QUOTIDIANO ECONOMICO, GIURIDICO E POLITICO Guerra di ... fanatic and a scoundrel are wrong: a...

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Con guida «Il nuovo codice degli appalti» a € 6,00 in più; con guida «Unico e 730» a € 6,00 in più; con guida «Il contratto dei Bancari» a € 6,00 in più; con guida «Cosa succede dopo la Voluntary Disclosure» a € 6,00 in più; con guida «Convivenze e unioni civili » a € 5,00 in più Nuova serie - Anno 25 - Numero 129 - Spedizione in A.P. art. 1 c.1 L. 46/04, DCB Milano Martedì 31 Maggio 2016 Uk £ 1,40 - Ch fr. 3,50 Francia € 2,50 Fabrizio Roncone, inviato del Cor- riere della Sera, sceglie Roma come sfondo per il suo esordio da romanziere. Il suo libro, La paura ti trova, infatti, è un affresco del- la capitale alla quale si rivolge così: «Roma è un immenso troiaio a cielo aperto». Una frase che «descrive l’Urbe qual è: una città orizzontale», dove «il Bene e il Male si incontrano, si sganciano, si incontrano di nuovo. Non c’è più l’alto e il basso». Una città «lurida, sporca, con un’immigra- zione soverchiante». Per uscire da questo stato «è necessaria una rinascita complessiva della città, coi suoi cittadini, uno scatto etico, morale, globale, collettivo». Nel suo romanzo, Roncone descrive Roma come un autentico troiaio a cielo aperto Guerra di sconti sul canone Rai Edison, Enel, Eni e le società Ascopiave hanno attivato offerte promozionali per rimborsare ai nuovi clienti il costo dell’abbonamento televisivo (100 euro l’anno) Le compagnie di energia elettrica e gas si contendono i nuovi clienti a suon di rimborsi sul canone Rai. Edison, Enel, Eni e le società Asco- piave hanno attivato o attiveranno a breve promozioni per rimborsare i 100 euro annui che dal 1° luglio 2016 saranno addebitati nelle bol- lette elettriche degli italiani. Nulla da fare invece per i clienti di A2A, Sorgenia e Acea: non hanno previsto per ora trattamenti di favore. Pacione Di Bello a pag. 28 Pistelli alle pag. 7 e 8 Pier Luigi Bersani ha ufficial- mente indicato il tandem che, se- condo lui, è destinato a prendere in mano il Pd e il futuro gover- no del Paese. Sono suoi uomini da sempre, e cioè Enrico Letta e Roberto Speranza. Brave persone, intendiamoci bene, ma completamente inadatte a rico- prire quei ruoli. Sono degli abili pesi welter che non possono salire sui ring dove si scazzottano dei pesi massimi. Bersani, del resto, è stato, anche in passato, un de- signatore spericolato. È sua, ad esempio, la responsabilità di aver scelto come ministri la Kyenge e l’azzurra Josefa Idem. Due per- sone ammodo anche loro ma ina- datte. Anzi inadeguate. Però con avversari come Bersani e amici, Renzi si impigrisce. Nel senso che non c’è gara. Gestita così, la Ditta scompare da sola. Per farla fuori non serve un match, basta una soffiata. Ma forse doveva fi- nire così. DIRITTO & ROVESCIO SU WWW.ITALIAOGGI.IT Studi di settore - La circolare dell’Agen- zia delle entrate Superammorta- menti - I chiarimenti dell’amministrazione finanziaria Giustizia - La sentenza della Consul- ta sul contributo unificato f A SECCHIA OVEST (MODENA) Autogrill si allea con Eataly, via alla prima area a doppia insegna Sottilaro a pag. 16 QUOTIDIANO ECONOMICO, GIURIDICO E POLITICO www.italiaoggi.it Non potendo permettersi di scomunicare De Felice, i grandi media ne hanno nascosto il 20° anniversario della morte Gianfranco Morra a pag. 10 AUTO LEVANTE, IL PRIMO SUV DI MASERATI VINI LE MIGLIORI ANNATE DEI GRANDI CRU D’ITALIA VELA DA CAPE TOWN, SCAFI IN GRAN FORMA VIAGGI INDIA, SUDAFRICA, CILE: LA MAGIA DEL DESERTO ADAM TIHANY, IL CREATORE DEL RESTAURANT DESIGN ANTONIO ZANARDI LANDI, AMBASCIATORE DI CULTURA PASSIONI, SCUOLE, SPORT, MA SOPRATTUTTO IL BUON ESEMPIO. DA LAMBERTO FRESCOBALDI A FEDERICO BONADEO, A GIUSEPPE COLOMBO, COME SI PREPARANO GLI EREDI A VIVERE BENE EDUCARLI DA GENTLEMAN EDUCARLI DA GENTLEMAN PASSIONI, SCUOLE, SPORT, MA SOPRATTUTTO IL BUON ESEMPIO. DA LAMBERTO FRESCOBALDI A FEDERICO BONADEO, A GIUSEPPE COLOMBO, COME SI PREPARANO GLI EREDI A VIVERE BENE PIACERI PROTAGONISTI FIGLI FIGLI IN ALLEGATO IL NUOVO NUMERO DI GENTLEMAN *In abbinamento obbligatorio ed esclusivo con Gentleman a € 4,00 (ItaliaOggi € 1,20 + Marketing Oggi € 0,80 + Gentleman € 2,00) €4,00*

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  • Con guida «Il nuovo codice degli appalti» a € 6,00 in più; con guida «Unico e 730» a € 6,00 in più; con guida «Il contratto dei Bancari» a € 6,00 in più; con guida «Cosa succede dopo la Voluntary Disclosure» a € 6,00 in più; con guida «Convivenze e unioni civili » a € 5,00 in più

    Nuova serie - Anno 25 - Numero 129 - Spedizione in A.P. art. 1 c.1 L. 46/04, DCB MilanoMartedì 31 Maggio 2016 Uk £ 1,40 - Ch fr. 3,50

    Francia € 2,50

    Fabrizio Roncone, inviato del Cor-riere della Sera, sceglie Roma come sfondo per il suo esordio da romanziere. Il suo libro, La paura ti trova, infatti, è un affresco del-la capitale alla quale si rivolge così: «Roma è un immenso troiaio a cielo aperto». Una frase che «descrive l’Urbe qual è: una città orizzontale», dove «il Bene e il Male si incontrano, si sganciano, si incontrano di nuovo. Non c’è più l’alto e il basso». Una città «lurida, sporca, con un’immigra-zione soverchiante». Per uscire da questo stato «è necessaria una rinascita complessiva della città, coi suoi cittadini, uno scatto etico, morale, globale, collettivo».

    Nel suo romanzo, Roncone descrive Roma come un autentico troiaio a cielo aperto

    Guerra di sconti sul canone Rai Edison, Enel, Eni e le società Ascopiave hanno attivato offerte promozionali per rimborsare ai nuovi clienti il costo dell’abbonamento televisivo (100 euro l’anno)Le compagnie di energia elettrica e gas si contendono i nuovi clienti a suon di rimborsi sul canone Rai. Edison, Enel, Eni e le società Asco-piave hanno attivato o attiveranno a breve promozioni per rimborsare i 100 euro annui che dal 1° luglio 2016 saranno addebitati nelle bol-lette elettriche degli italiani. Nulla da fare invece per i clienti di A2A, Sorgenia e Acea: non hanno previsto per ora trattamenti di favore.

    Pacione Di Bello a pag. 28

    Pistelli alle pag. 7 e 8

    Pier Luigi Bersani ha uffi cial-mente indicato il tandem che, se-condo lui, è destinato a prendere in mano il Pd e il futuro gover-no del Paese. Sono suoi uomini da sempre, e cioè Enrico Letta e Roberto Speranza. Brave persone, intendiamoci bene, ma completamente inadatte a rico-prire quei ruoli. Sono degli abili pesi welter che non possono salire sui ring dove si scazzottano dei pesi massimi. Bersani, del resto, è stato, anche in passato, un de-signatore spericolato. È sua, ad esempio, la responsabilità di aver scelto come ministri la Kyenge e l’azzurra Josefa Idem. Due per-sone ammodo anche loro ma ina-datte. Anzi inadeguate. Però con avversari come Bersani e amici, Renzi si impigrisce. Nel senso che non c’è gara. Gestita così, la Ditta scompare da sola. Per farla fuori non serve un match, basta una soffi ata. Ma forse doveva fi -nire così.

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  • 2 Martedì 31 Maggio 2016 I C O M M E N T I

    Al di là di chi andrà alla Casa Bianca è sbagliato liquidare il candi-dato repubblicano, Donald Trump, come un eccentrico imbonitore. Se mi-lioni di elettori lo seguono, se il partito repubblicano alla fine lo riconosce come proprio leader, se i democratici che lo sbeffeggiavano ne hanno ora timore è segno che, pure se espressa in ma-niera politicamente poco corretta, la sostanza di ciò che dice è in sintonia con una parte non piccola della società americana.

    Fanno male quegli europei che di-pingono Trump a metà tra un esaltato e un farabutto: un de-plorevole peccato di su-perbia. Anche perché è suffi ciente guardare in casa propria per com-prendere il fenomeno del trumpismo. Marine Le Pen in Francia e Norbert Hofer in Austria non sono forse andati a un passo dalla vittoria? Matteo Salvini in Italia non sta sgomitando per arri-vare alla guida del centrodestra? Boris Johnson, ex sindaco di Londra, non sta cavalcando Brexit, cioè l’isolazio-nismo?

    L’Europa è ancora impantana-ta in una crisi economica che gli Sta-ti Uniti, più dinamici, sono riusciti a superare, ma non senza danni. Anche negli States la classe media è stata lacerata dalla crisi (perdita di posti di

    lavoro, stipendi falci-diati, allargamento della forbice tra ricchi

    e poveri) e in più affi ora un sentimento di insicurezza per la minaccia di atten-tati e per l’exploit dell’immigrazione clandestina messicana. Sulla spinta di questi problemi cominciano ad af-fi orare dubbi anche sull’opportunità di drenare risorse per sostenere missioni internazionali di dubbia utilità. A tutto questo si aggiunge lo sconcerto verso un ordine mondiale in mutamento per l’arrivo di nuovi protagonisti che spin-ge verso il nazionalismo.

    Insomma la demonizzazione di Trump può servire solo ad evitare la

    fatica di cercare di capi-re cosa agita la società americana (ed euro-pea). È vero che la sua fortuna economica è in gran parte un’eredità del padre, che ha subìto

    quattro fallimenti, che è un esponente del crony capitalism (commistione tra affari e politica). Ma è altrettanto vero che è riuscito a farsi strada alle pri-marie ottenendo un voto trasversale, dagli ultraconservatori dell’Alabama agli afroamericani newyorkesi pas-sando, appunto, per la vecchia midd-le class. Il voto per Trump ha radici nell’insoddisfazione e nell’insicurezza. Ed è un voto contro Hillary Clinton che rappresenta l’establishment da ol-tre trent’anni. Sì, quante analogie con l’Europa di oggi.

    DI CARLO VALENTINI

    L’ANALISI

    Demonizzano Trumpper non voler capire

    DI EDOARDO NARDUZZI

    La capacità di inno-vare e di gestire il cambiamento è da alcuni secoli il tratto caratterizzante l’occidente e la sua storia industriale. Innovare, ovviamente, è ben più difficile di imitare e per questa ragione nelle business school provano ad insegnarlo. Il problema nasce dalle resi-stenze al cambiamento, cioè all’innovazione. Nella sua forma più estrema, l’innova-zione di mercato, quando cioè un imprenditore è capace di rivoluzionare il contesto com-petitivo inventando, appunto, un prodotto del tutto originale, resistenze non ce ne sono. Nes-suna cultura o organizzazione precedente ha potuto impedi-re a Larry Page di inventare Google o a Elon Musk di dar vita a PayPal. Questa forma di innovazione procede senza re-sistenze tranne quelle dei con-correnti, se sono abbastanza veloci nell’intercettarla.

    Diversa è la situazione quando l’innovazione viene richiesta da una impresa già funzionante. In questo caso si

    tratta di rigenerare prodotti o servizi già commercializza-ti o di modificare l’offerta o di fare altro ancora. Ma chi è investito dall’innovazione può avere una naturale tendenza a resistere: il modo di lavora-re cambia e la sua percezione

    del rischio anche, perché il cambiamento può richiedere diverse competenze rispetto al passato. Gestire il cambia-mento nelle organizzazioni già operative non è facile. È un processo che può essere ricco di resistenze e quindi essere rallentato rispetto agli obiet-tivi presi dal management con i mercati. Quindi un processo delicato che va ben gestito soprattutto nella contempo-raneità del business che ha fatto della funzione velocità di esecuzione una variabile im-portante di valutazione della qualità degli asset.

    In questo schema di gio-

    co va analizzata la lezione tenuta dall’amministratore delegato dell’Enel, Francesco Starace, all’università Lu-iss. L’intenzione, credo che fosse, soprattutto quella di comunicare a degli studenti di business l’importanza di rispettare i tempi e la velo-cità nei processi innovativi. Di non spaventarsi delle possibili resistenze perché sono naturali nelle azien-de, ma di tener sempre pre-sente la convenienza ad af-frontare in maniera palese

    e diretta e senza ricorrere a sotterfugi le situazioni. Affrontare, quindi, senza perdere del prezioso tempo i gangli manageriali e diri-genziali che si oppongono al cambiamento per superar-ne le resistenze. Una buona lezione di un tipo di stile manageriale che in paesi con una maggiore apertura alla cultura del mercato non avrebbe mai suscitato le po-lemiche registrate in Italia. Fare innovazione non è mai una cena di gala, per otte-nerla serve tanta energia e anche, talvolta, qualche confronto maschio.

    IL PUNTO

    L’innovazione non è mai una cenadi gala. Esige grande determinazione

    Lo ha ben spiegatoStarace (Enel)

    alla Luiss di Roma

    Regardless of the candidate who will go to the White House, it is wrong to describe the Re-publican nominee, Donald Trump, as an eccentric charlatan. If millions of voters follow him, if the Re-publican Party eventually recognizes him as its leader, if the Democrats who mocked him now fear him, it means that the substance of what he says, even if not very politically correct, is in step with a substantial part of the American society.

    The Europeans who portray Mr. Trump as someone between a fanatic and a scoundrel are wrong: a deplorable sin of pride. Also because it is enough to look within our borders to understand the Trump phenomenon. Weren’t Marine Le Pen in France and Norbert Hofer in Austria very near to a victory? Isn’t Matteo Sal-vini in Italy struggling to become the leader of the center-right wing? Isn’t Boris Johnson, former mayor of London, riding the wave of the Brexit, namely isolationism?

    Europe is still mired in an eco-nomic crisis that the United States, being more dynamic, have managed to overcome, though with some damage. Even in the US the middle class has been torn apart by the crisis (loss of jobs, salary cuts, wider gap between the rich and the poor). Moreover, there

    is a feeling of insecurity because of the threat of attacks and exploit of Mexi-can illegal immigration. On the back of these problems, people are starting to bring into question the drain of re-sources to support international mis-sions of dubious value. Furthermore, there is bewilderment at a world order that is changing because of the arrival of new players, that push for national-ism.

    In short, the demonization of Mr. Trump can only be used to avoid the trouble of trying to fi gure out what is shaking the American (and Europe-an) society. It is true that his economic fortune is largely a legacy of his father,

    who went bankrupt four times, who is an exponent of the crony capitalism (a mixture between business and politics). However, it is also true that he man-

    aged to move forward in the primaries obtaining a cross-party support, rang-ing from Alabama’s ultraconservative to New York African Americans, pass-ing through the old middle class. The vote for Mr. Trump has its roots in dissatisfaction and insecurity. More-over, it is a vote against Hillary Clin-ton, who has been representing the establishment for over thirty years. Yes, there are many similarities with today’s Europe.

    © Riproduzione riservataTraduzione di Silvia De Prisco

    IMPROVE YOUR ENGLISH

    They demonize Trump because they don’t want to understand

    Il suo è un voto trasversale dalla

    middle class

    His vote is cross-party fromthe middle class

    DI MARCO BERTONCINI

    «Voglio essere chiaro: io non credo che questa rifor-ma sia molto ben delineata, ma credo che bocciarla sa-rebbe una forma di iattura molto più grande. È saggio farla, non farla potrebbe ar-recare molti più danni. Per essere più netto: meglio una riforma mediocre che nes-suna riforma. Voterò sì».

    A esprimersi così, fuori dei denti, è Giuliano Urbani, fra i primi, primis-simi ideatori di Fi, addirit-tura nell’estate del 1993, poi due volte ministro, per anni considerato fra i più vicini a Silvio Berlusconi (e in certa misura pure fra i pochi ascoltati dal Cav). La sintesi dell’intervista data al Mattino sta nel ritenere migliore una riforma qual-siasi rispetto all’assenza di riforme. A comportarsi così, cioè a esprimere un rasse-gnato sì, potrebbero essere perfi no milioni d’italiani, all’insegna di quel com-portamento che i france-si definirebbero faute de mieux, ossia in mancanza

    di meglio. A condividere punto

    per punto la riforma deb-bono essere pochissimi: nemmeno Matteo Renzi e Maria Elena Boschi sono ascrivibili fra gli arcisod-disfatti (lo ammettono). A spingere verso il sì arriva-no circostanze simili, che possono sommarsi. C’è il timore del salto nel buio. C’è la considerazione che perdere un Renzi potrebbe anche essere un vantaggio, ma il trovarsi un Bersani o un Monti come succes-sore sarebbe una iattura. C’è, appunto, la rifl essione sull’arrivo di una riforma dopo decenni di fallimenti o sbagli, collegata con la rinuncia ad attizzare pole-miche che sarebbero impro-duttive.

    Meglio poco che niente, meglio l’uovo oggi che la gallina domani, meglio que-sto male di uno peggiore. Milioni di elettori potrebbe-ro essere persuasi da consi-derazioni di tal fatta. Non sarà entusiasmante, ma a Renzi basterebbe. Eccome.

    © Riproduzione riservata

    LA NOTA POLITICA

    Meglio questa riforma,oppure nessuna riforma?

  • 3Martedì 31 Maggio 2016P R I M O P I A N OIl premier attacca: meschino chi urla a invasione. Salvini risponde: io meschino, ma non fesso

    Migranti, per Renzi non è emergenzaPd, tregua a rischio a una settimana dal voto. Alfano avverte

    DI EMILIO GIOVENTÙE FRANCO ADRIANO

    Matteo Renzi tor-na ad affrontare l’emergenza immi-grazione. E lo fa a muso duro: «Meschino chi urla a invasione, noi proponiamo di affrontarla con determinazione e visione a medio termine, non inseguendo le paure o i voti». Nel corso del suo consueto appuntamento con l’e-news il premier ne approfitta per fare di nuovo luce sul fenomeno migratorio aggiungendo che «quello che un po’ stride, e talvolta mi sembra meschino, e’ l’atteggiamento di chi grida e urla, in questi casi. Di chi usa sui media, e non solo, parole come: sistema al collasso, emergen-za, invasione».

    Secondo il capo del Governo, «stia-mo parlando di nu-meri che sono più o meno, a seconda delle settimane, gli stessi degli ultimi due anni. Un deci-mo di quelli che ha preso la Germania lo scorso anno. Numeri che nella percezione me-diatica sembrano molto più grandi. Ma sono numeri in media con il passa-to e non superiori a altri paesi. Il pun-to è che non sono solo numeri. Ma sono bambini che muoiono nelle stive. Mamme che accet-tano di rischiare la vita e farla rischiare ai propri fi gli, tale e tanta è la loro disperazione».

    Dunque, «io dico: aiutiamoli a casa loro davvero, con la coo-perazione internazionale e un diverso modello di aiuti allo sviluppo», però, «nel frattempo salviamo quante più vite uma-ne possibili, sapendo che non c’è nessuna invasione: i nume-ri sono sempre gli stessi, più o meno». Nonostante ciò, Renzi ha precisato che l’emergenza migratoria «è un fenomeno che durerà anni e che necessita di un’azione in Africa».

    Un’azione, secondo il capo del Governo, «da farsi come Unione Europea, come abbia-mo proposto» anche perché «fi nché non li aiuteremo per bene a casa loro, continueremo a cercare di tamponare, ma un tampone non è mai la soluzio-ne». Tuttavia, ha proseguito Renzi, «finalmente qualcosa si muove e l’Unione Europea pare intenzionata a scommet-tere davvero sul Migration Compact proposto dall’Italia. Ma nel frattempo siamo or-gogliosi di quelle italiane e quegli italiani che ogni giorno, rischiando la propria, salvano

    centinaia di vite umane».«L’Italia c’è, con i suoi valori

    e con la sua forza. Aspettando che anche il resto di Europa si renda conto fino in fondo dell’importanza politica e uma-na di questa sfi da», ha concluso Renzi.

    Anche il ministro dell’Inter-no, Angelino Alfano inter-viene sul tema chiarendo che «i numeri» degli sbarchi «sono analoghi a quelli dello scorso anno, ma la fatica dell’acco-glienza sta nel fatto che sono arrivati così tanti in pochissimi giorni. Ce la faremo - assicura

    Alfano - anche perché sono certo che, fi nita la campagna elettorale, troveremo nei sin-daci una disponibilità ancora maggiore». Alfano poi spiega che l’Italia non rischia nessu-na procedura di infrazione da parte dell’Ue, «anche perché la diffi coltà dovuta ai rimpa-tri dei migranti irregolari e al loro trattenimento nei Cie, non è italiana ma europea. E tutta l’Europa è ferma sul tema dei rimpatri».

    Salvini a Renzi: io meschino ma non complice o fesso

    Immediata la replica leghi-sta alla chiamata in causa del premier. «Renzi defi nisce me-schino chi parla di invasione. #iosonomeschino ma non schia-vista, complice o fesso». Così su Facebook il segretario federale della Lega Nord, Matteo Sal-vini, replica al presidente del Consiglio secondo il quale chi parla di emergenza per l’immi-grazione sarebbe una persona meschina.

    Alfano: a ottobre decideremo se proseguire con Renzi o no

    Renzi, intanto, deve guardar-si dalle turbolenze che rischia-no di compromettere il viaggio

    del suo governo. Molti i terreni scivolosi per la maggioranza che lo sostiene. Non ultimo quello della prescrizione che ha imposto una rifl essione interna ai moderati, in particolare al Nuovo centrodestra. Tanto che i moderati si danno un tempo per verifi care se continuare o no a stare insieme al Pd ren-ziano. «Noi abbiamo fatto una scelta di rottura con la nostra vecchia appartenenza per sal-vare l’Italia e permettere ciò che si sta verifi cando: uscita del Paese dalla crisi e sblocco delle riforme. Compiuta que-

    sta missione mi sembra serio dire che dovremo fare una bella assemblea anche per pensare a qualche novità». Il ministro dell’Interno, Angelino Alfa-no, in un’intervista, anticipa il progetto cui sta iniziando a la-vorare e che si dovrebbe concre-tizzare per ottobre. «Un nuovo movimento politico di impron-ta liberale e popolare, al quale stiamo già lavorando, che an-drà oltre Ncd», spiega Alfano. Poi ci saranno le «decisioni che come Area Popolare dovremo assumere ad ottobre, quando sarà completata la missione delle riforme costituzionali e saremo proiettati verso le ele-zioni politiche del 2018».

    Pd, tregua appesa a un fi lo a una settimana dal voto

    Non sembra reggere la tregua interna al Pd, quan-do manca poco meno di una settimana alle elezioni am-ministrative. Sullo sfondo dell’ennesimo dibattito interno sulla legge elettorale, le paro-le pronunciate domenica dal ministro della Cultura, Dario Franceschini, non sono state digerite dalla minoranza dem, tanto da indurre Gianni Cu-perlo a parlare di «un’espres-sione imbarazzante di una

    profonda disonestà politica e intellettuale». Dal suo profi lo Facebook Cuperlo ha infatti at-taccato il compagno di partito per un’intervista rilasciata con Repubblica nella quale critica la minoranza dem per le loro richieste su Italicum e riforma costituzionale. «Avevo capito che si accantonavano le polemi-che nei giorni di una campagna elettorale che dovrebbe vederci impegnati a guadagnare voti ai nostri candidati e alle nostre li-ste. Il ministro della cultura la pensa diversamente. Lui non si limita alla polemica. Tran-

    sita direttamente all’insulto e alla de-nigrazione. Peccato», ha affermato Cuperlo sottolineando che «ri-assumere il tutto ac-cusando chi esprime delle opinioni diverse di produrre il male del Paese nel nome di una sciagurata volontà di regolare i conti dentro un partito è, ripeto, un atto di disonestà poli-tica». Un attacco che accende sempre più i toni all’interno di un partito e che lascia presagire il rischio di non arrivare uniti neanche al congresso ma fermarsi al refe-rendum di ottobre. Un referendum con il quale Renzi si sta giocando il suo futu-ro in politica e che è diventato oggetto di polemiche interne fi n dal primo giorno in

    cui la riforma costituzionale ha preso forma, per via della quale il Pd rischia di pagare il conto anche alle imminenti ele-zioni amministrative in grandi Comuni come Roma e Milano. Proprio in vista delle elezioni, un appello all’unità del parti-to e ad un abbassamento dei toni è arrivato ieri da un altro esponente dem, Francesco Boccia. «Quelli che abbiamo davanti sono giorni importan-ti, le amministrative non sono un test per il Governo ma è pur vero che il Pd si gioca molto», ha dichiarato Boccia sottolineando che «Roma, Milano, Torino, Bo-logna, Napoli e tante città che non possiamo permetterci di lasciare al centrodestra o al M5S. Per questo motivo rifaccio il mio appello all’unità dentro il partito, almeno fi no ai ballot-taggi». «Se vogliamo vincere le amministrative dobbiamo es-sere uniti, andando in giro a far campagna elettorale. Tutti, nessuno escluso», ha avvertito Boccia il quale ha invitato tutti gli esponenti del Pd ad aprire di fatto «un confronto franco e vero subito dopo i ballottaggi» in quanto «la necessità di un confronto nel Pd è evidente». «I dissidi interni al Pd? Devo-no calmarsi tutti, maggioranza e minoranza del partito, basta

    litigare, noi siamo in campagna elettorale». Così, invece, Mat-teo Orfi ni.

    Il presidente del Pd ha lan-ciato un appello alla distensio-ne: «Fino a domenica non si litiga e si viene a sostenere i candidati del Pd alle comuna-li». A Cuperlo che ha detto che c’è un disegno per far fuori la minoranza del partito, Orfi ni ha replicato: «Assolutamente no, nessuno deve andarsene dal Pd».

    Csm: Francesco Greco nuovo procuratore di Milano

    Francesco Greco è il nuovo capo della Procura di Milano. Lo ha nominato ieri pomeriggio il plenum del Csm a larga maggioranza. Greco, fi no ad oggi aggiunto a Milano, ha avuto la meglio sull’altro candidato, Alberto Nobili (anch’egli procuratore aggiunto dell’uffi cio giudizia-rio milanese). La candidatura di Giovanni Melillo, capo di gabinetto del Guardasi-gilli Andrea Orlando, era stata ritirata in apertura di plenum.

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    Vignetta di Claudio Cadei

    di Pierre de Nolac

    Grillo: “Salviamo Roma dai lanzichenecchi piddini”

    Ora Renzi crederà di essere Carlo V

    * * *

    Rifi uti, Italia a rischio caos cassonetti.

    La materia prima non manca.

    * * *

    Comunali, i sondaggi clandestini corrono sul web.

    Ma i candidati sono fermi.* * *

    Roma, blitz contro gli affi ttacamere.

    I migranti sono avvisati.

    * * *

    Giachetti: “Roma rischia l’emergenza”.

    Ha detto proprio “rischia”.

    * * *

    Gigi Proietti: «Al nuovo sindaco chiederei cos’è la cultura»

    E se è una donna?

    PILLOLE

  • 4 Martedì 31 Maggio 2016 P R I M O P I A N O

    DI DIEGO GABUTTI

    Nelle edizioni La Città del sole esce «Kruscev men-tì», un libro firmato da tale Grover Furr, pp. 428, 25,00 euro, professore alla Montclair State University del New Jersey. Stalinista convinto, russofono, Furr elenca in questo straordinario libro di devozioni storico dialettiche «la prova che tutte le «rivelazioni» sui «crimini» di Stalin (e di Beria) nel famige-rato «Rapporto segreto» di Nikita Krusciov [sic] al XX Congresso del Partito comunista dell’Unio-ne sovietica del 25 febbraio 1956 sono dimostrabilmente false». Dopo «false» c’è un asterisco e più sotto, tra parentesi, una nota: «Tutte le rivelazioni tranne una, che non posso dimostrare se sia vera o no».

    Di seguito, senza parole. Un uomo modesto. «Stalin respinse lodi e adulazioni dirette a lui più e più volte nel corso di molti anni»; «Quasi ogni libro di memorie di persone che hanno avuto contatti personali con Stalin, riporta aned-doti che dimostrano l’opposizione e anche il disgusto di Stalin per il culto della sua persona»; «Ci sono

    prove concrete che gli oppositori o diedero inizio al «culto» di Stalin, o vi parteciparono con entusiasmo come copertura per le loro attività di opposizione».

    Quanto poi al tentativo di Stalin «di ri-fiutare l’onori-ficenza d’Eroe dell’Unione so-vietica fu vani-ficato quando il riconoscimento, che non aveva mai accettato, fu appuntato su un cuscino collocato nella bara alla sua morte». Guarda caso.

    «Tutto il tono d e l d i s c o r s o di Kruscev che accusava Stalin d’aver deviato dal socialismo con immensi crimini dei quali Kruscev lo riteneva unico responsabile era identico al ritratto demonizzante di Stalin fatto da Trotsky». (Ri-tratto demonizzante di Stalin. Fatto da Trotsky).

    I processi di Mosca. «Tutte le prove di cui disponiamo at-tualmente dimostrano l’esistenza

    d’una diffusa serie di cospirazioni anti-governative destro-trotskiste che coinvolgevano molti importan-ti dirigenti di partito, entrambi i capi dell’Nkvd Ezhov e Lagoda, leaders militari d’alto rango e mol-

    ti altri»; «Ci sono un gran numero di prove circo-stanziate che suggeriscono che lo stesso Kru-scev potrebbe aver partecipato a questa cospi-razione destro-trotskista».

    Ancora i pro-cessi di Mosca. «Nessuna prova è mai emersa a suggerire che che le confes-

    sioni di Zinoviev e Kamenev fossero altro che autentiche. Una prova che conferma le loro confes-sioni di colpevolezza è emersa fin dal 1991».

    Purtroppo «il governo russo ha finora rifiutato di pubblicare i do-cumenti d’indagine sul loro caso»; «Persino il rapporto di riabilitazio-ne, pubblicata nel 1989, sebbene ampiamente manipolato, contiene

    indicazioni della loro colpevolezza, perchè in esso Zinoviev dichiara due volte di «non essere più» un «nemico».

    Deportazioni d’interi popo-li: fu per il loro bene. «La colla-borazione di questi gruppi con i nazisti fu tanto ampia che punire le persone coinvolte avrebbe mes-so in pericolo la sopravvivenza di quei gruppi etnici in quanto tali. Avrebbe significato eliminare con il carcere e le esecuzioni ampie fa-sce di giovani, lasciandone pochis-simi per sposare le giovani donne. La deportazione ha mantenuto intatti questi gruppi».

    La rivoluzione liberale di massa di Baffone, stroncata dagli alle-ati inaffidabili. «Lo storico Iuri Zhukov ha esposto una [...] te-oria, secondo la quale l’obiettivo di Kruscev era di chiudere deci-samente la porta alle riforme de-mocratiche volute da Stalin e che coloro che erano stati alleati di Stalin nel Presidium, in partico-lare Malenkov, cercavano ancora di promuovere. Tali riforme erano volte a togliere al partito il con-trollo sulla politica, l’economia e la cultura, affidandolo [sic] nelle mani di soviet eletti».

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    IN CONTROLUCE

    Con un libro di 428 pagine Grover Furr vuol dimostrare che Stalin eraun’amabile persona e che Kruscev (quello lì, sì detestabile) si è inventato tutto

    Chi si lamenta dello stato dell’università italiana

    deve adesso tenere conto che ‘sto Grover Furr è docente alla Montclair

    State University del New Jersey (Usa) che se lo ammette fra i suoi docenti

    deve essere a un livello

    scientifi co raso terra

    Avanti con lo spacchettamento, chiamata al voto non su uno, ma su più quesiti parziali

    Riforma, raffiche di referendumAl via la raccolta delle fi rme per tre distinte proposte

    DI MARCO BERTONCINI

    E dacci dentro con lo spacchettamento. Procede il tentativo di chiamare al voto non su un unico referendum confermativo all’insegna del prendi tutto o lasci tutto: si v o r r e b b e i m p e g n a -re il corpo elettorale su più re-ferendum, c i a s c u n o parziale ri-spetto alla riforma at-tuata dalle Camere.

    Già altre volte Ita-liaOggi si è interessata de l tema (20 aprile, 4 e 5 mag-gio).

    S i p u ò adesso se-gnalare il duplice e uffi ciale avvio della raccolta delle fi rme sotto tre distinte proposte.

    Una concerne la divisione in parti organiche del testo da sottoporre a quesito popolare; le altre due individuano spe-cifi ci temi, quali la revisione

    della disciplina del referen-dum abrogativo e la struttura del Senato.

    Si parla di duplice av-vio perché le sottoscrizioni riguardano sia il corpo elet-torale nel suo complesso, sia i parlamentari.

    Nel primo caso occorre

    mezzo milione di firme, cioè almeno 550mila come limi-te di sicurezza. Nel secondo sono necessari un quinto dei deputati (126) o un quinto dei senatori (65).

    Ad attivarsi per promuo-vere la raccolta popolare

    sono essenzialmente i radi-cali, per essere più precisi quelli identifi cabili nell’as-sociazione radicali italiani e non quelli, che fi no a qualche giorno addietro sarebbero stati etichettabili come pan-nelliani ortodossi, del partito radicale transnazionale. Le

    difficoltà di raggiungere l ’ ob ie t t ivo sono eviden-t i , aggra -vate dalla condizione di diuturno litigio che travaglia la cos iddetta galassia ra-dicale.

    E le fir-me di par-lamentari? P r o m o t o r i della raccol-ta alla Ca-mera sono gli ex gril-lini, ora nel misto, Mara M u c c i e

    Aris Prodani, e Adriana Galgano (Scelta civica). Al Senato capofi la è Luis Orel-lana (ex pentastellato, oggi nel gruppo Per le autono-mie). Se i grillini fi rmeranno le richieste, larga parte del lavoro sarebbe fatta.

    E poi? Solo in parte largamente minoritaria le previsioni indicano la possi-bilità di un via libera della Cassazione, mentre qualche riserva arriva sull’atteggia-mento della Corte costitu-zionale. Non ci sono prece-denti: o meglio, gli ultimi due referendum conferma-tivi hanno interessato l’uno un intero titolo della Carta

    (e quindi potrebbe ravvi-sarsi un’omogeneità sostan-ziale), l’altro, invece, decine di articoli sovente sconnessi. Siccome, però, considerazioni non sempre di rigoroso diritto infl uiscono sulle pronunce di palazzo della Consulta, sa-rebbe poco opportuno tentare di attuare, oggi, una conta all’interno dei giudici.

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    Vignetta di Claudio Cadei

    SCOVATI NELLA RETE

  • 5Martedì 31 Maggio 2016P R I M O P I A N OVuole alzare il livello di scontro con il governo per recuperare i delusi del centrodestra

    Berlusconi sfida davvero RenziPer non lasciare campo libero a Grillo, Salvini e Meloni

    DI CESARE MAFFI

    Alzare il livello di scon-tro col governo è l’in-vito, e anche più di un invito, che Silvio Ber-lusconi va rivolgendo ai suoi seguaci, o almeno attivisti, o forse ai suoi quadri. Il Cav par-te da un obiettivo razionale: recuperare, almeno in parte, i delusi: biso-gna andarli a prendere là dove sono fi-niti. Una par-te si è rivolta a Matteo Sal-vini; un’altra, ben più consi-stente, è anda-ta in direzione pentastellata; i più si sono rivolti alla protesta più drastica: il non voto.

    Berlusconi ci tiene, anche per rapporti internazionali, a collocarsi al centro e non a destra. Non intende subire tracotanze da Matteo Salvini o ingiurie da Giorgia Meloni. Vuole ancora essere lui il capo indiscusso dell’intera alleanza. Anche per questo, vuole con-trapporsi a Matteo Renzi. Agisce così, con ruvidezza, già ipotecando il no referendario e ancor più prevedendo il com-patto listone di centro-destra

    alle politiche.Non lo spinge un moti-

    vo soltanto. C’è, appunto, il ritorno a casa dei disillusi. I ripetuti appelli berlusconiani a recarsi al voto, perfi no sen-za indicare la destinazione del voto stesso, fanno capire che al Cav occorre puntare sulla lotta dura a Renzi, vincendo insie-me la concorrenza di Salvini,

    della Meloni e di Grillo. Angelino Al-fano, invece, ritiene che sia necessario of-frire un’offerta politica di cen-tro per questi astensionisti ormai cronici. Il settore cui sia il Cav sia i centristi oggi alleati con Renzi si rivol-gono è quasi coincidente, ma diversa è

    la tecnica di (tentata) ricon-quista.

    A muovere Berlusconi c’è poi la volontà di tenere uni-to il centro-destra. Potrebbe farlo smussando l’ostilità ver-so Renzi o addirittura, come vorrebbero frange politiche e giornalistiche ritenute fi nora berlusconiane, avviando una tacita non belligeranza con palazzo Chigi? Sarebbe im-possibile.

    Rinsaldare il centro-de-stra con il tema, immediato e facile, dell’assalto alla diligen-za governativa, signifi ca infi ne per il Cav credere o illudersi di essere sempre lui il coman-dante. Per quanto Salvini fac-cia ormai di tutto per metterlo in un angolo, a fungere da vec-

    chio saggio o da nonno (come l’attuale pontefi ce vede il suo predecessore ancora vivente), Berlusconi è persuaso che alla fi ne saranno sempre gli altri a recarsi ad Arcore. E fi n quando Salvini continuerà a visitare lui il Cav, una buona dose di ragione Berlusconi potrà

    averla. Che succederebbe, però, se

    un bel giorno Salvini preten-desse d’incontrare il Cav in altra sede, per esempio nel gruppo leghista (o forzista, non importa) di Montecitorio o di palazzo Madama?

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    DI RICCARDO RUGGERI

    L’occasione era irripetibile. Fare il solito check up (di strada) sulla mia salute e andare a vedere il cesso d’oro di Cattelan, collocato non in una sala del Guggenheim, ma pro-prio nella toilette, a disposizione dei bisogni dei visitatori. Da anni mi sono dato un vincolo: rinuncerò al mio viaggio annuale a NY di audit politico-economico-culturale, quando non sarò più in grado di raggiunge-re a piedi (solo andata) dal Mercer (Soho), ove soggiorno, il Guggenheim (80 blocchi). Per quest’anno prova su-perata. Le mie giornate sono dedicate ai tre marcatori scelti: all’arte con-temporanea, a cibo/cucina, a finanza/business/politica. Per scelta, incontro solo persone perbene e delle classi media o povera, nessuno delle élite, anche perché loro mai vorrebbero incontrare me.

    Impraticabile «Agitprop!» (al Brooklyn Museum), una curiosa mostra d’altri tempi, vicina al mon-do operaio della mia giovinezza. Un mondo scomparso, solo la classe ope-

    raia francese sta facendo un’ultima lotta stile cavalleria polacca contro il carro armato-job act di Hollande. Quando sarà sconfi tta dai cannoni ad acqua di Valls, si butterà defi nitiva-mente a destra, nelle braccia dei po-pulisti, pardon degli xenofobi, come chiama le opposizioni Napolitano. Questi sprovveduti operai francesi non hanno capito nulla, non essen-doci più il lavoro, il job act non può essere una riforma del lavoro, ma un banale modo per dare aiuti di stato ad altri, a spese loro. Il loro destino è segnato, se ne facciano una ragione.

    Invece, al Met Breuer, «Unifi -nished: thoughts left visible», i curatori si sono posti una domanda strategica: quando un’opera d’arte è compiuta? Lo fece già Plinio il Vec-chio. Qua di casi ve ne sono 197, da quelli incompiuti per dipartita dell’artista, a quelli ove l’incompiu-tezza è ricercata, perseguita, trovata. Anche nel management (o nel sesso, che è poi la stessa cosa) c’è la cul-tura dell’incompiutezza, quando il petting ottusamente non si accoppia con l’execution.

    Non ho rinunciato al «Transi-tional object» la casa fi enile di Psyco

    Barn (Hitchcock) sulla terrazza del Metropolitan, una vista mozzafi ato, inferiore solo a quella a 360° del pa-lazzo dell’Opus Dei a Roma, adiacen-te a Palazzo Farnese. In psicologia, il titolo indica i cosiddetti oggetti di transizione, per esempio il classico orsacchiotto che aiuta il bimbo a stac-carsi dal seno materno. Collegandola ad «Agitprop!», serve a ricordare al lavoratore il dovere civico, se richie-sto, di staccarsi dalla sua retribuzio-ne passata, e attaccarsi al seno del reddito di cittadinanza futuro. Ma il clou del viaggio nasceva da un’intu-izione di cui rivendico il copyright. I 90 barattoli di Piero Manzoni (30 grammi di merda originale, venduta al prezzo di mercato dell’oro di quel giorno, 21 maggio 1961) mi hanno sempre affascinato. Essendo curioso, se ne avessi comprata una (oggi val-gono 70.000 €) non avrei resistito ad aprirla. Feci bene, nel 2008 Bernard Bazile, un giornalista francese, aprì la sua, la presentò in alcuni musei di Parigi. Dentro c’era una seconda sca-toletta, più piccola ma identica, e con la stessa dicitura (merda d’artista, in più lingue), numero e fi rma origina-le. Lì si fermò. Il mistero resta, sarà

    mica una matrioska? Nell’ultima scatoletta la merda ci sarà?

    Dopo 55 anni non potevo man-care all’appuntamento del Gug-genheim, Cattelan chiudeva un ciclo, adesso la merda di Manzoni aveva fi nalmente trovato il suo cesso, per di più d’oro. Chioserebbe un sociolo-go di regime: questa è l’età dell’oro, quella del benessere diffuso. Non c’è dubbio che le due opere siano infl uenzate dai celebri ready-made di Marcel Duchamp, sul Manzoni del ’61 ho ricco archivio di ritagli e simbolismi d’epoca. Per spiegare la scatoletta furono toccati tutti i tasti culturali, dall’ironico, al concettuale, al politico, al sociale, a Freud.

    La conclusione mi pare ovvia: il mercato oggi è disposto ad ac-cettare e quotare anche la merda, purché sia in edizione numerata, garantita da un notaio, certifi cata da un audit anglosassone. E sia smal-tita in modo politicamente corretto, meglio attraverso un cesso d’oro. Un solo dubbio. Chi avrà il coraggio di tirare lo sciacquone?

    [email protected] @editoreruggeri

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    RICCARDO RUGGERI A NEW YORK ALLA RICERCA DI SEGNALI DEBOLI DALLA CAPITALE DEL MONDO

    Il mercato oggi è disposto ad accettare anche la merda purché essa sia in edizione numerata, garantita da notaio e certificata da audit anglosassone

    DI GIULIANO CAZZOLA

    C’era un presidente della Camera (mi pare che fosse Luciano Violante) che in-vitava delle scolaresche in Aula, facendo loro sperimentare il ruolo del legislatore. Anni dopo una scolaresca, proveniente da diverse città della Toscana, ha preso tan-to sul serio quell’esercizio di educazione civica che si è messa a cambiare la Co-stituzione.

    * * *Adesso che i marò sono tornati in pa-

    tria entrambi non ci toccherà di esporre degli striscioni con la scritta: «Liberate il cane Argo»?

    * * *Sono stato invitato ad un convegno a

    Milano sul tema delle pensioni. Avrebbe dovuto esserci un dirigente della Uil, la cui partecipazione al dibattito era stata già prevista da tempo. Nel testo defi ni-tivo dell’invito, invece, compare, al suo posto, il nome di un segretario confede-rale della Cisl. Quando ho chiesto una spiegazione mi è stato detto che la Uil aveva consigliato al suo dirigente di non partecipare. Il motivo? La presenza di Elsa Fornero.

    * * *Il 31 maggio del 1996 moriva Luciano

    Lama, lo storico leader della Cgil che ne fu segretario generale dal 1970 al 1986. La ricorrenza viene celebrata in Senato con una cerimonia a cui sarà presente anche il Capo dello Stato. Tra gli oratori uffi ciali anche Susanna Camusso. Le sarà diffi cile spiegare perché il comunista Lama cercò in tutti i modi di ricostrui-re l’unità sindacale con il democristiano Bruno Storti (segretario della Cisl) e arrivò ad un passo dal riuscirci, mentre la Cgil di oggi dà per scontato un plurali-smo sindacale di cui non si comprendono i motivi.

    * * *Insieme a Susanna Camusso parlerà

    anche Giorgio Napolitano. Ma l’in-tervento che desta maggiore curiosità è senz’altro quello di Cesare Romiti (a suo tempo acerrimo avversario di Lama). Cre-do che sia stata una scelta giusta: anche tra avversari, in altri tempi, c’erano sti-ma e rispetto reciproci. Chissà se quando Maurizio Landini lascerà la guida della Fiom chiameranno Sergio Marchionne a salutarlo?

    Formiche.net

    PUNTURE DI SPILLO

    Silvio Berlusconi

  • 6 Martedì 31 Maggio 2016 P R I M O P I A N OAssolto perchè il fatto non sussiste. Anzi elogiato per la correttezza del suo comportamento

    Fatto a fette, ma non meritavaAndrea Defranceschi, grillino, era stato espulso dal partito

    DI CARLO VALENTINI

    A ssolto perché il fatto non sussiste, con in più nella sentenza di proscioglimento i complimenti per la cor-rettezza del proprio com-portamento. Ma intanto il presunto reprobo è stato espulso dal suo partito, il movimento 5 stelle, addi-tato dal blog grillesco alla pubblica esecrazione, linciato politicamente. La vittima di questo giustizialismo è An-drea Defranceschi, ex-consigliere regio-nale emiliano. Uno dei tanti che potrebbero raggiungere il sinda-co di Parma, Federi-co Pizzarotti, se al termine della lunga meditazione che Bep-pe Grillo ha in corso fosse espulso.

    Pe r i 5 s t e l l e , in Emilia, è una débâcle. Si ritrovano con un sindaco, a Par-ma, in odore di eresia e di espulsione, un can-didato-sindaco a Bolo-gna imposto dall’alto e senza le tanto sbandie-rate primarie in rete che i sondaggi indicano lontano anni-luce dall’avversario ricandidato sindaco Pd e forse dietro pure al candi-dato leghista, un espulso dichiarato innocente che ora porterà in tribunale i suoi ex-amici che lo hanno killerato, a cominciare pro-prio dal candidato-sindaco di Bologna, Massimo Bu-gani, plenipotenziario di Grillo (e Casaleggio) in terra emiliana.

    «Sì», dice Defrance-schi, «ho già depositato in procura una querela per diffamazione aggravata. Bugani ha rilasciato varie interviste affermando che «i nostri consiglieri regionali per farsi belli e farsi vedere pagavano per andare in tv» e che «loro dovevano resti-tuire una parte dei soldi che percepivano al movimento e noi non abbiamo visto una lira tant’è che poi oggi questi due signori hanno aperto due meravigliose attività, allora la battuta è che hanno effettivamen-te finanziato la piccola e media impresa, la loro....». Poiché io non ho mai paga-to per farmi intervistare in televisione e il mio extrasti-pendio è sempre stato gesti-to da un conto dedicato, col quale sono state finanziate unicamente le iniziative autorizzate dall’assemblea regionale del Movimento e ogni centesimo è stato re-golarmente rendicontato ho deciso di querelare e chie-dere i danni, ci vedremo in

    tribunale”.Davvero una guerra

    stellare. Bugani, impe-gnato nella campagna elet-torale, ribatte: «Di solito, quando una persona tocca il fondo si ferma e prova a risalire. Ma vedo che in que-sto caso si preferisce conti-nuare a scavare, e andare ancora più giù. Sul periodo 2010-2014, al Movimento sarebbero spettati più o

    meno 200.000 euro: non li abbiamo mai visti. Lui ora prova a danneggiare il no-stro lavoro verso le elezioni, ma è solo un buco nell’ac-qua».

    Non male tra ex-col-leghi di un movimento che predica la demo-crazia dal basso. Nella scorsa legislatura regio-nale i 5stelle ottennero in Emilia-Romagna due con-siglieri. Al termine, non ne avevano neppure uno. Il primo, Giovanni Favia, venne espulso perché in un fuorionda trasmesso da Michele Santoro espres-se perplessità sulla gestione verticistica del movimento e la mancanza di democrazia interna. Il secondo, Andrea De Franceschi, si ritrovò

    invischiato insieme a tutti i capigruppo in un’indagine della Corte dei conti che si concluse con una condan-na amministrativa per un presunto uso dei fondi re-gionali assegnati ai gruppi politici per finalità estranee alla loro attività, tra queste il pagamento a una tv pri-vata per essere invitati ai talk show dell’emittente. Il bello è che l’inchiesta par-

    tì da un esposto dello stesso Defranceschi, che poi si ritrovò pure lui indagato.

    Arrivata la san-zione, egli venne radiato dal movi-mento. Dice: «Scrissi e telefonai a Grillo e a Casaleggio per set-timane per risolvere la questione, ma non r icevett i r isposta . Così sono stato espul-so (nemmeno sospe-so) per una condanna amministrativa in attesa di ricorso, sen-za che questa ennesima nuo-va regola sia scritta, condi-visa e votata da nessuna

    parte. In compenso nessuno si mosse nei confronti del consi-gliere regionale del Piemonte che paga-va per intervenire nei telegiornali».

    Insomma, due pesi e due misure. Com’è avvenuto con Pizza-rotti e il sindaco di Livor-no, il primo investito da uno tsunami per un avviso di ga-ranzia, il secondo perdonato. Per colpa di quell’inchiesta e dei conseguenti sommovi-menti all’interno dei 5stelle locali, con le fazioni in lotta forse anche per prenderne il posto, Defranceschi ha abbandonato la politica. E ora che è stato riconosciuto innocente si sfoga: «È finito così, come un castello di car-

    te al primo soffio di vento, un calvario di anni. Chi mi conosce sa che non sono il tipo che spiegherà cosa ho passato e cosa mi è costato, in tutti i sensi. Un anno e mezzo fa questa indagine basata sul nulla mi ha impe-dito di ricandidarmi. Per la gioia e il vantaggio di molti, dentro e fuori il Movimento. Che non vedevano l’ora di liberarsi di me. La coeren-za, l’onesta e il coraggio di dire la verità e non guarda-re in faccia a nessuno, sono

    caratteristiche scomode in questo Paese. Il mio pensie-ro va a chi mi ha attaccato, deriso, offeso, umiliato. Ai voltagabbana che prima ti riempivano di pacche sulle spalle e complimenti, per poi pugnalarti alle spalle. A quelli che mi hanno tol-to l’amicizia da Facebook o che dalle loro pagine sono arrivati persino a offendere mia madre. A quelli che per la strada mi hanno tolto il saluto».

    La Corte dei conti nell’ottobre 2014 con-dannò sette capigruppo. A Defranceschi chiese la restituzione di 7 mila euro. Secondo i magistrati conta-bili vi era stata «un evidente illegittimità dell’impiego di risorse pubbliche. Il danno all’erario si sostanzia dun-que nella non conformità e nella illegittimità della spesa».

    Sentenza ribaltata in ap-pello dove il giudice addirit-tura scrive che la “politica

    di trasparenza inau-gurata dal M5S in Emilia-Romagna ha preceduto l’indagine sulle spese dei gruppi e si è posta in sintonia con la stessa». Una gestione, prosegue il magistrato, «scevra da sprechi che ha avuto un esito di risparmio complessivo di cui dà atto la stessa polizia giudiziaria». Tanto che sui fondi vincolati alle

    esigenze di funzionamento, il gruppo «ha realizzato un risparmio», conclude il giu-dice, «di poco inferiore ad un terzo della contribuzione».

    L’ex-consigliere regio-nale finito nel tritacarne giudiziario ne è uscito con le ossa (politiche) rotte ma vittorioso. Chissà se Beppe Grillo avrà il tempo di de-dicargli due righe sul suo blog.

    Twitter: @cavalent© Riproduzione riservata

    Per i 5stelle, in Emilia è una vera débâcle. Hanno un sindaco, a Parma, in odore di eresia ed

    espulsione, un candidato sinda-co a Bologna imposto dell’alto è

    rifi utato dalla base, un consigliere regionale espulso

    ma adesso dichiarato innocente che porterà

    in tribunale i suoi ex amici

    DI MARIO SECHI

    Titoli. I migranti fanno notizia quando muoiono. Questa è la triste lezione che arriva dopo aver letto i giornali (Carlino-Nazione-Giorno: «Migranti, strage di bimbi»), ma tut-to ha inizio altrove e si dimentica lo scenario geopolitico, si cercano solu-zioni per l’accoglienza (primo caffè e Corriere della Sera: «Migranti, 70 in ogni provincia»), si fa un grande lavoro di soccorso umanitario (La Stampa: «Così raccogliamo i morti in mare»), si vedono tutti i limiti della gestione in emergenza (la Repubbli-ca: «Emergenza sbarchi. Mancano le navi. È strage di bambini») e l’Italia è solo un passaggio per chi cerca una nuova vita altrove (Il Secolo XIX:

    «Caos profughi a Ventimiglia»). Si pubblicano mappe del Medi-

    terraneo quando in realtà bisogne-rebbe impaginare quelle dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia Centra-le. Il Nord Africa è in fi amme da cin-que anni, cioè da quando cominciò il risiko delle primavere arabe: la Libia è una polveriera da quando il colon-nello Gheddafi fu ucciso a Sirte il 20 ottobre del 2011; la Siria è un inferno amplifi cato dall’incertezza america-na, dall’illusione della proxy war, la guerra conto terzi affi data a ribelli che sono soltanto clan sanguinari, un confl itto armato dal Pentagono e pensato dal Dipartimento di Stato di Hillary Clinton; l’Iraq destabilizzato da un ritiro troppo veloce delle trup-pe americane voluto da Obama; l’Af-

    ghanistan, dove Abdullah e Ghan governano Kabul, ma i signori della guerra continuano a dominare valli e montagne.

    La frontiera tra Siria e Turchia è un avamposto dell’Europa che ha af-fi dato a Ankara il controllo. Funziona, gli sbarchi nell’Egeo sono diminuiti, ma il Mediterraneo degli Stati falliti è diventato l’alternativa. Si possono insediare mille governi provvisori, ma se non c’è il monopolio della forza (questo è il problema della Libia) il caos genera mostri e mercanti d’uo-mini. Guerra, fame e demografi a sono le grandi forze della storia. Il resto è spicciola cronaca che forse fa titolo, ma non dura 24 ore. Buona giorna-ta.

    Il Foglio.it - List

    ON THE ROAD, NOTE DI VIAGGIO FRA I MEDIA DI MARIO SECHI

    Rai3, vietati abiti sexy e tacchi a spillo. L’ha deciso l’Imam Bignardi.Il 5 giugno Svizzera al voto per ga-rantire il reddito minimo ai cittadini. L’Italia invece a un po’ di sindaci, assessori e consiglieri.

    * * *

    Alfano annuncia un nuovo partito di moderati in autunno. Come se di morto non bastassero già le foglie.Berlusconi racconta barzellette in TV. Ma almeno a lui eravamo già abituati.

    GIANNI MACHEDA’S TURNAROUND

    Andrea Defranceschi

  • 7Martedì 31 Maggio 2016Martedì 31 MaggiP R I M O P I A N OChe purtroppo è ormai sfatta. È quello scritto da Fabrizio Roncone nel romanzo: «La paura ti trova»

    Un grande affresco di RomaMancava proprio un racconto della capitale com’è oggi

    DI GOFFREDO PISTELLI

    Fabrizio Roncone, 52 anni, romano de Roma, è un inviato speciale del Corriere della Sera. Scrive su tutto, dai grandi fatti dell’attualità alle beghe di Pa-lazzo, agli psicodrammi della politica. La sua penna è infatti uno scanner formidabile, capa-ce di raccontare con maestria il dettaglio del quadro, ma facen-do innamorare il lettore anche della cornice. Uno così non po-teva, prima o poi, che scrivere un romanzo. Il suo La paura ti trova (Rizzoli) è appena uscito in libreria e, nei giorni scorsi, alla libreria Feltrinelli che sta nella Galleria Sordi a Roma, a due passi dalla redazione di Ita-liaOggi, sono andati a presen-tarlo Walter Veltroni e Aldo Cazzullo.

    Scrutando la sala, forse si potevano riconoscere anche il Muto, l’Avvocato e Pi-casso, gli avventori del-la vineria di Marco Pa-raldi, il protagonista, un giornalista che ha chiuso col giornalismo, e dalla quale si dipana un giallo che sarebbe riduttivo defi nire tale. In questo libro d’esor-dio di Roncone, oltre al plot poliziesco, con personaggi che ricordano certe fi gure, sgan-gherate ma sublimi, di Frutte-ro e Lucentini, c’è soprattutto un strepitoso affresco di Roma, ormai sfatta.

    Domanda. Roncone, a un certo punto, quando la sto-ria ormai volge al termine, uno degli sgarruppati ma-lavitosi pronuncia una fra-se che potrebbe essere un ideale sottotitolo: «Roma è un immenso troiaio a cielo aperto».

    Risposta. Direi che è la frase chiave. Roma la conosco, ci sono nato, c’ho fatto per anni il croni-sta di nera, a Paese Sera, dove sono entrato giovanissimo, so cos’è il mondo politico, che ho se-guito all’Unità, dove mi assunse il direttore Massimo D’Alema, e poi al Corriere.

    D. Roma è la protagonista vera di questo libro.

    R. Mancava, secondo me, il racconto di come la città sia oggi.

    D. E dire che di narrazio-ni di Roma e della romanità non erano mancate, negli ul-timi anni.

    R. È vero. Ce ne sono state almeno tre, nell’ultimo periodo, tutte straordinarie quanto fuor-vianti. Prenda quel bellissimo romanzo che è stato Romanzo Criminale di Giancarlo De Cataldo, la fiction che ne è stata tratta.

    D. L’epopea dalla Banda della Magliana.

    R. Un racconto che va dalla fi ne degli anni ’70 ai primi anni ’80, e quindi per niente attua-le.

    D. Lei cita, ma molto en passant, un certo bar di Testaccio che vide na-scere quel clan che poi dettò legge per anni. Ma liquida la vicenda in po-che righe.

    R. Conosco molto bene quel quartiere, mia madre ci ha in-segnato per anni, ho visto la «batteria» di testaccini e tra-steverini diventare un clan che trattava con Cosa nostra. Ma appunto, roba di un’altra epoca. Così come ho visto il quartiere cambiare volto.

    D. Pulizia immobiliare ed etnica, lei scrive.

    R. Sì perché la bolla immo-biliare degli anni ’80, ha depor-tato da lì, da Piazza Farnese, da Trastevere, da Campo de Fiori, i romani, comprando le loro case, quattrini alla mano, e prospettando l’acquisto di un paio di appartamentini nuovi a Tor Bella Monaca.

    D. Ma stavamo parlando delle chiavi di lettura di Roma, l’ho distratta.

    R. Sì, un’altra è stata quella de La Grande Bellezza. Stupen-da anche quella, ma inadegua-ta a raccontare la Capitale di oggi.

    D. Perché?R. Perché gli anni di Jep Ga-

    bardella, il protagonista, sono quelli in cui fi nisce la Prima Re-pubblica, siamo alla fi ne degli anni ’90, primi anni 2000. Ha presente quella grande terrazza dove il fi lm comincia?

    D. Certo, la musica sinco-pata, i balli di gruppo, i nani e le ballerine...

    R. È un grande attico che un signore, mi pare un architetto, affi tta per queste mega feste e io ricordo di aver partecipato, in quegli anni, a un paio di party là sopra e, vedendo il fi lm di Paolo Sorrentino, m’è parsa di vive-re un fl ash-back. Del resto...

    D. Del resto?R. Del resto Sorrentino e Um-

    berto Contarello, che l’hanno sceneggiata, hanno dichiarato di ispirarsi alla Roma dei salotti delle Angiolillo, Verusio, Car-raro, che non ci sono più. Ai Ca-fonal di Roberto D’Agostino.

    D. I protagonisti del pote-re impietosamente inchio-dati, con la tartina in bocca e i volti sfregiati dal botuli-no, dall’obiettivo di Umber-to Pizzi, che ha fatto le foto alla sua presentazione, per Formiche.net.

    R. Sì e D’Agostino era in sala pure lui, una bella capriola in-fatti.

    D. E dunque, di nuovo un

    racconto che non è dei gior-ni nostri.

    R. Esatto. E poi c’è stata an-che Suburra, il libro di Carlo Bonini con De Cataldo, ma era come un microscopio su una realtà particolarissima, l’incrocio fra criminalità e pote-re. E quindi troppo parziale, per

    raccontare il tutto. D. Senta ma perché

    Roma, dalla Grande bellezza, è diventato il «grande troiaio», per usare le parole del suo criminale?

    R. Quella frase descri-ve in modo plastico l’Urbe qual è: una città orizzon-tale.

    D. Che vuol dire?R. Vuol dire che il Bene e il

    Male si incontrano, si sgancia-no, si incontrano di nuovo. Non c’è più l’alto e il basso.

    D. Faccia un esempio, Roncone.

    R. A Ponte Milvio, il sabato sera, lei trova migliaia di ra-gazzi. Da quelli di Vigna Clara e dei Parioli...

    D. ... i quartieri ric-chi...

    R. ... mescolati a quelli del Tuscolano, zona popo-larissima. Assieme agli uni e agli altri, gli spac-ciatori di Piazza Euclide. Ne ho avuto la percezione, giorni fa, si ricorda quan-do le liste di Stefano Fassina alle comunali erano saltate?

    D. Certo. Ma che c’entra?R. C’entra perché il direttore

    m’aveva spedito al suo quartier generale che sta a Tor Pignat-tara. E dunque sono partito, facendo la Casilina, passando il Pigneto, oggi riqualifi cato.

    D. E trendy...R. Ficaiolo, si dice ora. Dove

    anche i fuorisede con due soldi in tasca, si fanno affi ttare la casa lì, tanto è di moda. Bene, duecento metri, non due chilo-metri dopo, comincia appunto Tor Pignattara e lì capisci che Roma sta morendo.

    D. Perché?R. Perché vedi una città lu-

    rida, sporca, con un’immigra-zione soverchiante: non trova-vo la via a cui ero diretto. E, ogni volta che accostavo con la macchina, per chiedere infor-mazioni, non c’era un italiano a rispondermi.

    D. Infatti il libro inizia sulla spiaggia di Capocot-ta, dove c’è di tutto, l’ibri-dazione totale.

    R. È così: i fi ghetti hanno smesso d’andare a Fregene e vanno lì. Così come in Piaz-za del Fico, trovi i coatti di Capocotta.

    D. In questa orizzonta-lità che è successo?

    R. È successo che il Male e il Bene si incontrano spesso, ma il Male ormai ha preso il sopravvento: questa città non è innocente, diciamo la verità.

    D. In che senso, Ronco-ne?

    R. Nel senso che chi di noi, oggi, non parcheggia in tripla fi la? Che si occupano regolar-mente i parcheggi riservati agli invalidi. Ma proprio per fare due esempi banali, inten-diamoci. È all’interno di questo piccolo male quotidiano, che è Roma, ambiento la mia storia.

    D. Una storia dove però si lascia scappare qualche stereotipo: i «destri», dal tassista razzista, al giova-ne fascio che insulta una cameriera, sono sempre brutti e cattivi.

    R. Beh, quei personaggi sono l’espressione di una destra che esiste solo a Roma, becera e ma-nesca, e che conosco abbastan-za. Non la trovi più a Milano o Napoli, ma qui resiste. La città nel suo complesso è di destra, Giorgia Meloni ha qui il suo serbatoio di vito, idem France-sco Storace, ma in quel tipo di destra quei personaggi si trovano solo a Roma.

    D. Altro stereotipo, buono stavolta, a sinistra: gli ex-compagni di corteo degli anni ’70, del protagonisti, tutti nerboruti rugbisti, angioletti.

    R. Ma no, uno fa il dentista e viaggia in auto di lusso, uno fa l’orologiaio di livello e indossa UN grandeun Rolex «che Putin si sognerebbe», un altro ha ere-ditato i supermercati del padre: no li sfotto un po’ perché, come accade spesso in questo Paese, chi voleva fare la rivoluzione, si ritrova fra i ricchi

    D. E il protagonista, mi scusi? Paraldi in uno dei rari dialoghi di politica, rivela d’essere un veltro-niano.

    R. Ma no, è uno che ha fatto il tipico percorso della sinistra extraparlamentare, e che poi, negli anni dell’antiberlusconi-smo militante, capisce che ha ragione Veltroni a voler batte-

    re il Cavaliere sul piano della politica.

    D. E non glielo han fatto fare, dice Paraldi.

    R. Fu così, infatti.D. Senta di politica si par-

    la poco, alla fi ne. Mafi a capi-tale non c’è per niente.

    R. Volutamente. Perché Roma è una metropoli di quattro mi-lioni di abitanti, ridurre tutto a «Mafi a capitale» signifi cava avrebbe signifi cato volerne ve-dere solo un pezzettino. Questa mafi a esiste, perché esiste una città così. In un’altra grande cit-tà, chessò Barcellona, sarebbe stato impossibile che Massimo Carminati...

    D. ... l’ex-Nar diventato uno della Banda della Ma-gliana. Er Cecato che, dalla sua pompa di benzina, go-vernava i traffici dell’Ur-be...

    R. ...che Carminati facesse quello che faceva. In un’altra capitale, avrebbe fatto il ben-zinaio davvero: uno che, uscito di galera dopo anni, provava a rifarsi una vita.

    D. Senta Roncone, ma in tutto questo “Roma fa schifo”, a cui anche lei non si sottrae, non è che c’è un certo autocompiacimento dolente?

    R. No, il romano è rassegnato proprio. Sono otto anni che se la deve cavare da solo, perché i primi cinque anni ha avu-to Gianni Alemanno, la cui giunta è stata una sciagura per la città. Nei restanti due, ha avuto Ignazio Marino.

    D. Che non è stato un toc-casana, diciamo.

    R. Dopodiché il roma-no pensa che non ci sia possibilità di scamparla. Il 50% non andrà a vo-tare.

    D. E l’altra metà?R. Lo farà con un senso

    di abitudine, di incertez-za, di scetticismo, non credendo o credendo po-chissimo alla fi gura del

    sindaco. D. E come ne uscirete?R. È necessaria una rinascita

    complessiva della città, coi suoi cittadini, uno scatto etico, mo-rale, globale, collettivo.

    D. Ma le pare possibile?R. Guardi anni fa, a Napo-

    li, con Antonio Bassolino ho visto qualcosa di quello che ci vorrebbe a Roma: i napoletani si facevano un punto d’orgoglio di fermarsi ai semafori rossi, di non suonare il clacson.

    D. Pochi fi nì pure lì. E qui i problemi sono enormi.

    R. Sì, ci sono quartieri, come il Tuscolano, grandi come una città media, tipo Perugia. Però il sindaco che verrà...

    D. Chi voterà Roncone?R. No, mi spiace, non glielo

    dico. Ma chiunque venga, deve fare subito poche cose.

    Fabrizio Roncone

    continua a pag. 8

    onaggi D Ma stavamo parlando

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    D C

    Roma è un immenso troiaio a cielo aperto. Roma infatti è un città oriz-zontale, nella quale il Bene e il Male si incontrano, si sganciano, si incon-trano di nuovo. Non c’è più, oggi,

    nella capitale italiana, l’alto e il basso

    sina D.Altro stereotipo,buono

    npIlta

    dzcrch

    sindaco

    Se si va a Torpignattara, duecento metri dopo il Pigneto, che, nel frat-tempo, è diventato fi caiolo, capisci

    che, lì, Roma, sta morendo perché lì c’è una città lurida, sporca,

    con un’immigrazione soverchiante e incontrollata

  • 8 Martedì 31 Maggio 2016 P R I M O P I A N OIl paradosso di Palermo: mille benefi ciari non hanno riscosso 500mila euro di contributi

    In Sicilia dimenticano i soldiMa si lamentano perché la politica non fa abbastanza

    DI FILIPPO MERLI

    I soldi sono in banca. Ma nes-suno, dal 2011, è passato a ritirarli. Si dice spesso che le amministrazioni e la po-litica non facciano abbastanza per i cittadini. Idem in Sicilia, dove la mancanza di risorse economiche ha costretto la giunta presieduta da Rosario Crocetta (Pd-Udc) a chiedere aiuto al governo Renzi per sal-vare comuni e liberi consorzi dal dissesto fi nanziario. Nelle rare occasioni in cui il denaro è disponibile, però, i benefi ciari non ne approfi ttano. È il caso di Palermo, dove non sono stati riscossi 500mila euro di contri-buti sociali erogati dall’ammini-strazione del sindaco Leoluca Orlando (ex Idv). Si tratta di fondi per l’assistenza economi-ca straordinaria (da 200 a mille euro), per il bonus fi glio (mille euro) e per il buono sociosani-tario destinato a famiglie con disabili (da 250 a 900 euro).

    A non aver ritirato il con-tributo, che in alcuni casi giace in banca da cinque anni, sono circa mille benefi ciari. «Gli uffi ci del comune svolgono ogni anno un enorme lavoro per stilare le graduatorie o per vagliare la po-sizione di ciascun richiedente», ha spiegato a Repubblica Paler-mo l’assessore alla Cittadinan-za sociale, Agnese Ciulla, «ed è davvero incredibile che molte persone poi non vadano fi sica-mente a riscuotere i contribu-ti». «Anche se la percentuale di mancata riscossione è bassa», ha proseguito l’assessore, «è certamente paradossale che nella nostra città ci siano perso-ne che rinunciano a mille euro». In caso di mancata riscossione, entro la fi ne dell’anno i soldi torneranno alla regione. Quel-la regione che, spesso, è oggetto di critiche e accuse da parte dei cittadini che non si sentono suf-

    fi cientemente tutelati. «In alcu-ni casi», ha aggiunto Ciulla, «i nostri uffi ci, lì dov’era possibile coi recapiti disponibili, hanno anche contattato direttamente i benefi ciari invitandoli a recarsi alla tesoreria». Nessuno, però, s’è fatto vivo. L’assessore della giunta Orlando parla di para-dosso. E in effetti, se si consi-dera lo stato di diffi coltà in cui versano gli enti siciliani, è stra-no che un migliaio di cittadini rinunci a una cospicua somma di denaro.

    Non appena è stata ap-provata la legge sulle città metropolitane, l’assessore regionale alla Funzione pub-blica, Luisa Lantieri, ha lan-ciato un appello al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, invitandolo a intervenire per ri-solvere la crisi degli enti locali siciliani, defi nita «drammatica» dallo stesso assessore. La Sici-lia, infatti, aspetta ancora 500 mln promessi da Roma e già inseriti nel bilancio del 2016. Senza quel denaro, comuni ed ex province rischiano il collasso. Nonostante ciò, pochi giorni fa la giunta Crocetta è riuscita a sbloccare le risorse per il bonus bebè destinato alle famiglie re-sidenti in Sicilia al momento del parto o dell’adozione con un reddito non superiore ai 3mila€ annui. «Malgrado le risorse limitate, siamo riusciti a dare un ristoro alle famiglie meno abbienti», ha sottolineato l’assessore regionale alla Fami-glia, Gianluca Miccichè. Le richieste dovranno essere pre-sentate all’uffi cio servizi socia-li del comune di residenza, che provvederà a pubblicare l’avvi-so per i benefi ciari del contri-buto. La stessa procedura che, nel caso di Palermo, ha portato l’amministrazione a sollecitare più volte i cittadini a ritirare i soldi dovuti. Loro, però, sembra-no farne a meno.

    D. Promemoria per il Campido-glio...

    R. Innanzitutto, deve occuparsi di farla pulire. Perché Roma è sporca all’Eur come al Tuscolano.

    D. Orizzontale anche in questo.R. Certo. Le foglie che intasano i tombini,

    o con le nuove asfaltature che li coprono, per cui quando piove si allaga tutta che pare Kabul.

    D. Poi?R. Poi il traffi co. D. Il rischio è però ripetere famosa

    battuta di Johnny Stecchino-Roberto Benigni, in cui era appunto l’unico pro-blema di Palermo.

    R. No, è un problema urgente e dramma-tico. L’altro ieri per la chiusura temporanea di un tratto di strada al Muro Torto, la città è impazzita.

    D. E poi, come dice il suo protagoni-sta, basta che ci siano 300 persone per fare un corteo autorizzato.

    R. Tutti vogliono manifestare nell’Urbe poi, un giorno, c’è la visita di Vladimir Pu-tin, l’altro c’è Papa Bergoglio che va a visi-tare la parrocchia. E tutto si blocca.

    D. Terza emergenza?R. Riparare le buche e illuminare le

    strade, prima di pensare alle fi oriere e al decoro, rattoppiamo le strade e strappia-mole al buio, perché nel dubbio prolifera la delinquenza.

    D. Benissimo, ma non è in questo, una certa romanità, il «generone», non saranno d’ostacolo?

    R. Questo è inevitabilmente. Il romano ha visto tutto, per secoli ha incontrato il Papa per strada, ha visto i Lanzichenecchi, gli Americani sull’Appia coi Tedeschi sull’Au-relia nell’ultima guerra. Il romano non si preoccupa troppo, oltre che rassegnato, è un po’ fatalista. Le racconto una cosa.

    D. Prego.R. Il barbiere doveva vado tutte le set-

    timane, a rasare questi pochi capelli che ho, l’altro giorno, avendomi visto arrivare di martedì e non nella mattina solita, mi ha chiesto il perché, gli ho risposto che do-vevo andare a presentare il libro che avevo scritto.

    D. E lui?R. Beh, quello s’è fermato un attimo, mi

    ha guardato dritto attraverso lo specchio davanti a me, e mi ha detto: «Ma chi je o fa fa?».

    D. Torniamo al libro, Roncone. Nei pochi fl ash di politica politicata che i sono, il Muto, avventore regolare e uomo dei servizi, accenna «al capetto di Rignano», ossia a Matteo Renzi. E Paraldi taglia corto, perché? Non vo-leva parlare del premier?

    R. A uno come Paraldi, Renzi non piace, inevitabilmente.

    D. Sempre in quel dialogo, Paraldi dice di stare attenti al quel signore vestito di bianco che s’affaccia in Va-ticano. Non vorrà mica dire che l’unica speranza per far ripartire l’Urbe, ven-ga proprio da Francesco?

    R. Possibile. Bergoglio, in questo Paese, è l’unico comunista rimasto.

    D. Il protagonista del suo libro ha lasciato il giornalismo dopo aver dato un pugno al ministro dell’Interno che l’aveva lungamente insultato per aver scritto quella che era solo una confi -denza. A Roncone capita d’essere og-getto di contumelie?

    R. Spesso. Una volta, Daniele Santan-ché mi chiamò l’indomani mattina presto, dicendomi: «Posso dirle una cosa?». E io: «Prego». «Lei è un grandissimo stronzo». Poi però siamo diventati amici.

    D. Il suo protagonista molla il quo-tidiano e apre una vineria. Non è bel messaggio per un mondo, il giornali-smo, già abbastanza in crisi.

    R. È un messaggio che non volevo dare. Anzi, il vinaio, dinnanzi a una storia dram-matica, si rimette a fare un’inchiesta. Mi faccia piuttosto dire una cosa.

    D. Ci mancherebbe.R. In questi anni, complicati, vissuti del

    Paese, la maggior parte dei giornalisti ha fatto la sua parte. Raccontando tutto quel-lo che c’era da raccontare, anche il peggio che c’è stato e che c’è. Mi piacerebbe, anzi, che si tornasse a ridare dignifi ca a questo lavoro.

    © Riproduzione riservata

    SEGUE DA PAGINA 7

    DI ISHMAEL

    In prima pagina, domenica mat-tina, c’erano due predicatori, Vittorio Feltri e Giampaolo Pansa, a parlare dal pulpito di Libero, e ciascuno aveva una sua predica, incompatibile con l’altra, da rivolgere ai fedeli. Mentre Fel-tri, nell’editoriale, dava a Papi del comunista perché l’ex Cavaliere «si è schierato», al pari di Cuperlo e Fassina Chi, contro le stesse rifor-me costituzionali promosse dai ber-luscones solo pochi anni fa, Pansa se la prendeva con Maria Elena Bo-schi, portavoce e socia del «bomba» (come lo chiama Beppe Grillo, forse ignorando come chiamano lui) che

    da due anni è al governo del paese, perché la ministra per le riforme co-stituzionali ha detto che la sinistra del partito democratico, opponendo-si alle riforme, vota insieme a Casa Pound e si sta, in buona sostanza, fascistizzando.

    Pansa, tra i due, è quello col dente più avvelenato: il suo ritrat-to di Matteo Renzi non ha niente da invidiare ai ritratti gaglioffi e perfi di che Matteo Renzi («un ma-leducato di talento» secondo Fer-ruccio De Bortoli) dedica ai suoi nemici. Feltri, più generoso, dedica al suo bersaglio, il leader di plastica, un ritratto sobrio, quasi affettuoso. Berlusconi, ai suoi occhi, è un pa-sticcione, sconnesso e un po’ senile, che non sa bene cosa fare né perché,

    che un giorno candida al Campido-glio Guido Bertolaso, poi appoggia Alfi o Marchini, quindi non disde-gna (sebbene incinta) nemmeno Giorgia Meloni. Ma ciò che vien fuori dal confronto tra i due edito-riali contrapposti di Libero non sono due linee politiche. È l’assenza di qualsiasi linea politica. È la sindro-me da scombussolamento identitario del centrodestra italiano.

    Già non è bello che un partito, per mostrare il suo profi lo migliore all’elettorato, si segnali più per quel-lo cui s’oppone che per quel che si propone. Ma il centrodestra italiano, oltre a non avere un programma di cui farsi bello con gli elettori, non ha chiaro nemmeno contro chi si sta battendo.

    Che specie di cultura politica è la sua? È in guerra con Matteo Renzi, cioè con la svolta a destra del partito democratico, o è un partito in guer-ra con Silvio Berlusconi, cioè con la leadership sbiadita della vecchia sagoma?

    Un nemico — quando si scende «in campo», come diceva Lui, caro lei — bisogna pur averlo. Quando non si ha nulla di positivo da pro-porre agli elettori, è bene avere al-meno un babau da denunciare o un demonio da esorcizzato. Ma il cen-trodestra italiana, dopo vent’anni di berlusconismo e bunga bunga, non ha più niente da dire, a parte due pulpiti (anzi, più di due pulpiti) dai quali sbracciarsi invano.

    © Riproduzione riservata

    IL CORSIVO

    Non si capisce come mai il centro destra sia contro la svoltaa destra del partito democratico che invece dovrebbe auspicare

  • 8 Martedì 31 Maggio 2016 P R I M O P I A N OIl paradosso di Palermo: mille benefi ciari non hanno riscosso 500mila euro di contributi

    In Sicilia dimenticano i soldiMa si lamentano perché la politica non fa abbastanza

    DI FILIPPO MERLI

    I soldi sono in banca. Ma nes-suno, dal 2011, è passato a ritirarli. Si dice spesso che le amministrazioni e la po-litica non facciano abbastanza per i cittadini. Idem in Sicilia, dove la mancanza di risorse economiche ha costretto la giunta presieduta da Rosario Crocetta (Pd-Udc) a chiedere aiuto al governo Renzi per sal-vare comuni e liberi consorzi dal dissesto fi nanziario. Nelle rare occasioni in cui il denaro è disponibile, però, i benefi ciari non ne approfi ttano. È il caso di Palermo, dove non sono stati riscossi 500mila euro di contri-buti sociali erogati dall’ammini-strazione del sindaco Leoluca Orlando (ex Idv). Si tratta di fondi per l’assistenza economi-ca straordinaria (da 200 a mille euro), per il bonus fi glio (mille euro) e per il buono sociosani-tario destinato a famiglie con disabili (da 250 a 900 euro).

    A non aver ritirato il con-tributo, che in alcuni casi giace in banca da cinque anni, sono circa mille benefi ciari. «Gli uffi ci del comune svolgono ogni anno un enorme lavoro per stilare le graduatorie o per vagliare la po-sizione di ciascun richiedente», ha spiegato a Repubblica Paler-mo l’assessore alla Cittadinan-za sociale, Agnese Ciulla, «ed è davvero incredibile che molte persone poi non vadano fi sica-mente a riscuotere i contribu-ti». «Anche se la percentuale di mancata riscossione è bassa», ha proseguito l’assessore, «è certamente paradossale che nella nostra città ci siano perso-ne che rinunciano a mille euro». In caso di mancata riscossione, entro la fi ne dell’anno i soldi torneranno alla regione. Quel-la regione che, spesso, è oggetto di critiche e accuse da parte dei cittadini che non si sentono suf-

    fi cientemente tutelati. «In alcu-ni casi», ha aggiunto Ciulla, «i nostri uffi ci, lì dov’era possibile coi recapiti disponibili, hanno anche contattato direttamente i benefi ciari invitandoli a recarsi alla tesoreria». Nessuno, però, s’è fatto vivo. L’assessore della giunta Orlando parla di para-dosso. E in effetti, se si consi-dera lo stato di diffi coltà in cui versano gli enti siciliani, è stra-no che un migliaio di cittadini rinunci a una cospicua somma di denaro.

    Non appena è stata ap-provata la legge sulle città metropolitane, l’assessore regionale alla Funzione pub-blica, Luisa Lantieri, ha lan-ciato un appello al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, invitandolo a intervenire per ri-solvere la crisi degli enti locali siciliani, defi nita «drammatica» dallo stesso assessore. La Sici-lia, infatti, aspetta ancora 500 mln promessi da Roma e già inseriti nel bilancio del 2016. Senza quel denaro, comuni ed ex province rischiano il collasso. Nonostante ciò, pochi giorni fa la giunta Crocetta è riuscita a sbloccare le risorse per il bonus bebè destinato alle famiglie re-sidenti in Sicilia al momento del parto o dell’adozione con un reddito non superiore ai 3mila€ annui. «Malgrado le risorse limitate, siamo riusciti a dare un ristoro alle famiglie meno abbienti», ha sottolineato l’assessore regionale alla Fami-glia, Gianluca Miccichè. Le richieste dovranno essere pre-sentate all’uffi cio servizi socia-li del comune di residenza, che provvederà a pubblicare l’avvi-so per i benefi ciari del contri-buto. La stessa procedura che, nel caso di Palermo, ha portato l’amministrazione a sollecitare più volte i cittadini a ritirare i soldi dovuti. Loro, però, sembra-no farne a meno.

    D. Promemoria per il Campido-glio...

    R. Innanzitutto, deve occuparsi di farla pulire. Perché Roma è sporca all’Eur come al Tuscolano.

    D. Orizzontale anche in questo.R. Certo. Le foglie che intasano i tombini,

    o con le nuove asfaltature che li coprono, per cui quando piove si allaga tutta che pare Kabul.

    D. Poi?R. Poi il traffi co. D. Il rischio è però ripetere famosa

    battuta di Johnny Stecchino-Roberto Benigni, in cui era appunto l’unico pro-blema di Palermo.

    R. No, è un problema urgente e dramma-tico. L’altro ieri per la chiusura temporanea di un tratto di strada al Muro Torto, la città è impazzita.

    D. E poi, come dice il suo protagoni-sta, basta che ci siano 300 persone per fare un corteo autorizzato.

    R. Tutti vogliono manifestare nell’Urbe poi, un giorno, c’è la visita di Vladimir Pu-tin, l’altro c’è Papa Bergoglio che va a visi-tare la parrocchia. E tutto si blocca.

    D. Terza emergenza?R. Riparare le buche e illuminare le

    strade, prima di pensare alle fi oriere e al decoro, rattoppiamo le strade e strappia-mole al buio, perché nel dubbio prolifera la delinquenza.

    D. Benissimo, ma non è in questo, una certa romanità, il «generone», non saranno d’ostacolo?

    R. Questo è inevitabilmente. Il romano ha visto tutto, per secoli ha incontrato il Papa per strada, ha visto i Lanzichenecchi, gli Americani sull’Appia coi Tedeschi sull’Au-relia nell’ultima guerra. Il romano non si preoccupa troppo, oltre che rassegnato, è un po’ fatalista. Le racconto una cosa.

    D. Prego.R. Il barbiere doveva vado tutte le set-

    timane, a rasare questi pochi capelli che ho, l’altro giorno, avendomi visto arrivare di martedì e non nella mattina solita, mi ha chiesto il perché, gli ho risposto che do-vevo andare a presentare il libro che avevo scritto.

    D. E lui?R. Beh, quello s’è fermato un attimo, mi

    ha guardato dritto attraverso lo specchio davanti a me, e mi ha detto: «Ma chi je o fa fa?».

    D. Torniamo al libro, Roncone. Nei pochi fl ash di politica politicata che i sono, il Muto, avventore regolare e uomo dei servizi, accenna «al capetto di Rignano», ossia a Matteo Renzi. E Paraldi taglia corto, perché? Non vo-leva parlare del premier?

    R. A uno come Paraldi, Renzi non piace, inevitabilmente.

    D. Sempre in quel dialogo, Paraldi dice di stare attenti al quel signore vestito di bianco che s’affaccia in Va-ticano. Non vorrà mica dire che l’unica speranza per far ripartire l’Urbe, ven-ga proprio da Francesco?

    R. Possibile. Bergoglio, in questo Paese, è l’unico comunista rimasto.

    D. Il protagonista del suo libro ha lasciato il giornalismo dopo aver dato un pugno al ministro dell’Interno che l’aveva lungamente insultato per aver scritto quella che era solo una confi -denza. A Roncone capita d’essere og-getto di contumelie?

    R. Spesso. Una volta, Daniele Santan-ché mi chiamò l’indomani mattina presto, dicendomi: «Posso dirle una cosa?». E io: «Prego». «Lei è un grandissimo stronzo». Poi però siamo diventati amici.

    D. Il suo protagonista molla il quo-tidiano e apre una vineria. Non è bel messaggio per un mondo, il giornali-smo, già abbastanza in crisi.

    R. È un messaggio che non volevo dare. Anzi, il vinaio, dinnanzi a una storia dram-matica, si rimette a fare un’inchiesta. Mi faccia piuttosto dire una cosa.

    D. Ci mancherebbe.R. In questi anni, complicati, vissuti del

    Paese, la maggior parte dei giornalisti ha fatto la sua parte. Raccontando tutto quel-lo che c’era da raccontare, anche il peggio che c’è stato e che c’è. Mi piacerebbe, anzi, che si tornasse a ridare dignifi ca a questo lavoro.

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    SEGUE DA PAGINA 7

    DI ISHMAEL

    In prima pagina, domenica mat-tina, c’erano due predicatori, Vittorio Feltri e Giampaolo Pansa, a parlare dal pulpito di Libero, e ciascuno aveva una sua predica, incompatibile con l’altra, da rivolgere ai fedeli. Mentre Fel-tri, nell’editoriale, dava a Papi del comunista perché l’ex Cavaliere «si è schierato», al pari di Cuperlo e Fassina Chi, contro le stesse rifor-me costituzionali promosse dai ber-luscones solo pochi anni fa, Pansa se la prendeva con Maria Elena Bo-schi, portavoce e socia del «bomba» (come lo chiama Beppe Grillo, forse ignorando come chiamano lui) che

    da due anni è al governo del paese, perché la ministra per le riforme co-stituzionali ha detto che la sinistra del partito democratico, opponendo-si alle riforme, vota insieme a Casa Pound e si sta, in buona sostanza, fascistizzando.

    Pansa, tra i due, è quello col dente più avvelenato: il suo ritrat-to di Matteo Renzi non ha niente da invidiare ai ritratti gaglioffi e perfi di che Matteo Renzi («un ma-leducato di talento» secondo Fer-ruccio De Bortoli) dedica ai suoi nemici. Feltri, più generoso, dedica al suo bersaglio, il leader di plastica, un ritratto sobrio, quasi affettuoso. Berlusconi, ai suoi occhi, è un pa-sticcione, sconnesso e un po’ senile, che non sa bene cosa fare né perché,

    che un giorno candida al Campido-glio Guido Bertolaso, poi appoggia Alfi o Marchini, quindi non disde-gna (sebbene incinta) nemmeno Giorgia Meloni. Ma ciò che vien fuori dal confronto tra i due edito-riali contrapposti di Libero non sono due linee politiche. È l’assenza di qualsiasi linea politica. È la sindro-me da scombussolamento identitario del centrodestra italiano.

    Già non è bello che un partito, per mostrare il suo profi lo migliore all’elettorato, si segnali più per quel-lo cui s’oppone che per quel che si propone. Ma il centrodestra italiano, oltre a non avere un programma di cui farsi bello con gli elettori, non ha chiaro nemmeno contro chi si sta battendo.

    Che specie di cultura politica è la sua? È in guerra con Matteo Renzi, cioè con la svolta a destra del partito democratico, o è un partito in guer-ra con Silvio Berlusconi, cioè con la leadership sbiadita della vecchia sagoma?

    Un nemico — quando si scende «in campo», come diceva Lui, caro lei — bisogna pur averlo. Quando non si ha nulla di positivo da pro-porre agli elettori, è bene avere al-meno un babau da denunciare o un demonio da esorcizzato. Ma il cen-trodestra italiana, dopo vent’anni di berlusconismo e bunga bunga, non ha più niente da dire, a parte due pulpiti (anzi, più di due pulpiti) dai quali sbracciarsi invano.

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    IL CORSIVO

    Non si capisce come mai il centro destra sia contro la svoltaa destra del partito democratico che invece dovrebbe auspicare

  • 9Martedì 31 Maggio 2016P R I M O P I A N OChe sono state raccolte nei pressi delle trivelle scampate al referendum spinto da Emiliano

    Renzi festeggerà con le cozzeDal Pd di Ravenna uno schema per vincere i referendum

    DI RAFFAELE PORRISINI

    Le elezioni ammini-strative non gli inte-ressano più di tanto, proiettato com’è verso il referendum costituzionale di ottobre al quale ha lega-to la sopravvivenza politica del suo governo. Forse anche per questo in occasione del-la chiusura di questa cam-pagna elettorale il premier Matteo Renzi ha scelto un palcoscenico inatteso e diverso dal solito: l’Emilia-Romagna. Prima Bologna, poi Rimini, infine (e soprat-tutto) Ravenna. Niente comi-zi nelle piazze dei principali capoluoghi al voto, Milano o Roma che siano poco impor-ta. Nemmeno Torino. Meglio rifugiarsi a Bologna e negli altri centri romagnoli, dove la vittoria del suo Pd è mol-to più a portata di mano che altrove (ad esempio rispetto alla capitale).

    Ma non c’è solo una ra-gione di mera comodità elettorale a spingere Renzi verso l’inaspettata decisio-

    ne di chiudere la campagna elettorale nelle province ro-magnole, dove si farà vedere nel pomeriggio e nella serata di venerdì 3 giugno. Non c’è solo il fatto che per i candida-ti del Pd a Bologna, Rimini e Ravenna (Virginio Merola, Andrea Gnassi e Michele De Pascale) l’elezione a sin-daco non pare affatto una chimera e quindi su di loro è più facile metterci la faccia rispetto a un Roberto Gia-chetti o un Beppe Sala che sono molto più a rischio. In Emilia-Romagna, e a Raven-na in particolare, c’è quel Pd che non lo ha abbandonato al referendum sulle trivelle, vinto dal premier e dai suoi grazie al mancato raggiun-gimento del quorum che ha lasciato con un pugno di mosche i vari Michele Emi-liano e soci. A Ravenna, ad esempio, c’è uno dei distretti dell’offshore più importanti d’Italia con tanto di piatta-forme dell’Eni, ci sono circa 6mila lavoratori dell’indotto di questo settore che hanno chiesto al governo di tutelar-

    li dall’ambientalismo spinto che voleva mandare all’aria i loro posti; a Ravenna e in tutta la regione ci sono i sin-dacati confederali che non hanno seguito la linea del sì al referendum per chiudere le piattaforme. A Ravenna e in Emilia-Romagna c’è il Pd di governo che lo ha seguito in questa linea referenda-ria di astensione, a partire dal governatore Stefano Bonaccini. E, infi ne, a Ra-venna ci sono quei lavoratori delle piattaforme che hanno

    invitato il premier a mangia-re le cozze prodotte proprio nei fondali delle cittadel-le dell’energia in mezzo al mare, e ai quali lo stesso Ren-zi aveva risposto dicendosi pronto ad andarli a trovare per festeggiare con loro il ri-sultato referendario e quindi la salvaguardia dell’occupa-zione. Detto e (quasi) fatto, venerdì a Ravenna potrebbe spuntare una delegazione di lavoratori delle piattaforme con tanto di cozze da fare gu-stare al premier.

    Quanto accaduto sul referendum delle trivelle è un modello che Renzi e il suo staff vorrebbero replica-re nella sfi da referendaria della riforma costituzionale. Coinvolgere la base dal bas-so, rispondere alle campagne mediatiche degli avversari sui social e non solo, lanciare il messaggio di un Pd lonta-no da certi populismi. Tra gli ispiratori di questa strategia che ha portato al fl op del re-ferendum sulle trivelle c’è il consigliere del Pd in Emilia-Romagna Gianni Bessi,

    un ravennate di estrazione prodiana, divenuto punto di riferimento nazionale del partito sulle questioni ener-getiche. Come ha scritto su Formiche.net, Bessi sta lavo-rando per ripetere la mobi-litazione dal basso ottenuta sul tema trivelle anche sul referendum costituzionale, convinto che si debba «spo-stare una possibile ‘deriva’ del confronto sul referendum dal merito del quesito verso un voto pro o contro Renzi. In questa direzione - ag-giunge Bessi - lo strumento più efficace è la creazione di strumenti, slogan, slide e iniziative ad hoc per spie-gare i contenuti del quesito referendario e contribuire a un risultato che sia frutto di scelte consapevoli e non ideologiche. Inoltre, questa esigenza di protagonismo dal basso deve essere orga-nizzata e convogliata con modalità diverse dei ‘tra-dizionali’ comitati per il Sì legati alla strategia politica dei partiti».

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    Matteo Renzi