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Questo fascicolo è stato curato da Cesare Bermani.Con un’appendice di scritti di Camillo Berneri, Raffaele Offidani, Sandro Portelli.

Stampa Grafica Centonze – ComoReimpaginazione per la versione online di Pietro Della Mea, gennaio 2019

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Questa seconda antologia della canzone comu-nista in Italia ha un’intera facciata dedicata allecanzoni di Raffaele Mario Offidani (Sant’Elpi-dio a Mare, 1890 – Roma, 1 gennaio 1968), cheè certo stato il più fortunato “chansonnier” co-munista italiano, radicato in un gusto che fu delresto proprio di tutta un’epoca.

La sua capacità di parodiare la canzonetta disuccesso o l’inno, di rifarne il testo in funzionesatirica, politica o celebrativa, lo pone infattinella tradizione dei Pietro Gori e degli UlisseBarbieri e ne fa l’autore più fecondo di una ten-denza che fu anche interna al PCd’I (e basterà alproposito sfogliare le pagine del quotidianol’Ordine Nuovo – così ricche di espressività dibase e quindi anche di parodie in funzione poli-tica – per averne una eloquente prova).

Offidani – per la cui biografia e le cui vicissi-tudini rimandiamo ai due scritti riportati nel-l’Appendice di questo fascicolo – fu autore, conil pseudonimo di “Spartacus Picenus”, di oltrecento testi di canzoni e di migliaia di stornelli sa-tirici ed epigrammi, in un arco di tempo che ab-braccia oltre mezzo secolo (i suoi primi versi so-ciali datano infatti dal 1914).

Su canzonieri, fogli volanti, fogli ciclostilati enell’ultima sua opera Canti comunisti di Sparta-cus Picenus1 – e non s’è fatto lo spoglio del’Unità e de Il Paese, cui Offidani collaborò alungo – abbiamo reperito complessivamente 129testi firmati con il suo pseudonimo, quasi sem-pre con l’indicazione della melodia sulla qualeerano adattati, melodia tratta da canzonette diconsumo (40 testi), canzoni fasciste (3), inni pa-triottici o proletari (11), canzoni e inni sovietici(37), stornelli di “Sor Capanna” (13) e “Bom-bacé” (3), e persino arie di ascendenza operi-stica (“Racconto” del Lohengrin), operettistica(“Fox-trot delle Gigolettes” da La danza delleLibellule di Franz Lehar), o classico-sinfonica(opera 10, n. 3 di Chopin; marcia solenne del Si-gurd Jorsalfar di Edoardo Grieg), peraltro dive-nute assai popolari, per lo più attraverso rielabo-razioni dell’industria della canzonetta (valgal’esempio dell’opera 10, n. 3 di Chopin, notis-sima come “Mi canta nel cuor una canzon”nell’esecuzione di Natalino Otto).

Offidani – che intendeva in modo molto tra-dizionale l’idea di “artista” (e si veda al propo-sito la polemica riportata in Appendice2), idea

sfortunatamente ben dura a morire nell’ambitodella sinistra – riteneva che i pezzi migliori delsuo repertorio fossero quelli adattati su arie so-vietiche, i quali erano invece tra i meno cantati,causa la pressoché totale ignoranza di tali melo-die a livello di massa.

Ciò malgrado – come vedremo – gli riuscìmagistralmente di diffondere, “socializzare”,larga parte della sua produzione, magari Laguardia rossa, che personalmente considerava trai suoi testi più scadenti...

Tutte le canzoni di Offidani qui proposte – aeccezione forse di L’esercito rosso verrà, mai rac-colta sul campo; ma va notato che se essa go-dette di popolarità non può essere stato che perun periodo di tempo ben circoscritto, dato ilsuo soggetto, e in un’epoca ben anteriore all’af-fermarsi di organiche ricerche sul canto sociale– hanno conosciuto una notevole diffusione trai militanti comunisti. Sei di esse – e le considera-zioni che seguono valgono anche per Capineradel Carso3 – vennero scritte da Offidani primadella fondazione del Partito Comunista d’Italia,ma possono considerarsi a buon diritto comeappartenenti al repertorio comunista perchéfatte proprie anzitutto da quei settori della Fe-derazione Giovanile Socialista che confluironoin massa nel PCd’I e poi perché entrate stabil-mente nel repertorio dei militanti comunisti e daessi cantate «nei giorni accesi del primo dopo-guerra, nelle carceri e al confino durante il fasci-smo, dai partigiani durante la Resistenza ehanno avuto un momento di favore nei primianni del secondo dopoguerra»4, sì da potere es-sere ancora registrate sul campo – e non certocome fatto eccezionale – nel corso degli anniSessanta e, sia pur con minore frequenza, an-cora oggi.

Questi canti – nei quali spirito libertario eculto dei capi, violenza rivoluzionaria e com-pianto per le vittime del capitalismo, internazio-nalismo proletario ed esaltazione della funzioneliberatrice dell’Armata Rossa, sono aspetti diuna concezione del mondo in sé coerente anchese ricca di elementi messianici – sono rappresen-tativi non solo e non tanto delle aspettative edell’ideologia di un uomo, ma di quelle di piùgenerazioni di militanti di base e di un’interaepoca della storia del PCI. Che essi abbiano poicontinuato a essere popolari tra i militanti di

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base, sta a dimostrare come a lungo nel PCIideologia e linea “ufficiali” da un lato, e opinionipolitiche di ampi strati di militanti di base dal-l’altro, non abbiano conosciuto una vera salda-tura, come a lungo sia rimasta all’interno delPCI una tensione irrisolta, una non accettazionedella linea che stava prevalendo.

Questa situazione è documentata anche dalleperipezie de “I Canti di Spartaco” dopo la Libe-razione, che l’autore ha raccontato nella sua Au-tobiografia di Spartacus Picenus, la cui stesuraterminò il 15 agosto 1962, e soprattutto inun’Appendice all’autobiografia, che porta la datadel 20 dicembre 1963, da lui ciclostilata allora inpoche copie, e ripresa in questo fascicolo per laprima volta.

Nella lettura di queste pagine di SpartacusPicenus andrà tenuto conto – come notava Ro-berto Leydi – che esse «non sono un saggio, maun documento, cioè un’esposizione di notiziepersonali e di vicende morali, sentite in formaacuta e spesso drammatica»5. In esse vi è forseanche dell’acredine per una emarginazione poli-tica che avvenne comunque in epoca molto po-steriore al periodo in cui Offidani colloca le sueprime difficoltà di “chansonnier” nell’ambitodel Partito – addirittura poco dopo la Libera-zione – che possono forse considerarsi come leprime manifestazioni di un’atmosfera già pre-sente e poi destinata a rafforzarsi in quello scon-tro politico che avrà la sua conclusione nonprima dell’VIII Congresso del PCI (Roma,EUR, 8-14 dicembre 1956).

Gioverà al proposito ricostruire – almeno persommi capi – fortune e disgrazie de “I Canti diSpartaco”.

Ricordava nel 1960 Offidani come essi aves-sero visto «la luce quasi sempre clandestina-mente, da quando la censura imbiancò comple-tamente nel lontano 1919, la prima pagina delnumero speciale del 1o maggio dell’Avanguardia(Organo Ufficiale della Federazione giovanilesocialista diretto da Luigi Polano ed EdoardoD’Onofrio) occupata per intero da La leggendadella Neva, Viva Lenin!, Maledetta la guerra e LaGuardia Rossa»6.

Quanto ai canali di diffusione, «li stampavoalla macchia a mie spese o li distribuivo gratis,poi accadeva che si diffondevano rapidissima-mente in tutta Italia, con mia grande sorpresa. E

c’era il segretario amministrativo del Partito So-cialista Italiano, compagno Voghera, il quale sioccupava di diffondere queste canzoni a mezzodi fogliettini volanti inviati alle varie Federazionio Sezioni del Partito Socialista Italiano, e loro lefacevano riprodurre e diventavano subito moltopopolari. Qualcuna uscì anche su dei giornalettisettimanali socialisti provinciali che erano sfug-giti alla censura»7.

La presenza di alcune canzoni di Offidani sugiornali o canzonieri anche anarchici8 e la stessapolemica che Camillo Berneri mosse contro VivaLenin! (si veda l’articolo qui riportato in Appen-dice9), testimoniano della loro aderenza allo spi-rito proletario dell’epoca e della loro grande po-polarità non solo tra i comunisti, ma anche traanarchici e massimalisti.

Tra i canti sociali più largamente diffusi neglistabilimenti novaresi durante l’occupazionedelle fabbriche del settembre 1920 figurano –oltre agli immancabili Inno dei lavoratori, Ban-diera rossa, L’Internazionale e Che cosa vogliamo– La leggenda della Neva, Viva Lenin! e Capineradel Carso10.

Dopo l’avvento del fascismo “I Canti di Spar-taco”, anche se – ricorda Offidani – «alle voltenon si trovava neanche il tipografo, dovevo ri-correre al poligrafo, al ciclostile»11, apparveronon solo in volantini, ma anche in fascicoli agrande tiratura.

Essi ebbero una circolazione durante la Resi-stenza, soprattutto attraverso canzonieri e foglidattiloscritti.

La loro prima edizione legale fu pubblicatadopo la Liberazione di Roma, nell’estate 1944,col consenso dell’Amministrazione Militare in-glese e poi della Prefettura di Roma, dall’edi-tore Mondini, che ne stampò 200.000 copie, an-date a ruba12.

La grossa diffusione avuta dal suo repertorioattraverso i fogli volanti e i canzonieri ci aiutacerto a capire perché una parte dei suoi testi ab-biano potuto radicarsi così tenacemente nellatradizione orale del nostro proletariato. Ma de-cisivo è anche il fatto che le sue canzoni abbianoavuto una grossa circolazione in momenti in cuile masse erano in movimento (il primo dopo-guerra, la Resistenza, il secondo dopoguerra) esiano state parte importante del repertorio co-munista durante il fascismo.

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Negli anni successivi alla Liberazione la circola-zione dei canti di Offidani è affidata – come sidiceva – dapprima ai grandi canzonieri ad alta ti-ratura13, poi ai foglietti volanti pubblicati da Of-fidani stesso14, che collabora anche a l’Unità ealla rubrica “Lanterna” de Il Paese. Alcune suecanzoni (soprattutto Sventola, bandiera rossa! eLa guardia rossa) vengono pubblicate da varicanzonieri di partito15 e La guardia rossa è pub-blicata dal Quaderno dell’attivista16, che nei suoiprimi anni sembra considerare la canzone comeun valido strumento di propaganda, appaiandoloal comizio e alla riunione di caseggiato, al cinemae al giornale murale, alle filodrammatiche e aiteatrini popolari («Sarebbe utile recitare alcunisoggetti improvvisati su motivi popolari, conpersonaggi popolari, per es. De Gasperi, l’Ame-rica, i fascisti, ecc.»17), al Teatro di Massa e al tea-tro dei burattini («...trasformando le mascheretradizionali italiane nei personaggi della vita po-litica attuale. Ad es.: Pulcinella manganellatoreScelba, ecc.»18), alla stampa di partito e al disco,alla propaganda murale e al giornale parlato, ecc.

Quindi non si può certo dire che in queglianni Offidani non abbia trovato spazio all’in-terno delle attività del PCI e, anzi, in numeroseoccasioni, il suo talento venne addirittura utiliz-zato dall’Ufficio Stampa e Propaganda. Lo ri-corda egli stesso in alcune sue note manoscrittesul retro del foglio volante L’omo qualunque. No-vissime strofe der Sor Capanna: «... quando il fe-nomeno dell’Uomo qualunque aveva assuntoproporzioni incredibili la Federaz. Romana delPCI mi incaricò di scrivere degli stornelli sull’ar-gomento ed essa li fece stampare sul presente fo-glio. Caduti sotto gli occhi di Togliatti, egli di-spose perché fossero riprodotti su l’Unità. Ilsuccesso e le richieste furono tali da indurre Te-renzi a farli ristampare in altro foglio volante agrande tiratura e poiché anche questo si esaurì,le varie sezioni romane del Partito, provvidero afarli ristampare ognuna per suo conto. Spano,allora direttore de l’Unità mi pregò di scriverenuovi stornelli sull’argomento ed essi raggiun-sero la cinquantina, di cui una parte apparverosu l’Unità ed altri ristampati a mie spese»19.

Inoltre il Centro Diffusione Stampa del PCIfa uscire ancora nel 1954 il Canzoniere comuni-sta di Spartacus Picenus20, che porta in prima pa-gina queste parole di Emilio Sereni: «Caro Spar-

tacus, ricordo quante volte in carcere, il 7 no-vembre e nelle altre nostre feste, abbiamo can-tato a voce sommessa le tue canzoni. Oggi comeieri, cerca di andare avanti, di riuscire ad espri-mere nelle tue canzoni la nuova maturità che ilmovimento popolare ha conquistato attraversodure lotte. Avanti per la lotta, avanti per i cantidella nostra lotta!».

Perciò – al di là di questo o quell’episodio,dello scarso interesse provato da questo o queldirigente del Partito per i canti sociali (forse cheil Croce non li avrebbe definiti anch’essi bri-ciole, cocci vecchi?) – si può dire che sino a quelmomento i Canti di Spartaco avessero trovatoun certo consenso – e sia pure contrastato –anche a livello “ufficiale”.

D’altra parte andrà ricordato come in queglianni la stessa opinione che esistesse una culturapropria alle classi cosiddette “subalterne” ve-nisse «a scompigliare il tradizionale piano del di-battito culturale, dove la battaglia pur tra posi-zioni diverse si svolgeva tutta all’interno di unacultura con la C maiuscola. Di fatto, a confrontocon i ter mini di cultura reazionaria e progressi-sta, il concetto di cultura popolare veniva a con-figurarsi come un intruso, oppure come un li-vello interessante per la “diffusione” dellacultura progressista, e non come terreno di inda-gine e di iniziativa dal basso»21.

In tale quadro lo stesso canto sociale venivaper lo più considerato una forma espressiva “mi-nore”, e tuttavia non priva di qualche interesse.

Ma attorno al 1955 – allorché si verifica unagrave crisi della complessiva organizzazione cul-turale di sinistra – la già poco organica atten-zione per il canto sociale sembra venir meno.

Come ricordava Gianni Bosio, «l’attività dellasinistra in Italia in direzione delle comunicazionidi massa è stata ragguardevole nel primo decen-nio dalla Liberazione, nel periodo di riassesta-mento del capitalismo italiano il quale prendeslancio dopo il ’50, negli anni della crisi internadel movimento operaio. La televisione fa daspartiacque e, schematicamente il successo dellatelevisione coincide con la crisi della organizza-zione culturale di sinistra nella direzione dellecomunicazioni di massa.

Chiudono la loro attività organismi come ilTeatro di massa, il Centro del Teatro e delloSpettacolo Popolare, la Cooperativa degli Spet-

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tatori Italiani, la rivista Teatro d’oggi, la Coope-rativa Editrice Popolare, la rivista Letture pertutti, e iniziative come il Mese del Libro, La Bat-taglia del Libro, i Volontari del Libro, il CentroPopolare del Libro, il settimanale Il Lavoro, IlPioniere, il “movimento” degli Amici del Ci-nema, il Centro Etnologico Italiano»22. E «lecause di questa crisi non sono da imputare allacronaca biografica, ma al mutare di situazioniobiettive, alla conseguente offensiva avversaria,alla nostra lentezza di rinnovamento»23.

Tra le mutate «situazioni obiettive» che po-sero in crisi i tradizionali canali di comunica-zione di classe enumeriamo: 1) il già ricordatosuccesso della televisione, che inizia il 1o gen-naio 1954 il proprio servizio pubblico e la cuirete giunge a servire tutta Italia già nel 1956:nell’aprile-maggio di quell’anno ben 10 milionidi italiani sono incollati davanti al televisore per“Lascia o raddoppia”24; 2) l’espulsione massic-cia di forza-lavoro dalle aziende contadine: tra il1950 e i1 1959, ogni anno lasciano la terra100.000 persone di media, cui debbono aggiun-gersi i 44.000 stagionali (generici, bieticultori,boscaioli)25; né è il solo contadino meridionale avenir attirato irresistibilmente dalle grandi cittàoperaie europee o del Nord d’Italia, perchél’espulsione dalle campagne padane non è dameno: la manodopera iscritta nelle liste di pre-notazione per i lavori in risaia passa dai 314.381del 1953 ai 97.908 del 1961 e ai 43.576 del1964, con una diminuzione costante che non ac-cenna a scemare26.

Tra gli «effetti dell’offensiva avversaria» an-dranno anzitutto ricordate la sconfitta dellaCGIL nelle elezioni per il rinnovo della Com-missione Interna alla FIAT (marzo 1955) el’abolizione dell’imponibile di manodopera inagricoltura, che agisce da acceleratore del pro-cesso di espulsione di forza-lavoro dalle campa-gne padane.

Tra le «lentezze del rinnovamento» si dovràannoverare il permanere, all’interno delle orga-nizzazioni della sinistra, di impostazioni dellapolitica culturale basate su «il leit-motiv che al-cune battaglie, alcune attività, rappresentanosoltanto una dispersione di forze, che son sem-pre, in generale, insufficienti; che quel che oc-corre fare è badare al nocciolo dei problemi,tantopeggio se non si riesce a tenere in piedi un

movimento differenziato e articolato al massimo.Non sempre [...] si comprende che la globalitàdella rivoluzione non soltanto non rende inutili,ma richiede, la differenziazione, la più larga ar-ticolazione delle battaglie e delle energie.Troppo spesso si ricorre alla formula giustifica-trice che “chi non ce la fa, significa che è con-dannato dai fatti”. E si nega con ciò, quel volon-tarismo che è una delle prime caratteristiche dichi la rivoluzione non l’aspetta ma la fa»27; con-seguenza di ciò fu, per esempio, il tentativo diaccentramento operato dopo il 3o CongressoNazionale della Cultura Popolare (Livorno, 6-8gennaio 1956), nel momento in cui il movimentoera appunto tutto teso a trovare vitalità in formedecentrate, e che quindi era destinato a «restarepuro schema organizzativo»28, che peraltro in-tralciava le tendenze in atto.

La ricerca sul campo ha messo in luce unvero e proprio vuoto nella creazione dal basso dicanti sociali a partire dal 1955 sino al luglio ’60.Del resto, non abbiamo mai reperito canzonieridi partito pubblicati nel medesimo periodo.

Se in quegli anni sui lavori agricoli si continuacerto a cantare le vecchie canzoni (ma i processiin atto scompaginano e affievoliscono progressi-vamente le tradizionali migrazioni stagionali dirisaiole, cioè il più importante canale di diffu-sione del canto sociale) e si ha notizia che a Mi-lano, per esempio, nella Sezione “15 martiri” divia Cadore, un maestro di musica iscritto alla se-zione si dedica in quegli anni all’insegnamentodell’innodia proletaria comunista ai giovani dellaFGCI29; se si canta nel corso di manifestazioni,nelle gite della FGCI, nei raduni partigiani (espesso si canta proprio di Stalin); se cioè in cittàchi già cantava il repertorio politico continua afarlo; tuttavia la funzione del canto sociale sem-brerebbe in quegli anni essersi oggettivamenteridimensionata, mentre la creatività di base paresubire una battuta d’arresto, connessa con la sta-gnazione delle lotte di massa.

Non è certo un caso se le canzoni della se-conda facciata di questo disco rimandano tutteall’“epoca d’oro” del canto comunista in Italia,collocandosi nell’arco di tempo che va dal 1946al 1952. E neppure il fatto che anche 11 delle 18canzoni pubblicate nella prima antologia30 ap-partengano al medesimo periodo, collocandositra il 1948 e il 1953.

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Si aggiunga a ciò che la destalinizzazione e l’VIIICongresso portano a un ridimensionamentodell’“ala operaista” del Partito. Si può quindi ca-pire come le canzoni di Offidani – che pure con-tinuano a essere cantate dai compagni di base epersino in certe sezioni di partito – venganosempre più considerate con distacco criticonell’ambito dell’orientamento ormai prevalentee subiscano un’emarginazione che fu anzituttodi uomini e di idee. Del resto le stesse vicendedel movimento di Cantacronache (1959-1961)31

– il primo gruppo a operare ricerche sul camponel Nord del Paese e soprattutto a porsi il pro-blema di una canzone “leggera” che fosse nuovaper contenuti – sono una conferma dello scarsointeresse con cui si guarda al canto sociale e po-litico da parte di chi si occupa della politica cul-turale del Partito. Le canzoni di Cantacronachetrovano comunque una buona accoglienza in al-cune Federazioni del Nord, e alcune di esse en-trano per qualche anno a far parte del repertoriodella base, soprattutto giovane e studentesca,mentre a Morti di Reggio Emilia32 arriderà unduraturo successo di massa.

La ricerca e la riproposta dei canti sociali siafferma tuttavia decisamente e non casualmentecon il Nuovo Canzoniere Italiano, gruppo sortonel 1962 e influenzato dalle tematiche della sini-stra socialista, in particolare da “QuaderniRossi”. Proprio il lavoro di questo gruppo ope-rerà negli anni successivi una forte sensibilizza-zione del PCI verso i problemi posti dal cantosociale, di cui non sono mancate in questi ultimianni numerose testimonianze.

È soprattutto dopo l’affermazione di questogruppo che riprendono tra l’altro a proliferare icanzonieri prodotti da questa o quella Federa-zione del PCI o della FGCI, tutti fortemente in-fluenzati dai canti sociali e dalle nuove canzonipolitiche diffuse attraverso i dischi del sole e glispettacoli del Nuovo Canzoniere Italiano.

Ed è nell’ambito di questo gruppo che si avràla riscoperta del repertorio di Offidani e l’unicoimpulso importante e organico a una ricostru-zione-razionalizzazione del canto comunista nelnostro paese.

Milano, 31 gennaio – 9 febbraio 1977

Cesare Bermani

P.S.: Colgo quest’occasione per correggere al-cune inesattezze e operare delle puntualizzazionia proposito di alcune canzoni pubblicate nellaprima antologia:Son la mondina son la sfruttata: essa risulta

pubblicata in Vie nuove, Roma, a. VII, n. 28, 13luglio 1952, p. 8. Si veda l’articolo Sei ragazze seivite romanzesche. Taccuino di Viaggio. Dal tac-cuino di Gianni Rodari, ove rispetto al testo can-tato nel DS 161/63 manca l’ultima strofa. Ilcanto è attribuito a cinque mondine di Vercelli(Valeria Bonardo, Carla Rampini, MaddalenaSereno, Regis Verbana, Sandra Fasano), chel’avrebbero composto appositamente in occa-sione del Secondo Incontro di Primavera, tenu-tosi qualche giorno addietro a Bologna. L’anno-tazione di Rodari è naturalmente erronea, datoche l’autore del canto è Piero Besate (vediquanto detto nel fascicolo allegato al DS161/63). La seconda strofa della canzone è purecitata in Successi dei canti di risaia, che riportauno scambio di corrispondenza tra un compa-gno della Direzione del PCI e un gruppo dimondine dei Cappuccini di Vercelli, tra cui figu-rano alcune che fanno ancora parte dell’odiernogruppo corale locale (vedi Quaderno dell’attivi-sta, orientamenti di lavoro e di lotta, Roma, “LaStampa moderna S.R.L.”, n. 21, 1o novembre1952, p. 663).Torna a casa americano: debbo alla cortesia di

Sandro Portelli la segnalazione che tale cantonon è – come detto erroneamente – «sull’aria diuna canzonetta di consumo di quel periodo»,ma bensì di una canzone che col titolo Tramptramp tramp the boys are marching veniva cantatadurante la guerra di secessione americana (1861-1865). Di essa esiste una variante anti-feniana,Anti-fenian song, che era diffusa in Canada forsegià sul finire degli anni 1850, più probabilmenteattorno al 1865. Essa è pubblicata nel disco OCanada. L’Histoire du Canada en chansons du fol-klore par Alan Mills, Chant du Monde, SWX-M-53001. Come è noto, il movimento feniano, cosìchiamato dal nome di un capo leggendario, FinnMcCool, venne fondato a Dublino nel 1858, as-sumendo il nome di Irish Republican Brother-hood, e reclutò i propri membri soprattutto tra isoldati irlandesi degli eserciti inglese e ameri-cano, molti dei quali torneranno alla fine dellaguerra di secessione in Irlanda per condurvi l’at-

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tività rivoluzionaria. Inizialmente si diffuse so-prattutto tra i rifugiati irlandesi negli USA, chene furono gli ispiratori e i dirigenti e che opera-rono tra l’altro dei tentativi d’invasione del Ca-nada come loro contributo all’indipendenzadella madre patria. “Tramp” è parola onomato-peica, dal rumore dei piedi di chi marcia. JosephHillstrom (conosciuto come Joe Hill) – l’orga-nizzatore sindacale fucilato a Salt Lake City nel1915 – ne fece un nuovo testo, dal titolo Thetramp (Il vagabondo), che narra di un vagabondoche viene scacciato dappertutto, dalla casa diuna signora, dalla chiesa, dalla prigione, dall’in-ferno e persino dal paradiso. Essa venne pubbli-cata per la prima volta dal giornale IndustrialWorkers del 22 maggio 1913 e poi ripubblicatain IWW songs to fan the flames of discontent del1913 (trattasi di un canzoniere dalla periodicitàannuale che veniva pubblicato dagli IndustrialWorkers of the World, e che riportava testiscritti dai militanti). La si può ora leggere inSongs of Joe Hill, a cura di Barrie Stavis e FrankHarmon, New York, Oak Publications, 1960; ein Alan Lomax, Woody Guthrie, Pete Seeger,Hard-Hitting Songs for Hard-Hit People, NewYork, Oak Publications, 1967, p. 90. Questa ver-sione di Joe Hill è pubblicata col titolo di Tramptramp tramp – così infatti inizia il ritornello – neldisco di Cisco Houston Sings Songs of the OpenRoad, Folkways Records, FA 2480.De Gaspari bidendesi isoladu: esso è l’inizio di

Sa legge truffa (le prime tre delle 26 quartine),poesia di Luigi Marteddu, di Orotelli, vincitriceex-aequo con La leggi fura ’otti, poesia di MarioMariotti, di Calangianus, del concorso di poesiadialettale sarda sulla Legge Elettorale Scelba,lanciato attraverso l’Unità, dalla FederazioneNuorese del PCI, cui parteciparono 148 diversiautori con complessive 173 poesie. Sedici di essevennero poi pubblicate nell’opuscolo I poetisardi contro la truffa elettorale. Concorso e pub-blicazione a cura della Federazione PCI diNuoro, pp. 32.

NOTE

1. Milano, Edizioni del Calendario del Po-polo, aprile 1967, pp. 264.

2. La lettera di Offidani e la risposta redazio-nale de il nuovo Canzoniere italiano, dovuta a

Cesare Bermani, avrebbero dovuto essere pub-blicate sul n. 5 della rivista (febbraio 1965), manon lo furono per ragioni di spazio.

3. Si ascolti l’esecuzione di Fenisia Baldini(reg. di Cesare Bermani, Novara, aprile 1964)nel disco Le canzoni dello spettacolo “La Grandepaura. Settembre 1920. L’occupazione delle fab-briche”, Milano, i dischi del sole, DS 1000/1002,1971. La canzone venne scritta da Offidani nel1919 ed è pubblicata col titolo di Capinera in Icanti della Rivoluzione, pubblicazione di “Uma-nità Nova”, la Spezia, Cromo-Tipografia “LaSociale”, 1920; e in Raccolta di canti popolari so-cialisti, S.A. Editrice Avanti!, s.l., s.d. [ma dopoil 1945]. Nelle due edizioni del Grande Canzo-niere della Libertà. I canti di Spartaco ed altri ce-lebri inni sociali, Roma, Editore F. Mondini,1944, è pubblicata una versione del canto ag-giornata alla seconda guerra mondiale. Tale ver-sione è pure pubblicata in Canti comunisti diSpartacus Picenus, cit., pp. 34-36.

4. Da una nota di Roberto Leydi antepostaalla Autobiografia di Spartacus Picenus che, stesasu pressanti sollecitazioni di Gianni Bosio, ap-parve su il nuovo Canzoniere italiano 3, Milano,Edizioni Avanti!, settembre 1963, pp. 39-45. Diqui l’abbiamo ripresa per l’Appendice di questofascicolo, sebbene essa sia stata ripubblicata inCanti comunisti di Spartacus Picenus, cit., pp. 11-23, con l’aggiunta di alcuni passaggi – peraltrodi scarsa importanza – forse espunti redazional-mente nella prima pubblicazione.

5. Dalla nota di Roberto Leydi già cit.6. Da un foglietto volante: I canti di Spartaco,

n. 2022 [ma l’autore ha corretto 1022], Roma,Tipografia Mengarelli.

7. Da una reg. di Michele L. Straniero, Roma,13 dicembre 1964, inf. Raffaele Mario Offidani.

8. Viva Lenin! e Inno dei mutilati e invalidi diguerra vengono pubblicati da Il canzoniere rivo-luzionario, sesta edizione ampliata con nuoviinni e canzoni, Paterson, N.J., Libreria Sociolo-gica, s.d. [ma 1920 ca]; La leggenda della Neva,Viva Lenin!, Capinera, La vittoria del comuni-smo, Inno della gioventù comunista, Inno dei mu-tilati ed invalidi di guerra vengono pubblicati inI canti della Rivoluzione, cit.

9. Verrà Lenin!, pubblicato non firmato su Ilgrido della rivolta, Firenze, 26 giugno 1920. Ri-pubblicato col titolo L’attesa di Lenin in Scritti

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scelti di Camillo Berneri. Pietrogrado 1917 Bar-cellona 1937, a cura di Pier Carlo Masini e Al-berto Sorti, Milano, Sugar, 1964, pp. 35-36 (conuna nota dei curatori a proposito dell’attribu-zione dello scritto).

10. Tali informazioni sono tratte da: reg. diCesare Bermani, Novara, Circolo Archimede, 10maggio 1966 e 20 febbraio 1970, inf. Mario Fer-rara, nato a Novara nel 1900, militante comuni-sta, all’epoca dell’occupazione delle fabbrichemanovale presso lo Stabilimento Dell’Erra, poivigile urbano; e reg. di Cesare Bermani,Novara,14 febbraio 1970, inf. Angela Stangalini,nata a Lumellogno (Novara) nel 1899, militantecomunista dal 1921, allora operaia alle Bollone-rie Tornite.

11. Dalla cit. reg. di Michele L. Straniero.12. Per l’entità della tiratura vedi ibidem.13. Soprattutto le varie edizioni del Grande

Canzoniere della Libertà, ecc., cit.14. Di tali foglietti, intitolati I canti di Spar-

taco e con una numerazione progressiva, a 2 o a4 pagine, ne abbiamo reperiti alcuni, tutti del se-condo dopoguerra e che hanno una numera-zione compresa tra il 70 e il 99 (stampati dallaTipografia F.lli Carpentieri di Roma, non hannodata, ma l’ultimo di essi non è anteriore al1951). Due fogli di maggiori dimensioni, a 2 pa-gine, portano i numeri 2022 (corretto però dal-l’autore a penna con 1202) e 1203: stampatidalla Tipografia Mengarelli di Roma, risalgonoal 1960. Abbiamo poi potuto consultare altrifogli volanti di Offidani ma non appartenentialla serie de I canti di Spartaco.

15. Vedi in questo fascicolo le note ai duecanti.

16. Vedi Quaderno dell’attivista, a cura dellaCommissione Propaganda della Direz. del PCI,n. 8, maggio-giugno 1947, p. 243.

17. Moderni strumenti di propaganda in Qua-derno dell’attivista, febbraio 1946, p. 29.

18. Ibidem.19. Tale foglio volante, annotato, si trova as-

sieme ad altri materiali riguardanti Offidani (let-tere, canzonieri, fogli volanti, ecc.) nell’archivioBosio, Milano.

20. Roma, Tip. “La Sfera”, p. 64.21. Pietro Clemente, Sul “folklore progres-

sivo”, in Pietro Clemente, Maria Luisa Meoni,Massimo Squillacciotti, Il dibattito sul folklore in

Italia, Milano, Edizioni di Cultura Popolare,1976, p. 116.

22. Gianni Bosio, L’Intellettuale rovesciato,Milano, Edizioni Bella Ciao, 1975, pp. 119-120.

23. Idem, p. 121.24. Sono le risultanze di un’inchiesta RAI-

Doxa di quegli anni. Vedi Arturo Gismondi, In-chiesta sulla Radio-Televisione in Il Ponte, Rivistamensile di politica e letteratura, Firenze, LaNuova Italia, a. XIII, n. 8-9, agosto-settembre1957, p. 1418.

25. Camillo Daneo, Agricoltura e sviluppo ca-pitalistico in Italia, Torino, Einaudi, 1969, p. 87.

26. Ufficio regionale del lavoro e della mas-sima occupazione per la Lombardia – Milano,Relazione sull’avviamento della manodopera ailavori di risaia e sull’assistenza ai mondariso ed ailoro bambini, anno 1964, p. 12.

Per una più dettagliata analisi dei processi ditrasformazione in atto in quegli anni nelle cam-pagne padane si veda Cesare Bermani, Notiziasulle ricerche condotte sul campo dal 1953 in poisul canto di risaia in Mondarisi. Registrazioni dicanti della risaia effettuate a Veneria di Lignana(Vercelli) nel 1953, fascicolo allegato all’omo-nimo disco, i dischi del sole, DS 520/22, 1973.

27. Aldo D’Alfonso, Memoria sul Centro delLibro Popolare, novembre 1965 in Strumenti dilavoro / achivi delle comunicazioni di massa e diclasse 1. Comunicazioni di massa e comunicazionidi classe. Laboratorio di Modena, 5-6 luglio 1965,Milano, Edizioni del Gallo, aprile 1966, p. 140.

28. Gianni Bosio, L’Intellettuale rovesciato,cit., p. 121.

29. Testimonianza di Clara Bosio Longhini,febbraio 1976.

30. L’Ordine Nuovo. Antologia della canzonecomunista in Italia, Milano, i dischi del sole, DS161/63, marzo 1968. Si vedano in proposito leconsiderazioni espresse soprattutto nel brano in-troduttivo del fascicolo accluso al disco.

31. Vedi Cesare Bermani, De Martino e le ri-cerche sul mondo popolare e proletario al Nord inIstituto Ernesto de Martino – Milano, IstitutoGramsci, sezione di Firenze, Incontro dibattito.Ernesto de Martino: riflessioni e verifiche, 15-17dicembre, Firenze, 1975, pp. 95-111.

32. La si ascolti nell’antologia L’OrdineNuovo ecc., cit., eseguita dal suo autore, FaustoAmodei.

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1. SVENTOLA, BANDIERA ROSSA!...

T’amo con tutto il cuoreo mia bellissima rossa bandieratu sei il vero amoredel derelitto che sospira e spera.Quando morròti baceròcome si bacia l’amante sincera.Io ti vedo lassùsulle rovine di un mondo che fubandiera rossasventola ognorsul tuo gran popolo in rivolta.

È vano ogni tormento.Per ogni comunista assassinatosorgono nuovi a centoribelli dal terreno insanguinato.E l’oppressorpreda al terrorla nostra forza l’ha ormai schiacciato.Io ti vedrò lassùsulle rovine di un mondo che fubandiera rossasventola ognorsul tuo gran popolo in rivolta.

La vile guardia biancache i comunisti mette alla torturaorsù compagni avantidella sbirraglia non abbiam paura.La libertàtrionferàla nostra meta è ormai sicura.Io ti vedrò lassùsulle rovine di un mondo che fubandiera rossasventola ognorsul tuo gran popolo in rivolta.

Bandiera rossasventolerai lassù.

2. LA LEGGENDA DELLA NEVA(prima strofa)

La Neva contemplavadalla folla umile e scurail pianto silenzioso e la tortura.La plebe sanguinavacome Cristo sulla crocesvenata dalla borghesia feroceche non paga di forche e di Siberiavolle ancor la guerra alla miseriama sorse alfin un uomo di coraggioche infranse le catene di servaggioe sterminò le piovre fino a fondoquell’uomo fu Leninliberator del mondo.

3. PERCHÉ RAFFAELE OFFIDANIASSUNSE IL PSEUDONIMODI SPARTACUS PICENUS

Spartaco è il nome generico del ribelle, del rivo-luzionario, e per distinguermi, siccome di Spar-tacus ce n’erano tanti, siccome io sono piceno,sono nato in provincia di Ascoli Piceno, anzi ve-ramente avevo scritto Spartacus Picenum, e poipiù tardi volevo scrivere, suona meglio, SpartacoPiceno. Invece no, ppe da’ retta a ’na signorinaho lasciato ’sto Spartacus Picenus. In ognimodo, ecco Picenus. Sebbene ’sti piceni poi,specialmente... Ancona sì, ma quelli della pro-vincia d’Ascoli Piceno son clericali, non son ri-voluzionari. [...]

Io mi trovavo all’Ospedale militare di No-vara, e c’era un medico che mi stava sempre a...era molto in voga La canzone del Piave, e sic-come mi seccava un po’, cordialmente, ungiorno quasi scherzosamente, gli dissi: «Senta unpo’ ’sta canzone», e feci una parodia, La leg-genda della Neva, per contrapporre al Piave laNeva, culla della Rivoluzione mondiale. Alloramentre gliela cantavo, questo scandalizzato... un

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FACCIATA A

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po’ la sentiva con interesse, e poi si scandalizzò.Ma ad ogni modo, c’era mio vicino di letto unaltro militare, un piemontese; «Ah, bella, fam-mela ricopiare, fammela...»; gliel’affidai. E luipoi naturalmente cosa fece? Andò a Torino e lafece stampare per conto suo; e se la vendettedue soldi alla copia, come ho saputo.

4. LA LEGGENDA DELLA NEVA(quinta e quarta strofa)

Là sulla sacra Nevasta Lenin che ansioso osservache la plebe latina è ’ncora serva.Compagni su mostriamoai fratelli bolscevichiche noi non siamo più gli schiavi antichi.E le campane suoneranno a festaper dare il ben tornato a Malatesta.E noi i tiranni il fegato il cervellofrantumeremo a colpo di martellosi appressa il giorno del fraterno amorema per la borghesiasia il regno del terrore.

La neve in altri pròdiginon invano prometteval’incendio all’universo si estendeva.Minaccia il Po il Tamigied il Danubio in altre spondearrosseranno il Tebro le acque bionde.Spartaco ruggirà ’lla sua fossa«Eserciti di schiavi alla riscossa».O sozza borghesia che troppo languiche dalla prona tu succhiasti il sangueo sozza scellerata maledettaè giunto anche per noiil dì della vendetta.O sozza scellerata maledettaè giunto anche per noiil dì della vendetta.

5. VIVA LENIN!

Fuggite o schiavi la malinconiaperché incomincia la felicitàsullo sfacelo della borghesianasce l’aurora della libertà.

Sì la bandiera di Leninsi innalzerà.E nella terra e nel cielola legge di Lenin trionferà.

L’imboscato guerrier nazionalistainnaffia i suoi tartufi col Bordòil povero soldato trinceristason tanti giorni che non si sfamò.

Sì, grida il soldato, sìLenin verràe i vili pescicanicolpisce con la spada del destin.

La pallida figliuola della viasui marciapiedi il corpo trascinòla vile e lussuriosa borghesiaper un tozzo di pane la comprò.

Sì, geme l’afflitta, sìverrà Leninche mi darà il mio panee punirà l’infamia del destin.

Nei pressi della lurida galerail figlio dell’ergastolano vaal soffio della rossa primaveraimplora che gli renda il suo papà.

Sì, grida il bambino, sìViva Leninperché Lenin soltantoritorna l’innocente al suo piccin.

Venite libertari e socialistile turbe degli oppressi a liberaril santo gonfalon dei comunistisventoli vittorioso in ogni mar.

Sì, grida la folla, sìLenin verràviva Lenin ch’è amorech’è faro di giustizia e libertà.

Sì, la bandiera di Lenins’innalzerànella terra e nel cielola legge di Lenin trionferà.

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6. LA GUARDIA ROSSA

Quel che si avanza è uno strano soldatoviene da Oriente e non monta destrierla man callosa ed il viso abbronzatoè il più glorioso fra tutti i guerrier.

Non ha pennacchi e galloni doratima sul berretto scolpiti e nel cormostra un martello e una falce incrociatigli emblemi del lavorviva il lavor.

È la guardia rossache marcia alla riscossae scuote dalla fossala schiava umanità.

Giacque vilmente la plebe in catenesotto il tallone del ricco padrondopo millenni di strazi e di penel’asino alfine si cangia in leon.

Sbrana furente il succhion coronatospoglia il nababbo dell’or che rubòdanna per fame al lavoro forzatochi mai non lavorònon lavorò.

È la guardia rossache marcia alla riscossae scuote dalla fossala schiava umanità.

Accorre sotto la rossa bandieratutta la folla dei lavoratorrimbomba il passo dell’immensa schierasopra la tomba di un mondo che muor.

Tentano invano risorgere i mortitanto a che vale lottar col destinmarciano al sole più ardenti e più fortile armate di Leninviva Lenin.

È la guardia rossache marcia alla riscossae scuote dalla fossala schiava umanità.

Quando alla notte la plebe riposanella campagna e nell’ampia cittàpiù non la turba la tema paurosadel suo vampiro che la svenerà.

Ché sempre veglia devota e tremendala guardia rossa alla sua libertàla tirannia cancrenosa ed orrendapiù non trionferàtrionferà.

Ché la guardia rossagià l’inchiodò alla fossanell’epica riscossadell’umanità.

Ché la guardia rossagià l’inchiodò alla fossanell’epica riscossadell’umanità.

7. BOLSCEVISMO

“Bolscevismo”, sull’aria di “Giovinezza”, primache venissero fondati i Fasci di combattimento.

Dalla terra insanguinatapartì il grido di doloredella plebe massacratadal suo turpe sfruttatorema pel popolo gementefinì l’era del terroreuna fiamma rifulgentedalla Russia sfolgorò.

Bolscevismo bolscevismotu sei il vero socialismobolscevismo bolscevismotu ci dai la libertà.

Il gran faro dell’Orientesplende sempre più giganteed irradia l’Occidentela sua luce sfolgorantesorgeranno i proletaria schiacciare l’invasorecomunisti e libertarisi preparan a pugnar.

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Bolscevismo bolscevismotu sei il vero socialismobolscevismo bolscevismotu ci dai la libertà.

La calunnia velenosabolscevismo non ti oscurala tua luce portentosasplenderà sempre più purala tua fiamma accende il coredegli schiavi incatenatiche dal Polo all’Equatoretutti gridano cosìche dal Polo all’Equatoretutti gridano così:

Bolscevismo bolscevismotu sei il vero socialismobolscevismo bolscevismotu ci vieni a liberar.

8. CANZONE D’ALBANIA

Soldato proletarioche parti per Valonanon ti scordar del popolo di Anconache volle col suo sanguela sua liberazionesol colla ribellionesorge radiosa la libertà.

Fuggiamo viasenza indugiardal suol dell’Albaniafuggiamo la malariail massacro e la famea morte il governo infameche in questa infamiaci trasinò.

Soldato proletarioche mamma tua lasiavie schiavo andavi a trucidar gli schiavino non è là il nemiconon è fra monti e marilungi non lo cercareil tuo feroce tiranno è qui.

Fuggiamo viasenza indugiardal suol dell’Albaniafuggiamo la malariail massacro e la famea morte il governo infameche in questo infernoci trasinò.

9. LENIN E STALIN

Quasi un ventennio è passatoda quando sorge quaggiùun genio atteso e adoratocome un novello Gesùed ogni oppresso cantavanon lagrimando già più:

«Léninla tua dottrina si diffonde e volaLéninla tua parola è quella che consola.Il dolce sogno santodella gran Città del Soleche vagheggiava ogni cuoretu realizzasti quaggiù.Léninil più grand’uomo del mondo sei tue come il soleil tuo ideale non si spegne mai più».

Piombò la belva fascistasopra ogni gran civiltàl’umanità socialistapur si accingeva a sbranarma un uomo tutto d’acciaioad aspettarlo era là.

Stàlindi Stalingrado la leggenda volaStàlinfermava il mostro la tua forza solagloria sia a te in eternosenza la tua grande vittoriaritorna indietro la storiadi due millenni e anche piùStàlinil degno erede del gran Lénin sei tu

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due vostri parisopra la terra non verranno mai più.Stàlin mai più.

10. L’ESERCITO ROSSO VERRÀ

Sangue ed orrorfame e terrorregnano sopra le campagne e le cittàl’umanitàin altre etàmai non conobbe sì feroci iniquità.Così il fascismo maledetto e scelleratoha rovinatol’umanità.Dal cuore affranto di dolordi chi sussiste ancors’eleva un gridodi speranza e di passion.

L’esercito Rosso verràci porterà la libertàl’esercito Rosso è in camminverrà Stalìn verrà Stalìn.Sì vieni o glorioso Stalìn

e impicca il fascista assassin.Vederlo impiccarqual voluttàche importa poi morir.

Verrà Stalìnil gran Stalìnper giustiziar chi gli innocenti torturòincatenòe trucidòe chi la terra in mar di sangue tramutò.Or tutti i morti in coro chiedono vendettauna vendetta senza pietànessun fascista sfugge al giusto suo destino:l’inesorabile giustizia di Stalìn.

L’Esercito Rosso verràci porterà la libertàl’Esercito Rosso è in camminviva Stalìn viva Stalìn.Sì vieni o glorioso Stalìne impicca il fascista assassinvederlo impiccarqual voluttàche importa poi morir.

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1. DA UN PAESE LONTANO LONTANO

Da un paese lontano lontanoinviato dal grande Stalìnha mandato la sua guardia rossaper avere la nostra riscossaproletari di tutti i paesipresto unitevi in gran quantitàe marciamo uniti e compattiintorno a Togliatti la pace si avrà.

È arrivato l’ambasciatorecon la falce e sul martelloè arrivato l’ambasciatoreha schiacciato il manganelloe ha portato la ghigliottinama di certo non per meper la testa del ree per tutti i signorè arrivato l’ambasciator.

2. L’ITALIA L’È MALATA

L’Italia l’è malataTogliatti l’è ’l duturper far guarì l’Italiatagliam la testa ai sciur.

3. QUATTORDICI LUGLIO ALLE UNDICITOGLIATTI

Quattordici luglio alle undici Togliattiusciva e dal Parlamentovenne colpito così a tradimentoche lui a terra colpito restò.

E dal Senato i nostri compagniaccorrevano vicino al feritoche dissanguato e anche sfinitolui con la morte doveva lottar.

Onorevole professore Frugonigran chirurgo di fama mondialee per salvare Togliatti dal malesi procedeva all’operazion.

Per salvare Togliatti la vitaaccorrevano donatori di sanguee fra tanti operai generosiun galantuomo così dichiarò.

Io non sono iscritto al partitoma con tutto il cuore io dono il mio sangueper Togliatti che soffre e che langueperché lui merita poterlo salvarper Togliatti che soffre e che langueperché lui merita poterlo salvar.

4. SIAM NOI QUELLA FORZA SANA DELL’INDOMAN

Siam noi quella forza sana dell’indomansiam noi la speranza sana degl’italiansiam noi la speranza sana degl’italiansiam noi che lottiamo contro i democristian.

Siam stati partigiani contro i fasistinei campi internati contro i nazistihanno versato sangue molti compagnima non per dar l’Italia agli americani.

O colomba che seidella patria il vessilloti vogliamo con noi per nostro idilliopan pace e libertà.

Quel dì che in aprile andammo tutti a votarquel dì siamo stati molti pronti a sbagliarfu allor che la patria stava in nostre manfu allor che ce l’han rapita i democristian.

Ci hanno promesso pane pace e lavoro

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FACCIATA B

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invece ci hanno dato piombo e bastonema noi gridiamo “basta ai democristianiMagnani Cucchi Scelba e saragattiani”.

O colomba che seidella patria il vessilloti vogliamo con noi per nostro idilliopan pace e libertà.

5. IGNORANTI SENZA SCUOLE

Ignoranti senza scuolemaltrattate dai padroneravam la plebe della terrain risaia come d’una prigioneravam la plebe della terrain risaia come d’una prigion.

Ci dicevan questa vitala dovete sempre fari padroni ci son sempre statie per sempre ci dovran restar.

Ma un bel giorno abbiam rispostosiete i servi dei signorse lottiamo avremo più giustizianella pace la gloria del lavorse lottiamo avremo più giustizianella pace la gloria del lavor.

Ma i nemici hanno armidi menzogna e corruzionhan giornali cinema e la radioche difende i profitti dei padron.

Per Noi donne è un gran faroche ci illumina il camminper Noi donne è l’arma di progressoè la voce di tutte noi mondinper Noi donne è l’arma di progressoè la voce di tutte noi mondin.

6. MIRA LA RONDONDELLA

Uno no’ llo può saper nessunosolo Andreotti col curatopuò saper per chi ha votatase giammai si pentirà

mira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

Due sto governo ci ha la lues’è ammalato colli pianide Marshall e de Fanfaniquello Erp pure ce stamira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

Tre noi volessimo sape’si Rumòr mò s’è decisode mannacce al paradisosi all’inferno ce vo’ mannàmira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

E quattro c’è Romita sotto sottosto vecchiaccio rimbambitoché ll’ha sempre qualche invitomò de qua e mò de làmira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

E cinque c’è Bevin che se distinguec’è Truman che accende il fuococ’è Baffò che parla pocoma de fatti assai ne famira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

Sei c’ènno tanti fariseistanno a fa’ la finta unionepe’ paura de Baffoneche giammai ci aggrediràmira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

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Sette pure ’r papa ce se mettesta facendo ogni sforzope’ non fa’ approva’ il divorzioma nessuno ce crederàmira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

Otto lo dovete fa’ il fagottove daremo la pensionesenza la liquidazionevoi ’n sapete amministra’mira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

Nove, ve l’avemo date le proveche noi semo superioripe’ domalli sti signorivoi ’n sapete amministra’mira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

Dieci ce sta Longo fa’ le vecidela gente che lavorasto governo ce s’accoraperché gnente glie po’ fa’mira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

Undici non ce vonno manco li giudicili hanno sempre smascheratitutti i nostri deputatial Parlamento nel parla’mira la rondondellamira la rondondàmira la rondondellamira la rondondà.

Dodici noi volemo che al governoc’è chi ci ha del polso fermotutti quanti so’ persuasiabbian visto in mille casitanto è chiaro ormai si vede

sempre giù sta andando il pretepe’ riempicce le budellece vo’ Longo e Berlinguerpe’ riempicce le budellece vo’ Longo e Berlinguermira la rondondellamira la rondondà.

7. MATINATA

A demograzi’? ... Chi è?

Mo so’ vinut’ i mo sond’ arrivatemo so’ vinut’ i mo sond’ arrivateche si la vosc’ a ci la canusci’che si la vosc’ a ci la canosci’

I o vend’cingh d’ magg’ i ch’amm’ agg’ a vutaio vend’cingh d’ magg’ i ch’amm’ agg’ a vutaiangora dato u vet’ a le democristia’’ngora dato u vet’ a le democristia’

La democrazi’ lichiala se me votila decoocrazi’ lichiala se me votime vlon vedend’ ch’a lu comunòme vlon vedend’ ch’a lu comunò

O Comunò tinime a ci vutaiao comunò tanime a ci vutaiela democrazi’ l’amm’agg’ pr’cuàla democrazi’ l’amm’agg’ pr’cuà

O m’nist’ Colomb’ comanna e sagrestanio m’nist’ Colomb’ comanna e sagrestanico s’nò campana a le democristia’co s’nò cambana a le democristia’

O s’nò campana attind’ pe’ londindondio s’nò cambana attind’ pe’ londindondica chessa vota ’vva venge u comunòca chessa vota ’vva venge i comunò

’tind pondindondi ca no ieie ind’ a o celibra’tind pondinpondi ca no ieie ind’ a o celibrach’ ve’ lu stemma de falci marti’ch’ ve’ lu stemma de falci marti’

Iendo a u celibr’ e iendo a u sendimentoiendo a u celibr’ e iendo a u sendimenti

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com’ ve chiangend’ so murt a le democristia’com’ ve chiangend’ so murt a le democristia’

Ce mala testa la demograzij’ce mala testa la democrazij’menz’ la f’ndana sta a lordà tutt’ u patémenz’ la f’ndana sta a lordà tutt’ u paté

Quand’ s’avvicin’ la dì d’la vutazioniquand’ s’avvicin’ la dì d’la vutazionis’anni robba’ tutta la costruzio’s’anni robba’ tutta la costruzio’

Vutat’m’ a me che v’egghia a frega’ ’ntandovutat’m’ a me che v’egghia a frega’ ’ntandodind’ a lu pacch’ c’ nannusc’ l’am’rcandind’ a lu pacch’ c’ nannusc’ l’am’rcan

Quanni la vutazioni s’avviciniquanni la vutazioni s’avvicinidann’ n’otro pacch’ de li formaggindann’ n’otro pacch’ de li formaggin

Pe’ frega’ l’an’ma de lu poverettape’ frega’ l’an’ma de lu poverettidanni n’otro pacca de lu maccarédann’ n’otro pacca de lu maccaré

Lu maccaré l’amme a pigghia’ lu stessalu maccaré l’amme a pigghia’ le stassialla democrazi’ l’amme a pigghia’ pe’ fam’’lla democrazi’ l’amme a pigghia’ pe’ fa’

Lu vuoti cu ci teni li pelli biancalu vuoti cu ci teni li pelli bianchidogghi la bonasera a tutt’ quant’dogghi la bonasera a tutt’ quant’

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FACCIATA A

1. SVENTOLA, BANDIERA ROSSA!...

Testo di Spartacus Picenus, pseudonimo di Raf-faele Mario Offidani.

Melodia di Sogna la gioventù, musica di DinoRulli.

Reg. di Cesare Bermani, Cavi di Lavagna, 17luglio 1976, inf. Agostino Vibbia (voce) e MarcoMacianti (chitarra).

Agostino Vibbia è nato nel 1927 a Sestri Le-vante. Nel 1941 lavora alla Fabbricazione Ita-liana Tubi e poi alle Officine Liguri Elettromec-caniche, entrando a far parte del Comitato diAgitazione clandestino. Il 25 luglio 1943 è tracoloro che demoliscono la casa littorio di SestriLevante. Farà la Resistenza nella brigata (poi di-visione) Coduri, che operava sopra Sestri Le-vante e Chiavari, militando – dopo la costitu-zione in divisione – nella brigata Zelasco, salvouna breve parentesi nella Brigata Berto stanziatasopra Borzenasca. Nell’immediato dopoguerracanta nelle balere. Di famiglia antifascista,iscritto sin da giovanissimo al Partito comunista,viene ricercato per i fatti susseguenti all’atten-tato a Togliatti. È condannato due volte per in-terruzione di comizi missini. Non rinnova la tes-sera del PCI dopo i fatti d’Ungheria, purmantenendo il proprio ideale di comunista li-bertario. Attualmente gestisce una pensione aCavi di Lavagna.

Marco Macianti, nato a Chiavari nel 1908, ha la-vorato come maestro d’ascia nei cantieri navali ecome barcaiolo. Suona la chitarra dal 1926 e hasuonato nella banda comunale di Chiavari enelle squadre di canto (gruppi corali e strumen-tali che eseguono di preferenza trallalleri).

La canzone, scritta nel 1919-1920 (si vedal’Autobiografia di Spartacus Picenus, qui ripor-tata in Appendice), è stata pubblicata in Grandecanzoniere della libertà. I Canti di Spartaco edaltri celebri inni sociali, Roma, Editore F. Mon-dini, 1944; in Canti della libertà, Roma, EdizioniToto Castellucci, Tip. Ed. Italia, s.d. [ma 1945ca], dove peraltro si precisa: «Il presente fasci-colo è una ristampa di quello uscito clandestina-mente nel maggio 1944 durante l’occupazionenazi-fascista» (qui figura l’indicazione: «Da can-tarsi sull’aria di Sogna la gioventù – “Canta lamia speranza...” – Spartacus Picenus – dai“Canti di Spartaco” del 1920»); in Canzonierecomunista di Spartacus Picenus, Roma, Centro diDiffusione stampa del PCI, Tip. “La Sfera”, s.d.[ma 1954]; in SPARTACUS PICENUS, Canti comu-nisti, Milano, Edizioni del Calendario del Po-polo, 1967, p. 37 e sg.

Già cantata nella Coduri, Vibbia dice diaverla appresa attraverso un canzoniere che sa-rebbe stato lanciato nel 1944 da un aereo (vedile precisazioni al proposito contenute nella nota9, Facciata A).

Rispetto alla lezione a stampa pubblicata neicanzonieri citati, l’esecuzione del Vibbia – cheinverte seconda e terza strofa – presenta le se-

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NOTE AI TESTI

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guenti varianti: v. 1-2-3 «T’amo con tutto ilcuore/ o mia bellissima rossa bandiera/ tu sei ilvero amore» in luogo di «T’amo con tutto ilcore/ o rossa mia santissima bandiera/ tu sei l’ar-dente amore»; v. 9-21-33 «sulle rovine di unmondo che fu» invece di «su le macerie delmondo che fu»; v. 12-24-36 «sul tuo gran po-polo in rivolta» invece di «sul tuo gran popoloin sommossa»; v. 15 «sorgono nuovi a cento» in-vece di «sorgono nuovi cento»; v. 19 «la nostraforza l’ha ormai schiacciato» invece di «da losplendor dei martiri è accecato»; v. 20-32 «Io tivedrò lassù» invece di «Sventolerai lassù»; v. 26-27-28 «che i comunisti mette alla tortura/ orsùcompagni avanti/ della sbirraglia non abbiampaura» invece di «i comunisti mette alla tortura/ma la fede non manca/ e la sgherraglia non ci fapaura»; v. 31 «la nostra meta è ormai sicura» in-vece di «la nostra strada è dura, ma sicura!».I versi 37 e 38 non figurano poi nelle lezioni astampa. L’esecuzione del Vibbia presenta anchedelle varianti melodiche rispetto alle esecuzionisolitamente registrate.

Col titolo di O mia bandiera il canto è pureriportato con altre varianti in Inni della libertà acura del Movimento giovanile comunista, Fi-renze, 1945; e in I nostri inni, a cura della Fede-razione torinese del PCI, s.d. [ma 1945 ca].

La canzone ha conosciuto una certa circola-zione ed è stata registrata ancora qualche voltain occasione di sfilate nazionali partigiane o dipartito; la cantavano, per esempio, i partigiani diSesto Fiorentino e quelli di Pisa durante la sfi-lata milanese del 9 maggio 1965 per il Venten-nale della Resistenza. Essa è entrata a far partedel repertorio del coro di Lugo di Romagna edè stata anche registrata da Sandro Portelli aRoma, Monte Sacro, Genzano, il 13 aprile 1970.

2. LA LEGGENDA DELLA NEVA (I STROFA)

Testo di Spartacus Picenus, pseudonimo di Raf-faele Mario Offidani.

Melodia de La leggenda del Piave, parole emusica del napoletano E. A. Mario (pseudo-nimo di Giovanni Gaeta), 1918.

Reg. di Cesare Bermani, Novara, aprile 1964,inf. Fenisia Baldini, n. nel 1911 a Lumellogno,dove ha appreso la canzone, e abitante all’epoca

della registrazione a Novara. Mondina in gio-ventù, al momento della registrazione faceva lacameriera in una trattoria. Iscritta al PCI fin dagiovanissima, ha preso parte alla lotta antifasci-sta prima e alla Resistenza poi. Questa lezioneviene qui data – per esigenze di montaggio –solo parzialmente. Essa infatti continuava: «Làsulla sacra neve/ sta Lenin che ansioso osserva/se la plebe latina ancora serva./ Compagni sumostriamo/ ai fratelli bolscevichi/ che siamo ifigli dei romani antichi./ E le campane suonanoa festa/ ritorneran Serrati e Malatesta./ E noidalle piovre il fegato e al cervello/ frantume-remo a colpi di martello/ si appressa il giornodel fraterno amore/ ma sia alla borghesia/ ilregno del terrore».

3. PERCHÉ RAFFAELE OFFIDANI ASSUNSE

IL PSEUDONIMO DI SPARTACUS PICENUS

Da una reg. di Michele L. Straniero, Roma, 13dicembre 1964, inf. Raffaele Mario Offidani(“Spartacus Picenus”).

4. LA LEGGENDA DELLA NEVA (V E IV STROFA)

Reg. di Cesare Bermani, Novara, Circolo Archi-mede, 11 febbraio 1967, inf. Pietro Graziosi, n.nel 1903 a Granozzo, dove ha appreso la can-zone, ma abitante all’epoca della registrazione aNovara. Ex bracciante, era allora portinaio.Iscritto al PCI dal 1925 ca.

Le strofe cantate da Fenisia Baldini e da Pie-tro Graziosi presentano non poche varianti ri-spetto al testo originario di Offidani (una regi-strazione del canto, eseguita per intero dallostesso Offidani, si può ascoltare presso l’IstitutoErnesto de Martino. Trattasi della cit. reg. di Mi-chele L. Straniero eseguita a Roma il 13 dicem-bre 1964).

La citazione congiunta di Giacinto MenottiSerrati e di Errico Malatesta non può stupire,qualora si consideri la grandissima forza dellafrazione massimalista del PSI a Novara e provin-cia. Quanto alla citazione del leader anarchico –che peraltro è menzionato nella prima versionea stampa reperita – ricorderemo come nel 1920il gruppo comunista inviti a parlare a Novara

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non solo Amadeo Bordiga ma anche ArmandoBorghi ed Errico Malatesta, che parlano al tea-tro Faraggiana rispettivamente il 3 e il 7 aprile.La Federazione Giovanile Socialista novarese,decisamente orientata verso i comunisti, non na-sconde le proprie simpatie per gli anarchici e –come ha ricordato Angelo Fornara, che alloramilitava appunto nelle file della gioventù socia-lista – «la situazione nella quale ci avevano cac-ciato i dirigenti […] del Partito socialista eradavvero disperata. Molti di noi giovani, per sfi-ducia verso il Partito socialista [...], si erano ri-dotti ad amoreggiare con gli anarchici!!! [...].Errico Malatesta [...] si ebbe al Faraggiana unautentico trionfo e non ad opera della sparutapattuglietta anarchica, ma della gioventù sociali-sta...» (dichiarazione riportata in A colloquio coicompagni che vissero il ’21 a Novara, su La lotta,organo della Federazione del PCI di Novara, a.XIX, n. 5, 2 febbraio 1961).La leggenda della Neva ha avuto all’interno

del movimento operaio una vasta popolarità,tuttora attestata dalle ricerche sul campo. Perquanto attiene al Novarese, nel corso delle ricer-che da me condotte negli anni 1963-1967, lacanzone risultava nota in lezioni frammentarie,anch’esse con varie modificazioni rispetto altesto originario di Offidani, pure a questi infor-matori: Pierino Mora di Granozzo, Luigi Grassidi Lumellogno, Angela Stangalini di Lumello-gno ma abitante a Novara.

Per quel che riguardala nascita de La leg-genda della Neva, si ascoltino le dichiarazioni diOffidani incise in questo disco (documento 2,Facciata A) che confermano quanto da lui giàscritto nella cit. Autobiografia di Spartacus Pice-nus, qui riportata in Appendice.La leggenda della Neva – che venne composta

sul finire del 1918 – figurava sulla prima paginadel numero speciale del Primo Maggio 1919 del-l’Avanguardia, organo ufficiale della Federa-zione Giovanile Socialista, occupata per interoda canzoni di Offidani, che venne però comple-tamente imbiancata dalla censura (si veda inproposito quanto riportato nell’introduzione enella Autobiografia di Spartacus Picenus qui ri-portata in Appendice), per cui i primi Canti diSpartaco non videro la luce. La leggenda dellaNeva figura invece nel canzoniere anarchico Icanti della Rivoluzione, pubblicazione n. 1 di

“Umanità Nova”, La Spezia, Cromo-Tipografia“La Sociale”, 1920, pp. 55-56, ed è questo ilprimo testo a stampa a me noto: «La Neva con-templava/ della folla umile e oscura/ il pianto si-lenzioso e la tortura./ La plebe sanguinava/come Cristo sulla croce/ svenata dalla borghesiaferoce/ che non paga di forche e di Siberia/volle ancor della guerra la miseria.../ Ma sorsealfin un uomo di coraggio/ che infranse le ca-tene del servaggio/ e sterminò le piovre fino afondo:/ quell’uomo fu Lenin/ liberator delmondo.// La Neva trasportava/ verso il mar, daPietrogrado/ il motto di Lenin: Chi è ricco èladro/ ed il motto volando/ per i mari e i conti-nenti/ destò dal sonno gli schiavi dormienti./ Evalicò gli Uràli, il Kremlino/ e giunse fino a Mo-naco e a Berlino.../ Qui sventolando la bandierarossa/ Spartaco diè il segnal della riscossa./ Ecadde... ma la notte sulla Sprea/ – qual immensofalò –/ la salma risplendea.// E la Neva com-mossa/ alla Sprea vaticinava/ che non invanoSpartaco spirava./ La pura salma rossa/ ingi-gantì nella tormenta/ e di denti di drago fu se-menta./ Oh! quanto ne fu fertile il terreno/ enon soltanto sulla Sprea e sul Reno!/ Ben disseil duce degli spartachiani:/ “Malgrado tutto saràmio il domani”./ E l’eco ripetè a tutta la terra:/“Fra oppressi ed oppressor/ non pace mai maguerra!”.// La Neva altri prodigi/ non invanoprometteva./ L’incendio all’universo si esten-deva.../ Minaccia il Po, il Tamigi,/ il Danubio edaltre sponde.../ arrosserà del Tebro le acquebionde.../ Spartaco ruggirà dalla sua fossa:/“Eserciti di schiavi alla riscossa!/ O sozza bor-ghesia, da troppo langue/ la folla prona cui suc-chiasti il sangue!/ O casta scellerata e male-detta,/ è giunto anche per noi/ il dì dellavendetta!”// Là sulla sacra Neva/ sta Lenin cheansioso osserva/ se la plebe latina è ancoraserva./ Compagni su mostriamo/ ai fratelli bol-sceviki/ che noi non siamo più gli schiavi anti-chi!/ e le campane pur suonino a festa/ per dareil ben tornato a Malatesta!/ Noi dei tiranni ilcuore e il cervello/ frantumeremo a colpi di mar-tello./ Si appressa il giorno del fraterno amore./Ma per la borghesia/ sia il regno del terrore!»La leggenda della Neva è pubblicata anche nel

Grande canzoniere della libertà ecc., cit.; nel Can-zoniere comunista di Spartacus Picenus, cit.; e inSPARTACUS PICENUS, Canti comunisti, cit., p. 28

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e sg. Nel Grande canzoniere risulta dedicata «allagrande anima di Karl Liebkneckt», mentre intutte le tre edizioni v’è indicazione di musica(«Sull’aria della “Leggenda del Piave”») e di au-tore (Spartacus Picenus), nonché questo com-mento di Offidani: «Sono espresse in questocanto le febbrili speranze che nutriva nel 1919 ilproletariato italiano. Tali speranze (a molti appa-rivano certezza) non si realizzarono: si scatenòinvece la più bestiale e crudele reazione dellastoria. Noi riesumiamo questo ed altri canti inomaggio alla fede da cui sono pervasi».

Rispetto alla prima lezione a stampa, questonuovo testo a stampa presenta delle varianti: v. 6«monarchia» in luogo di «borghesia»; v. 48 «ti-rannia» in luogo di «borghesia»; v. 60 «per salu-tar la plebe che s’è desta» in luogo di «per dareil ben tornato a Malatesta!»; vv. 64-65 «Muorcon la tirannia/ il regno del terrore» in luogo di«Ma per la borghesia/ sia il regno del terrore!».

La prima incisione discografica de La leg-genda della Neva è quella pubblicata in Canti co-munisti italiani 2, Milano, i dischi del sole, DS12, I edizione del 1964 (reg. di Roberto Leydi,Alfonsine, Ravenna, aprile 1963, inf. ed esecu-tore Leonello Rambelli, n. nel 1903, muratore).

L’esecuzione del Rambelli è anch’essa par-ziale (rispetto al testo originale di Offidani eglicanta la I, la V, e metà della II strofa) e presentavarie modificazioni, le più rilevanti delle qualisono: «neve» in luogo di «Neva»; «per salutarTogliatti e Malatesta»; «noi della borghesia/ sa-remo il terrore».

Questa lezione non venne più ripubblicatanelle successive edizioni su richiesta dell’autore(e si veda in Appendice la polemica tra Offidanie la redazione de il nuovo Canzoniere italiano).

Va infine ricordato che Offidani pubblicò neicanzonieri del periodo della Resistenza e del se-condo dopoguerra un altro testo, da cantarsisulla medesima aria de La leggenda del Piave, daltitolo La seconda leggenda della Neva, che è peresempio pubblicata in I Canti di Spartaco.Grande canzoniere del popolo, Roma, Editore F.Mondini, 1944; in Grande canzoniere della li-bertà ecc., cit.; in Canti della libertà, cit.; in Can-zoniere comunista, cit.; in SPARTACUS PICENUS,Canti comunisti, cit., p. 94 e sgg.

Tra le varie registrazioni conservate pressol’Istituto Ernesto de Martino segnaliamo quelle

di Sandro Portelli, effettuate a Genazzano(Roma), 4 aprile 1970 e a Roma, ma informatoredi Genzano, 13 aprile 1970.

La diffusione dei due differenti testi (tra cui– come abbiamo visto – il primo ha subito dellemodificazioni già di autore), ha fatto sì che inqualche caso essi si siano sovrapposti l’uno al-l’altro (per esempio, nella reg. di Cesare Ber-mani, Cavi di Lavagna, 17 luglio 1976, AgostinoVibbia racconta di avere appreso una strofa daaltri vecchi militanti che erano nella sua forma-zione partigiana, la Brigata Coduri, strofa che èchiaramente de La leggenda della Neva, dellaquale ignorava l’esistenza; mentre ha potuto im-parare su di un canzoniere lanciato da un aereoalleato nel 1944 La seconda leggenda della Neva,della quale ricorda altre strofe). Altri informa-tori distinguono invece bene i due testi. È il casodi Franco Pedone di Milano, che nel maggio1964 ci comunicava un frammento de La leg-genda della Neva, da lui chiamata «Neva 1919»e tre strofe delle otto de La seconda leggendadella Neva, da lui chiamata «Neva 1941».

5. VIVA LENIN!

Testo di Spartacus Picenus, pseudonimo diRaffaele Mario Offidani.

Melodia di Cara piccina di Gaetano Lama eLibero Bovio, Edizioni La Canzonetta, Napoli,1918.

Reg. di Cesare Bermani, Novara, aprile 1964,inf. Fenisia Baldini.

L’autore ha dichiarato di avere scritto il testonel gennaio 1919 (vedi la reg. di Michele L. Stra-niero, Roma, 13 dicembre 1964, già cit.).

Il canto, nell’esecuzione del suo autore, èstato pubblicato in Le canzoni de La GrandePaura. Settembre 1920. L’occupazione delle fab-briche, Milano, i dischi del sole, DS 1000/2, gen-naio 1971 (dalla cit. reg. di Michele L. Stra-niero).Viva Lenin! figurava anch’esso sul numero

speciale del Primo Maggio 1919 de l’Avanguar-dia (vedi quanto riferito nella nota precedente).

La prima lezione a stampa del canto a menota è quella apparsa su Lotta di classe, Forlì, 6luglio 1919, n. 6. Di qui l’ha ripresa Il canzoniererivoluzionario. Sesta edizione ampliata con nuovi

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inni e canzoni, Paterson, N.J., Libreria Sociolo-gica, s. d. [ma 1920 ca], dove essa è riportatacon le seguenti indicazioni: «Viva Lenin – dacantarsi sull’aria di Cara piccina – di SpartacusPicenus». Essa è pure pubblicata, col medesimotitolo ma senza indicazioni di sorta, in I cantidella Rivoluzione, cit., e al testo ivi riportato si èrifatta per la sua esecuzione Fenisia Baldini, chevi introduce inessenziali varianti. Viva Lenin!appare inoltre, con indicazioni di musica e diautore, in Grande canzoniere della libertà ecc.,cit.; e, datato 1919, è ora pubblicato in SPARTA-CUS PICENUS, Canti comunisti, cit., p. 30 e sg.

Non risulta però che Viva Lenin! sia stata ri-pubblicata nei canzonieri di Offidani usciti nelsecondo dopoguerra, né in altri canzonieri post-resistenziali, almeno sino a tempi recentissimi.

Tuttavia la sua popolarità tra i militanti co-munisti e socialisti di base della generazione pre-resistenziale e resistenziale è, per esempio, atte-stata dalle ricerche sul campo da me condottenel Novarese negli anni 1963-1967. La canzoneera infatti ancora ricordata e cantata – sia pureframmentariamente – da Erminio Carmagnola,Caterina Martelli, Nino Arluno, Pasquale Parla-mento di Novara; Viana di Monticello; PietroGraziosi di Granozzo.

Mario Ferrara (vedi la cit. registrazione del14 febbraio 1970) ricordava di essere stato inse-guito, nei giorni dell’occupazione delle fabbri-che, dalle guardie sull’odierno corso Mazzini diNovara, perché cantava con altri quattro o cin-que operai Viva Lenin!.

La grande popolarità della canzone nel 1920è del resto attestata dalla polemica che contro ilsuo contenuto ideologico condusse Camillo Ber-neri che, su Il grido della rivolta di Firenze del26 giugno 1920, pubblicava un articolo intito-lato appunto Viva Lenin! (lo si veda qui ripor-tato in Appendice). La polemica non impedìtuttavia che – come si è già detto – Viva Lenin!venisse pubblicata in canzonieri anarchici.

La canzone, che è stata registrata in nume-rose località del Centro-Nord, venne per laprima volta raccolta sul campo – sia pure aframmenti – da Ernesto de Martino, ad Alfon-sine (Ravenna), il 20 ottobre 1951 (vedi pressol’Istituto de Martino il nastro che contiene copiadi un disco sul quale de Martino aveva fatto in-cidere i materiali registrati in quell’occasione).

6. LA GUARDIA ROSSA

Parole di Spartacus Picenus, pseudonimo diRaffaele Mario Offidani.

Melodia del valzer francese La Valse brune diVillar e Krier.

Canta Cesare Bermani accompagnato allachitarra da Ezio Cuppone (reg. di Franco Cog-giola, Milano, Istituto Ernesto de Martino, 27ottobre 1976).

Il testo utilizzato è tratto da Grande canzo-niere della libertà ecc., cit., dove La guardia rossaviene definita «Inno comunista dedicato nel1919 a Nicola Lenin» ed è firmata «SpartacusPicenus»; ma nell’esecuzione si effettuano delleripetizioni dell’ottavo verso di ogni strofa nonsegnalate dal can zoniere e tuttavia nell’uso ge-nerale. In una nota si dice che essa «si cantavaoriginariamente sull’aria de La Danza Bruna, mavenne poi rivestito in Russia di nuova bellissimamusica a tempo di marcia». Ricorda RobertoLeydi che proprio sull’aria de La Valse brune,«per la verità poco adatta, il canto fu intonato aMosca dai rappresentanti italiani al Primo Con-gresso dell’Internazionale comunista, nel 1919.Lenin fu assai sorpreso dell’idea di far marciarela guardia rossa a tempo di valzer e lo disse»(note a Canti comunisti italiani, a cura di Ro-berto Leydi, Milano, i dischi del sole, DS 5).

Il canto figurava già sul numero speciale delPrimo Maggio 1919 de l’Avanguardia (vediquanto riferito alla nota 4 , Facciata A).

Per ulteriori notizie su questo canto che, connuova melodia, divenne attorno al 1934 l’innoufficiale del Partito Comunista d’Italia, si ri-manda all’Autobiografia di Spartacus Picenus quiriportata in Appendice e alle note pubblicate nelfascicolo allegato al disco L’Ordine Nuovo. An-tologia della canzone comunista in Italia, Milano,i dischi del sole, DS 161/63, 1968. In tale discofigura un’esecuzione bandistica della melodiaoggi in uso (suona la Banda di Conselice direttada Corrado Zàccari; reg. orig. di Franco Cog-giola, Filo d’Argenta, Ferrara, 1o Maggio 1965).Per un’esecuzione cantata, sempre sulla melodiain uso, si veda I Caprara tra città e campagna, Mi-lano, i dischi del sole, DS 523/25, novembre1973 (cantano Anna, Argentina, Fernanda, Fio-ravanti, Laura, Lucia e Raniero Caprara. Reg. diFranco Coggiola, Milano, Teatro Uomo, 3

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marzo 1973); e si vedano pure le note pubblicatenel fascicolo allegato a tale disco, dove si dà no-tizia di altre pubblicazioni discografiche. Un’ese-cuzione corale, sempre sulla melodia oggi inuso, dovuta al Canzoniere Popolare di Romagna(reg. a Lugo di Franco Coggiola, 25 marzo1973) è compresa nel disco Compagni avanti ilgran partito. Inni proletari della piazza, Milano, idischi del sole, DS 1027/29, luglio 1973.La guardia rossa fu il canto del Battaglione

Garibaldi durante la guerra di Spagna (si vedaSongs of the Spanish civil war, vol. II, Folkwaysrecords album FH 5437; esecuzione di Bart vander Schelling ant the Exiles Chorus, originaria-mente incisa nel 1938 su disco a 78 giri a benefi-cio del “Comitato degli scrittori in esilio” dellaLega degli scrittori americani) e venne cantatodurante la Resistenza dalle formazioni garibal-dine (nel Novarese venne diffuso nelle forma-zioni mediante fogli dattiloscritti).

Dopo la Liberazione venne spesso ripresodalla stampa comunista e apparve, per esempio,su la lotta, Organo della Federazione bolognesedel Partito Comunista Italiano, a. II, n. 11, 28luglio 1945; in una lezione un po’ diversa daquella pubblicata da Offidani venne pure pub-blicato in Quaderno dell’attivista, a cura dellaCommissione Propaganda della Direzione delPCI, maggio-giugno 1947, p. 243.

Segnaliamo di quest’ultima lezione le variantipiù notevoli rispetto alla lezione di Spartacus Pi-cenus alla quale ci siamo qui riferiti: v. 5 «Eglisaluta col pugno serrato» in luogo di «Non hapennacchi e galloni dorati»; vv. 16-20 «l’agnelloalfine si cangia in leon./ Distrugge i ceppi che l’-hanno legato,/ spezza il dominio di chi losfruttò/ costringe alfin al lavoro obbligato/ chimai non lavorò! Viva il lavor!» in luogo di«l’asino alfine si cangia in leon./ Sbrana furenteil succhion coronato,/ spoglia il nababbo dell’orche rubò,/ danna per fame al lavoro forzato/ chimai non lavorò!»; v. 27 «rimbomba il passo diquella schiera» in luogo di «rimbomba il passodell’immensa schiera». Non viene invece ripor-tata la IV strofa. Inoltre ai versi 8, 20, 32, figu-rano le ripetizioni entrate nell’uso: «Viva illavor!», «Viva il lavor!», «Viva Lenin!».La guardia rossa è tuttora canto assai diffuso

tra i militanti comunisti e le numerose registra-zioni anche recenti conservate presso l’Istituto

Ernesto de Martino stanno a comprovarlo.Tra i molti canzonieri che riportano La guar-

dia rossa ricordiamo: Canti della libertà, Roma,Edizioni Toto Castellucci, s.d. [ma 1945], cit.(alla dicitura presente nel canzoniere che ab-biamo utilizzato per questa registrazione si ag-giunge l’indicazione: «dai Canti di Spartaco del1919»); Canti proletari, Trieste, Edizioni“Anteo”, Tipografia del Popolo-Fiume, s.d. [ma1945 ca]; Inni della libertà, a cura del Movi-mento giovanile comunista, Firenze, 1945; Cantidella libertà. Raccolta completa di Inni Proletari,della Patria e Partigiani, Genova, CooperativaPoligrafici “A. Gramsci”, s.d. [ma 1945 ca]; Rac-colta di canti popolari socialisti, edita a cura delPCI Vicenza, Sezione Trastevere, Arti Grafichedelle Venezie, s.d.; I nostri inni, a cura della Fe-derazione torinese del PCI, s.d. [ma 1945 ca];Canzoni garibaldine, a cura dell’Ufficio Stralcio“Brigate Garibaldi”, Parma, s.d. [ma secondodopoguerra]; Canzoniere popolare 1948, ReggioEmilia, Tipografia Popolare; La mondina canta,Roma, UESISA, s.d. [ma 1949]; XXXIII Anni-versario della FGCI. Canta la gioventù, a curadella FGCI di Novara, 1954; Canzoni partigianee democratiche, decennale della Resistenza, acura della Commissione Giovanile Centrale delPSI, Roma, s.d.; Inni, marcie e canzoni popolari.Raccolta n. 2, Roma, Partito Comunista Italiano,Federazione provinciale romana, s.d.; Canzo-niere comunista di Spartacus Picenus, cit.; Cantidel primo e del secondo Risorgimento, a cura delConsiglio Federativo Giovanile della Resistenza,Venezia, 1961; Canti della gioventù democratica.Canti di protesta, dell’antifascismo, canti, parti-giani e inni dei lavoratori, a cura della Federa-zione Giovanile Comunista novarese, Novara,Stella Alpina, 1966. Esso è poi riportato natural-mente in SPARTACUS PICENUS, Canti comunisti,cit., p. 32 e sg. Una lezione tedesca de La guardiarossa (Hundertschaftenlied) è riportata nello stu-dio di H. Kleye, Canti proletari italiani in Ger-mania in il nuovo Canzoniere italiano 7-8, Mi-lano, Edizioni del Gallo, agosto 1966, p. 44 e sg.

7. BOLSCEVISMO

Testo di Spartacus Picenus, pseudonimo di Raf-faele Mario Offidani.

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Sulla melodia di Giovinezza, parole di NinoOxilia, musica di Giuseppe Blanc, 1909.

Reg. di Michele L. Straniero, Roma, 13 di-cembre 1964, inf. Raffaele Mario Offidani, cheha precisato: «sull’aria di Giovinezza, prima chevenissero fondati i fasci di combattimento».Bolscevismo è pubblicato in Grande canzo-

niere della libertà ecc., cit., con indicazione«sull’aria dell’Inno degli arditi» e la firma del-l’autore («Spartacus Picenus»), ed è seguito daquesta nota: «Questo inno venne scritto nel1919 prima che Giovinezza venisse adottatoquale inno fascista. Sarebbe quindi opportunoche, come avvenne in quell’epoca in Russia perLa guardia rossa, qualche musicista lo rivestissedi nuove note».

Il testo cantato da Offidani coincide esatta-mente con quello pubblicato in tale canzoniere.Bolscevismo è stato ora ripubblicato in SPAR-

TACUS PICENUS, Canti comunisti, cit., p. 39 e sg.,in una lezione che presenta varianti minime ri-spetto a quella qui pubblicata, a eccezione del-l’ultimo verso («Tu ci dai la libertà», come nei ri-tornelli precedenti). In una nota si precisa cheesso venne scritto nel gennaio 1919.

Ricordiamo che Giovinezza, nata come innodi saluto alla vita goliardica, conobbe numerosiadattamenti tra i volontari e gli arditi dellaguerra 1915-18. Difficile quindi dire a quale diessi Offidani si riferisse. Per alcuni si rinvia a:Arditi!, pubblicata in Padre Reginaldo Giuliani,Gli arditi. Breve storia dei reparti d’assalto dellaTerza Arnata, Milano, Fratelli Treves editori,1919, pp. 244-45; Canto degli arditi, pubblicatain Canti della Patria, a cura di Giuseppe Sapori,Clusone (Bergamo), Editore Giudici, 1941, pp.151-152; «Su compagni in forte schiera» in A.Schinelli e A. Colombo, Canzoniere del popoloitaliano, Milano, Ed. Alba, 1937; «Allorchédalla trincea» in Canti di protesta, a cura di Emi-lio Jona e Sergio Liberovici. Giovinezza, pubbli-cato in Il Contemporaneo, Roma, n. 32, dicem-bre 1960, p. 147. Come è noto gli arditi furonocostituiti dopo la rotta di Caporetto, verso lametà del 1917.

Anche questo canto ha conosciuto una di-screta diffusione tra i militanti, ed è stato regi-strato con una certa frequenza nelle ricerche sulcampo effettuate a partire dal 1962. Per esem-pio, nel 1963 ne abbiamo registrato a Novara

due lezioni. La prima è stata riferita da EugenioBaslino, a. 62, nato a Mortara e vivente a No-vara. Ferroviere in pensione, ricordava di averlacantata nel 1920 sotto le armi, mentre marciavacon la truppa. Gli ufficiali la sentivano cantare enon distinguendo le parole erano soddisfatti.L’informatore dichiara che essa «era allora lacanzone degli arditi».

La seconda lezione, contaminata con altredue parodie antifasciste di Giovinezza (Delin-quenza, delinquenza e Guardia regia), ci è statariferita da Maurizio Sacchi, detto «Lenìn», mili-tante comunista dal 1921.

Due altre lezioni sono state registrate da San-dro Portelli a Genazzano (Roma) il 4 aprile 1970e a Roma, ma inf. di Genzano, il 13 aprile 1970.

8. CANZONE D’ALBANIA

Testo di Spartacus Picenus, pseudonimo di Raf-faele Mario Offidani.

Melodia di Santa Lucia luntana, parole e mu-sica di E. A. Mario (pseudonimo di GiovanniGaeta), 1919.

Reg. di Roberto Leydi, Alfonsine, Ravenna,aprile 1963, inf. Leonello Rambelli (lezione giàpubblicata in Canti comunisti italiani 2, cit.).

La canzone si riferisce alla rivolta di Anconadel 26 giugno 1920, allorché i soldati, appoggiatidalla popolazione operaia della città, si rifiuta-rono di partire per l’Albania. Ma, malgrado laresistenza organizzata in certi quartieri dellacittà, la rivolta venne rapidamente domata. Ri-corda al proposito Pietro Nenni: «L’“avventuraguerresca” paventata dai socialisti, era quella al-banese, impopolare al sommo. Esercitandoviuna specie di protettorato, l’Italia aveva profusiin Albania molti milioni, compiute opere impor-tanti, ma senza guadagnarsi le popolazioni esenza poter vincere l’ostilità degli Albanesi abil-mente “lavorati” da altre potenze. Quanto ai no-stri soldati, conclusa la pace, essi consideravanocome una residenza orribile l’Albania infestatadalla malaria. Giolitti stava risolvendo la crisiministeriale allorché si ebbero i segni premoni-tori di una insurrezione. Non c’era che una solu-zione logica, anche se a scapito del cosiddetto“prestigio nazionale”: abbandonare il protetto-rato, piuttosto che affrontare i rischi e l’onta di

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una repressione su popolazioni, le quali, met-tendo a profitto la lezione dei “sacri diritti”, vo-levano comandare in casa loro. Giolitti, neldiscorso-programma che fece alla Camera, an-nunciò la rinuncia del protettorato. Le condi-zioni del Paese gli imposero di far presto,ond’egli mandò a Valona un diplomatico, a trat-tare e concertare l’evacuazione. Ma un fattoestremamente grave – sintomo della disgrega-zione dell’esercito, cominciata con la spedizionesu Fiume – avveniva nel frattempo ad Ancona.Alcuni reparti dell’11o bersaglieri, designati apartire per l’Albania, si ammutinarono. Al fattonon fu estranea la intensa propaganda che si fa-ceva in quel momento contro il militarismo, maesso ebbe cause derivanti precipuamente dallo“spirito di corpo” abilmente alimentato nel-l’esercito. S’era infatti parlato di scioglimentodel corpo dei bersaglieri, e questo aveva esaspe-rato soprattutto gli ufficiali. I soldati poi non vo-levano saperne di nuove avventure. La rivolta diAncona – nella quale ci furono quattro morti ealla quale seguì lo sciopero generale – determinòuna situazione politica estremamente tesa. Vio-lente scenate alla Camera, panico nel Paese, unarifioritura della “settimana rossa”, con carattereapertamente rivoltoso, nelle Marche e nell’Um-bria. Anche in quel momento la parola d’ordinedella Direzione del Partito fu: calma e disciplina,ciò che le procurò molti biasimi nel campo ope-raio. Così la battaglia si esauriva in Parlamentodove i socialisti chiedevano ed ottenevano il ri-tiro immediato delle truppe dall’Albania» (Pie-tro Nenni, Il Diciannovismo (1919-1922), a curadi Gioietta Dallò, Milano, Edizioni Avanti!,1962, p. 104 e sg.).

Spartacus Picenus scrisse con ogni probabi-lità il testo della Canzone d’Albania subito dopotali fatti, sebbene nella cit. intervista fattagli daMichele L. Straniero, avesse delle incertezze diricordo: «Mi pare che l’ho scritta nel 1920. Nonmi ricordo se il ’20 o il ’21».

La canzone è stata pubblicata in GrandeCanzoniere della libertà ecc., cit.; e in CanzoniereComunista di Spartacus Picenus, cit. Essa vi ap-pare col titolo di Canzone d’Albania e indica-zione di melodia e d’autore. Il testo riportato intali canzonieri, rispetto a quello pubblicato inSPARTACUS PICENUS, Canti comunisti, cit., p. 54e sg., è privo della terza strofa, caduta in quanto

in tali canzonieri la canzone era stata dal suo au-tore attualizzata alla seconda guerra mondialeed era quindi necessario eliminare il riferimentoa Valona. Il testo pubblicato su Canti comunisti,che riportiamo qui di seguito, non può comun-que essere considerato come quello originario,dato il riferimento anacronistico che si fa al «fa-scismo» – realtà posteriore al ’20. È quindi pro-babile che il riferimento fatto dal Rambelli al«governo» non sia una variante del testo origi-nario di Offidani, che non abbiamo potutorintracciare. Qui, come in altri casi, è infattiestremamente difficile determinare le variantipersonali introdotte dagli informatori, in quantonon ci è noto il testo originario, né tutte le sueeventuali successive trasformazioni (sulla divul-gazione spesso clandestina dei Canti di Spartacosi veda quanto dice l’autore in Autobiografia diSpartacus Picenus riportata qui in Appendice equanto viene riportato nell’introduzione a que-sto fascicolo).

«Partono i bastimenti/ che vanno in Albania/e a bordo regna la malinconia./ Pensa ogni sol-datino/ a mamma sua lontana/ e una domandavana/ rivolge all’onda: “La rivedrò?”// Fug-giamo via,/ senza indugiar,/ dal suolo d’Alba-nia!/ Fuggiamo la malaria,/ il massacro, lafame!/ Morte al Fascismo infame/ che in questoinferno/ ci trascinò!// Soldato proletario/ chemamma tua lasciavi/ e schiavo andavi a trucidargli schiavi,/ no, non è là il nemico,/ non oltre imonti e il mare!/ Lungi non lo cercare,/ il tuo fe-roce tiranno è qui!// Fuggiamo via, ecc.// Sol-dato proletario/ che parti per Valona/ non tiscordare il popolo d’Ancona/ che impose col suosangue/ la tua liberazione./ Sol la rivoluzione/ cifa godere la libertà!// Fuggiamo via, ecc.»

9. LENIN E STALIN

Testo di Spartacus Picenus, pseudonimo di Raf-faele Mario Offidani.

Melodia di Mamma, ritmo allegro di Bixio-Cherubini, 1940.

Reg. di Cesare Bermani, Cavi di Lavagna, 17luglio 1976, inf. Agostino Vibbia (canto) eMarco Macianti (chitarra).

A proposito di Lenin e Stalin, Agostino Vib-bia racconta: «Prima che andassi in montagna,

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c’era un certo Chiappara di Sestri Levante,adesso è morto, che era già socialista, perché ioero già comunista dal tempo del fascio malgradoavessi quattordici anni; e un giorno del 1944m’ha chiamato e m’ha detto: “Guarda, ho rac-colto questo manifestino che è stato lanciato daun aereo”. E io me lo sono sempre portato die-tro, anche durante la guerra. E c’erano tuttequeste canzoni, che poi le cantavamo anche suin formazione, ma non erano canzoni che si po-tevano cantare a squarciagola come tutte le altre.Le sapevo io, perché c’era magari scritto: “que-sta canzone si canta sull’aria di Mamma”».

Il canto è pubblicato pure nel Grande canzo-niere della libertà ecc., cit.; e in Canti della li-bertà, Roma, Edizioni Toto Castellucci, s.d. [ma1945 ca], cit., dove figura l’indicazione: «da can-tarsi sull’aria di Mamma – di Spartacus Picenus– dai Canti di Spartaco del 1943». La canzone èora anche pubblicata in SPARTACUS PICENUS,Canti comunisti, cit., p. 78 e sg.

Rispetto al testo pubblicato nel Grande can-zoniere della libertà ecc., cit., Agostino Vibbia in-troduce le seguenti varianti: v. 1 «Quasi un ven-tennio è passato» invece di «Quasi untrentennio è passato»; v. 24 «ad aspettarla eralà» invece di «ad affrontarla era là»; v. 28 «fer-mava il mostro la tua forza sola» invece di«schiacciava il mostro la tua forza sola»; v. 30«senza la tua grande vittoria» invece di «senza latua gran vittoria»; v. 31 «ritorna indietro la sto-ria» invece di «tornava indietro la storia»; v. 32«di due millenni e anche più» invece di «di tremillenni e anche più».

Altra lezione di Lenin e Stalin è stata registrata da Sandro Portelli a Genazzano (Roma) il 4aprile 1970.

La canzone venne con ogni probabilità scrittada Offidani dopo la battaglia di Stalingrado.Come è noto Stalingrado fu investita nell’agosto1942 dalla 6a armata germanica del generale vonPaulus, i cui reparti raggiunsero il 3 settembre iprimi sobborghi della città. Ma qui la resistenzadelle truppe sovietiche si fece accanitissima edimpedì ogni ulteriore progresso tedesco. Dopoun ultimo tentativo effettuato il 19 novembre, gliinvasori furono costretti alla difensiva. Poi l’Ar-mata rossa iniziò la controffensiva e accerchiò letruppe tedesche, costrette a capitolare il 30 gen-naio. «Gli avvenimenti della battaglia di Stalin-

grado segnano la fine del primo periodo dellaguerra sovietico-tedesca, e l’inizio del suo se-condo periodo, che vide l’espulsione degli inva-sori hitleriani dal territorio sovietico. Essi segna-rono altresì un nuovo periodo nel corso dellaseconda guerra mondiale. La battaglia di Stalin-grado appare dunque come una tappa fonda-mentale nello sviluppo della lotta contro l’ag-gressione fascista non soltanto da parte delpopolo sovietico e delle sue forze armate, ma ditutti i paesi della coalizione antihitleriana. La vit-toria riportata dall’esercito rosso sotto Stalin-grado esercitò una forte influenza sui destini delpopolo sovietico e di tutta l’umanità» (A.M.Samsonov, Stalingrado. Fronte russo, Milano,Garzanti, 1961, p. 8).

La canzone è viva testimonianza del grandevalore emotivo assunto dal mito di Stalin e dal-l’epopea di Stalingrado.

Per il duraturo attaccamento di Offidani allafigura e all’opera di Stalin si veda quanto eglidice in chiusura all’Autobiografia di Spartacus Pi-cenus, qui riportata in Appendice. La sua rea-zione di fronte alle rivelazioni avvenute a lateredel XX Congresso del PCUS non fu certo uncaso isolato tra i militanti del PCI.

Quanto alla sua affermazione che «il giornopiù doloroso fu il 10 novembre 1961, quandovenne mutato al capoluogo del Volga il nomedue volte eroico di Stalingrado», essa trova unriscontro nel Rapporto al Comitato centrale ealla Commissione centrale di controllo del PCIsul XXII Congresso del PCUS (Roma, 10-11 no-vembre 1961) tenuto da Palmiro Togliatti: «Per-sonalmente rimango [...] perplesso di fronte alladecisione di cambiare il nome della città di Sta-lingrado, e non per un riguardo a Stalin, ma per-ché con quel nome milioni e milioni di uominihanno indicato, indicano e continuerebberoegualmente a indicare la famosa battaglia checambiò il corso della seconda guerra mondiale.I compagni sovietici devono rendersi conto dellecondizioni reali e della sensibilità dell’animo po-polare nei paesi capitalistici e non esigere coseche non siano assolutamente necessarie» (vediPALMIRO TOGLIATTI, Avanti, verso il comunismo,liberandosi dalle scorie del passato, a cura dellaSezione centrale di stampa e propaganda dellaDirezione del PCI, Roma, Stabilimento Tipogra-fico GATE, s.d., p. 37).

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10. L’ESERCITO ROSSO VERRÀ

Testo di Spartacus Picenus, pseudonimo diRaffaele Mario Offidani.

Musica de Il fox trot delle gigolettes, dall’ope-retta La danza delle libellule di Franz Lehàr,1922.

Canta Cesare Bermani accompagnato allachitarra da Ezio Cuppone (reg. di Franco Cog-giola, Milano, Istituto Ernesto de Martino, 27ottobre 1976).

I1 testo utilizzato è tratto da Grande canzo-niere della libertà ecc., cit., che dà indicazione dimusica e d’autore («Spartacus Picenus»). Esso èinoltre riportato in SPARTACUS PICENUS, Canticomunisti, cit., p. 58 e sg., in una lezione la cuiunica variante è la sostituzione del nome di Sta-lin con quello di Lenin.

Il testo venne sicuramente scritto dopo l’ini-zio della grande controffensiva russa del settem-bre 1943 e probabilmente nel corso del 1944 (ri-cordiamo che il canzoniere su cui L’esercito rossoverrà è pubblicato ha un’autorizzazione prefetti-zia in data 19 ottobre 1944, ma è senza alcundubbio posteriore al maggio 1945), allorchéebbe qualche consistenza il mito dell’«ha davenì Baffone», che si prolungò anche nel dopo-guerra in vasti strati popolari come rimpianto edesiderio irrealizzato. Nel Teramano Bandierarossa veniva allora cantata iniziando con «Avantipopolo rivoluzione/ ha da venì Baffone», men-tre in altra canzone di Offidani, intitolata Ce vo’Baffone (strofe romanesche sull’aria del «Sor Ca-panna» datate 1944-1945, e riportate sul mede-simo Grande canzoniere della libertà ecc., cit.), aun certo punto si dice: «Mo chi pe’ l’uno e chipe’ l’ antro verso/ se semo tutti quanti un po’abbacchiati./ Co’ tutto sto sfraggello che è suc-cesso/ nun c’è che dì, se semo assai scocciati./’Gni italiano onesto e a modo/ oggi è grassocome un chiodo./ Mo le persone/ invochenol’arrivo de Baffone».

In I nuovi canti di Spartaco con le musiche deipiù grandi compositori. Numero uno, Roma, Al-berto Toti editore, s.d. [ma sicuramente poste-riore all’inizio della guerra di Corea (25 giugno1950)], Offidani pubblicherà Può anche darsiche “Baffone” tarderà (da cantarsi sull’aria del-l’Inno dell’Unione Sovietica, musica di Alessan-dro Alexandrov), che inizia: «Quelli che ado-

rano Stalin/ sono al mondo legione infinita./L’odia chi passa la vita/ degli schiavi sfruttandoil sudor./ Anche il pirata e lo sgherro/ odianquest’Uomo di Ferro/ ma chi lavora/ l’ama el’onora/ e grida: “Stalin verrà!”.// Può anchedarsi che Baffone tarderà/ ma verrà! ma verrà!/e dei ladri la nefanda società/ crollerà! crollerà!/Sì! trionferà/ anche a Roma una più grande ci-viltà!/ Può anche darsi che Baffone tarderà/ maverrà! ma verrà!»

Un’altra prova di quanto a lungo – almeno indeterminati strati del PCI – si sia perpetuataemotivamente la speranza messianica di attesadella Liberazione per un fatto esterno – l’arrivodell’Armata rossa – al di là della sua ormai com-pleta non credibilità razionale.

FACCIATA B

1. DA UN PAESE LONTANO LONTANO

Testo di anonimo.Melodia di È arrivato l’ambasciatore, canzone

brillante di Arcangeli-N. Casiroli.Reg. di Cesare Bermani, Cavi di Lavagna, 17

luglio 1976, inf. Agostino Vibbia (canto) eMarco Macianti (chitarra).

Canzone diffusa in più varianti nel Nord delpaese.

Agostino Vibbia ha ricordato che la cantava«dopo la guerra. Sai, quando c’era tutte quellescaramucce, che venivano tutti in Italia, quandoè venuto Eisenhower, quando son venuti quellilì. Eravamo sempre in prigione, perché o scri-vere sulle strade o...».

Tra le numerose lezioni conosciute, ricor-diamo le cinque raccolte a Novara nel 1963 daCesare Bermani (ma tre di esse dovute all’esecu-zione di immigrati veneti di Porto Tolle, tuttiiscritti al PCI; un’altra ricordata come cantata aMantova da Soffiati, ex operaio che aveva allora40 anni ca; un’altra ancora ricordata dall’exbracciante Angelo Roccio come cantata a Mon-ticello, paese della provincia di Novara). Altralezione è stata raccolta a Milano nel 1964 dall’in-formatrice Albertina Medici, nativa di Moglia(Gonzaga), che aveva fatto per molti anni lamondina nel Novarese-Vercellese-Pavese e che

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diceva di averla appresa a Modena. Un’altra le-zione – la più completa tra quelle conosciute –venne cantata da Bruno Barbiani (che ne è ilportatore) nella comunicazione-spettacolo delGruppo di Calvatone e della Lega di Cultura diPiàdena I giorni cantati, a Urbino, presso il Cir-colo La Comune, il 30 gennaio 1975. Ripor-tiamo il testo, così come è pubblicato in La Lega.Dieci anni di attività delle Leghe di cultura e deigruppi del Cremonese e del Mantovano, Piàdena,Lega di Cultura di Piàdena, 1976, p. 108 e sg.:«È ’rivato l’ambasciatore/ con la falce e col mar-tello/ È ’rivato l’ambasciatore/ è sparito il man-ganello/ se uniti saremo tutti/ contro gli ampro-fittator/ siam compagni al lavor/ siamo tuttifratel/ ora basta col manganel// Per vent’anniabbiamo patito/ sotto il regime di schiavitù/ senon eri iscritto al partito/ di parlare non avevi ildiritto/ soffocavano tutte le idee/ con la forzastrozzava il pensier/ ma gli avventi del mesed’aprile/ che ha fatto gioire tutto il mondointer// È arrivato l’ambasciatore ecc.// Ora tuttidobbiam lavorare/ col piccone la penna e il mar-tel/ se vogliamo l’Italia rifare/ da questo grandeterribile male/ Parassiti mettetevi in testa/ è fi-nito il bel tempo che fu/ e l’Italia così rinnovata/la vecchia masnata non torna mai più/ e l’Italiacosì rinnovata/ la vecchia masnata non tornamai più// È ’rivato l’ambasciatore ecc.».

Questa lezione – come del resto quella can-tata dal Vibbia – risale con ogni probabilità aimesi immediatamente Posteriori alla Libera-zione.

2. L’ITALIA L’È MALADA TOGLIATTI L’È IL DUTUR

Questo riadattamento della nota strofetta can-tata dai contadini nel Mantovano durante ilprimo grande movimento proletario di massaverificatosi nel nostro paese noto come “Laboje!” (1882), strofetta che del resto parrebbeaver avuto delle ascendenze già risorgimentali, ciè stato cantato da una ex mondina emiliana aBrescia, nel 1964.

Tra le numerose testimonianze sulla popola-rità de L’Italia l’è malada nel corso del secondodopoguerra ci limiteremo qui a ricordare quellereperite in cui figura il nome di Togliatti: nel1963 Pierino Mora, ex bracciante, nato nel

1921, comunista dal 1947, allora abitante a Gra-nozzo (Novara), ricordava di aver sentito can-tare nell’immediato secondo dopoguerra, damondine che lavoravano nei pressi del paese:«L’Italia l’è malata/ Togliatti è un buon dottore/per guarir l’Italia/ taiém la testa ai sciur».

La melodia era quella della Canzone dellaLega (vedi Avanti popolo alla riscossa. Antologiadella canzone socialista in Italia, Milano, i dischidel sole, DS 158/60, marzo 1968; e, più fedeleall’originale, l’esecuzione compresa in Canti einni socialisti 2, Milano, i dischi del sole, DS 9,1964). Un vecchio militante socialista di Ferrara,conosciuto a Novara come “Bartula”, era invecesolito ripetere questa frase: «Se l’Italia l’è ma-lada, Nenni e Togliatti l’è dutur» (testimonianzadel figlio, 1963).

Per più dettagliate informazioni sulle trasfor-mazioni de L’Italia l’è malada dalle origini a oggirimando alle mie note nel fascicolo accluso aldisco Il bosco degli alberi. Storia d’Italia dal-l’unità ad oggi attraverso il giudizio delle classipopolari. Rappresentazione in due tempi, a curadi Gianni Bosio e Franco Coggiola, Milano, i di-schi del sole, DS 307/9-310/12, novembre 1972(si vedano le note ai testi 12, 26, 33 e 40, corri-spondenti alle riesecuzioni di varie lezioni deL’Italia l’è malada).

In aggiunta mi limito a segnalare, per quelche riguarda le ascendenze risorgimentali delcanto, anche questa strofa di un inno raccoltonelle campagne toscane, risalente alla guerra del1859: «E Leopoldo gli è malato,/ Garibaldi è ilsuo dottore,/ Manuelle imperatore/ lo vogliamoincoronar» (vedi Il Canzoniere nazionale 1814-1870 raccolto, ordinato e illustrato da Pietro Gori,Firenze, Salani, 1883, p. 597).

3. QUATTORDICI LUGLIO ALLE UNDICI TOGLIATTI

Testo e melodia di ignoto.Reg. di Franco Coggiola, Trino Vercellese,

Vercelli, 1 dicembre 1968, inf. coro delle mon-dine di Trino Vercellese (Maria Gennari, AngelaIrico, Giacomina Millo, Franca Saettone, Ma-riuccia Viotto).

Questa registrazione è stata già pubblicatanel disco Palmiro Togliatti, Milano, i dischi delsole, DS 61, 1969.

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Le informatrici indicano come autrice del canto– che è sull’aria di Addio padre e madre addio –una loro compagna, ora defunta, di nomeEmma Savio. Tale attribuzione è tuttavia moltodubbia, anche alla luce di un canto trasmesso daValeria Caparrini di Firenze a Leoncarlo Setti-melli, e da lui pubblicato col titolo Canzone diTogliatti come «testo di autore anonimo, su me-lodia usata comunemente dai cantastorie to-scani» (vedi Canti socialisti e comunisti, a cura diLeoncarlo Settimelli e Laura Fatavolti, Roma,Savelli, 1973, p. 115 e sg.). Lo riportiamo qui diseguito: «Il 14 luglio alle undici/ Togliatti uscìdal parlamento/ fu colpito così a tradimento/gravemente ferito restò// Dal senato Rita Mon-tagnana/ accorreva vicino al marito/ all’ospedaledissanguato e sfinito/ con la morte lui stava alottar// L’onorevole professor Valdoni/ gran chi-rurgo di fama mondiale/ per salvare Togliatti dalmale/ procedeva all’operazion// Per salvare To-gliatti dal male/ centinaia di donatori di sangue/nel corridoio un infermiere all’istante/ si faavanti e poi dice così// “Io sono un democri-stiano/ ma dono volentieri il mio sangue/ perTogliatti che soffre e che langue/ perché meritapoterlo salvar”// Non appena si è spanta lavoce/ dell’infame e vile attentato/ tutto il popoloin piedi è scattato/ e il suo sdegno ha fatto sen-tir// Finalmente è il ventidue luglio/ otto giornigià sono passati/ si alza dal letto Togliatti/ redi-vivo chiamare si può// Interrogato dal procura-tore/ rispondendo alle sue domanda/ e parlandodel reo Pallante/ non nutriva né odio e rancor».

Come si può vedere, le prime cinque strofe diquesto canto – al di là di varianti, peraltro signi-ficative – presentano concordanze indiscutibilicon le cinque strofe di cui è composta la can-zone cantata dalle mondine di Trino Vercellese.

Noteremo inoltre come nella versione cantatadalle mondine di Trino Vercellese si attribuiscal’operazione a Cesare Frugoni. In realtà l’opera-zione venne effettuata da Piero Valdoni, mentreCesare Frugoni – chiamato a consulto da Val-doni stesso – prestò a Togliatti l’assistenza me-dica nei giorni successivi all’intervento. Il rap-porto tra canto e cronaca è puntuale e, peresempio, noteremo come Valdoni, in un’intervi-sta al settimanale Sud, dichiarò che «non manca-rono datori di sangue, primi fra tutti due che sitrovavano nel reparto, l’uno per visitare un in-

fermo, l’altro perché pochi minuti prima avevaportato la figlia diciottenne perché colpita da unattacco acuto di appendicite. Fra le personalitàpolitiche che andavano affollando il corridoio vifu una gara a offrir sangue» (vedi Conversandocon Togliatti. Note biografiche a cura di Marcellae Maurizio Ferrara, Roma, Edizioni di culturasociale, 1953, p. 376). Fra le centinaia di dona-tori di sangue furono prescelti un cuoco dellaAccademia per le guardie di Finanza e il fratecappuccino don Angelo Perini (vedi NICOLA

ADELFI, Indagine sull’attentato in L’espresso,Roma, 3 febbraio 1957).

Sempre sull’aria di Addio padre e madre addio– o su analoghi moduli da cantastorie – si cono-sce anche un’altra canzone sull’attentato a To-gliatti, dovuta a Marino Piazza. Pubblicata sufoglio volante (Il criminale attentato al tenace di-fensore del popolo lavoratore, Tip. Moderna, ViaCanonica 1), si può ora leggere nell’inserto aldisco Palmiro Togliatti, cit.; inoltre una lezionedi tale canzone si può ascoltare nel disco L’Or-dine Nuovo. Antologia della canzone comunistaitaliana, Milano, i dischi del sole, DS 161/63,marzo 1968 (si vedano le mie note al testo nel fa-scicolo accluso).

Le prime tre strofe del canto raccolto a TrinoVercellese hanno qualche labile analogia con laI, V e VI strofa della composizione di MarinoPiazza, assumendo poi uno sviluppo assoluta-mente autonomo.

4. SIAM NOI QUELLA FORZA SANA DELL’INDOMAN

Testo di Idilio Bolognini, melodia de La Paloma,canzone spagnola di Sebastiàn de Yradier(1809-1865).

Reg. di Isabella Dignatici Selmi e Bruno An-dreoli, Rovereto sulla Secchia (Novi di Mo-dena), 26 luglio 1974, Tenuta Cassina, inf.Imelde ex mondina della Cooperativa Agricoladi Rovereto.

Il 21 maggio 1974 a Ramiseto – racconta ilGruppo di drammaturgia 2 dell’Università diBologna – «ci fermiamo [...] al primo bar delpaese in alto dove sono raccolte parecchie per-sone. C’è anche un operaio dei telefoni, IdilioBolognini, che [...] canta questa canzone sul-l’aria della Paloma. Dice di averla scritta lui:

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“Siam noi quella parte sana degli italiani/ siamnoi che vogliamo la pace per l’indoman/ per noila speranza brilla sull’avvenir/ perché l’è giàtroppo lungo questo soffrir.// Siam stati parti-giani contro i fascisti/ una parte internati controi nazisti/ hanno versato sangue molti compagni/ma non per dar l’Italia agli americani//”. “Amvin al nervòs”, grida tra gli applausi. Poi conti-nua: “O colomba che sei/ della pace il vessillo/ti vogliamo con noi per nostro idillio/ verso la li-bertà.// Ma se un giorno verrà/ cambieremo go-verno/ e vivremo in amore fraterno/ con pace elibertà.// Quel dì che d’aprile tutti andammo avotar,/” – il 18 aprile, sottolinea – “quel dì siamostati in molti pronti a sbagliar/ fu allor che lapace stava in nostre man/” – “No chel manspòrch, chi”, intercala Idilio, mostrando le mani– “fu allor che ce l’han rubata i democristian//Hanno promesso pace lavoro e pane/ e invecehan dato insulti e galera e fame./ O colomba chesei della pace il vessillo/ ti vogliamo con noi pernostro idillio/ verso la libertà./ Pace per tutti!”.Idilio è di Succiso, 21 km da Ramiseto [...]» (daGRUPPO DI DRAMMATURGIA 2 DELL’UNIVERSITÀ

DI BOLOGNA, Il gorilla quadrumano, Milano, Fel-trinelli, 1974, p. 60 e sg.).

La canzone, che non sappiamo con quantaveridicità il Bolognini si attribuisce, venne can-tata dal 1948 al 1962 a Garbagna e a San PietroMosezzo, nel Novarese, soprattutto da risaioleprovenienti dal Modenese (da una reg. di Ce-sare Bermani, Milano, 1964, inf. Albertina Me-dici, che conosceva la canzone – nota anchecome La colomba della pace – e ne ha cantato trestrofe con ritornello, peraltro piuttosto sfatte).Un’altra lezione frammentaria (equivalente – esia pure con varianti – ai primi cinque versidella lezione data in questo disco) è stata regi-strata da Sergio Liberovici a Ronsecco, Vercelli,il 14 febbraio 1960.

La canzone è stata probabilmente scrittanella seconda metà del 1948, forse dopo l’atten-tato a Togliatti (14 luglio 1948).

Ricorderemo come esistesse tra le formazionigaribaldine operanti nella zona di Massa e Car-rara un’altra canzone sull’aria de La Paloma.Eccone un frammento, da me registrato nel1964 a Novara, nel Circolo “Riscatto Proleta-rio”, da informatore anonimo: «Sì un fascistavile morrà domani/ accoppali tutti quanti con le

tue mani.// Partigiano sei tu/ che hai difesol’onore/ nel tuo cuore c’è un nido d’amore/ cheattende solo te».

5. IGNORANTI SENZA SCUOLE

Parole e musica di Pietro Besate.Reg. di Gianni Bosio e Franco Coggiola,

Trino Vercellese, Vercelli, 17 settembre 1968,inf. il coro di mondine di Trino Vercellese(Maria Gennari, Angela Irico, Giacomina Millo,Franca Saettone, Mariuccia Viotto).

Scritta da Pietro Besate, n. nel 1920 a Borgo-vercelli, allorché era all’inizio degli anni Cin-quanta, responsabile della Federbraccianti pro-vinciale di Vercelli. Il Besate, che è poi diventatosegretario della Camera del Lavoro e in seguitodella Federazione del PCI di Vercelli, la scrissein occasione di un convegno del settimanale Noidonne. Per ulteriori notizie sul canto e su PietroBesate vedi la conversazione con lui a Vercelli,nella casa del Partito, il 24 ottobre 1965, ripor-tata per ampli stralci nel fascicolo allegato aldisco L’Ordine Nuovo ecc., cit.

6. MIRA LA RONDONDELLA

Testo di Silvano Spinetti, detto “Cicala”, sullamelodia di un girotondo per bambini.

Reg. di Sandro Portelli, Genzano (Roma), 9marzo 1970, inf. Silvano Spinetti (n. 1928;canto), Alberto Scipioni (n. 1913; violino), No-vatore Bernardi (n. 1915; chitarra), GoffredoPesoli (n. 1927;banjo).

Questo canto fu composto da Spinetti nel1949 omogeneizzando e organizzando con ma-teriale nuovo una serie di strofette già vagantinella tradizione. In questa esecuzione del 1970non mancano le attualizzazioni: tutta la strofasette, nella strofa dieci il nome di Longo al postodi quello di Togliatti, nell’ultima «pe’ riempiccele budelle/ ce vò Longo e Berlinguer» al postodi «pe’ magna’ ce vonno i piatti/ ce vo’ Nennicon Togliatti» (per queste osservazioni si con-fronti col testo pubblicato in SANDRO PORTELLI,Sempre si canta pure sul quartiere. La lotta delletecnedile in il nuovo Canzoniere italiano, Milano,Edizioni Bella Ciao, III serie, n. 2, dicembre

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1975, p. 62 e sg., dove si riporta tra l’altro un’al-tra lezione romana di Mira la rondondella).

Sulla figura di Silvano Spinetti, comunista,autore di varie canzoni, morto ne 1974, si vedaSANDRO PORTELLI, «La storia, non lo vedi, mar-cia verso la libertà», qui riportato in Appendice.

Per quel che concerne i personaggi citati nellacanzone, diamo qualche breve cenno biograficodi coloro che sono scomparsi da tempo dallascena politica: Giuseppe Romita (Tortona, 1887– Roma, 1958), esponente di primo piano delPartito Socialista Democratico Italiano, era mi-nistro dei lavori pubblici nel secondo governoDe Gasperi; Ernest Bevin (Winsford, 1881 –Londra, 1951), esponente del Labour Party, fuministro degli esteri inglese dal 1945. Si adoperòper rafforzare i legami angloamericani e, mal-grado il rifiuto di partecipare al processo di uni-ficazione economica dell’Europa, firmò il trat-tato di Bruxelles (1948) e il Patto Atlantico(1949); Harry S. Truman (Lamar, 1884-1972), fupresidente degli Stati Uniti dalla morte di Roo-sevelt (12 aprile 1945). Teorizzò la “dottrina Tru-man” che, con la pretesa di contenere l’espansio-nismo sovietico, fu – soprattutto attraverso ilPiano Marshall (giugno 1947) – lo strumentoideologico che avallò la penetrazione statuni-tense in Europa. Fu l’uomo della guerra fredda:tra i principali artefici della NATO (aprile 1949),il preteso sistema di difesa atlantica compren-dente l’Europa occidentale, decise l’interventodelle forze americane in Corea (giugno 1950);“Baffone” è naturalmente Giuseppe Stalin.

Nel 1949 Giulio Andreotti era Sottosegreta-rio alla presidenza del Consiglio, mentre Amin-tore Fanfani era ministro del Lavoro e della Pre-videnza Sociale. Mariano Rumor fu invece per laprima volta vicesegretario organizzativo dellaDC a partire dal 1950, sottosegretario all’Agri-coltura e Foreste nel 1951, e per la prima voltaministro (Agricoltura e Foreste) nel II ministeroSegni del 1959. È quindi probabile che anchequest’ultimo nome sia stato introdotto nel testoin epoca posteriore al 1949.

7. MATINATA

Parole di Giuseppe Miriello, musica di anonimo.Reg. di Angelo Matacchiera, Matera, 1963.

Esecutore anonimo (contadino poi emigrato inGermania), con accompagnamento di chitarra ecupa-cupa.

L’autore delle parole è un militante comuni-sta, allora addetto a una casa cantonale pressoMatera.

La registrazione fa parte di una raccolta di re-gistrazioni dovuta al giornalista Angelo Matac-chiera e dedicata alle numerose canzoni elettoralimaterane sorte in occasione delle varie consulta-zioni elettorali del dopoguerra sino al 1963.

Questa Matinata, scritta in occasione delleelezioni amministrative del 25 maggio 1952, èstata forse usata anche in campagne elettoralisuccessive. Ciò almeno farebbe pensare l’ac-cenno al «ministro Colombo», per la primavolta ministro (Industria e Commercio) nel terzogabinetto Fanfani del 1960.

La “matinata” è un canto carnascialesco diuso contadino che si “portava” dopo la mezza-notte. Dei giovani si riunivano e si recavano da-vanti alla porta di una casa dove sapevano cheera stato ucciso il maiale. Si avvicinavano in si-lenzio, consuetamente con basso tuba, fisarmo-nica, tamburo, cupa-cupa. Di solito la casa pre-scelta era quella di uno di condizione più elevatanella scala sociale, ma tuttavia ancora partecipedel costume popolare (fattore, massaro, capo deipastori, ecc.). Dopo avere bussato e ottenuta larisposta («Chi è?»), attaccava a suonare perprimo il basso tuba e poi si facevano le lodi deipadroni di casa, cominciando dal capo famigliae proseguendo con la moglie e i figli. Allora lafamiglia apriva e offriva salsiccia e vino, mentrei giovani ballavano (per ulteriori notizie si vedaConversazione a proposito della “Matinata” conalcuni emigrati di Matera. Novara, casa Ricciardi,domenica 24/3/68. Ore 18, pubblicata nel fasci-colo allegato a Antologia della canzone comuni-sta italiana. L’Ordine Nuovo, Milano, i dischi delsole, DS 161/63).

Questo genere di matinata politica si portavain giro per i sassi di Matera durante le campagneelettorali, prima dello spopolamento, quando –verso la metà degli anni Sessanta – con legge spe-ciale le grotte e le caverne furono murate e i loroabitanti trovarono alloggio in nuove borgate.

Altri canti di Giuseppe Miriello, appartenentiallo stesso gruppo di registrazioni effettuate daAngelo Matacchiera, sono stati pubblicati ne i

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dischi del sole: E lu menestre Colombe (I cantidel lavoro 4, DS 37); E lu menestre Colombe èvenute da Rome (L’Ordine Nuovo, cit., DS161/63); Da molti tempi stavo ditridanna (L’Or-dine Nuovo, cit. DS 161 /63): è anche questauna “matinata”, riferentesi alla consultazioneelettorale nazionale del 28 aprile 1963, cantatadal medesimo contadino che canta anche ilbrano qui pubblicato.

Traduzione: «La democrazia? Chi è?/ Orasono venuto ora sono arrivato/ che già la miavoce la conoscete.// E il venticinque di maggioche dobbiamo andare a votare/ il venticinque dimaggio che dobbiamo andare a votare/ non dateil voto ai democristiani!// La Democrazia dice“se mi votate/ mi dovete vedere al Comune”.//Al Comune abbiamo per chi votare/ la Demo-crazia la dobbiamo sotterrare.// Il ministro Co-lombo ordina ai sacrestani/ che suonino la cam-

pana per i democristiani.// Ma suonò la cam-pana d’allarme/ perché deve vincere il co-mune.// Attento che il suono della campana tifischia nel cervello/ perché viene lo stemma difalce e martello.// Dentro al cervello e dentro alcuore/ va piangendo perché sono guai per i de-mocristiani.// Che gentaglia la Democrazia/ rie-scono a sporcare persino dentro la fontana.//Quando si avvicina il giorno delle votazioni/ sisono rubate tutte le case.// Vota me che intantoti sto fregando/ con il pacco che hanno mandatogli americani.// Quando la votazione si avvicina/danno un altro pacco di formaggini.// Per fre-gare l’anima dei poveretti/ danno un altro paccodi maccheroni.// I maccheroni li dobbiamoprendere lo stesso/ la Democrazia dobbiamoprenderla per fame.// La votasse chi ha la pellebianca/ diamo la buonasera a tutti quanti».

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Nacqui nel 1890 a S. Elpidio a Mare, in provin-cia di Ascoli Piceno. Data la povertà in cui ver-sava mia madre, rimasta vedova prima che io ve-dessi la luce, la mia infanzia fu dura e senza sole.

Quando avevo appena tre anni, la necessità cicostrinse a trasferirci a Roma, dove poi ho quasisempre vissuto. Non ho mai amato questa città,così attraente per gli eroi della “dolce vita” etanto inospitale per la povera gente.

La miseria costrinse mia madre a farmi rico-verare nell’età più tenera in un noto “Protetto-rato” per l’infanzia, situato nel quartiere No-mentano, dove le avevano assicurato che misarei trovato molto bene, ma del quale, doposessant’anni, serbo ancora i più sinistri ricordi.

Avevo otto anni quando, essendo venuto amancare il filantropo che pagava la retta (aquell’epoca ce n’erano ancora), mia madre, piùpovera ed infelice che mai, mi riprese con sé e acosto di incredibili sacrifici riuscì a mantenermia scuola fino alla quinta elementare. Dopo diche, la necessità e l’irrequietezza mi costrinseroai più svariati lavori, dall’apprendista tipografoal commesso di cartoleria; dal fattorino di avvo-cato al copista di banco lotto, dal giornalaio al li-braio ambulante ed infine, fatto più adulto, alviaggiatore di commercio.

Fin dai primi anni nutrivo una immensa pas-sione, quella della lettura, e poiché vi fu un pe-riodo in cui, pur lavorando, disponevo per pran-zare di soli dieci centesimi, appena sufficientiper pagare un piatto di minestra in una cucinapopolare, preferivo acquistare con quei duesoldi la dispensa di un romanzo d’avventure, dimodo che il possedere un’opera di Emilio Sal-gari significava per me saltare per ventiduegiorni il pasto del mezzodì.

Le poche ore libere (e cioè quelle pomeridianedei giorni festivi, nei quali ero costretto a lavo-rare fino alle quattordici) le dedicavo, oltre chealla lettura, alla creazione di racconti di avven-ture che inviavo ai vari periodici di viaggi, alloramolto in voga, diretti da Salgari, Motta e Quat-trini, che venivano favorevolmente accolti perpoi apparire, illustrati da noti disegnatori, nelleprime pagine. Quei direttori, risiedenti nel nord,non immaginavano certamente che l’autore diquegli scritti avesse appena 14 anni... Uno diquei racconti (La pagoda dei settecento geni)venne anche riprodotto in quegli stessi volumiche contenevano romanzi di Giulio Verne e diEmilio Salgari. Naturalmente non ricevevo com-pensi di sorta...

La dura lotta per l’esistenza mi costrinse pre-sto ad interrompere definitivamente quella miaattività letteraria, e rimasto orfano anche dellapovera mamma, tirai avanti alla bell’e meglio, la-vorando come commesso del lotto e in modesterappresentanze commerciali fino al 1915quando, soldato, fui mobilitato per la guerra.

Avendo sinceramente creduto che quella del1914-18 fosse una guerra combattuta per la li-bertà dei popoli e per distruggere il militarismoprussiano che l’aveva scatenata, la delusione su-bita in seguito all’«inutile strage» mi rivelò chesoltanto il Socialismo è capace di assicurare, in-sieme alla pace, la risoluzione degli acuti pro-blemi sociali, e fin dalla primavera del 1917 sa-lutai con entusiasmo appassionato la lotta deibolscevichi in Russia, ed il grande Lenin divennesubito il mio maestro ammiratissimo ed adorato.Mi iscrissi così, all’inizio del 1919, al PSI dovetrovai tanti cari e indimenticabili compagni, perpassare poi al Partito comunista quando, due

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AUTOBIOGRAFIA DI SPARTACUS PICENUS

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anni dopo, questi venne fondato al Congresso diLivorno.

I miei primi versi sociali risalgono al 1914, masul finire del 1918, trovandomi degente in unospedale per una grave infermità contratta inguerra, ad un bravo sanitario nazionalista chenon si stancava mai di canticchiarmi La leggendadel Piave allora molto in voga, mi venne l’idea dirispondere con delle strofe cantate sulla stessaaria, nelle quali contrapponevo al Piave la Neva,gloriosa culla della rivoluzione. Il malato mio vi-cino di letto, un bravo operaio torinese, chel’aveva ascoltata con entusiasmo, volle trascri-vere di suo pugno le parole della Leggenda dellaNeva (che dovevano inaugurare la lunghissimaserie dei miei Canti di Spartaco) e questa can-zone egli la fece sollecitamente stampare per suoconto in un foglio volante a Torino dove ot-tenne, malgrado i madornali strafalcioni dellatrascrizione, un successo veramente strepitoso,diffondendosi immediatamente fin nei più sper-duti villaggi d’Italia, dove veniva intonata neicortei, anche con accompagnamenti di banda.Incoraggiato da tale accoglienza feci seguire allaNeva nuovi Canti di Spartaco, tutti sulle arie dicanzoni allora in voga: Viva Lenin!, Capinera, LaGuardia rossa, Sventola bandiera rossa, Bolscevi-smo, Canzone d’Albania e tante altre che incon-trarono eguale fortuna. Gli stessi capi del PSI neerano entusiasti. Così Luigi Polano ed EdoardoD’Onofrio, rispettivamente direttore e ammini-stratore di Avanguardia, organo ufficiale dellaGioventù Socialista Italiana, decisero di riem-pire l’intera prima pagina del numero specialedel Primo Maggio 1919 con le mie canzoni rivo-luzionarie più popolari. Sarebbe stata quella laprima edizione non clandestina dei Canti diSpartaco se la censura non avesse invece provve-duto a far uscire quella pagina completamentein bianco, costringendo così anche le mie can-zoni successive ad uscire in foglietti volanti clan-destini, eccetto qualche riproduzione apparsa supiccoli periodici socialisti di provincia, che po-terono sfuggire alle forbici della censura. Contri-buì notevolmente alla diffusione dei Canti diSpartaco l’indimenticabile compagno Voghera,segretario amministrativo del PSI che si incari-cava di distribuire i volantini delle canzoni dame affidategli alle varie sezioni del Partito, per-ché ne moltiplicassero le ristampe.

Il titolo generale di «Canti di Spartaco» si ispi-rava, come si comprenderà facilmente, al celebregladiatore ribelle e rendeva contemporanea-mente omaggio ai non meno eroici fondatori del«Gruppo Spartaco» in Germania, Carlo Liebk-necht e Rosa Luxemburg, assassinati dai fascisti.

Difatti nel frontespizio delle prime edizioniclandestine dei miei canti riprodussi un branodell’ultimo articolo che Liebknecht scrisse pocoprima di venire ucciso:

«Spartaco significa fuoco e spirito, significaanima e cuore, volontà e azione della Rivolu-zione del proletariato.

Spartaco significa tutte le miserie e la bramadi felicità, tutta la volontà di lotta dello schiavoche vuole spezzare le sue catene. Spartaco signi-fica rivoluzione mondiale».

Durante la prima guerra mondiale e neglianni che seguirono, i dirigenti del Partito socia-lista erano compagni modesti, cordiali e allabuona, e amavano il contatto coi compagni dibase e coi simpatizzanti che si recavano ininter-rottamente negli uffici della direzione, situati invia del Seminario a Roma. Quegli uffici avevanole porte letteralmente spalancate a tutti, con uncandore forse eccessivo. Nessuno di quei diri-genti si dava arie di super-intellettuale, né facevafare anticamera di 12 ore, come oggi qualche excantore del duce.

Lazzari, Vella, D’Amato, Marchionne, Gen-nari, Bordiga, Bacci, Serrati, Guarino, gli stessiriformisti ed i giovani D’Onofrio e Polano can-tavano volentieri, anche durante il lavoro, i mieiCanti di Spartaco. Nicola Bombacci fece piùtardi una brutta fine, ma non mi pare questo unmotivo per nascondere che, finché non passò alfascismo, egli si dimostrò con me sempre com-prensivo ed affettuoso. L’indimenticabile avvo-cato Mario Trozzi, deputato socialista, si assunsel’incarico di difendermi senza compenso al mioprimo processo e il non meno caro avvocato Al-bino Ciccotti mi assisté, anch’egli gratuitamente,in quelli successivi.

Fu proprio nell’autunno del 1919 che, fra iprimi in Roma, ebbi l’onore di assaporare la dol-cezza del manganello. Mi trovavo una sera apiazza Colonna coi compagni Lemmi, D’Amato,Mingrino e la moglie di quest’ultimo, quandofummo improvvisamente assaliti alle spalle daun foltissimo stuolo di fascisti armati. I miei

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compagni, e specialmente Mingrino, ex ufficialedegli Arditi in guerra e futuro Capo degli Arditidel Popolo, si difesero gagliardamente, mentreio, inerme e preso alla sprovvista, venni brutal-mente sopraffatto, ritrovandomi poco dopoall’Ospedale di San Giacomo con la testa rotta eun occhio in pericolo.

All’inizio del 1920 mi trovavo a Torino e queicompagni annunciarono sull’Avanti! e con ma-nifesti murali che sul palcoscenico del teatrodella Casa del Popolo, situato allora in corsoSiccardi, Spartacus Picenus avrebbe intonato lesue canzoni in una festa a beneficio dei Mutilatidella Lega Proletaria.

Non potevo rifiutarmi, sebbene fossi un can-tante veramente degno di pomodori marci. Lavasta sala era gremita ed i compagni piemontesimi fecero un’accoglienza entusiastica e commo-vente. Si reclama a gran voce il bis della Neva eViva Lenin!

Lo stesso Gramsci, che non conoscevo an-cora, venne ad abbracciarmi. Anche gli anar-chici e i redattori della quotidiana UmanitàNova mi vollero molto bene. Rammento il loropellegrinaggio affettuoso al mio capezzale, quan-d’ero degente al Policlinico. A Roma come a Fi-renze e a Bologna, a Milano come a Torinogruppi di giovani entusiasti si incaricavano dicantare in coro le mie canzoni, per popolariz-zarle, e le distribuivano ai passanti, le affigge-vano sui muri.

I primi Canti di Spartaco vennero intonati dairappresentanti socialisti italiani al Primo Con-gresso dell’Internazionale Comunista, svoltosinel 1919 a Mosca alla presenza del compagnoLenin il quale, a quanto mi venne assicurato, liapprezzò. Difatti vari di essi vengono tutt’oratrasmessi in lingua italiana da Radio Mosca,dopo che l’intera raccolta è stata tradotta inrusso ed in altre lingue.

Naturalmente tali canzoni sono state sempreaccanitamente avversate dalla stampa borghese,dai fascisti e, fino alla caduta del fascismo, dallapolizia. La prima giunse a calunniarmi dipingen-domi come un avventuriero ed i fascisti a darmila caccia. Questi ultimi vennero ad aggredirmi inospedali di varie città dove giacevo per le infer-mità contratte in guerra. Ma io non deposi lapenna neanche nei periodi più crudeli della do-minazione fascista, sebbene fossi privo di mezzi

e le difficoltà per diffondere tal genere di can-zoni fossero enormente aumentate.

Dal 1919 al 1944 i Canti di Spartaco oltre chenei consueti volantini apparvero anche in fasci-coli a grande tiratura che, date le circostanze,non potevano costituire certo modelli di arteeditoriale.

Sotto l’occupazione tedesca acquistarono po-polarità, anche fra la Resistenza, Cuori comuni-sti, Il cafone sanguinario, Compagno partigiano eLe Fosse Ardeatine. La vecchia Guardia rossa,dopo essere stata adottata quale Inno ufficialedel Partito Comunista d’Italia (Sezione dell’In-ternazionale Comunista), divenne, con Fischia ilvento (di altro autore), l’inno più popolare deipartigiani.

Ma i miei inni e canzoni migliori, sebbenemeno popolari in Italia data la scarsa conoscenzadei motivi (spietatamente boicottati dalla RAITV e da cantanti venali e ignoranti) sono quelliadattati sulle arie sovietiche. Le canzoni russe diAleksandrov padre e figlio, di Blanter, Mou-kroussov, Pokrass, Kaz, Dunajevsky, e soprat-tutto quelle di Soloviev-Sedoi, sono le più belle,le più suggestive, le più marziali del mondo, poi-ché raggiungono, talvolta anche superandole, lealte vette di Borodin e di Mussorgsky.

Per quanto appaia paradossale, la Radio delregime fascista (EIAR) fu, sotto taluni aspetti,meno volgare e settaria dell’odierna RAI. Difattiil suo organo ufficiale, il Radiocorriere, ai tempidi Mussolini e fino a quando questi entrò inguerra, soleva pubblicare regolarmente i pro-grammi di Radio Mosca e di altre stazioni del-l’URSS, mentre oggi lo stesso periodico conti-nua caparbiamente ad ignorarli, ad onta degliaccordi per gli scambi culturali. Senza dover ri-correre a ricerche segrete, appresi dunque dalRadiocorriere che ogni sera alle 23.55 il Krem-lino faceva udire le sue campane, seguite a mez-zanotte precisa da L’Internazionale. Figurarsicon quale entusiasmo ne approfittai! L’Interna-zionale, pur restando sempre in voga, fu poi so-stituita, nel corso della guerra, dal nuovo Innodell’Unione Sovietica del grande AlessandroAleksandrov, autore di centinaia di altri bellis-simi inni e canzoni di massa, nonché fondatoree direttore del coro dell’Esercito Rosso. L’Innodell’Unione Sovietica mi fece grandissima im-pressione e per riascoltarlo e impararlo a memo-

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ria dovetti trascorrere varie notti insonni percaptare le trasmissioni destinate all’America.Nacque così Salve, Unione Sovietica!

Seguirono poi, sempre su stupende arie dellostesso Aleksandrov, gli inni La sacra bandiera diLenin, Viva Stalin!, Brindisi alla classe operaia,Cantata a Stalin, Quel dì verrà! e La gloria diLenin e Stalin, che sono, musicalmente, quantodi più epico sia stato creato.

La direzione del coro dell’Esercito Rosso fuassunta, dopo la morte di Alessandro Aleksan-drov, da suo figlio Boris, anche egli fecondocompositore, la cui travolgente canzone-marciaEvviva la nostra grande potenza! diede anche alui la meritata fama. (è su tale marcia che ioscrissi L’Avanguardia del Popolo).

Il coro dell’Esercito Rosso visitò anche Lon-dra, New York e Parigi, riscuotendo ovunquesuccesso enorme. Sulle rive della Senna il primoad applaudirlo fu lo Stato Maggiore francese alcompleto. Questa casta di idee conservatrici, madi cultura raffinata, rendeva il dovuto omaggioall’Arte con l’A maiuscola, non importa se ema-nazione di un regime avversato... In Occidentefurono naturalmente Hitler, Franco, Salazar,Adenauer, Mussolini e i vari governi italiani, adare un implacabile ostracismo a quel Coro me-raviglioso.

Assiduo ascoltatore di Radio Mosca “sco-privo” sempre nuove canzoni l’una più sugge-stiva dell’altra, e così aumentavano spontanea-mente anche I Canti di Spartaco. Ma perottenere il sincronismo esatto, occorrevano lenote musicali e per me, che non so leggere lamusica, anche i dischi grammofonici. A guerrafinita potevo richiedere le une e gli altri alla Me-zhdunarodnaja Kniga di Mosca. Trattandosi diuna regolare operazione commerciale questa mispediva tutto, ma prima di consegnarmi i dischila dogana italiana mi costringeva a peregrinareper anni ai quattro punti cardinali, facendomidei dispetti diabolici che descrissi su Il Paese inun articolo intitolato Grave delitto in Italiaamare la musica russa: l’incredibile odissea di uncittadino.

Una volta in possesso dei dischi ed apprese learie, io creavo facilmente le parole italiane chepoi, con l’aiuto di un pianista fidato, trascrivevoinsieme alla musica, sul pentagramma. Tuttoquesto richiedeva fatiche, pazienza e denaro, ma

mi procurava anche molta felicità, dato che lafede smuove le montagne.

Oh, se avessi anch’io a disposizione la RAI ela TV, come oggi l’hanno tanti insigni analfabeti!

Dopo la liberazione di Roma la pubblica-zione dei miei canti venne finalmente autoriz-zata, sebbene non mi venisse risparmiato qual-che processo penale. Editori di terz’ordine nestamparono centinaia di migliaia di copie, fa-cendo delle ottime speculazioni. Dato che certecose non si scrivono per lucro, io non ho mai ri-chiesto la protezione della Società degli Autori,alla quale del resto non mi sono mai iscritto.

Se dal 1944 non ho avuto noie dalla Polizia,la diffusione dei Canti di Spartaco è stata ostaco-lata, in Italia, proprio da coloro che avrebbero ildovere e l’interesse di favorirla. Ma a questoproposito il discorso sarebbe troppo lungo e pe-noso. Vari sedicenti «intellettuali progressisti»,provenienti dal fascismo, aborrono tutto ciò cheè genuinamente popolare, mentre si sdilinquonoper i versi astrusi e le volgari canzonette oggi invoga, e mi hanno sempre amato come il fumonegli occhi. Inoltre, mentre nell’Unione Sovie-tica Lenin, Stalin e Krusciov (per citare i capimaggiori) hanno sempre intonato con entusia-smo i loro stupendi inni dinanzi ai compagni ditutto il mondo e all’intero corpo diplomatico, idirigenti del PCI rifuggono da manifestazionidel genere, quasi temendo che queste possanodiminuire il loro prestigio di gente seria. Eppurefra costoro ve n’è più di uno che, nel periodoeroico del Comunismo italiano, si risovvenivavolentieri di quei canti per intonarli, a fronte altae con fermo cuore, nel fondo delle galere fasci-ste, nelle trincee di Spagna e fra gli eroi della no-stra Resistenza...

Devo però riconoscere, manifestando ad essila mia gratitudine, che vari autorevoli compagni,tra i quali D’Onofrio, Sereni, Robotti, Enzo San-tarelli, Longo e lo stesso Togliatti, non mi hannonegato talvolta il loro appoggio, pure non riu-scendo a spuntarla sull’ostilità accanita degli excantori di Mussolini. Non è quindi da stupire se,in seguito a questo ostracismo sprezzante per lacanzone sociale, si verifica oggi in Italia il mo-struoso fenomeno di parolieri, “compositori” ecantanti da strapazzo che raccolgono allori e mi-liardi da banalissime canzonette che sono l’asso-luta negazione dell’arte e del buon senso.

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E radio e televisione gli tengono volentieri cor-done, per contribuire al progressivo imbestiali-mento (all’americana) del popolo italiano.

Le degenerazioni altrui, pur riempendomi diamarezza, non hanno però arrestata la mia atti-vità e così, per essere aggiornato, appena avutanotizia del volo del primo Sputnik dedicai adesso la canzone Il razzo sulla Luna alla qualeseguì, tra l’altro, su musica di Vassili Soloviev-Sedoi, La dolce vita. (Anche queste due canzoni,ben riuscite, perfettamente fedeli alla verità deifatti ed alla linea politica del Partito, furono ce-stinate da l’Unita per ostilità verso la personadell’autore).

Poiché qualcuno supporrà che anche io abbiaraccolto buoni frutti dal mio lavoro di mezzo se-colo, confesserò che dalla intera mia produ-zione, che supera le cento canzoni e migliaia diepigrammi e stornelli satirici, non ho mai rica-vato utili di sorta. Nemmeno per la mia collabo-razione ai quotidiani l’Unità e Il Paese (che hapubblicato per circa un decennio i miei versi sa-tirici), dalla direzione del PCI che nel 1954 pub-blicò il mio Canzoniere comunista in un elegantevolumetto, e così dagli editori e dalle radio stra-niere, ho mai ricevuto una sola lira. Vi è statauna sola eccezione: una importante casa musi-cale milanese ha pubblicato la mia GuardiaRossa anche in dischi. Questa casa, che com-pensa con milioni canzonettucole che non val-gono assolutamente nulla, a me ha versato perdiritti di stampa e fonomeccanici, in dieci anni,complessivamente quattromila lire, a saldo.

Ma per ottenere queste quattromila lire, neho dovute spendere ventimila per un avvocatoed esibire documenti della direzione del PCI at-testanti la mia reale paternità de La GuardiaRossa. (Fra parentesi confesserò che consideroquesto inno come uno dei più scadenti).

I canti rivoluzionari hanno avuto in ogniepoca la missione di suscitare entusiasmi ederoismi, galvanizzando i sanculotti col Ça ira; isoldati di Walmy con La Marsigliese e il Chantdu depart; gli insorti della Comune con L’Inter-nazionale; ed infine le guardie rosse della Rivo-luzione d’Ottobre, gli spartachiani tedeschi, glieserciti della repubblica spagnola, i partigianid’Italia, i combattenti di Mao-Tse-Tung, dellaCorea Popolare e del Viet-Nam con le travol-genti canzoni intitolate a Lenin e Stalin.

È ovvio che i canti sociali non hanno mai potutodisporre, in occidente, di teatri e schermi, diradio e televisione, e, meno ancora, di composi-tori proclivi a musicarli. Pierre Degeyter conL’Internazionale e Amintore Galli con l’Inno deilavoratori fanno parte delle eccezioni. D’al-tronde coloro che oggi usurpano il titolo dicompositore mancano totalmente della genuinaispirazione che, appena una generazione fa, di-stinse Mario, Rulli, Bixio, Padilla e Ruccione, esi preoccupano soltanto di accumular milionisenza il minimo sforzo creativo.

Privo della collaborazione del musicista e do-vendo lavorare spesso clandestinamente, il poetaribelle è quindi costretto a ricorrere alle arie dicanzoni preesistenti, non danneggiandone peròaffatto gli autori, dei quali contribuisce ad arro-tondare i proventi (difatti quando si eseguiva Laleggenda della Neva i diritti di autore andavanoassegnati alla Leggenda del Piave). Così il poetanon percepisce nulla e ci rimette spesso del pro-prio, non soltanto finanziariamente. Si aggiungach’egli rende spesso, coi suoi versi, quelle ariepiù vitali: chi rammenterebbe infatti i motividella Bella campagnola se Pietro Gori non liavesse adottati per i suoi Stornelli d’esilio?

Una dozzina di anni fa Mikhail Rogov, gentileaddetto culturale presso l’Ambasciata Sovieticain Italia, mi invitò a recarmi nel suo paese, di cuisarei stato ospite gradito per un mese, esortan-domi a provvedermi sollecitamente del passa-porto necessario. Ma essendo allora pendente amio carico un procedimento penale per una can-zone satirica da me scritta contro Kravcenko,autore del noto volume Ho scelto la libertà, ilpassaporto non poteva essermi concesso e fuicostretto a rinunciare, con immenso dolore, avedere realizzato il più bel sogno della mia vita:quello di contemplare con i miei occhi, final-mente, il paese del socialismo. Quando dettoprocesso fu discusso, la XI Sezione penale delTribunale di Roma mi assolse con formula piena,ma ormai il buon Rogov era partito da Roma peruna nuova sede e io, sia per timidezza che perun eccesso di riguardo, non credetti di rammen-tare la sua promessa agli addetti culturali che glisuccedettero e che, del resto, non vidi quasi mai.

Da quel giorno legioni di degni compagni ditutto il mondo ed anche numerosi nemici e de-nigratori hanno continuato a visitare, sempre ac-

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colti fraternamente, l’Unione Sovietica, ma a me,che fui il primo, fuori dei suoi confini, a cantarlain forma popolare e tanto appassionata, talegioia non è stata ancora concessa.

Anche ora, a età così avanzata, sono assillatodalla durissima lotta per l’esistenza. La mia mo-desta libreria, dove lavoro da tanti anni e che co-stituisce l’unica mia risorsa, è spietatamente av-versata dai reazionari, che a Roma sonooltremodo potenti, specialmente da quando lastampa ha stamburato ai quattro venti che fre-quentare tale libreria costituisce serio pericolo,essendo essa gestita da un feroce sovversivo au-tore di inni incendiari.

Ritornando a I Canti di Spartaco è ovvio che iguai cui ho accennato mi negano il tempo percercare un editore disposto a riunirli tutti in vo-lume. Del resto gli editori ritengono l’aria “de-mocratica” che spira oggi poco igienica per pub-blicazioni del genere e infinitamente piùredditizia quella delle orrende canzonette italoa-mericane imposte e popolarizzate dalla RAI TV.La diffusione delle mie canzoni, a differenza diquanto avveniva nel periodo glorioso della clan-destinità, è oggi ostacolata anche da chi non do-vrebbe negarmi il suo appoggio morale (quello

materiale è stato per me sempre un’utopia as-surda). Malgrado le gravi preoccupazioni, lafiamma dell’ideale mai si è spenta in me, ed inquesti ultimi anni ho fatto stampare alcuni Cantidi Spartaco a complete mie spese, per distribuirli“gratis”. Ma anche la distribuzione gratuita èstata boicottata da taluni “compagni” con acca-nimento degno di fascisti.

I miei inni che amo di più sono quelli dedicatia Stalin, che nel mio cuore rimarrà sempre il rea-lizzatore del Socialismo e della disfatta nazifasci-sta. Forse, senza l’opera di Stalin, oggi non esiste-rebbe più la stessa Unione Sovietica. Le accusedi Krusciov non possono convincermi. Al pari dimilioni e milioni di lavoratori io rimarrò fedele aStalin oggi come ieri, come domani, come sem-pre, fino alla morte e anche oltre la morte.

I soli giorni felici della mia vita sono stati il 17novembre 1917, il 25 aprile e il 2 maggio del1945. Il giorno più doloroso fu il 10 novembre1961, quando venne mutato al capoluogo delVolga il nome due volte eroico di Stalingrado.

Roma, 15 agosto 1962SPARTACUS PICENUS

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Le prime edizioni legali dei Canti di Spartaco sidevono a dei distributori romani di giornali chesapevano fare le cose in grande stile, organiz-zando la vendita presso tutte le edicole e soprat-tutto nei grandi comizi popolari a mezzo di ag-guerrite squadre di “strilloni”. Un giornalaio diAncona mi assicurò, nel 1945, di avere esauritinella sua edicola i cinquecento fascicoli dellemie canzoni, giuntigli da Roma, in una sola mat-tinata. Al primo grande raduno di Partigiani aRoma, i rivenditori furono da questi presi lette-ralmente d’assalto sotto i portici di Piazza del-l’Esedra, esaurendo in un baleno tutte le mi-gliaia di copie che avevano portato seco,sebbene ne avessero, per l’occasione, triplicatoil prezzo. Accadeva poi che, nelle altre città,chiunque voleva li ristampasse liberamente, fa-cendo ottimi affari. E l’autore si riteneva com-pensato più che a sufficienza dalla gioia che pro-vava udendoli cantare ad ogni passo.

Ma egli avrebbe desiderato, come desideraancora, una raccolta veramente completa e inedizione più elegante, simile a quella di canzo-nieri meno noti pubblicati, ad esempio, da Ei-naudi, da Feltrinelli e dagli Editori Riuniti ap-pena un anno fa...

Poco dopo la ricostituzione legale del PCI, ilsuo Vicesegretario, compagno Luigi Longo, siofferse di far pubblicare I canti di Spartaco acura del Partito ed io, molto lieto, mi affrettai aconsegnargli i testi insieme alla musica disponi-bile, ch’egli passò subito al Dirigente la Sezione

Culturale, compagno Emilio Sereni. Questi miconvocò alle Botteghe Oscure per annunciarmiche entro una settimana sia I canti di Spartacoche gli stornelli e le pasquinate, si troverebberoin tipografia. Sereni fu con me, secondo il suocostume, molto gentile e cordiale e manifestòanche la sua ammirazione per «l’efficacia con cuisapevo esprimere i sentimenti e le proteste delpopolo sofferente» e scusandosi «se il Partitonon mi aveva ancora tenuto nella considerazioneche meritavo».

Passarono però dei mesi senza notizie, edavendone poi io richieste, appresi che i mano-scritti erano da tempo passati all’Ufficio delcompagno Giancarlo Pajetta che si occupavadella stampa. Quando gliene parlai, Pajetta cad -de dalle nuvole, avendolo i suoi segretari tenutoall’oscuro della cosa. Egli, adirato, li rimproverò,ordinando che gli portassero immediatamente imiei manoscritti, ma questi, purtroppo, non fu-rono più rintracciati e sebbene io ne presentassipoi una nuova copia, la pubblicazione finì, dopovari rinvii, per andare in fumo. Com’è naturale,io protestai vivacemente, e ciò mi attirò l’avver-sione della giovane burocrazia e della stampa delPartito, e specie di taluni che dovevano in se-guito “scegliere la libertà”.

Il compagno Fulvio Iacchia si offerse a suavolta di far stampare le canzoni migliori a curadella Federazione romana di cui era Dirigente,ma la parola d’ordine per il mio ostracismo do-veva già circolare, poiché dopo avermi fatto pe-

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APPENDICE ALL’AUTOBIOGRAFIA

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regrinare per mesi agli Uffici del Corso Rinasci-mento, anche il progetto di Iacchia sfumò el’ostilità nei miei riguardi si accentuò. E conti-nua tuttora.

Sono trascorsi una quindicina d’anni daquando Michele Pellicani mi invitò a partecipareal concorso per una canzone sociale indetto dalperiodico Vie Nuove di cui era Vicedirettore.Aderii volentieri e gli portai il giorno stesso tremie canzoni inedite. Dopo qualche tempo fuiconvocato alla Direzione di Vie Nuove dove ilredattore capo Tuscer mi comunicò, con evi-dente compiacimento, che una delle mie tre can-zoni era risultata vincitrice dell’unico premio inpalio, aggiungendo: «Peccato che i premi nonsiano tre, che in tal caso li avresti vinti tutti!».Mi aveva voluto anticipare la notizia, in attesache la vedessi confermata nel prossimo numerodella rivista. Ma quando questo uscì con l’esitodel concorso, lessi con sorpresa che il premioera stato attribuito ad altri. Oltre alla canzonedichiarata vincitrice, ne furono pubblicate altrecinque alle quali era «riconosciuto un certo va-lore». Ma nessuna delle mie venne menzionata,sebbene esse fossero realmente superiori. Dopotanti anni non sono riuscito a conoscere il per-ché di tale voltafaccia. Eppure il buon Tuscer miaveva parlato in buona fede!

Ecco un altro fatto ugualmente significativo.Da parte di taluni dirigenti di Via delle BottegheOscure mi fu proposto di fare incidere unaparte dei Canti di Spartaco da una casa discogra-fica di Torino, di proprietà del Partito. Poichéciò mi lusingava molto, consegnai a quella Casatutto il materiale possibile e immaginabile, masono passati vari anni e di quei dischi non ne hovisto neppure l’ombra, e tutte le mie richieste dinotizie attendono ancora l’onore di una rispo-sta. E di fatti del genere potrei citarne ancoraparecchi...

Vi furono però, e a più riprese, altri tentatividi autorevoli e cari compagni, tra i quali Edo-ardo D’Onofrio, per far pubblicare i miei lavori,ma la loro fu sempre fatica sprecata.

Poiché le offerte di pubblicazione mi eranosempre venute, e spontaneamente da parte delPartito, il mio risentimento non può non essereconsiderato illegittimo, tanto più che invece chedi amor proprio, io ne faccio una questione diprincipio.

È vero che, finalmente, nel 1954, e forse in se-guito alle mie proteste, i compagni Togliatti, G.C. Pajetta e Robotti, fecero finalmente uscire, inun bel volumetto, una selezione di mie canzonisotto il titolo Canzoniere comunista di SpartacusPicenus, ma per quanto si trattasse di una edi-zione del Partito, l’Unità e il resto della stampanon la degnarono di un cenno. Malgrado ciò,quel volumetto si esaurì in pochissimi giorni, eprima ancora che una sola copia potesse varcarei confini del Lazio. Il resto d’Italia ignorò cosìl’avvenuta pubblicazione, grazie alla congiuradel silenzio.

Può darsi che oltre all’ostilità della giovaneburocrazia e della stampa, a questo abbiano con-tribuito altre cause, ma io ancora non le conosco.

Non è mancato qualcuno che, allo scopo direndermi ridicolo, inventò addirittura che io miritengo un secondo Dante Alighieri! Si trattadegli stessi opportunisti che, dopo aver portatoStalin alle stelle, fingendo di adorarlo come unDio quand’egli era all’apogeo della Gloria, getta-rono poi con fantastica disinvoltura, obbedendoad una parola d’ordine, fango sulla sua memoria.

Avendo constatato per decenni che i mieicanti infiammano lo spirito delle masse, è ovvioche quando il PCI si offrì spontaneamente diampliarne ancor più la diffusione, mi aspettavoche le promesse fossero mantenute. Ed è pro-prio questa pretesa che si rimprovera a me cheho sempre inteso servire con purità di cuore econ un disinteresse sconosciuto ai miei persecu-tori, la bandiera che il Partito ha sempre svento-lato, la bandiera di Lenin e Stalin, di Gramsci edi Mao-Tse-Tung.

Circa il valore dei miei versi, riconosco volen-tieri che essi sono tutt’altro che danteschi o dan-nunziani, ma affermo altresì che per delle can-zoni vanno benissimo. Essi sono comunquesuperiori ai volgari aborti che i “festivals”, laRadio e la Televisione propinano incessante-mente al popolo italiano, allo scopo di abbru-tirlo. La pretesa che uno “chansonnier” popo-lare deve essere all’altezza di un Grande Poetaclassico mi appare grottesca, se non addiritturain malafede. Pretesa ancor più bestiale è quelladi ricercare nei Canti di Spartaco quei versi er-metici ed astrusi, ospitati anche dai giornali disinistra, che mandano in estasi i degenerati, mache il popolo e i veri intellettuali aborrono come

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la peste. A mio avviso il verso cantato deve re-stare quello che fu sempre nei secoli: semplice,cristallino, accessibile a tutti.

Quanto al Partito politico che ho sempreamato, ormai non spero più ch’esso facciaonore, sia pure con decenni di ritardo, alle sueripetute promesse, per quanto le mie canzonisiano indubbiamente utili alla sua propaganda(io le scrissi proprio a tale scopo). Ma vorrei sol-tanto che mi facessero CONOSCERE UNABUONA VOLTA I MOTIVI DEL TRATTA-MENTO USATOMI.

Qualche avvisaglia che il vento cominciava acambiare mi era già giunta subito dopo la ca-duta del Fascismo, fin da quando uno dei nostriCapi più eminenti mi domandò in tono quasipreoccupato: «Le tue canzoni vengono nuova-mente cantate in ogni angolo d’Italia, esatta-mente come nel 1919. Ma quante milioni dicopie ne stampano questi tuoi editori? Quandodunque si arresterà questa fiumana?». A me na-turalmente parve strano che a dei comunisti nonriuscisse gradita l’esaltazione del Comunismo...

A non parlare di talune contraddizioni. Lostesso giorno, in cui in Federazione mi mostra-vano una nota della Direzione che la esortava adare ai miei lavori la massima diffusione, venivochiamato nella camera accanto dove un bravoed aitante giovanotto mi leggeva un altro fogliodove si condannava una mia canzone nella qualeasserivo che Lenin era stato accolto dalla plebecome un novello Gesù...

Mentre la Direzione e la Federazione Provin-ciale di Roma prometteva di pubblicare I cantidi Spartaco un Quaderno dell’Attivista esortavacontemporaneamente i compagni a smetterla diintonare certe «canzoni trucolente» e di limitarsia L’Internazionale, all’Inno dei Lavoratori e aBandiera rossa, tutt’al più a La Guardia Rossa . Amio avviso truculente potevano essere conside-rate da qualcuno Il Cafone sanguinario, Nelnome di Lenin e L’Esercito rosso verrà che avevoscritto sotto l’oppressione nazifascista nel climadella guerra civile, e nelle quali si incitava allosterminio degli assassini del popolo italiano. Macon tale circolare si mirava a condannare inblocco l’intera mia produzione, anche quella in-tonata alla nuova linea politica del Partito, anchela più idillica e democratica. Si volevano cosìprendere due piccioni con una fava: punirmi per

la mia arditezza di pretendere il mantenimentodella parola data e dimostrare indulgenza versoi fascisti per i quali anche Togliatti nella sua qua-lità di Guardasigilli e con nobile intento di paci-ficazione, firmò la famosa amnistia che anche inpoesie dialettali, io giudicai inopportuna e con-troproducente, essendo i fascisti a mio parere as-solutamente refrattari ad ogni ravvedimento. Di-fatti essi manifestarono a Togliatti l’unicariconoscenza di cui fossero capaci, crivellandolodi proiettili in un vigliacco agguato sulla portadel Parlamento. Ecco l’infame aneddoto che icriminali fecero circolare per l’occasione: «Vo-lete conoscere il significato delle lettere S.P.Q.R.che si leggono nello stemma di Roma? SonoPoche Quattro Revolverate».

Ai tempi di Negarville, di Spano e di Monta-gnana l’Unità gradì e talvolta richiese essa stessala mia collaborazione ma le cose cambiarono ra-dicalmente quando la Direzione del giornalepassò ad altri. Se poi il quotidiano Il Paese con-tinuò per molti anni a porre in prima pagina,nella rubrica “Lanterna” i miei epigrammi estornelli satirici, ciò fu per volontà personale deisuoi Direttori Smith e Melloni che mi apprezza-vano e mi vollero bene. Vada ad essi, anche oggi,il mio affettuoso ricordo.

A proposito di concorsi, due anni fa un bana-lissimo rotocalco immensamente diffuso e spe-cializzato in canzonette italoamericane, ne in-disse uno per dei versi da servire appunto percanzoni da musicare. Poiché l’argomento datrattare era libero, Natale Polci, per quanto nu-trisse, al pari di me, scarsa fiducia sull’intelli-genza e nell’imparzialità della giuria, volle parte-ciparvi con una canzone molto graziosa edespressiva, inducendomi ad imitarlo, non fossealtro che per constatare se il nostro scetticismofosse fondato. Fu così che inviai a quel concorsouna canzone dalla quale la politica era assoluta-mente esclusa, ma che auspicava la concordia tratutti i popoli, una canzone che anche un preteavrebbe sottoscritto volentieri. Si intitolava ap-punto Viva la pace! e non era firmata col mionome di battaglia. Come noi prevedevamo, tuttii premi furono assegnati a lavori che non pote-vano essere più idioti e sgrammaticati, mentre inostri, superiori per la forma ed il concetto, nonfurono nemmeno presi in considerazione. Mi in-dignò l’ingiusta bocciatura di Polci, poeta di in-

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dubbia genialità, ma in quanto a Viva la pace! sa-pevo già che l’argomento non poteva riuscirsimpatico a gente che doveva la fortuna, la famae la ricchezza proprio a quella guerra che ha ca-povolto ogni valore estetico e morale.

I due concorsi accennati sono i soli cui hopartecipato durante la mia vita. E saranno anchegli ultimi.

Per finire: nel 1962 uscirono I canti politiciitaliani dal 1793 al 1945 a cura di L. Mercuri eC. Tuzzi. Nei due volumi “I canti di Spartaco”

ed il loro autore non sono neanche menzionati.Eppure è generalmente riconosciuta la loro pre-minenza nella storia della canzone politica! Poi-ché i due suindicati volumi sono usciti propriodagli Editori Riuniti, emanazione del PCI, nonsi potrà certo giurare che l’omissione sia dovutaad amnesia!

Roma, 20 dicembre 1963SPARTACUS PICENUS

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Le canzoni e gli inni del popolo sono un buoncampo di studio per chi voglia fare della “psico-logia delle folle”. A questo svolto della storia incui ci troviamo, la rivolta aleggia nelle poesie enei canti del popolo. È un fatto sintomatico, cheha un certo valore.

Tra le canzoni sovversive più diffuse, da qual-che mese a questa parte è la canzone VerràLenin! in cui il «soldato», la «pallida figliuoladella via», il «figlio dell’ergastolano» invocanoLenin, che è detto «faro di giustizia e libertà»,tutto questo mescolato a luoghi comuni di pen-siero e di forma. Non si può pretendere troppoda uno scrittore di canzoni popolari e gli si puòperdonare di tutto cuore, data la buona inten-zione e l’entusiasmo trasfuso nelle rime, i suoipeccatucci poetici ma si deve, a mio parere, nonfacilitare il diffondersi di canzoni che possonodiffondere certi concetti falsi della rivoluzione.Uno dei concetti è appunto quello che è com-preso ed espresso nel ritornello Verrà Lenin!

Noi abbiamo sempre teso a valorizzare il pen-siero e l’azione dell’individuo di fronte alla col-lettività ed abbiamo sempre combattuto il rigidoed unilaterale materialismo storico di quei mar-xisti che sconfinano dal campo del determinismoper entrare in una specie di interpretazione fata-listica dei fatti della vita dei popoli, senza peròricalcare le orme del Carlyle che fece della storiadei popoli una serie di biografie illustri, identifi-cando i complessi e vasti fattori di rivoluzione edi evoluzione col genio e l’opera degli Eroi.

Se riconosciamo che gli apostoli, gli eroi e imartiri sono i più grandi agitatori di idee e di uo-mini, pur tuttavia sappiamo – e vogliamo che lefolle lo sappiano – che non è dall’alto di una tri-buna o d’un patibolo che esse debbono aspettarela redenzione, ma operarla esse stesse poiché ilverbo sarebbe il grano gettato sulle nude pietree fra gli sterpi di cui parla la parabola dei Vangelise non trovasse menti e cuori disposti a pene-trarlo e a farlo proprio, poiché la redenzione ri-marrebbe sempre allo stato potenziale se le

masse non avessero la buona volontà e lo spiritodi sacrificio di renderla in atto. Bisogna evitareche le masse attendano Lenin come il rosso pro-feta, che attendano il redentore-uomo, come gliEbrei attendono il redentore-figlio di Dio, poi-ché attendere un redentore è pensare la reden-zione come cosa che possa avvenire al di fuori eindipendentemente dalla volontà e dal sacrificiodi coloro che la desiderano. Le masse non hannoancora compreso che la rivoluzione non si at-tende, ma si vuole, si vuole e si fa. Il Verrà Lenin!si tira dietro il verrà la Rivoluzione!: due nonsensi che pure hanno radice nel fatalismo degliitaliani e in quel fondo di religioso senso diaspettazione che è uno dei più potenti elementidi conservazione dell’attuale stato di cose. Si dicaall’operaio che Lenin non calerà «rosso orsac-chiotto» giù dalle Alpi a liberare l’Italia, comeama ripetere in una ormai stereotipata quanto in-felice frase tribunizia Bombacci, e che non sideve attendere d’oltralpi la rivoluzione come altempo delle Signorie il popolo sperava la libera-zione dagli eserciti dei tiranni stranieri, ma pre-pararla e farla in Italia con tutte le nostre forze econ tutta la nostra audacia fattiva.

Pubblicato, non firmato, su Il grido della rivolta(Firenze) del 26 giugno 1920, sotto il titoloVerrà Lenin! L’attribuzione dello scritto è fon-data su questi elementi: Camillo Berneri era ilprincipale compilatore del giornale che pub-blicò l’articolo, i riferimenti alla psicologia dellefolle e alle idee di Carlyle indicano due temi chefurono sempre oggetto di studio da parte del-l’autore, la critica all’attendismo rivoluzionarioo pseudo-rivoluzionario torna in altri suoiscritti. Nell’articolo Considerazioni inattualipubblicato in Almanacco sociale illustrato pel1925 lo stesso Berneri scriverà: «Mussolini èduce, perché si gridava: Verrà Lenin!. La fiducianel Liberatore crea il tiranno».

[Nota di Pier Carlo Masini e Alberto Sorti]

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VERRÀ LENIN

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Nei vostri Dischi del Sole (Canti comunisti ita-liani 2, DS 12) ho ascoltato un’esecuzione dellaLeggenda della Neva che mi ha fatto accappo-nare la pelle. Basterebbe il fatto di aver trasfor-mato la Neva (cioè il fiume sulle cui rive di-vampò vittoriosa la grande Rivoluzione d’Otto-bre) nella «neve», per travisare il senso della mianota canzone che inaugurò, circa mezzo secolofa, la lunghissima serie dei Canti di Spartaco. Maaltri aspetti grotteschi presenta l’esecuzione in-cisa con tanta disinvoltura. L’incolto e sfiatatomenestrello di Alfonsine, dopo aver soppresseben tre delle cinque strofe, ha grossolanamentetrasformato le altre due, chiudendole infine conle parole «noi della borghesia – saremo il ter-rore!» che nella edizione definitiva, uscita legal-mente nel 1944 e che io avevo inviata moltotempo prima in omaggio, suonavano invece:«Muor con la tirannia – il regno del terrore!».Voi e i Dischi del Sole avreste dovuto basarvisulla stesura da me stesso inviatavi. A renderepoi addirittura ridicola la minaccia di terroriz-zare la borghesia è la voce del cantante che, nelpronunciarla, assume un tono fievole e treme-bondo, assolutamente incapace di allarmare fi-nanco un coniglio. Altro guaio è che il sotto-scritto, quale autore del testo, ci fa anche lafigura del perfetto analfabeta.

Certo io avrei preferito per i miei canti delle ese-cuzioni simili a quella della Guardia rossa nei di-schi Odeon e Parlophon di molti anni addietro,ma poiché a voi è mancata la possibilità di ac-contentarmi in ciò, avevo diritto di pretendereche almeno mi sottoponeste preventivamente ilnastro in esame. Ma poiché sono stato messopurtroppo davanti al fatto compiuto ed io sentofortemente menomata anche la mia dignità divecchio “chansonnier” rivoluzionario, per ripa-rare, almeno in parte, ai suddetti guai, è indi-spensabile che voi incidiate al più presto in unnuovo disco La leggenda della Neva nel suo testodefinitivo e integrale, la cui vendita, non ne du-bito, vi compenserà ad usura della spesa.

Se poi non troverete un cantante meno rozzodi quello di Alfonsine, mi assumerò io stesso dieseguire la canzone al magnetofono, improvvi-sandomi per l’occasione, a 75 anni, in ... “can-tautore”. Poiché la canzone politica è una cosaseria, tanto è vero che per l’incisione dei dischisovietici si ricorre sempre a grandi artisti edanche a quelli del Teatro Bolscioi, converreteche fra costoro e il cantante di Alfonsine correun abisso troppo, troppo profondo!

Roma, 5 novembre 1964Spartacus Picenus

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UNA LETTERA DI RAFFAELE OFFIDANI

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RISPOSTA DEL NUOVOCANZONIERE ITALIANO

Ci pare che i giudizi di Offidani sottintendanouna concezione della cultura piuttosto angusta ereazionaria, secondo la quale la canzone politicasarebbe cosa seria perché per le sue esecuzioni«si ricorre sempre a grandi artisti e anche aquelli del Teatro Bolscioi». La cultura – sembradire Offidani – è per definizione quella ufficiale.

La nostra concezione della cultura è inveceassai diversa: consideriamo cultura anche quel-l’insieme di tradizioni, modi di sentire, espe-rienze, ecc. – spesso autonomi e contrappostirispetto alle espressioni “ufficiali” – che caratte-rizzano il modo d’essere del proletariato. E cisiamo proposti di studiare questa cultura e letradizioni popolari per dare alla classe una pre-cisa consapevolezza dei valori che essa stessa èvenuta elaborando nel corso della sua storia.

Da questo punto di vista non ci è perciò pos-sibile condividere il giudizio che Offidani dà alleesecuzioni di Lionello Rambelli che, soprattuttonella Canzone d’Albania, ci sembrano delle va-lide testimonianze della partecipazione con laquale furono cantate le creazioni di SpartacusPicenus.

La decisione di pubblicare La leggenda dellaNeva, tra l’altro, fu proprio motivata dalle tra-sformazioni che il canto aveva subito nell’esecu-zione del Rambelli e che ci parevano documen-tare come il canto fosse divenuto intimamentepopolare. Quelle modifiche, che paiono a Offi-dani menomare la sua dignità di “chansonnier”

rivoluzionario, sono invece proprio l’indizio cheil canto è entrato a far parte della cultura musi-cale popolare che trasforma e adatta continua-mente alle diverse situazioni il “materiale” tradi-zionale. L’esistenza di numerose varianti delcanto è perciò una testimonianza del fatto che iCanti di Spartaco furono, in un certo periododella nostra storia nazionale, uno strumentodella cultura e dell’ideologia proletaria. È que-sto, ci sembra, il miglior successo che possa ot-tenere uno “chansonnier” rivoluzionario.

La lettera di Spartacus ci permette infine unaprecisazione: i canti d’origine popolare sono inUnione Sovietica eseguiti da complessi corali adalto livello del genere dell’Armata Rossa o dagliartisti del Teatro Bolscioi, ma si tratta di espres-sioni musicali che si ispirano indirettamente alfolclore e che rientrano d’altronde nella cultura“ufficiale” della società sovietica, ove lo studiodel comportamento sociale del mondo popolarenei suoi caratteri di autonomia e contrapposi-zione alla cultura “ufficiale” è stato lungamentetrascurato. La “rivoluzione culturale” si confi-gurò infatti – condizionata come fu dalla neces-sità di realizzare l’accumulazione primaria edalle arretrate condizioni economico-sociali –piuttosto come un adattamento dei nuovi valoririvoluzionari al vecchio fondo culturale che noncome l’elaborazione di una nuova cultura. E talicondizioni furono assai sfavorevoli per un liberosviluppo nel paese di una scienza del comporta-mento sociale del mondo popolare.

c.b.

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Vorrei dedicare qualche parola ad un compagnocomunista che è morto questa estate, da un mo-mento all’altro, dopo una sera passata a cantarecoi compagni. Si chiamava Silvano Spinetti, e loconoscevano tutti come “Cicala”. Le canzoniche aveva scritto – Mo’ che pure chist’americani,A Roma tanti e tanti pellegrini, Mira la rondon-della – si cantavano da anni a Roma tra i compa-gni che seguono il nostro lavoro, erano statepubblicate sul nostro bollettino, e una era finitapure sull’antologia della canzone di protestadella Newton Compton, dopo essere uscita nelcanzoniere delle canzoni comuniste delle Edi-zioni del Gallo. Eravamo passati da Genzano, ilsuo paese, anche per dirgli del libro, e ci hannodetto che era morto.

A Cicala del libro non sarebbe importato poimoltissimo, aveva il senso delle proporzioni. Lecanzoni le aveva fatte, da poeta popolare serio,per cantarle coi compagni – ai primi di maggio,alle feste dell’Unità quando ancora il posto dellacultura proletaria non era minacciato dalla Ca-selli – e non le aveva fatte per diventare famoso.Le cambiava senza stare a pensarci su, le aggior-nava a mano a mano che nuovi nemici di classesi aggiungevano ai vecchi bersagli della sua sa-tira. Erano canzoni efficaci, con un umorismo datoccare con le mani, con una fiducia incrollabilein un mondo fatto di uguali, in una storia che«marcia verso la libertà». Non voglio mitizzarlo

proprio adesso, i limiti c’erano: erano limiti po-litici anche seri, rischi di interclassismo, privile-gio della delega, ma erano limiti non solo suoi,bensì di un movimento molto più grande delsolo Cicala. Erano comunque limiti molto menogravi di quelli dei compagni rivoluzionari che,per paura di equivoci, cambiarono un verso diuna sua canzone e dove lui diceva «combatti perl’unità» gli fecero dire «combatti per “NuovaUnità”», per non confondersi col revisionismo.

Non so se Cicala avesse in testa “unità” ol’Unità; credo tutti e due. Certo è che settarionon è stato mai. Ricordo la prima sera che loandai a trovare, era appena tornato da una gior-nata a zappare in vigna. Gli dissi che cosa vo-levo, e che ero un compagno. «Di che sezione?»disse lui. «Nessuna sezione, sono del Manife-sto». Erano appena stati radiati Natoli e gli altricompagni. «Del Manifesto? Vieni qua, mettitiseduto, bevi un bicchiere. Spiegami». Cicala vo-leva sapere, in sezione se ne doveva discutere,mi disse, ma non se ne discuteva mai. Ci la-sciammo quella sera con due impegni da partesua, per due riunioni da organizzare: una per re-gistrare le sue canzoni con un gruppo di suona-tori, e l’altra per parlare del Manifesto con deicompagni che, come lui, volevano capire da sé.

La prima che facemmo fu quella musicale, inuna cantina piena di botti di vino. C’erano trecompagni, una chitarra, un banjo usato da man-

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LA STORIA, NON LO VEDI,MARCIA VERSO LA LIBERTÀ

(in ricordo di Silvano Spinetti)

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dolino, e un violino. Il violinista, soprannomi-nato Mastrobbio, era molto anziano, quasi cieco.Più tardi mi spiegarono che aveva imparato ilviolino a Ventotene, dove lo avevano confinatoperché nel ’36 aveva dato l’assalto armato, lui ealtri quattro compagni, all’ufficio fascista del la-voro di Genzano. Genzano è un posto fatto così;la chiamano «la piccola Mosca» (non è la sola:anche Cori, Civita Castellana e altre ancora re-clamano lo stesso titolo). Suonavano la musicadelle orchestrine da ballo dei Castelli Romani, imotivi erano quelli delle canzonette romane enapoletane, con qualche saltarello irresistibile eun Bandiera Rossa al violino e mandolino assaigodibile. Era una musica molto cittadina, qual-cuno poi sentendo il nastro mi disse che Cicalacantava come Rascel, il primo Rascel romanodell’avanspettacolo. Ma cantava senza bambo-leggiamenti, senza corrività, come se parlasse.Mi sussurrò all’orecchio di aspettare che fosselui a introdurre il discorso politico: «questi com-pagni sono un po’ rigidi», mi disse. Erano rima-sti a Stalin, non avevano destalinizzato proprio.Quando l’atmosfera si fu un po’ scaldata, a cena,Cicala avventurò timidamente: «Sapete, il com-pagno Sandro è uno di quelli che non sono staticontrari alle posizioni del compagno Natoli...».Suonavano, tra una portata e l’altra, ma a quelpunto la musica finì e cominciò una delle discus-sioni più feroci della mia vita, sospesa soloquando io e Cicala salutammo la compagnia perandarcene in una sala dove le compagne del PCIfesteggiavano – uomini non ammessi – l’8marzo. Per noi fecero un’eccezione perché Ci-cala portava la fisarmonica e io dovevo regi-strare, ero già d’accordo. Una compagna, MariaMartini, con una voce forte e bellissima, cantavai vecchi stornelli elettorali genzanesi: «Te lo cre-devi dotto’ Corese/ d’annà ar comune genzanese/non ce varai stavolta, non ce varai mai più/ perchéil Partito Comunista/ avanza sempre più». E can-tava una delle canzoni di Cicala, non nella ver-sione aggiornata che lui aveva cantato poche oreprima, ma nel testo originale, del tempo delfronte popolare. Le compagne cantavano tutte,ballavano fra loro, e si divertivano moltissimo.

L’altra riunione fu pure in una cantina, unadomenica pomeriggio. Andammo con DadoMorandi e Stefano Prosperi, arrivammo conun’ora di ritardo e dovemmo andare a racimo-

lare i compagni in piazza che ormai non ciaspettavano più. Morandi cominciò a parlare,cautamente per sondare il terreno, erano tuttibraccianti, operai, contadini. Ma a un trattoDante, detto “Tatta”, lo interruppe: «Scusacompagno, ma su lu sestu libbro de lu Capitalemica ce sta scritto cusì!». Sapevano tutto, maivista gente con una preparazione teorica comela loro. E mai vista gente così settaria. I più ac-cesi erano dei vecchi bordighisti, che erano ri-masti fuori del PCI da prima del fascismo;emarginati dalla politica attiva, avevano passato50 anni a discutere e accapigliarsi di teoria inpiazza. Cicala mi raccontò che una volta ave-vano fatto una riunione con gente dell’Unione,e li avevano messi sotto sul piano teorico; così iragazzetti m-l se ne erano andati infuriati, accu-sandoli tutti, braccianti, contadini e manovali, diessere dei «fottuti intellettuali». Cicala avevacon loro un rapporto curioso, un po’“paterno”,ma ci teneva a parlare, a confrontarsi con le loroposizioni come con quelle di chiunque altro chenon fosse a priori d’accordo con lui e col suopartito. Un altro, diceva, era luxemburghiano(poi si è fatto anarchico). Una sera in piazza miconfidò che l’ultima lotta seria a Genzano erastata fatta nel 1898; da allora in poi i dirigentiavevano sempre tradito le masse. Erano compa-gni un po’ patetici, forse fuori della realtà, maaccanitamente politicizzati, anche se pagavano50 anni di emarginazione.

Un’altra volta Cicala mi portò a registrareuna intervista con suo padre, Dandolo, che abi-tava a Montesacro, dove anche Cicala venivatutte le domeniche col camioncino a vendere ilvino della sua vigna. Suo padre era molto an-ziano, e anche lui aveva una vita di comunistaalle spalle, a partire dalle occupazioni delle terrenel 1910, quando nacque una canzone – I co-mandamenti del socialismo – che è oggi familiarea molti compagni a Roma. Dandolo Spinetti nonricordava tutti i dettagli molto bene, e non can-tava neppure troppo bene, ma sapeva tutti i vec-chi canti proletari, e mi fece spegnere il registra-tore per raccontarmi episodi di sparatorie nellestrade di Genzano durante il fascismo. Aveva lastrana convinzione che Marx fosse una specie difolksinger. «Io le canzoni le so tutte: La guardiarossa di Spartacus Picenus; Addio Lugano bella,Pietro Gori; L’Internazionale, Carlo Marx». Poi

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mi annunciò con solennità: «Adesso ti canto unacanzone che si chiama la Marzigliese, perchél’ha fatta Carlo Marz a Marziglia».

Ho riflettuto poi su questa curiosa immaginedi Marx, e ho capito una cosa importante. Laformazione politica e ideologica, la fede comu-nista di Dandolo Spinetti si erano formate e raf-forzate in gran parte attraverso le canzoni, cheerano state per lui un veicolo fondamentale diconoscenza. Perciò gli pareva naturale che ilfondatore del movimento comunista si fosse ser-vito delle canzoni anche lui per comunicare lesue idee ai compagni, e che il massimo teoricodell’Internazionale fosse anche l’autore dellacanzone che ne porta il nome e che, per Dan-dolo, ne riassume la linea.

Con Cicala presto il rapporto fu di amiciziafraterna. Si preoccupava della vita che facevo,che gli sembrava disorganizzata, e mi consigliavada compagno, senza immischiarsi. Mi raccontavai suoi problemi, il lavoro massacrante di tutti igiorni per realizzare la sola cosa che desiderava:una casa civile, nuova, in cui fare vivere sua mo-glie e le sue bambine. E anche questo c’entra con

la sua morte improvvisa, un infarto a 49 anni,ammazzato di fatica per un diritto essenziale.

Adesso noi a Genzano torneremo ancora,perché non è che con Cicala sia finita la culturaproletaria di questa «piccola Mosca». Cicala nonera un fenomeno isolato, ma il risultato di unastoria proletaria della sua città. Adesso cerche-remo di fare del nostro lavoro uno strumentoper dare continuità alla ricerca, uno spunto diorganizzazione culturale di base. Era per questoche Cicala si è battuto, per questo ha scritto lecanzoni e ha parlato con tutti i compagni; e pro-prio da lui abbiamo imparato per la prima voltache non si può andare in un posto, impararsiqualche bella canzone, e farci un disco o unlibro. Che per fare ricerca e musica popolare bi-sogna fare politica.

Sandro Portelli

[da I giorni cantati, Bollettino di informazione ericerca sulla cultura operaia e contadina a curadel Circolo Gianni Bosio, Roma, n. 5, ottobre/novembre 1974, pp. 3-5]

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