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Mappe Quando si dice paesaggio… Mappe di Paesaggio Un nuovo strumento di comunità per un sostenibile sviluppo del territorio Attivita’ Corso di formazione per facilitatore volontario ecomuseale Quaderno 01

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Mappe di Pae-

Quando si dice paesaggio…

Mappe di PaesaggioUn nuovo strumento di comunità per un sostenibile sviluppo del territorio

Attivita’Corso di formazione

per facilitatore volontario ecomuseale

Quaderno 01

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...:::...:::... Trascrizione sintetica del file audio dell’ intervento del prof. Davide Papotti ...:::...:::...

Quando si dice paesaggio…IntroduzionePaesaggio è un temine polisemico dalle molte sfaccettature e significati diversi, di cui possono parlare tantissime persone attraverso differenti discipline: storici, urbanisti, agronomi, artisti, antropologi, sociologi, letterati, musicisti, fotografi. Nel Congresso Geografico del 1892 ad Amsterdam, i geografi si sono interrogati sul ruolo della propria disciplina: la geografia è studio del paesaggio? La geografia non ha certamente l’esclusiva sul paesaggio, ma ha una sua specificità di approccio.

Molte delle caratteristiche attribuibili comunemente a una delle definizioni di paesaggio sono eredità del passato e di studiosi appartenenti a generazioni precedenti, provengono da determinati periodi storici e hanno origine in un certo contesto culturale. A metà Novecento, lo storico francese Le Goff dichiarò che “in ogni società il sociale è in ritardo sull’economico e il mentale sul sociale”. Figurativamente: l’economia va in macchina, la società va in bicicletta e la mentalità va a piedi procedendo nella stessa direzione. Allo stesso modo, le trasformazioni del paesaggio sono velocissime, spinte da interessi economici (urbanizzazioni, escavazioni, deforestazioni); la società si adatta, insegue, sviluppa i propri gusti intorno al paesaggio, relazionandosi e dialogando con le sue trasformazioni; la nostra mente e il nostro modo di concepire seguono il tutto molto lentamente mantenendo comunque la capacità di influenzare interessi e azioni.

Nell’introduzione al numero 4 di Hérodote Italia dedicato alla geografia del paesaggio (1981) è proposta un’interessante definizione di paesaggio attraverso i verbi: “un paesaggio si ammira (il bel paesaggio), si difende (la tutela del apesaggio), si consuma (i paesaggi merce dell’agenzia di viaggio), si studia (la geografia come scienza dei paesaggi), si dipinge, ecc…”

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1500 – 1700La parola paesaggio nasce ad inizio del 1500 in ambito nord europeo esattamente quando si sviluppa la pittura del paesaggio, duplicando così il significato della parola: paesaggio indica sia ciò che ci circonda nella realtà sia la sua riproduzione.

Caspar David Friedrich (1774-1840), pittore tedesco ed esponente dell’arte romantica, incarna quella presa di coscienza della consapevolezza contemplativa del paesaggio; la sua pittura è basata su un’attenta osservazione dei paesaggi della Germania, soprattutto dei loro effetti di luce (le sue raffigurazione ritraevano sempre momenti particolari come l’alba o il tramonto). E’ dominante il punto di visione panoramica e il senso del sublime espresso nel confronto tra l’individuo e l’immensità della natura. La grande novità introdotta da Friedrich è la presenza umana contemplante. Ne il “Viandante sul mare di nebbia” è rappresentato il solitario che si allontana dalla società umana, una figura classica della letteratura tedesca (più tardi nascerà l’idea del passeggiatore urbano).

Pochi anni prima di questo quadro avviene la prima ascensione al Monte Bianco. Nel libro “L’invenzione del Monte Bianco”, Philippe Joutard racconta proprio del modo in cui il monte Bianco, che è sempre stato lì, ad un certo punto è stato visto. Prima era un ostacolo lontano che non entrava nella percezione poi divenne un luogo da cui guardare il mondo dall’alto.

Nel libro “Le belle contrade. Nascita del paesaggio italiano”, Piero Camporesi (filologo, storico e antropologo) investiga la trattatistica di fine ‘400 prima metà del ‘500, dove l’Italia è descritta in base alle coltivazioni, alle ricchezze minerarie, alla bellezza delle donne. Si parla di una terra con edifici belli, cibo buono, terreno fertile. Sono bellissimi cataloghi descrittivi del mondo che a metà del ‘500 lasciano il passo appunto alla componente di contemplazione.

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1800Nella seconda metà dell’Ottocento, la geografia si struttura all’interno delle università come insegnamento specifico e, concomitante alla grande corsa al colonialismo, serve a descrivere il mondo, a catalogarlo, a classificarlo, a conquistarlo. A quell’epoca, la geografia abbina alla conoscenza il potere. Furono due geografi tedeschi, verso la fine del XIX secolo, a occuparsi per primi del concetto di paesaggio: A. Oppel e J. Wimmer.

Oppel definisce il paesaggio come “un panorama dotato di qualche elemento di unitarietà”. La sovrapposizione del concetto di paesaggio a panorama introduce il bisogno di una visione sintetica, possibilmente da un punto di vista privilegiato. Questo punto di visione panoramica ha bisogno di scientificità, di cercare delle trame che rendono il paesaggio unitario: la prevalenza di una coltura, di un tipo di albero, di un edificio, di una particolare costruzione, di un materiale, di un tipo di insediamento. Il paesaggio possiede qualche cosa di riconoscibile in mezzo al caos visivo dato dalla ricchezza di elementi presenti su un territorio. L’eredità di questa idea di panoramicità, di vedere qualcosa dall’alto, di osservare da un punto dominante è presente ancora oggi (un esempio è il ritorno delle ruote panoramiche).

Secondo Wimmer “Il compito del geografo è determinare i paesaggi tipici in cui ripartire le regioni”. Si apre uno dei grandi campi di studio della geografia: usare i paesaggi per classificare le diverse zone del mondo, per tracciare confini tra aree territoriali riconoscendone le specificità. Il confine è l’azione più antropica e artificiale che si può imporre sullo spazio: il confine esiste sulle carte, ma non nella realtà, e stabilisce una forza centripeta in relazione ad un centro.

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1800-1900Filippo Porena 1839 – 1910

Geografo, Porena è uno dei rappresentanti della delegazione italiana al congresso di Amsterdam del 1892. In uno scritto pubblicato proprio in quell’anno dice: “Il paesaggio è l’aspetto complessivo di un paese in quanto commuove il nostro sentimento estetico”. L’espressione aspetto complessivo rimanda alla sintesi della panoramicità, mentre il termine “paese” presenta un’ambiguità di scala (può essere sia una piccola città che una nazione). Il sentimento estetico richiama la tradizione occidentale di intendere il paesaggio come “bel paesaggio”, che suscita emozioni positive spesso basate su valutazioni del grado di bellezza. Oggi, quando ci si trova di fronte ad aree industriali con sfilate di capannoni o aree urbane degradate si è portati comunemente a pensare che in quelle zone “non c’è paesaggio” perché “non bello”, non commuove il nostro comune sentimento estetico. L’idea che il paesaggio esista solo quando è bello è legata alla dimensione contemplativa del vedere.

Jean Brunhes 1869-1930

A fine ‘880 primi ‘900, la Germania e la Francia sono le nazioni che si contraddistinguono per gli sviluppi geografici. Il geografo francese Jean Brunhes fu uno dei primi a usare il termine geografia umana intendendo la geografia che si occupa dell’azione umana sul territorio (fino ad allora la geografia per eccellenza è stata la geografia fisica quella che studiava le forme di evoluzione dello spazio fisico). In un saggio di cento anni fa, Brunhes parla di fatti d’occupazione del suolo fra i quali enumera gli “improduttivi” (case e vie di comunicazione), quelli “di conquista vegetale e animale” (terra aperta; campi e giardini; mandrie e animali aggiogati in spazi non coltivati ma sfruttati economicamente; ecc…) e quelli di “economia distruttiva” (cave e miniere, ma anche i fatti “distruttivi”

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legati all’edilizia e alla “conquista vegetale e animale” dello spazio terrestre nelle forme più degradanti). Brunhes ammette che “in ogni modo si tratta di paesaggio”. L’idea del fare costruttivo e del fare distruttivo si integrano, un paesaggio si “fa” e si “disfa”, un doppio binario in cui l’uomo interviene per il suo interesse economico ma anche per il suo piacere estetico-culturale. Un secolo dopo, la Convenzione europea del paesaggio promuove l’idea che il paesaggio sia ovunque, ammettendo quindi l’esistenza anche di paesaggi degradati.

Roberto Almagià 1884-1963

Negli anni ’30 del ‘900, Roberto Almagià, maestro della geografia accademica italiana, espone un altro elemento fondamentale di tutta la discussione novecentesca sul paesaggio: “Il paesaggio è dato dalle correlazioni dei vari fenomeni umani con i fenomeni biologici e fisici, tutti insieme concorrenti a creare quello che abbiamo chiamato il paesaggio geografico”. Il paesaggio è dunque un elemento di sintesi riferibile non solo agli aspetti di panoramicità ma anche alla correlazione tra elementi diversi. Si affaccia dunque l’idea che il paesaggio sia una rete di rapporti con una dimensione dinamica che lo rende più complesso del “bel panorama”. Per i geografi il paesaggio geografico è dunque questa rete di rapporti basata sulle interazioni dell’uomo con l’ambiente.

Antonio Renato Toniolo1881-1955

Geografo italiano, Toniolo sostiene che “lo scopo principale della geografia è quello di illustrare con metodo sintetico le mutue relazioni e connessioni dei fatti distribuiti sulla superficie terrestre, quali si manifestano nei vari quadri delle differenti parti del globo; il che porta alla considerazione e concezione del paesaggio geografico, del quale la geografia può dirsi scienza”. Il termine “fatti” ha avuto grande successo nell’800 e sta ad indicare gli elementi e le azioni dell’uomo presenti nel territorio. Un’altra parola che ha

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avuto un grandissimo successo nella geografia descrittiva è quadri di vita e rappresenta il ritorno a quella metafora pittorica connaturata alla nascita dello stesso concetto di paesaggio. I “quadri di vita” sono espressione unica dei tipi di vita dell’uomo in relazione alle influenze ambientali. Come si manifestano queste relazioni è lo scopo dello studio del paesaggio geografico e la geografia ne è scienza. Le grandi “enciclopedie del mondo” hanno proposto questa idea di misurare le mutue relazioni uomo-ambiente, di definire le connessioni dei fatti distribuiti sulla superficie terrestre, di dividere i vari quadri di vita. Su questi concetti si è innestato il grandissimo dibattito scientifico dedicato all’evoluzione delle relazioni uomo-ambiente: c’è chi ha sostenuto che “i condizionamenti dei fattori fisico-naturali dell’ambiente sono riconosciuti responsabili dei comportamenti umani individuali e sociali” (determinismo naturalistico); altri hanno dichiarato che “l’ambiente non condiziona totalmente le comunità umane che possono cogliere le opportunità offerte dall’ambiente in relazione al momento storico, alla cultura, alla tecnologia disponibile, alla valutazione dei bisogni e delle risorse” (possibilismo). Questo dibattito ha interessato anche buona parte del ‘900 con l’introduzione della concezione sistemica: “l’ambiente è una realtà complessa, costituita da elementi e processi in continua e reciproca interazione”.

Olinto Marinelli1874-1926

Negli anni 20 del ‘900, il geografo italiano Olinto Marinelli sostiene che “il paesaggio è necessariamente qualcosa di astratto e personale, che dipende dalla nostra facoltà rappresentativa oltrechè dalla esteriorità delle cose: un paese può esistere senza di noi non un paesaggio”. Sono la nostra facoltà rappresentativa, la nostra cultura visuale, la nostra capacità di leggere gli elementi presenti nel contesto che ci consentono di vedere il paesaggio. Il paesaggio è dato dall’esteriorità delle cose, tuttavia l’interpretazione del paesaggio è senz’altro legata alla nostra facoltà rappresentativa, alla nostra alfabetizzazione del paesaggio: più siamo allenati a leggere un “testo paesaggistico” più ne sappiamo trarre delle informazioni.

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Ognuno ha il proprio punto di vista, la propria visione e la propria interpretazione del paesaggio. Ciascuno vede quello che vuole vedere in base alle proprie aspettative, in base alle proprie competenze, in base a quello che conosce e in base a quello che sa riconoscere.E’ importante mettere in condivisione tutti gli sguardi personali perché esiste un paesaggio reale e un paesaggio contemplato con occhi che sanno vedere alcune cose.

Renato Biasutti 1878-1965

Maestro della geografia italiana, nel proprio libro “Paesaggio terrestre” Biasutti scrive che esiste un “paesaggio sensibile o visivo, costituto da ciò che l’occhio può abbracciare in un giro di orizzonte o, se si vuole, percettibile con tutti i sensi; un paesaggio che può essere riprodotto da una fotografia o dal quadro di un pittore, o dalla descrizione di uno scrittore”. Esiste anche un “paesaggio geografico sintesi astratta di quelli visibili, in quanto tende a rilevare da essi gli elementi o caratteri che presentano le più frequenti ripetizioni sopra uno spazio più o meno grande, superiore, in ogni caso, a quello compreso da un solo orizzonte”. Oltre alla componente visiva, anche la partecipazione dell’olfatto e dell’udito sono importanti nella percezione del paesaggio e nel riconoscimento dell’esperienza ambientale (si pensi ad esempio all’odore di salsedine nei paesaggi marini o al rumore del fruscio di foglie nei boschi, così come alla discontinuità di temperatura percepita immediatamente da chi va in bicicletta). Lo stesso contatto con il suolo quando si cammina contribuisce all’esperienza che facciamo di un ambiente, di uno spazio. Nel libro “Venezia e il pesce”, Tiziano Scarpa evidenzia come sia possibile “sentire l’irregolarità di questa città dalla sconnessione di tutte le sue pietre” e pertanto consiglia di camminare con scarpe da ginnastica morbide che facilitino questo “contatto”. L’esperienza del paesaggio è dunque multisensoriale, tuttavia per “fare geografia” Biasutti ribadisce la necessità di “fare sintesi” considerando una certa scala, considerando “uno spazio superiore a quello compreso da un solo orizzonte” (la piccola scala è preferita da sociologi, antropologici e architetti).

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Walter Benjamin 1892 -1940

Filosofo, scrittore e critico letterario nel saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” Benjamin sostiene che l’introduzione di nuove tecniche per produrre, riprodurre e diffondere a livello di massa opere d’arte ha radicalmente cambiato l’atteggiamento verso l’arte sia degli artisti che del pubblico. L’opera d’arte ha perso la propria aura di unicità. Elisabetta Modena introduce successivamente la formula de “Il paesaggio nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”: a Las Vegas c’è la riproduzione di Palazzo Ducale in scala con accanto Bellagio sul lago di Como, numerose le torri Eiffel replicate i giro per il mondo, la torre di Pisa ricostruita in scala 1:3 è presente in diversi parcheggi dei centri commerciali americani. E’ possibile oggi riprodurre se non proprio dei paesaggi degli iconemi del paesaggio, definiti da Eugenio Turri “una serie di elementi costitutivi del territorio che impressionano per la loro evidenza, bellezza, grandiosità, singolarità, o perché magari si ripetono, come leitmotiv caratteristici e inconfondibili. Sono elementi visivi, rilevabili nel paesaggio (fiumi, ville, piazze, castelli, santuari …), parte integrante della storia e della cultura degli abitanti “.

Umberto Toschi 1897-1966

Geografo dell’Università di Bologna, curatore del volume dedicato all’Emilia Romagna parte della collana Touring Club (operazione culturale del 1971 rivolta appunto alle costituenti regioni italiane).Toschi si è interessato al concetto di paesaggio tipico. “Il paesaggio è l’insieme di tutte le fattezze sensibili di una località, nel loro aspetto statico e nel loro dinamismo”. Il paesaggio è come un film lentissimo in cui qualcosa cambia sempre. In questo paesaggio mutevole ci sono le componenti, che ne definiscono la struttura, e le determinanti che sono il risultato delle relazioni uomo-ambiente. Per Toschi“il paesaggio è un concreto, oserei dire quanto di più concreto è dato osservare al geografo, che non potrà mai osservare immediatamente altri insiemi pure concreti come la regione o il mondo”.

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Aldo Sestini 1904-1988

Grande studioso di geografia del paesaggio, Sestini sostiene che “punto di partenza per percorrere tutta una serie di concetti, via via spiccatamente geografici, è una veduta panoramica di un tratto di superficie terrestre, da un luogo determinato”. Prosegue affermando che “una seconda fase del concetto di paesaggio si consegue liberandosi dalla tirannia di un determinato punto di visione, e cioè passando con la mente ad una sintesi di vedute reali o possibili da molteplici punti di vista”.Il paesaggio è una sintesi di vedute reali ma anche possibili: il paesaggio come lo vorremmo, il paesaggio come lo ricordiamo, il paesaggio come lo viviamo. Il paesaggio è una sintesi di molteplici punti di vista e di diversi punti di osservazione. Questa “mediazione” richiama la convivialità di paesaggio espressa da un geografo dell’Università di Genova, Massimo Quaini: il paesaggio è un argomento conviviale, è come sedersi a tavola e parlare di qualcosa che si ha in comune.

Carlo Doglio 1914 – 1995

Architetto, docente di pianificazione ed organizzazione territoriale, nel libro “Dal paesaggio al territorio” del 1968 Doglio afferma “Il paesaggio non è per niente reale bensì una mera proiezione di elaborazioni psichiche individuali sopra, e da, materiali esterni forniti così dalla natura come dalle sue trasformazioni, tanto genetiche quanto concausate per interventi umani”.

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1900 - 2000Giuseppe Dematteis 1935

Geografo italiano e professore di geografia economica, Dematteis afferma che “il bisogno di paesaggio è rivoluzionario”.

Marc Augè 1935

Etnologo e antropologo francese, Augé pubblica nel 1993 “Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità” nel quale sostiene che l’attuale società, anziché produrre luoghi come è successo nella storia della modernità, produce dei non luoghi: luoghi che sono replicabili, luoghi che sono standard, luoghi che non alzano la nostra domanda identitaria. Si tratta di aeroporti, di sale di attesa delle stazioni ferroviarie, di supermercati, di luoghi intermedi in cui passiamo oramai una buona parte della nostra vita, di luoghi anonimi che non esprimono valori e nemmeno raccontano dove siamo. Potremmo essere ovunque.

Gilles Clément 1943

Scrittore, etnologo, architetto del paesaggio, Clément è autore del “Manifesto del terzo paesaggio” dove sostiene che oltre al paesaggio naturale (primo paesaggio) e al paesaggio umano rappresentato da città e ambienti artificiali (secondo paesaggio), esiste un terzo paesaggio rappresentato da tutti i luoghi abbandonati dall’uomo: i parchi e le riserve naturali, le grandi aree disabitate del pianeta, le aree industriali dismesse dove crescono rovi e sterpaglie, giardini e parchi non più vissuti. Sono luoghi che hanno perso la loro funzione originale, accomunati ora dall’assenza di ogni attività umana.

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Luigi Ghirri1943 – 1992

Fotografo emiliano, Ghirri era “un uomo da molte fotografie e di poche parole”. Nello scritto “L’omino sul ciglio del burrone” del 1989, Ghiri dice “fin da bambino le fotografie che mi piacevano maggiormente erano quelle di paesaggio, che vedevo negli intercalate negli Atlanti con le carte geografiche. Mi affascinavano particolarmente queste fotografie, dove immancabile, immobile, appariva un piccolo uomo sovrastato dalle cascate del Niagara, monti, rocce, alberi altissimi, palme grandiose, o sul ciglio di un burrone. Questo omino lo trovavo poi nelle cartoline, che raffiguravano piazze più o meno celebri, arrampicato sui monumenti storici, disperso nei ruderi del Foro di Roma, o sotto la torre di Pisa.”.Ghirri prosegue dichiarando “Quell’omino era uno stato di continua contemplazione del mondo, e la sua presenza nelle immagini conferiva a queste un fascino particolare. Non era solo il metro di misurazione delle meraviglie rappresentate, ma grazie a questa unità di misura umana mi restituiva l’idea dello spazio; io lo vedevo in questo modo e credevo attraverso questo omino di comprender il mondo e lo spazio”.

Arturo Lanzani 1961

Urbanista e geografo, nel libro “Paesaggi Italiani” del 2003 Lanzani scrive: “Non si tratta di operare in modo sempre più discreto su un insieme isolato di elementi, possibile debole ordito di un territorio frammentato e di un paesaggio strutturalmente complesso; non si tratta neppure di riproporre un’ambiziosa ed estensiva strategia tardomoderna di disegno del paesaggio di progettazione del territorio abitabile della nuova società; piuttosto, a partire da un primato dell’azione e dell’esperienza contestuale, si propone di sviluppare una modesta ma al tempo stesso radicalmente riformista attività di orientamento” . Il termine orientamento così utilizzato ha il significato di educazione al paesaggio: non un’utopia dunque, ma un’educazione fiduciosa.

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Spunti di riflessioneConvenzione Europea del Paesaggio

La Convenzione europea del paesaggio è stata adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa a Strasburgo il 19 luglio 2000 ed è stata aperta alla firma degli Stati membri dell’organizzazione a Firenze il 20 ottobre 2000. E’ il primo trattato internazionale esclusivamente dedicato al paesaggio europeo nel suo insieme. Nella Convenzione è definito il termine paesaggio: esso “designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Inoltre è espressamente dichiarato che “il paesaggio rappresenta un elemento chiave del benessere individuale e sociale”. Nel trattato sono proposte anche le definizioni: salvaguardia dei paesaggi “indica le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d’intervento umano”; gestione dei paesaggi “indica le azioni volte, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, a garantire il governo del paesaggio al fine di orientare e di armonizzare le sue trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali”; pianificazione dei paesaggi “indica le azioni fortemente lungimiranti, volte alla valorizzazione, al ripristino o alla creazione di paesaggi”. Passato, presente e futuro: “salvaguardia”, conservare quello che abbiamo ereditato; “gestione”, farlo funzionare nel presente; “pianificazione”, programmare per il futuro. Ciò comporta diritti e responsabilità per ciascuno individuo. Se il paesaggio è un elemento chiave del benessere individuale e sociale abbiamo il diritto di goderne e la responsabilità di curarlo e valorizzarlo. Nessuno di noi si può chiamare fuori dal paesaggio perché ne è “attore e spettatore” come Eugenito Turri (divulgatore e studioso di geografia) sosteneva interpretando “il paesaggio come un grande teatro”.

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Osservazione ed Empatia

In “Morfologia del paesaggio ed estetica del giardino” - tratto da “Il paesaggio imperfetto. Uno sguardo semiotico sul punto di vista estetico” del 1998 - Carlo Socco (storico del paesaggio) afferma che “si può individuare, da un punto di vista gestaltico, un legame psicologicamente motivato tra una forma fisica e una certa pulsione emotiva. Tuttavia si tratta di un legame che non porta a reazioni univoche: la reazione del destinatario della stimolazione visiva può essere prevista solo entro margini difficilmente determinabili, se non alla luce di un indagine di tipo statistico sull’universo degli individui rappresentativi della cultura di riferimento”. Di fronte allo stesso paesaggio ciascuno di noi vede cose diverse. E’ possibile utilizzare dati statistici per individuare l’espressione della maggioranza, gli orientamenti sociali, le mode di un dato periodo. Ciò nonostante, non possiamo prevedere automaticamente se un paesaggio può piacere o no, se non riflettendo sulla storia culturale delle società.

La proprietà esclusiva dei paesaggi

Attualmente l’accessibilità fisica agli spazi ha sempre più problemi. Non è possibile andare dappertutto. E’ una accessibilità fisica governata da cancellate e diritti di passaggio per arrivare in determinati luoghi, ed è una accessibilità culturale. Si diffondono fenomeni di difesa, come la sindrome NIMBY (not in my back yard, non nel mio cortile) o i comitati del “NO” in opposizione ad un’opera non gradita. Il paesaggio è sentito “proprio” nella piccola scala (il giardino), meno nella grande scala (la nazione). Fin dove si estende il mio cortile, fin dove si estende lo spazio nel quale mi sento offeso se succede qualcosa?

La mobilità dello sguardo e la mobilità dei paesaggi

Florencio Zoido Naranjo in un articolo del 2004 afferma che “la Convenzione Europea del Paesaggio contiene significative referenze sugli aspetti dell’identità culturale e patrimoniale esistenti nel paesaggio, e allo stesso modo determina le possibilità che

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la protezione-gestione-pianificazione del paesaggio hanno per potenziare la partecipazione cittadina e con essa l’esercizio della democrazia, principalmente ai livelli politici regionali e locali che sono quelli più vicini ai cittadini”.

Il determinismo della democrazia di paesaggio

Nell’articolo “Paesaggio e democrazia”, Fernando Gomez Aguilera dichiara che “Se una democrazia è deficitaria i suoi paesaggi sono di peggiore qualità”. Riferendosi a Kenneth Helphand, Aguilera dice inoltre che “i paesaggi portano un’eredità e un insegnamento capace di generare una cittadinanza che prende forma attraverso un paesaggio. I meccanismi collettivi di costruzione del territorio migliorano i paesaggi e allo stesso tempo migliorano i cittadini”.

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Bibliografia Michael JakobIl paesaggioBologna, il Mulino - 2009

Hansjorg KusterPiccola storia del paesaggioRoma, Donzelli - 2010

Raffaele MilaniL’arte del paesaggioBologna, il Mulino - 2001

Alan RogerBreve trattato sul paesaggioPalermo, Sellerio - 2009

Carlo Tosco, Il paesaggio come storiaBologna, il Mulino - 2007

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Questioni apertesintesi dei contributi raccolti dai partecipanti

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1° DomandaIl paesaggio rappresenta un elmento chiave del benessere individuale e sociale?

Si, il paesaggio ...è un elemento chiave del benessere individuale e sociale;•è un elemento chiave per tutti noi tuttavia non ce ne accorgiamo;•è un elemento chiave per l’individuo, anche se molto spesso lo •deturpiamo a nostro piacimento;è importante per l’uomo e per la società;•è fondamentale per il ben-vivere personale e quindi collettivo;•è rappresentazione del mio stato interiore;•è lo specchio del benessere e della salute (se non c’è benessere, •non c’è “paesaggio”);è benessere sociale diffuso e garantisce equità: tutti ne possono •godere, indistintamente.

Si, il paesaggio è un elemento chiave perchè...Il paesaggio è tranquillità, stupore, emozione, silenzio.•Il paesaggio è qualità della vita.•Senza il paesaggio non potremmo identificarci come comunità.•E’ paesaggio ogni volta che si diventa noi stessi forma, colore e •oggetto di quel “non paesaggio”.Il paesaggio siamo anche noi e rappresenta un elemento chiave del •nostro benessere.Se viviamo in un paesaggio che ci dà serenità, pulito, verde, curato, •sicuro il benessere è migliore per ogni singolo individuo e per la collettività.L’uomo ha bisogno della bellezza, la ricerca da sempre, e una •collina, un tramonto, lo scorcio di una via con i vasi alla finestra da’ emozioni.Contribuisce al benessere inteso come stare in equilibrio, con sé e •con ciò che sta fuori da sé.Il paesaggio rappresenta un ruolo sociale pur rapportandoci con •esso in maniera individuale.Il paesaggio è un luogo di tutti e dovrebbe essere rispettato da tutti •

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(anche soltanto un piccolo intervento dovrebbe essere valutato)… non distruggiamo il paesaggio!Il paesaggio è il contenitore della comunità, della società: se il •contenitore è guasto o perde come una bottiglia bucata, il contenuto andrà a male, o si perderà piano piano.Il paesaggio può trasformare ciò che è bello in buono..•Il paesaggio può trasformare un posto in un luogo in cui l’individuo •può vivere bene.Il paesaggio realizza l’incontro fra sensi soggetti sociali e comunitari •e territorio. Il paesaggio risulta una reificazione piuttosto che l’integrazione fra soggetti e territorio.

Inoltre...I processi di significazione che hanno dato valore agli spazi abitati si •sono annullati nei paesaggi contemporanei dove prevale sempre più l’interesse economico sugli interessi della comunità determinando il disorientamento di quest’ultima nell’agorà urbano.Il paesaggio nei viaggi, fuori dal quotidiano, è accoglienza: il primo •impatto stimola la curiosità e la conoscenza.Senza luce non c’è paesaggio..,questo cambia ad ogni secondo del •giorno ed in ogni giorno dell’anno e nei secoli. In mare hai l’illusione di un paesaggio libero ma purtroppo anche li ci sono confini anche se invisibili.

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2° Domanda Che cosa non piace nel paesaggio della propria vita quotidiana?

Traffico.•Cemento•La presenza di edifici troppo alti che impediscono la visione del •tramonto all’orizzonte.L’incuria.•L’abbandono.•La noncuranza.•Il non amare abbastanza i nostri luoghi.•La sporcizia in mare, in pineta, in strada. Occorre più sensibilità verso •il territorio e il paesaggio che va curato e migliorato.Gli autobus che fanno tremare le finestre di casa ed emettono fumate nere. •La mancanza di spazi di aggregazione sociale.•La pianificazione: si interpreta il territorio come un processo lineare •togliendo valore alla complessità.Le logiche di potere che confinano solamente alla sua destinazione •d’uso. Il mio paesaggio quotidiano parla della storia faticosa dell’uomo di costruirsi luoghi in cui viver, lavorare, riposare.Il poco amore verso le piccole cose, verso quel paesaggio visto e •vissuto tutti i giorni.La disattenzione e il dare per scontato ciò che ci circonda.•La distrazione, forse.•La mancanza di spirito contemplante•Ciò che non mi rimane nella memoria.•L’espressione altrui.•L’indifferenza altrui.•La mia indifferenza. Dando attenzione anche solo per pochi secondi •ai luoghi che mi circondano riesco a vedere una grande bellezza che mi emoziona ogni volta.La casualità del porsi umano a volte come barriera, l’essere ostacolo •al percepire altrui. Ci sono paesaggi che hanno racconti soffocati. A Cervia, in Romagna, in Italia il disordine diffuso e in generale la •mancanza di misure mitigative (ad esempio, l’area industriale di Montaletto dove lo sguardo “sbatte” quando si è in salina).

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Non va nulla! Quello che c’è non lo possiamo però cambiare…•cerchiamo di influire almeno sulla pianificazione.Non trovo nulla che non vada. Il paesaggio che mi circonda è in •continuo movimento o cambiamento (basta pensare come l paesaggio si trasforma tra l’estate e l’inverno).

Nel mio paesaggio soggettivo, visto dai miei occhi, ci sono delle •piccole cose che non vanno…tipo la nebbia: elemento caratteristico di questo ambiente e paesaggio cervese, conferisce fascino…ma rattrista l’anima. La metamorfosi del mio paesaggio quotidiano, che nella mia memoria •comprende anche i racconti anteriori alla mia memoria, accetta la modernità-progresso che riduce spazi alla natura (Cervia aveva un paesaggio-ambiete unico) ma che deve concedersi al nuovo. E’ negativo quanto è abbandonato perché se inutilizzato dovrebbe essere ridato alla natura, come un albero caduto in un bosco.Il mio paesaggio quotidiano è sempre lo stesso ogni giorno. Lo sento •e lo immagino però diverso a seconda dello stato d’animo.Il mio paesaggio quotidiano è quotidianamente diverso a seconda •dello stato d’animo.Nel proprio Habitat ogni cosa rappresenta un segno di se stesso per •cui non si può negarlo anche se non è una parte positiva.

Ogni luogo porta un proprio significato, anche quando è un non •luogo.Il paesaggio è la sublimazione dei cinque sensi e quando ci disturba •non lo è.Il paesaggio nella vita quotidiana è parte della nostra vita, come •gli abiti che indossiamo e le rughe o i sorrisi del nostro volto, i vizi o l’eleganza del portamento. Quando il paesaggio non cambia è utile essere noi soggetti •paesaggistici.

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3° Domanda Di chi è il paesaggio?

Il paesaggio è...Di ognuno. Dei cittadini, in forma individuale e associata.•Di tutti. Di Nessuno. Tutti sono in grado di modificarlo e di viverlo a •modo proprio. Nessuno è in grado di renderlo statico per il proprio piacimento.Dello Stato che lo deve difendere. Del cittadino che, per quanto può, •ne deve aver cura.Del singolo, della comunità. Tutti dobbiamo rispettarlo: un paesaggio •curato è gustoso per la maggior parte delle persone che lo guardano e che lo vivono come spettatori e attori. Della comunità che lo abita. Il paesaggio è il compromesso tra le •esigenze stesse della comunità (case, spazi verdi, gestione dei rifiuti, ecc…) e il rispetto del benessere comune.Di tutti: umani, animali, vegetali e oggetti inanimati. Tuttavia, solo •noi umani abbiamo intelligenza e capacità per migliorarlo, curarlo, promuoverlo, farlo conoscere e amare. Lo dobbiamo tutelare giorno dopo giorno per la nostra comunità e per il mondo.Della flora, della fauna e dell’uomo… quest’ultimo ne è responsabile •per cultura e per disponibilità economica, e questi due elementi determinano accoglienza e bellezza. “Ama il prossimo tuo come te stesso”… ognuno è responsabile di quel che è e di quel che ha, nell’ambiente e nella comunità in continuo, all’infinito.

Il paesaggio è di chi...Di chi sa guardare, di chi sa ascoltare, di chi sa sentire, di chi sa •assaporare.Di chi guarda con i propri occhi e con i propri gusti.•Di chi sa percepirlo con tutti i sensi.•Di chi lo sa apprezzare. Di chi non sa apprezzare. Di chi vede quello •che ha davanti. Di chi vede quello che c’è oltre. Di chi guarda…con gli occhi…col cuore…con la mente.Di chi lo vede e lo vive da lontano. Quando i nostri occhi vedono •cose mobili, immobili e che la nostra mente percepisce ed elabora.Di chi lo vive. Di chi ci vive.•Di chi lo partecipa, lo interpreta, lo cura, lo comunica.•

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Di chi viaggia. Il paesaggio è ciò che mi rimane impresso alla fine di •ogni viaggio.Di chi lo ama.•

Il paesaggio è di tutti...Di tutti e ognuno di noi ha il dovere di rispettarlo e salvaguardarlo.•Di tutti e ognuno di noi ha il diritto di sentirsi parte del paesaggio e •quindi di sentirlo suo.Di tutti, ma ognuno di noi lo percepisce, lo sente e lo vede in modo •diverso.Di tutti, come risultato delle nostre azioni e delle nostre scelte.•

Il paesaggio è dei nostri figli...Non dobbiamo stravolgerlo, comprometterlo, alterarne i caratteri •storici naturali ed etno-antropologici. L’urbanesimo a scopo di lucro altera ed evolve velocemente l’estetica di molti luoghi, spesso lo fa in modo peggiorativo.

Il paesaggio deve essere nostro! Riprendiamocelo!

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Progetto

Mappe di PaesaggioUn nuovo strumento di comunità per un sostenibile sviluppo del territorio

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Attivita’Corso di formazione per facilitatore volontario ecomuseale

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Quando si dice PAESAGGIO...18 dicembre 2014a cura di Davide Papotti, docente di Geografia Culturale presso l’Università degli Studi di Parma Paesaggi umani in salina. Un documentario delle voci15 e 16 gennaio 2015a cura di Gruppo Memoro, la Banca della Memoria, Associazione Banca della Memoria (Chieri, Torino) Valorizzare il patrimonio locale, la partecipazione19 marzo 2015a cura di Maurizio Tondolo, referente dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese (Udine) Ma cos’è un ecomuseo?26 marzo 2015a cura di Donatella Murtas, architetto, esperta di progetti ecomuseali e sviluppo locale Conoscere un ecomuseo18 aprile 2015Giornata di formazione all’Ecomuseo del Casentino, incontro con Andrea Rossi, coordina-tore della rete ecomuseale e visita all’Ecomuseo Un ecomuseo del paesaggio21 maggio 2015a cura di Raul Dalsanto, coordinatore dell’Ecomuseo di Parabiago L’ecomuseo come processo di trasformazione del territorio e della comunitàdal 28 al 31 maggio 2015a cura di Hugues de Varine, archeologo e museologo francese, padre fondatore degli ecomusei

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progetto promosso da

Associazione Gruppo Culturale Civiltà Salinara

Comune di CerviaServizio Progettazione Culturaletelefono 0544.979253e.mail [email protected]

progetto realizzato con il sostegno di

Regione Emilia RomagnaLegge Regionale n. 3/2010 - bando 2014

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