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MAGNETOTERAPIA  MAGNETOTERAPIA INNOVATIVA A BASSA FREQUENZA A SCARICA CAPACITIVA (1,4 Tesla) Testo di  Marco Montanari www.fieldsforlife.org Copyrigt © 2009 LICENZA PUBBLICA GENERICA (GPL) DEL PROGETTO GNU Documentazione distribuita con licenza GPL da www.fieldsforlife.org                                 1 

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MAGNETOTERAPIA

 

MAGNETOTERAPIAINNOVATIVA

A BASSA FREQUENZAA SCARICA CAPACITIVA

(1,4 Tesla)

Testo di  Marco Montanari

www.fieldsforlife.orgCopyrigt © 2009

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L'APPARECCHIO ELETTROMEDICALE QUI DESCRITTO

NON E'UN GIOCATTOLO

LA SUA RIPRODUZIONEÈ CONSENTITA

SOLO A SCOPO SCIENTIFICOE/O SPERIMENTALE

NON A SCOPO COMMERCIALEE/O INDUSTRIALE

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INDICE

Pag:

  4 UNA MAGNETOTERAPIA INNOVATIVA  4 ACCORATO AVVERTIMENTO AGLI SPROVVEDUTI

  5 PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO

  7 SCHEMA ELETTRICO ( PRIMO MODULO ) 10 “ ( SECONDO MODULO ) 12 “ ( TERZO MODULO ) 13 “ ( ALIMENTAZIONE 12V DC )

 14 COSTRUZIONE DELL'INTERFACCIA BIOFISICA

 17 ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 19 1° MODULO ­ ELENCO COMPONENTI

 20 2° MODULO ­ ELENCO COMPONENTI

 21 3° MODULO ­ ELENCO COMPONENTI

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UNA MAGNETOTERAPIA INNOVATIVAColoro  che  sperimenteranno questa  magnetoterapia  a  bassa   frequenza,  se   in precedenza   ebbero   la   fortuna  di   usufruire  di   altre  magnetoterapie   sempre   a bassa frequenza, potranno rapidamente constatare che quella in oggetto supera ogni possibile aspettativa.     Non si tratta della “macchina del miracolo”, ma coloro che amano studiare la biofisica delle interazioni tra campo magnetico e tessuti   viventi   avranno   pane   per   i   loro   denti.     Il   seguente   elenco   non   è assolutamente esaustivo dell'idoneità terapeutica di questa magnetoterapia, ma anche in questa forma sintetica è decisamente sbalorditivo: 

● Agisce   in   modo   superlativo   sul   sistema   nervoso   centrale   e   periferico. E' da sottolineare l'attivazione endorfinica cerebrale (piacevole sensazione di benessere) che nell'individuo non depresso può essere avvertibile dopo alcuni minuti,   nel   depresso   dopo   una   o   due   ore   di   applicazioni   giornaliere   con evidenti e durevoli effetti antidepressivi. 

● E'   preconizzabile   l'applicazione   in   campo   oculistico   con   funzione   sia profilattica   che   terapeutica:  maculopatia   degenerativa,   retinopatia   diabetica, glaucoma, traumatismi autonomi e chirurgici. 

● E'   anche   facilmente   preconizzabile   un   ampio   spettro   dell'azione antinfimmatoria  con  elevatissima   idoneità   terapeutica,  che  si  manifesta  con sorprendente   rapidità   non   associata   all'evocazione   del   dolore,   poiché   non sussistono le condizioni biofisiche per generarlo, per cui si presta egregiamente per  applicazioni in ambito pediatrico e in tutti   i  casi   in cui  il  malato viene particolarmente condizionato dal dolore. 

I   basilari   principi   biofisici   già   esposti   dall'Autore   in   altri   scritti,   in   questa magnetoterapia trovano una delle possibili applicazioni pratiche a conferma della loro assoluta   validità,   ma   al   contempo   si   vanno   delineando   nuovi   ed   entusiasmanti orizzonti. 

ACCORATO AVVERTIMENTO AGLI SPROVVEDUTIE' del   tutto  evidente  che  chi   legge  queste  pagine,  per   la  curiosità  di   sperimentare quanto   sopra   enunciato,   decida   di   realizzare   in   fretta   e   furia   il   seguente   circuito elettronico che appare semplice (l'ovvietà è sempre un'illusione), ma se il costruttore non possiede adeguate conoscenze di elettronica e non conosce il  pericolo delle alte tensioni   e   non   sa   cosa   comporti   un   circuito   non   disaccoppiato   dalla   rete   di distribuzione   elettrica,   invece   di   sperimentare   gli   effetti   terapeutici   dei   campi magnetici impulsivi, sarà ricordato come colui che non sapeva che:  

CHI TOCCA I FILI MUORE

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PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO

L'Autore, in un altro articolo, ha già descritto come e quando iniziò a dedicarsi allo   studio   della   magnetoterapia.     La   prima   magnetoterapia   fu   costruita utilizzando   un'accensione   elettronica   a   scarica   capacitiva   che   giaceva inutilizzata col felice connubio di una bobina nata per far parte di un impianto stereofonico che per circa trent'anni ebbe modo di manifestare indubbie doti terapeutiche.     L'Autore si impose di seguire una linea di ricerca sistematica nella   quale,   tra   l'altro,   figurava   l'analisi   degli   effetti   terapeutici   dei   campi magnetici con intensità crescente (col trascorrere del tempo e dei malanni suoi, di   famigliari   e  amici)  che  applicò   con  successo  alla  magnetoterapia  ad  alta frequenza,   poiché   quella   a   bassa   frequenza   sembrava   non   necessitare   di miglioramento, essendo in grado di gestire in ambito locale e in modo risolutivo plurime applicazioni   terapeutiche che,  per  l'esattezza,   l'Autore ama chiamare “idoneità   terapeutica”  di   un   apparecchio   elettromedicale.       Il   solenoide  di quest'ultima   magnetoterapia   che,   sempre   per   l'esattezza,   l'Autore genericamente   definisce  “interfaccia   biofisica”,  genera   un   intenso   dolore evocato  in quanto  la  durata dell'impulso (esponenziale)  è  di  1,7 ms,  ha una induttanza   di   1,86   mH ed  una   resistenza  di   0,62  ohm,   mentre   la   massima intensità del campo magnetico è di circa 0,8 Tesla.  Il primo fatto sperimentale che   determinò   il   primo   livello   di   transizione   biofisico   fu   il   netto   aumento dell'idoneità terapeutica dopo l'inserimento nel solenoide di un nucleo di ferrite che aumentò di 0,86 mH il valore dell'induttanza che in origine era di 1 mH. Attualmente in Medicina il  top della ricerca sull'azione dei campi magnetici si colloca   a   circa   3   Tesla   mediante   lo   sviluppo   della   r­TMS   (ripetitive   ­  Transcranial Magnetic Stimulation).  La suddetta intensità genera l'evocazione di potenziali d'azione direttamente nelle aree cerebrali motorie, quindi deputate al movimento dei muscoli che si contraggono in modo del tutto involontario. Anche quando viene applicata una variazione di flusso subliminare (a scopo antidepressivo e/o antipsicotico) la modalità attuativa è sempre in linea con le attuali conoscenze neurologiche, vale a dire è a carattere anatomo­funzionale. E' di fondamentale importanza ricordare che questi fenomeni si ottengono con treni  di   impulsi   (7  –  15  con  periodo  di  10  ms)  di   elevatissima  corrente   in solenoidi privi di nucleo e con durata di circa un millisecondo.  E' sorprendente il fatto che non esistono studi sistematici sull'azione terapeutica dei medesimi campi   magnetici,   ma   con   durata   d'impulso   brevissima   (dai   nanosecondi   a qualche microsecondo) in quanto a priori  si ritengono inefficaci (l'onnisciente ovvietà acceca sempre le proprie vittime). 

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Questa magnetoterapia a bassa frequenza è destinata a soppiantare tutte le altre, soprattutto   quelle   che   derivano   dall'errato   assioma:  “Il   campo   magnetico produce   effetti   terapeutici”  che   viene   sostituito   da   quello   in   linea   con   le autentiche   acquisizioni   scientifiche:  “La   variazione   di   flusso   di   un   campo magnetico produce effetti terapeutici”.   Traducendo in termini biofisici quanto esposto, la prima affermazione si esprime con la seguente etichetta : “Il vettore H   di   un   campo   magnetico   produce   effetti   terapeutici”,  mentre   con   la soprastante e seguente dichiarazione si afferma che: “Il vettore B (di induzione)  del campo magnetico produce effetti terapeutici”. 

Oggi sappiamo che la Biofisica ammette che la variazione di flusso totale (ΔΦ(B)) può essere di durata infinitesima (Δt → 0). La spiegazione degli effetti terapeutici di questa magnetoterapia è in ambito quantistico, vale a dire in una dimensione biofisica decisamente innovativa, in cui l'equazione di  campo di  Schrödinger è  associabile  alle  dimensioni della cellula ed a quelle del suo contenuto (interazione con le strutture ed azione strutturata e/o   intelligente  come prevede   la  meccanica  quantistica);  ciò   (tra   l'altro) consente all'attuale Biofisica d'avanguardia di prevedere il contemporaneo superamento   e/o   implementazione   delle   nozioni   bioelettriche, neuroendocrine e  anatomo­funzionali  che  per  oltre  un secolo  sono state l'unica fonte delle conoscenze neurologiche e, più in generale, biologiche. 

La magnetoterapia oggetto di quest'articolo, è un'applicazione pratica di quanto sopra esposto, ma in assoluto è il primo banco di prova pubblico che, in quanto tale, mostra agli studiosi i corrispondenti aspetti tecnici e realizzativi, per cui l'Autore si riserva ogni più ampio diritto di proprietà di quanto di seguito viene presentato sia graficamente sia letterariamente. 

L'Autore   ama   molto   ricordare   agli   studiosi   ed   agli   utenti   che  gli   effetti terapeutici   della   magnetoterapia   e   più   in   generale   delle   elettroterapie, derivano da un loro uso farmacologico e non taumaturgico (miracolistico), vale a dire che sono sempre necessari  idonei apparecchi medicali con annesse altrettanto  idonee   istruzioni   d'uso   e   manutenzione,   la   cui   applicazione  nel  tempo, vale a dire col paziente concorso dell'utente, possono generare reali e durevoli effetti terapeutici.  Per tempo si intendono: ore giornaliere consecutive, giorni   consecutivi,   mesi   ed   anche   anni   di   incessante   esposizione   a  idonei impulsi di campo magnetico.  

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SCHEMA ELETTRICO

Si deve premettere che, allo scopo di concedere agli sviluppatori commerciali di esprimersi nel modo migliore in funzione di ciò che di meglio offre il progresso tecnologico,  il   seguente   circuito   è   stato   pensato   e   realizzato   in   modo volutamente “arcaico”, poiché il medesimo funzionamento si può ottenere con la   moderna   componentistica   che   consente   una   notevole   semplificazione circuitale a cui si associa il minor costo. 

Figura 1:  Schema elettrico del primo modulo elettronico della  magnetoterapia a bassa frequenza a scarica capacitiva.   Ai connettori L/F si collega l'alimentazione di rete   230   VAC,   mentre   A/B   si   collegano   al   primario   del   trasformatore   di alimentazione del modulo di controllo (12 V DC).                     (Progetto dell'Autore) 

Il soprastante schema elettrico rappresenta il cardine di questa magnetoterapia. Dall'inizio della sua progettazione fu previsto di racchiudere il circuito in un contenitore ermetico e totalmente isolante (IP55 – IP56) con dimensioni interne di   205,4   x   155,4   mm   normalmente   reperibile   per   contenere   connessioni elettriche.   Da sinistra, i connettori L ed F fanno capo all'alimentazione di rete (230 V AC).     I connettori A e B consentono il collegamento al primario del minuscolo trasformatore di alimentazione del secondo e terzo modulo (12 V DC).  RL è un relay bistabile bipolare (10 A) con bobina di eccitazione separata funzionante a 230 V AC attivabile mediante il pulsante P normalmente aperto. 

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Quest'ultimo componente è previsto per facilitare a chiunque l'avvio e l'arresto dell'apparecchio   e   per   effettuare   in   sicurezza   eventuali   ispezioni   visive   e/o strumentali del circuito; il suddetto relay è sostituibile con un normale doppio deviatore o doppio interruttore con levetta e case plastici, ma è necessario che sia di qualità  (una volta esistevano !).     Il fusibile è  da 1 A Fast, il MOV o Varistore (VDR1) è indispensabile.   Segue la lampadina al neon (230 V AC già cablata con resistenza da 100K) di colore verde.    In realtà il neon non emette nella banda del verde, per cui la luce appare giallastra.   I colori giallo e verde non sono in grado di attraversare la cute, all'opposto il colore rosso (640 nm) si vede   anche   ad   occhi   chiusi   e,   dato   che   le   vere   magnetoterapie   si   usano soprattutto durante la notte (l'uso farmacologico è sempre protratto nel tempo), il  colore verde non disturba l'utente.      Essendo previsto il   totale   isolamento galvanico   del   circuito,   la   dissipazione   termica   di   quest'ultimo   deve   essere irrisoria, quindi al posto di una resistenza ohmica pura che dissiperebbe calore, come   limitatore   di   corrente   si   è   preferito   usare   un'equivalente   reattanza capacitiva (Xc) a 50 Hz.   E' assolutamente necessario che la tensione di lavoro dei   due   condensatori   sia   da   600   a   1000   V.     Quando   manualmente   viene interrotta l'alimentazione la resistenza R1 scarica i condensatori C1 e C2. 

Calcolo della reattanza capacitiva a 50 Hz di C1 + C2 (1,22 uF)

Xc=1

2∗ f∗cformula canonica estesa

Xc=156.000

f Hz ∗C uF formula semplificata

Xc=156.00050∗1,22

=2557 ohm

La reattanza capacitiva di 2557 ohm limita l'assorbimento del primo modulo a circa   90   mA   che   consente   la   successiva   e   decisamente   drastica   soluzione 

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circuitale (Bridge – Q1 ­ D1).     Il ponte rettificatore, l'N­mosfet e il diodo D1 sono ultra dimensionati rispetto ai dettami puramente teorici, ma coloro che per il futuro non vogliono avere problemi è bene che si adeguino, anche perché il costo non aumenta troppo.   Per terminare l'argomento inerente alla dissipazione termica, l'unico componente del circuito che si scalda lievemente è il K1531 (N­mosfet 500V 15A) che è  stato dotato di un piccolo dissipatore che lo mantiene a temperatura ambiente. L'Autore   rammenta   che,   allo   stato   dell'arte,   non   è   possibile   costruire   vere magnetoterapie   portatili   alimentate   a   batteria,   ovvero   è   possibile   qualora   il progettista fosse culturalmente ancorato al suddetto errato assioma. Il condensatore C3 costituisce il serbatoio di carica elettrica che, tramite l'SCR, si scaricherà in modo subitaneo in L (interfaccia biofisica).C3 deve essere assolutamente anti­induttivo, perciò non esiste nulla di meglio che collegare in parallelo più condensatori, nella fattispecie 7 da 0,22 uF 1000 V per un totale di circa 1,54 uF. La   tensione   di   picco   ai   capi   di   C3   è   ottenibile   con   la   seguente   formula, ammettendo che la rete di distribuzione elettrica fornisca i previsti 230 V:

Vcc(C3) = Vac * 1,414 = 325,22 

In pratica, in ambito cittadino la suddetta tensione oscilla da 298 Vcc a 311 Vcc.     Quindi, per valutare quanto segue l'Autore ha considerato una costante di 300 Vcc. Il   circuito   in   oggetto,   se   realizzato   con   componenti   di   qualità,   può tranquillamente funzionare per molti anni anche nel caso venga usato per molte ore al giorno (tutta la notte). 

Nella pagina seguente continua la descrizione del secondo modulo di questa innovativa magnetoterapia a bassa frequenza. 

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Figura 2:  Schema elettrico del secondo modulo elettronico della magnetoterapia a bassa   frequenza   a   scarica   capacitiva.     Da   sinistra:   sensore   della   carica   dei condensatori   (partitore   resistivo,   DZ1,   Q1,   Q2),   controllo   della   frequenza   della scarica   (U1),   generazione   dell'impulso   di   conduzione   dell'SCR   (Q3) (Progetto dell'Autore)

Ingrandimento di U1

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Il partitore di tensione composto da R1, R2, R3, R4 unitamente a DZ1, Q1, Q2, hanno lo scopo di abilitare U1 (NE555) quando nel condensatore C3 (primo modulo)  si  è   raggiunta   la   tensione di  300 V.       Il   suddetto  partitore  scarica rapidamente C3 (primo modulo) nel caso di interruzione dell'alimentazione.  Il diodo 1N752A manifesta la differenza di potenziale di zener di 5,1V con soli 0,1 mA (5,6V a 20 mA) e ciò ha permesso di semplificare il circuito. Fintanto che ai capi di C3 (primo modulo) non è presente la tensione di 300 V, i terminali 2, 6, 7 di U1 e i terminali dei condensatori C3 + C4 (2 uF) sono posti a massa in quanto Q2 è in conduzione, quindi l'uscita 3 di U1 rimane alta, per cui la parte rimanente del circuito (D6 e Q3) è bloccata. Quando Q2 viene interdetto, cioè ai capi di C3 (primo modulo) si è raggiunta o superata   la   tensione  di  300  V,  C3  +  C4  si  caricano  esponenzialmente   e   la resistenza   R7   (3,7K,   ottenuta   con   una   resistenza   da   1K   e   una   da   2,7K) conferisce un ritardo di circa 7,4 ms, ma inserendo tutto il potenziometro da 1 M il ritardo sale a circa 2,0074 secondi.   In pratica, sommando tutti  i tempi tecnici,   gli   impulsi   di   campo   magnetico   dell'interfaccia   biofisica   hanno   un periodo minimo di circa 40 ms (25 Hz) e uno massimo di 2 secondi.  Dal punto di  vista  biofisico  i  suddetti  stimoli  sono molto più   illuminanti  se “letti”   in   funzione   del   periodo,   piuttosto   che   della   frequenza,   quindi   il potenziometro P1 è collegato in modo che l'escursione (in senso orario) presenti a partire da sinistra il periodo minimo.  Quando l'uscita 3 di U1 commuta da alta a bassa, si caricano i condensatori C7 e   C8   che   rispettivamente   consentono   la   visualizzazione   del   passaggio   in conduzione dell'SCR (25RIA120, 25 A 1200 V, Igt 60 mA) mediante Q3, R9, C9.   E' del tutto evidente che sostituendo il suddetto robusto diodo controllato con uno analogo, è probabilmente necessario modificare R9.  La   temperatura  delle  attuali   abitazioni  non  scende   sotto   i   19  °C per  cui   la corrente di gate (Igt) del suddetto SCR può essere ridotta a soli 25 mA invece dei 60 mA previsti nel datasheet. L'Autore in precedenza aveva impiegato un SCR da 8 A in case plastico che è letteralmente   esploso   e   ciò   è   una   chiara   evidenza   dell'elevata   intensità   di corrente che circola nell'interfaccia biofisica.  

Nella pagina seguente continua la descrizione del terzo modulo di questa innovativa magnetoterapia a bassa frequenza.  

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Figura 4:  Schema elettrico   del   terzo   modulo  elettronico   della   magnetoterapia   a bassa frequenza a scarica capacitiva.  Procedendo da destra verso sinistra: controllo della scarica del condensatore ( D6 ­ R3 ); l'interdizione di Q1 porta in conduzione il mosfet che, cortocircuitando a massa l'alimentazione ne impedisce la ricarica al fine di determinare l'interdizione dell'SCR.                               (Progetto dell'Autore)

Riguardo al terzo modulo non c'è molto da dire; a tutti gli effetti è una porta invertente   (NOT)   costruita   con   componenti   discreti   la   cui   uscita   mette   in conduzione l'N­Mosfet che a sua volta determina l'interdizione dell'SCR.  Il  diodo D7 che normalmente è   indispensabile,   in questo particolare caso si potrebbe eliminare, ma si consiglia di inserirlo in quanto il circuito elettronico di questa magnetoterapia ha un fondamentale ruolo sperimentale e/o didattico. 

Nel   prosieguo   risulterà   chiaro   che  la  modalità   costruttiva  dell'interfaccia biofisica L1 determina il funzionamento puramente quantistico; vale a dire che in questo caso l'interazione tra campo magnetico e tessuti non genera effetti eccitomotori come il fenomeno dell'evocazione del dolore, cioè  non esistono eclatanti   effetti   soggettivi   (il  malato  guarisce  quasi   senza  accorgersene),   ad esclusione   della   già   citata   attivazione   dell'attività   endorfinica   in   ambito cerebrale, ma che non si manifesta sempre in modo eclatante, comunque non è certo difficile farne esperienza.  

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Per quanto riguarda l'alimentazione a 12V DC l'Autore ha recuperato un piccolo trasformatore di alimentazione con secondario di 8,3 V AC ­ 200 mA a cui fa seguito un duplicatore di tensione e un alimentatore stabilizzato a componenti discreti, ma si può utilizzare un trasformatore da 15/17V AC 150/200 mA che dopo   il   ponte   raddrizzatore   e   il   condensatore   di   livellamento,   alimenta   un integrato tipo 7812 corredato dei condensatori di filtro da 100 nF.

Il circuito montato nel contenitore plastico ed ermetico

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COSTRUZIONE DELL'INTERFACCIA BIOFISICA

Il   solenoide   costruito   dall'Autore   per   questa   particolare   magnetoterapia   è visibile  nella  fotografia  sottostante.  Ha una  induttanza di  1113,12 uH e una resistenza di 0,237 ohm, filo di rame smaltato Ø 1,6 mm (compreso lo smalto).  

L'interfaccia biofisica poco prima del montaggio definitivo

Il   solenoide   è   stato   costruito   utilizzando   un   vecchio   rocchetto   di   materiale plastico in cui era avvolto il filo di lega eutettica di “stagno” per saldature.Le dimensioni esterne sono: Ø 67 mm, altezza 37 mm, foro centrale Ø 24 mm riempito di spezzoni di filo di ferro plastificato Ø 0,7 mm con estensione polare a cupoletta, prominente di circa un centimetro (il colore rosso è  vernice con funzione di collante).     Nel lato posteriore il nucleo metallico non sporge dal rocchetto.   La seguente fotografia rappresenta la forma dell'impulso di corrente che nell'interfaccia biofisica genera un campo magnetico di circa 1,4 Tesla.  

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Figura   5:  Scarica   capacitiva   di   circa   100   us   osservata   per   via   induttiva. Oscilloscopio Tektronix TDS­3032.  (Fotografia dell'Autore)  

La fotografia  di  Figura 5 visualizza la curva di scarica che termina circa in corrispondenza con la base tempi che è di 100 us.  Tenendo   presente   che   il   regime   della   scarica   determina   la   saturazione magnetica del nucleo.  La costante di tempo:

(τ = RC) τ0 = 0,237 * 0,000.001.54 = 364,98 ns 

risulta aumentata dalla parallela e inseparabile costante di tempo :

(τ = L / R) τ1 = 0,001.113.12 / 0,237 = 4,696 ms

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nel rapporto espresso in secondi:

τ = τ0(s) / τ1(s) = 77,7 us

In questo caso l'induttore ha un comportamento puramente resistivo (vedi curva di scarica).  La corrente di picco è di 1265 A (i = V/R) e l'intensità del campo magnetico (1,407945 Tesla) si ricava con la formula seguente:  

t =L∗i t Il solenoide in oggetto può essere replicato in forme diverse, tenendo presente di conservare un valore resistivo compreso tra 0,25 e 0,237 ohm.   Per quanto riguarda il valore dell'induttanza è necessario dimensionare il nucleo di fili di ferro plastificato normalmente reperibile in  ferramenta.   Detto nucleo durante l'uso   si   riscalda   e   ciò   conforta   circa   l'esattezza   dei   valori   sopra   riportati. Meglio sarebbe trovare del filo di ferro ricotto di piccola sezione oppure dei lamierini al silicio per trasformatori o meglio ancora, delle barrette di ferrite rettangolari che aumenteranno  l'induttanza, per cui aumenterà anche l'intensità di   picco   del   campo   magnetico.   Le   due   fotografie   seguenti   mostrano   la magnetoterapia  pronta  per   l'uso.    La   cupoletta   del   nucleo  metallico   è   stata ricoperta da più  strati  di  nastro adesivo trasparente (mylar)   in modo da non avvertire alcuna asperità.  

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ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Il solenoide è più ergonomico se è largo e basso piuttosto che lungo e stretto.E'   sufficiente  un solo  solenoide  in  quanto  si  può  vantaggiosamente  usare   il campo concatenato mediante un nucleo mobile di ferrite con cui trasferire il flusso magnetico in zone più profonde del corpo umano.     L'estensione polare consente al campo magnetico utile di espandersi assialmente per circa 10 cm. Anche   i   cavi   elettrici   (bipolari)   di   collegamento   alla   rete   di   distribuzione elettrica e al solenoide devono essere di qualità con conduttori di buona sezione (non   inferiori   a   1,5   mm),   soprattutto   vanno   fissati   in   modo   assolutamente stabile,   esternamente   mediante   appositi   pressacavi   e   internamente   mediante fascette (vedi fotografie).  

L'interfaccia biofisica può essere indifferentemente usata da ambedue le facce del cilindro in quanto  non esistono differenze tra l'azione terapeutica del polo Nord   e  quella   del   polo  Sud.    L'estensione  polare  è   utile   per   centrare   certi disturbi molto localizzati oppure per ricercare le aree cerebrali in cui si avverte la già citata sensazione piacevole (attivazione endorfinica) che si manifesta in coloro che ne hanno necessità.  In ogni caso il periodo ottimale è circa di 40 ms (25 Hz) e non è escluso che periodi minori aumentino l'idoneità terapeutica di questa magnetoterapia.

Seguono alcune generiche  considerazioni  circa l'azione biologica dell'impulso di campo magnetico generato da questa magnetoterapia.  

● E' assolutamente  certo  che un  impulso di  campo magnetico di  100 us (0,000.1 secondi) non svolge un ruolo eccitomotore sia nel SNC sia nei nervi periferici.  Quanto esposto è ulteriormente dimostrato dal fatto che questa magnetoterapia non attiva il fenomeno dell'evocazione del dolore, ma   permane   l'azione   anti­infiammatoria   ad   ampio   spettro   (effetto magnetoterapico vero e proprio).  

● La   produzione   di   endorfine   cerebrali   mediante   impulsi   di   campo magnetico   di   100   us,   significa   che  in   primis  la   loro   sintesi   è   locale (endocellulare) e non dipende in modo diretto dall'attività catecolaminica o di trasmissione del potenziale d'azione.  Analoghi effetti di attivazione endorfinica   si   ottengono   mediante   metodi   biofisici   diversi   in   cui 

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l'attivazione endorfinica è  sempre associata all'inibizione radicolare e/o dei nervi periferici.  

● In base a quanto sopra detto, sembrerebbe che la durata della variazione di flusso di campo magnetico maggiormente utile in ambito terapeutico sia molto inferiore a 100 us (alta frequenza).  

● L'azione biofisica del campo appare intelligente ed è  sempre utile, non esistono   effetti   dannosi.    Chi  è   già   in   equilibrio   (riposato,   tranquillo, paziente e sereno) soggettivamente non avverte nulla. 

Questa magnetoterapia include numerosi elementi di grande interesse biofisico, potendo   evocare   in   ambito   biologico   delle   risonanze   elettromagnetiche   dal ruolo profilattico e   terapeutico,  per  questo,   l'Autore  si  associa  a  Gianfranco Galvani, Presidente del Centro di Ricerca Georges Lakhovsky che è certo che   la   “Medicina   sarà   ineluttabilmente,   in   futuro,   una   Medicina  esclusivamente vibrazionale.”  

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1° MODULOELENCO COMPONENTI

P = pulsante da pannello normalmente apertoRL = relay bistabile bipolare 230 V 10A – eccitazione separata 230 VACFUSE = 1A ­ FVDR =  S20K275 varistore LN = lampadina al neon 230V (verde)

R1 = 2,7 M ½ W

C1 = 0,22 uF 1000 V poliestereC2 = 1 uF 600 V poliestereC3 = 7 x 0,22 uF 1000 V (1,54 uF) poliestere

Bridge = B380C5000D1 = BY255Q1 = K1531 ­ (N mosfet 500V ­ 15A)

L = interfaccia biofisica (vedi testo)

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2° MODULOELENCO COMPONENTI 

R1 = 180kR2 = 180kR3 = 6,8kR4 = 1,2KR5 = 6,8kR6 = 4,7kR7 = 3,7k (1k + 2,7K)R8 = 4,7kR9 = 470 ohm (da modificare se cambia Ig dell'SCR)R10 = 1KP1 = 1 M potenziometro lineare

C1 = 22 pF ceramicoC2 = 3,3 nF ceramicoC3 = 1 uF  5% poliestereC4 = 1 uF  5% poliestereC5 = 10 – 100 nF poliestereC6 = 0,1 uF poliestereC7 = 2,2 uF 25 VL elettroliticoC8 = 0,15 uF poliestereC9 = 0,1 uF poliestereC10 = 1000 uF 25 VL elettrolitico

D1 = 1N4007D2 = 1N4007D3 = 1N4148D4 = 1N4007D5 = 1N4148D6 = Led verde Ø 5 mmDZ1 = 1N752AQ1 = D826 (β 300 – 400) – BD139 NPNQ2  = D826 – BD139 NPN             Q3 = BD140 ­ PNP            U1 = NE555

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3° MODULOELENCO COMPONENTI 

R1 = 100 ohmR2 = 1 KR3 = 10 K

C1 = 470 pF ceramicoC2 = 0,1 uF ceramicoC3 = 1000 pF ceramico

D1 = 1N4148D2 = 1N4007D3 = 1N4007D4 = 1N4007D5 =1N4007D6 = 1N4007D7 = BY228 (diodo damper) DZ1 = 9V ½  W

Q1 = D826 – 2N1711 – BD139 NPNSCR = 25RIA120 (25 A – 1200 V – Ig 60 mA)

Articolo pubblicato per la prima volta il 18 novembre 2009Articolo corretto e ripubblicato il 26 aprile 2010

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