene corretta nell’analisi dei fatti di riferimento e nei richiami delle norme di legge e dei principi giurisprudenziali del caso, non sia condivisibile sulla valutazione delle conseguenze derivate alla gestante per effetto dell’intervenuta nascita (indesiderata) della piccola Arianna affetta da una gravissima malformazione cardiaca (non diagnosticata). L’esauriente motivazione del Tribunale sugli aspetti fattuali del caso può esonerare questa Corte dall’indicazione dei dati di fatto per concentrare l’analisi
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dell’appello per ciò che riguarda i profili che il primo giudice aveva ritenuto come fondanti la decisione del rigetto della domanda degli odierni appellanti.
L’appello, come anticipato, merita accoglimento e le ragioni del suo fondamento
(complessivo) si rinvengono sia nelle ragioni sollevate dagli appellanti che nei
principi di diritto che la Suprema Corte ha affermato in analoga fattispecie di
responsabilità sanitaria da omessa diagnosi di malformazioni fetali e conseguente
nascita indesiderata (Cass. Sez. III 2.10.2012 n. 16754).
In tema di pregiudizi da nascita indesiderata è necessario verificare
preventivamente ulteriori questioni: la responsabilità contrattuale del medico per
l’omessa informazione alla gestante; la conseguente violazione della libertà di
autodeterminazione della puerpera, non idoneamente informata, che si è vista
sottrarre la possibilità di interrompere la gravidanza; l’individuazione dei soggetti
legittimati (a parte il nato), a far valere in giudizio i danni correlati alla nascita
malformata.
In questa specifico contesto, invero, la giurisprudenza di legittimità ha ormai
pacificamente ricondotto nell’alveo contrattuale la responsabilità del medico per la
violazione del generale dovere di informazione nei confronti del paziente (cfr.
Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577).
In virtù di tale regola, la gestante, che si dolga dei danni da omessa o erronea
diagnosi prenatale, deve in pratica concentrare i propri sforzi probatori sul
quantum del pregiudizio sofferto (una volta dimostrato che, al momento della
diagnosi, sussistevano le condizioni dell’aborto terapeutico: cfr. Cass. 13 luglio
2011, n. 15386). Ai fini del risarcimento del danno, infatti, non si richiede alla
donna di dimostrare che, se fosse stata esattamente informata dal medico,
avrebbe effettivamente esercitato il diritto di interrompere la gravidanza: la
sussistenza dei presupposti per l’esercizio dei diritti conferiti dalla l. 194/78 si
ritiene idonea a fondare il nesso di causalità tra l’inadempimento del sanitario e il
precluso diritto di interrompere la gravidanza: cfr. Cass. 29 luglio 2004, n. 14488,
e Cass. 21 giugno 2004, n. 11488; Cass. 10 maggio 2002, n. 6735).
Né, d’altro canto, la donna è tenuta a dimostrare il rischio concreto di patologie,
immediatamente dipendenti dalla gravidanza indesiderata e che si sarebbero
evitate attraverso pratiche interruttive: l’insorgere di tali patologie deve ritenersi
implicito nella manifestazione preventiva della volontà della paziente di abortire,
nel caso di malattie del feto diagnosticate all’esito degli accertamenti richiesti e/o
dovuti (cfr. Cass. 10 novembre 2010, n. 22837; Cass. 10 maggio 2002, n. 6735).
Quindi, a prescindere da un’espressa manifestazione della volontà della donna di
interrompere la gravidanza, la verosimile insorgenza di patologie nella gestante può
essere desunta dalla richiesta specifica della donna di essere sottoposta ad esami
diagnostici idonei a rilevare malformazioni nel feto; si è ritenuto concepibile (cfr.
Cass. 16754/2012), al riguardo, una presunzione semplice basata sul fatto che
corrisponde a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza ove
informata delle gravi malformazioni del nascituro (nel senso che l’omessa
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rilevazione, da parte del medico specialista, della presenza di gravi malformazioni
nel feto, e la correlativa mancata comunicazione di tale dato alla gestante, deve
ritenersi circostanza idonea a porsi in rapporto di causalità con il mancato
esercizio, da parte della donna, della facoltà di interrompere la gravidanza, in
quanto deve ritenersi rispondente ad un criterio di regolarità causale che la donna,
ove adeguatamente e tempestivamente informata della presenza di una
malformazione atta ad incidere sull’estrinsecazione della personalità del nascituro,
preferisca non portare a termine la gravidanza (cfr. Cass. 4 gennaio 2010, n. 13).
Nel caso in esame, come ben evidenziato dagli appellanti, non poteva essere
negato l’inadempimento dei medici convenuti (sia il ginecologo che l’ecografista) nel
non aver approfondito la situazione complessiva della gestante al fine di accertare
la condizione del feto in presenza di un pregresso decesso di nascituro a soli 10
giorni dal parto (circa un anno prima dell’evento per cui è causa) e delle non
risolutive indagini ecografiche del 23 e 29 dicembre 2005 e delle verificate
presenze di “golf ball” nel ventricolo sinistro del feto; situazione che avrebbe
consigliato sia l’informazione della gestante sulla situazione rilevata che,
soprattutto, della necessità di effettuare ulteriori accertamento diagnostici sul
feto (cfr. Cass. civ., sez. III, 27-11-2015, n. 24220: <<in materia di attività
medico-chirurgica, l’obbligo di informare la gestante degli esami diagnostici
effettuabili preventivamente per conoscere patologie fetali, idonee ad orientare la
scelta tra l’interruzione o la prosecuzione della gravidanza, assume autonomo
rilievo, nel rapporto contrattuale, rispetto a quello relativo alla verifica degli esiti
di esami già effettuati ed alla valutazione della necessità di approfondimenti,
sicché la sua violazione implica una responsabilità contrattuale del professionista
fondata sulla lesione di un diritto all’autodeterminazione a scelte non solo
terapeutiche ma anche procreative, spettando al sanitario, a fronte della mera
allegazione dell’inadempimento di siffatto obbligo di informazione, dare la prova di
averlo, invece, adempiuto>>).
Va affermato, pertanto, che la pretesa della sig.ra Gallinaro (in particolare) ad
essere compiutamente informata prima del compimento del periodo di completa
gestazione, al fine di poter attuare consapevolmente le sue scelte procreative nel
rispetto della legge 194/1978, è fondata perché risulta violato il dovere, gravante
sui sanitari, di informare la gestante degli esami diagnostici effettuabili
preventivamente per conoscere patologie fetali, idonee ad orientare la scelta tra
l’interruzione o la prosecuzione della gravidanza.
Ed in una situazione come quella oggetto del presente giudizio “il primo bersaglio
dell’inadempimento del medico è il diritto dei genitori di essere informati, al fine,
indipendentemente dall’eventuale maturazione delle condizioni che abilitano la
donna a chiedere l’interruzione della gravidanza, di prepararsi psicologicamente e,
se del caso, anche materialmente, all’arrivo di un figlio menomato; e la richiesta dei
corrispondenti pregiudizi deve ritenersi consustanzialmente insita nella domanda di
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risarcimento dei danni derivati dalla nascita, quali il danno biologico in tutte le sue
forme e il danno economico, che di quell’inadempimento sia conseguenza immediata
e diretta in termini di causalità adeguata” (così Cass. civ., sez. III, 22-03-2013, n.
7269).
Non vi è dubbio, pertanto, che in accoglimento dell’appello la domanda proposta
dai genitori della piccola Arianna, come quella propria di quest’ultima, siano fondate
e che debba riconoscersi agli appellanti il risarcimento del danno subito sia per
l’avvenuta nascita indesiderata di una figlia malformata che per la violazione del
diritto all’autodeterminazione della gestante previamente e completamente
informata dai sanitari.
A chiudere il cerchio, con specifico riferimento alla prova del nesso di causalità
tra l’omessa rilevazione e comunicazione della malformazione del feto e il mancato
esercizio, da parte della madre, della facoltà di ricorrere all’interruzione
volontaria della gravidanza, va rilevato che, quando le controparti contestino
l’esistenza dei presupposti di legge, gravi sulla gestante la prova in base al criterio
(integrabile da dati di comune esperienza evincibili dall’osservazione dei fenomeni
sociali) del «più probabile che non» e con valutazione correlata all’epoca della
gravidanza - se, a seguito dell’informazione che il medico omise di dare per fatto
ad esso imputabile, sarebbe insorto uno stato depressivo suscettibile di essere
qualificato come grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna; prova
che è possibile fornire anche mediante presunzioni (cfr Cass. civ., sez. un., 22-12-
2015, n. 25767: <<in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il
genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre
avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza - ricorrendone le
condizioni di legge - ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia
fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a
inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico
proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-
fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense
all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si
sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale>>).
Nel caso in esame, per le stesse ragioni evidenziate dalla sentenza appellata con
riferimento alla ricorrenza dei presupposti per l’interruzione della gravidanza con
riferimento all’impossibilità per il nascituro di poter avere una vita autonoma post
partum, non vi è dubbio che la sig.ra Gallinaro corresse un grave danno alla sua
salute psico/fisica in caso di compimento della gestazione e di esecuzione del parto
(e quindi in difetto di un aborto) considerata la sua già compromessa condizione
psicologica (anche determinata dalla partita del precedente figlio appena nato) e la
estrema gravità della malformazione presentata dal feto che, ove fosse stata
diagnosticata nel dicembre 2005, avrebbe con fortissima verosimiglianza spinto la
donna ad interrompere la gravidanza per non correre il rischio di dover rivivere un
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momento già tragicamente trascorso (la morte di un figlio appena venuto alla luce)
ovvero di dover convivere con un figlio gravemente malato e bisognoso di
assistenza completa.
Dei danni subiti dai genitori del nascituro (sia la madre che il padre, v. Cass.
16754/12) sono responsabili sia il ginecologo curante della sig.ra Gallinaro (il prof.
Calugi) che il dr. D’Alessio quale consulente ecografista intervento su richiesta del
primo per l’esecuzione delle due ecografie morfologiche di I livello sulla gestante;
così come la casa di cura “Figlie di Santa Maria di Leuca” in virtù del rapporto di
lavoro che legava quest’ultima all’ecografista.
La responsabilità del primo deriva proprio dal rapporto diretto avuto con la
propria paziente, dalla conoscenza del suo vissuto ginecologico e dal dovere
specifico che sul dr. Calugi gravava nell’interesse della paziente ad essere seguita
nella sua gestazione anche con riferimento all’effettuazione di tutti gli
accertamenti necessari a preparare la gestante verso una gravidanza la più sicura e
tranquilla possibile; e non può negarsi che tra i compiti del ginecologo vi è anche
l’esame delle indagini strumentali e la verifica della loro completezza e della
necessita di proseguire con indagini anche di livello superiore (elementi del tutti
omessi dall’appellato Calugi).
La responsabilità del secondo (dr. D’Alessio) è palese e deriva da quanto i CTU di
primo grado avevano accertato ed indicato come carenza professionale del
medesimo ecografista (già censurata anche dal primo giudice, anche se non portata
alla conseguenza ulteriore in termini di condanna risarcitoria); va rammentato, a tal
riguardo, come lo specialista ecografista abbia il dovere di procedere
all’esecuzione dell’indagine nel modo più accurato possibile procedendo a ripetere
l’esame ove il precedente non abbia avuto l’esito sperato o siano emerse delle
difficoltà di lettura che depongano per un risultato non affidabile; nonché il
dovere di segnalare al medico curante l’opportunità di controlli ulteriori proprio
per la sua funzione di “consulente” .
In merito a quest’ultimo aspetto (ed in risposta all’incidentale appello sollevato
dall’Istituto religioso Figlie di S Maria di Leuca) giova evidenziare che, sebbene
risulti vero che il D’Alessio avesse eseguito le indagini ecografiche senza sapere la
storia clinica e le condizioni della paziente da analizzare, non può negarsi come
l’aver ricevuto la richiesta di indagine strumentale dal medico curante con
riferimento ad una gestante non poteva non comportare anche l’assunzione di oneri
e doveri ulteriori per il medico specialista in diagnostica ecografica poiché la
paziente risultava affidata alla sua attenzione e professionalità anche se nel
limitato ambito dell’esecuzione dell’indagine, onde poter espletare al meglio le
indagini diagnostiche in vista dell’accertamento delle condizioni del feto.
A pagina 23 della CTU collegiale emerge chiaramente l’addebito mosso ai medici
(il dr. D’Alessio ed il prof. Calugi) i quali dovevano compiere la scelta di come
procedere dopo le incertezza diagnostiche dell’ecografia ostetrica morfologica del
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23.12.2005; scelta che doveva essere impostata sulle rispettive competenze
specialistiche con uno scopo unico ed assorbente (dirimere ogni dubbio sulla
condizione del feto tenuto conto delle incertezze diagnostiche emerse durante la
ecografia precedente circa la mancata visualizzazione dei grossi vasi): l’ausilio del
medico diagnostico serviva ad orientare la valutazione del ginecologo, come le
conoscenze del ginecologo servivano all’ecografista per meglio eseguire le indagini
da compiere anche con riguardo a quelle di livello superiore (sebbene non
disponibili presso l’appellato Istituto religioso).
In tal senso deve essere letta e considerata la valutazione espressa dai
CC.TT.UU. a pagina 23/24 della loro relazione, dove essi scrivevano che “le suddette
considerazioni ovvero un’anamnesi positiva per pregressa morte neonatale, la presenza di una
golf ball (reperto, come si è detto, talvolta correlato ad una cromosomopatia) e la mancata
visualizzazione dell’emergenza dei grossi vasi, sono elementi che singolarmente potrebbero
essere considerati privi di significato, ma valutati in un contesto in cui erano presenti
contemporaneamente, avrebbero dovuto giustificare il ricorso ad approfondimento diagnostici,
quale una ecocardiografia fetale. Tale esame non avrebbe consentito una diagnosi di certezza
della patologia cromosomica da cui è affetta la De Filippis, tuttavia avrebbe quantomeno
determinato la possibilità di porre diagnosi di tronco arterioso comune”.
Tutti gli indicati elementi, che i due sanitari conoscevano ed avevano presenti sia
per conoscenza diretta sia per doverosa informazione l’uno verso l’altro, dovevano
spingere per l’approccio diagnostico di approfondimento come suggerito dai
CCTTUU (“i dati evidenziati dallo studio “Eurofetus” precedentemente citato, infatti,
mostrano una sensibilità per la diagnosi ecocardiografica di tale cardiopatia congenita pari al
59%”).
Pertanto, va confermata la responsabilità in solido delle tre parti appellate
senza alcuna indicazione di percentuali differenziate di responsabilità dovendosi
applicare (in difetto di elementi probatori utili allo scopo) l’ultimo comma
dell’art.2055 c.c. in base al quale ciascuno risponde per l’intero in via solidale, e le
colpe dei singoli obbligati si considerato uguali.
Per ciò che riguarda, invece, l’originaria domanda che era stata avanzata dai
genitori nell’interesse della figlia minore per il risarcimento del danno dalla stessa
patito in conseguenza della nascita con la malformazione indicata, diversamente da
quanto affermato in giurisprudenza da precedenti pronunce, la recente sentenza
della Cassazione, a sez. un., in data 22-12-2015, n. 25767, ha negato risarcimento
al bambino nato malformato perché si è ritenuto che “in tema di responsabilità
medica da nascita indesiderata, il nato disabile non può agire per il risarcimento del
danno, neppure sotto il profilo dell’interesse ad avere un ambiente familiare
preparato ad accoglierlo, giacché l’ordinamento non conosce il «diritto a non
nascere se non sano», né la vita del bambino può integrare un danno-conseguenza
dell’illecito omissivo del medico”.
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Pur tenuto conto delle perplessità suscitate, soprattutto in dottrina, sul
principio così affermato, questo Collegio ritiene doveroso darvi seguito per
l’autorevolezza della fonte da cui promana; con conseguente rigetto della domanda
proposta a suo tempo dagli appellanti nell’interesse della figlia Arianna.
Sul quantum spettante agli appellanti in proprio
Occorre partire dalle domande formulate in I grado e ribadite in questo grado in
sede di conclusioni:
“accertare e dichiarare la responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale dei convenuti per
inadempimento dell’obbligazione, sia quanto ai medici dott. D’Alessio e dott. Calugi che
quanto alla Clinica Figlie di Santa Maria di Leuca, e per aver violato diritti costituzionalmente
garantiti della gestante e del futuro padre, nonché del nascituro, sotto il profilo della lesione
del diritto alla salute ed all’integrità psicofisica e del diritto all’autodeterminazione; accertare
e dichiarare l’esistenza del relativo danno subito sia dalla Signora M. Veronica Gallinaro che
dal Sig. David De Filippis, nonché dalla piccola Arianna e riconoscere, per l’effetto, il diritto
dei coniugi De Filippis, in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulla minore Arianna,
al risarcimento del danno, come appresso specificato, con condanna dei convenuti in solido:
a) per la Signora Gallinaro, € 26.592,38 a titolo di danno biologico, calcolato come descritto
nell’atto introduttivo, o la somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di
quantificazione a mezzo CTU, oltre interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al
soddisfo;
b) per la Signora Gallinaro, € 13.296,00, a titolo di danno morale, calcolato come riportato
nell’atto introduttivo, o la somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di
quantificazione a mezzo CTU, oltre interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al
soddisfo;
c) per la Signora Gallinaro, € 8.864,12 a titolo di danno esistenziale, calcolato come detto
nell’atto introduttivo, o la somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di
quantificazione a mezzo CTU, oltre interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al
soddisfo;
d) per il Sig. De Filippis, € 15.939,38 a titolo di danno biologico, calcolato su un danno pari al
10% e rapportato all’età del padre al momento della nascita della bimba, o la somma maggiore
o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di quantificazione a mezzo CTU, oltre interessi e
rivalutazione dalla data del fatto fino al soddisfo;
e) per il Sig. De Filippis, € 7.969,69 a titolo di danno morale, calcolato come detto, o la somma
maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di quantificazione a mezzo CTU, oltre
interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al soddisfo;
f) per il Sig. De Filippis, € 5.313,12 a titolo di danno esistenziale, calcolato come sopra, o la
somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di quantificazione a mezzo
CTU, oltre interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al soddisfo;
g) per entrambi i coniugi De Filippis, quali esercenti la potestà genitoriale sulla figlia minore
Arianna, € 1.026.755,04 a titolo di danno biologico, calcolati sull’invalidità civile totale
riconosciuta alla bambina, oltre ad € 513.377,50 a titolo di danno morale calcolato su ½ del
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danno biologico, o la somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche a seguito di
quantificazione a mezzo CTU, oltre interessi e rivalutazione dalla data del fatto fino al
soddisfo;
h) per entrambi i coniugi De Filippis, al ristoro delle spese, quantomeno, documentate, pari,
alla data della citazione- ad € 12.444,75 (ma in corso di ulteriore incremento come risulterà
dal prosieguo della causa)>>.
Il risarcimento spetta sia alla madre che al padre (vedi in termini generali Cass.
16754/2012 già citata) per l’avvenuta nascita della figlia malformata.
In via di prima approccio al problema si terrà conto della c.t.u. medico legale fatta
espletare in primo grado – con riferimento alle conseguenze psico-fisiche
residuate alla sig.ra Gallinaro ed al coniuge dopo la nascita della figlia Arianna ed
in conseguenza della stessa (vedi pag. 32 e 33 ctu).
La c.t.u. aveva valutato i postumi residuati nel 7% per la madre e nel 4% per il
padre; evidenziando, peraltro, che tali esiti permanenti incidevano sui cambiamenti
lavorativi, anche se non necessariamente in senso negativo per la Gallinaro, ma
avevano determinato una diminuzione del reddito attuale per entrambi.
Facendo pieno affidamento nelle conclusioni dei predetti consulenti, perché congruamente motivate ed argomentate (anche sulle critiche sollevate su tale aspetto), si terranno fermi i criteri e le valutazioni della disposta consulenza tecnica e troveranno applicazione le tabelle in uso presso il Tribunale di Milano (in ciò adeguandosi ai principi delineati in merito dalla Suprema Corte di Cassazione) e si procederà ad una valutazione del danno subito dagli appellanti come danno non patrimoniale. Venendo, quindi, al quantum, ritiene questa Corte che l’appellante abbia certamente subito il danno biologico e cioè quello derivante da illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona, che, quale evento interno al fatto lesivo della salute, deve necessariamente esistere in presenza delle accertate lesioni, e che prescinde dal danno correlato alla capacità di produzione del reddito. Ai fini del risarcimento, il danno biologico deve essere considerato "in relazione all’integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella vita propria vita; non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana" (così Corte Costituzionale n. 356/1991). Inoltre, la Cassazione a Sez. Unite (sentenza n. 26972/2008) ha, tra l’altro, ritenuto che, nell’ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E’ compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione. Il giudice anziché
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procedere alla separata liquidazione del danno morale in termini di una percentuale del danno biologico (procedimento che determina una duplicazione di danno), deve procedere ad un’adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. La Cassazione recentemente ha statuito che, nella liquidazione del danno biologico, quando, come nella fattispecie concreta, manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari. Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono. L'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito (Cass., sent. n. 12408/2011). Fatte queste premesse, nel caso in esame si deve procedere alla determinazione tabellare del danno non patrimoniale che sarebbe teoricamente risarcibile agli appellanti tenendo conto dell’età degli stessi al momento del fatto (Gallinaro anni 33 – De Filippis anni 35): 1) Gallinaro - invalidità permanente 7% = somma base €. 2.190,70 - con aumento nel massimo tabellare (50%) per una congrua personalizzazione del danno, anche dal punto di vista delle conseguenze psicologiche subite dalla appellante (v. Cass. civ., sez. III, 19-02-2013, n. 4043) che dopo l’intervento risulta aver subito ulteriori privazioni psico/fisiche che sicuramente hanno determinato dolore e sofferenze psicologiche non modeste tenuto conto anche delle future ripercussioni in ambito relazionale) quindi l’importo finale a tale titolo è pari a €. 3.286,05. 2) De Filippis - invalidità permanente 4% = somma base €. 1734,30 - con aumento nel massimo tabellare (50%) per una congrua personalizzazione del danno, anche dal punto di vista delle conseguenze psicologiche subite dalla appellante (v. Cass. civ., sez. III, 19-02-2013, n. 4043) che dopo l’intervento risulta aver subito ulteriori privazioni psico/fisiche che sicuramente hanno determinato dolore e sofferenze psicologiche non modeste tenuto conto anche delle future ripercussioni in ambito relazionale) quindi l’importo finale a tale titolo è pari a €. 2.601,45.
Tuttavia, non può essere negato che il danno non patrimoniale che i due genitori
ebbero a subire vada ben al di là del semplice danno biologico individuato dai
consulenti tecnici ( e consistito in un Disturbo dell’adattamento con ansia) perché
appare del tutto evidente (e la stessa ctu lo aveva rimarcato) che il fatto in
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trattazione aveva comportato un cambiamento non solo in ambito lavorativo ma,
soprattutto, in ambito familiare, stravolgendo l’esistenza intera delle due persone
sia come esseri umani che genitori, ma anche come coniugi (la ctu fa emergere i
contrasti che erano insorti tra i coniugi sino a spingerli ad una vita quasi da
separati in casa…… -> in comparsa conclusionale viene indicato come nel frattempo i
due appellanti si fossero realmente separati!).
E’ evidente che sia necessario e doveroso tenere conto anche del danno subito
nella sfera intima ed esistenziale dei due appellanti non potendo nemmeno
lontanamente, sostenersi che si tratti di una duplicazione risarcitoria considerato
che si tratta di un pregiudizio ontologicamente diverso dal danno biologico e da
quello morale (cfr. Cass. civ., sez. III, 20-05-2016, n. 10414: <<il danno biologico
(cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello
dinamico-relazionale (altrimenti definibile «esistenziale», e consistente nel
peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito
abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non
patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione
contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla
sentenza n. 26972 del 2008 delle sezioni unite della corte di cassazione, giacché
quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione
atomistica dei suoi effetti>>).
La liquidazione, peraltro equitativa, non può prescindere dalla considerazione:
1) della specificità del caso, particolarmente penoso per i due genitori, chiamati
giornalmente a provvedere alle esigenze di una figlia affetta, sin dal primo giorno
di vita, da una invalidità totale che le impedisce di mantenere la posizione seduta e
di controllare le operazioni più comuni di vita, la obbliga ad essere alimentata per
via enterale e a dipendere in tutte le attività della vita quotidiana da altri,
2) dell'effetto perverso legato alla crescita della figlia (in altri contesti vissuta
con gioia ed aspettative), cui si accompagna un aumento delle incombenze legate
all'accudimento, senza alcuna diminuzione della sofferenza dei genitori,
3) dell'impatto negativo sulla vita familiare, di cui, con alto grado di probabilità se
non di certezza, può predicarsi il deterioramento in termini di serenità, praticità e
sicurezza,
4) della riduzione o, comunque, compromissione dei rapporti diretti tra i genitori
(ancora giovani), i cui bisogni di attenzione reciproca, cura ed affetto verranno
sicuramente posposti a quelli della figlia malata.
Tutti i predetti profili, attinenti alla lesione della vita familiare e personale, bene
di valore costituzionale, sono equiparabili, quanto a intensità della connessa
sofferenza morale, ai pregiudizi derivanti dalla perdita di un figlio, perché, come
questi, sono espressione di una irreparabile menomazione del rapporto parentale:
pertanto, ai fini della liquidazione del danno risarcibile nel caso concreto, risulta
tutt'altro che illogico il ricorso ai medesimi parametri utilizzati nelle tabelle
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milanesi per la fattispecie della morte di un figlio poiché non pare azzardato
sostenere che si tratti di un caso in cui si possa parificare la perdita del figlio alla
presenza di un figlio gravemente menomato per ciò che riguarda le sofferenze
patite da chi con lo stesso debba convivere quotidianamente: sicché l'importo
liquidabile può coincidere con il 50% del limite minimo delle tabelle in questione = €
164.000,00 : 5 = 82.000,00 per ciascun genitore.
Spettano, infine agli appellanti, le spese sostenute per la figlia (tutte
documentate) per un totale di € 12.444,75 in quanto spese che riguardano
interventi legati alla sua condizione psico/fisica che in nessun caso sarebbero
state sostenute se la piccola Arianna fosse nata normale.
Ed invero, in tema di responsabilità del medico (o della struttura sanitaria) per
omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata,
trattandosi di inadempimento contrattuale, il danno al cui risarcimento il debitore
è tenuto non è solo quello alla salute, ma anche il danno economico che sia
conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento in termini di causalità
adeguata, quale il danno consistito nelle ulteriori spese di mantenimento della
persona nata con malformazioni, pari al differenziale tra la spesa necessaria per il
mantenimento di un figlio sano e la spesa per il mantenimento di un figlio affetto
da gravi patologie (Cass. n. 13/2010).
Nella specie, una volta affermato che la appellante sig.ra Gallinaro avrebbe optato
per la interruzione volontaria di gravidanza ove fosse stata informata delle gravi
malformazioni del feto, deve concludersi che la nascita indesiderata, ascrivibile
all'inadempimento posto in essere dagli appellati sanitari, ha comportato per la
coppia l'onere di sopportare, per le specifiche ed impegnative esigenze di
accudimento della figlia Arianna dovute alla sua condizione psicofisica, un costo
economico incontestabilmente maggiore di quanto necessario al mantenimento di
una figlia non affetta da quella particolare malformazione.
L’importo documentato viene adeguato al mutamento del costo della vita tra
2005/2017 ed all’importo degli interessi maturarti medio tempore, alla finale
somma omnicomprensiva di € 13.500,00.
Somme, tutte, che vengono calcolata come già valutate all’attualità ed adeguate
anche con il calcolo di interessi legali dal fatto ad oggi ritenendo questa Corte di
poter condividere il principio circa la possibilità da parte del giudice di
effettuare una liquidazione equitativa globale in una unica somma, comprendente
sia la prestazione principale che quella relativa agli accessori, ove sussistano le
condizioni di cui all'art. 1226 c.c., senza la necessità di specificazione dei singoli
elementi della liquidazione (cfr. Cass. n. 14678 del 2 ottobre 2003; Cass. n. 10089
del 12 ottobre 1998; Cass. n. 2910 del 13 marzo 1995, Cass. civ., sez. lav., 04-02-
2011, n. 2771).
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In conclusione le somme che vengono liquidate ad oggi, ai due appellanti, sono le seguenti: alla Sig.ra Gallinaro € 85.286,05; al Sig. De Filippis € 84.601,45; ad entrambi in solido € 13.500,00; per tutte le somme con maggiorazione di interessi legali dalla presente sentenza al saldo.
Sulle domanda di manleva verso le singole compagnie di assicurazione.
1) Il dr. Calugi non ha diritto verso gli Assicuratori dei Lloyd’s per essere scaduta
la polizza al momento in cui l’assicurato aveva comunicato alla Compagnia l’atto di
chiamata in causa ed essendo decorso il termine di gg 10, previsto dall’art. 22 delle
condizioni generali di polizza, per la denuncia all’assicuratore dell’evento rientrante
in polizza (rispetto alla data della notifica dell’atto di citazione di I grado avvenuta
il 20.4.2010 ed alla successiva notifica dell’atto di chiamata in causa del
22.09.2010).
Lo stesso dr. Calugi non ha diritto anche verso la Allianz S.p.A. (già Bernese
Ass.ni) poiché in base alle clausole della polizza era stato previsto che la garanzia
avrebbe coperto solo “le richieste di risarcimento presentate per la prima volta
all’assicurato nel corso del periodo di validità dell’assicurazione”; e la polizza
invocata dall’appellato era venuta meno a decorrere dalla data del 7.8.2006 quando
la Compagnia aveva disdettato il contratto già in essere col Calugi che, pertanto,
non poteva più avvalersi di quella polizza per il futuro anche se i fatti dannosi
fossero stati posti in essere nel periodo di vigenza oramai decorso, il tutto in virtù
della stipulata clausola “claims made” che costituisce legittima pattuizione tra le
parti non apprezzabile in termini di nullità per vessatorietà salvo ricorrenza dei
presupposti di fatto (che è onere dell’assicurato allegare e dimostrare) che è
compito del giudice valutare caso per caso (cfr. Cass. civ., sez. un., 06-05-2016, n.
9140); ma che nel caso in esame non ricorrono.
Il dr. Calugi, infine, ha diritto alla manleva verso la UnipolSAI S.p.A. (già
Fondiaria SAI S.p.A.) avendo qui riproposto la domanda di manleva già formulata in
primo grado, e non essendovi contestazioni da parte della stessa compagnia (che,
essendosi costituita con unico difensore per due distinte posizioni assicurative,
nulla ha contestato per il rapporto con il dr. Calugi) .
2) Dr. D’Alessio (assicurato con UnipolSAi – già Aurora Ass.ni - a I° rischio e
Allianz SpA a II° rischio).
Quanto alla posizione della UnipolSai S.p.A. deve tenersi conto che l’appellato dr.
D’Alessio nel costituirsi in questa sede ha chiesto il solo rigetto dell’appello
principale senza nulla dire circa la domanda di manleva già spiegata in I grado,
concludendo solo sulla domanda concernente il rapporto con gli appellanti, senza –
quindi – riproporre la domanda di manleva ex art 346 c.p.c. incorrendo
nell’inammissibilità di ogni eventuale domanda in merito (in tal senso si veda Cass.
civ., sez. un., 19-04-2016, n. 7700: <<nel caso di chiamata in garanzia, qualora il
giudice di primo grado abbia rigettato la domanda principale e non abbia deciso
sulla domanda di chiamata in garanzia e sulle sue implicazioni (rivalsa), in quanto la
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decisione su di essa era stata condizionata all’accoglimento della domanda
principale e non era stata chiesta né dal convenuto preteso garantito né dal
preteso garante indipendentemente dal tenore della decisione sulla domanda
principale, ai fini della devoluzione al giudice di appello della cognizione della
domanda di garanzia per il caso di accoglimento dell’appello e di riconoscimento
della fondatezza della domanda principale, non è necessaria la proposizione da
parte del convenuto appellato di un appello incidentale, ma è sufficiente la mera
riproposizione della domanda di garanzia ai sensi dell’art. 346 c.p.c.>>).
Ciò vale pure per la polizza Allianz S.p.A. (già Bernese Ass.ni) in difetto di riproposizione della relativa domanda. 3) L’Istituto religioso Figlie di Santa Maria di Leuca aveva chiesto la manleva verso la Soc. Cattolica di Assicurazioni ed ha riproposto tale domanda in questo giudizio con precisazione della relativa pretesa in sede di I^ udienza di comparizione del 14.6.2016 (cfr. Cass. civ., sez. I, 23-04-2015, n. 8314: <<va confermato il principio per cui la parte vittoriosa in primo grado ha l’onere di riproporre tempestivamente le domande od eccezioni respinte, anche implicitamente, dalla sentenza impugnata, cioè entro l’udienza di precisazione delle conclusioni, pena l’effetto di tacita rinuncia sancito dall’art. 346 c.p.c.>>). Nessuna domanda era stata fatta verso la Società Cattolica dall’appellato D’Alessio e quindi la eccezione sollevata dalla difesa della predetta Compagnia non va neppure affrontata specificamente; restando acclarato che l’unico soggetto beneficiario della polizza è l’Istituto religioso “Figlie di Santa Maria di Leuca” non vertendosi nell’ipotesi di contratto a favore di terzi. Per il rapporto con l’assicurato Istituto religioso la appellata Soc. Cattolica ha evidenziato che la polizza stipulata prevedeva un massimali di euro 774.685,35 per ogni sinistro ed a prescindere dal numero di soggetti danneggiati. In tali limiti dovrà rispondere, in manleva, la Soc. Cattolica di Assicurazione Sulle spese del giudizio. In conseguenza dell’esito del giudizio le parti appellate (D’Alessio, Calugi e Istituto religioso) vanno condannate al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio, a favore degli appellanti, e liquidate tenuto conto del valore della controversia (la somma riconosciuta in sentenza) e delle attività compiute dal procuratore della parte nei due gradi del giudizio secondo i parametri ministeriali attualmente in vigore (d.m. 10.3.2014 n.55): per la causa avanti al Tribunale i suddetti parametri prevedono: scaglione di valore in questa causa è quello tra € 52.000,01/260.000,00; fasi processuali tenutesi in questo grado: n.1 (studio controversia) + n.2. (introduttiva) + 3 (istruttoria) + n.4 (decisoria); importi applicati (medi) = compenso totale €. 13.440,00 (oltre alle spese generali forfettarie); per la causa avanti alla Corte di Appello i suddetti parametri prevedono: scaglione di valore in questa causa è quello tra € 52.000,01/260.000,00; fasi processuali tenutesi in questo grado: n.1 (studio controversia) + n.2. (introduttiva) + n.4 (decisoria);
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importi applicati (medi) = totale €. 9.515,00 (oltre alle spese generali forfettarie). Analoghi importi dovrà rifondere la Soc. Cattolica al proprio assicurato Istituto Religioso. Sussistono giusti motivi (collegati alle ragioni della presenza in causa delle altre Compagnie di assicurazione divenute litisconsorti processuali in appello) per compensare le spese tra le altre parti del giudizio nei reciproci rapporti, dovendosi rammentare che “nel caso in cui il convenuto chiami un terzo in causa, esperendo nei suoi confronti una domanda di garanzia impropria fondata su un titolo diverso ed indipendente rispetto a quello posto a base della domanda principale, ove il terzo non si limiti a contrastare la domanda di manleva, ma contesti anche il titolo dell’obbligazione principale, quale antefatto e presupposto della garanzia azionata, e, quindi, la fondatezza della domanda proposta nei confronti del proprio chiamante, si configura una ipotesi di inscindibilità di cause che dà luogo a litisconsorzio processuale in fase di impugnazione, sicché, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità, rilevabile d’ufficio ed anche in sede di legittimità, dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso” (Cass. civ., sez. III, 30-09-2014, n. 20552).
P. Q. M.
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
SEZIONE III^ CIVILE
definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione
respinta, così decide sull’appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma
emessa in data 10.11.2015 (pubblicata il 11.11.2015 col N. 22737/2015) proposto da
De Filippis David e Gallinaro Maria Veronica nei confronti di D’Alessio Paolo Maria,
Calugi Alberto (appellante incidentale), Istituto Religioso Figloie di Santa Maria di
Leuca” (appellante incidentale), Assicuratori dei Lloyd’s, UnipolSai Assicurazioni
S.p.A., Allianz S.p.A. e Soc. Cattolica di Assicurazione Coop. a r.l.:
a) in accoglimento per quanto di ragione dell’appello principale (respinti quelli
incidentali), ed in riforma della sentenza appellata, Condanna D’Alessio Paolo
Maria, Calugi Alberto e l’Istituto Religioso “Figlie di Santa Maria di Leuca”, in
solido tra loro, al pagamento a favore di De Filippis David della somma di €.
84.601,45#, in favore di Gallinaro Maria Veronica della somma di €. 85.286,05#,
ed in favore di De Filippis David e Gallinaro Maria Veronica la somma di €
13.500,00#, per tutte le somme con aggiunta degli interessi al tasso di legge a
decorrere dalla presente sentenza sino al saldo effettivo;
b) Condanna D’Alessio Paolo Maria, Calugi Alberto, Istituto Religioso “Figlie di
Santa Maria di Leuca”, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di giudizio
sostenute dagli appellanti nei due gradi di giudizio, liquidandole: per il I° grado in
€. 1.110,00 per spese e €. 13.440,00 per compenso (oltre rimborso forfettario,
IVA e CAP come per legge), e per questo grado di giudizio in €. 2.529,00 per
spese e €. 9.515,00 per compenso (oltre al rimborso forfettario, IVA e CAP come
per legge);
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c) condanna le medesime parti appellate indicate sub. b), in solido tra loro, a
rimborsare agli appellanti delle spese di CTU già liquidate in primo grado;
d) Condanna la UnipolSai Assicurazioni S.p.A. a manlevare e tenere indenne il
prof. Alberto Calugi per quanto lo stesso sarà chiamato a pagare per effetto ed in
conseguenza di questa sentenza d’appello nei limiti del massimale di polizza;
e) Condanna la UnipolSai Assicurazioni S.p.A. a rifondere al prof. Alberto Calugi
le spese sostenute nei due gradi del giudizio, liquidandole negli importi di compenso
di cui al punto b) che precede (oltre rimborso forfettario, IVA e CAP come per
legge);
f) Condanna la Società Cattolica di Assicurazione Coop. a r.l. a manlevare e
tenere indenne l’Istituto Religioso “Figlie di Santa Maria di Leuca” per quanto lo
stesso sarà chiamato a pagare per effetto ed in conseguenza di questa sentenza
d’appello nei limiti del massimale di polizza;
g) Condanna la Società Cattolica di Assicurazione Coop. a r.l. a rifondere
all’Istituto Religioso “Figlie di Santa Maria di Leuca” le spese sostenute nei due
grado del giudizio, liquidandole negli importi di compenso di cui al punto b) che
precede (oltre rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge);
h) rigetta la domanda di manleva azionata dal prof. Alberto Calugi nei confronti
di Assicuratori dei Lloyd’s e di Allianz S.p.A., compensando le spese del grado nei
rapporti tra queste stesse parti;
i) rigetta la domanda di manleva azionata dal dr. Paolo Maria D’Alessio nei
confronti di Allianz S.p.A. e di UnipolSai Ass.ni S.p.A., compensando le spese del
grado nei rapporti tra queste stesse parti.
Così decisa in Roma addì 26.06.2017.
Il Presidente, estensore
(dr. Giuseppe Lo Sinno)
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