Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la...

14
DOMENICA 9 GENNAIO 2011/Numero 308 D omenica La di Repubblica le tendenze Bionde e brune, manuale di stile LAURA ASNAGHI e ANAIS GINORI l’incontro Damien Hirst, “L’arte non aspetta” CLOE PICCOLI spettacoli L’oscuro fascino del gangster GIANCARLO DE CATALDO e CLAUDIA MORGOGLIONE cultura “Mio padre Jean-Claude Izzo” MASSIMO CALANDRI e JEAN-CLAUDE IZZO il reportage I cristiani nel sottosuolo del Cairo MONIKA BULAJ NELLO AJELLO FOTOTECA GILARDI L ivorno, 15 gennaio 1921, teatro Goldoni. La destina- zione del XVII Congresso del Partito socialista è un ripiego: Firenze, destinata in origine a ospitarlo, è a serio rischio di assalti fascisti. Una foto di Carlo Marx invade il fondo del palcoscenico. Fiori e piante ador- nano platea e palchi. Millecinquecento soldati e duemila fra guardie regie e carabinieri proteggono (o sorveglia- no?) i tremila delegati. «In città l’animazione è grandissima», scri- ve il Corriere della sera. «I comunisti “puri” non hanno ancora de- signato i loro candidati, ma saranno l’avv. Terracini, relatore, l’on. Bombacci, l’ing. Bordiga e il prof. Gramsci, direttore del- l’Ordine nuovo». L’esito del congresso appare segnato: scissione. Non a caso il quotidiano milanese ha citato per prima, tra le frazioni convenu- te a Livorno, quella comunista “pura”. È questa a richiamare l’at- tenzione. L’ingegnere Amadeo Bordiga, un napoletano di trenta- due anni, direttore della rivista Il Soviet, animato da una «logica ri- gorosa fino all’eccesso» — così lo descriverà Togliatti — ha già ri- scosso il consenso dell’intera sua corrente. (segue nelle pagine successive) MICHELE SMARGIASSI R imini, lunedì 4 febbraio 1991, ore 15. In un freddo capannone della Fiera, l’atto fondativo del partito post-comunista italiano è un bicchierino di John- nie Walker buttato giù d’un colpo da Achille Oc- chetto, semplice delegato di Bologna. L’incredibi- le, anche se non l’impensabile, è accaduto: alla sua prima votazione, il Consiglio nazionale di un Pds ancora in fasce non ha eletto segretario il suo fondatore. Dieci voti meno del quo- rum di 274. Il Pds nasce decapitato, rancoroso e sconcertato. Si materializza un trafelato Walter Veltroni: «Achille, ci riconvo- chiamo e rivotiamo». E lui, gelido: «Cercatevi un altro segretario». Monta sull’auto blu, sparisce nell’aventino di Capalbio. Stac- cando i telefoni. Nessuno canta vittoria. Non gli scissionisti di Rifondazione Co- munista, che in un albergo del lungomare trepidano fondando un partito dal futuro altrettanto incerto. Non i “miglioristi”, il cui av- vertimento a Occhetto è andato fuori misura, sgretolando il ber- saglio. Un patatrac, uno psicodramma che sarà rappezzato solo una settimana più tardi, a Roma. (segue nelle pagine successive) i sapori Italia e Spagna all’ultima tapas ARRIGO CIPRIANI e LICIA GRANELLO PCI Quando il c’era Livorno 1921 - Rimini 1991 Nel doppio anniversario cronache dal primo e dall’ultimo congresso del più grande partito comunista d’Occidente Repubblica Nazionale

Transcript of Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la...

Page 1: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

DOMENICA 9GENNAIO 2011/Numero 308

DomenicaLa

di Repubblica

le tendenze

Bionde e brune, manuale di stileLAURA ASNAGHI e ANAIS GINORI

l’incontro

Damien Hirst, “L’arte non aspetta”CLOE PICCOLI

spettacoli

L’oscuro fascino del gangsterGIANCARLO DE CATALDO e CLAUDIA MORGOGLIONE

cultura

“Mio padre Jean-Claude Izzo”MASSIMO CALANDRI e JEAN-CLAUDE IZZO

il reportage

I cristiani nel sottosuolo del CairoMONIKA BULAJ

NELLO AJELLO

FO

TO

TE

CA

GIL

AR

DI

Livorno, 15 gennaio 1921, teatro Goldoni. La destina-zione del XVII Congresso del Partito socialista è unripiego: Firenze, destinata in origine a ospitarlo, è aserio rischio di assalti fascisti. Una foto di Carlo Marxinvade il fondo del palcoscenico. Fiori e piante ador-nano platea e palchi. Millecinquecento soldati e

duemila fra guardie regie e carabinieri proteggono (o sorveglia-no?) i tremila delegati. «In città l’animazione è grandissima», scri-ve il Corriere della sera. «I comunisti “puri” non hanno ancora de-signato i loro candidati, ma saranno l’avv. Terracini, relatore,l’on. Bombacci, l’ing. Bordiga e il prof. Gramsci, direttore del-l’Ordine nuovo».

L’esito del congresso appare segnato: scissione. Non a caso ilquotidiano milanese ha citato per prima, tra le frazioni convenu-te a Livorno, quella comunista “pura”. È questa a richiamare l’at-tenzione. L’ingegnere Amadeo Bordiga, un napoletano di trenta-due anni, direttore della rivista Il Soviet, animato da una «logica ri-gorosa fino all’eccesso» — così lo descriverà Togliatti — ha già ri-scosso il consenso dell’intera sua corrente.

(segue nelle pagine successive)

MICHELE SMARGIASSI

Rimini, lunedì 4 febbraio 1991, ore 15. In un freddocapannone della Fiera, l’atto fondativo del partitopost-comunista italiano è un bicchierino di John-nie Walker buttato giù d’un colpo da Achille Oc-chetto, semplice delegato di Bologna. L’incredibi-le, anche se non l’impensabile, è accaduto: alla sua

prima votazione, il Consiglio nazionale di un Pds ancora in fascenon ha eletto segretario il suo fondatore. Dieci voti meno del quo-rum di 274. Il Pds nasce decapitato, rancoroso e sconcertato. Simaterializza un trafelato Walter Veltroni: «Achille, ci riconvo-chiamo e rivotiamo». E lui, gelido: «Cercatevi un altro segretario».Monta sull’auto blu, sparisce nell’aventino di Capalbio. Stac-cando i telefoni.

Nessuno canta vittoria. Non gli scissionisti di Rifondazione Co-munista, che in un albergo del lungomare trepidano fondando unpartito dal futuro altrettanto incerto. Non i “miglioristi”, il cui av-vertimento a Occhetto è andato fuori misura, sgretolando il ber-saglio. Un patatrac, uno psicodramma che sarà rappezzato solouna settimana più tardi, a Roma.

(segue nelle pagine successive)

i sapori

Italia e Spagna all’ultima tapasARRIGO CIPRIANI e LICIA GRANELLO

PCI

Quandoilc’era

Livorno 1921 - Rimini 1991Nel doppio anniversariocronache dal primoe dall’ultimo congressodel più grande partitocomunista d’Occidente

Repubblica Nazionale

Page 2: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

la copertinaQuando c’era il Pci

Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,nacque il Partito comunista italiano. Dopo settant’anniesatti, quell’esperienza si chiuse.Mentre una mostra dell’Istituto Gramscicelebra l’anniversario, ecco la cronacadei due congressi che travolsero la sinistra

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9GENNAIO 2011

Volano accusedi ogni tipo“Pagnottisti”,“stipendiati”, urlala platea all’indirizzodei sindacalisti“Voi ricevete i rubli”,è la risposta

FOTO DI GRUPPOAccanto, la redazione

di Ordine Nuovo quotidiano

nel maggio del ’22

(Gramsci sullo sgabello);

a sinistra, Gramsci

con un gruppo

di confinati a Ustica

(nel ’26/’27). In alto,

tessera di accreditamento

al IV Congresso

dell’Internazionale

comunista (Mosca, 1922)

rilasciato a Gramsci

In copertina, la tessera

del Pci del ’45 disegnata

da Renato Guttuso

due articoli sul Popolo d’Italia,16 e 22 gennaio. «La rivoluzio-ne», scrive, «resta sospesa perl’assenza degli attori». «Invecedella rivoluzione», insiste, «lascissione. Il partito che doveva re-galare il paradiso al proletariato sispezza».

Alla lacerazione congressuale tie-ne dietro il riflusso, proprio mentres’aggrava l’attacco dei fascisti alle sedioperaie. Ma neppure gli eventi dell’ot-tobre ’22, apriranno gli occhi a chi diri-ge il neonato P.c.d’I (Partito comunistad’Italia). Bordiga archivierà la marciasu Roma come la normale soluzioned’una crisi di governo o al massimo co-me la «legalizzazione d’uno stato di fat-to». Verranno respinti gli inviti dellostesso Kominform a unire socialisti ecomunisti contro lo squadrismo. IlCongresso di Lione, 1926, avvierà il tra-monto di Bordiga, ma «il fossato apertonel 1920-21», sono parole dello storicoPaolo Spriano, «non si colmerà neppu-re con l’epoca dei Fronti popolari o conla guerra antifascista o con la morte diStalin, né tanto meno con il XX Con-gresso del Pcus». I decenni si somme-ranno ai decenni. Che cosa si vuole cheinsegni la Storia?

(segue dalla copertina)

Apartire dal gruppo tori-nese capeggiato daGramsci, che assai piùtardi entrerà con Bordi-ga in un cruciale anta-gonismo: per il momen-

to è chiaro che, se si vuol dare vita al par-tito comunista, occorre accettare le di-rettive bordighiane. Ed esse ammetto-no solo «il dilemma fra la dittatura bor-ghese e quella dittatura delproletariato» che vige nella «gloriosaRussia dei Soviet». In mezzo a quel bi-vio, niente.

L’intransigenza di Bordiga riscuotel’appoggio di Gregorij Zinoviev in nomedella Terza Internazionale, detta Ko-mintern, il cui bollettino riferisce: i co-munisti italiani «affermano di ave-re con sé il 75-90 per cento del par-tito». Scissione, dunque, subito.Lo stesso Gramsci ha formulatoun roseo paragone: trentamilacomunisti sono bastati in Rus-sia per fare la rivoluzione, danoi i numeri paiono assai piùfavorevoli. Terracini, il rela-tore, è d’accordo. In realtà,ecco il rapporto fra le cor-renti che uscirà dal Goldo-ni: ai massimalisti o “cen-tristi”, raccolti intorno aSerrati, vanno novantot-tomila voti, a cinquan-tottomila ammontanoi comunisti di Bordigae quattordicimila so-no i riformisti al se-guito di Turati. Maormai è deciso: ilPartito comunistaitaliano va creatoin ogni modo.

Netta anche lascelta dei militanti dellanuova generazione. La proclamadalla tribuna Secondino Tranquilli (sichiamerà poi Ignazio Silone): «La gio-ventù socialista chiede ai rappresen-tanti comunisti di bruciare qui il fan-toccio dell’unità».

La scena madre più veemente troval’interprete nell’anziano Turati. Duris-simo verso i comunisti, egli prende aparlare fra grida di «Viva la Russia!» econclude con la platea in piedi. ChristoKabakciev, delegato del Komintern, in-voca, all’opposto, l’espulsione dei rifor-misti. Volano accuse di ogni tipo. «Pa-gnottisti», «stipendiati», urlano i comu-nisti all’indirizzo dei sindacalisti. «Voiricevete i rubli», è la risposta. Definito«rivoluzionario da temperino» da unodei presenti, Nicola Bombacci estraeuna pistola: a fatica lo calmano Bordigae Terracini. «Non per nulla», commen-terà il Corriere della sera, «i congressi sitengono nei teatri».

Gramsci non parla. «Non esistevanoaltoparlanti per voci deboli come la sua»,testimonierà Alfonso Leonetti. Ma Ca-milla Ravera riferisce che per l’amico An-tonio quei giorni sono stati un supplizio:i riformisti gli hanno rivolto troppe «in-giuste parole» fra le quali, si saprà, l’as-surda accusa di essere stato «un ardito diguerra» nel 1915-18. Freddo e sprezzan-te si mostra Bordiga. Il suo «non è un ad-dio, è un ripudio». È lui che, la mattina del21 gennaio, invita coloro che hanno vo-

tato la mozione comunista ad abbando-nare la sala. «Sono convocati alle 11 alteatro San Marco per deliberare la costi-tuzione del Partito comunista», appun-to. Uscendo, i “convocati” cantano l’In-ternazionale. Gli risponde, da dentro,l’Inno dei Lavoratori.

Il San Marco è più un relitto che unteatro. Lo illumina qualche rara lampa-da. Non c’è una sedia. Si gela. Dal tettopiombano scrosci di pioggia. Le rela-zioni sono succinte. Scheletrici gli in-terventi. Alla fine il capo delegato dellaIII Internazionale osserva: «Il taglio delpartito è avvenuto in modo non soddi-sfacente». Gramsci si sfoga: è il «trionfodella reazione». Da lontano, anche Le-nin parla di «successo della reazione ca-pitalistica», in linea con gli attacchi cheha già mossi a Bordiga nell’Estremismo,malattia infantile del comunismo.Mussolini esprime la sua esultanza in

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Livorno 1921la prima rivoluzioneNELLO AJELLO

Repubblica Nazionale

Page 3: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

verdastre su Bagdad delle dirette Cnnin-combono sul congresso più del foscorosso del comunismo morente. Il 21gennaio gli italiani hanno visto in tivùl’occhio pesto del capitano Cocciolonecatturato da Saddam, i pacifisti sono inpiazza e il Pds che ancora non c’è è giàspaccato in due. Occhetto, che spera ditrattenere Ingrao nella “Cosa” nuova,non vuole rinunciare alla richiesta di ri-tiro delle navi italiane e di tregua unilate-rale. I miglioristi vedono in quella mo-zione lo spettro terribile di un Pds che na-sce su un patto a sinistra, che li esclude.

Giovedì 31 gennaio Occhetto sale sulpalco a tolda di nave disegnato dall’ar-chitetto De Ponte. Le scenografie sovie-tiche sono un ricordo, c’è molto verde-grigio e poco rosso che sfuma nell’aran-cio, bassa la tribuna della presidenza, laplatea è un’arena. Parla per due ore eventi, «portiamo Gramsci con noi», dice«alternativa» dice «socialismo». Ma perla prima volta in un congresso del Pcinon applaudono tutti. Il satirico Cuoreèspietato: «Al congresso tutti d’accordopurché non si parli di politica». Il segre-tario Psi Bettino Craxi, seduto in tribunaaccanto a Martelli e Amato, crocifiggeOcchetto: «Confuso. Tina Anselmi hapiù chance di lui di entrare nell’Interna-zionale socialista». I miglioristi sonosempre più nervosi. Venerdì il confron-to ravvicinato tra Napolitano e Ingrao èepico, ma la battaglia vera non si fa sulpalco. I carpentieri improvvisano nuo-ve sale riunioni per il moltiplicarsi di riu-nioni riservate. «Qui fanno tutto le cor-

renti» si allarma Paolo Flores d’Arcais,che con Massimo Cacciari guidagli “esterni”, i “cofondatori” della

“sinistra diffusa” sempre più mar-ginali.

Le tattiche si alternano ai colpi dimano: svegliato nel cuore della not-

te, Occhetto strappa a delegati as-sonnati ed esausti l’approvazione a

scatola chiusa dello statuto. Dove ènascosta la trappola: un Consiglio di

oltre cinquecento membri, con vinco-lo della maggioranza assoluta per l’ele-

zione del segretario. Un commosso Ga-ravini intanto annuncia l’addio deirifondatori, ma la scissione accolta nel-la spoglia “Sala E” al canto di Bandierarossa e grida di «Viva il comunismo» aquesto punto è la cosa più scontata delcongresso. Con lui se ne vanno Cossut-ta, Serri, Salvato. Ingrao, soffrendo, re-sta nel Pds. Con lui un sindacalista dinome Fausto Bertinotti. Il nuovo parti-to nasce sulle note di De Gregori, La sto-ria siamo noi, alle sette di sera di dome-nica, con l’affitto degli hangar fieristiciormai scaduto, mentre gli operai smon-tano le scenografie. Ma è con la mozio-ne del Golfo, sulla quale riformisti e in-graiani si astengono, che Occhetto mi-sura la sua forza: 59,9 per cento. Esulta-no incauti i “quarantenni”, Mussi, Vel-troni, Fassino, Petruccioli: «Siamo auto-sufficienti!». Incauti: il siluro di rivalsa ègià puntato su un Occhetto che, lunedìmattina, pregusta tranquillo l’apoteosiin una hangar di fortuna pericolosa-mente decimato dalle partenze dei de-legati. «Visto? Stavolta non ho pianto»,scherza coi cronisti, «però, L’Unità po-teva fare il titolo in rosso oggi...», «segre-tario della Quercia, suona imponente,no?» Poco lontano, terrea, la presidentedel Congresso Giglia Tedesco ha già inmano i risultati dello scrutinio. E non sacome diglielo.

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 9GENNAIO 2011

Mentre Rifondazionese ne va, il neonatoPds elegge il primosegretario. Il risultatoè scontato: OcchettoPoi, la gelata: gli eredidella falce e martellorestano divisi sul nome

TESSERANUMERO UNONell’altra pagina,

una tessera

del partito

del ’21; in questa,

una del ’91

Tra le pagine

dei giornali

del ’21, una copia

de L’Unità

del ’27 scritta

a mano

e una di Bandiera

Rossa del ’29

(segue dalla copertina)

Il tessitore sarà Massimo D’Ale-ma che riuscirà a reinsediare sultrono un re ormai indebolito.Quindici mesi dopo la svolta del-la Bolognina, dieci mesi dopo ilcongresso dei pianti e degli ab-

bracci di Bologna, la drammatica eppu-re emozionante eutanasia del Pci beneo male è terminata. Quando una Riminiumida e nebbiosa e perfino spruzzata dineve accoglie un migliaio di delegati delventesimo e ultimo congresso comuni-sta italiano i giochi sono già fatti: nel falò

emotivo di 10.500 congressi di sezione il72,3 per cento dei militanti ha scelto disostituire la Falce-e-martello con laQuercia. Nella Perla dell’Adriatico si vaper una cerimonia funebre destinata amutarsi in un battesimo, ma liturgia eresponsori sembrano già scritti. Il climaè sereno e ottimista, si vendono le spillecon la Quercia, si organizzano cene dipesce e puntate in discoteca, i cronistiesibiscono la novità tecnologica del mo-mento: i telefoni cellulari.

Ma questo è solo l’avanscena. I rap-porti di potere nel nuovo partito, cheaprirà alla novità scandalosa delle cor-renti, sono in realtà ancora fluidi, tutti dacontrattare. Sulla carta Occhetto dispo-ne di una maggioranza schiacciante: lasua mozione ha raccolto il 68,2 percento, che la fuoriuscita di una largaparte del “fronte del no” di Cossuttae Garavini (26,5 per cento) renderàancora più imponente, unica op-posizione interna la “terza mozio-ne” di Bassolino e Asor-Rosa col5,2. Ma nascosti nel correntoneocchettiano, al riparo da contepremature, stanno i “riformi-sti” di Giorgio Napolitano, sti-mati attorno al 15 per cento,che puntano a condizionareil segretario da destra.

Però forse nulla succe-derebbe senza i baglioriche vengono da Oriente.La prima Guerra delGolfo è scoppiata, le luci

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ALESSANDRO NATTA(1984-1988)

ACHILLE OCCHETTO(1988-1991)

Rimini 1991l’ultima scissioneMICHELE SMARGIASSI

LA MOSTRA

E LE IMMAGINI

La mostra Avanti popolo:

il Pci nella storia d’Italia

apre il 14 gennaio a Roma,

all’Acquario Romano -

Casa dell’Architettura,

Piazza Manfredo Fanti, 47

Rimarrà aperta fino

al 6 febbraio. La mostra

racconta settant’anni

di storia d’Italia, documentando

il ruolo che vi ebbe il Pci

Sono esposti documenti

della Fondazione Istituto Gramsci

(che ha fornito le immagini di queste

pagine) e della Fondazione

Cespe (Centro studi di politica

economica), depositari

degli archivi del Pci

Dal 14 gennaio, sarà operativo

il sito www.ilpcinellastoriaditalia.it

I SEGRETARI

ANTONIO GRAMSCI(1924-1926)

AMADEO BORDIGA(1921-1923)

CAMILLA RAVERA(1927-1930)

PALMIRO TOGLIATTI(1930-34 e ’38-64)

RUGGERO GRIECO(1934-1938)

LUIGI LONGO(1964-1972)

ENRICO BERLINGUER(1972-1984)

Repubblica Nazionale

Page 4: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9GENNAIO 2011

il reportageChiese e minareti

Gli esorcisti che ridanno la fertilità alle donne musulmane, i miserabili tra i rifiutidel quartiere di Muqattam, le catacombe dove pregano centinaia di fedeli, San Giorgioe la Vergine insieme a Maometto, i Sufi e gli imam. Dopo l’attentato di Alessandria,viaggio nella metropoli d’Africa dove vivono e sopravvivono i copti

MONIKA BULAJ

Cristo tra i diavoli del Cairo

fuori, nel labirinto della città vecchia,sul retro dell’università Al Azhar, in unpassaggio di asini e cammelli, tra i vico-li dove un astioso imam tuona sulleschiene di centinaia di uomini. Anchequi, governa l’odore: il monastero a Leidedicato lo trovo seguendo una vena diprofumo d’incenso, inatteso nel fumodei kebab e la puzza di orina. Mi prendecon un incantesimo di resina e foreste,mi conduce per mano sul retro di un al-tissimo muro senza finestre, né croci néscritte. Trovo una porticina che dà suuna buia scala piena di fumo, che scen-de, tra rigagnoli di sorgente, fino alle ca-tacombe dei cristiani. Scendo ancora,entro in un’altra tempesta acustica,estranea all’urlo onnipresente deimuezzin in superficie. Prima i ventilato-ri che tagliano i raggi di luce come sci-mitarre; poi i novizi che cantano inni co-me marce militari; poi la preghiera dicentinaia di fedeli in un labirinto di cu-nicoli. Intorno, decine di schermi mol-tiplicano immagini di devozione, glistessi dove, un anno fa, a Pasqua, ho vi-sto, ripetuta all’infinito, l’immagine diun gigantesco martello che batteva ilcuore di Gesù, fino a fargli sprizzare san-gue in un’aureola di fulmini.

La più grande metropoli africana, conle sue migliaia di minareti, è cresciutaattorno a nuclei cristiani come questo,aggrappati a una fede che non si arren-de, militante e miracolistica. È il mondodei copti, antico di secoli più dell’Islam.Un popolo di otto milioni di anime oggidi nuovo sotto assedio. Il confronto nonpotrebbe essere più diretto che qui, nelquartiere musulmano attorno all’uni-

IL CAIRO

IIn Egitto, se vuoi liberarti dal ma-le, è dai cristiani che devi andare.I musulmani lo sanno. Il popolo

cerca la Croce, Maria Vergine, San Gior-gio e soprattutto i santoni della chiesacopta. È questa promiscuità millenaria,sconosciuta all’Occidente e alla Chiesadi Roma, che gli attentatori di Alessan-dria hanno voluto colpire. Per arrivare aisantuari cristiani il popolo d’Egitto sfidai suoi tabù, entra nel luogo più contami-nato del Cairo, Muqattam, quartiere cri-stiano dove si ruminano i rifiuti della me-tropoli, un Acheronte dalle rive putrefat-te che si spande fin sul Nilo come il respi-ro di un dormiente. Lì dentro, i cristianid’Egitto selezionano avanzi delle cucinecairote, sacchi di plastica, bucce di melo-ne contese da ratti, capre e bambini.

Qui, sotto una gigantesca roccia, ope-ra il più grande esorcista del Cairo. Il suonome è Abuna Semaan. In mezzo a unsemicerchio di coristi che innalzano in-ni, lui caccia i diavoli, ridà la fertilità alledonne sterili e fa camminare i paralitici.Grida, spruzza acqua sul viso degli inde-moniati che lanciano urla disumane,vanno in convulsione, svengono. Poi licopre con un velo, posa su di loro unacroce d’avorio e sussurra segrete formu-le; e tutto avviene su un palco, davanti acentinaia di persone, amplificato da al-toparlanti. Per battere i diavoli l’Egittocerca i cristiani, e la domanda è tale cheil Papa dei copti, la Chiesa di San Marco,

il barbuto Shenouda Terzo, ha scritto unmanuale di lotta ai demoni a uso dei mo-naci. Muqattam è un inferno che solo dinotte finge di essere città vera, con lucidi botteghe, ancheggiare di donne sutacchi a spillo tra sterco di asini e pipì dibambini. Gli unici maiali del Cairo raz-zolano qua, e con loro i macellai che lisquartano, accanto ai manifesti dellaSacra Famiglia. Nel ghetto dei copti i

simboli della fede si ostentano senzapaura. Enormi crocefissi scolpiti, ta-tuaggi sui polsi. Qui la spazzatura di-venta alchimia, trasfigurazione, ric-chezza e divisione di classe. I più poveriselezionano il marciume, i meno pove-ri separano bottiglie o pezzi di plasticada trasformare in combustibile, i più fa-coltosi vendono carta, metalli, mobili etessuti. Ma Maria Vergine abita anche

LE IMMAGINIIn alto, il Cairo al tramonto

Sopra, una musulmana chiede

la fertilità in una chiesa. Nell’altra

pagina, monaci del monastero

di Bula col cappuccio a dodici

stelle; devoti copti intorno

all’Abuna; l’esorcista Abuna

Semaan caccia il male; donne

copte in lutto e musulmane velate

Repubblica Nazionale

Page 5: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 9GENNAIO 2011

versità di Al Azhar, tra i più duri del Cai-ro, ostile anche ai fedeli più illuminatidell’Islam, come i Sufi e le loro confra-ternite di canto e danza.

I monaci d’Egitto si alzano alle tre,quando si svuotano i battelli dei nightclub sul Nilo, si tirano sulle teste cap-pucci neri con dodici stelle, si salutanotra loro sfiorandosi le mani che poi alza-no alla fronte in segno di rispetto. Persopravvivere ai secoli duri dell’Islamconquistatore, si sono nascosti nelle ca-tacombe e negli eremi del deserto, poisono riemersi all’inizio del Diciannove-simo secolo portandosi dietro sapienzeantichissime come la botanica. Alcunidi loro vagano nel deserto, per esercita-

re la Siah, che vuol dire ubiquità ed è unmomento della strada all’ascesi.

Ed ecco il monastero del PatriarcaBula, forse il più antico dell’umanità,poco lontano dalle rive del Mar Rosso.Lì dentro i monaci vivono nel terrore diun assalto di estremisti islamici, eppureaccolgono pellegrini musulmani che simettono in coda per farsi miracolare dalvecchio Abuna Fanaus; colui che da so-lo — negli anni bui — difese questo luo-go sacro. E poi la chiesa di San Giorgio alCairo, con le sue catene taumaturgicheal cui tocco guariscono i malati di ognifede. È questa simbiosi antica che AlQaeda ha voluto colpire.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale

Page 6: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

CULTURA*

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9GENNAIO 2011

MARSIGLIA

Mio padre era un poeta, dice Sébastien. E sulviso gli si dipinge un sorriso. Risale i vicoliscrepolati del Vieux Port, si tuffa sotto un so-

le tiepido nell’arcobaleno di razze e di spezie. Era un poeta, ri-pete, scansando davanti al “Mezopotama” una lite tra gitani daibaffoni a manubrio, salutando in rue d’Aubagne una bimba se-negalese che accudisce una tribù di fratellini, cedendo il passoa due donne in niqab, fermandosi a comprare qualche mak-roud — i dolci tunisini — nella stordente confusione della Pla-ce du Marché des Capucins. Jean-Claude Izzo era soprattuttoun poeta. Qui a Marsiglia non poteva essere altrimenti, dice Sé-bastien. «Ma quando ha cominciato a scrivere quei romanzi, sen’era andato da tempo in un’altra città. Così mi teneva al te-lefono per ore, con mille domande piene di nostalgia. Volevasapere che fine aveva fatto Hassan, il padrone del Bar des Ma-richers. Mi chiedeva di chi s’attardava nei bistrot del Panier, lanotte. Che faccia avevano gli spazzini all’alba, se quell’odoreacre — un misto di piscio, umidità e muffa — continuava a ri-montare in rue des Pistoles. Ero felice di raccontargli le mie gior-nate da ragazzo. Lui restava in ascolto ed era come se lo vedes-si, dall’altro capo del filo, con gli occhi lucidi per l’emozione».

Sébastien Izzo ha lo sguardo dolce, modi gentili e calmi. Di-cono assomigli a Jean-Claude. Come lui preferisce ascoltare,guardarsi intorno. «Ma niente letteratura, non fa per me. Sonotecnico degli spettacoli: luci, musiche. Però ho fatto un sito in-ternet». Dedicato a Jean-Claude Izzo, l’inventore del noir me-diterraneo, l’autore cult della trilogia marsigliese (quasi un mi-lione di copie vendute nella sola Francia, trentamila all’anno inItalia). «Mio padre era molto di più, cliccateci sopra. È mortogiovane, a cinquantacinque anni. Ha avuto successo solo negliultimi cinque anni di vita, con quei tre romanzi. Però è stato unosceneggiatore geniale. Un giornalista coraggioso. E un veropoeta. Un marsigliese». Sì, un marsigliese. Un arcobaleno dirazze e di spezie. Uno meticcio dentro. Figlio di Gennaro, sa-lernitano di Castel San Giorgio emigrato adolescente, e di Isa-

belle Navarro, che era nata in rue des Pistoles da una famiglia diValencia. Commesso di una libreria con un diploma da torni-tore, attivista di Pax Christi, militare a Gibuti. Poi l’incontro conla mamma di Sébastien, Marie Helène Bastianelli.

«È sempre stato un tipo di poche parole. Voleva solo scrive-re». La collaborazione con il quotidiano comunista La Marseil-laise Dimanche, una raccolta di poesie e un testo teatrale per laliberazione di Angela Davis. Dal ‘72 e per due anni firma ognigiorno una pagina d’inchiesta sull’inferno dei cantieri di Fos,piattaforma delle nuove industrie siderurgiche: «Lo chiamava-no l’Eldorado, la California provenzale. Lui raccontò per primola verità. Sessantamila operai in condizioni disumane. Denun-ciò le morti, i soprusi, le violenze. I capitalisti del petrolio. Gliscioperi perché mancava l’acqua da bere. Un padrone che si ri-fiutò di fermare il cantiere, quando un disperato affogò nel ce-mento». Jacques Roger, che fu collega e migliore amico, com-pagno delle notti nel quartiere dell’Opera e fratello della ragaz-za che ispirò il personaggio di Lole la zingara, ricorda ancora leparole di Jean-Claude: «Scrivo della miseria che è davanti ai no-stri occhi e che facciamo finta di non vedere. Scrivo perché il let-

tore si ribelli, e non c’è altro modo che emozionarlo, che farloinnamorare con la verità».

L’addio al giornale nel ‘79, l’addio alla moglie e a Marsiglia.Ancora poesie, sceneggiature, collaborazioni per alcune rivi-ste. «Era un uomo modesto, semplice. Gli bastava lavorare conle parole, non chiedeva altro. Non cercava soldi o celebrità»,continua Sébastien. Un giorno del ‘93 a Saint-Malo c’è da chiu-dere il numero di Gulliver. «Il direttore, Michel Le Bris, ha biso-gno di un breve racconto. Prima che vada in stampa, lo legge an-che Patrick Raynal. Che fa un salto sulla sedia e ordina a Le Bris:“Fagli subito firmare un contratto, lo mandiamo sulla Série Noi-re di Gallimard”». Quelle pagine scritte al volo sono ancora lì,nessuno le ha più toccate. Diventeranno il capitolo iniziale diTotal Khéops, Casino Totale, il primo libro della trilogia con ilpoliziotto Fabio Montale e la Marsiglia di rue des Pistoles.

«Il successo nei primi due mesi lo ha cambiato. Accettavaun’infinità di inviti, interviste, festival. Di solito chiamava a ca-sa due volte al giorno, invece credevamo di averlo perso. Al ter-zo mese gli ho scritto: scendi sulla terra, ti stai facendo divoraredal sistema. Mi ha risposto la sera in cui l’ha ricevuta. Ed è tor-

MASSIMO CALANDRI

“Un poeta di Marsigliabest seller per caso”

IzzoMio

padre

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Giornalista d’inchiesta, militante,sceneggiatore, uomo solitarioarrivato al successo troppo tardigrazie alla trilogia di FabioMontale. Attraverso il ricordodel figlio la storia dell’inventoredel noir mediterraneo che scrivevaperché “la gente si ribellasse”E gli estratti di un racconto ineditoambientato in Italia

nato quello di sempre. Dolce, comprensivo, sereno,generoso. E distratto». Non pagava le bollette telefo-no. «Venivano regolarmente a tagliarci la linea, chedisastro». Non pagava le tasse. «Si dimenticava. So-

lo tre volte nei suoi ultimi quindici anni. Alla fineabbiamo dovuto saldare un debito di quasi qua-rantamila euro. Era fatto così». «Il ricordo più bel-

lo? Una sera di primavera del ‘98. Non volevapiù scrivere di Fabio Montale. E Laurence,

la sua compagna, lo aveva lasciato. Vivevaa La Ciotat. Mi ha telefonato: “Vieni qui”.Ci siamo seduti in sala. Luci spente, unabottiglia di whisky. Musica jazz. Gli pia-ceva il jazz gitano. Non ci siamo detti una

parola, ma è come se avessimo parlato tut-ta la notte. A un certo punto ho guardato l’o-

rologio. Erano le sei e trenta del mattino. “De-vo andare a lavorare, papà”. Lui ha sorriso, mi ha fatto segno disì con la testa. Era un uomo tranquillo, mio padre. Un poeta».

Repubblica Nazionale

Page 7: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 9GENNAIO 2011

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Non si muore per amorema per la miseria dell’amore

JEAN-CLAUDE IZZO

Da quandoaveva acquistato quella grossaagenda, dalla copertina nera, di tela, Co-co annotava tutti gli avvenimenti e le sue

azioni quotidiane. Anche i suoi pensieri. So-prattutto i suoi pensieri. Quell’agenda gli avevacambiato la vita. Adesso Coco poteva vedersi vi-vere e riflettere. Anzi, meglio, poteva valutarecon la precisione di un pubblico funzionario ilproprio fallimento. Giorno dopo giorno. Basta-va che si rileggesse. Alzandosi, prima ancora diprendere un caffè, aveva scritto sulla sua agen-da: «Svegliato ore nove e cinquantadue». Si al-zava sempre più tardi la mattina, e sua madrenon mancava mai di farglielo notare. «Non mene frega niente» le rispose. «Perché dovrei al-zarmi presto, eh? Me lo sai dire?».

«Potresti…».«Già, cercarmi un lavoro, non è vero?» tagliò

corto lui, dirigendosi in cucina. Tutte le mattineera la solita solfa. «Dovrei fare come tutti queicoglioni, è così? Ecco, adesso prova a dirmi cheio non sono un coglione. Io non ho nessuna in-tenzione di assomigliare a quelli là».

«Non mi piace che continui così, senza farniente. Non mi va che te ne stai in giro tutto ilgiorno con Luca. Ho paura che…».

«Ecco! Lo sapevo. Stira, dai! Ammazzati di la-voro, come papà».

Coco se n’era andato sbattendo la porta. Era-no mesi, ormai, che andandosene sbatteva leporte. Le porte della vita, una dopo l’altra. L’a-genda gli serviva proprio a questo. Per averneconsapevolezza.

Quell’agenda se l’era comprata in una car-toleria del Vicolo della Campana, mercoledì 17febbraio, dopo aver letto la lettera di Barbara.«Ai tuoi messaggi risponde il silenzio. Io nonriesco a chiamarti. Per dirti che cosa, poi? Losai, Giovanni, tu fai parte delle persone chenon posso risolvermi a perdere, le persone cheamo. Però non posso dirti “ti amo”». «Troia!»aveva mormorato, rileggendo la lettera una se-conda volta.

Barbara gli aveva chiesto una pausa. Per ri-flettere su se stessa, su di lui, su di loro, sulla lo-ro storia. Si conoscevano dai tempi del liceo.Avevano flirtato a lungo. Poi, due anni prima, sierano persi di vista. In seguito, una sera, il 30gennaio scorso, lei gli aveva telefonato. Non sisentiva bene. Era necessario che lo vedesse.«Vieni, ti prego». Voleva vedere lui, GiovanniCoco. Nessun altro. E Coco sapeva perché. Nonera uno qualsiasi, lui. Un quarto d’ora dopo eragià davanti alla fontana di Piazza Navona. Im-paziente di vedere nuovamente Barbara. L’ave-va stretta tra le braccia e poi le aveva sollevato ilviso e l’aveva baciata. Lentamente. A lungo. Co-me due anni prima. Quando l’aveva riaccom-pagnata al portone di casa sua. «È così sempli-ce?» aveva riso lei. «Sì, è così semplice. Ti amo».

Erano passati appena otto giorni. Con la pun-ta delle dita Barbara aveva accarezzato la guan-cia di Giovanni, poi gli aveva dato un bacio fur-tivo sulle labbra. «Lasciami ancora un po’ ditempo, Giovanni. Soltanto un pochino…». Poiera arrivata la sua lettera. «Perché mai mi faccioviva con te ogni volta che sto male? E perché conte non riesco mai ad andare fino in fondo allanostra storia, quale che sia?». «Troia», aveva ri-petuto Coco. Questa volta a voce più alta.

Uscendo dalla cartoleria di Vicolo della Cam-pana, era entrato in un bar e aveva ricostruitonei dettagli la sua vita dopo quell’appuntamen-to del 30 gennaio con Barbara. Al 15 febbraio,sulla pagina degli appunti, aveva incollato la let-tera di Barbara. E proprio sotto aveva scritto:

«Sono sul punto di innervosirmi». Erano passati ormai tre mesi esatti senza ri-

cevere più notizie da Barbara. Dopo la sua lette-ra non aveva intenzione di rivederla. Neppuredi telefonarle. Lui non era uno qualsiasi. Non sisarebbe abbassato a fare una cosa del genere.Che marcisse pure nel suo “mal di vivere”, si eradetto. E quando sarà lei a richiamare, le farò ve-dere io chi sono. Questo, però, non l’aveva scrit-to nella sua agenda. L’aveva soltanto pensato. EBarbara non richiamò.

Il 15 marzo, primo “mesiversario”, avevascritto sulla sua agenda: «Niente. Non mi hascritto una sola parola. Non mi ha telefonato.Potrebbe anche essere morta. Devo abituarmia vivere come se ciò fosse normale». Ma non riu-sciva ad abituarsi. Ogni mattina annotava l’oraalla quale si svegliava. Poi sotto scriveva: «Nien-te». Il 22 marzo scrisse: «Quante cose non le hodetto. In fondo, il terrore di perderla adesso nonnasce dall’ansia di “possederla”, ma dalla pau-ra di non poterle più dire queste cose. Quali sia-no queste cose, per ora non lo so. Ma si riverse-rebbero fuori come un torrente se fossi con lei».Scrivere cose di questo tipo gli faceva salire le la-crime agli occhi.

E poi, ieri a mezzogiorno, quello stronzo diLuca gli aveva raccontato che Barbara si vedevacon uno. Un francese. Un pittore che viveva aVilla Medicis.

«Dove vai?» gli chiese sua madre. «In palestra».«Rientri per cena?»«Non ne ho idea». Nella sacca aveva ficcato il fucile di suo padre.

E alcune cartucce. Nient’altro. Il fucile e le car-tucce. E la sua agenda. Scese le scale, aprì la cas-setta della posta. C’erano soltanto bollette e unacartolina di sua sorella, spedita da Marsiglia.«Niente» aveva scritto ancora sulla sua agenda.Niente. «Non ci si uccide per amore di una don-na. Ci si uccide perché un amore, non importaquale amore, ci rivela tutta la nostra nudità, lanostra miseria, il nostro essere indifesi, il nostroniente». Aveva scritto queste cose dopo essersilavato, rasato, vestito. 15 maggio. Santa Giulia,precisava l’agenda. «Santa Giulia, prega perme» aveva poi aggiunto.

Salì in macchina, una Fiat 128 bianca. Lamacchina di sua sorella. «Che cos’è questo ma-le incurabile che logora la vita?» si chiedeva.Quella era la sua domanda, la vera domanda.Arrivato in piazza del Popolo seppe di aver pre-so la sua decisione. Si fermò davanti alla chiesadi Santa Maria e tirò fuori la sua agenda. La ap-poggiò sul volante e scrisse: «Non voglio morirecome uno qualsiasi. Tutti devono sapere comemuore un tipo come me». Pensò a Barbara. An-che lei doveva sapere.

Coco fece nuovamente il giro di Piazza delPopolo. Due tizi in Vespa procedevano affian-cati. Coco accelerò e puntò dritto su di loro. Ilparafango destro della Fiat sfiorò una delle Ve-spe. Il conducente perse l’equilibrio. La Vespae il tizio si ribaltarono. «Stronzo!» gli gridò die-tro l’altro. Si avvicinarono a lui, con fare mi-naccioso. Coco fece spuntare la canna del fuci-le dal finestrino del sedile passeggeri e la puntòloro addosso. I due ragazzi si paralizzarono. Ecosì pure tutti gli altri lì intorno. Coco sghi-gnazzò. Ripartì. Due macchine della polizia asirene spiegate lo intercettarono all’altezza diPiazza Colonna. «Ci siamo», mormorò lui. Poisi chiese: «Perché morire?». Non si era mai sen-tito così vivo. Mai così adolescente! Gli passa-rono per la testa tante parole, tante frasi chenon poteva più annotare sulla sua agenda.«Chissà, forse avrò il tempo di scriverle, alme-no queste…». Gliene venne in mente un’altra.«Amore e morte. Vecchia storia».

In Piazza Venezia bruciò un semaforo rosso enon riuscì a schivare un’Alfa Romeo — rossa,come è giusto che fosse — che arrivava dalla suadestra. Coco scese dalla Fiat imbracciando il fu-cile. Le auto della polizia si fermarono e sei po-liziotti si diressero di corsa verso di lui. Sentì inlontananza altre sirene. Sparò un colpo, in altorispetto alle teste dei poliziotti. «Forza, venite!Venite avanti, banda di stronzi!». Coco sentì ipassanti gridare. Poi udì la prima ingiunzionead arrendersi. Sparò una seconda volta. Questavolta mirò al lampeggiatore della macchina del-la polizia a lui più vicina. Fece centro e ne provòuna certa fierezza. «E ora?» si chiese. «E ora, tut-to ciò mi disgusta».

La prima pallottola gli attraversò la spalla. Ildolore gli strappò un grido. Sparò una terza vol-ta, con gli occhi chiusi. E poi ancora una quarta.Un’altra pallottola gli si conficcò in corpo. «Bar-bara», pensò, «oggi ne so sicuramente più di tesul dolore». Crollò a terra. «Non esiste il mal divivere. Esiste soltanto il male. Barbara».

Traduzione di Anna Bissanti

I LIBRI

e/o, l’editore italiano delle opere di Jean-

Claude Izzo, manderà in libreria a marzo

la trilogia di Marsiglia (Casino totale,

Chourmo e Solea) in un unico volume

(756 pagine, 19 euro) con una biografia

inedita curata da Nadia Dhoukar

DOCUMENTINella pagina accanto, una poesia di Izzo intitolata L’été

Sopra, Jean-Claude bambino sulla spiaggia nel 1949

RITRATTI DI FAMIGLIAIn senso antiorario, Jean-Claude

Izzo col padre; col figlio Sébastien;

tra i genitori e il figlio; in Irlanda

in canoa nel 1978 durante

una riunione

Repubblica Nazionale

Page 8: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

“Il bandito impersonatoda James Cagney”,dice Clint Eastwood,“si muoveva con la graziadi un ballerino e l’energiadi uno psicopatico”

DOMENICA 9GENNAIO 2011

Più che nelle innumerevoli sparatorie,più che nei cadaveri crivellati di proiet-tili, più che nei bagliori delle insegne alneon, l’immagine simbolo dei gangstermovie classici è racchiusa in una scenadomestica, tratta da Nemico pubblico

di William Wellman (1931). Il protagonista, il pic-colo boss Tom Powers (James Cagney), è seduto atavola con la bionda Kitty (Mae Clarke): ma poi si in-furia, e con rabbia spiaccica il mezzo pompelmoche ha in mano sulla faccia di lei.

Un gesto gratuito, sorprendente, che scioccò l’A-merica di allora. E che continua a colpire lo spetta-tore di oggi, col suo mix di violenza e ironia perver-sa. Ma il discorso non riguarda solo quella singolasequenza cult: è tutto il cinema “con la faccia spor-ca”, centrato sulla figura del criminale, ad affasci-narci ancora. A ottant’anni dalla nascita ufficialedel genere, che coincise con la realizzazione quasicontemporanea di tre capolavori: oltre a Nemicopubblico, sono Piccolo Cesaredi Melvin Le Roy, conEdward G. Robinson, e Scarface di Howard Hawks,con Paul Muni. Le prime due pellicole, entrambeWarner Bros, uscirono nel 1931; la terza, indipen-

dente, sbarcò nelle sale nel 1932, ritardata dallacensura. È questa la trilogia originaria, a cui in se-guito tutti si sono ispirati. Perché, a partire dalla suaprima stagione d’oro, il gangster movie non è maitramontato. Ogni volta che viene dato per morto,risorge. Come negli anni Settanta. E come in que-sto scorcio di nuovo Millennio: merito, stavolta, diun grande prodotto televisivo targato Martin Scor-sese, Boardwalk Empire, che sta per debuttare inItalia.

Ma per comprendere le radici di tanta longevitàè da lì, da quel tris di titoli anni Trenta, che bisognapartire. Prodotti di un’America stanca del proibi-zionismo, disperata per la Depressione, e con le ge-sta di banditi come Al Capone a monopolizzarel’attenzione popolare. Un’America che la WarnerBros, unica major hollywoodiana attenta all’attua-lità e ai fermenti sociali, raccontò con audacia: «I lo-ro erano film di straordinaria ferocia che ritraeva-no una realtà dark, cinica e problematica», ha com-mentato una volta proprio Scorsese. In questo sce-nario Piccolo Cesare rappresenta la dimensioneshakespeariana del criminale: sbuca quasi dal nul-la, arriva in cima, va incontro al suo destino tragico.

Diversissimo il James Cagney di Nemico pubblico:la sua storia nasce nel suo ambiente e restiamo qua-si ammirati di fronte a questo teppista dei bas-sifondi che si muove — la definizione è di Clint Ea-stwood — «con la grazia di un ballerino e l’energiadi uno psicopatico». Infine, lo Scarface incestuosodel grande Howard Hawks: qui la violenza diventatotalizzante e stemperata solo — come spiegò il re-gista — «dall’approccio semicomico che mante-nemmo sempre, anche nei momenti più pesanti».

Tutti elementi a cui gli autori della New Hol-lywood attingeranno a piene mani. Facendo rina-scere un tipo di cinema che negli anni Quaranta erastato oscurato dal noir (centrato sulla figura ambi-gua dell’investigatore privato), nei Cinquanta ave-va ceduto il passo ai polizieschi e al sottogenere “dirapina”, e che a fine Sessanta aveva prodotto il ru-rale e giovanilista Gangster Story di Arthur Penn.Ma è nel decennio successivo che si torna ai capo-lavori. Grazie a Coppola, che con la trilogia Il Pa-drinofa rivivere la dimensione mitologica del gang-ster movie. Grazie a Scorsese, che in Mean Streets(1972) si concentra sui piccoli fuorilegge, e moltianni più tardi, nel 1990, fornisce — con Quei bravi

Gli angeli del cinemacon la faccia sporca

CLAUDIA MORGOGLIONE

Anno 1931, l’America è schiacciata da proibizionismo e Grandedepressione A Hollywood escono tre film che daranno vita

a un genere: “Nemico pubblico”, “Piccolo Cesare” e “Scarface”. Anno 2011, un’altra recessioneStavolta è la tv a raccogliere il testimone con “Boardwalk Empire” di Martin Scorsesein arrivo anche in Italia. Ecco perché il crimine resta il modo migliore per raccontare la realtà

SPETTACOLI

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA

Repubblica Nazionale

Page 9: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 9GENNAIO 2011

i sonoepoche di protagonisti sbirri ed epochedi protagonisti banditi. La nostra appartieneal secondo genere: più che farci paura, i catti-vi ci seducono. Dipende dallo “spirito deltempo”, o, meglio, dalla sua componentefondamentale: l’economia politica. In tempidi benessere il crime ci fornisce svago e di-strazione. Il male è qualcosa di profonda-mente prevedibile, i cattivi sono stupidi e fe-roci, i buoni cavalieri senza macchia e senzapaura. Sempre vincenti. Oppure, il male èalieno, oppure, ancora, una divertente alter-nativa alla noia del quotidiano: abbondano,da un lato, serial-killer e psicopatici, dall’al-tro simpatici ladruncoli, affascinanti truffa-

tori dal sorriso smagliante.Ma quando c’è la crisi, le cose cambia-

no. Il male torna un problema serio. Mor-de la strada. E spuntano come funghi ra-

pinatori e mafiosi. La prima grande stagio-ne del crime americano coincide, non a ca-

so, con la prima grande crisi del capitalismo.I gangster schizzati di Bogart & Cagney sonofigli del proibizionismo quanto del crollo diWall Street. Lo scossone sociale generato dal-la crisi porta all’affermazione di una nuovaclasse dirigente criminale nel duplice sensodi “classe dirigente” e “fatta di criminali”. Iconfini antropologici fra il gangster e l’uomodi Stato (notavano Horkheimer e Adorno) siassottigliano, sino a confondersi. L’anticalegge dell’accumulazione selvaggia travolgeogni altro imperativo. In tempi di povertà,dunque, la scorciatoia del delitto è un’opzio-ne di indubbia presa per masse dolenti chehanno perso ogni fiducia nel presente e ognisperanza nel futuro, e identificano il Nemiconel volto glaciale del banchiere che, con untratto di penna, può rovinare migliaia di esi-stenze.

Quel tempo e il nostro presentano più di untratto comune: la crisi, il pessimismo dila-gante, la sensazione di uno strapotere dellamalavita, l’opzione criminale come alterna-tiva sociale alla disperazione. Di più, e di di-verso, c’è, oggi, l’esplicita ammirazione per lostile di vita del bandito. Che è, e resta, uno sti-le fatto di arroganza, leaderismo, prevarica-zione, sottomissione al capo carismatico,cioè al più forte e più ricco, più forte perchépiù spietato e più ricco. Eppure, i gadget cri-minali vanno a ruba, e trasformiamo in eroipopolari banditi che devastano per arricchir-si e se ne vantano. E questo accresce il loro fa-scino, agli occhi di molti. C’è in giro un’aria da«giochiamocela alla tutto e subito, qui e ades-so». Possiamo persino vincere, potrei essereio il prescelto. Non è già successo? Non suc-cede tutti i giorni? Ammirazione, si diceva.Ma ammirazione di sudditi, di vinti. Di per-denti rassegnati a un ineluttabile che si basa

su un sillogismo tanto primitivo quantoefficace: i criminali hanno un sac-

co di soldi, coi soldi si co-manda, i criminali

comanda-no, me-

glio farseliamici che

cercare, in-vano, di com-

batterli. Q u a l c u n o

accusa gli scrit-tori di cose crimi-

nali: la violenza distrada sarebbe an-

che colpa dei mo-delli negativi che

propongono alla gio-ventù. Ma il punto non

è questo. Certo, ogniracconto criminale è per

sua natura ambiguo: per-ché illustra la fascinazione

del male, scava nel profon-do, parla di sesso, distrutti-

vità, potere e morte, e ci sfidaa gettare più di uno sguardo

sugli abissi dell’inconscio. Ma ilpunto è che l’economia politica

non si adegua ai modelli cultura-li: l’economia politica li impone.

Se questo è lo stato delle cose, è inu-tile prendersela con chi il crimine lo

racconta. A predicare morale e lega-lità siamo tutti buoni. Il difficile, sem-

mai, è metterle in pratica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ra-gazzi —uno spaccato de-vastante delle dinamichemafiose (l’unico film credibilesul tema, sostenne Tommaso Buscetta).E grazie a Brian De Palma, che nel 1983 gira il re-make in chiave contemporanea di Scarface: il suoAl Pacino alla cocaina viene “adottato” dai rapperneri e diventa un’icona gangsta. Gli anni Novanta,invece, sono nel segno neo-pulp di Tarantino, coisuoi cani sciolti e fuori di testa.

Poi, di nuovo, una fase di appannamento. Inter-rotta da singoli lampi, come quello di JohnnyDepp-Dillinger in Nemico pubblico (2009) di Mi-chael Mann. La vera novità, però, è che il gangstermovie di qualità rinasce in televisione. A fare daapripista sono I Soprano: tradimenti familiari e fer-rea legge del profitto, in un contesto di banalitàquotidiana molto all-american (al di là del folkloreitaliano dei personaggi). Una vetta assoluta. Pocodopo, qui in Italia, Romanzo criminale passa dal li-bro al cinema alla tv, con due serie — la seconda re-

cen-tissima —che conquistanoschiere di fan. Ma il faro re-sta l’America. Come dimostraBoardwalk Empire, dal 14 gennaio su SkyCinema 1: potente affresco della Atlantic City delproibizionismo prodotto da Scorsese, che ha anchediretto l’episodio pilota. «Non mi stancherò mai diriaccendere la love story tra il pubblico e il gangstercome eroe tragico», ha spiegato recentemente. Davero paladino del cinema con la faccia sporca.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il fascino del maleai tempi della crisi

CGIANCARLO DE CATALDO

INDIMENTICABILINelle immagini

una serie di scene

cult dei classici

del gangster movie:

dall’alto, Nemico

pubblico (1931)

di William Welman;

Piccolo Cesare (1931)

di Melvin LeRoy;

Scarface (1932)

di Howard Hawks;

Il bacio della morte

(1947) di Henry

Hathaway; Il padrino

(1972) di Francis Ford

Coppola; Gli intoccabili

(1987) di Brian

De Palma; Casinò

(1995) di Martin

Scorsese e la serie tv

Boardwalk Empire

dal 14 gennaio su Sky

Repubblica Nazionale

Page 10: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

i saporiFinger food

Feste finite: è l’ora di ridurre i consumi di cibo (ma nonla qualità), un’ottima occasione per scoprire gli stuzzichinispagnoli e italiani che accompagnano calici di vinoe aperitivi. Se avete la possibilità di andare a Barcellonanon mancate il battesimo del “bar de tapas” dei fratelliAdrià, altrimenti puntate su Venezia avrete delle sorprese

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9GENNAIO 2011

Èvero: durante le feste di fine anno abbiamo esagerato. Maesaurite tutte le lacrime di coccodrillo per il surplus dicapponi e cotechini, struffoli e panettoni, tortellini e len-ticchie, sappiamo che non si può vivere di soli brodini etisane. L’ideale sarebbe ridurre le porzioni lasciando in-tatto l’apetto goloso. Non a caso, i geniali fratelli Adrià

hanno scelto la prima settimana di febbraio per aprire nel cuore diBarcellona il locale più atteso del nuovo anno: Tickets La Vida Ta-pa, «un concetto globale che unisce la gastronomia a un modo diintendere la vita, allegro, comunitario, senza pesantezze, elemen-to intrinseco alla nostra cultura popolare», raccontano entusiasti.Quaranta metri di affaccio strutturati con una mega-vetrina chefunge da vero e proprio museo delle tapas, lungo il quale si di-pana un percorso di sei banconi, di cui uno dedicato ai dolci,più un’immensa griglia.

Nato in Andalusia come tappo (tapa) per proteggere il bic-chiere di vino da mosche e affini — in origine, una fetta di ja-mon iberico, tradizionalmente tagliato a coltello — lo strata-gemma alimentare è assurto a stile di vita per milioni di spa-gnoli che ogni giorno dal mattino a sera inoltrata affollano i barde tapas, per nutrire occhi, stomaco e anima. Basta appollaiar-si su uno sgabello per far amicizia col vicino di barra (bancone),davanti al quale campeggia un piatto di crostini con insalata digranchio o una cocotte di calamares en su tinta(al nero). Il tutto, sor-seggiando — a seconda delle regioni — una caña (birra alla spina),una pinta di sidro o un bicchiere di txakolì, vino bianco secco deipaesi Baschi, partner inseparabile dei pintxos(le tapas basche e na-varre). Alla fine, per pagare si contano gli stuzzicadenti colorati che

trafiggono tartine e bocconi: metterne un paio in tasca per allegge-rire il conto, prima che un reato è un affronto alla comunità dei ta-peadores.

Dalla penisola iberica a quella italiana, il fenomeno si ripete pa-ri pari nei bacari(osterie) di Venezia dove i cicchetti — dal latino cic-cus, piccolezza o, per estensione, dal provenzale chiquet, bicchie-rino — rappresentano lo storico pranzo veloce ma non banale. Icuochi della laguna sono bravissimi nel variare gli ingredienti delterritorio — soprattutto pesci e verdure — in chiave sfiziosa comedegni compagni delle ombre, i bicchieri di vino (o spritz) bevuti untempo all’ombra del campanile di San Marco per preservare le bot-ti dalla calura. I veneziani doc difendono con giusta ostinazione ipochi santuari del cicchetto scampati all’ordalia turistica, regalan-dosi di tanto in tanto il privilegio del giro dei bacari, itinerario tracalli e campielli.

Se curiosità e gola vi assillano, Phaidon ha appena pubblicatol’edizione italiana de Il libro delle tapas (Simone e Inés Ortega, 35euro), 250 ricette in sette capitoli con menù e consigli dei grandichef di Spagna che si dedicano all’alta cucina in miniatura. Unavolta realizzato il vostro personale menù di tapas & cicchetti, limi-tate il numero di stuzzicadenti per evitare di raddoppiare i chilipresi a Capodanno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LICIA GRANELLO

Sarde in saorDeliscate ma intere,

si friggono infarinate

A parte, il “sapore”: cipolla

appassita nell’olio,

zucchero, aceto, uvetta,

pinoli. Far riposare

prima di servire

CroquetasPatate bollite

o besciamella come

basi per le crocchette

impanate e fritte: le prime

si integrano con il baccalà,

la seconda accoglie

gamberi o prosciutto

‘‘Vàzquez MontalbànIl pan con tomate è un veroe proprio prodigiodella cucina catalanache materializzal’incontro tra la culturadel grano europea,quella del pomodoroamericana, l’olio d’olivamediterraneoe il sale della terrache consacrò la cultura cristiana

Da “EL PREMIO”

Edizioni Planeta 1996

tapasNon

solo

Vagabondaggi perfettitra menù in miniatura

Repubblica Nazionale

Page 11: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 9GENNAIO 2011

CUCHARA DE SAN TELMOCalle 31 de Agosto 28

Tel. 0034-943-420840

SAN SEBASTIAN

QUIMET & QUIMETCalle Poeta Cabanyes 25

Tel. 0034-93-4423142

BARCELLONA

EL PESCADO ORIGINALMercado de San Miguel

Plaza San Miguel

MADRID

ESLAVACalle Eslava 5

Tel. 0034-954-906568

SIVIGLIA

MERCATBAR DACO & COREJoaquìn Costa 27

Tel. 0034-96-748558

VALENCIA

Spagna

Venezia AI DO MORICalle dei Do Mori

Sestiere San Polo 429

Tel. 041-5225401

OSTERIA ALLA VEDOVACalle del Pistor

Cannaregio 3912

Tel. 041-5285324

DA MARISA AI TRE ARCHIFondamenta di San Giobbe

Cannaregio 652b

Tel. 041-720211

OSTERIA AL PONTE LA PATATINACalle Saoneri

Sestiere San Polo 2741

Tel. 041-5237238

AL GARANGHELOVia Garibaldi

Sestiere San Polo 1621

Tel. 041-5204967

Baccalà mantecatoDeliscato e bollito,

con limone e alloro,

si lavora montandolo

con un filo d’olio fino

a ottenere una crema

densa, da diluire, se serve,

con poca acqua di cottura

TortillaPatate bollite, affettate,

rosolate, più formaggio

gruyère per la classica

frittata in padella. Cottura

abbinata se si vuole

grigliare la parte

superiore in forno

EmpanadillasLe piccole mezzelune

di pasta choux (quella

dei bignè), ripiene di tonno

(atun) fresco insaporito

con pomodoro, cipolla

e uovo sodo si servono

appena fritte

ChipironesCarne magra di maiale,

uova sode e tentacoli

formano la farcitura

di calamaretti e seppioline,

rosolate e portate

a cottura con cipolle

e vino bianco

Pan y tomateLa fetta di pane tostata,

strofinata con aglio

e un mezzo pomodoro

sugoso, viene arricchita

con olio e sale e poi rifinita

con prosciutto crudo

o semplice acciuga

La doppia morale del cicchettomangiare per bere per mangiare

ARRIGO CIPRIANI

Il sogno degli ultimi anni di mio padre era quello dimettersi un grembiule bianco e fare l’oste in una suaosteria. Il ricordo dei suoi antenati non andava al di

là di suo nonno, il più antico di una discendenza cheaveva lasciato in eredità molto lavoro, e una ricchezzache poteva essere classificata soltanto con i vari gradidella miseria. Con una punta di ammirazione e rim-pianto lui ci raccontava spesso di una zia che si piazza-va all’alba d’estate e d’inverno, appena dentro la PortaVescovo a Verona, per servire una scodella di brodo fu-mante con le tagliatelle fatte in casa e i pezzi di manzoe pollo bollito ai carrettieri che portavano le derrate almercato. «La povera zia Irma», diceva e non si capivabene se l’aggettivo si riferisse a lei perché era morta operché fosse veramente povera.

Appena entrati nel suo bacaroci sarebbe stato il ban-co che avrebbe dovuto essere un grande tavolo di legnosul quale servire il vino, magari nelle tazze di terracot-ta come si usava cento anni fa. Per accompagnare il vi-no, nella sua fantasia, c’erano anche i cicchetti. Per an-dare in sala da pranzo si sarebbe dovuto passare attra-verso la cucina e, durante il tragitto, il cliente avrebbedomandato alle cuoche, perché di cuoche si sarebbetrattato, quale fosse il piatto del giorno. La scelta sa-rebbe stata fatta al volo e ciascuno si sarebbe preso lasua porzione per consumarla su un tavolo rigorosa-mente di legno seduto su una sedia anch’essa di legnoe paglia.

Però al banco, se uno non avesse voluto mangiare altavolo, ci sarebbero stati i cicchetti di baccalà mante-

cato, di seppioline, di polpette di carne e di animelle, disarde in saor, di acciughe, di olive con una punta di pe-perone, di trippa su un pezzettino di polenta, di cala-maretti e di sardoni fritti, di pezzetti di formaggio par-migiano, come si usava, ed in alcuni luoghi veri, si usaancora a Venezia. Perché quella dei cicchetti è vera tra-dizione di assaggi della nostra cucina inventata dallenostre donne di casa e non dai grandi cuochi della cu-cina francese «absit iniuria verbis!»

Chi, infatti, è riuscito a trasformare uno stoccafisso,che prima di batterlo sembra un bastone di legno, inquesta straordinaria crema che è il baccalà mantecatose non una donna, magari aiutata dal vecchio di casa,il quale, non avendo altro da fare, batteva con un gran-de martello di legno il pesce essiccato sul marmo dellasoglia d’ingresso prima di bagnarlo per quarantott’o-re per farlo gonfiare e renderlo commestibile?

I cicchetti sono assaggi per accompagnare un bic-chiere di vino. Servono a due scopi che sembrano inantitesi e magari anche lo sono. Il primo è quello di nonbere a stomaco vuoto, il secondo è meno evidente ed èdovuto al fatto che di solito il boccone è molto sapori-to e chiama altro vino. Furbizia dell’oste? Può essere,ma quale impegno e quale entusiasmo nel preparare icicchetti, quale sapienza e anche amore! Perché digrande cucina si tratta anche se miniaturizzata. E,un’altra cosa. Per me il cicchetto vuole vino vero e nonannacquato sotto forma di spritz. Solo questo volevodire.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

re Alfonso Il dispone che

il vino sia servito con il cibo

XIII secolonasce il bacaro

dei “Do Mori” a Venezia

1462Carlo Goldoni dà la ricetta

delle sarde in saor

1755

PolpettineCarne macinata, patate,

mortadella, aglio,

parmigiano, uova,

prezzemolo o pesce,

cipolla e pane bagnato

nel brodo. Da friggere

e servire caldissime

FolpettiI polpetti formato mignon

si offrono bolliti con poco

sale, conditi con vinagrette

al limone, o in umido

al pomodoro. Serviti

con crostini di pane

o tocchetti di polenta

Polenta e soppressaTagli nobili del maiale

(coscia, coppa, lardo,

pancetta) per l’insaccato

morbido da appoggiare

su una fettina di polenta

di mais biancoperla

ben abbrustolita

Repubblica Nazionale

Page 12: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9GENNAIO 2011

le tendenzeDifferenze

I boccoli dorati e carnali di Anita Ekberg, il caschetto darke fatale di Louise Brooks, Brigitte Bardot con una caldaparrucca castana: mentre una mostra a Parigi celebral’importanza dei capelli nelle trame e nei personaggidel cinema, ecco come stilisti e make up artist decidonoil giusto abbinamento tra opposti modi di vivere

PARIGI

Quanti capelli, nella storia del cinema.Una trama lucente, inestricabile. Lachioma scolpita di Anita Eckberg sot-to la cascata della Fontana di Trevi. Lo

chignon di Kim Novak come un gorgo irresistibi-le. Il caschetto di Louise Brooks cucito addossoall’idea di peccato. Rita Hayworth, con i suoi ten-tacoli incendiari. Un tema solo all’apparenza fu-tile. «Parlare della capigliatura significa abbrac-ciare la storia dell’arte e delle nostre società»spiega Alain Bergala, commissario della mo-stra “Brune/Blonde” in corso alla Cinematecadi Parigi. Intorno alla contrapposizione tra bionde e brunesono costruite intere sceneggiature, un meccanismo col-laudato di Hollywood (e non solo) che muta e si evolve aseconda delle epoche. L’ingresso della Cinemateca è sta-to eccezionalmente ricoperto per l’occasione da unalunga chioma rossa, il colore che spariglia l’antico dua-lismo.

Bionde o brune: universi femminili separati, dueidee di donne. Nel primo Novecento i boccoli doratidi Lilian Gish sono l’immaginario rassicurante degliamericani, mentre la bruna Louise Brooks è la ten-tatrice. Negli anni Trenta, i ruoli si capovolgono. Labruna diventa la moglie virtuosa, la bionda l’a-mante seduttiva. «Comincia così l’imperialismodel biondo», racconta Bergala. Le casalinghe sco-prono le tinte a basso costo, è la rivoluzioneL’Oréal. Seduzione artefatta, ma come diceval’ex castana Marilyn Monroe a Truman Capote:«Sono una vera bionda, perché sono biondadentro». L’ideale platinato conquista il gran-de schermo. Alfred Hitchcock è il più feticista.In Vertigo, il protagonista è diviso tra unabionda e una rossa, entrambe interpretateda Kim Novak. Per Luis Buñuel, l’amore im-possibile in Quell’oscuro oggetto del desi-deriosono i lunghi capelli di Conchita chesfuggono tra le mani. Una delle scene piùfamose di Le Mépris di Jean-Luc Godardè Brigitte Bardot con una parrucca ca-stana. Nella mostra sono citati Anto-nioni, Bergman, Lynch. «Per questi re-gisti — continua Bergala — i capellidelle attrici sono portatori di simboli,armonie e relazioni segrete che si

diffondono nell’insieme del film». La mo-stra dedica uno spazio anche alle icone del cinema ita-

liano, quasi sempre castane, Sofia Loren, Claudia Cardinale,Silvana Mangano. Nel voluminoso catalogo viene ricordatal’importanza dei capelli nella pittura e in tutte le arti visive.Sin dall’antichità, ogni icona femminile è stata rappresenta-ta anche in questo dettaglio estetico.

«Una donna si glorifica della sua lunga capigliatura», scri-veva l’apostolo Paolo. Le novizie offrono i loro capelli a Dio,alcune donne musulmane li nascondono con un velo. La te-lecamera si perde tra i loro capelli, raccolti o sciolti al vento.«Nelle immagini digitali la capigliatura è la cosa più difficileda realizzare. La profondità, il movimento dei capelli è mol-to difficile da riprodurre al computer», dice Bergala. Un’am-missione di impotenza che nasconde una piccola verità. Ete-rei, fluttuanti, imprevedibili, complicati da sintetizzare in unfermo immagine. I capelli sono fatti della stessa materia deisogni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ANAIS GINORI

Due colori in testadue mondi, due look

BON TONScollo a trapezio,

e taglio in vita:

ecco un classico

dal sapore retrò

È l’abito nero

Dolce e Gabbana

perfetto per la bionda

che sceglie

il look bon ton

Repubblica Nazionale

Page 13: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 9GENNAIO 2011

“Sono una donna platinoè il mio stato dell’anima”

La stilista Donatella Versace

LAURA ASNAGHI

«Il biondo, o meglio il platino, èuno stato dell’anima. Io sonobionda dentro». Donatella Ver-

sace è una delle donne più platinate diquesta terra e ne è orgogliosa, ancheperché sostiene che questo è «il coloredelle donne che sanno osare e hannocarattere».

Donatella Versace quando ha deci-so di “svoltare”, passando dalla partedelle bionde?

«Ero una ragazzina, avevo quattordi-ci anni, e con la complicità di mio fra-tello Gianni, una notte siamo andatinella sartoria di nostra madre a ReggioCalabria e lì con un amico parrucchiereho iniziato la mia trasformazione. Pri-ma solo qualche meches, con mia ma-dre che mi diceva: “Ma sei impazzita?”.E poi, nel giro di qualche giorno, il colo-re. Totale».

Ma perché?«Perché il biondo era perfetto per il

mio modo di essere. Anche da ragazzi-na ero super-ribelle. Portavo certe mi-nigonne con gli stivali alti in vernice dafar venire le vertigini».

E dopo quella conversione non si èmai pentita?

«No, ho sempre coltivato questa pas-sione con la massima determinazione.Il biondo platino è una sfida. È un colo-re che non puoi far passare come natu-rale. Se lo scegli è perché vuoi dimostra-re al mondo chi sei. Io sono tosta, unadonna che non si piega. Prendere o la-sciare».

Ma così gli uomini si intimoriscono.«Peggio per loro se si intimoriscono.

Non sanno quello che perdono. Nellamentalità comune, le bionde sono don-ne fatali, bamboline da usare come so-prammobili. E anche un po’ stupide.Ma la verità è un’altra. Le bionde sonointelligenti, sanno il fatto loro. Basta

aver voglia di scoprirle».Per portare bene il biondo platino

che bisogna fare?«Una valanga di sacrifici. Perché è un

colore che richiede rigore, un fisicoasciutto, tonificato dagli esercizi fisici. Equindi dieta perenne. Voglio ricordareche io amo a tal punto questo colore chenel ’95 gli abbiamo addirittura dedica-to un profumo che si chiama Blonde».

Quante volte va dal parrucchiere?«A dire il vero è lui che viene da me. Al-

meno ogni due settimane faccio la tin-ta. Ma il biondo platino richiede curecostanti, con impacchi, balsami, olispeciali. Insomma, ti dà da fare, ma lesoddisfazioni non mancano».

Ma qual è l’età in cui bisogna dire ba-sta al platino?

«Per me mai. Fino a quando hai pas-sione per la vita e fino a quando hai vo-glia di fare ti puoi concedere tutto. Apatto però di rispettare le regole. Per es-sere biondo platino bisogna avere unaimmagine curata e perfetta».

Consiglierebbe questo colore a suafiglia?

«Mia figlia è contraria. Un giorno miha detto: “Ma mamma, ma ti immagi-ni!”».

Concludendo, essere bionde è unafilosofia dell’anima?

«Sì, è una scelta che va al di là di un co-lore e che ti impegna anche sul frontedella vita. Se poi tutto questo spaventa imaschi, significa che sono stupidi o chevivono di luoghi comuni».

Secondo lei, Gianni approverebbe?«Certo, non ho dubbi. Anzi, sono

convinta che lui mi spingerebbe a osa-re di più. Gianni era sempre avanti, ave-va un talento che gli permetteva di ve-dere e creare cose con larghissimo anti-cipo sugli altri».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

NATURESemplice e di sicuro

effetto l’abito Dior

liberamente ispirato

alla sahariana

che la ragazza bionda

fa scivolare sulla pelle

diafana. Look nature

GEOMETRICABizzarre geometrie

per la mise Miu Miu

che abbina il legging

alla casacca rigida

con scollo americano

E la bruna avanza

con passo deciso

SELVAGGIASembra uscita

dalla giungla, la Jane

in abito di chiffon

effetto leopardo

Per brune indomabili

Di Blumarine

TOTAL BLACKSguardo nascosto

da occhiali scuri

e tailleur Dsquared

nero indossato

con stivali

effetto guaina

Total black

ELEGANTEL’eleganza bionda

si presenta con l’abito

dalla gonna

a palloncino e la firma

di Antonio Marras

La linearità è spezzata

dai guanti shock

AUDACETrasgressione in salsa

rossa, è il diktat

di John Richmond

che all’abito corto

abbina in sfilata

audaci stivali rossi

con borchie

DANZANTEÈ firmato Versus

l’abitino-tutù in velluto

e seta plissettata

rossa. Un vestito

da ballerina, ideale

per le ragazze

dal volto d’angelo

Repubblica Nazionale

Page 14: Quando c’era - La Repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/09012011.pdf · la copertina Quando c’era il Pci Novant’anni fa con lo strappo drammatico dai socialisti,

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 9GENNAIO 2011

l’incontroProvocatori

‘‘

Quando ho fattola pecora in formalinahanno dettoche era disgustosaNessuno ha pensatoche fosse un lavorotriste e melanconicoma in fondoc’era anche quello

battuta. In fondo è quello che fa nei suoilavori: distillare temi universali in for-me ironiche e provocatorie. Il suo sen-se of humour è caustico e spiazzante, èun potente antidoto a una visione tragi-ca. Se lo segui, ti conduce in un corto-circuito affascinante scandito dal con-trasto fra luci e ombre. Come quellocreato dal teschio di diamanti, For theLove of God, esposto nella camera delDuca di Palazzo Vecchio, dove l’unicafonte di luce si rifrange nelle pietre pre-ziose. «Il teschio è sempre stato un og-getto enigmatico, molto semplice maallo stesso tempo disorientante. Ho unacasa in Messico, e negli ultimi anni neho visti moltissimi dato che lì celebranoil giorno dei morti con processioni di te-schi decorati. Sono ovunque. Ho sem-pre pensato che la decorazione è unagrande cosa da usare contro la morte.Per questo mi sono chiesto: cosa potreiusare? Qualcosa di esageratamente de-corativo, sgargiante, brillante. La rispo-sta è stata: i diamanti più puri».

Ne ha scelti 8.601 per 1.106 carati. «Ilteschio è qualcosa di dark. Isn’t it?», ri-flette. «Ma è anche brillante. Positivo. Tidà una speranza. La morte non ti avvisa,non aspetta che tu abbia un giorno libe-ro. Se ti chiedono di andare a pranzo lasettimana prossima forse è meglio direche non sei sicuro perché non sai maiquando arriverà il momento». Ride.

Il discorso slitta veloce fra pensieriseri e battute di spirito, in fondo ancorapiù serie. Hirst procede per intuizioni,lucide e precise, che distilla con ferreadeterminazione nelle sue opere. A ini-ziare da una delle prime, quella che l’hareso famoso, lo squalo, intitolato conun concetto molto chiaro: The PhysicalImpossibility of Death on the Mind of So-meone Living. «Il mio primo pensiero èstato al film Lo squalo di Spielberg, soloa pensare allo squalo ero terrorizzato,gli uomini sono terrorizzati quando so-no nel mare con uno squalo perché nonhanno il controllo. Volevo portare unosqualo in galleria. Ma era impossibile.Ho iniziato a pensare come fare. Volevocreare terrore». Fa una pausa e dice: «Hapresente le sculture di Richard Serra?Quando ci camminavo in mezzo da ra-gazzo avevo sempre il terrore che mifranassero addosso uccidendomi».Scherza di nuovo.

«A un certo punto volevo fare un qua-dro iperealistico dello squalo. Ma nonfunzionava. Poi ho pensato di portarneuno vero, in formalina. Il più grande eterrorizzante che fossi riuscito a trova-re. A quel punto si apriva la questione didove andarlo a prendere. Ho fatto ricer-che su ricerche. Ho stilato una lista deimigliori pescatori di squali dell’Austra-

lia. E poi ho scelto quello che mi sem-brava più promettente. Gli parlavo al te-lefono ogni giorno. Volevo sapere se l’a-veva trovato, se era riuscito a pescarlo.Alla fine l’ho comprato, al telefono perseimila sterline, e me lo sono fatto spe-dire a Londra. Cinque metri di squalo».

È il 1991, Charles Saatchi, il pubblici-tario, collezionista, compra il lavoro e loespone alla prima mostra della YoungBritish Artists Generation con i lavori ditutta quella tornata d’artisti del Gold-smiths, facendo la loro, (e la sua), fortu-na. Il resto è storia. «La mostra scatenòpolemiche su polemiche, non si puòimmaginare. Eravamo contenti perchéc’era anche un grande entusiasmo. Iopresentavo lo squalo che ha avuto un ef-fetto che è andato persino oltre le mie(notevoli) aspettative».

Con lo squalo parte un volano di cri-tica, pubblico, gallerie, musei. Nel 1997Sensation alla Royal Academy di Lon-dra consacra Hirst e l’intera generazio-ne da Tracy Emin a Sarah Lucas a suon

di proteste e manifestazioni, che ne am-plificano il glamour e le code fuori dalmuseo. «Il titolo dello squalo serviva adescrivere uno sguardo, un’intuizione,un pensiero. Era un modo scientificoper descrivere qualcosa che non si puòdescrivere. A quell’epoca ero moltoscientifico, volevo isolare i sentimenti...La scienza mi ha sempre affascinato.Per molto tempo ho letto solo libriscientifici, volevo fatti. Non mi interes-sava la letteratura».

Persino il suo studio di Londra, dovelavorano centoventi persone, si chiamaScience. «Ho costruito uno studio comeuna specie di fabbrica farmaceutica»,spiega. E poi ha fatto anche un ristoran-te arredato come una farmacia per cui hadisegnato ogni cosa: The Pharmacy, percinque anni, (il periodo in cui è statoaperto), il posto cool di Notting Hill. Mala sua passione per l’estetica medica ri-sale a molto prima, ai Cabinets, le vetrineche Hirst crea fin dai tempi del college.

«Quando sono arrivato al Gold-smiths amavo i lavori di Donald Judd eSol Lewitt, ero affascinato dall’esteticaminimalista, così essenziale, pulita,netta, mentre intorno a me vedevo unacomunicazione sparata, pop, sgargian-te, una pubblicità orribile e aggressiva.La medicina, invece, aveva un’esteticacosì minimale, controllata e bella, ti of-friva una speranza, sia nella sostanzache nella forma. Per molto tempo hodesiderato fare arte con quell’estetica.Poi quando ho visto gli aspirapolvere diJeff Koons nelle vetrine ho pensato: ok èlì, basta farlo. Basta prendere i medici-nali e metterli in galleria e così ho fatto».

Hirst è sintetico e diretto, ha un’ener-gia straordinaria, contagiosa, snocciolalavori, incontri e scontri, eccessi e svol-te. Parla dell’ultima svolta, quella più re-cente, il ritorno alla pittura. «Da giova-ne, prima del college, facevo dei bruttiBacon. Poi ho smesso. I quadri con ipunti, gli Spot Paintings, li dipingono imiei assistenti. Ma ora mi sono messo adipingere. Forse sono più tradizionale,faccio cose totalmente diverse, mi piac-ciono pittori espressivi come El Greco,Pontormo, Goya, Soutine, Rembrandt.E Francis Bacon, sempre più di tutti.Forse alla fine della mia vita finirò a di-pingere da solo, senza assistenti, com-pletamente sordo...». Ride di nuovo.

«Il punto è che si cambia, pensi cheora, a quarantacinque anni, inizia a pia-cermi la fiction, la narrativa, e la narra-zione. La pittura è narrazione, e mi pia-ce. È esattamente il contrario di ciò chepensavo dieci anni fa. I Cabinetsoggi misembrano vecchi, le medicine sonocambiate ed è cambiata l’estetica dellemedicine». È spiazzante come al solito.

«Comunque continuo ad avere ideepazze», rassicura, «come fare un appa-recchio per la Tac in marmo».

La sua logica non fa una grinza, e luisa perfettamente dove sta andando.L’ha sempre saputo. Verso l’arte. Daquando può permetterselo la collezio-na persino: ha cinque Bacon, fra cui unautoritratto, che adora, e poi de Koo-ning, Warhol, e moltissimi altri artisti.Ultimamente, ha ricomprato a suon dimilioni alcune sue opere vendutevent’anni fa a poche centinaia di sterline«L’arte riguarda l’esserci, qui e ora. Co-gliere il giorno. Cercare di cogliere la par-te migliore del giorno». Cinico ma ro-mantico. Ottimista e melanconico. «Nonpenso alla melanconia, provo a evitarla,ma la grande arte ha una venatura me-lanconica, è qualcosa che viene dopo, tunon la progetti prima, solo che c’è. Quan-do ho fatto la pecora in formalina la pri-ma cosa che hanno detto è stata che eradisgustosa. Nessuno ha pensato alla me-lanconia, che fosse un lavoro triste e tra-gico, ma in fondo c’era anche quello. Ec’era nei quadri con le farfalle, anche sesono così sgargianti e colorati».

Per Hirst la melanconia annuncia ilcambiamento, una condizione da co-gliere al volo, senza paura. «Non sai maiquando arriverà, ma quando cambi tisenti bene, ti senti sicuro, anche se lagente intorno a te non ci crede e dice chei tuoi lavori fanno schifo. Quando hoiniziato a lavorare con Jay Joplin di Whi-te Cube mi diceva “amo il tuo lavoro maperché fai quegli stupidi Spot Pain-tings?”. Tutti mi dicevano “ma perchéfai i punti? Richter fa i quadrati e tu fai ipunti”. Ora Jay mi dice “ho sempreamato i tuoi Spot Paintings …”».

‘‘

CLOE PICCOLI

FIRENZE

Tutto di lui è estremamenteinglese: l’accento, gli occhiazzurri, la carnagionechiara. È vestito con jeans,

maglione e giubbotto da biker, come telo immagini alla fine degli anni Ottantaquando da Leeds arriva a Londra per ri-baltare il panorama artistico. Eppureoggi, Damien Hirst, ex manovale, exstudente del Goldsmiths College allaLondon University, è fra gli artisti piùnoti e quotati al mondo, fra gli inglesipiù ricchi in circolazione. Il che non losposta di un millimetro dall’essere fe-dele a se stesso. L’arte per lui viene sem-pre prima. «Essere un artista non è unlavoro. Non è finzione. Lo sei e basta.Forse i lavori migliori gli artisti li produ-cono nei periodi più duri, quando nes-suno li considera. Quando devi impara-re a convincere gli altri che quello che faivale la pena di essere guardato».

Inquadrato dal camino di marmo delDuca Cosimo I de’ Medici nella Sala de-gli Elementi affrescata dal Vasari a Palaz-zo Vecchio, Damien Hirst si racconta.«Quando sei un artista affermato puoifare quello che vuoi» dice, «ma devi stareattento a non perderti perché tutti dico-no che tutto quello che fai è magnifico, enon è vero». Ci pensa e poi aggiunge:«Può non essere vero. I grandi artisti de-vono essere in grado di cambiare, di nonfermarsi mai. I miei eroi sono Francis Ba-con, Willem de Kooning, Joe Strummer,gente che non si è mai arresa».

Parla un inglese sincopato, e quandoil discorso cade su temi universali comela vita e la morte, sdrammatizza con una

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ex manovale, ex young britishartist della scuderia Saatchi,è fra gli inglesi più ricchidel mondo e le sue opere sono

tra le più quotateEsempio della suaarte tragica e ironica,il teschio di diamantiesposto a Firenze,una scultura-choc“Perché della vita

devi cogliere la parte migliore”,dice. “La morte non aspettail tuo giorno libero”

Damien Hirst

Repubblica Nazionale