Quota 90

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‘Quota 90’ Nel 1922 il fascismo adottò una politica liberistica attenuando, fino al 1925, il controllo dello Stato affermatosi durante la guerra in alcuni settori dell’economia. Le misure liberiste, finalizzate allora al mantenimento del consenso al regime da parte del grande capitale, avevano favorito la ripresa economica ma alcuni fattori, tra i quali il volume delle importazioni delle materie prime largamente eccedente quello delle esportazioni, avevano causato un forte aumento dei prezzi, innescando un preoccupante processo inflazionistico. Tanto che, nel 1925, si arrivò a un cambio di 150 lire per una sterlina. Mussolini, sia per contenere l’inflazione, sia per rafforzare solidità e autorevolezza del regime all’interno e all’esterno della nazione, annunciò una manovra deflazionistica fissando il cambio con la sterlina a 90 lire (‘Quota 90’). La sua attuazione fu resa possibile dalla banca statunitense Morgan, che concesse al governo italiano un prestito di 100 milioni di dollari. Dato che l’Italia era un buon acquirente dei prodotti americani e dato che la fiducia delle grandi banche internazionali aveva incluso la lira, dopo ‘Quota 90,’ tra le monete considerate stabili, il movimento dei capitali dagli Stati uniti a favore del mercato italiano si vivacizzò, tanto che alcune grandi aziende italiane come la Edison, la Pirelli, la Fiat, la Montecatini, la Snia Viscosa, la Terni, la Marelli e la Breda negoziarono importanti operazioni di mutuo che ammontavano a 6.259 milioni di lire tra il 1925 e il 1927, raggiungendo i 7.672 milioni nel 1929. Inoltre, mentre per effetto della rivalutazione della lira le esportazioni in generale subirono una forte contrazione, la stabilizzazione monetaria aiutò quelle imprese che operavano in regime di concentrazione industriale, peraltro favorita dal regime. Le piccole e medie industrie, al contrario, strozzate dalla contrazione del credito, fallirono o vennero assorbite dalle grandi. La manovra deflazionista, infine, ebbe alti costi sociali. I ceti meno abbienti subirono i primi effetti negativi di ‘quota 90’: l’attesa diminuzione del costo della vita non compensò minimamente il drastico taglio dei salari, oscillante tra il 10 e il 20%. Furono invece tutelati i risparmi dei ceti medi che continuarono in questo modo a garantire il consenso al regime.

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spiegazione e informazioni sulla manovra politica della quota 90 attuata da Mussolini durante il fascismo

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Quota 90Nel 1922 il fascismo adott una politica liberistica attenuando, fino al 1925, il controllo dello Stato affermatosi durante la guerra in alcuni settori delleconomia. Le misure liberiste, finalizzate allora al mantenimento del consenso al regime da parte del grande capitale, avevano favorito la ripresa economica ma alcuni fattori, tra i quali il volume delle importazioni delle materie prime largamente eccedente quello delle esportazioni, avevano causato un forte aumento dei prezzi, innescando un preoccupante processo inflazionistico. Tanto che, nel 1925, si arriv a un cambio di 150 lire per una sterlina. Mussolini, sia per contenere linflazione, sia per rafforzare solidit e autorevolezza del regime allinterno e allesterno della nazione, annunci una manovra deflazionistica fissando il cambio con la sterlina a 90 lire (Quota 90). La sua attuazione fu resa possibile dalla banca statunitense Morgan, che concesse al governo italiano un prestito di 100 milioni di dollari. Dato che lItalia era un buon acquirente dei prodotti americani e dato che la fiducia delle grandi banche internazionali aveva incluso la lira, dopo Quota 90, tra le monete considerate stabili, il movimento dei capitali dagli Stati uniti a favore del mercato italiano si vivacizz, tanto che alcune grandi aziende italiane come la Edison, la Pirelli, la Fiat, la Montecatini, la Snia Viscosa, la Terni, la Marelli e la Breda negoziarono importanti operazioni di mutuo che ammontavano a 6.259 milioni di lire tra il 1925 e il 1927, raggiungendo i 7.672 milioni nel 1929. Inoltre, mentre per effetto della rivalutazione della lira le esportazioni in generale subirono una forte contrazione, la stabilizzazione monetaria aiut quelle imprese che operavano in regime di concentrazione industriale, peraltro favorita dal regime. Le piccole e medie industrie, al contrario, strozzate dalla contrazione del credito, fallirono o vennero assorbite dalle grandi. La manovra deflazionista, infine, ebbe alti costi sociali. I ceti meno abbienti subirono i primi effetti negativi di quota 90: lattesa diminuzione del costo della vita non compens minimamente il drastico taglio dei salari, oscillante tra il 10 e il 20%. Furono invece tutelati i risparmi dei ceti medi che continuarono in questo modo a garantire il consenso al regime.