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Indice 1. Il dato analitico . . . . . . . . . 2 1.1 Cifre Significative . . . . . . . . . 2 1.2 Precisione ed Accuratezza (bias) . . . . . . . . . 3 1.3 Tipi di Errore . . . . . . . . . 3 1.4 La legge di propagazione dell’incertezza (errore) . . . . . . . . . 4 1.5 Statistica . . . . . . . . . 8 1.6 I minimi quadrati . . . . . . . . . 14 2. Analisi Volumetrica . . . . . . . . . 17 2.1 Alcune generalità sugli strumenti di lavoro . . . . . . . . . 17 2.2 Generalità sulle titolazioni . . . . . . . . . 20 2.3 Le titolazioni . . . . . . . . . 23 3. Titolazioni di precipitazione . . . . . . . . . 26 3.1 Generalità . . . . . . . . . 26 3.2 Titolazione di una miscela . . . . . . . . . 33 3.3 Determinazione del punto finale . . . . . . . . . 34 4. Le titolazioni acido-base . . . . . . . . . 38 4.1 Titolazione di un acido forte con una base forte . . . . . . . . . 38 4.2 Titolazione di un acido debole con una base forte . . . . . . . . . 40 4.3 Titolazione di una base debole con un acido forte . . . . . . . . . 43 4.4 Titolazione di sistemi poliprotici . . . . . . . . . 45 4.5 Determinazione del punto finale . . . . . . . . . 50 4.6 Osservazioni pratiche . . . . . . . . . 53 4.7 Titolazioni in solventi non acquosi . . . . . . . . . 53 5. Titolazioni Complessometriche . . . . . . . . . 55 5.1 Titolazioni con EDTA . . . . . . . . . 58 5.2 Effetto dei complessanti ausiliari . . . . . . . . . 61 5.3 Tecniche di titolazione con l’EDTA . . . . . . . . . 63 6. Generalità di elettrochimica e potenziometria . . . . . . . . . 65 6.1 Potenziometria . . . . . . . . . 70 7. Titolazioni Redox . . . . . . . . . 73 7.1 Generalità . . . . . . . . . 73 7.2 Indicatori redox . . . . . . . . . 78 7.3 Reagenti redox . . . . . . . . . 80 7.4 Tipiche titolazioni redox . . . . . . . . . 82 8. Titolazioni Amperometriche . . . . . . . . . 90 8.1 Titolazioni amperometriche con un elettrodo indicatore . . . . . . . . . 90 8.2 Titolazioni amperometriche con due elettrodi indicatori . . . . . . . . . 95 8.3 Metodo di Karl-Fischer per determinare l’acqua nei solventi . . . . . . . . . 97 9. Le titolazioni conduttometriche . . . . . . . . . 99

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Indice 1. Il dato analitico . . . . . . . . . 2

1.1 Cifre Significative . . . . . . . . . 2 1.2 Precisione ed Accuratezza (bias) . . . . . . . . . 3 1.3 Tipi di Errore . . . . . . . . . 3 1.4 La legge di propagazione dell’incertezza (errore) . . . . . . . . . 4 1.5 Statistica . . . . . . . . . 8 1.6 I minimi quadrati . . . . . . . . . 14

2. Analisi Volumetrica . . . . . . . . . 17 2.1 Alcune generalità sugli strumenti di lavoro . . . . . . . . . 17 2.2 Generalità sulle titolazioni . . . . . . . . . 20 2.3 Le titolazioni . . . . . . . . . 23

3. Titolazioni di precipitazione . . . . . . . . . 26 3.1 Generalità . . . . . . . . . 26 3.2 Titolazione di una miscela . . . . . . . . . 33

3.3 Determinazione del punto finale . . . . . . . . . 34 4. Le titolazioni acido-base . . . . . . . . . 38

4.1 Titolazione di un acido forte con una base forte . . . . . . . . . 38 4.2 Titolazione di un acido debole con una base forte . . . . . . . . . 40 4.3 Titolazione di una base debole con un acido forte . . . . . . . . . 43 4.4 Titolazione di sistemi poliprotici . . . . . . . . . 45 4.5 Determinazione del punto finale . . . . . . . . . 50 4.6 Osservazioni pratiche . . . . . . . . . 53 4.7 Titolazioni in solventi non acquosi . . . . . . . . . 53

5. Titolazioni Complessometriche . . . . . . . . . 55 5.1 Titolazioni con EDTA . . . . . . . . . 58 5.2 Effetto dei complessanti ausiliari . . . . . . . . . 61 5.3 Tecniche di titolazione con l’EDTA . . . . . . . . . 63

6. Generalità di elettrochimica e potenziometria . . . . . . . . . 65 6.1 Potenziometria . . . . . . . . . 70

7. Titolazioni Redox . . . . . . . . . 73 7.1 Generalità . . . . . . . . . 73 7.2 Indicatori redox . . . . . . . . . 78 7.3 Reagenti redox . . . . . . . . . 80 7.4 Tipiche titolazioni redox . . . . . . . . . 82

8. Titolazioni Amperometriche . . . . . . . . . 90 8.1 Titolazioni amperometriche con un elettrodo indicatore . . . . . . . . . 90 8.2 Titolazioni amperometriche con due elettrodi indicatori . . . . . . . . . 95 8.3 Metodo di Karl-Fischer per determinare l’acqua nei solventi . . . . . . . . . 97

9. Le titolazioni conduttometriche . . . . . . . . . 99

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1. Il dato analitico

1.1 Cifre Significative Cifre Significative: il numero minimo di cifre necessario per scrivere un numero in notazione scientifica senza comprometterne la precisione. 142.7 ha 4 cifre significative, infatti si può scrivere come 1.427⋅102 0.00012 ha 2 cifre significative, infatti si può scrivere come 1.2⋅10-4 All’ultima cifra significativa è associata un’incertezza che vale almeno ±1 Leggendo sulla scala di uno strumento di solito si è autorizzati ad interpolare il valore tra due divisioni. Es. buretta da 30 ml, con scala graduata a 0.1 ml, si può leggere lo 0.01. Nelle operazioni aritmetiche il numero di cifre significative deve essere considerato con attenzione. In addizione e sottrazione il numero di cifre significative è, di solito, quello del numero con il minor numero di cifre significative: Es. 1.373⋅102 + 1.21⋅102 = _______________

2.58⋅102 ma può anche aumentare: Es. 7.373⋅102 + 5.215⋅102 = _______________

1.2588⋅103 oppure diminuire: Es. 5.373⋅102 - 5.215⋅102 = _______________

1.58⋅101 Nell’arrotondamento si tiene conto delle eventuali cifre al di là dell’ultima significativa: Es. 1.373⋅102 + ma 1.379⋅102 + 1.21⋅102 = 1.21⋅102 = _______________ _______________

2.58 ⋅102 2.59 ⋅102

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In moltiplicazione e divisione il numero di cifre significative corrisponde a quello del numero con meno cifre significative: 3.26 ⋅ 102 x 1.7 ⋅ 102 = 5.5 ⋅ 104 Nel logaritmo, il numero di cifre significative è uguale al numero di cifre della mantissa, cioè le cifre dopo la virgola. Questo perché la caratteristica è l’esponente di 10. Log 0.001237 = -2.9076 antilog 4.37 = 104.37 = 2.3 ⋅ 104 Log 1237 = 3.0924 antilog (-2.600) = 10-2.600 = 2.51 Log 3.2 = 0.51

1.2 Precisione ed Accuratezza (bias)

La precisione viene spesso descritta col termine riproducibilità (att.ne al significato di ripetibilità). L’ accuratezza si riferisce alla differenza tra il valore fornito dall’analisi ed il valore vero Un esperimento può fornire risultati: • precisi ed accurati • precisi ma non accurati • poco precisi ma accurati • né accurati né precisi La concordanza di risultati ottenuti con metodi diversi dimostra l’affidabilità del dato ma non costituisce una prova della sua esattezza. L’errore sistematico può condurre a risultati discordi fra di loro. L’incertezza assoluta o errore assoluto è il margine di incertezza associato ad una misura. (es. 0.02 ml nella lettura di una buretta tarata). L’incertezza relativa o errore relativo è l’incertezza assoluta divisa per il valore della misura. Se l’incertezza assoluta è costante, quella relativa decrescere al crescere della misura letta. Se è l’incertezza relativa ad essere costante, è l’incertezza assoluta che si modifica, aumentando, all’aumentare della lettura.

1.3 Tipi di Errore Errore sistematico (errore determinato) è un errore dovuto ad una causa ben specifica (Shewart, Deming). Spesso può venire corretto, quando la causa sia identificata. Sorgenti: strumentali, personali e di metodo. Strumentali: drift dei circuiti elettronici, effetti della temperatura sui rivelatori, diminuzione del voltaggio delle batterie con l’uso. Si correggono abitualmente mediante la calibrazione (periodica). Personali: sono introdotti a causa del giudizio personale dell’analista. Es. la lettura di una scala è spesso soggetta ad un errore unidirezionale, sistematico. Inoltre può influire il pregiudizio. Si corregge o limita con l’attenzione e l’autodisciplina, oppure mediante l’automatizzazione delle operazioni di analisi (robot).

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Di metodo: sono generalmente dovuti a comportamenti non ideali del sistema, p.e. per reazioni incomplete, perdita per volatilizzazione, adsorbimento dell’analita su solidi, degradazione dei reagenti, contaminazioni ed interferenze chimiche. Sono gli errori più difficili da correggere, generalmente è necessaria la validazione del metodo analitico, utilizzando dei materiali standard (SRM) che assomiglino all’analita (NIST). Si definisce come:

µ−= ts xE dove xt è la risposta media del metodo analitico per un numero elevato di repliche

(valore vero per il metodo analitico). Errore casuale (errore indeterminato) è dovuto alle oscillazioni proprie del sistema di misura (inteso in toto). Non può essere corretto e costituisce il limite del metodo di misura. E’ conveniente ripetere molte volte la stessa misura (repliche) e descrivere i risultati mediante un istogramma (diagramma di frequenza), in modo da capire quale forma ha la distribuzione dei dati (Gaussiana). Si definisce, in assenza di errore sistematico, come:

µ−= xEr per una singola misura, oppure come:

µ−= xEr dove però la media è eseguita su un piccolo numero di repliche. Per molte repliche (>20), l’errore casuale tende ad annulllarsi. Es. lettura di una scala da parte di persone diverse, rumore elettrico di uno strumento, percorsi casuali delle molecole all’interno di una colonna cromatografica. Errore grossolano: è l’errore che si commette eseguendo registrazioni sbagliate dei dati, invertendo l’ordine di scrittura delle cifre, ecc. Di solito questi errori sono talmente evidenti che non costituisce un problema la loro individuazione ed eliminazione.

1.4 Propagazione dell’incertezza (errore) Un metodo analitico consiste generalmente di molti stadi sperimentali, ciascuno dei quali può essere affetto da un’incertezza indeterminata; la somma di questi contributi determina l’errore del risultato finale. Data la misura x che dipende dalle variabili sperimentali p, q, r, . . .ciascuna delle quali sia soggetta a fluttuazioni casuali indipendenti. Allora si può scrivere: x = f(p, q, r, …) L’incertezza dxi (deviazione dalla media) per l’i-esima misura dipende dal segno e dalle dimensioni delle incertezze dpi, dqi, dr i, . . ., cioè: dxi = f(dpi, dqi, dr i, …) la variazione dxi può essere calcolata dal differenziale totale della prima equazione:

5

...,...,,...,,...,

+

∂∂

+

∂∂

+

∂∂

= i

qp

i

rp

i

rq

i drr

xdq

q

xdp

p

xdx

elevando al quadrato ambo i membri:

( )2

,...,,...,,...,

2 ...

+

∂∂

+

∂∂

+

∂∂

= i

qp

i

rp

i

rq

i drr

xdq

q

xdp

p

xdx

e sommando gli errori (i=1, 2, . . N), si ottengono due tipi di termini e cioè i quadrati propriamente detti, che contribuiscono tutti con segno positivo alla somma ed i termini misti, il cui segno può essere sia positivo che negativo. Considerando un errore casuale, la somma dei termini misti tende ad annullarsi, soprattutto se N è sufficientemente grande. Quindi:

( ) ...,1

2

,...,,1

2

,...,,1

2

,...,,1

2 +

∂∂

+

∂∂

+

∂∂

= ∑∑∑∑==== Ni

i

qpNii

rpNii

rqNii dr

r

xdq

q

xdp

p

xdx

e dividendo per il numero di misure:

( )...,1

2

,...,

,1

2

,...,

,1

2

,...,

,1

2

+

∂∂

+

∂∂

+

∂∂

=∑∑∑∑====

N

dr

r

x

N

dq

q

x

N

dp

p

x

N

dxNi

i

qp

Nii

rp

Nii

rq

Nii

ma

Cosicchè alla fine si ottiene la relazione che può essere impiegata per studiare la propagazione delle incertezze. Questa legge vale solo se i fattori sperimentali sono indipendenti fra di loro:

L+

∂∂+

∂∂+

∂∂= 2

22

2

2

2

2rqpx r

x

q

x

p

x σσσσ

Questa relazione può essere utilizzata per stimare l’incertezza di qualsiasi relazione fisica, conoscendo le incertezze dei fattori sperimentali:

( ) ( )2

2

,1,1

2

xni

iNi

i

N

x

N

dx

σµ

=−

=∑∑==

( )2,1

2

pNi

i

N

dp

σ=∑=

6

Es. : 2

16

=W

tN R

Supponiamo che l’esaclorobenzene in HPLC esibisca un picco a 13.36 min. La larghezza del picco alla base sia W=2.18 min. La deviazione standard per tR sia s=0.043, per W sia s=0.061. Allora l’incertezza nel numero dei picchi sarà:

2

2

3

22

2

22

22

2

2 3232W

Rt

RW

tt

WRN s

W

ts

W

ts

W

Ns

t

Ns

R

R

R

−+

=

∂∂+

∂∂=

1.592043.018.2

36.1332061.0

18.2

36.1332 23

22

2

22 =⋅

⋅−+⋅

⋅=Ns

243.241.592 ⇒==Ns

quindi N = 601±24 La formula ricavata può essere utile anche per l’arrotondamento del risultato di operazioni aritmetiche, tenendo conto delle incertezze: es. 1) x = p + q – r dove p, q ed r hanno errore (deviazione standard o scarto tipo) pari a sp, sq, sr. Dall’equazione per la propagazione dell’errore si ha:

( ) ( ) ( ) 2222222 111 rqpx ssss −++=

da cui l’errore su x è:

( ) ( ) ( ) 222222222 111 rqprqpx sssssss ++=−++=

2)

r

qpx

⋅=

+

+

=

−+

+

=222

22

22

22

22

r

s

q

s

p

sxs

r

pqs

r

ps

r

qs rqp

rqpx

e quindi:

7

222

+

+

=

r

s

q

s

p

s

x

s rqpx

In modo analogo si può ottenere:

ypx = → p

sy

x

s px =

px 10log= → p

ss p

x 434.0=

Esempio

( ) ( )[ ] ( )( ) ( )[ ] ( ) ( ) 610?725.1

4.03.425103010820

001.0050.02.06.112.03.14 −⋅±=±⋅±+±±⋅±−±

( ) ( ) 283.02.02.0 22 ±=±+±=ps

( ) ( ) 2.11510 22 ±=±+±=qs

quindi:

( ) ( )( ) ( )4.03.422.111850

0001.0050.0283.07.2

±⋅±±⋅±

107.03.42

4.0

1850

2.11

050.0

0001.0

7.2

283.02222

±=

±+

±+

±+

±=x

sx

66 10185.010725.1107.0 −− ⋅=⋅⋅±=xs

il risultato finale è:

( ) 6102.07.1 −⋅±

8

1.5 Statistica

In presenza di errore casuale è necessario utilizzare gli strumenti della statistica per descrivere ed analizzare i risultati della sperimentazione. La certezza assoluta non esiste e quindi ad un risultato è necessario attribuire una certa probabilità. Dato che la probabilità di ottenere un singolo risultato è pressochè nulla, ci si riferisce a degli intervalli, ed a questi si attribuisce una certa probabilità. Si suppone che i risultati delle repliche eseguite per una certa analisi siano una piccola frazione (un campione) degli infiniti risultati che si potrebbero ottenere (popolazione). La statistica si applica alle popolazioni. La statistica inferenziale parte dal campione, che si suppone rappresentativo della popolazione, e fornisce delle informazioni (inferenze) sulla popolazione da cui il campione è stato estratto. Gli indici statistici che si utilizzano in chimica analitica sono: misure di localizzazione

la media della popolazione (valore vero) epopolazion

xepopolazioni

i∑== ,1µ

la media del campione sample

Nii

N

x

x sample

∑== ,1

la mediana, cioè il cinquantesimo percentile, il valore al di sopra ed al di sotto del quale c’è lo stesso numero di valori. la moda, cioè il valore a cui corrisponde il massimo di probabilità (il valore osservato più volte).

la media geometrica: iNi xsamople,1=∏

misure di dispersione

Deviazione standard (scarto tipo) della popolazione

( )

epopolazion

xepopolazioni

i∑=

−= ,1

2µσ

Il suo quadrato è la varianza della popolazione.

Deviazione standard (scarto tipo) del campione

( )

1

,1

2

−=

∑=

sample

Nii

N

xx

s sample .

Varianza pooled, cioè varianza stimata da misure ottenute in condizioni diverse. Intervallo, scarto o range R, cioè la differenza tra il valore massimo ed il valore minimo. Nell’ipotesi che i dati siano distribuiti seconda la distribuzione normale, l’intervallo è legato alla deviazione standard dalla seguente relazione:

9

2d

Rx =σ

dove il parametro d2 , che dipende dal numero di repliche eseguite, è stato tabulato: n. misure d2

2 1.128 3 1.693 4 2.059 5 2.326 6 2.534 10 3.078

Deviazione standard relativa (RSD) e coefficiente di variazione (CV): z

x

sRSD 10⋅=

Se z=2 è espresso come percentuale e prende il nome di coefficiente di variazione. Se si prelevano un certo numero di gruppi di misure dalla popolazione, l’errore standard di ciascuna media decrescere al decrescere del numero di repliche eseguite per ciascun gruppo e vale:

N

ssm =

Es. calcolare gli indicatori statistici per le seguenti repliche: 1.91, 1.88, 1.96, 1.94. ( %8.1,035.0,92.1 === CVsx ) La legge normale dell’errore il risultato di misure replicate si assume che si distribuisca secondo la legge normale dell’errore o Gaussiana, il che significa che una frazione di una popolazione di

osservazioni N

dN, che giacciono in una regione x + dx è data da:

( )

dxeN

dNx

2

2

2

2

1 σµ

πσ

−−=

Formula in cui µ e σ sono rispettivamente la media e la deviazione standard della popolazione. Spesso si opera una sostituzione che consente di riferire qualsiasi popolazione che segua questa legge, ad una formula unica:

σµ−= x

z

infatti, dz = dx/σ e quindi:

dzeN

dN z

2

2

2

1 −=

π

Le proprietà tipiche di questa curva sono: massimo in z=0; simmetrica rispetto all’asse delle ordinate; piccole deviazioni sono più probabili di grandi deviazioni. La frazione di popolazione con

10

valori di z compresi in un certo intervallo è uguale all’integrale (area) della curva sotteso dallo stesso intervallo. Es. tra -σ e +σ sta il 68.3% della popolazione, tra -2σ e +2σ sta il 95.5% della popolazione, tra -3σ e +3σ sta il 99.7% della popolazione. Queste probabilità si riferiscono alla probabilità di ottenere una singola nuova misura. Si può utilizzare la curva gaussiana per costruire un intervallo di confidenza, cioè una regione all’interno della quale con una certa probabilità è contenuto il valore medio vero. In questo caso i limiti di confidenza del valor medio sono definiti come:

N

zxCL

σµ ±= questo vale quando la varianza è conosciuta con sufficiente precisione, cioè

quando è stato eseguito un numero elevato di repliche (>20). Il valore di z deve essere cercato nelle opportune tabelle della curva normale dell’errore, scegliendo il livello di probabilità che interessa. σ è approssimato con s. Es. quante repliche sono necessarie per ridurre l’intervallo di confidenza al 95% a ±0.07 ppm di mercurio, essendo s=0.10:

NN

zs 10.096.107.0

⋅±=±=

quindi

8.780.207.0

10.096.1 =→=⋅±= NN

Quando non si sono fatte molte repliche, la distribuzione gaussiana può essere troppo ottimistica. Si ricorre in questo caso alla distribuzione t di Student, che dipende dal numero di gradi libertà, oltre che dal livello di confidenza scelto. I limiti di confidenza hanno la stessa forma precedente, solo che t sostituisce il valore di z:

N

stxCL

⋅±=µ

Es. risultato per l’analisi dell’etanolo nel sangue: 0.,084%, 0.089%, 0.079%. Se non abbiamo conoscenze a priori, stimiamo l’errore come s=0.0050%. Quindi l’intervallo di confidenza al 95% è:

012.0084.03

0050.03.4084.0 ±=⋅±=CL

Se invece si sa che l’errore del metodo è 0.0060% (da molte repliche), Quindi l’intervallo di confidenza al 95% è:

007.0084.03

0060.096.1084.0 ±=⋅±=CL

quindi la conoscenza di una buona stima dell’errore fa dimezzare l’intervallo di confidenza.

11

La distribuzione t di Student può consentire di eseguire un test per verificare se , con una certa probabilità, il risultato di un metodo analitico è significativamente diverso dallo standard, infatti si può calcolare:

N

stx

⋅±=− µ

se il dato a destra è maggiore del valore a sinistra, allora si può ritenere che la differenza tra il valore stimato col metodo analitico differisca dal valore dello standard in modo significativo (quindi presenza di bias). Es. determinazione dello zolfo in un campione di cherosene che ne contiene lo 0.123%: risultati sperimentali = 0.112, 0.118, 0.115, 0.119.

%007.0123.0116.0 −=−=− µx

%0051.04

0032.018.3%95,3 ±=⋅±=⋅

±N

st

%0093.04

0032.084.5%99,3 ±=⋅±=⋅

±N

st

allora essendo 0.0051% più piccolo della differenza osservata, si conclude che se affermiamo che la differenza stessa è significativa possiamo sbagliare soltanto 5 volte su 100. Se vogliamo essere sicuri di sbagliare 1 volta su cento, non possiamo invece dire che la differenza è significativa. Quest’ultima affermazione non significa che non ci sia bias! Confronto tra medie: due metodi analitici forniscono due risultati diversi, si esegue allora un test per valutare se i valori medi sono significativamente diversi:

21

2111

nn

stxx

+

⋅=−

in tale formula il termine che esprime la deviazione standard della differenza tra le medie deriva da:

( ) ( ) ( )

+⋅=+=+=−=

21

2

2

22

1

21

21212 11

nns

n

s

n

sxVxVxxVs

in cui si sono utilizzate le espressioni dell’incertezza della media campionaria e, nell’ultima uguaglianza, si è imposta l’omoscedasticità del problema, cioè che i due metodi confrontati presentino la stessa varianza. Questo deve essere verificato prima di eseguire il test qui presentato (mediante un test F). Il test può essere riscritto nel seguente modo:

21

2121

nn

nn

s

xxtcalc +

⋅−=

12

dove l’errore s è nella sua forma pooled, supposta identica per entrambi i metodi:

( ) ( )

221

2

2,12

2

1,11

−+

−+−=

∑∑==

nn

xxxx

s gruppoii

gruppoii

Se il valore di t calcolato risulta superiore al valore di t tabulato, le due medie sono da considerarsi diverse, al livello di confidenza scelto. Es. siano date due serie di rilevazioni del contenuto di un isotopo radioattivo di un campione e di un bianco rispettivamente. Il primo fornisce: 28, 32,27,39,40; il secondo: 28, 21, 28, 20. Si può affermare che il campione sia radioattivo rispetto al bianco con un intervallo di fiducia del 95%?

24,33 21 == xx

( ) ( ) ( ) ( ) ( )( ) ( ) ( ) ( )

4.5246

2420242824212428

334033393327333233282222

22222

=−+

−+−+−+−

+−+−+−+−+−

=s

5.245

45

4.5

2433 =+⋅−=t

Il valore di riferimento di t al 95% è 2.365, quindi si può affermare che al 95% di probabilità i due conteggi sono diversi. Essendo il t calcolato inferiore a quello al 99%, la probabilità che i due conteggi siano diversi è compresa fra il 95 ed il 99%. Confronto tra singole differenze: supponiamo di misurare il contenuto in colesterolo di 6 campioni di plasma sanguigno con due metodi diversi. I sei campioni sono diversi l’uno dall’altro e differiscono anche per la percentuale di colesterolo. Il metodo B fornisce un contenuto in colesterolo inferiore a quello ottenuto col metodo A in 5 campioni su 6. Si può dire che il metodo B differisce in modo sistematico dal metodo A? Si può eseguire un test t sulle differenze:

ns

dt

dcalc =

dove d è la differenza media tra i risultati dei due metodi, n è il numero di coppie di misure, ed inoltre:

( )1

2

−=∑

n

dd

si

d

13

Es. Metodo A

(g/L) Metodo B

(g/L) Differenza

1 1.46 1.42 0.04 2 2.22 2.38 -0.16 3 2.84 2.67 0.17 4 1.97 1.80 0.17 5 1.13 1.09 0.04 6 2.35 2.25 0.10 06.0+=d

Sd = 0.12

20.1612.0

06.0 ==calct

valore significativo tra il 50% e l’80%. Si conclude che i due metodi non differiscono significativamente, infatti in genere si considera significativa una differenza compresa tra il 90% ed il 95% (il 99% è molto significativo). Confronto tra varianze: spesso è necessario valutare se due errori o due varianze siano uguali o meno ad un certo livello di confidenza. Questo può essere fatto mediante il test F di Fischer:

2

2

B

Acalc

s

sF =

dove questo valore viene confrontato col valore della distribuzione F per υA, υB gradi di libertà, al livello di confidenza scelto. A numeratore si mette l’errore più grande. Se il valore calcolato è maggiore di quello tabulato, allora significa che le due varianze sono diverse al livello di confidenza fissato. Prima di eseguire il test sulle medie visto prima sarebbe opportuno controllare la congruità delle varianze. Eliminazione di risultati anomali: a volte si ottengono dei risultati che destano qualche sospetto circa la loro congruità con quelli precedentemente ottenuti. Esiste un test che consente di stabilire se un certo risultato è coerente con gli altri, fissato un livello di confidenza per questa affermazione. Il test Q, che permette di rispondere a questo problema si realizza nel modo seguente: • si ordinano i risultati in ordine crescente • si calcolano il divario fra il dato sospetto ed il risultato più vicino a questo • si calcola l’intervallo (range) dei risultati ottenuti • si calcola l’indicatore Qcalc=divario/intervallo • se il Qcalc è maggiore del Q di riferimento, tabulato in funzione del livello di probabilità scelto e

dei gradi di libertà presenti (numero di risultati), allora si può concludere che il dato sospetto è anomalo (al livello di confidenza scelto).

Se si trova che il risultato sospetto, probabilmente è effettivamente un dato anomalo, allora si dovrebbe cercare di capire il perché di questa anomalia. I valori di Q per una probabilità del 90% sono riportati nella seguente tabella:

14

dof 3 4 5 6 7 8 9 10 Q (90%) 0.94 0.76 0.64 0.56 0.51 0.47 0.44 0.41 Es. Risultati 10.5, 10.8, 11.3, 13 div = 13 – 11.3 = 1.7 R = 13 – 10.5 = 2.5 Qcalc = 1.7 / 2.5 = 0.68 < 0.76, quindi il dato 13 non è anomalo con una probabilità del 90%.

1.6 I minimi quadrati

Capita in molti problemi analitici che si debba cercare la funzione matematica che passi il più vicino possibile ad una serie di punti sperimentali. Di solito il problema riguarda la ricerca della miglior retta, ma l’approccio è facilmente generalizzabile a qualsiasi tipo di funzione. I problemi che si collegano a questo argomento sono di solito problemi di calibrazione, cioè problemi in cui si cerca di costruire una relazione matematica tra il segnale letto sullo strumento e la concentrazione di analita. La funzione matematica che approssima la sequenza di punti sperimentali eseguiti al fine di costruire la curva di calibrazione prende in statistica il nome di “modello di regressione” e abitualmente, anche se non necessariamente, il metodo utilizzato per ricavare la funzione matematica è quello dei minimi quadrati. In questo metodo di solito si assume che l’incertezza affligge esclusivamente la variabile dipendente, cioè la risposta. Nei problemi di calibrazione, la costruzione della curva può essere eseguito in due modi: 1. calibrazione diretta, utilizzando la concentrazione come variabile indipendente il segnale come

variabile dipendente. L’errore in questo caso è correttamente sulla variabile dipendente, come solitamente nei problemi di regressione, ma il modello costruito, alla fine dovrà essere utilizzato in modo inverso, perché non fornisce direttamente la concentrazione: S = f(c).

2. calibrazione inversa, utilizzando la concentrazione come variabile dipendente ed il segnale come variabile indipendente. In questo caso l’errore è sulla variabile indipendente, ma l’equazione della curva di calibrazione fornisce direttamente la concentrazione: C=f(S). In questo caso non si può utilizzare la normale trattazione dei minimi quadrati.

Supponiamo che la retta che si sta cercando sia del tipo: y = mx + b in cui m è la pendenza e b l’intercetta (m viene anche detta talvolta sensibilità). Di tutte le possibili distanze tra i punti sperimentali e la retta si sceglie di utilizzare la distanza lungo la verticale (asse y). Il metodo dei minimi quadrati presuppone che si cerchino i valori di m e b che rendono minima la somma dei quadrati delle distanze tra i punti e la retta proprio lungo la distanza verticale:

( ) [ ]( )

+−=

− ∑∑

== niii

niii bmxyyybm

,1

2

,1

2 minˆmin/,

15

questa ricerca del minimo può essere eseguita imponendo l’annullamento delle derivate parziali rispetto alle due costanti m e b:

( )

( ) 0222

0222

,1

,1

2

=−+=∂

=−+=∂

=

=

niii

niiiii

ymxbb

RSS

yxbxmxm

RSS

Questo sistema di equazioni può essere risolto col metodo dei determinanti, per sostituzione oppure, in modo molto più elegante, mediante l’algebra matriciale.

nx

xx

ny

xyx

m

nii

nii

nii

nii

nii

niii

∑∑

∑∑

=

==

=

==

=

,1

,1,1

2

,1

,1,1

∑∑

∑∑

∑∑

==

==

=

==

=

nii

nii

niii

nii

nii

nii

nii

yx

yxx

nx

xx

b

,1,1

,1,1

2

,1

,1,1

2

Per valutare le incertezze dei due coefficienti calcolati si deve utilizzare la legge di propagazione dell’errore. Prima però devono essere calcolate le incertezze che caratterizzano le due grandezze che compaiono nella definizione dei due coefficienti e cioè yi e xi. Supponendo il modello esatto, se non sono state eseguite repliche degli esperimenti di calibrazione, si può ottenere una stima della varianza di yi dai residui (errori) commessi dal modello nello stimare ciascuna risposta:

( ) ( )

2

ˆˆ 22

−=

−=

∑∑

n

yy

dof

yy iiii

La legge di propagazione dell’errore porta a:

det

2 nym

⋅=

σσ

16

det,1

22 ∑=

⋅= ni

iy

b

xσσ

Dall’equazione della retta si ricava la concentrazione del campione incognito:

m

byx

−=

la cui incertezza di nuovo può essere facilmente ricavata sfruttando la legge di propagazione dell’errore.

17

2. Analisi Volumetrica

2.1 Alcune generalità sugli strumenti di lavoro Bilancia analitica – ha generalmente una portata di 100-200 g ed una sensibilità di 0.01-0.1 mg. In chimica analitica rappresenta uno strumento insostituibile in quanto le sue risposte sono molto precise, sicuramente più precise dei metodi di determinazione volumetrica tradizionali. Quindi, per la preparazione degli standard si può ricorrere ad essa. Il problema nella preparazione degli standard può essere legato alla purezza del materiale pesato, ad esempio pesando un materiale igroscopico, durante la pesata ed anche prima, spesso questo contiene una percentuale variabile (e non nota) di umidità, quindi il risultato della pesata non potrà essere molto preciso. Come tutti gli strumenti è soggetta a periodiche tarature e dovrebbe esserne controllata la stabilità nel tempo mediante opportune procedure. Buretta – la buretta rappresenta lo strumento fondamentale per il corso di chimica analitica quantitativa. Anche se spesso viene considerata come uno strumento superato, più del 90% delle analisi eseguite giornalmente nei laboratori sono di questo tipo. Quindi è opportuno imparare ad utilizzarla al meglio. Per fare questo ricordiamo innanzitutto che non si deve avere mai fretta nelle analisi ed inoltre suggeriamo di porre attenzione ai seguenti aspetti critici nell’uso della buretta: • la lettura deve essere sempre eseguita allo stesso modo, di solito facendo riferimento alla

posizione del menisco inferiore del liquido contenuto nella buretta; • porsi di fronte alla buretta, con gli occhi all’altezza del menisco, in modo da evitare errori di

parallasse, che potrebbero anche essere di notevole entità • tenere conto dello spessore delle tacche, se la tacca è spessa, il valore ad essa corrispondente

deve essere letto solo se il menisco è al centro della tacca stessa (l’utente può adottare riferimenti diversi, è importante che siano sempre gli stessi, es. margine superiore o inferiore della tacca)

• lo svuotamento deve essere abbastanza lento, mai superiore a 20 ml/min. Questo per evitare che il liquido che resta sulle pareti della buretta falsi la lettura in corrispondenza del punto finale ed inoltre per evitare di superare lo stesso punto finale

• attenzione alla presenza di bolle d’aria nella buretta, nella parte sopra il rubinetto (eliminabili con qualche colpetto alla buretta), oppure alla bollicina che spesso si forma subito sotto il rubinetto (eliminabile aprendo rapidamente e completamente il rubinetto per qualche istante)

• ricordarsi di avvinare la buretta prima di eseguire l’analisi, cioè operare uno o più lavaggi della buretta stessa con la sostanza che poi verrà utilizzata (analita o titolante), in modo da evitare contaminazioni e/o diluizioni del reagente

• rallentare il flusso in prossimità del punto equivalente (quando p.e. la persistenza del colore dell’indicatore virato aumenta) e, magari, utilizzare delle frazioni di goccia (il cui peso varia tipicamente tra 0.03 e 0.05 ml) che possono essere fatte scendere sul bordo del becker in cui è contenuto l’analita e poi recuperate inclinando lo stesso, oppure prelevate mediante un bastoncino di vetro che viene successivamente immerso nella soluzione dell’analita.

18

L’analisi eseguita mediante la buretta (analisi volumetrica) è un’analisi piuttosto precisa. Se si usa attrezzatura di tipo A, le tolleranze e le divisioni minime sono le seguenti:

19

Capacità

(ml) Divisioni minime

(ml)

Tolleranza (ml)

5 0.01 ±0.01 10 0.02-0.05 ±0.02 25 0.1 ±0.03 50 0.1 ±0.05 100 0.2 ±0.1

Sarebbe bene standardizzare la buretta, eseguendo la pesata di aliquote diverse di un liquido di cui è nota la densità, in modo da poter determinare il volume di liquido effettivamente erogato, a volumi diversi letti sulla buretta stessa. Es. Letti 1.00 2.50 5.00 7.50 10.00 12.50 15.00 17.50 20.00 Pesati 0.97 2.49 5.02 7.45 10.03 12.51 15.04 17.51 19.99 Errore +0.03 +0.01 -0.02 +0.05 -0.03 -0.01 -0.04 -0.01 +0.01 Err.% 3% 0.4% -0.4% 0.67% -0.3% -0.067% -0.26% -0.057% 0.05% Matracci – sono i contenitori che vengono utilizzati per preparare le soluzioni standard a volume prefissato. In questo caso l’attenzione maggiore deve essere posta nel procedimento con cui si porta a volume la soluzione all’interno del matraccio. Questo contenitore tarato ha infatti una tacca sul collo che rappresenta il livello cui deve essere portata la soluzione per avere il volume richiesto. In questo caso, dato che a differenza che nella buretta, non esegue una determinazione per differenza, è importante attenersi alle regole: il menisco inferiore del liquido deve toccare la tacca. Questo si può ottenere guardando la superficie del liquido da sopra o da sotto (assume allora una forma ellissoidale), aggiungendo liquido finchè il centro della tacca si colloca al centro dell’ellisse (centro del menisco inferiore). Si deve porre molta attenzione nel non superare il volume richiesto poiché in caso di errore, questo diventa un errore irreparabile ed influirà in qualche misura sulle successive determinazioni. Se si deve preparare una soluzione sciogliendo un solido in un liquido, di solito la dissoluzione del solido viene eseguita in un becker, con una piccola quantità di liquido. Quindi questo viene trasferito nel matraccio, il becker viene lavato più volte col liquido, continuando a raccogliere quest’ultimo nel matraccio. Alla fine il matraccio viene portato a volume, agitando e con piccole aggiunte di liquido, in modo da ridurre eventuali effetti di variazione di volume. Le ultime gocce di liquido è bene aggiungerle con la pipetta e non con la spruzzetta con la quale è più facile farsi scappare la mano. I matracci di classe A sono soggetti alle seguenti tolleranze:

Volume ml

Tolleranza ml

Volume ml

Tolleranza ml

1 ±0.02 100 ±0.08 2 ±0.02 250 ±0.10 5 ±0.02 500 ±0.12 10 ±0.02 1000 ±0.30 25 ±0.03 2000 ±0.50 50 ±0.05

20

2.2 Generalità sulle titolazioni Analisi volumetrica: misurare il volume di reagente richiesto dalla reazione con l’analita. Le titolazioni possono essere basate su qualsiasi tipo di reazione, è sufficiente che siano soddisfatti i requisiti di completezza (elevata costante di equilibrio), di avere una stechiometria ben definita (in modo che si possa collegare direttamente la quantità di titolante alla quantità di titolato) e di rapidità (affinchè non si debba attendere troppo per il raggiungimento dell’equilibrio e si possa essere sicuri che questo è stato raggiunto). I metodi per stabilire la fine della reazione sono di vario tipo: cambiamento di colore di una sostanza aggiunta a questo scopo alla miscela che viene titolata (indicatore), variazioni di una proprietà chimico-fisica che presenta discontinuità in corrispondenza (o in prossimità) del punto di equivalenza (punto in cui la quantità di titolante aggiunta è uguale a quella richiesta dalla reazione stechiometrica: Peq). Il punto finale è il punto in cui viene interrotta la titolazione; in generale non coincide esattamente col punto equivalente (Pf). Lo scarto tra punto finale e punto equivalente costituisce l’errore della titolazione (titolazione in bianco per valutarlo). L’individuazione del Pf può essere ottenuta utilizzando svariati metodi visivi o strumentali. Tra i metodi strumentali i più utilizzati sono quelli elettrochimici (mediante la misurazione di un voltaggio o di una corrente) e spettrofotometrici. Nel caso dell’uso di metodi visivi, ci si basa abitualmente sulla comparsa o scomparsa di una colorazione o di un precipitato. Questo può essere ottenuto grazie all’aggiunta alla soluzione da titolare di un sistema indicatore le cui proprietà devono cambiare in modo rilevabile visivamente in prossimità del punto equivalente, questo dovuto ovviamente alla scomparsa dell’analita ovvero alla comparsa di un eccesso di titolante. Nel caso del colore, se il sistema indicatore può esistere in due stati a colorazione diversa, si assume di solito che l’occhio sia in grado di cogliere il passaggio da una forma all’altra quando c’è almeno una prevalenza di 10:1 di una forma rispetto all’altra. Quindi, p.e., si nota variazione di colore quando:

da 10≥B

A

In

In passa a 1.0≤

B

A

In

In (2.1)

Ovviamente deve essere nota con esattezza la concentrazione del reagente (titolante), dato che non è sempre possibile avere a disposizione uno standard primario , si può determinare la concentrazione del titolante titolando una massa nota dello standard primario (standardizzazione). Lo standard primario deve godere di alcune proprietà specifiche quali per esempio la stabilità nel tempo, la purezza almeno al 99.9% e la possibilità di pesarlo. In una titolazione diretta si aggiunge il titolante all’analita fino al raggiungimento del punto finale. Nella titolazione di ritorno si aggiunge un eccesso di titolante che poi viene determinato titolandolo con un secondo reagente (usate quando il punto finale può essere rivelato meglio per la titolazione inversa che non per quella diretta; es. solfato con eccesso di BaCl2 in presenza di rodizonato che forma un ppt rosso col bario, oppure quando la reazione diretta è lenta). Nella titolazione per spostamento si aggiunge all’analita un composto che si lega con questo, liberando un secondo analita, in quantità uguale a quello che deve essere determinato, che può essere determinato con maggior facilità oppure che mantiene in soluzione il primo analita che potrebbe precipitare (es. Ca2+ con MgEDTA2-, dato che per il calcio non esiste un buon sistema indicatore). La titolazione indiretta viene utilizzata quando si fa reagire l’analita con un reagente che è più facile da determinare, per esempio nella determinazioni di alcuni anioni che vengono fatti precipitare con un opportuno ione metallico che poi viene determinato mediante una titolazione complessometrica: • determinandone l’eccesso rimasto in soluzione

21

• determinando il metallo presente nel precipitato dopo ridissoluzione dello stesso, eventualmente per ritorno se la solubilizzazione del precipitato richiede l’aggiunta di EDTA.

Le titolazioni sono basate su reazioni di vario tipo, riconducibili alla forma generale:

tT + aA →→→→ prodotti e quindi t moli di titolante reagiscono con a moli di analita per dare i prodotti finali. Le moli di T usate sono date da: n.moliT = VT [T] , le moli di A (=VA ⋅⋅⋅⋅ [A]), posto che: t : a = nT : nA (essendo il rapporto stechiometrico costante e definito) sono quindi: n.moliA = a/t ⋅⋅⋅⋅ n.moliT: nT = VT ⋅⋅⋅⋅ [T] (2.2) nA = a/t ⋅⋅⋅⋅ VT,Peq ⋅⋅⋅⋅ [T] = VA ⋅⋅⋅⋅ [A] (2.3) VT,Peq = VA ⋅⋅⋅⋅ [A]/[T] ⋅⋅⋅⋅ t/a (2.4) La relazione da mandare a memoria è:

[ ] [ ]t

TV

aAV p.eq.T,A

⋅=

Per esempio, nella reazione seguente: 5 H2C2O4 + 2 MnO4

- + 6 H+ → 10 CO2 + 2 Mn2+ + 8 H2O se vi sono 5 mmoli di ossalato che è l’analita, il punto equivalente si avrà all’aggiunta di 2 mmoli di MnO4

- che è il titolante. Esempio 1 - il cloruro nel siero sanguigno, del liquido cerebro-spinale o dell’urina viene determinato mediante una titolazione del Cl- con lo ione mercurico:

Hg2+ + 2Cl- → HgCl2 (ppt)

Quando la titolazione è giunta al termine compare la colorazione rossa dovuta alla reazione dell’eccesso di Hg2+ col difenilcarbazone (complesso viola-blu). Il Hg(NO3)2 è stato standardizzato titolando 147.6 mg di NaCl in circa 25 ml d’acqua usando 28.06 ml di una soluzione di nitrato mercurico. Questa stessa soluzione è poi stata usata per determinare il cloruro in 2.000 ml di urina usandone 22.83 ml. Calcolare la molarità del titolante Hg2+ e la concentrazione di cloruro nell’urina. In 147.6 mg di NaCl ci sono: 2.526 10-3 moli di Cl- = 147.6 10-3 (g NaCl) / 58.443 (g NaCl/mol) Per una mole di Hg2+ sono necessarie 2 moli di Cl-, quindi nella standardizzazione si sono usate:

moli di Hg2+ = 0.5 x 2.526 10-3 = 1.263 10-3

Questa quantità è contenuta in 28.06 ml, quindi la concentrazione del titolante è:

22

[Hg(NO3)2] = 1.263 10-3 / 28.06 10-3 M = 0.04501 M (anche 45.01 mM)

Nella titolazione, si ha:

moli di Hg2+ in 2 millilitri di urina = 22.83 10-3 (l) x 0.04501 (mol/l) = 1.028 10-3

moli di Cl- = 1.028 10-3 x 2 = 2.056 10-3 Nei due millilitri di urina sono contenuti:

grammi di Cl- in due millilitri di urina = 2.056 10-3 (mol) x 35.453 (g/mol) Cl- = 72.891 10-3 g per una concentrazione di

72.891 mg di Cl- / 2.000 ml = 36.46 mg/ml = 36.46 ppm Esempio 2 – il contenuto di calcio nell’urina può essere determinato precipitando il calcio come ossalato in soluzione basica, lavando il precipitato per allontanare l’ossalato libero, ridisciogliendo l’ossalato mediante un acido, titolando quindi l’acido ossalico tornato in soluzione mediante permanganato di potassio standardizzato a 60°C, fino a comparsa della colorazione rosa. Le reazioni coinvolte sono:

Ca2+ + C2O42- → Ca(C2O4)s ⋅ H2O

5 H2C2O4 + 2 MnO4

4- + 6 H+ → 10 CO2 + 2 Mn2+ + 8 H2O

Si siano sciolti 0.3562 g di ossalato di calcio in un volume totale di 250.0 ml di acqua. 10.00 ml di questa soluzione richiedono 48.36 ml di soluzione di KMnO4, trovare la molarità della soluzione di permanganato. Successivamente 5.00 ml di urina vengano trattati con un eccesso di ossalato. Dopo aver lavato il precipitato questo venga ridisciolto e titolato con 16.17 della soluzione di permanganato. Trovare la concentrazione molare di calcio nell’urina. • Le moli di ossalato nella soluzione standard sono:

0.3562 (g Na2C2O4)/134.00 (g Na2C2O4/mol) = 2.658 10-3 moli da cui

[Na2C2O4] = 2.658 10-3 / 0.2500 = 0.01063 M nella standardizzazione vengono titolate le seguenti moli di ossalato:

10.00 10-3 x 0.01063 = 1.063 10-4 dalla reazione redox si vede che ogni 5 moli di ossalato se ne utilizzano 2 di permanganato, quindi

moli MnO4- = 2/5 moli Na2C2O4 = 2/5 1.063 10-4 = 4.253 10-5

[MnO 4

-] = 4.253 10-5 / 48.36 10-3 ml = 8.795 10-4M

23

• Ora, consideriamo la determinazione del calcio nell’urina:

moli di permanganato = 8.795 10-4 x 16.17 10-3 = 1.422 10-5

moli di ossalato = 5/2 1.422 10-5 = 3.555 10-5 quindi vista la formula dell’ossalato di calcio che era stato precipitato inizialmente (Ca/ossalato = 1/1):

[Ca2+] = 3.555 10-5 / 5.00 10-3 (L) = 0.00711 M = 7.11 mM

Esempio 3 – (metodo di Kjeldahl) determinazione dell’azoto in composti organici. Si tratta il campione con H2SO4 bollente in presenza di un catalizzatore in modo che tutto l’azoto organico si trasformi in NH4

+. La soluzione viene poi basificata trasformando lo ione ammonio in NH3 che viene distillata e fatta reagire con un eccesso noto di HCl. La quantità di HCl che resta viene determinata mediante una titolazione con NaOH per ottenere infine per differenza dall’HCl presente all’inizio la quantità di NH3 prodotta durante la distillazione. Le reazioni coinvolte sono le seguenti: Digestione: N(org) → NH4

+ Basificazione e distillazione di NH3: NH4

+ + OH- → NH3(g) + H2O Raccolta di NH3 su HCl: NH3 + H+ → NH4

+ Titolazione eccesso di HCl che non ha reagito: H+ + OH- → H2O Supponiamo di usare il metodo di Kjeldahl su 0.500 ml di soluzione proteica. L’NH3 liberatasi è raccolta in 10.00 ml di HCl 0.02140 M e l’acido che non ha reagito richiede 3.26 ml di NaOH 0.0198 M per completare la titolazione. Trovare la concentrazione della proteina (mg/ml) nella soluzione iniziale, sapendo che questa contiene il 16.2% di azoto in peso. Moli HCl totali = 10.00 10-3 x 0.02140 = 0.2140 10-3 moli (0.2140 mmoli) Moli HCl titolate con NaOH = 0.0198 x 3.26 10-3 = 0.0646 10-3 moli (0.0646 mmoli) Quindi, dato che 1 mole di azoto proteico produce una mole di NH3, le moli di azoto proteico sono: moli Norg = 0.2140 10-3 – 0.0646 10-3 = 0.1494 10-3 g Norg = 0.1494 10-3 x 14.0067 (g N/mol) = 2.093 10-3 g proteina = 2.093 10-3 / 0.162 = 12.9 10-3 (16.2 : 100 = 2.093 10-3 : x) cioè: 12.9 10-3/0.500 10-3 = 25.8 ppm di proteina (g/l o mg/ml)

2.3 Le titolazioni I tipi di reazioni che vengono utilizzati sono: reazioni di precipitazione, reazioni acido-base, reazioni di complessazione e reazioni redox.

24

Quindi nel corso della titolazione si aggiunge titolante che reagisce rapidamente ed in modo stechiometricamente ben definito con l’analita. Si può definire la frazione titolata con: ϕ = (t ⋅⋅⋅⋅ VA ⋅⋅⋅⋅ [A])/ (a ⋅⋅⋅⋅ VT ⋅⋅⋅⋅ [T]) = V0C0/VC (se stechiometria 1:1) (2.5) Al punto equivalente si ha ϕ=1; prima del punto equivalente ϕ<1 e dopo ϕ>1. Il decorso della titolazione, a seconda dei testi che vengono presi in considerazione, può venire descritto mediante equazioni o grafici che correlano la frazione titolata con la concentrazione di una delle specie che partecipano alla reazione (Saini e Liberti), oppure il volume di titolante aggiunto con la concentrazione delle specie che partecipano alla reazione (Harris). Alcuni metodi strumentali forniscono risposte che sono funzioni lineari della concentrazione dei reagenti, nel qual caso per identificare il punto equivalente si cerca il punto in cui cambia la pendenza della retta. In altri casi la funzione della concentrazione è di tipo logaritmico (potenziometria) e quindi le curve di titolazione hanno andamento semilogaritmico. Le concentrazioni delle specie presenti variano durante la titolazione anche per effetto della diluizione:

0

00

0

';'VV

VCC

VV

VCC o +

⋅=

+⋅= (2.6)

Se la titolazione è eseguita utilizzando una soluzione standard molto più concentrata di quella dell’analita (almeno 20 volte), il termine V nelle equazioni precedenti può essere trascurato e quindi in tali condizioni le concentrazioni stechiometriche sono:

00

';' CCV

VCC o =⋅= (2.7)

Se il rapporto stechiometrico è 1:1 si ha che: [A] peq = [T] peq da cui, essendo al punto equivalente, per definizione, CV = C0V0, sottraendo la prima relazione dalla seconda, si ottiene:

][][ 00

00

ACTV

VCC

V

VC −=−→= (2.8)

cioè, in vicinanza del punto di equivalenza:

( )][][1

10

ATC

−+=ϕ (2.9)

Da questa relazione si può calcolare il valore della pendenza della curva di titolazione in vicinanza

del punto di equivalenza:pD∂∂ϕ

.

Si definisce errore relativo della titolazione il rapporto:

00VC

CVCVer peqpf −

= (2.10)

25

Un’espressione generale, nel caso di una titolazione con stechiometria 1:1, può essere ottenuta nel modo seguente. Si consideri che:

000

00 ][][1

C

AT

VC

VCCVer pfpf

pfpf −

=−=−

= ϕ (2.11)

Si ponga innanzi tutto: ∆pT = pTpf - pTpeq ∆pA = pApf - pApeq (2.12) ossia:

pT

peq

pf

T

T ∆−= 10][

][

pA

peq

pf

A

A ∆−= 10][

][ (2.13)

allora l’errore relativo assume la forma:

( )00

1010][10][10][

C

A

C

ATer

pApApeq

pApeq

pTpeq

∆−∆∆∆ −=

−= (2.14)

ottenuta considerando che [A] peq = [T] peq, che ∆pA≈-∆pT. Es. errore in titolazione acido-base, ∆pH = pHpf - pHpeq, [H] peq=10-7 Se si titola HCl 1.0 10-3M e si interrompe a pH = 4.00: ∆pH = 4 - 7 = -3

( ) %101.0101010

10 333

7

−=−=−= −−

er

fermando la stessa titolazione a pH=8 si ha:

( ) %1.0001.0101010

10 113

7

+=+=−= −−

er

26

3. Titolazioni di precipitazione

3.1 Generalità

Le titolazioni di precipitazione sono basate sulla formazione di una specie insolubile. Sono usate soprattutto per la determinazione degli alogenuri usando come titolante una soluzione di nitrato d’argento. Vediamo come si costruisce la curva teorica di titolazione (Harris, pX in funzione del volume di titolante aggiunto).

pX = -logAX = -log ([X] γX) (2.15) che di solito si semplifica trascurando il coefficiente d’attività:

pX = -log [X] (2.16) La reazione che dobbiamo considerare (stechiometria 1:1, come negli alogenuri d’argento) è del tipo:

A+ + X- → AX (s) Che viene abitualmente descritta mediante il suo prodotto di solubilità che si riferisce alla reazione inversa di dissoluzione del precipitato:

ksp = [A] [X] (2.17) se il valore di ksp è sufficientemente piccolo, avendo in soluzione A o X, l’aggiunta a questa soluzione di X o A porterà ad una precipitazione pressochè quantitativa del sale AX. Tutto o quasi lo ione aggiunto come titolante precipita, prima del punto equivalente, come AX, mentre in soluzione è presente un eccesso dell’analita (la cui concentrazione diminuisce progressivamente); dopo il punto equivalente il titolante tende ad accumularsi in soluzione mentre la concentrazione dell’analita è ora bassissima. Al punto equivalente per definizione la concentrazione delle due specie è uguale, se la stechiometria è 1:1, e quindi la si può calcolare facilmente come:

sppeqpeq kXA == ][][ (2.18)

Se la stechiometria è diversa, p.e. 2:1 o 1:2, se ne deve tener conto nel calcolo:

A+ + 2 X- → AX2(s)

ksp = [A] [X] 2 (2.19) ma al punto equivalente per definizione 2 moliA = moliX, quindi 2 [A]peq = [X]peq e:

ksp = [A]peq (2[A]peq)2 = 4 [A]peq

3 (2.20)

27

quindi

3

4][ sp

peq

kA = oppure 3 4][ sppeq kX ⋅= (2.21)

Prima del punto equivalente, come detto, il titolante sarà in piccola concentrazione, determinata dall’eccesso di analita. Avendo aggiunto un volume V di titolante A (conc. [A]0) ad una soluzione di volume V0 si ha, nel caso di stechiometria 1:1 (A+ + X- → AX (s)): [A] = ? [X] = ([X] i V0 – [A]0 V + [A] (V+V 0)) / (V+V0) (2.22) ma [A](V+V0), la quantità di titolante in equilibrio col precipitato, è trascurabile ksp = [A] ⋅ ([X] i V0 – [A]0 V) / (V+V0) (2.23) [A] = ksp / ([X] i V0 – [A]0 V) / (V+V0) (2.24) Se si è molto vicini al punto equivalente, il termine solitamente trascurabile, che tiene conto di quanto A resta in soluzione, non è più trascurabile e quindi la soluzione del problema deve essere cercata utilizzando le equazioni complete. In questo caso il modo più semplice di determinare le concentrazioni incognite utilizza il metodo delle approssimazioni successive: 1. calcolare un valore approssimato di [X] dall’equazione 2.22 senza il termine di correzione 2. calcolare un valore approssimato di [A] dall’equazione 2.24 3. sostituire il valore approssimato di [A] nell’eq.2.22 e calcolare un nuovo valore approssimato di

[X] 4. se il valore di [A] non è cambiato il procedimento è a convergenza, diversamente andare al

passo 3. Avendo aggiunto un volume V di titolante A (conc. [A]0) ad una soluzione di volume V0 si ha, nel caso di stechiometria 2:1 (A2+ + 2 X- → AX2(s)) : [A] = ? [X] = ([X] i V0 – 2[A]0 V + 2[A] (V+V 0)) / (V+V0) (2.25) ma [A](V+V0 la quantità di titolante in equilibrio col precipitato, è trascurabile ksp = [A] ⋅ (([X] i V0 – 2[A]0 V) / (V+V0))

2 (2.26) [A] = ksp / (([X] i V0 – 2[A]0 V) / (V+V0))

2 (2.27) Dopo il punto equivalente, il titolante si accumula in soluzione e la sua concentrazione tende ad aumentare. Avendo aggiunto un volume V di titolante A (conc. [A]0) ad una soluzione di volume V0 si ha, nel caso di stechiometria 1:1 (A+ + X- → AX (s)): [A] = ([A] 0 V – [X] i V0 + [X] (V+V 0)) / (V+V0) (2.28) ma [X](V+V0), l’analita in equilibrio col precipitato, è trascurabile

28

[X] = ? ksp = [X] ⋅ ([A] 0 V – [X] i V0) / (V+V0) (2.29) [X] = ksp / ([A] 0 V – [X] i V0) / (V+V0) (2.30) ed analogamente nel caso di stechiometria diversa. Vediamo un esempio che permette di introdurre un metodo alternativo, semplice, per determinare la curva di titolazione. Supponiamo di titolare 25.00 ml di una soluzione 0.1000 M di ioduro con Ag+ 0.05000M:

Ag+ + I- → AgI(s)

ksp = [Ag+][ I -] = 8.3 10-17

Al punto di equivalenza [Ag+] = [I -], quindi

[Ag+] = [I -] = 817 101.9103.8 −− ⋅=⋅

pAg+ = 8.04 questo viene raggiunto quando sono stati aggiunti (moli A = moli T):

25.00 x 0.1000 = Ve x 0.05000

Ve = 25.00 x 0.1000 / 0.05000 = 50.00 ml Prima del punto di equivalenza, dopo aver aggiunto 10 ml: a) moli I-(aq) = moli I-(iniz) – moli Ag+

agg = 25.00 x 0.1000 – 10.00 x 0.05000 = 0.002000

[I -] = 0.002000 / 0.03500 = 0.05714 M

[Ag+] = 8.3 10-17 / 0.05714 = 1.4 10-15 M

pAg+ = 14.84 b) dopo aver aggiunto 10.00 ml di Ag+ alla soluzione rispetto ai 50.00 ml richiesti, si è consumato soltanto 1/5 dello ioduro totale, quindi il calcolo di quanto ioduro è rimasto si può fare rapidamente nel seguente modo:

[I -] = ( ) MM 05714.000.35

00.251000.0

000.5

000.4 =

⋅⋅

Frazione Conc. iniz. Fattore di rimasta diluizione dopo 49.00 ml si ha:

29

[I -] = ( ) MM 41076.600.74

00.251000.0

00.50

00.4900.50 −⋅=

⋅⋅

cui corrisponde: [Ag+] = 8.3 10-17 / 6.76 10-4 = 1.2-13 M pAg+ = 12.91 c) con il metodo generale illustrato prima: [Ag+] = ksp / ([X] i V0 – [A]0 V) / (V+V0) [Ag+] = 8.3 10-17/ (0.1000 x 25.00 – 0.05000 x 10.00)/ (25.00 + 10.00) [I -] = ([X] i V0 – [A]0 V) / (V+V0) = (0.1000 x 25.00 – 0.05000 x 10.00)/ (25.00 + 10.00) Dopo il punto di equivalenza, supponiamo di aver aggiunto 52.00 ml di soluzione di Ag+. Ora questo è presente in eccesso e determina la concentrazione di ioduro rimasta in soluzione: a) mmoli Ag+ = 52.00 x 0.05000 – 50.00 x 0.05000 = 0.1000 [Ag+] = 0.1 / 77.00 = 1.30 10-3 pAg = 2.89 [I -] = 8.3 10-17 / 1.3 10-3 = 6.4 10-14 b)

[Ag+] = (0.05000M) M31030.100.77

00.2 −⋅=

Conc.iniz. Fattore di diluizione c) [I -] = ksp / ([Ag+]0 V – [I-] i V0) / (V+V0) [Ag+] = ([Ag+]0 V – [I-] i V0) / (V+V0) [I -] = 1.8 10-17 / (0.05000 x 52.00 – 0.1000 x 25.00)/(25.00+52.00) [Ag+] = (0.05000 x 52.00 – 0.1000 x 25.00)/(25.00+52.00) La curva di titolazione, riportando pAg+ in funzione del volume di Ag+ aggiunto assume una forma caratteristica in cui il punto di equivalenza si trova nel tratto centrale ripido. Questo tratto è tanto più ampio quanto maggiore è la concentrazione dell’analita. Inoltre è tanto più ampio quanto più piccola è la ksp del sale che si forma durante la titolazione, quindi gli alogenuri meno solubili (es. AgI) presentano una variazione più netta di pAg+ di quelli più solubili. Più ampio è il tratto ripido, maggiore la facilità con cui si identifica il punto equivalente o ci si può avvicinare ad esso. Se la stechiometria della reazione di precipitazione è del tipo 1:1, la curva è simmetrica nell’intorno del punto di equivalenza e lo stesso corrisponde al flesso della curva, posto al centro del tratto ripido. Se la stechiometria non è 1:1, come nel caso della reazione:

30

2 Ag+ + CrO4

2- → Ag2CrO4(s) la curva non è più simmetrica rispetto al punto equivalente ed inoltre questo non è posto nel centro del tratto ripido e non ne è il flesso. Nella pratica di solito il tratto è sufficientemente ripido da non richiedere che si tenga conto della stechiometria della reazione per determinarlo con precisione. Esempio: titolazione con stechiometria 1:2 - Studiare la curva di titolazione di una soluzione contenente 25.00 ml di Hg2(NO3)2 a concentrazione 0.04132 M con KIO3 0.05789 M. La reazione di precipitazione è la seguente:

Hg22+ + 2 IO3

- → Hg2(IO3)2(s) Il prodotto di solubilità di Hg2(IO3)2(s) è 1.3 10-18. Si calcola dapprima il volume di titolante al punto di equivalenza, a cui le moli di titolante sono il doppio delle moli di analita, essendo la stechiometria 2:1 :

Ve ⋅ 0.05789 = 2 ⋅ 25.00 ⋅ 0.04132 → Ve = 2 ⋅ 25.00 ⋅ 0.04132 / 0.05789 = 35.69 ml Prima del punto di equivalenza: Vediamo ora le concentrazioni di analita e di titolante quando sono stati erogati 34.00 ml, la precipitazione dell’analita in queste condizioni non è ancora completa:

[Hg2+] = ( ) M108.29

34.0025.00

25.000.04132

35.69

34.0035.69 4−⋅=

+⋅⋅

− p[Hg2

+] = -3.08

[IO3-] = 8

4

18

100.41029.8

103.1 −−

⋅=⋅

⋅ p[IO3

-] = -7.40

Fermandosi in queste condizioni l’errore assoluto è: 34.00 x 0.05789 /2 – 25.00 x 0.04132 = -0.04887 mentre quello relativo: -0.04887/(25.00 x 0.04132) = 4.7% Al punto di equivalenza: moli Hg2

+ = 0.5 moli IO3-

quindi: 1.3 10-18 = [Hg2

+] [IO3-]2 = [Hg2

+] (2 [Hg2+])2 = ([IO3

-]/2) [IO3-]2

[Hg2+] = 73

18

109.64

103.1 −−

⋅=⋅ p[Hg2

+] = -6.16

[IO3-] = 63 18 104.1103.12 −− ⋅=⋅⋅ p[IO3

-] = -5.85

31

Dopo il punto di equivalenza: quando sono stati erogati 36.00 ml, si può considerare che tutto il mercurio sia precipitato e quindi lo iodato comincia ad accumularsi in soluzione:

[IO3-] = ( ) 4109.205789.0

00.3600.25

69.3500.36 −⋅=⋅

+−

p[IO3-] = -3.54

[Hg2+] = 11

24

18

105.1)109.2(

103.1 −−

⋅=⋅⋅

p[Hg2+] = -10.82

fermandosi in queste condizioni l’errore assoluto è: 36.00 x 0.05789 /2 – 25.00 x 0.04132 = 0.00902 mentre quello relativo: 0. 00902/(25.00 x 0.04132) = 0.87%

32

33

3.2 Titolazione di una miscela Titolando una miscela di due ioni che possono entrambi precipitare, si formerà per primo il precipitato meno solubile e, se i prodotti di solubilità saranno abbastanza diversi, il primo sale avrà terminato la sua precipitazione quando il secondo non ha ancora iniziato a precipitare. In questo caso, disponendo di un opportuno sistema indicatore, è possibile determinare entrambe le specie mediante una titolazione di precipitazione. Consideriamo per esempio la titolazione di una miscela di KI e KCl con AgNO3. Dato che Ksp(AgI)<<Ksp(AgCl: 8.3⋅10-17<<5.0⋅10-13), all’inizio precipiterà AgI e solo in un secondo tempo AgCl. Calcolando la curva di titolazione si osservano due variazioni notevoli di Ag+, la prima in corrispondenza del punto equivalente della titolazione di AgI, il secondo in corrispondenza del punto equivalente della titolazione di AgCl. Il punto finale della prima titolazione viene preso come il punto di intersezione tra il primo tratto ripido ed il tratto quasi orizzontale (dopo il primo punto di equivalenza). Si opera così perché la precipitazione di I- non è del tutto completata quando comincia a precipitare l’AgCl, che tampona la concentrazione di Ag+ (tratto orizzontale). Il punto finale della seconda titolazione, corrispondente anche al punto equivalente, viene preso come il punto intermedio del secondo tratto ripido. In questo caso non c’è interferenza dovuta ad un altro ione che inizia la precipitazione. Nelle titolazioni di miscele di ioni precipitabili, c’è un fenomeno che può interferire col procedimento, conducendo ad un errore sistematico: la coprecipitazione. Per esempio, nella titolazione di una miscela bromuro/cloruro, il punto finale è affetto da errore sistematico che può arrivare al +3%, a seconda delle condizioni operative. Questo è dovuto alla piccola quantità di AgCl che coprecipita con l’AgBr. Questo effetto può essere ridotto dalla presenza in soluzione di un anione come il nitrato (effetto della forza ionica).

34

3.3 Determinazione del punto finale Nelle titolazioni per precipitazione le tecniche più comunemente utilizzate per rivelare il punto finale sono 3: • metodi potenziometrici – si utilizzano elettrodi in grado di rispondere alle variazioni di

concentrazione di uno degli ioni coinvolti nella titolazione (analita o titolante). Es. ione Ag/AgCl, Hg/HgCl2

• metodi con indicatore • metodi a diffusione di luce – turbidimetria (legge simile a quella di Beer, indipendente

dall’intensità del raggio incidente) e nefelometria (misura a 90° rispetto al raggio incidente, il segnale aumenta con l’intensità del raggio incidente, ma dipende dalle dimensioni delle particelle)

I metodi con indicatore più diffusi fanno uso del nitrato di argento come agente titolante, le titolazioni vengono chiamate anche titolazioni argentimetriche. A titolo esemplificativo considereremo la titolazione del cloruro. I 3 metodi con indicatore sono: • la titolazione di Mohr: il sistema indicatore si basa sulla formazione di un precipitato colorato al

punto finale (Ag2CrO4) • la titolazione di Volhard: il sistema indicatore si basa sulla formazione di un complesso solubile

colorato in corrispondenza del punto finale (FeSCN2+) • titolazione di Fajans: il punto finale viene identificato mediante l’adsorbimento di un indicatore

colorato sul precipitato.

35

Titolazione di Mohr – questa titolazione viene eseguita in presenza di ione cromato, abitualmente disciolto come Na2CrO4. Il cromato può formare un precipitato con l’Ag+ dal colore rosso:

2Ag+ + CrO42- → Ag2CrO4(s) rosso

Questo sistema indicatore può essere applicato all’analisi di quegli analiti che con Ag+ danno un precipitato non rosso e meno solubile del cromato di argento. Il punto finale viene indicato dalla prima comparsa di precipitato rosso persistente (prima del punto finale, dove cade la goccia, si forma del precipitato rosso che poi si ridiscioglie). Dato che affinchè la colorazione rossa sia percettibile dall’occhio è necessario un leggero eccesso di precipitato di cromato d'argento, il punto finale è posto leggermente dopo il punto equivalente. A questo si può ovviare: • eseguendo una titolazione in bianco in assenza di cloruro, per determinare quale eccesso di Ag

è necessario per identificare il punto finale. Il volume di Ag richiesto dalla titolazione in bianco viene poi sottratto al volume di titolante al punto finale.

• Oppure si può standardizzare la soluzione di nitrato d’argento nelle stesse condizioni in cui poi si esegue la titolazione (con una titolazione di Mohr), in modo che i due errori alla fine si annullino.

Affinchè la titolazione avvenga come desiderato, si deve controllare con una certa attenzione sia il pH della soluzione che la concentrazione di CrO4

2-. LA titolazione di Mohr viene utilizzata per cloruri, bromuri e cianuri, non per ioduri e tiocianato (SCN-). Titolazione di Volhard – questa titolazione è stata sviluppata per determinare Ag+, quindi per analizzare gli anioni è necessario eseguire una titolazione di ritorno, aggiungendo un eccesso di Ag+ che viene poi determinato mediante questa titolazione.

36

Nella titolazione di Volhard l’argento monovalente viene titolato con tiocianato, che forma con esso un sale insolubile. La reazione viene condotta in presenza di Fe3+, che dopo il punto di equivalenza reagisce con l’eccesso di SCN- per formare un complesso rosso: Ag+ + SCN- → AgSCN(s) Fe3+ + SCN- → FeSCN2+ rosso Se questa reazione viene utilizzata di ritorno per determinare il cloruro, dopo il punto finale la colorazione rossa tende a svanire perché l’AgCl è più solubile di AgSCN e quindi AgCl si scioglie lentamente per formare AgSCN che precipita decomponendo il complesso. Per impedire che questo accada si può: • allontanare il precipitato iniziale di AgCl mediante filtrazione, titolando poi la soluzione rimasta • agitare alcuni millilitri di nitrobenzene con l’AgCl, prima di procedere alla titolazione di ritorno.

Il nitrobenzene riveste il precipitato isolandolo ed impedendogli di reagire con l’SCN-. Bromuri e ioduri, i cui sali sono meno solubili di AgSCN non danno questo problema e possono essere titolati senza ricorrere a queste tecniche. La reazione viene di solito eseguita in HNO3 0.2M, in queste condizioni sali di argento altrimenti insolubili come CO3

2-, C2O42- ed AsO4

3- sono invece solubili e quindi non danno interferenza. Titolazione di Fajans – la titolazione di Fajans utilizza un indicatore di adsorbimento, cioè un indicatore che è in grado di legarsi selettivamente alla superficie del cristallo la cui polarità cambia prima e dopo il punto di equivalenza. In genere questi indicatori sono sostanza anioniche che vengono attratte dalle particelle di precipitato cariche positivamente prodotte subito dopo il punto di equivalenza. L’adsorbimento provoca un cambiamento di colore che indica il raggiungimento del punto finale della titolazione. Al fine di poter identificare repentinamente il punto equivalente, trattandosi di un fenomeno superficiale, è necessario che la superficie del precipitato sia la più grande possibile. Il metodo di Fajans permette di eseguire titolazioni di precipitazione che esulano da quelle argentimetriche. Usando l’eosina non si può titolare l’AgCl, poiché il legame con il precipitato e tanto forte da ottenere adsorbimento anche prima del pf. Inoltre in generale si deve cercare di proteggere gli indicatori dalla luce solare diretta, poiché molti di questi sono fotosensibili, come d’altra parte gli stessi sali di argento.

37

Metodo di Mohr Cl-, Br- Ag2CrO4 al punto finale Metodo di Volhard Cl-, PO4

3-, CN-, C2O42-, CO3

2-, S2-, CrO42- E’ necessaria la rimozione del ppt

Br-, I-, SCN-, CNO-, AsO43- Non è necessaria la rimozione del ppt

BH4- Titolazione per ritorno di Ag+ in eccesso dopo la

reazione: BH4- + 8 Ag+ + 8OH- → 8 Ag(s) +

H2BO3- + 5 H2O

K+ Prec. iniziale di K+ con un eccesso di (C6H5)4B-,

poi l’eccesso viene prec. con un eccesso di Ag+. Quest’ultimo viene poi titolato con SCN-

Metodo di Fajans Cl-, Br-, I-, SCN-, Fe(CN)6

4- Titolazione con Ag+ e rilevamento con fluoresceina, diclorofluoresceina, eosina e blu bromofenolo

F- Titolazione con Th(NO3)4 per produrre ThF4, rosso alizarina S come indicatore

Zn2+ Titolazione con K4Fe(CN)6 per produrre K2Zn3[Fe(CN)6]2, difenilamina come indicatore

SO42- Titolazione con Ba(OH)2 in metanolo acquoso al

50% (v/v), rosso alizarina S come indicatore Hg2

2+ Titolazione con NaCl per produrre Hg2Cl2, blu bromofenolo come indicatore

PO43-, C2O4

2- Titolazione con Pb(CH3CO2)2 per dare Pb3(PO4)2 o PbC2O4, indicatore dibromofluoresceina (PO4

3-) o fluoresceina (C2O4

2-)

38

4. Le titolazioni acido-base Il campo delle titolazioni acido-base è quello più ampiamente studiato ed utilizzato. Dalla forma della curva di titolazione di un acido o di una base, ovvero di un sistema poliprotico (es. proteina) è possibile ottenere delle informazioni importanti sulle costanti acide o basiche del sistema stesso. Come nel caso delle titolazioni di precipitazione, il punto di partenza consiste sempre nello scrivere la reazione che avviene durante la titolazione, reazione tra titolante ed analita. Successivamente, utilizzando l’equazione dell’equilibrio chimico, si possono calcolare le concentrazione delle specie presenti per qualsiasi volume di titolante sia stato aggiunto.

4.1 Titolazione di un acido forte con una base forte Per esempio la titolazione di KOH con HCl. La reazione chimica tra analita e titolante è:

H+ + OH- → H2O la cui costante di equilibrio è quella dell’acqua: 1/10-14 = 1014. Visto il valore della costante questa reazione risponde al requisito di completezza richiesto affinchè possa essere utilizzata per eseguire una titolazione. Inoltre è veloce e con una stechiometria ben definita. Il volume di titolante richiesto per raggiungere il punto di equivalenza è:

Ve = t/a [A]/[T] V0

Al punto di equivalenza la concentrazione dei reagenti può essere calcolata dal prodotto ionico (equilibrio di dissociazione) dell’acqua:

[H+] = [OH-] = 714 1010 −− = Quando con un acido forte si titola una base forte o viceversa, il pH al punto di equivalenza è sempre lo stesso e non dipende nè dalle concentrazioni di analita e titolante, né dal volume della soluzione. Questa situazione è analoga a quella che si incontra al punto di equivalenza per le titolazioni di precipitazione. Prima del punto di equivalenza è presente in eccesso l’analita, la cui concentrazione determina, sempre attraverso il prodotto ionico dell’acqua, quella del titolante presente in soluzione. Dopo il punto di equivalenza è il titolante ad essere presente in eccesso ed è questa volta la concentrazione di analita che deve essere calcolata dall’equilibrio di dissociazione dell’acqua. Le equazioni che descrivono queste due situazioni sono analoghe a quelle trovate per le titolazioni di precipitazioni. Vediamo a titolo esemplificativo la titolazione di 50.00 ml di KOH 0.02000 M con HCl 0.1000 M. Il volume di titolante al punto equivalente è: Ve = 0.02000/0.1000 * 1/1 * 50.00 = 10.00 ml Prima del punto di equivalenza: dopo aver aggiunto 3.00 ml di HCl la reazione di neutralizzazione del KOH è giunta ai 3/10 di completezza, per cui:

[OH-] = ( ) M0132.000.300.50

00.5002000.0

00.10

00.300.10 =

+⋅⋅

39

Frazione di Conc.iniz. Fattore di OH rimasta diluizione [H+] = Kw / [OH-] = 1.0 10-14/1.32 10-2 = 7.5 10-13 pH = 12.12 Prima del punto di equivalenza: dopo aver aggiunto 9.90 ml di HCl la reazione di neutralizzazione del KOH è giunta al 99% di completezza, per cui:

[OH-] = ( ) M41067.190.900.50

00.5002000.0

00.10

90.900.10 −⋅=

+⋅⋅

Frazione di Conc.iniz. Fattore di OH rimasta diluizione [H+] = Kw / [OH-] = 1.0 10-14/1.67 10-4 = 5.99 10-11 pH = 10.22 Al punto di equivalenza come si è già visto, se sia l’acido che la base sono forti, il pH corrisponde alla perfetta neutralità: pH = 7.00. Dopo il punto di equivalenza: dopo aver aggiunto 10.10 ml di HCl la reazione di neutralizzazione è praticamente completa, il pH è determinato dall’eccesso di HCl:

[H+] = ( ) 41067.110.1000.50

10.01000.0 −⋅=

+⋅

pH = 3.78 [OH-] = Kw / [H+] = 1.0 10-14/1.67 10-4 = 5.99 10-11 Dopo il punto di equivalenza: dopo aver aggiunto 17.00 ml di HCl la reazione di neutralizzazione è completa, il pH è determinato dall’eccesso di HCl:

[H+] = ( ) 21004.100.1700.50

00.71000.0 −⋅=

+⋅

pH = 1.98 [OH-] = Kw / [H+] = 1.0 10-14/1.04 10-2 = 9.61 10-13 Come si vede, il passaggio dal 99% di reazione di neutralizzazione al 100%, errore relativo dell’1%, corrisponde ad un salto del pH da 10.22 a 7.00 e, superando dell’1% il punto equivalente il salto è da pH 7.00 a pH 3.78. Queste variazioni sono abbastanza rilevanti da consentire una buona individuazione del punto finale in modo che non sia troppo lontano dal punto equivalente, così da non commettere grandi errori. Nelle titolazioni di questo tipo il punto di equivalenza corrisponde al punto di massima pendenza della curva di titolazione che è anche il punto di flesso della stessa.

40

Se nella titolazione uno dei due reagenti o entrambi non è forte (es. acido debole oppure base debole oppure acido e base deboli) il pH del punto di equivalenza non è più 7 e può differire in misura notevole da questo valore.

3.2 Titolazione di un acido debole con una base forte In questo caso, per poter studiare correttamente il sistema, bisogna conoscere bene le equazioni che regolano i sistemi acido-base ed i tamponi. Consideriamo un esempio in cui si debbano titolare 50.00 ml di acido 2-(N-morfolino) etansolfonico (MES) 0.02000 M con NaOH 0.1000 M. La pKa del MES è 6.15. La reazione di neutralizzazione è l’inverso della reazione di dissociazione della base coniugata del MES. Perciò la costante della reazione è K = 1/Ka = 1/ (Kw/Kb) = 7.1 107. Il valore è sufficientemente elevato per affermare che tutto l’OH- aggiunto reagisce quantitativamente con l’acido. Il volume al punto equivalente è: Ve = 0.02000/0.1000 * 1/1 * 50.00 = 10.00 ml

Prima di iniziare ad aggiungere NaOH il pH è dovuto all’acido debole e l’equilibrio in questione è:

HA + H2O ↔ A- + H3O+

Se:

41

[HA] = 0.0200 – x [H+] = [A-] = x si ha:

93.31019.11002000.0

415.62

=⇒⋅=⇒==−

−− pHxKx

xa

Dopo che si è iniziato ad aggiungere la base, in soluzione è presente sia l’acido debole che la sua base coniugata, per cui siamo in presenza di un tampone ed il pH può essere determinato mediante l’equazione di Henderson-Hasselbalch, calcolando il rapporto [A-]/[HA]. Dopo aver aggiunto 3.00 ml di NaOH, per esempio, la reazione di neutralizzazione dell’acido è giunta ai 3/10 (essendo 10.00 ml il volume equivalente) e quindi: [HA] = 7/10, [OH-]aggiunta = [A-] = 3/10 e quindi pH = pKa + log([A-]/[HA]) = 6.15 + log((3/10) / (7/10)) = 5.78 quando il volume di titolante è la metà del volume equivalente si ha: [HA] =1/2, [A-] = ½ per cui pH = 6.15 + log((1/2) / (1/2)) = 6.15 = pKa Quindi quando il volume di titolante aggiunto è metà del volume equivalente, il pH è uguale alla pKa dell’acido cosicchè dalla curva di titolazione sperimentale è possibile calcolare il valore approssimativo della pKa. Questo valore sarà riferito alle concentrazioni, quindi per conoscere il vero valore della costante acida sarà necessario calcolare o conoscere la forza ionica della soluzione onde determinare i coefficienti di attività. Al punto equivalente tutto l’acido è stato neutralizzato ed è come se avessimo sciolto il sale NaA. E’ il tipico problema in cui una base debole reagisce con l’acqua. La reazione è:

A- + H2O ↔ HA + OH-

Posto: [A -] = [A-] peq – x, [HA] = [OH-] = x

[A -]peq = ( ) M0167.000.1000.50

00.5002000.0 =

+⋅

e quindi:

MxK

KK

x

x

a

wb

582

1054.11043.10167.0

−− ⋅=⇒⋅===−

42

pH = 18.9][

log =

− −OH

K w

Come si vede, a differenza che nel caso della titolazione di un acido forte, il pH del punto di equivalenza è decisamente diverso da 7.00. In generale nella titolazione di un acido debole il pH al punto di equivalenza è maggiore di 7, poiché in queste condizioni l’acido si trasforma nella sua base coniugata. Dopo il punto di equivalenza è presente un eccesso di NaOH, cioè della base forte. Il pH è determinato in larga misura dall’eccesso di questa base e verrà quindi calcolato come se si fosse semplicemente aggiunto dell’NaOH all’acqua. Consideriamo a titolo esemplificativo cosa accade dopo l’aggiunta di 10.10 ml di NaOH. Siamo ancora molto vicini al punto equivalente, superato appena dell’1%:

[OH-] = ( ) 41066.110.000.50

10.01000.0 −⋅=

+⋅

pH = 22.10][

log =

− −OH

Kw

La curva di titolazione presenta due flessi. Il primo coincide con il punto in cui la quantità di titolante aggiunta è uguale alla metà di quella necessaria per raggiungere il punto equivalente. In queste condizioni dpH/dV è minimo e quindi è massimo il potere tamponante della soluzione. Il secondo flesso si trova al punto equivalente, dove la pendenza è invece massima.

43

Al diminuire della costante acida dell’acido debole diminuisce proporzionalmente il salto di pH prima e dopo il punto di equivalenza. Se la pKa è maggiore di 8 è quasi impossibile titolare l’acido debole perché è difficile determinare con precisione il punto finale della titolazione. La stessa cosa accade quando è molto piccola la concentrazione dell’analita oppure del titolante. Quindi non è conveniente titolare un acido o una base troppo deboli o troppo diluiti.

3.3 Titolazione di una base debole con un acido forte Questo tipo di titolazione non è altro che l’inverso di quella vista precedentemente. La reazione della titolazione è:

B + H+ → BH+ Dato che i reagenti sono una base debole ed un acido forte, la reazione giunge a completamento dopo ciascuna aggiunta di acido. Come nel caso precedente si possono osservare 4 zone diverse. Prima dell’inizio della titolazione la soluzione contiene soltanto la base debole. Il pH della soluzione è determinato dalla reazione della base con l’acqua:

B + H2O ⇔ BH+ + OH- Si può porre:

44

[B] = [B] iniz – x [BH+] = [OH-] = x e quindi:

biniz

KxBH

x =−+ ][

2

Tra il punto iniziale ed il punto di equivalenza siamo in presenza di un tampone: troviamo in soluzione sia B che BH+ e quindi il pH si calcola dall’equazione di Henderson-Hasselbach:

pH = ][

][log)( +

+ +BH

BBHpKa

Quando il volume di acido forte aggiunto è uguale alla metà di quello richiesto per raggiungere il punto di equivalenza si ha di nuovo: pH = pKa (BH+) Al punto di equivalenza la base debole è convertita integralmente nell’acido debole BH+, quindi il pH si calcola considerando la dissociazione acida di quest’acido: BH+ ⇔ B + H+ con [BH+]peq = [BH+] – x , tenendo conto della diluizione ([BH+] = [B] iniz x fattore di diluizione) [B] = [H+] = x

Ka = Kw / Kb = xBH

x

−+ ][

2

In questo caso il pH al punto di equivalenza è inferiore a 7.00. Tanto inferiore quanto più debole è la base B. Dopo il punto di equivalenza c’è H+ in eccesso in soluzione, dovuto all’aggiunta di titolante. Il pH si calcola considerando soltanto questo eccesso poiché altri equilibri sono ininfluenti. Esempio: titolazione di 25.00 ml di piridina 0.08364 M (Kb = 1.69 10-9) con HCl 0.1067 M. Il volume di titolante richiesto per raggiungere il punto di equivalenza è: Ve = 0.08364/0.1067 1/1 25.00 = 19.60 ml All’inizio: [B] = 0.08364 – x [OH-] = [BH+] = x

45

92

1069.108364.0

−⋅=− x

x

[OH-] = [BH+] = pH = 14 + log[OH-] = Dopo aver aggiunto 4.63 ml una parte della piridina ha reagito con l’acido. In soluzione è presente un tampone formato da piridina e ione piridinio:

[piridina] = ( ) =

+⋅⋅

−63.400.25

00.2508364.0

60.19

63.460.19

con una frazione di piridina titolata pari a: 4.63/19.60 = 0.236 mentre quella rimasta è il complemento a 1.000. Il pH, mediante l’equazione di Henderson-Hasselbalch è dunque:

pH = 74.5236.0

764.0log

1069.1

100.1log

9

14

=+⋅

⋅−

Al punto equivalente il pH si potrà calcolare considerando che: [piridina]peq = 0.08364 ⋅ 25.00/(25.00 + 19.60) – x = 0.04688 – x [piridinio] = [H+] = x

9

142

1069.1

100.1

0444.0 −

⋅⋅=

− x

x

[H+] = . . . pH = . . .

3.4 Titolazione di sistemi poliprotici In generale i principi che regolano le titolazioni degli acidi e delle basi monoprotici valgono anche per i sistemi poliprotici. Tuttavia, come si vedrà, talvolta per questi ultimi, quando le pK non sono sufficientemente diverse, il problema si complica notevolmente. Esempio: titolazione di 10.00 ml di una base dibasica B 0.100 M con HCl 0.100M. La base abbia pKb1 = 4.00 e pKb2 = 9.00. In questo caso le pKb sono tanto diverse l’una dall’altra che è come se fossero presenti due specie molto diverse tra loro, per cui la curva di titolazione presenta due gradini ben distinti, come accade nella titolazione di precipitazione di una miscela in cui le pKsp delle specie che precipitano sono molto diverse tra loro. I due gradini corrispondono alle seguenti reazioni: B + H+ → BH+ BH+ + H+ → BH2

2+

46

Il volume al primo punto di equivalenza è 10.00 ml, infatti: Ve = 10.00 * (1/1) * (0.100/0.100) = 10.00 ml Il volume al secondo punto di equivalenza è esattamente il doppio del volume al primo punto di equivalenza. Prima dell’aggiunta di HCl il pH è regolato dalla seguente reazione:

B + H2O → BH+ + OH-

[B] = 0.100 – x [BH+] = [OH-] = x

( )34

2

1011.31000.1100.0

−− ⋅=⇒⋅=−

xx

x

[H+] = Kw/3.11 10-3 ⇒ pH = 11.49 Tra il punto iniziale ed il punto di equivalenza si è in presenza di un tampone costituito da B e BH+. Il pH si calcola utilizzando l’equazione di Henderson-Hasselbalch per l’acido debole BH+: Ka2 = Kw/Kb1 = 10-10.00 quindi si ha:

pH = pKa2 + ][

][log +BH

B

nel punto di mezzo, in cui [B] = [BH+] si ha: pH = 10.00 + log(1) = 10.00, cioè pH = pKa2 mentre in qualsiasi altro punto è sufficiente calcolare la frazione presente nel logaritmo, per esempio, dopo aver aggiunto 1.500 ml si ha:

5.1

5.8

][

][ =+BH

B

e quindi il pH è:

pH = 10.00 + 75.105.1

5.8log =

Al punto di equivalenza B è stata convertita tutta in BH+. Quest’ultimo è un anfolita, cioè può funzionare sia da acido che da base. Il suo pH è dato da:

F

wF

BHK

KKBHKKH

][

][][

1

121+

++

++=

47

dove K1 e K2 sono le costanti acide per l’acido BH22+. Invece la concentrazione dell’anfolita si

calcola facilmente tenendo conto della diluizione: [BH+]F = 0.100 * 10.00/20.00 = 0.0500 M ed introducendo i valori dovuti nell’equazione si ha:

50.71016.30500.010

10100500.01010][ 8

5

145105

=⇒⋅=+

⋅+⋅⋅= −−

−−−−+ pHH

Si noti che pH = 0.5 (pK1 + pK2). Tra il primo punto di equivalenza ed il secondo la soluzione può essere considerata un tampone costituito dalle specie BH+ e BH2

2+. Per esempio, dopo aver aggiunto 15.0 ml si ha:

pH = pK1 + 00.5)1log(00.5][

][log

22

=+=+

+

BH

BH

Al secondo punto di equivalenza la soluzione corrisponde a quella che si sarebbe ottenuta sciogliendo il sale BH2Cl2 in acqua. La concentrazione formale di BH2

2+ è: [BH2

2+] = 0.100 * 10.00/30.00 = 0.0333M ed il pH è determinato dalla reazione: BH2

2+ → BH+ + H+ Quindi, posto: [BH2

2+] = F – x [BH+] = [H+] = x si ha:

24.31072.5100.110

10 459

14

2

22

=⇒⋅=⇒⋅===−

=−

−−−

pHxK

K

xF

x

xF

x

b

W

Dopo il secondo punto di equivalenza il pH dipende dall’eccesso di acido forte che è stato aggiunto, per esempio, quando sono stati aggiunti 25.0 ml di HCl si ha:

48

[H+] = 0.100 * 5.00/35.00 = 1.43 10-2 ⇒ pH = 1.85

Come detto precedentemente, in molte titolazioni di acidi o basi poliprotici, la curva non presenta un andamento così favorevole come quella appena vista. Ciò accade per esempio nella titolazione della nicotina per cui pKb1 = 6.15 e pKb2 = 10.85. In questo caso il secondo punto di equivalenza non presenta un gradino ben definito questo accade perché l’acido BH2

2+ è troppo forte (ovvero la base BH+ troppo debole). Per calcolare il pH ai vari punti della curva, si possono utilizzare le equazioni usate in precedenza fino ad un certo pH. Nella zona più acida (pH<3) l’approssimazione per cui tutto l’HCl reagisce con BH+ per formare BH2

2+ non vale più e quest’ultimo è un acido sufficientemente forte per essere dissociato anche in presenza di una concentrazione elevata di acido. Questa conclusione è generale e vale anche per quei sistemi di acidi o basi monoprotici troppo forti i primi o troppo deboli le seconde. Inoltre questo vale in generale quando si deve arrivare a valori troppo bassi o troppo elevati di pH. Per calcolare il pH, in queste situazioni, si devono allora impostare le equazioni per il trattamento sistematico dell’equilibrio: equazione del bilancio di carica, di massa, il prodotto ionico dell’acqua ed i vari equilibri acido-base possibili. Per esempio: H2O ⇔ H+ + OH- Kw = [H+] [OH-]

HA ⇔ H+ + A- ][

][][

HA

AHK a

−+ ⋅=

B + H2O ⇔ BH+ + OH- ][

][][

B

OHBHKb

−+ ⋅=

[H+] + [BH+] = [A -] + [OH-] bilancio di carica

49

[HA] + [A -] = ba

aa

VV

FV

+ bilancio di massa per l’acido presente

[B] + [BH+] = ba

bb

VV

FV

+ bilancio di massa per la base presente

cioè 6 equazioni e 6 incognite. Se l’acido è forte o la base forte, è sufficiente sostituire un valore elevato (es. 1010) alla relativa costante. Tra i vari modi per risolvere il sistema di equazioni si può: a) calcolare la concentrazione di ciascuna specie carica come funzione di H+, delle costanti

d’equilibrio, dei volumi e delle conc. formali b) sostituire queste espressioni nel bilancio di carica c) calcolare il valore della variabile desiderata Esempio: [OH-] = Kw/[H+]

dato [HA] = aK

AH ][][ −+ ⋅ si ha:

aK

AH ][][ −+ ⋅+[A-] =

ba

aa

VV

FV

+ da cui:

a

ba

aaa

KH

VV

VFK

A+

+⋅

= +−

][][

analogamente, dalle equazioni per l’equilibrio della base e per il suo bilancio di massa si ha:

[BH+] =wb

ba

bbb

KKH

VV

VHFK

++

+

+

][

][

][][

][

][][ ++

+

++ +

++

⋅=

++

⋅+

H

K

KKH

VV

VHFK

KH

VV

VFK

H w

wb

ba

bbb

a

ba

aaa

Per calcolare da questa equazione (la più generale possibile) la curva di titolazione conviene fissare il pH e calcolare il volume di titolante richiesto per dare il pH fissato. Se il pH corrisponde ad una soluzione non fisica, si otterrà un valore negativo del volume di titolante.

( ) ( )][][

][

][][ ++

+

++ +

++

=+

++H

VVK

KKH

VHFK

KH

VFKVVH baw

wb

bbb

a

aaaba

bbw

wb

bbbw

a

aaa VH

H

VK

KKH

VHFK

H

K

KH

FKHV ][

][][

][

][][][ +

++

+

+++ −+

+=

++⋅

−+

+⋅=

++⋅ +

++

+

+++ ][

][][

][

][][][ H

H

K

KKH

HFKV

H

K

KH

FKHV w

wb

bbb

w

a

aaa

50

3.5 Determinazione del punto finale

Nel campo delle titolazioni acido-base la determinazione del punto finale utilizza generalmente un sistema indicatore oppure la misurazione del pH mediante un metodo potenziometrico (di solito si usa l’elettrodo a vetro).

Indicatori – nel caso delle titolazioni acido-base, gli indicatori sono essi stessi degli acidi o delle basi in cui le diverse specie protonate e deprotonate hanno colorazione diversa. Il blu timolo presenta addirittura due cambiamenti di colore (viraggi) essendo un acido diprotico, con colorazione diversa delle 3 specie possibili (rosso pH<1.7, giallo 1.7<pH<8.9, blu pH>8.9). L’equilibrio tra rosso e giallo si può scrivere come: R ⇔ Y- + H+

K1 = ][

][][

R

HY +− ⋅

pH = pK1 +][

][log

R

Y−

Ora, pK1 = 1.7, pK2 = 8.9, quindi a pH = 1.7 le due specie rossa e gialla sono presenti in proporzione 1:1 ed il colore della soluzione sarà arancione. La soluzione, come già detto in

51

precedenza apparirà rossa quando [R]/[Y-]>10, quindi a pH<0.7 e gialla quando [R]/[Y-]<0.1, quindi a pH>2.7. A pH > 7.9 compare una crescente colorazione verde (data da giallo e blu), che diventa blu a pH>9.9. Scelta dell’indicatore – la scelta dell’indicatore deve essere fatta in modo che, ovviamente, il viraggio avvenga il più possibile vicino al punto di equivalenza. Dato che ciò accade in un intervallo, si potrebbe avere un grande errore, se non che si sfrutta la ripidità della curva di titolazione in vicinanza del punto equivalente, ripidità che vede mutare bruscamente il pH per una variazione molto piccola di volume. Lo scarto tra il punto finale osservato ed il punto di equivalenza prende il nome di errore dell’indicatore.

La possibilità del sistema indicatore di funzionare per valori di pH a cui l’elettrodo a vetro non è più utilizzabile rende il metodo con indicatore più generale e versatile del metodo potenziometrico.

52

Usando il metodo potenziometrico, si identifica generalmente il punto di equivalenza cercando il punto più ripido della curva di titolazione. Questo può essere fatto calcolando la derivata della funzione: dpH/dV per via numerica, oppure empiricamente facendo scorrere un righello sulla curva di titolazione, seguendone la pendenza, arrestandosi quando la pendenza stessa inverte il suo andamento (di crescita o di decrescita) → punto di flesso. Un metodo migliore ma molto più impegnativo come calcoli è quello del diagramma di Gran. Il diagramma di Gran – data la titolazione di un acido debole HA la cui costante di equilibrio, tenendo conto dei coefficienti d’attività, dato che l’elettrodo a vetro risponde all’attività sia Ka. Si può ritenere che prima del punto equivalente ogni mole di NaOH reagisca con HA per fornire una mole di A-. Quindi, dopo aver aggiunto Vb ml di NaOH (conc. formale Fb) a Va ml di acido HA da titolare (conc. formale Fa), si può scrivere:

ba

bb

VV

FVA

+=− ][

ba

bbaa

VV

FVFVHA

+−

=][

che sostituite nell’espressione dell’equilibrio acido-base danno:

( ) HAbbaa

AbbHa FVFV

FVHK

γγγ

−=

−++ ][

che può essere riscritta come:

−=

++

b

bbaaa

A

HAHb F

FVFVKHV

γγγ][

ma essendo:

bebb

aa VVVF

FV−=−

l’equazione può essere scritta come:

( )bea

A

HApHb VVKV −=⋅

γγ

10

e quindi, riportando pH

bV −⋅10 in funzione di Vb , se il rapporto tra i coefficienti d’attività molare è

costante, si otterrà una retta con pendenza a

A

HA K−

−γγ

mentre l’intercetta sull’asse Vb è pari al

volume equivalente. Il pregio di questo metodo è che permette di determinare il volume al punto di equivalenza mediante dati ottenuti prima del punto finale. Inoltre la pendenza del diagramma di Gran permette di determinare la Ka dalla pendenza della retta. In realtà la funzione di Gran non può andare a 0 perché 10-pH non diventa mai 0. L’intercetta deve essere estrapolata. Di solito la forza

53

ionica viene mantenuta costante mediante l’aggiunta di un elettrolita tipo NaNO3 che svolga effetto tamponante sulla forza ionica.

3.6 Osservazioni pratiche Molti acidi possono essere ottenuti in forma sufficientemente pura da poter essere utilizzati come standard primari (ftalato acido di potassio, acido cloridrico, idrogenoiodato di potassio, ossido mercurico, carbonato di sodio e borace). NaOH e KOH invece non sono standard primari perché assorbono umidità e CO2 (carbonato) dall’aria. Quindi queste basi devono essere standardizzate usando degli standard primari (acidi). Le soluzioni di NaOH al 50% in peso sono abbastanza stabili perché in questo ambiente il carbonato ha una solubilità piuttosto bassa. Le soluzioni per eseguire le titolazioni si possono allora ottenere per diluizione della soluzione madre. L’eventuale assorbimento di CO2 modifica la concentrazione della base forte e riduce il grado di reazione in prossimità del punto equivalente nella titolazione degli acidi deboli. Conservate in bottiglie di polietilene (le soluzioni basiche attaccano il vetro) ben chiuse le soluzioni possono durare una settimana, su periodi più lunghi o si utilizza uno strumento per proteggere le soluzioni dall'atmosfera, oppure occorre ripetere la standardizzazione. Se si fa bollire per un’ora una soluzione di NaOH 0.01 M in un matraccio di vetro, la sua molarità diminuisce del 10%! Mediante l’uso del diagramma di Gran si può determinare il contenuto di carbonato del titolante acido.

3.7 Titolazioni in solventi non acquosi La possibilità di sostituire il solvente acquoso con altri solventi non viene spesso presa in considerazione, ma in realtà apre molte possibilità interessanti per il chimico analitico, infatti può capitare che i reagenti o i prodotti non siano solubili in acqua, potrebbero reagire con l’acqua,

54

oppure l’analita potrebbe essere un acido o una base troppo debole per essere titolato in acqua. Per esempio, un acido con pKa>8 non dà punto finale distinguibile (potenziometrico) in acqua mentre cosa diversa accadrebbe in un solvente più basico dell’acqua. In effetti in acqua non può esistere un acido più forte di H3O

+ ed una base più forte di OH-, quindi tutti gli acidi o le basi più forti di questi tendono ad essere livellati. Per esempio, in un solvente meno basico di H2O, HCl ed HClO4 possono risultare di diversa acidità. Questo accade per esempio in acido acetico (in cui le pK sono rispettivamente 2.8 10-9 e 1.3 10-5) oppure in metilisobutil chetone (che non viene protonato in modo rilevante da alcun acido). Se si considera una base troppo debole per dare un punto distinto, perché la sua Kb è troppo piccola, se fosse disponibile un acido più forte di H3O

+ la reazione di titolazione potrebbe forse essere più spostata verso destra e presentare quindi un gradino distinguibile al punto equivalente.

55

5. Titolazioni Complessometriche

Come si è già visto per le reazioni di precipitazione e per gli equilibri acido-base, anche le reazioni di complessazione possono essere utilizzate per eseguire delle titolazioni. In particolare tornano estremamente utili quei complessi in cui il legante è in rapporto 1:1 con lo ione metallico (EDTA, DTPA EGTA, DCTA). La costante di formazione Kf o costante di stabilità dei complessi è generalmente tanto alta da garantire il completo spostamento verso destra della reazione. In generale le costanti più alte si osservano per i leganti chelati, questo accade per un effetto di tipo entropico, dovuto al fatto che le molecole libere, quando il complesso si smonta, danno più disordine della molecola di legante chelato. L’EDTA (acido etilendiamminotetraacetico) è di gran lunga il legante più utilizzato in chimica analitica. Praticamente tutti gli elementi della tabella periodica possono essere determinati usando l’EDTA in una titolazione diretta, inversa o per spostamento. L’EDTA è un acido esaprotico con le seguenti pKa: 0.0, 1.5, 2.0, 2.66, 6.16, 10.24. Le prime 4 si riferiscono ai terminali carbossilici. Le ultime due alla protonazione degli atomi di azoto amminico. La molecola neutra è tetraprotica: H4Y e l’EDTA viene di solito utilizzato come sale disodico: Na2H2Y ⋅ 2H2O. Usando l’espressione delle frazioni, si può stabilire quali sono le forme predominanti a ciascun pH. La specie che forma i complessi più stabili è Y4+ la cui frazione è:

=++++++

= ++−−−−

][][][][][][][

][2

65432

234

4

4

YHYHYHYHYHHYY

YY

α

1111111111111112

1113

114

156

111111

][][][][][][ KKKKKKKKKKKHKKKKHKKKHKKHKHH

KKKKKK

++++++ ++++++

e quindi percentuali rilevanti della specie completamente deprotonata sono presenti in soluzione soltanto a pH molto basici (intorno a 11). La complessazione di un qualsiasi ione metallico mediante l’EDTA segue la reazione: Mn+ + Y4- ⇔ MYn-4

Kf =][][

][4

4

−+

⋅ YM

MYn

n

Essendo in realtà la concentrazione di EDTA presente in soluzione in forma tale da poter formare i complessi regolata dall’espressione scritta sopra per la frazione deprotonata, questa stessa costante di formazione si può scrivere come:

Kf = −⋅⋅

=⋅ +

−+

4][][

][

][][

][ 4

4

4

Y

n

n

n

n

EDTAM

MY

YM

MY

α

β = Kf αY4- =

][][

][ 4

EDTAM

MYn

n

⋅+

56

dove la β è detta costante di formazione condizionale, cioè costante di formazione che tiene conto del pH della soluzione. Dall’espressione sopra è evidente che la costante di formazione condizionale diminuisce al diminuire del pH perché diminuisce progressivamente la frazione di EDTA deprotonato che può reagire con lo ione metallico.

In funzione del pH la costante della reazione (condizionale) può essere o meno sufficientemente elevata per dare un salto rilevabile in prossimità del punto di equivalenza. In genere si considera che il valore minimo della costante di formazione condizionale per poter apprezzare la variazione di concentrazione del metallo vicino al punto di equivalenza sia 106.

57

Consideriamo il complesso FeEDTA-, la cui Kf = 1025.1 = 1.3 1025. Calcolare la concentrazione di ferro (III) libero in soluzioni di FeEDTA- 0.10M a pH 8.00 e 2.00. La reazione di dissociazione è FeEDTA- ⇔ Fe3+ + EDTA4- K’ = 1 /(K f ⋅ αY

4-)

a pH = 8.00: K’ = 23253

104.1103.1106.5

1 −− ⋅=

⋅⋅⋅⋅

a pH = 2.00: K’ = 122514

103.2103.1103.3

1 −− ⋅=

⋅⋅⋅⋅

da cui, ponendo [Fe3+] = [EDTA4-] = x e [FeEDTA-] = 0.10-x si ha:

'10.0

2

Kx

x =−

a pH= 8.00, x = 1.2 10-12

a pH= 2.00, x = 4.8 10-7 Il fatto che in funzione del pH una reazione di complessazione sia sufficientemente completa per poter eseguire una titolazione o meno rende possibili alcune determinazioni di coppie di metalli, operando prima a pH più basso, per la specie che forma complessi più stabili ed a pH più alti per

58

l’altra specie. Per esempio nel caso della miscela ferro calcio, operando a pH 4.00 si titola selettivamente il ferro, mentre a pH > 8.00 si titola il calcio.

5.1 Titolazioni con EDTA Si può nel solito modo determinare come varia la concentrazione di metallo in funzione del volume di titolante aggiunto. Ci si riferisce alla concentrazione di metallo perché, come si vedrà, i sistemi indicatore nel caso delle titolazioni complessometriche di solito rispondono proprio alle variazioni della concentrazione del metallo. In questa titolazione si originano 3 regioni distinte, come nelle titolazioni di precipitazione. Consideriamo l’esempio della titolazione di 50.00 ml di Mg2+ 0.0500M con EDTA 0.0500M in una soluzione tamponata a pH 10.00. La reazione di titolazione è: Mg2++EDTA ⇔ MgEDTA2-

59

K = αY4- Kf = 0.36⋅ 6.2 108 = 2.2 108

Il punto di equivalenza sarà a 50.00 ml, essendo la concentrazione di analita uguale a quella del titolante. Prima del punto di equivalenza la concentrazione del metallo, essendo la costante di formazione sufficientemente elevata perché la reazione possa considerarsi completamente spostata verso destra, è determinata dalla differenza tra la concentrazione iniziale e la quantità di titolante aggiunta. Cioè dall’eccesso di metallo che non ha reagito. Nel nostro caso si avrà in generale:

[Mg2+] = ( )

⋅⋅

−00.55

00.500500.0

00.50

00.50 EDTAV

dopo l’aggiunta di 5.00 ml di EDTA si avrà: [Mg2+] = 0.0409, pMg2+ = -log([Mg2+]) = 1.39 Al punto di equivalenza la soluzione contiene quantità identiche di metallo e di EDTA. In soluzione sarà presente una piccola quantità di metallo libero generata dall’equilibrio di dissociazione del complesso: MYn-4 ⇔ Mn+ + Y4- K’ = 1/(αY

4- Kf) è come se stessimo sciogliendo il direttamente il sale del complesso già formato. La concentrazione del sale si calcola tenendo conto della diluizione:

[MgEDTA2-] = ( ) M0250.000.100

00.500500.0 =

da cui, ponendo [Mg2+] = [EDTA] = x e [MgEDTA2-] = 0.0250 – x si ha:

92

105.41

0250.0 4

−⋅==− − fY

Kx

x

α

da cui x=1.06 10-5 M pMg2+ = 4.97 Dopo il punto di equivalenza si ha un eccesso di EDTA e praticamente tutto lo ione metallico è nella forma complessata. Le concentrazioni di metallo e di EDTA si calcolano agevolmente considerando l’effetto della diluizione su [MgEDTA2-] ed [EDTA], ed usando l’equazione dell’equilibrio di dissociazione del complesso per calcolare la concentrazione di metallo libero:

[EDTA] = ( )

+−

⋅EDTA

eqEDTA

VV

VV

0

0500.0

60

[MgEDTA2-] = ( )

+⋅

EDTAVV

V

0

00500.0

xEDTA

MgEDTAk

⋅=

][

][ 2

Per esempio, dopo aver aggiunto 51.00 ml si avrebbe:

[EDTA] = ( ) M41095.400.5100.50

00.5000.510500.0 −⋅=

+−⋅

[MgEDTA2-] = ( ) M21048.200.5100.50

00.500500.0 −⋅=

+⋅

x = 749

2

102.21095.4105.4

1048.2 −−

⋅=⋅⋅⋅

⋅ pMg2+ = 6.65

La curva di titolazione ha la solita forma, con un salto marcato della concentrazione dello ione metallico in prossimità del punto di equivalenza. In generale il salto è tanto più marcato quanto maggiore il pH della soluzione, in quanto, oltre all’EDTA, anche la maggior parte degli altri leganti sono degli acidi deboli. Tuttavia il pH stesso non deve essere tanto alto da permettere la precipitazione dell’analita. Per questo a volte si è obbligati ad aggiungere alla soluzione degli agenti complessanti ausiliari, in modo da evitare la precipitazione stessa.

61

5.2 Effetto dei complessanti ausiliari Consideriamo per esempio la curva di titolazione dello Zn2+ con EDTA. Il prodotto di solubilità dello Zn(OH)2 è 3.0 10-16, quindi è verosimile che, a meno di concentrazioni molto basse di Zn2+, oppure di pH molto basso, l’analita stesso precipiti prima dell’aggiunta di EDTA. Per evitare che ciò accada, questa titolazione di solito viene eseguita in tampone ammoniacale, in modo che l’ammoniaca possa complessare lo Zn2+, formando Zn(NH3)4

2+, la cui costante di stabilità è:

Kf = β4 = 84

32

4 100.5][][

])3([ ⋅=⋅+ NHZn

NHZn

L’ammoniaca agisce quindi da complessante ausiliario, prevenendo la precipitazione dell’analita. Tuttavia, essendo il complesso dello Zn2+ con l’EDTA più stabile di quello dello stesso con l’ammoniaca, eseguendo la titolazione l’ammoniaca viene spostata dall’EDTA e si forma infine il complesso Zn(EDTA)2-. Ovviamente il fatto che lo zinco sia impegnato nella formazione del complesso con l’ammoniaca prima che venga eseguita la titolazione, abbassando la frazione di ione metallico disponibile per la formazione del complesso con l’EDTA, fa sì che si debba tener conto di questa frazione nel calcolo della costante condizionale di formazione del complesso Zn(EDTA)2-. Infatti:

[ ] [ ] [ ] [ ]1312

323

334

341

12

NHNHNHNHZn ⋅+⋅+⋅+⋅+=+

ββββα

Kf = ( )[ ]

[ ] [ ]( )[ ]

[ ]−

−+

⋅⋅=

⋅ ++4

2

42

2

22 EDTAF

EDTAZn

EDTAZn

EDTAZn

ZnZnα

K’ = K f ⋅ αZn2+ =

( )[ ][ ]−

⋅+4

2

2 EDTAF

EDTAZn

Zn

62

Quindi, anche se la costante di formazione del complesso dell’EDTA con lo zinco è estremamente elevata, in soluzioni 0.02-0.10 M in NH3, la costante condizionale diventa molto più piccola. Tanto che si è quasi ai limiti della possibilità di utilizzare questa reazione per la titolazione. Quando si utilizza un complessante ausiliario si deve fare attenzione che la sua competizione con l’EDTA non sia troppo forte, tanto da rendere impossibile l’identificazione del punto finale.

Indicatori metallocromici I metodi per la determinazione del punto finale nelle titolazioni complessometriche sono: uso degli indicatori metallocromici uso di elettrodi di mercurio uso dell’elettrodo di vetro per determinare il pH uso di elettrodi iono-selettivi La tecnica più utilizzata impiega un indicatore metallocromico, cioè una sostanza il cui colore cambia dalla forma legata allo ione metallico alla forma libera. E’ ovvio che per poter essere utilizzato l’indicatore deve legarsi al metallo meno fortemente del titolante (di solito l’EDTA). Se ciò non accade si dice che il metallo blocca l’indicatore. Per esempio, il Nero Eriocromo T è bloccato da Cu2+, Ni2+, Co2+, Cr3+, Fe3+, Al3+ (vedi titolazioni di ritorno). Una tipica titolazione vede l’uso del Nero Eriocromo T per la titolazione con EDTA del Mg2+. La reazione che avviene è: MgIn (rosso) + EDTA → Mg(EDTA) + In (blu) In questa titolazione si aggiunge una piccola quantità di indicatore prima di iniziare la titolazione. Si forma così il complesso rosso. Poi, durante la titolazione, lo ione metallico viene progressivamente sequestrato dall’EDTA fino a quando non c’è più ione metallico libero per formare il complesso col Nero Eriocromo T. A questo punto in soluzione si osserva la colorazione blu dell’indicatore libero. Dato che gran parte degli indicatori metallocromici sono anche indicatori acido-base, spesso la possibilità di utilizzarli in titolazioni complessometriche è vincolato a opportuni intervalli di pH nei quali è possibile apprezzare il viraggio di colore del punto finale. Per esempio, l’Arancio Xilenolo a

63

pH 5.5 vira da giallo a rosso, mentre a pH 7.5 vira da violetto a rosso, con notevoli difficoltà di rilevazione. La variazione di colore dell’indicatore può essere meglio apprezzata facendo uso di uno spettrofotometro o di un colorimetro, ma generalmente viene eseguita visivamente. Si deve tener conto che alcune soluzioni di indicatori, per esempio il Muresside, sono particolarmente instabili, per cui andrebbero preparate al momento dell’uso. Nel caso del Muresside, spesso lo si aggiunge direttamente in forma solida alla soluzione da titolare.

5.3 Tecniche di titolazione con l’EDTA Titolazione diretta nelle titolazioni dirette, l’analita viene titolato direttamente con l’EDTA standard. Si tampona generalmente la soluzione ad un valore di pH al quale la costante di formazione condizionale del complesso analita-EDTA sia sufficientemente alta e, se necessario, si aggiunge un agente complessante ausiliario, come già visto, per prevenire l’eventuale precipitazione del metallo come idrossido o ossido. Gli agenti complessanti ausiliari più usati sono: ammoniaca, citrato, tartrato e trietanolammina. Esempio, la titolazione del Pb2+ a pH 10.0, in presenza di tartrato, in tampone ammoniacale, in modo che lo ione metallico non precipiti come Pb(OH)2.

64

Titolazione di ritorno in questo tipo di titolazioni si aggiunge alla soluzione contenente l’analita un eccesso noto di EDTA. L’eccesso viene poi titolato con una soluzione standard di un secondo ione metallico. Le titolazioni di ritorno sono necessarie in tutti quei casi in cui l’analita precipita in assenza dell’EDTA, se blocca l’indicatore, oppure se la sua reazione col titolante è troppo lenta. Es.1 – Ni2+ titolato per ritorno con una soluzione standard di Cu2+ a pH5.5, dopo aver aggiunto un eccesso di EDTA. In questo caso si può utilizzare l’indicatore PAN che diversamente verrebbe bloccato dallo ione metallico dato che la reazione di dissociazione, seppur favorita, è troppo lenta. Es.2 – titolazione di Al3+ che precipita in assenza di EDTA a pH 7.0 come Al(OH)3. Si aggiunge un eccesso di EDTA, poi si porta la soluzione a pH 7-8 con NaAc e si fa bollire per essere sicuri che la reazione di complessazione giunga a termine. Si aggiunge quindi Nero Eriocromo T e si esegue la titolazione di ritorno con Zn2+ standard. Titolazione per spostamento Questa titolazione viene utilizzata quando si deve determinare uno ione metallico per cui manca un indicatore opportuno. In questo caso la soluzione contenente l’analita viene addizionata di una quantità nota di un complesso MeEDTA, la cui costante di formazione sia abbastanza bassa perchè Me venga spostato e sostituito nel complesso dall’analita. L’eccesso di Me liberato in quantità uguale a quella dell’analita presente in soluzione viene poi titolato normalmente con EDTA. Per esempio, nella determinazione complessometrica dell’Ag+, dato che manca un indicatore opportuno, si può aggiungere un eccesso di Ni(CN)42-, che viene spostato dallo ione argento. L’eccesso di nichel viene poi titolato con EDTA. La reazione di spostamento è:

2Ag+ + Ni(CN)42- → 2Ag(CN)2

- + Ni2+

Titolazione indiretta Gli anioni che formano precipitati con ioni metallici possono essere determinati con EDTA mediante una titolazione indiretta, come per esempio il solfato, che può essere precipitato a pH 1.0 con un eccesso di BaSO4. Il precipitato viene separato dalla soluzione, ridisciolto mediante ebollizione, previa aggiunta di EDTA in eccesso. Quest’ultimo può essere titolato con Mg2+ standard in una tipica titolazione di ritorno. Mascheramento talvolta è necessario introdurre in soluzione un agente mascherante per impedire a qualche componente di reagire con l’EDTA. Per esempio, il fluoruro è in grado di mascherare l’Al 3+ in quanto forma un complesso AlF6

3- molto stabile per cui diventa possibile titolare Mg2+ in presenza di Al3+. Altri metalli mascherati dal fluoruro sono Fe3+, Ti4+ e Be2+. Uno dei più comuni agenti mascheranti è il cianuro, che forma complessi molto stabili con Cd2+, Zn2+, Hg2+, Co2+, Cu+, Ag+, Ni2+, Pd2+, Pt2+, Fe2+ e Fe3+ ma non con Mg2+, Ca2+, Mn2+, Pb2+. La trietanolammina maschera Al 3+, Fe3+ ed Mn2+; il 2,3-dimercaptopropanolo maschera Bi3+, Cd2+, Cu2+, Hg2+ e Pb2+. Nella determinazione standard della durezza dell’acqua, prima si aggiunge alla soluzione acido ascorbico e cianuro per ridurre il Fe3+ a Fe2+ e contemporaneamente mascherare Fe2+ e Cu+ con gli altri ioni metallici presenti. La titolazione con EDTA a pH 10.0 in tampone ammoniacale fornisce quindi la somma di Mg2+ e Ca2+. Il Ca2+ può essere determinato successivamente in modo selettivo se la titolazione viene eseguita separatamente a pH 13.0, senza NH3. Infatti, a tale valore di pH Mg2+ precipita quantitativamente come Mg(OH)2 e non reagisce quindi con l’EDTA. La precipitazione dell’idrossido in questo caso serve a mascherare il Mg2+. Quando è necessario liberare lo ione metallico prima mascherato si può ricorrere al demascheramento. Per esempio, nel caso dei complessi col CN-, il demascheramento può essere seguito aggiungendo formaldeide, che reagisce col CN-. Il mascheramento mediante riduzione degli ioni metallici può essere annullato attraverso un trattamento con H2O2.

65

6. Generalità di elettrochimica e potenziometria Le reazioni di ossidoriduzione sono reazioni in cui avviene un trasferimento di elettroni tra le specie che si ossidano e quelle che si riducono. Le specie che si ossidano cedono elettroni alle specie che si riducono. Nelle reazioni redox abbiamo quindi sempre presenti due coppie: Ox1/Rid1 e Ox2/Rid2 e, per esempio, la specie 1 può ridursi, trasformandosi nella specie Rid1, accettando gli elettroni forniti dalla specie Rid2 che, ossidandosi, si trasforma nella specie Ox2. Si dice anche che Ox1 è l’agente ossidante poiché causa l’ossidazione di Rid2, mentre Rid2 è l’agente riducente, perché causa la riduzione di Ox1. La reazione può quindi venire scritta come: Ox1 + Rid2 → Rid1 + Ox2 e, più in generale, se la stechiometria non è 1:1 aOx1 + bRid2 → cRid1 + dOx2 In questa reazione vengono dunque scambiati degli elettroni. Se i reagenti vengono posti insieme in soluzione questa reazione avviene rapidamente, se invece le due coppie redox sono tenute separate, collegate con un circuito elettrico, si osserverà un passaggio di corrente allorchè la reazione chimica avviene. Tra le due soluzioni si stabilirà una differenza di potenziale che dipende dalle coppie redox coinvolte e dalle concentrazioni dei rispettivi componenti (eq. di Nernst). L’unità di carica è il Coulomb (C). La carica di un elettrone è pari a 1.602 10-19 C, quindi una mole di elettroni ha carica 96485.4 C. Questo numero è detto costante di Faraday ed è indicato con F. q = n (moli) F (coulomb/moli) Se per esempio, in una reazione si riducono 5.585 g di Fe3+, la quantità di carica che si sposta è: 0.1000 moli * 96485.4 = 9648.54 C La corrente è invece la quantità di carica divisa per il tempo necessario a farla passare e si misura in ampere (C/s). Un elettrodo è un dispositivo che accetta o cede elettroni dalle specie chimiche implicate nella reazione redox. L’elettrodo di platino è un elettrodo inerte perché funziona solo come conduttore di elettroni e non partecipa direttamente alla reazione. Il potenziale elettrico E, che si misura in volt (V), non viene valutato in modo assoluto ma come differenza di potenziale tra due punti, cioè la quantità di lavoro richiesto quando un coulomb passa tra i due punti. Il lavoro si misura in Joule (J). Quando una carica q passa fra due punti tra i quali vi è una differenza di potenziale E, il lavoro compiuto è: lavoro = E q Dato che il lavoro è uguale a -∆G, si ottiene l’importante formula: ∆G = -nFE Per la legge di Ohm, la corrente che circola nel circuito è regolata dalla seguente equazione:

66

I = E/R Dove R indica la resistenza del circuito, che si misura in ohm (Ω). La potenza è il lavoro eseguito per unità di tempo. L’unità di potenza standard del sistema internazionale è J/s, conosciuta come Watt (W). P = lavoro / s = E q / s = E I Una cella galvanica è un dispositivo che utilizza una reazione chimica spontanea per produrre elettricità. Come detto prima i due reagenti non devono essere posti in contatto perché altrimenti gli elettroni fluiscono direttamente tra di loro, senza generare corrente. In una cella galvanica avviene una singola semireazione che può essere di riduzione o di ossidazione. L’elettrodo a cui avviene la reazione di ossidazione si chiama anodo, quello a cui avviene la riduzione si chiama catodo. Quando gli elettroni circolano nel circuito che collega i due elettrodi ad un potenziometro attraverso il suo elettrodo negativo, lo strumento segna un potenziale positivo. Gli elettroni fluiscono dall’anodo al catodo, se si inverte il collegamento al potenziometro questo misura un potenziale negativo. Per convenzione si collega l’elettrodo sinistro di una cella al terminale negativo del potenziometro. Si ottiene allora un potenziale positivo se all’elettrodo sinistro avviene l’ossidazione e negativo se invece avviene la riduzione. Il ponte salino è necessario per collegare le due celle contenenti i reagenti delle due semireazioni redox, in modo che la reazione non si fermi subito dopo il suo inizio a causa della separazione di carica che si origina nelle due soluzioni che inibisce la continuazione della reazione. Il ponte salino, consentendo il mantenimento dell’elettroneutralità nelle due soluzioni, permette agli elettroni di circolare nel circuito, e quindi alle reazioni di ossidazione e riduzione di avvenire. Per descrivere le celle elettrolitiche si usa una simbologia del tipo: | per indicare l’interfase || per indicare il ponte salino Es. Cd(s) | CdCl2 (aq, 0.0167 M) | AgCl(s) | Ag(s) è una cella cortocircuitata, non essendo presente il ponte salino, invece la cella: Cd(s) | CdCl2 (aq, 0.0167 M) || AgNO3(s) | Ag(s) Presenta il ponte salino e quindi consiste di due soluzioni separate. Gli elettrodi vengono riportati all’estrema sinistra e destra mentre non si indicano dettagli concernenti il ponte salino. A sinistra c’è l’anodo, a destra il catodo. A ciascuna semireazione si può associare un potenziale standard, considerato come una reazione di riduzione (elettrodo destro), in riferimento al potenziale dell’elettrodo standard a idrogeno, il cui potenziale si assume convenzionalmente uguale a zero (superficie catalitica di platino a contatto con una soluzione acida, attività unitaria di H+, pressione unitaria (atm) dell’H2 che viene fatto gorgogliare sulla superficie di platino). Nell’elettrodo standard a idrogeno (ESH) il platino ha una mera funzione catalitica. La differenza di potenziale che si misura in questo modo è detta potenziale di riduzione standard della reazione che avviene nella semicella di destra. Se questo potenziale è negativo, la reazione in questione procederà spontaneamente verso l’ossidazione, se positivo, verso la riduzione. Nella semicella contenente l’elettrodo standard avviene la seguente reazione: ½ H2 (g, attività = 1) → H+ (Aq., attività = 1) Pt(s) | H2(g, A=1) | H+ (aq., A=1)

67

Il potenziale è una misura della forza elettromotrice di una reazione in condizioni standard. Variando le concentrazioni di reagenti e di prodotti si varia l’energia libera della reazione e quindi il potenziale, cui è legata. L’equazione che esprime il valore della differenza di potenziale in funzione dei singoli potenziali delle reazioni anodica e catodica coinvolte e delle concentrazioni delle specie presenti, è l’equazione di Nernst. Si può scrivere una equazione di Nernst per la singola reazione di semicella, sempre scritta nella direzione della riduzione:

E = E0 - ox

rid

A

A

nF

RTln

Dove E0 è il potenziale standard, cioè il potenziale per attività unitarie delle due specie ridotta ed ossidata; R è la costante dei gas (=8.314 VC/K mol) T è la temperatura (K) n è il numero di elettroni coinvolti nella reazione F è la costante di Faraday (96485.4 C/mol) Aox e Arid sono le attività delle specie ossidata e ridotta Il termine logaritmico dell’equazione di Nernst prende il nome di quoziente di reazione Q. Esso ha la stessa forma della costante di equilibrio ma le attività presenti non hanno necessariamente i valori unitari che si hanno all’equilibrio. Quando tutte le attività sono unitarie E=E0, infatti in questo caso Q=1. Di solito l’equazione di Nernst viene scritta utilizzando il logaritmo i base 10 ed esprimendo la temperatura con riferimento a 25°C gradi centigradi:

E = E0 - Qn

Vlog

05916.0

La cella complessiva è costituita da due semicelle; se si indica con E+ il potenziale della semicella collegata al terminale positivo del potenziometro ed E- quello della cella collegata al terminale negativo, la differenza di potenziale tra i due elettrodi sarà: E = E+ - E- = Ecatodo - Eanodo Consideriamo per esempio la cella costituita da: Cd(s) | CdCl2 (aq, 0.0167 M) || AgNO3(s) | Ag(s) Le due semireazioni sono:

E+ = 0.799 - +Ag

A

1log

2

05916.0

E- = -0.402 - +2

1log

1

05916.0

CdA

E quindi:

68

E = (0.799 - +AgA2

1log

2

05916.0) – (-0.402 -

+2

1log

2

05916.0

CdA

) =

= (0.799 + 0.402) - +

+

Ag

Cd

A

A2

2

log2

05916.0 = 1.201 -

+

+

Ag

Cd

A

A2

2

log2

05916.0

dove per avere il denominatore comune nei termini logaritmici è stato necessario moltiplicare per due quello relativo alla semireazione di riduzione dell’argento. Quando la cella galvanica è all’equilibrio, non si ha passaggio di corrente, quindi il potenziale complessivo si annulla. In queste condizioni è possibile determinare la costante di reazione, infatti:

E = E0 - Qn

Vlog

05916.0 sempre, ma

0 = E0 – Kn

Vlog

05916.0 in condizioni di equilibrio, quindi:

K = 05916.0

0

10En⋅

(a 25°C) Questa equazione consente, noto E0 di calcolare la costante della reazione. In forma più generale, si può scrivere:

K = 10ln

0

10 ⋅⋅⋅⋅

TR

EFn

Considerando il seguente esempio si vede come questo metodo possa venire utilizzato per determinare la costante di equilibrio di reazioni non redox: FeCO3(s) + 2 e- → Fe(s) + CO3

2- E0 = -0.756 Fe(s) → Fe2+ + 2e- E0 = -0.400 FeCO3→ Fe2+ + CO3

2- E0 = -0.316

Ksp = ( )

1105916.0

316.02

10210 −−⋅

⋅= In effetti le misure potenziometriche sono molto usate per determinare le costanti di equilibrio che sono troppo basse o troppo alte per essere ottenute direttamente dalle concentrazioni dei prodotti e dei reagenti. Esempio: Ni2+ + 2e- → Ni(s) E1

0 = -0.250 Ni(s) + 2 Glicina → Ni(Glicina)2

2+ + 2 e- E20 = ?

Ni2+ + 2 Glicina → Ni(Glicina)2

2+ E30 = ?

Ma Kf = 1.2 1011, quindi:

69

Kf = 05916.0

2 03

10E⋅

E30 = ( ) V328.0102.1log

2

05916.0 11 =⋅

e quindi E2

0 = E10 - E3

0 = -0.578 Le celle come sonde quando si parla di una cella (costituita da due semicelle) si devono distinguere i due equilibri: equilibrio tra le semicelle e l’equilibrio all’interno di ciascuna semicella. Se il voltaggio della cella non è nullo, significa che le due semicelle non sono in equilibrio tra di loro. Al tempo stesso in generale l’equilibrio all’interno di ciascuna semicella viene raggiunto (a meno che la reazione non sia particolarmente lenta). Ad esempio in una cella: Pt(s)|H2(1.00 atm)|CH3COOH(0.050M),CH3COONa (0.0050M )||Cl-(0.10 M)|AgCl(s)|Ag(s) la semicella di destra in cui avviene la reazione: AgCl → Ag+ + Cl- Esiste in assenza dell’altra cella ed è all’equilibrio, equilibrio che si stabilisce allorchè l’AgCl viene sciolto. Nella semicella di sinistra l’equilibrio: CH3COOH → CH3COO- + H+ è anch’esso all’equilibrio. La reazione della cella è: 2 AgCl(s) + H2(g, 1.00 atm) → 2H+(x M) + 2Ag(s) + 2Cl-(0.10 M) Se il voltaggio misurato è 0.503 la cella non può essere in equilibrio. Scrivendo l’equazione di Nernst per questa cella si ha:

E(cella) = 0.222 - [ ] [ ]( ) [ ]( )222210.0log

2

05916.0222.0log

2

05916.0 ⋅−=⋅ +−+ HClH

quindi l’unica concentrazione incognita è quella dei protoni. Quindi il voltaggio misurato permette di determinare la concentrazione di H+: [H+] = 1.76 10-4 ciò a sua volta ci permette di calcolare la costante di equilibrio della reazione acido-base:

Ka = [ ] [ ]

[ ]5

4

3

3 108.10500.0

0050.01076.1 −−−+

⋅=⋅⋅=⋅

COOHCH

COOCHH

70

Con una cella di questo tipo si può determinare il pH della semicella di sinistra e la costante di dissociazione di qualsiasi acido o idrolisi di qualsiasi base posta nella stessa cella di sinistra. Esempio: ESH || Hg(EDTA)2- (aq, 0.00500M), EDTA (aq, 0.0150M) | Hg(l) A destra vengono posti 0.500 mmoli di Hg2+ e 2.00 mmoli di EDTA in 100 ml tamponati a pH 6.00. Il voltaggio misurato sia 0.333V. Da qui calcolare il valore di Kf per Hg(EDTA)2-. La semicella di sinistra è un elettrodo standard: anodo H2(g, 1 atm) → 2H+ + 2e- E0 = 0.0V a sinistra invece: catodo Hg2+ + 2e- → Hg(l) E0 = 0.854V ma a destra avviene anche il seguente equilibrio: Hg2+ + EDTA4- → HgEDTA2- E visto che si suppone che la costante di formazione del complesso sia elevata, si può ipotizzare che tutto il complesso che si può formare si formi: [Hg(EDTA)2-] = 0.00500M, mentre per differenza [EDTA4-] = 0.0150M; Hg2+ presenterà una concentrazione molto bassa che deve essere valutata. La reazione complessiva della cella è: H2(g) + Hg2+ → Hg(l) + 2H+ e la relativa equazione di Nernst è:

E(cella) = E0 - [ ]

[ ] [ ]+

+

+

⋅−=

⋅ 2

6

2

2

0.1

10log

2

05916.0854.0log

2

05916.0

2HgHgp

H

H

[Hg2+] = 2.4 10-18 e quindi:

Kf = [ ][ ] [ ]

21182

2

1060150.0104.2

00500.0)( ⋅=⋅⋅

=⋅ −+

EDTAHg

EDTAHg

Il voltaggio della cella in questo caso è determinato dalla concentrazione dello ione mercurico che viene determinata dalla formazione del complesso con l’EDTA.

6.1 Potenziometria Nella potenziometria, come dice il nome, si fanno delle misure di potenziale che consentono di stabilire la concentrazione di qualche specie elettroattiva (capace di accettare o cedere elettroni) presente. Per far questo è necessario disporre di un elettrodo di riferimento, che mantiene costante il suo potenziale, e di un elettrodo indicatore, capace cioè di rispondere, modificando il suo potenziale, alla specie elettroattiva.

71

Gli elettrodi di riferimento più usati sono: l’elettrodo ad Ag/AgCl, l’ESH, l’elettrodo a calomelano saturo (ECS). Elettrodo argento – cloruro di argento: Ag(s) | AgCl(s) | Cl-(aq, A=1) Se l’attività di Cl- è unitaria il potenziale è 0.222V, mentre in soluzione satura di KCl, in cui l’attività di Cl- non è unitaria, il potenziale è 0.197V. L’elettrodo a calomelano Si basa sulla reazione Hg2Cl2 + 2e- → 2Hg(l) + 2Cl- Calomelano Il potenziale standard di questa cella è 0.268V. Se la soluzione è saturata con KCl, l’elettrodo è detto a calomelano saturo e viene indicato con ECS, il suo potenziale è allora 0.241V. L’equazione di Nernst per questa semicella è:

E = E0 - [ ]2log

2

05916.0 −Cl

Tra gli elettrodi indicatori, quello più comune è l’elettrodo di platino che viene utilizzato perché relativamente inerte in quanto, utilizzato come elettrodo indicatore deve limitarsi a trasferire elettroni e non deve partecipare alle reazioni che avvengono nelle soluzioni. Se il platino reagisce con la soluzione si può usare un elettrodo d’oro (più inerte del platino), oppure di carbonio (sulla cui superficie molte reazioni risultano particolarmente veloci). Per la pulitura della superficie dell’elettrodo, essenziale per un suo corretto funzionamento, si usa spesso un lavaggio con acido nitrico. Altri elettrodi indicatori di particolare importanza sono gli elettrodi iono-selettivi ed i biosensori. Vediamo come si può seguire la titolazione argentimetrica di una soluzione contenente 100.0 ml di NaCl 0.1000M con AgNO3 0.1000M: Ag+ + Cl- → AgCl(s) Il volume al punto di equivalenza è ovviamente 100.0 ml. Dopo che sono stati aggiunti 6.5 ml di titolante si ha:

[Cl-] = ( ) M0212.00.650.100

0.1001000.0

0.100

0.650.100 =

+⋅

Il potenziale della cella contenente l’elettrodo di platino dipende dalla quantità di Ag+ presente in soluzione: [Ag+] = Ksp / [Cl-] = 1.8 10-10 / 0.0212 = 8.5 10-9

E(cella) = E0 - [ ] VAg

081.01

log1

05916.0 =+

rispetto ad un ECS. Al punto di equivalenza si ha:

72

[Ag+] = [Cl-] = 51034.1 −⋅=spK

e quindi il potenziale è: E = 0.270V Quando sono stati aggiunti 103.0 ml di titolante, questo è presente in eccesso:

[Ag+] = ( ) 31048.10.1030.100

0.1000.1031000.0 −⋅=

+−⋅

e quindi E = 0.391V. Alcuni metalli, ma non molti (Ag, Cu, Zn, Cd ed Hg) possono venire usati come elettrodi indicatori per i loro ioni acquosi, in generale l’equilibrio sulla loro superficie è troppo lento.

73

7. Titolazioni Redox

7.1 Generalità Le titolazioni redox si basano su reazioni di ossido-riduzione. Prendiamo per esempio la reazione: Fe2+ + Ce4+ → Fe3+ + Ce3+ Per la quale la costante d’equilibrio vale 1017 e quindi è sufficientemente elevata per essere utilizzata per eseguire una titolazione. Per seguire la titolazione stessa si inserisce nella soluzione una coppia di elettrodi di cui uno di riferimento, per esempio l’ECS o l’elettrodo a calomelano, l’altro indicatore, per esempio l’elettrodo di platino.

All’elettrodo di platino avvengono due reazioni che devono giungere all’equilibrio: Ce4+ + e- → Ce3+ E0 = 1.70V Fe3+ + e- → Fe2+ E0 = 0.767V Potenziali in HClO4 1M. La reazione della cella può essere descritta in due modi diversi: 2Fe3+ + 2Hg(l) + 2Cl- → 2Fe2+ + Hg2Cl2(s) o 2Ce4+ + 2Hg(l) + 2Cl- → 2Ce3+ + Hg2Cl2(s)

74

Le reazioni della cella non sono uguali alla reazione di titolazione ma questo non ha alcuna importanza, in quanto lo strumento misura istante per istante il potenziale dovuto alle specie presenti, indipendentemente da cosa stia loro accadendo. Quando la reazione di titolazione raggiunge l’equilibrio il potenziale che deriva dalle due reazioni appena scritte deve essere lo stesso. Quindi il voltaggio della cella può essere calcolato utilizzando indifferentemente la prima, la seconda o entrambe. Prima del punto di equivalenza, ogni aliquota di titolante (Ce4+) aggiunto reagisce con l’analita (Fe2+), causandone l’ossidazione. Quindi si può facilmente calcolare la concentrazione di Fe3+ e Fe2+ presenti, tenendo conto di quanto titolante è stato aggiunto (origina una uguale quantità di Fe3+) e del fattore di diluizione. Il potenziale della cella può allora venire facilmente calcolato:

E(cella) = E+ - E- = (0.767 – 0.05916 [ ][ ]

[ ][ ]+

+

+

+

−=−3

2

3

2

log05916.0526.0241.0logFe

Fe

Fe

Fe

Quando V=1/2 V, [Fe2+] = [Fe3+] il potenziale della cella corrisponde al potenziale standard della coppia Fe3+/Fe2+. Al punto di equivalenza la quantità di Ce4+ aggiunta è uguale alla quantità di Fe2+ presente in soluzione. Le concentrazioni delle specie Ce4+ ed Fe2+ sono entrambe molto piccole, ma valgono le seguenti relazioni: [Ce3+] = [Fe3+] [Ce4+] = [Fe2+] tenendo conto di quanto detto all’inizio del paragrafo, entrambe le reazioni della cella devono essere all’equilibrio e quindi:

E+ = 0.767 – 0.05916[ ][ ]+

+

3

2

logFe

Fe

E+ = 1.700 – 0.05916[ ][ ]+

+

4

3

logCe

Ce

Si possono ora sommare queste equazioni:

2E+ = 0.767 – 0.05916[ ][ ]+

+

3

2

logFe

Fe+1.700 – 0.05916

[ ][ ]+

+

4

3

logCe

Ce

2E+ = 2.467 - 0.05916[ ] [ ][ ] [ ] 467.2log

43

32

=⋅⋅

++

++

CeFe

CeFe

E+ = 1.230 E(cella) = 1.230 – 0.241 = 0.989 In questo caso, con stechiometria 1:1 nella reazione di titolazione, il voltaggio al punto di equivalenza è indipendente dalle concentrazioni delle specie presenti. Dopo il punto di equivalenza praticamente tutto il Fe2+ si è trasformato in Fe3+, si ha ora in soluzione un eccesso di Ce4+, il titolante. Quindi, per calcolare il voltaggio della cella, conviene riferirsi alla reazione in cui compare il cerio stesso:

75

E(cella) = E+ - EC = 1.70 - 0.05916[ ][ ]+

+

4

3

logCe

Ce - 0.241

E quando V = 2 Ve si ha: [Ce4+] = [Ce3+], E+ = E0(Ce4+|Ce3+). Come in tutte le altre titolazioni già viste, il punto finale è caratterizzato da un ripido salto della curva. La curva è simmetrica ed il punto di equivalenza si colloca esattamente a metà del tratto ripido della curva. Il voltaggio dipende in ogni punto della titolazione a parte il punto equivalente dal rapporto fra le concentrazioni dei reagenti. Il voltaggio prima di iniziare la titolazione non può essere calcolato perché non si conosce la concentrazione iniziale di Fe3+. Se non fosse presente del Fe3+ il voltaggio sarebbe infinito, ma questo ovviamente non è possibile, poiché prima si avrebbe la riduzione del solvente (H2O + e- → 1/2H2 + OH-). In effetti l’ossigeno atmosferico causa sempre l’ossidazione di un po’ di Fe2+ a Fe3+, anche se questa concentrazione non può essere determinata.

Consideriamo ora una reazione un po’ più complessa (stechiometria non 1:1). Lo iodato (IO3

-) può essere utilizzato per titolare il Tl+ in una soluzione concentrata di HCl: IO3

- + 2Tl+ + 2Cl- + 6H+ → ICl2- + 2Tl3+ + 3H2O

Talloso Tallico Si devono considerare i seguenti potenziali standard:

76

IO3- + 2Cl- + 6H+ + 4e- → ICl2

- + 3H2O E0 = 1.24V Tl3+ + 2e- → Tl+ E0 = 0.77V Da queste semireazioni si può calcolare la costante della reazione di titolazione:

E0 = 1.24 – 0.77 = 0.47V, K = 3205916.0

4

1010

0

=⋅E

Calcoliamo la curva di titolazione considerando di titolare 100.0 ml di Tl+ 0.0100M con IO3

- 0.0100M, entrambi sciolti in HCl 1.00M. Una mole di IO3

- consuma 2 moli di Tl+, quindi il punto equivalente è: Ve = 50.0 ml. Supponiamo inoltre che l’elettrodo di riferimento sia un ECS (E0 = 0.241). Prima del punto di equivalenza, es. dopo aver aggiunto 10.0 ml si ha che del tallio totale i 4/5 sono nella forma Tl+, mentre il resto è stato trasformato dal titolante nella forma ossidata Tl3+:

[ ][ ] 0.4

0.500.10

0.500.40

3 ==+

+

Tl

Tl

quindi:

E(cella) = E+ - ECS = (0.77 - [ ][ ]+

+

3log

2

05916.0

Tl

Tl) – 0.241

E(cella) = 0.77 - V511.0241.00.4log2

05916.0 =−

Al punto di equivalenza come nel caso precedente, si deve avere l’equilibrio per entrambe le reazioni, i cui potenziali possono essere scritti nel modo seguente:

E+ = 1.24- [ ]

[ ] [ ] [ ]62

3

2log4

05916.0+−−

⋅⋅ HClIO

ICl

E+ = 0.77 - [ ][ ]+

+

3log

2

05916.0

Tl

Tl

inoltre si sa che [Tl3+] = 2[ICl2

-], [Tl+] =2 [IO3-]. Sommando la prima reazione moltiplicata per 2 e

la seconda si ha:

3 E+ = 2.48 - [ ]

[ ] [ ] [ ]62

3

2log2

05916.0+−−

⋅⋅ HClIO

ICl + 0.77 -

[ ][ ]+

+

3log

2

05916.0

Tl

Tl

3 E+ = 3.25 - [ ] [ ]

[ ] [ ] [ ] [ ][ ] [ ]

[ ] [ ] [ ] [ ]−+−−

−−

++−−

+−

⋅⋅⋅

⋅=

⋅⋅⋅

2

62

3

32

362

3

2

2

2log

2

05916.0log

2

05916.0

IClHClIO

IOICl

TlHClIO

TlICl

3 E+ = 3.25 - [ ] [ ]62

1log

2

05916.0+− ⋅ HCl

77

essendo la concentrazione di HCl costante (1.00M), il potenziale sarà: 3 E+ = 3.25V ⇒ E+ = 1.08V E(cella) = 1.08 – 0.241 = 0.84V Dopo il punto di equivalenza, per esempio dopo aver aggiunto 57.6 ml di titolante, si ha: [ ][ ] 6.7

0.50

3

2 =−

IO

ICl

e quindi:

E(cella) = E+ - ECS = 1.24 -[ ]

[ ] [ ] [ ]62

3

2log4

05916.0+−−

⋅⋅ HClIO

ICl - ECS

E(cella) = E+ - ECS = 1.24 -62 116.7

0.50log

4

05916.0

⋅⋅ - ECS = 0.987

Questa volta la curva non è simmetrica, come accadeva nella titolazioni di precipitazione a stechiometria non 1:1, tuttavia la curva è talmente ripida nelle vicinanze del punto equivalente, che l’errore che si commette è comunque trascurabile. Il salto in prossimità del punto di equivalenza dipende dalla differenza di potenziale tra le due semi-reazioni. Maggiore questa differenza, maggiore sarà il salto nella curva di titolazione.

78

Titolazione di una miscela La titolazione di due specie porterà a due gradini nella curva in cui si riporta il potenziale di cella, questo ammesso che i potenziali standard delle due coppie redox siano sufficientemente diversi e che l’elettrodo indicatore sia in grado di rispondere ad entrambi gli analiti. Un esempio può essere la titolazione di Sn2+ e Tl+ con IO3

-: IO3

- + 2 Sn2+ + 2Cl- + 6H+→ ICl2- + 2 Sn4+ + 3H2O

IO3- + 2 Tl+ + 2Cl- + 6H+→ ICl2

- + 2 Tl3+ + 3H2O Le reazioni di semicella sono invece: IO3

- + 2Cl- + 6H+ → ICl2- + 3H2O E0 = 1.24V

Tl3+ + 2e- → Tl+ E0 = 0.77V Sn4+ + 2e- → Sn2+ E0 = 0.139V La reazione di ossidazione dello stagno (II) avverrà prima di quella del tallio (I), essendo il potenziale di riduzione dello stagno più piccolo di quello del tallio (la reazione è un’ossidazione). La curva di titolazione si calcola facilmente perché essendo i potenziali sufficientemente diversi, nelle varie zone si possono fare delle importanti semplificazioni rispetto alle specie presenti. Istante per istante è come se fosse presente una sola coppia redox.

7.2 Indicatori redox Per individuare il punto finale si può utilizzare un potenziometro, come già visto, oppure un indicatore, come avviene nella altre titolazioni già viste. Un esempio di indicatore è la ferroina che passa dal blu chiaro al rosso quando si riduce. Per determinare l’intervallo di potenziale in cui avviene la variazione di colore, si può utilizzare l’equazione di Nernst relativa all’indicatore: In(ossidato) + ne- → In(ridotto)

E = E0 - [ ]

[ ])(

)(log

05916.0

ossidatoIn

ridottoIn

n

E, tenendo conto della solita regola empirica sulla prevalenza delle colorazioni alternative:

79

colore di Inrid se [ ]

[ ] 10)(

)( ≥ossidatoIn

ridottoIn

colore di Inox se [ ]

[ ] 1.0)(

)( ≤ossidatoIn

ridottoIn

per cui, dall’equazione di Nernst il cambiamento di colore avverrà nell’intervallo:

E = E0 n

05916.0±

e per esempio per la ferroina che ha E0 = 1.147V, l’intervallo sarà: 1.088-1.206 V. Se invece dell’elettrodo EHS come elettrodo di riferimento si usa l’ECS, si avrà: Intervallo = intervallo rispetto a EHS – E(HCS) = 0.847-0.965V

Per esempio la ferroina potrebbe essere utilizzata come indicatore per le titolazioni viste del Fe2+ e del Tl+.

Affinchè una titolazione redox possa essere eseguita, è necessario che tra titolante ed analita ci sia una differenza di almeno 0.2V tra i rispettivi potenziali standard. Se la differenza è proprio 0.2V, è

80

però necessario utilizzare il metodo potenziometrico per individuare il punto finale. Se la differenza è maggiore di 0.4, allora si può pensare di utilizzare un indicatore chimico. Uno degli indicatori più utilizzati è il complesso amido-iodio, questo perché lo iodio partecipa in un grande numero di titolazioni redox. L’amido forma un complesso con lo iodio dal colore blu intenso. Non è un vero indicatore redox, perché il cambiamento di colore non è dovuto ad una reazione redox, bensì il sistema reagisce alla presenza di I2 ed I- liberi. In presenza di amido si formano delle catene I5

- che occupano il centro della spirale di amilosio e forniscono la caratteristica colorazione alla soluzione. Dato che l’amido si degrada facilmente per via biologica, deve essere sciolto all’ultimo momento, oppure addizionato di un conservante (HgI2, oppure timolo). Uno degli agenti che si producono per biodegradazione dell’amido è il glucosio che, essendo agente riducente, può costituire una fonte di errore nelle titolazioni redox.

7.3 Reagenti redox Molti agenti ossidanti possono essere utilizzati nelle titolazioni redox ed inoltre possono essere considerati degli standard primari. Per gli agenti riducenti è più difficile perché possono facilmente reagire con l’ossigeno atmosferico. In molte analisi è necessario regolare lo stato di ossidazione dell’analita affinchè possa essere titolato con un agente ossidante o riducente. Le reazioni utilizzate in questo caso devono essere quantitative e deve essere possibile allontanare o distruggere l’eccesso di reagente impiegato.

81

Preossidazione esistono molti agenti che possono essere utilizzati per la preossidazione dell’analita. Uno dei più utilizzati è il persolfato: S2O8

2-, che richiede come catalizzatore Ag+: 2S2O8

2- + Ag+ → SO42- + SO4

- + Ag2+ Reazione in cui SO4

- ed Ag2+ sono entrambi dei potenti ossidanti. Il reagente in eccesso può essere eliminato bollendo la soluzione dopo che l’ossidazione dell’analita è avvenuta: 2 S2O8

2-+ 2H2O → 4SO42- + O2 + 4H+

La miscela persolfato/argento (I) può ossidare Mn2+ a MnO4

-, Ce3+ a Ce4+, Cr3+ a Cr2O72-, V4+ a

V5+. L’ ossido di argento(II), che si può sciogliere in acidi minerali concentrati dando Ag2+, ha forza ossidante simile alla combinazione persolfato/argento(II). Anche in questo caso l’eccesso di reagente può venire eliminato per ebollizione : 4Ag2+ + 2H2O → 4Ag+ + O2 + 4H+ Il bismutato di sodio (NaBiO3) ha forza simile a quelli precedentemente visti è può essere eliminato per filtrazione della soluzione. Il perossido di idrogeno (H2O2) in soluzione basica è un buon agente ossidante, può trasformare: Co2+ a Co3+, Fe2+ a Fe3+, Mn2+ a Mn4+. L’eccesso per ebollizione disproporziona: 2H2O2 → O2 + H2O L’ acido perclorico concentrato (72% peso) bollente è un buon agente ossidante (ma pericoloso). HClO4 freddo o diluito non ha praticamente alcuna capacità ossidante, mentre a caldo e concentrato può distruggere la materia organica (ossidandola a CO2) e lasciare i composti inorganici in stati di ossidazione elevati. Può causare forti esplosioni in presenza di alcol, cellulosa e sistemi poliidrossilici. La distruzione della materia organica prima dell’analisi di un campione inorganico viene detta decomposizione a umido e viene eseguita trattando dapprima il campione con HNO3 a caldo, in modo che buona parte del campione sia già ossidato prima del contatto con l’acido perclorico. Preriduzione per eseguire la preriduzione sono stati utilizzati i seguenti reagenti: il clururo stannoso (SnCl2) usato per ridurre Fe3+ a Fe2+ in HCl a caldo. L’agente in eccesso viene eliminato con l’aggiunta di un eccesso di HgCl2: Sn2+ + 2HgCl2 → Sn4+ + Hg2Cl2 + 2Cl- Il clururo cromoso (CrCl2) è un riducente molto potente, qualsiasi eccesso di Cr2+ viene ossidato dall’ossigeno atmosferico. L’ anidride solforosa ed il solfuro di idrogeno sono agenti riducenti leggeri e possono venire allontanati bollendo la soluzione acida. Il riduttore di Jones, cioè una colonna riempita con zinco ricoperto di amalgama di zinco. Lo zinco è un riducente molto forte e quindi poco selettivo: Zn2+ + 2e- → Zn E0 = -0.764

82

Può ridurre Fe3+ a Fe2+ (in H2SO4). Dopo aver lavato e raccolto le acque di lavaggio della colonna, queste possono essere titolate con MnO4

-, Ce4+, Cr2O72-. E’ tuttavia necessario fare una prova in

bianco. La maggior parte degli analiti ridotti tendono a venire ossidati dall’ossigeno atmosferico, quindi una possibile via è di raccogliere gli analiti ridotti in una soluzione di Fe3+ che viene immediatamente ridotto a Fe2+ (stabile in acido), poi titolato come ossidante. Questo metodo può funzionare per Cr, Ti, V ed Mo. Il riduttore di Walden , cioè una soluzione con Ag(s) ed HCl 1M. Il potenziale della coppia AgCl/Ag(s) è 0.222, quindi questo riduttore è molto meno riducente di quello di Jones. In particolare evita la riduzione di Cr3+ e TiO2

2+ che potrebbero interferire nella determinazione del Fe2+. Si può riempire la colonna con Cd, come avviene abitualmente nella titolazione dei gas (ossidi di azoto) nel controllo dell’inquinamento dell’aria. Questi vengono dapprima convertiti a No3-, facendolo passare attraverso una colonna riempita con Cd, NO3

- passa a NO2- che può essere

determinato spettroscopicamente con facilità. L’uso dei riduttori appena citati è costoso e richiede tempi lunghi.

7.4 Tipiche titolazioni redox Ossidazione con permanganato: KMnO4 è un ossidante di colore viola intenso. In soluzioni fortemente acide (pH<1) viene ridotto a Mn2+ incolore: MnO4

- + 8H+ + 5e- → Mn2+ + 4H2O E0 = 1.51V In soluzione neutra o basica, il prodotto è il solido marrone MnO2: MnO4

- + 4H+ + 3e- → MnO2(s) + 2H2O E0 = 1.695V In soluzione molto alcalina (NaOH 2M) viene prodotto lo ione manganato MnO4

2-:

83

MnO4

- + e- → MnO42- E0 = 0.558V

In soluzione acida il permanganato funziona esso stesso da indicatore, grazie all’intenso colore violetto che si origina subito dopo il punto equivalente (bene fare una titolazione in bianco). Le titolazioni che utilizzano il permanganato sono moltissime: Fe2+, H2C2O4, Br-, H2O2, HNO2, As3+, Sb3+, Mo3+, W3+, U4+, Ti3+, inoltre Mg2+, Ca2+, Sr2+, Ba2+, Zn2+, Co2+, La3+, Th4+, Pb2+, Ce3+, BiO+, Ag+ e K+ possono essere precipitati con acido ossalico, quindi il precipitato può essere ridisciolto e l’acido ossalico titolato con KMnO4. Il permanganato non è abbastanza puro per essere utilizzato come standard primario, dato che contiene sempre impurezze di MnO2 ed inoltre l’acqua distillata contiene spesso delle impurezze organiche che possono venire ossidate dal reagente. Quindi viene sciolto di fresco ogni volta, poi la soluzione viene bollita per far finire le reazioni di ossidazione delle sostanze organiche presenti, quindi la soluzione viene filtrata su vetro sinterizzato (non su carta) e viene conservato in una bottiglia scura. E’ instabile in virtù della reazione:

4MnO4- + 2H2O → 4MnO2(s) + 3O2 + 4OH-

che però è abbastanza lenta in assenza di MnO2, Mn2+, calore, luce, acidi e basi. Può infine essere standardizzato con una soluzione di ossalato di sodio, filo di ferro elettrolitico puro o ossido arsenioso (As4O6). L’ossalato prima deve essere essiccato per 2 ore a 105°C, viene quindi disciolto in H2SO4 1M e trattato col 90-95% della soluzione necessaria di KMnO4. Si riscalda poi a 55-60°C e si completa la titolazione mediante aggiunta graduale di permanganato:

2MnO4- + 5H2C2O4 + 6H+ → 2Mn2+ + 10CO2 + 8H2O

Se si usa il ferro elettrolitico, questo viene sciolto in H2SO4 1.5M tiepido, sotto azoto. Il prodotto è Fe2+ e la soluzione raffreddata può essere usata per titolare KMnO4 o altri ossidanti (si aggiungono 5 ml ogni 100 di acido fosforico 86% in peso per mascherare il colore giallo del Fe2+ che maschera il punto di equivalenza). Si può anche usare solfato di ammonio ferroso o solfato di etilendiammonio ferroso che spesso sono sufficientemente puri per funzionare come standard primari.

84

Ossidazione con Cerio(IV) Il Ce4+ viene completamente ridotto a Ce3+ in soluzione acida. Lo ione acquoso esiste in forma legata con il controione negativo proveniente dall’acido (ClO4

-, SO42-, Cl-,

NO3-). Infatti il potenziale di riduzione del cerio (IV) dipende dall’acido in cui avviene la reazione:

1.70V in HClO4 1M 1.61V in HNO3 1M 1.44V in H2SO4 1M 1.28V in HCl 1M La colorazione gialla del Ce4+ non è abbastanza forte perché possa funzionare da autoindicatore. Di solito si usa qualche indicatore come la ferroina o altre fenantroline sostituite. Per la preparazione

85

delle soluzioni di Ce4+ si può utilizzare esanitratocerato di ammonio: (NH4)2Ce(NO3)6. Sebbene il Ce4+ sia un ossidante più forte in HClO4 oppure HNO3, le soluzioni in questi acidi subiscono una lenta degradazione fotochimica con ossidazione dell’acqua. Invece le soluzioni in H2SO4 sono stabili a tempo indeterminato, mentre le soluzioni in HCl presentano l’ossidazione di HCl a Cl2. Le soluzioni in acido solforico possono comunque essere utilizzate per eseguire titolazioni di soluzioni dell’analita in HCl, perché la reazione con l’analita è favorita rispetto a quella col cloruro. Vi sono altri sali di cerio(IV) meno costosi dell’esanitratocerado d’ammonio quali Ce(HSO4)4, (NH4)4Ce(SO4)4 ⋅ H2O, CeO2 ⋅ H2O (detto anche Ce(OH)4) che possono essere utilizzati per preparare delle soluzioni che successivamente devono essere standardizzate, essendo meno puri del precedente (standardizzazione come per il permanganato). Il cerio (IV) può essere utilizzato in luogo del permanganato ed inoltre trova applicazione nell’analisi di numerosi composti organici (alcoli, aldeidi, chetoni ed acidi carbossilici). Dicromato di potassio in soluzione acida il dicromato di potassio è un potente ossidante che viene ridotto a ione cromico Cr3+:

Cr2O72- + 14H+ + 6e- → 2Cr3+ + 7H2O E0 = 1.33V

In HCl 1M il potenziale standard è soltanto più 1.00V, in H2SO4 2M è 1.11V, quindi in generale il dicromato è meno ossidante del permanganato e del cerio(IV). In soluzione basica il dicromato si converte a cromato (CrO4

2-) la cui capacità ossidante è praticamente nulla:

CrO42- + 4H2O + 3e- → Cr(OH)3 (s,idrato) + 5OH- E0 = -0.13

K2Cr2O7 è abbastanza puro da poter essere utilizzato come standard primario, dà soluzioni stabili e costa poco. Tuttavia a causa del suo colore arancione e del colore verde-viola dei complessi del Cr3+, si devono utilizzare sistemi indicatore con variazione di colore molto nette, altrimenti è difficile individuare il punto finale. Molto usati sono il solfonato di difenilammina o il solfonato di difenilbenzidina. Dato che è meno ossidante del permanganato e dello ione cerico trova minori applicazioni, soprattutto per la titolazione di Fe2+ a Fe3+ e per la determinazione delle specie che possono reagire con Fe2+ ossidandolo (aggiungendo un eccesso di Fe2+ che viene poi titolato col dicromato), per esempio ClO3

-, NO3-, MnO4

- ed i perossidi organici. Metodi basati sullo iodio molti procedimenti analitici riguardanti titolazioni di ossido-riduzione si basano su reazioni dello iodio: iodimetria quando un analita riducente viene titolato direttamente con iodio; iodometria, quando l’analita ossidante viene aggiunto a ioduro in eccesso per produrre iodio che viene poi titolato con tiosolfato standard. Lo iodio molecolare I2, è poco solubile in acqua (1.33 ⋅ 10-3 M), ma la sua solubilità può venire aumentata tramite la complessazione con I-, per dare triioduro I3

-, Kf = 7.0 ⋅ 102. Una tipica soluzione 0.05 M di I2 si prepara sciogliendo 0.12 moli di KI in un litro d’acqua con 0.05 moli di iodio molecolare. Quando si parla di iodio, si fa normalmente riferimento alla soluzione contenente triioduro. Come già detto in precedenza, lo iodio con l’amido forma un complesso dal colore blu intenso con limite di percettibilità intorno a 10-7 ÷ 10-6 M. Nella iodimetria l’indicatore viene aggiunto fin dall’inizio e la prima goccia di I3

- in eccesso provoca la forte colorazione blu della soluzione. In iodometria, si dovrebbe aggiungere la salda d’amido solo appena prima del punto di equivalenza, indicato dallo schiarirsi della soluzione dovuto alla scomparsa di I3

-, in modo che non resti dello iodio legato all’amido anche dopo il punto di equivalenza.

86

Il complesso iodio-amido è sensibile alla temperatura, a 50°C il colore è un decimo di quello che si avrebbe a 25°C. Anche i solventi organici hanno lo stesso effetto riducendo l’affinità dello iodio per l’amido. I2 è un solido puro, ma non può venire utilizzato come standard perché sublima durante la pesata. Di solito si prepara la soluzione, come indicato in precedenza, e questa viene standardizzata mediante As4O6 o Na2S2O3. L’ossido arsenioso, sciolto in acqua dà:

As4O6 + 6H2O → 4H3AsO3 Quest’ultimo, l’acido arsenioso, reagisce col triioduro:

H3AsO3 + I3- + H2O → H3AsO4 + 3I- + 2H+

K = 0.17, essendo la costante piccola, la soluzione deve essere mantenuta a pH basso (7-8, tampone a base di bicarbonato). A pH>11 il triioduro disproporziona in acido ipoiodoso, iodato e ioduro. Un altro modo di preparare una soluzione standard è di pesare una quantità nota di KIO3 puro che viene addizionata ad un piccolo eccesso di KI. L’aggiunta di un acido forte (pH=1) provoca una reazione quantitativa di disproporzione inversa:

IO3- + 8I- + 6H+ → 3I3

- + 3H2O Le soluzioni acide di triioduro sono instabili perché l’eccesso di I- viene lentamente ossidato dall’aria:

6I- + O2 + 4H+ → 2I3- + 2H2O

Nelle soluzioni neutre la reazione non avviene in assenza di calore, luce e ioni metallici. Il tiosolfato di sodio è il titolante universale del triioduro. In soluzione neutra o acida il triioduro ossida il tiosolfato a tetrationato:

I3- + 2S2O3

2- → 3I- + SO3-S-S-SO3

- In soluzione basica I3

- disproporziona a I- e HOI. La forma abituale del tiosolfato, Na2S2O3 5H2O non è abbastanza pura per costituire uno standard primario e quindi viene standardizzata con una soluzione di I3

- preparata di fresco da IO3-+I-, oppure

con una soluzione di I3- preparata e standardizzata con As4O6.

Le soluzioni di tiosolfato devono essere preparate con acqua purissima e mantenute la buio, perché la CO2 disciolta favorisce la disproporzione di S2O3

2- e gli ioni metallici ne catalizzano l’ossidazione atmosferica: S2O3

2- + H+ → HSO3- + S(s)

2Cu2+ + 2S2O3

2- → 2Cu+ + S4O62-

2Cu+ + 1/2O2 + 2H+ → 2Cu2+ + H2O L’aggiunta di 0.1 g di carbonato di sodio per litro mantiene il pH a valori ottimali perché la soluzione sia stabile. Tuttavia è possibile titolare soluzioni acide di I3

- perché la reazione con triioduro è più veloce della reazione vista sopra.

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Il tiosolfato di sodio anidro può essere utilizzato come standard primario. Può essere ottenuto dal pentaidrato facendolo rifluire (21g) con metanolo (100ml) per 20 minuti, lavandolo con altri 20 ml di metanolo, dopo filtrazione, ed essiccato per 30 minuti a 70°C. Gli agenti riducenti possono essere titolati direttamente con I3

- in presenza di salda d’amido, es. la titolazione della vitamina C. In altri casi, come nel caso del glucosio o di altri zuccheri riducenti, si aggiunge in soluzione basica un eccesso di I3

-, quindi la soluzione viene acidificata e l’eccesso di I3-

viene sottoposto a titolazione di ritorno con tiosolfato. Tipiche analisi iodimetriche riguardano: As3+, Sb3+, Sn2+, N2H4, SO2, H2S, Zn2+, Cd2+, Hg2+, Pb2+, HCN, formaldeide, glucosio, glicerolo, serina, cisteina, glutatione, ecc.

Tra le analisi iodometriche ricordiamo la determinazione di: Cl2, HOCl, Br2, BrO3

-, IO3-, IO4

-, O2, H2O2, O3, NO2

-, As(V), Sb(V), S2O82-, Cu2+, Fe(CN)6

3-, MnO4-, MnO2, Cr2O7

2-, Ce(IV). Titolazioni con agenti riducenti l’uso di reagenti riducenti è meno comune perché questi sono instabili in presenza di ossigeno e devono quindi essere adoperati e conservati in atmosfera inerte. Inoltre per queste reazioni è disponibile un numero minore di indicatori, quindi in genere si utilizza la potenziometria per l’individuazione del punto finale. Molti reagenti riducenti possono venire generati in situ mediante reazione elettrochimica partendo da un precursore appropriato. Tra i reagenti più utilizzati: Fe2+, Cr2+, Ti3+, Hg2(NO3)2 e acido ascorbico. Le soluzioni di Fe2+ in H2SO4 1M sono stabili e possono venire utilizzate per standardizzare forti ossidanti come MnO4

-, Cr2O72-, Ce4+, Au3+, V5+.

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89

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8. Titolazioni Amperometriche Tra i molti modi in cui può essere seguita una titolazione per determinare con precisione il punto di equivalenza vi sono le tecniche amperometriche. Queste possono essere distinte in titolazioni con uno o due elettrodi indicatori. Nei metodi ad un elettrodo indicatore si impone una differenza di potenziale costante tra questo e l’elettrodo di riferimento, seguendo poi l’andamento della corrente di diffusione nel corso della titolazione. Il potenziale imposto corrisponde ad una zona di attività elettrochimica del titolante o dell’analita. Le titolazioni con due elettrodi indicatori viene eseguita imponendo una piccola differenza di potenziale costante tra i due elettrodi.

8.1 Titolazioni amperometriche con un elettrodo indicatore

In entrambi i casi non è richiesta una riproducibilità delle condizioni sperimentali pari a quella necessaria in polarografia o voltammetria, poiché lo scopo in questo caso è semplicemente di seguire l’andamento della corrente durante il corso della titolazione. Come elettrodo si utilizza l’elettrodo rotante di platino, l’elettrodo a goccia di mercurio, o altri. Il potenziale imposto deve essere tale da corrispondere alla corrente di diffusione di una delle specie coinvolte nella titolazione. L’intensità viene letta con un microamperometro dopo ogni aggiunta di titolante. Il punto equivalente viene determinato graficamente riportando in ascissa il volume di titolante ed in ordinata la corrente misurata, corretta per il fattore di diluizione:

0

0

V

VVicorr

+=

L’intersezione tra i tratti rettilinei del grafico corrisponde al punto equivalente. Vediamo alcuni tipi di titolazione. Supponiamo che la sostanza da titolare, cui è stato aggiunto l’elettrolita di supporto, sia A, e che questo reagisca con B:

A + B → AB e che al potenziale cui si sta operando si ottenga la corrente limite della reazione:

A i + e → Ai-1 mentre il titolante non sia elettroattivo, così come la specie prodotta durante la titolazione AB. Allora durante la titolazione l’onda corrispondente alla riduzione di A si abbassa, diminuendo la sua concentrazione e la corrente di diffusione di A si mantiene proporzionale alla concentrazione di A, fino al punto equivalente, punto in cui l’unica corrente osservata è una corrente residua vicino allo 0. Questa corrente residua si mantiene pressochè costante anche quando viene aggiunto un eccesso di titolante. Il punto equivalente si ricava per estrapolazione dall’intercetta dei due tratti lineari prima e dopo il punto equivalente. Il tratto di collegamento tra le due zone rettilinee, intorno al punto equivalente, è tanto più arrotondato quanto minore è la costante di equilibrio della reazione di titolazione.

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Un esempio di questa tecnica è la determinazione del Pb2+ per precipitazione come cromato, operando ad un potenziale a cui si ha soltanto l’onda di riduzione del cromo, oppure operando ad un potenziale a cui entrambe le specie sono elettroattive: Questo metodo permette di titolare contemporaneamente Ba2+ e Pb2+ a concentrazioni simili. Il cromato di piombo precipita per primo essendo meno solubile. Operando al potenziale cui sono elettroattivi sia cromo che piombo, si osserva per la curva di titolazione un primo tratto discendente dovuto alla scomparsa progressiva del Pb2+, un tratto orizzontale in cui è presente soltanto la corrente residua, mentre sta precipitando il Ba2+, ed un tratto ascendente causato dall’aggiunta di un eccesso di cromato, dopo il secondo punto di equivalenza:

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Ovviamente le titolazioni di precipitazione seguite col metodo amperometrico soffrono degli stessi limiti delle normali titolazioni di precipitazione, in quanto la misura di corrente serve soltanto come sistema indicatore per determinare con precisione il punto finale, quindi coprecipitazione, adsorbimento, ecc. devono comunque essere evitati curando gli aspetti operativi della determinazione. Un esempio di titolazione complessometrica amperometrica è quella del Bi2+ con EDTA a pH 3.0, operando ad un potenziale corrispondente alla corrente limite del Bi2+:

Un esempio di titolazione in cui compaiono sia processi anodici che catodici è la determinazione di Ti3+ con Fe3+, cioè una titolazione redox:

Ti3+ + Fe3+ → Ti4+ + Fe2+

Prima del punto equivalente, operando ad un opportuno potenziale solo l’analita è attivo, dando origina ad una corrente di ossidazione (anodica), dopo il punto equivalente viene invece ridotto il Fe3+ sull’elettrodo indicatore, che funziona ora come catodo. I due tratti rettilinei si incontrano in corrispondenza del punto equivalente. La pendenza dei due tratti è leggermente diversa perché sono diversi i coefficienti di diffusione delle due specie elettroattive:

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Una situazione simile si ottiene operando con un elettrodo attaccabile, come quello di argento, operando al potenziale opportuno. Per esempio eseguendo una titolazione dell’argento con Cl-, si ha dapprima la corrente catodica dovuta alla riduzione dell’argento. Dopo il punto equivalente, allo stesso potenziale si ha l’ossidazione dell’argento:

Ag + Cl- → AgCl Operando ad un potenziale diverso, si può eliminare il tratto corrispondente alla reazione anodica:

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Un altro esempio di titolazione redox di tipo amperometrico è:

I2 + 2 S2O32- ⇔ 2 I- + S4O8

2- Dove la coppia tetrationato-tiosolfato non è reversibile, mentre la coppia I2/I

- lo è. Quindi titolando I2 in presenza di I- si ottiene la seguente curva:

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8.2 Titolazioni amperometriche con due elettrodi indicatori

Generalmente si utilizzano due elettrodi identici tra i quali si applica una piccola differenza di potenziale. La soluzione viene posta in agitazione e mediante un potenziostato la differenza di potenziale è mantenuta costante. Mediante un microamperometro si misura la corrente che passa tra i due elettrodi. Supponiamo di titolare Fe2+ con Ce4+ in presenza di Fe3+ in eccesso:

Fe2+ + Ce4+ → Fe3+ + Ce3+ All’inizio della titolazione è presente la coppia reversibile Fe3+/Fe2+ e quindi, la differenza di potenziale in modo da fornire una corrente catodica uguale a quella anodica. In figura (a) manca l’onda di riduzione del Fe3+ che si è supposto a concentrazione molto elevata. Aggiungendo Ce4+ l’onda di ossidazione del Fe2+ si abbassa e contemporaneamente diminuisce la corrente (fig. b). Al punto equivalente non si ha passaggio di corrente (fig.c) con la differenza di potenziale imposta, mentre dopo il punto equivalente la corrente passa di nuovo perché è presente la coppia reversibile Ce4+/Ce3+.

Se si fosse iniziata la titolazione in assenza di Fe3+, all’inizio gli elettrodi sarebbero stati polarizzati e non si sarebbe osservata corrente. Dato che nella titolazione si produce Fe3+, la corrente in una prima fase avrebbe iniziato a crescere, fino ad arrivare ad un massimo corrispondente a metà

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titolazione. Oltre questo punto la corrente tende nuovamente a diminuire per il consumarsi del Fe2+, essendo la corrente limitata dal processo di ossidazione anodico:

Un esempio già visto nelle titolazioni amperometriche ad un elettrodo indicatore è cioè la titolazione dello iodio con tiosolfato, in cui il titolante non dà luogo ad un processo reversibile, a differenza dell’analita, oppure quando l’analita non da luogo ad una specie reversibile mentre il titolante sì (As3+ con I2) forniscono i seguenti andamenti:

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Dato che al punto equivalente non c’è passaggio di corrente, queste determinazioni vengono dette dead stop end point.

8.3 Metodo di Karl-Fischer per determinare l’acqua nei solventi

Questo metodo è diventato ormai uno standard nei laboratori per la determinazione dell’acqua nei solventi organici. Esso sfrutta la reazione tra SO2 e iodio che può avvenire solo in presenza di acqua:

I2 + SO2 + 2 H2O ⇔ 2 I- + 4 H+ + SO42-

La reazione viene eseguita utilizzando come titolanti due soluzioni, una di iodio sciolto in piridina (A) e l’altra di SO2 anch’essa sciolta in piridina (B). Il solvente o la sostanza in cui si deve determinare il contenuto di acqua viene invece sciolto in metanolo anidro. Alla soluzione contenente l’analita si aggiunge la soluzione B in eccesso e quindi si esegue la titolazione con la soluzione A. In presenza di acqua ha luogo la seguente serie di reazioni, che coinvolgono gli addotti formati rispettivamente dallo iodio e dall’anidride solforosa con piridina:

In principio sarebbe possibile determinare il punto finale della titolazione grazie al cambiamento di colore dovuto bruno scuro dello iodio in piridina che dopo la riduzione diventa giallo. Tuttavia, dato che questa rilevazione del punto finale non è molto precisa, conviene utilizzare il metodo amperometrico a 2 elettrodi. In questo caso gli elettrodi si depolarizzano solo dopo la scomparsa di acqua e la comparsa di I2 nella soluzione, quindi dopo il punto equivalente. Spesso la titolazione viene controllata con una tecnica bipotenziometrica, anziché biamperometrica. In questo caso viene mantenuta costante una piccola corrente (generalmente 5-10 µA) tra i due elettrodi e si misurano le variazioni della differenza di potenziale. In presenza di I2/I

- la corrente circola in presenza di una piccola differenza di potenziale. Al punto finale I2 scompare, perché completamente consumato e per mantenere la corrente il potenziale catodico deve variare notevolmente per trasportare corrente attraverso la riduzione del solvente:

CH3OH + e- → CH3O- + ½ H2

La repentina variazione del potenziale può essere letta direttamente sul potenziometro (piaccametro). Oggigiorno, all’uso delle due soluzioni A e B è preferita la preparazione di un’unica soluzione stabile contenente sia lo iodio che l’SO2, in presenza di piridina nel rapporto molare 1:10:3, sciolti

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in metil cellosolve (etere dimetilico del glicole etilenico, cioè 1,2-dimetossietano). In questo caso la soluzione dell’analita viene preparata sciogliendolo in 1,2-diidrossietano (glicole etilenico). Il metodo di Karl-Fischer presenta molte interferenze da parte di agenti ossidanti e riducenti, non dai perossidi se è presente SO2 in eccesso. Il Cu2+ dà interferenza perché reagisce con lo ioduro dando:

2 Cu2+ + 4 I- → 2 CuI + I2 così come il dicromato. Agenti riducenti come tiosolfato, SnCl2 e solfuri sono in grado di ridurre lo iodio. Anche molti ossidi metallici reagiscono col reagente di Karl-Fischer generando acqua e portando così a errori nella titolazione, per esempio:

ZnO + 2 PiridinaH+ → Zn2+ + 2 Piridina + H2O Il reagente permette di determinare per via indiretta gli acidi e gli alcoli organici, infatti in presenza di BF3 che catalizza la reazione si ha esterificazione degli acidi da parte del metanolo e degli alcoli con qualche acido (es. acido acetico) con formazione di acqua in quantità stechiometrica con i gruppi funzionali presenti. Le anidridi possono essere determinate facendole reagire con acqua il cui eccesso viene poi determinato col metodo di Karl-Fischer:

(R-CO)2O + H2O → 2 RCOOH

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9. Le titolazioni conduttometriche Questi metodi sfruttano le variazioni di conduttanza che si hanno in soluzione durante una titolazione. Come è noto le soluzioni di elettroliti seguono la legge di Ohm, per queste si definisce conduttanza L il reciproco della resistenza:

l

AkL =

dove A è la sezione della soluzione conduttrice, l la lunghezza della soluzione (distanza tra gli elettrodi) e k è un coefficiente di proporzionalità detto conducibilità specifica (conduttanza di una cella con sezione 1 cm2 e lunghezza 1 cm ⇒ 1 cm3 = 1ml). La conducibilità equivalente eΛ è la conduttanza di un volume di soluzione posto nella cella

standard contenente un grammo equivalente di elettrolita. Le differenze per i valori di λ (riferiti alla singola specie ionica, estrapolata a diluizione infinita) dei diversi ioni dipendono sostanzialmente dalle dimensioni degli ioni idratati. H3O+ ed OH- hanno conducibilità specifiche molto più elevate di quelle di tutti gli altri ioni, cosa che è dovuta al particolare meccanismo con cui trasferiscono l’elettricità all’interno delle soluzioni Catione λ+ Anione λ-

H+ 350 OH- 198 Li+ 39 F- 55 Na+ 50 Cl- 76 K+ 74 Br- 78

NH4+ 73 I- 77

Ag+ 62 NO3- 71

Mg2+ 53 HCO3- 45

Ca2+ 60 CH3COO- 41 Sr2+ 59 SO4

2- 80 Ba2+ 64 CO3

2- 69 Zn2+ 53 Fe(CN)6

3- 101 Cu2+ 54 Fe(CN)6

4- 111 Pb2+ 73 Co2+ 55 Fe2+ 54 Fe3+ 68 Ce3+ 70

N(Et)4+ 33

N(Bu)4+ 19

Nelle misure di conduttanza, per evitare polarizzazione e decomposizione elettrolitica delle specie presenti, si usa operare in corrente alternata (50 Hz normalmente, 103 Hz per misure più accurate, per eliminare completamente le componenti faradiche). Per la misura si utilizza un ponte di Kohlrausch. La conduttanza di una soluzione viene utilizzata come parametro per valutare il contenuto in elettroliti dell’acqua (es. per valutare l’efficacia di una procedura di deionizzazione).

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Nel seguire le titolazioni le discontinuità che si originano in prossimità del punto di equivalenza consentono di identificarlo con sufficiente precisione soprattutto se si tiene conto dell’effetto di diluizione. Consideriamo per esempio una titolazione acido-base di HCl con NaOH. La reazione complessiva è: H+ + Cl- + Na+ + OH- → Na+ + Cl- + H2O Consiste nella formazione di acqua e nella sostituzione degli ioni H+ con ioni Na+. La concentrazione di Cl- si mantiene costante, a parte l’effetto di diluizione. Dopo il punto equivalente si aggiungono sia Na+ che OH- che restano in soluzione. Quindi la conduttanza mostrerà una prima parte, fino al punto equivalente, con un tratto discendente dovuto alla scomparsa della specie H+ con elevata conduttanza ionica specifica (H+ 350 contro Na+ 50), dopo il punto equivalente la conduttanza tende nuovamente ad aumentare a causa dell’immissione di Na+ ma soprattutto di OH- che resta in soluzione. Nelle titolazioni acido forte-base forte il diagramma è indipendente dalle concentrazioni.

La titolazione di un acido debole con una base forte (acido acetico con NaOH) hanno un andamento diverso:

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Il primo tratto breve, discendente è dovuto alla scomparsa degli H+ liberi (pochi perché l’acido è debole), successivamente la conduttanza comincia ad aumentare (con pendenza non ripida) poiché l’acido indissociato viene salificato formando ioni che possono condurre la corrente, dopo il punto equivalente la pendenza aumenta di colpo perché si aggiunge alla soluzione OH- in eccesso, caratterizzato da un’elevata conducibilità ionica equivalente (198). Talvolta la determinazione di un acido debole viene meglio se eseguita con una base debole (es. NH3), perché dopo il punto equivalente la conduttanza diventa pressochè costante, dato che la base debole in eccesso resta indissociata. Il metodo può essere applicato anche a titolazioni di precipitazione, è sufficiente che lo ione che precipita sia sostituito da un altro ione con conduttanza specifica equivalente molto diversa. Per esempio nella titolazione di NaCl con AgNO3 si osserva prima del punto equivalente una diminuzione della conduttanza, dato che λ(NO3

-) < λ(Cl-), mentre dopo il punto equivalente la conduttanza aumenta perché si aumenta il carico di elettroliti della soluzione. Il metodo conduttometrico funziona soltanto se nella soluzione non sono presenti ioni in forte eccesso rispetto a quelli cui si è interessati, perché in quel caso sarebbe impossibile distinguere le diverse fasi della titolazione essendo le variazioni di conduttanza tamponate a valore pressochè costante.

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