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I QUADRISTORIA Melusina, Lilith, Arlecchino e Pulcinella. Tradizioni popolari sulla famiglia in Romagna, mito e teatro, nell’ambito delle contrapposizioni e collaborazioni nella lotta tra i sessi. (Parte Seconda) [Questo lavoro è un brano già pubblicato nel libro “Streghe, folletti e santi tra Romagna ed Europa. La cultura del fantastico in Romagna tra origini storiche e meccanismi antropologici”. (Ed. La Mandragora, Imola), per quanto qui modificato ed aggiornato in alcuni punti.] Come in altri casi simili, il cristianesimo tentò di sovrapporre i propri riti a quelli originari, o per lo meno di governarli 1 (ad esempio nel caso dei Krampos del Tarvisio la guida del gruppo è San Nicola). A volte il significato antico si è invece perso completamente, ed è rimasto solo l’aspetto più esteriore di questo fenomeno, come nella tradizione inglese dell’ Hobby horse, una corsa di cavalli che viene mimata utilizzando cavalli a dondolo o bastoni ornati di una testa di cavallo in legno scolpito. Con l’evolversi delle società umane il ruolo contemporaneo di “potere legislativo ed esecutivo” di questi gruppi, e che faceva rispettare leggi non scritte in maniera rigorosa, fu sostituito da organizzazioni sociali ufficialmente votate a questo scopo. La società organizzata cominciava ad avere una forza tale da riuscire ad imporsi con leggi scritte, e quindi poteva permettersi di fare a meno della paura della morte. Questo fatto, unitamente all’atteggiamento banditesco che avevano finito per assumere i cortei dei finti morti, finirono per emarginare questi gruppi e ad alienare loro il favore popolare; cominciò così un lento declino di un’istituzione che era servita egregiamente per secoli, e che comunque si mantenne viva in forme più o meno celate. Una di queste fu il Carnevale. Queste manifestazioni mantennero alcuni aspetti dell’antico corteo dei morti (l’uso delle maschere, i colori sgargianti, l’atteggiamento sguaiato, gli eccessi della tavola) ma soprattutto mantenne vivo il concetto di “tribunale etico”. 1 A.A. BARB - Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV – Einaudi, Torino, 1975.

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I

QUADRISTORIA

Melusina, Lilith, Arlecchino e Pulcinella. Tradizioni popolari sulla famiglia in Romagna, mito e teatro,

nell’ambito delle contrapposizioni e collaborazioni nella lotta tra i sessi. (Parte Seconda)

[Questo lavoro è un brano già pubblicato nel libro “Streghe, folletti e santi tra Romagna ed Europa. La cultura del fantastico in Romagna tra origini storiche e meccanismi antropologici”. (Ed. La Mandragora, Imola), per quanto qui modificato ed aggiornato in alcuni punti.]

Come in altri casi simili, il cristianesimo tentò di sovrapporre i propri riti a quelli originari,

o per lo meno di governarli1 (ad esempio nel caso dei Krampos del Tarvisio la guida del gruppo è San Nicola).

A volte il significato antico si è invece perso completamente, ed è rimasto solo l’aspetto più esteriore di questo fenomeno, come nella tradizione inglese dell’ Hobby horse, una corsa di cavalli che viene mimata utilizzando cavalli a dondolo o bastoni ornati di una testa di cavallo in legno scolpito.

Con l’evolversi delle società umane il ruolo contemporaneo di “potere legislativo ed esecutivo” di questi gruppi, e che faceva rispettare leggi non scritte in maniera rigorosa, fu sostituito da organizzazioni sociali ufficialmente votate a questo scopo.

La società organizzata cominciava ad avere una forza tale da riuscire ad imporsi con leggi scritte, e quindi poteva permettersi di fare a meno della paura della morte.

Questo fatto, unitamente all’atteggiamento banditesco che avevano finito per assumere i cortei dei finti morti, finirono per emarginare questi gruppi e ad alienare loro il favore popolare; cominciò così un lento declino di un’istituzione che era servita egregiamente per secoli, e che comunque si mantenne viva in forme più o meno celate.

Una di queste fu il Carnevale. Queste manifestazioni mantennero alcuni aspetti dell’antico corteo dei morti (l’uso delle

maschere, i colori sgargianti, l’atteggiamento sguaiato, gli eccessi della tavola) ma soprattutto mantenne vivo il concetto di “tribunale etico”.

1 A.A. BARB - Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV – Einaudi, Torino, 1975.

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II

I partecipanti, non più incaricati di fare rispettare le leggi del gruppo, si limitavano a ricordare alla comunità regole morali più antiche, che avevano più a che fare con la socialità, con l’arcaico spirito di collaborazione, la cui mancanza un tribunale ufficiale non può condannare, ma lo spirito popolare sì.

Le vittime dei lazzi di questo tribunale finirono per essere i ricchi che non aiutavano i bisognosi (successivamente i ricchi tout court), e tutti i casi che abbiamo ricordato parlando del corteo dei mamutones, dei muller, dei zaldikos , dei krampos , ossia tutti quei casi in cui il comportamento sociale diventa un modello da non seguire2.

Uno dei bersagli principali divennero coloro che detenevano il potere. Il momento di maggior diffusione di questo fenomeno si ebbe nel medioevo, quando il

cosiddetto “Carnevale dei folli” coniugava perfettamente le caratteristiche dell’attuale Carnevale con la denuncia del comportamento dei ricchi e dei potenti.

Arlecchino, qui in due immagini di diverso periodo, viene ricordato come uno dei capi del “corteo dei morti”, a causa del suo aspetto dalla maschera nera e dal suo nome, che deriva probabilmente dal tardo germanico Helle King (o “re dei morti”). Ricordiamo che anche Dante ricorda, nell’Inferno, un demone dal nome Alichino.

In quei giorni veniva eletto un“re dei folli”, presente anche negli antichi Saturnalia e nella

Festa Asinaria (per accentuare il concetto del rovesciamento solitamente la cavalcatura del re dei folli era un asino), chiamato a volte anche “papa” o “vescovo”, che aveva il privilegio di dire tutto quello che voleva, di denunciare soprusi e angherie, spesso protetto in questo anche dal suo stato di ubriaco (vero o presunto che fosse).

Era una inversione dei ruoli che durava pochi giorni, durante la quale i poveri si credevano ricchi e potenti, ed i ricchi accettavano questo stato di cose in quanto valvola di sfogo di una ira atavica che sapevano sarebbe rientrata alla fine della festa3.

Se la gente comune non si rendeva conto della valenza potenzialmente pericolosa di questo

fenomeno non altrettanto succedeva per artisti ed intellettuali dell’epoca, che presero a tramandare, attraverso le loro opere, quella che ritenevano una funzione sociale giusta ed importante.

2 A. DE GUBERNATIS - Storia comparata degli usi natalizi in Italia e presso gli altri popoli indoeuropei – Arnaldo Forni, 1985. 3 I. SORDI - Le dinamiche del Carnevale - op. cit., pag.108.

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III

Nacquero in quel periodo affreschi ed incisioni aventi come soggetto il “Carnevale dei folli”, la più famosa delle quali fu la Stultifera Navis di Sebastian Brandt, una serie di incisioni che avevano come soggetto i vizi e gli atteggiamenti prosaici dell’uomo, ma anche quella di Jerominus Bosch, che porta lo stesso titolo, e la xilografia del 1517 di G. Kaiserberg, meno nota, a significare quanto questo fatto incidesse nella cultura di quel periodo.

In quelle opere, in tempi in cui l’allegoria veniva ampiamente utilizzata, i volti deformi e ghignanti dei soggetti rappresentati rimandavano al caos, al momento in cui la natura non era ancora regolata da leggi umane ma sottoposta alle brutali forze della terra.

Va notato come Brandt abbia rappresentato una nave nell’opera del 1494 ma un carro in quella del 1497, pur lasciando inalterato il titolo, in entrambi i suoi lavori, di Stultifera Navis.

Forse perché già nei Saturnalia i Romani sfilavano su carri a forma di navi (carrus navalis), retaggio dei cortei nei riti consacrati a Dioniso, in cui il dio viene presentato come giunto dal mare a bordo di una nave, o forse perché era ancora vivo il ricordo delle scorribande dei finti morti che, forse con l’aiuto di carri, depredavano le derrate alimentari della popolazione.

Le opere di Brandt sono interessanti perché mostrano la figura del buffone, o del giullare, diretta emanazione del “re dei folli”, e che più di tutte diventò il testimone del dissenso sociale portato dall’interno contro i potenti.

E’ interessante anche notare come uno dei giullari (nell’opera raffigurante il carro) sia mostrato nella tipica postura a testa in basso che è la stessa della figura dei tarocchi, a testimonianza di quanto anche in quella forma dell’arte e testimonianza sociale che furono i giochi di carte il dissenso non viene dimenticato (riproponendo in forma allegorica il “rovesciamento dei ruoli”), nonostante le carte fossero una rappresentazione del mondo rigidamente diviso in ceti.

Ma l’immagine del folle è anche rappresentazione allegorica dell’incertezza della vita e simbolo della capacità di penetrare oscure e proibite conoscenze, come sapevano fare solo sciamani e stregoni. La nave e il mare, simboli di percorso iniziatico, rafforzano questo concetto.

Se la Stultifera Navis, seppure con finalità moraleggianti, è la rappresentazione di un mondo folle e burlesco, dove il terrore ispirato dai lontani cortei dei “vaganti sulla terra” era praticamente scomparso, la paura della morte non poteva essere così facilmente dimenticata, soprattutto in una società così intrisa di senso religioso come quella medievale.

A fare da contraltare religioso al fenomeno ormai decisamente laico dei lazzi dei buffoni nasce allora l’esaltazione della morte che si manifesta nell’arte con la “danza macabra”.

Con un’origine etimologica probabilmente araba (makabr significa cimitero in arabo) è la rappresentazione di un corteo, guidato dalla Morte rappresentata genericamente e classicamente come scheletro armato di falce, in cui sono coinvolti rappresentanti di tutti gli stati sociali, che reca il messaggio della caducità della vita, un’esortazione a ricordare cosa ci aspetta, un memento mori che indulge in un certo compiacimento della descrizione del disfacimento del corpo umano, dell’orrore della decomposizione.

E’ ancora una volta il tentativo del cristianesimo di gestire il fenomeno del tribunale morale, dove però è bandito l’aspetto buffonesco e tutto è ricondotto ai termini seriosi della religiosità ufficiale. Scomparso il lazzo, scomparsi gli accenni agli eccessi del corpo, scompare anche la critica al potere costituito: tutti sono uguali di fronte alla Nera Signora.

Apparsa per la prima volta come affresco nel Cimitero degli Innocenti di Parigi, nel 1424, opere analoghe si trovano in cimiteri, chiese, conventi praticamente di tutta Europa4.

4R. MANSELLI - I fenomeni di devianza religiosa nel Medioevo – Il Mulino, Bologna 1971.

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IV

In Italia particolarmente interessanti quelli della Confraternita dei Disciplini di Clusone o della Chiesa di S. Vigilio a Pinzolo; artisti come Dürer e Hans Holbein dedicarono diverse incisioni a questo soggetto.

I legami con il corteo dei finti morti ed il suo aspetto paradossale, sfrenato e liberatorio è indubitabile.

Giraldo Cambrese ricorda, nel suo Itinerarium Cambriae (sec. XII), un corteo dei morti che sfocia in un’estasi collettiva, e molto spesso gli scheletri che si uniscono ai partecipanti suonano strumenti musicali e trasformano il corteo in una vera e propria danza dal ritmo frenetico.

Su imitazione della danza macabra nacquero danze vere e proprie, come la farandola provenzale, la carola, la ronde, balli popolari nel Medioevo5; anche rappresentazioni teatrali di strada, come le tedesche fabulae funeraticiae, o le inglesi morality play, nascono come drammi liturgici originati dalla danza macabra.

Da queste rappresentazioni e dalla necessità di tramandare un certo tipo di insegnamento (ricordiamo quanto dice l’antropologo rumeno Mircea Eliade su mito, leggenda e rito) nascono sia il teatro profano, sia quello legato alle rappresentazioni religiose atte a confortare gli uomini in prossimità della loro morte, come gli exempla.

Avevamo parlato di una apparente indipendenza dei fenomeni della lotta tra matriarcato e

patriarcato e quello del corteo dei morti (o della “caccia selvaggia”). Quanto fin qui detto ci permette di capire dove si trovi il collegamento. Le ricerche storico-antropologiche hanno identificato nei capi del corteo dei morti sia

figure femminili (le stesse donne che detenevano il potere nelle società matriarcali, e che sono identificabili con Holda, Perctha, Herodiade, Madonna Oriente, ossia tutte quelle figure che verranno poi identificate come le reggitrici dei sabba satanici6), sia figure maschili.

Il collegamento prima citato sta proprio nel fatto che il passaggio dei ruoli del capo-gruppo da femminile a maschile va inquadrato nella lotta tra matriarcato e patriarcato.

Un esempio significativo di ciò è la sostituzione della figura femminile con una maschile, che è quella che poi diventerà la maschera di Arlecchino.

Quanto abbiamo detto identifica due dei ruoli della storia che ci siamo promessi di indagare: c’erano figure femminili predominanti alle quali che si contrapporranno con violenza ( e vittoriosamente) figure maschili; c’erano le amazzoni che si battevano con i centauri.

L’analisi che faremo di altre storie ci permetterà di identificare, oltre che al ruolo, anche gli attori.

Tra le tante storie di personaggi femminili che fanno parte del corpo delle tradizioni letterarie della cultura europea, due in particolare rappresentano i momenti estremi della divinizzazione – demonizzazione della donna, quella che da fata la trasforma in strega, due figure che sembrano legate da un filo comune, da un destino simile nel loro significato più cupo.

La storia di Lilith e quella di Melusina sono la testimonianza di un insuccesso nel rapporto tra uomo e donna, insuccesso che non dà adito a nessun tipo di speranza, e che, pur nelle differenze tra l’una e l’altra vicenda ci inducono a pensare quanto sia difficile la ricerca di

5 A. ROSSI - Le feste dei poveri – Laterza, Bari 1971, pag 177. 6 CARLO GINZBURG - Storia notturna: una decifrazione de sabba – Einaudi, Torino, 1989.

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V

Lilith in un bassorilievo sumerico

una soluzione di convivenza che sia ritenuta accettabile da entrambe le parti, un compromesso ideale a questa eterna “lotta”. Lilith, figura mitica ricordata generalmente in scritti religiosi apocrifi provenienti dall’area geografica che fu abitata dalle antiche popolazioni di cultura ebraico-mesopotamica, secondo tali testi era la prima moglie di Adamo, uomo che abbandonò non sopportando la sottomissione che il marito le aveva imposto. Adamo avrà poi da Dio un’altra moglie, Eva, più docile e sottomessa, mentre

La donna demonizzata diventa il serpente dell’Eden

Lilith finirà per diventare la compagna di esseri demoniaci, vivrà nel deserto, dove partorirà figli altrettanto demoniaci, e la sua attività preminente sarà quella di insidiare i neonati degli uomini per ucciderli nel sonno, succhiando il loro sangue.

Rivisitazione in chiave ottocentesca del mito di Melusina

Secondi altri autori è sempre lei, sotto forma di serpente, a tentare Eva, e quindi è la responsabile principale della cacciata della coppia dal Paradiso Terrestre; in altri testi viene identificata come la parte nascosta della luna (la Luna Nera), o con animali notturni, come il pipistrello e la civetta: c’è, in definitiva, una identificazione del personaggio con la parte più oscura e nascosta dell’umanità e dei suoi sentimenti, una delle tante

prove della demonizzazione dell’essere femminile. Più vicina ai nostri giorni è invece la storia di Melusina. Questo personaggio è presente in

diversi racconti medioevali, come il De Nugis Curialium scritto da Walter Map attorno al 1180, gli Otia Imperialia di Gervasio di Tilbury, risalente al 1210 circa; il più famoso è probabilmente il racconto narrato da Elinardo da Froidmont e dal riassunto che ne fece poi Vincenzo di Beauvais nel suo Speculum Naturae, all’incirca nello stesso periodo.

Gli estensori di questi testi mutuarono probabilmente questa figura da antiche divinità femminili della cultura assiro-babilonese, secondo una logica sinergica molto comune.

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VI

Pur con alcune differenze i testi raccontano tutti la stessa storia, quella di una bellissima e misteriosa dama conosciuta da un cavaliere in circostanze tragiche, che immediatamente se ne è innamora.

La donna acconsente al matrimonio purché l’uomo le conceda degli spazi privati (non deve cercare di vederla nuda, o mentre prende il bagno, o durante certe notti, non deve chiederle informazioni su suoi eventuali legami parentali, soprattutto riguardo alle proprie sorelle).

Dal matrimonio nascono numerosi figli e la coppia sembra destinata ad un felice futuro, ma alcune stranezze nel comportamento di Melusina (cerca di evitare l’inizio e la fine delle funzioni religiose, si sottrae all’aspersione con acqua benedetta, non assiste alla consacrazione dell’ostia, si astiene dalla comunione) insospettiscono i parenti ed il marito, che finisce per sorprenderla mentre si trasforma in serpente ( o in drago, o sirena, a seconda dei racconti).

L’uomo allora tenta di salvare la moglie da quella che ritiene una possessione demoniaca con le uniche armi che considera valide in questo caso, quelle della religione (l’acqua benedetta, l’esorcismo, la preghiera), ma il solo risultato è quello di far scomparire per sempre Melusina, e con lei la prosperità, anche materiale, che aveva assistito la coppia fino a quel momento.

La donna ritorna nella sua casa solamente durante la notte, per rivedere i propri figli, e in quelle occasioni può essere vista, ed i suoi lamenti uditi, solo dalle nutrici, cioè solo da altre donne.

Si è detto di similitudini e differenze in queste due vicende. La similitudine principale sta

nella triste fine, in entrambi i casi, del rapporto tra uomo e donna: il rapporto era iniziato molto bene (ne siamo sicuri nel caso di Melusina, meno in quello di Lilith; la collocazione dei testi relativi a questo personaggio, molto più lontana nel tempo, non ci fornisce dati oggettivi che ci permettano di avere identica sicurezza, ma la mancanza di indicazioni contrarie ci induce a ritenere che così fosse), ma finisce tragicamente.

Le due storie sono perciò la constatazione di un fallimento: una vita felice in comune tra uomo e donna non può esistere, perché inevitabilmente l’uomo tenta di sopraffare la donna, non le lascia spazi per sé stessa, per le proprie convinzioni personali, anche se si può ritenere che il messaggio che il racconto di Melusina voleva portare fosse quello della condanna della sopraffazione di un sesso nei confronti dell’altro, qualunque sia il sopraffattore; che in queste vicende sia l’uomo a voler sottomettere la donna è dovuto ad un incidente casuale, al dato di fatto oggettivo che la nostra civiltà si è evoluta, nella fase che stiamo attualmente vivendo, per logiche patriarcali.

Altra similitudine tra le due storie sta nell’accostamento donna-serpente (o donna-drago) che troviamo in entrambe le vicende e nel suo significato tipicamente femminile.

Sappiamo come nell’antichità le divinità femminili sono costantemente collegate a simboli quali l’acqua, il serpente e l’uovo; è noto che la divinizzazione della figura femminile assunse caratteristiche tali da collegare la donna a concetti quali la fecondità, l’abbondanza delle messi, ma anche ai luoghi umidi, oscuri, ai corsi d’acqua, e questo grazie al concetto della pioggia quale elemento fecondante della terra ricca di sostanze nutritive, acqua che disseta, acqua senza la quale non è possibile lo svilupparsi della vegetazione e la vita in genere: ossia è il simbolo immediato della fecondità femminile.

Quindi donne-serpenti, ossia donne nella concezione più elevata all’interno della struttura sociale, Lilith e Melusina hanno la possibilità di affrontare l’uomo in un rapporto di parità: ma

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VII

in questa parità terminano le similitudini e iniziano le differenze, e la maggiore differenza tra i due personaggi sta proprio nel diverso modo in cui la parità viene cercata.

Lilith è, fin dall’inizio, la controparte femminile dell’uomo: come lui vuole comandare, impone, anche in maniera violenta, le proprie scelte; al contrario Melusina è il completamento del marito, dà alla società quello che l’uomo non può dare.

Come ha fatto notare Jacques Le Goff7 in un suo saggio, la figura di Melusina può essere letta come l’immagine del “decollo economico” del medioevo.

Analizzando i testi relativi a questo personaggio lo storico francese ha chiaramente identificato quella che poi definì come la caratteristica “dissodatrice” di Melusina (“le radure si aprivano sotto i suoi piedi, e le foreste si trasformavano in campi”); assieme a questa una caratteristica “costruttrice” (“a seguito dei suoi viaggi nascevano roccaforti e città”), ed ancora una “demografica” (“fonte di numerosa prole”).

Quindi se si vogliono confrontare i due modi di rapportarsi con l’uomo non si può fare a meno di scoprire un approccio cooperativo nel caso di Melusina, mentre è di scontro nel caso di Lilith.

Le differenze dei due atteggiamenti finisce con il condizionare anche il sentimento del lettore. Lilith viene definita, dagli estensori dei testi apocrifi, una donna malvagia e chi legge si identifica con questa interpretazione.

E’ inevitabile riconoscere malvagità nella donna-demonio che uccide i neonati degli uomini, che si vendica di Eva spingendola ad infrangere il patto con Dio, anche se, alla luce della nostra sensibilità moderna, ci è un po’ difficile non riconoscere qualche scusante a Lilith, a causa di quello che era l’atteggiamento all’origine del problema: la volontà di avere con l’uomo un rapporto paritario.

Al contrario non si riesce a scoprire malvagità in Melusina. Nonostante la sua antropomorfia (metà animale e metà umana), nonostante la sua

refrattarietà, se non addirittura rifiuto, verso le pratiche religiose (che induce un forte sospetto di demonismo), non riusciamo a scorgere in lei quella malvagità senza motivazione alcuna che di solito identifica le forze demoniache, non possiamo fare a meno di commuoverci quando la immaginiamo gemente, vicino a figli che non possono vederla e che lei non riesce ad abbracciare.

In definitiva è una donna tradita, ingannata dal marito che non ha rispettato un patto che pure era stato chiaramente definito come fondamentale per il loro rapporto.

Le interpretazioni che sono state date a queste due vicende nel corso dei secoli passati si sono allineate, fondamentalmente, sulla scia della demonizzazione della figura femminile; questa ipotesi ha avuto il suo culmine nel medioevo, quando la caccia alle streghe fu solo l’aspetto più eclatante di un problema di rapporti sociali ben più profondo e complesso.

Nonostante le differenze che abbiamo esaminato le due storie furono accomunate nella figura della donna che, alleata di Satana, induceva l’uomo al peccato; Lilith e Melusina altro non erano che le attrici di un dramma già visto, quello di Eva e del Paradiso Terrestre, che questa volta si riproponeva sulla terra: dal Paradiso Terrestre al mondo reale con il peccato di Eva, dal mondo reale all’Inferno con quello delle donne-demonio, a completare una battaglia che veniva così definitivamente volgendosi a favore di Satana.

7 JACQUES LE GOFF - Tempo della Chiesa e tempo del mercante, e altri saggi sul lavoro e la cultura del medioevo – Einaudi, Torino, 1988.

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Eppure nonostante questa visione accettata pressoché globalmente dalla cultura dell’epoca, qualche segnale di interpretazione del ruolo femminile diverse da questa c’era stato; l’inevitabile differenza tra la visione della donna identificata come fonte del peccato e quella che vedeva invece in lei l’ispiratrice dell’”amor cortese” ci fa ritenere che, anche se perduto nei meandri del passato, ci fosse il ricordo di rapporti tra uomo e donna che a volte erano stati buoni, il ricordo di una vita vissuta in armonia ad allevare la prole e a coltivare i campi, assieme a quello di una vita di scontro e di tentativi di sottomissione dell’altro.

In questa ipotesi la storia di Melusina parte dal ricordo del momento felice ed approda all’”amor cortese”, quello di Lilith dallo lotta per la sopraffazione e conduce ai roghi delle streghe.

Perché, allora, anche il ricordo di un tempo felice, come quello narrato dalla storia di Melusina, si conclude in maniera tragica? Perché la “favola bella” si trasforma in tragedia? Ci saremmo aspettati un finale pessimistico solo nel caso di Lilith, la donna malvagia, proiezione delle tensioni e delle lotte tra uomo e donna. Perché due diversi miti antichi si sono concretizzati in due storie con un messaggio comune?

Il patriarcato non poteva rinunciare alla distruzione del mito matriarcale ed al tentativo di

far dimenticare quei forse pochi casi in cui il rapporto tra uomo e donna era stato equo e paritario, e nel al tentativo di far dimenticare il potere femminile demonizzò le donne ed i loro simboli (gli animali legati all’acqua, come i serpenti e i draghi) acquisirono una connotazione negativa.

La donna demonizzata, trasformata nel serpente abitatore delle zone lacustri, si trasforma in Romagna nella terribile “anguana” divoratrice di bambini, in Russia nella “rusialska”; le leggende irlandesi ricordano “Jenny denti verdi”, “Peg Powler” e innumerevoli altre figure che vivono nelle acque, per lo più stagnanti. Tutte queste figure hanno le stesse caratteristiche malvagie: odiano gli uomini e soprattutto la loro prole. Uccidono chi trovano nei pressi dei loro stagni facendoli affogare.

Il cristianesimo tentò di far dimenticare queste reminiscenze pagane trasformando le

divinità in esseri demoniaci: figure che già erano simbiotiche di un corpo umano e di uno animale divennero sempre più mostruose creando ibridi che univano il concetto della donna con quello degli animali che infestavano le paludi (draghi marini, serpenti d’acqua, sirene) e con animali che la cultura popolare accostava al demonio, come lupi, gatti neri, pipistrelli, draghi.

Il serpente, il più malvagio per definizione, quello che nel paradiso terrestre tenta Adamo ed Eva, mostrato in un dipinto dei fratelli Limbourg ha caratteristiche tipicamente femminili.

Se l’acqua è tipicamente legata all’immagine delle divinità femminili (e quindi nasceranno figure mitologiche come le ninfe degli stagni e dei ruscelli, le fate delle fonti e delle sorgenti, le

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dame dei laghi) fu proprio la sovrapposizione con la figura del serpente che finì per creare la donna-drago come un animale anfibio, o anche l’immagine della sirena: comunque immagini antropomorfe che avevano sempre a che fare con l’acqua.

La demonizzazione risultò abbastanza facile nel caso di Lilith, meno in quello di Melusina perché, inevitabilmente, ci deve essere stato qualche uomo che ricordava con nostalgia il periodo di collaborazione con le donne (se ci furono delle Melusina, disposte a concedere alcuni poteri agli uomini, ci furono probabilmente anche le loro controparti maschili).

Nonostante il potere del patriarcato si rafforzasse col passare del tempo diventava comunque necessario ribadire continuamente il concetto della donna-demonio, arricchendolo magari con particolari che dissuadessero dal tentare di ripercorrere quella strada: così Melusina viene rappresentata come una donna che rifugge la fede cristiana, i suoi figli sono tarati da gravi malattie, destinati alla morte precoce ed all’infelicità.

L’uomo dovette anche difendersi dall’accusa di tradimento (in definitiva era stato lui il primo a non mantenere il patto con la moglie) e si difese con una argomentazione che è tipica di un certo tipo di mentalità che spesso si riscontra nella mentalità paleo-cristiana: il suo peccato era meno grave di quello di Melusina, perché quello di lei aveva a che fare con il demonio, era un patto con il maggiore nemico di Dio.

Di fronte a questo ogni altra mala azione scompare, tanto grande è l’abisso tra di esse. L’operazione di demonizzazione di Melusina riuscì comunque solo in parte, e le differenze

che abbiamo identificato nelle due storie, e soprattutto il diverso stato emozionale che ne consegue, ne sono la prova.

Durante il periodo di tempo che ci separa dai fatti che diedero origine a questi miti la demonizzazione procedette tra alterne vicende e per differenti interpretazioni. L’uomo e la donna trovarono occasioni sempre diverse per continuare la lotta per il potere e le tracce le troviamo, oltre che nei miti ricordati, in tante altre manifestazioni della nostra cultura occidentale.

Vedremo come l’uomo tenderà ad emarginare sempre di più la donna, relegandola al solo ruolo di madre; nel caso in cui non vorrà (o non potrà) avere figli, il suo ruolo sarà quello della vergine o della monaca, anche questi ruoli subalterni in quanto anche nella Chiesa non avrà spazio (negli ambienti ecclesiastici si diceva “mulier taceat in ecclesia”, e Institor e Sprenger, autori del Malleus Maleficarum, fanno risalire il nome “femmina” al temine latino “fede minus” – colei che ha fede più debole). Anche in quei movimenti ereticali che avevano dato un certo peso alla donna si cominciò a notare, in particolare a partire dal XIII secolo, un sempre maggiore allineamento alla politica ortodossa cristiana8.

La caccia alle streghe fu probabilmente uno degli aspetti di questa lotta (anche se le motivazioni di questo fenomeno furono molteplici e abbastanza complesse e tra queste il rapporto matriarcato-patriarcato non fu, probabilmente, la più importante).

In alcuni dei racconti e dei miti che raccolsero il ricordo di questa lotta il messaggio fu abbastanza chiaro ed esplicito, in altre lo fu meno (basta ricordare la lotta di S. Giorgio con il drago). Anche fenomeni sociali, come la battaglia tra streghe e benandanti alla fine riconducono alla stessa origine: la donna alleata del demonio contro l’uomo difensore del proprio mondo.

Il ricordo della diversità dei due rapporti ( e dei due conseguenti diversi rapporti emozionali) dovette continuare a sussistere per molto tempo, e con esso il ricordo di un potere

8 G. KOCH - La donna nel catarismo e nel movimento valdese - in: Medioevo ereticale, a cura di OSVALDO CAPITANI, Il Mulino, Bologna, 1971, pag. 266.

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delle donne che fu definito “buono” in un caso e “malvagio” nell’altro. Quando il sentimento religioso spodestò il senso del magico rimase il ricordo di una magia buona e una cattiva (o “bianca” e “nera”): la lotta alle donne non poteva diventare una negazione assoluta della magia, pena la perdita di un importante fenomeno consolatorio.

E nonostante la lotta dell’uomo per demonizzare la donna non è neppure difficile pensare ad alcune società in cui le donne abbiano pensato, per evitare scontri sociali, di trasferire gradualmente il potere agli uomini e che questo fatto sia stato accettato da alcune di loro ( le “Melusina”), ed ostacolato da altre (le “Lilith”).

Il risultato potrebbe essere stato una forma di cooperazione fra uomini e donne ostacolata da forme di lotta, e il cui ricordo potrebbe essersi cristallizzato rispettivamente nei miti di Melusina (le donne che accettarono di cooperare con l’uomo) e di Lilith (le donne che ostacolarono questa forme di cooperazione) ; probabilmente non ci fu solo la lotta tra amazzoni e centauri, ma anche lotte tra le stesse donne, tra quelle che erano d’accordo nel passare la conoscenza agli uomini e quelle che non lo erano.

Artemide che uccide con una freccia Arianna, rea di aver aiutato Teseo, potrebbe essere un ricordo di queste lotte tra sorelle.

Abbiamo detto che se ci furono delle Melusina ci furono probabilmente anche le loro

controparti maschili, e lo stesso vale per Lilith. Ossia anche nel campo maschile possiamo rintracciare dei personaggi i cui comportamenti

li classificano tra coloro che cercarono una collaborazione pacifica con l’altro sesso e quelli che invece preferirono lo scontro.

Parlando del corteo dei morti abbiamo visto come alla primaria figura femminile di Hellequin (o Hollequin), regina degli inferi, figlia del dio Loki nella cultura antico germanica, emanazione del periodo matriarcale, se ne sostituì una maschile che finirà poi per cristallizzarsi nella figura di Arlecchino (anche Dante ricorda, nella Divina Commedia, un demone di nome Alichino), mantenendo però le caratteristiche demoniache (la maschera scura, a parodiare una faccia da demonio) di cui la principale è quella di scagliarsi contro i personaggi che non rispettano le regole della convivenza sociale.

Questo personaggio è esattamente il contraltare maschile di Lilith. Egli non cerca la collaborazione con l’altro sesso, scaccia l’omologa figura femminile e si

pone a capo del corteo dei morti ( e del conseguente “tribunale morale”). Anche il suo abito cambia. Se le più antiche tra le maschere della commedia dell’arte, derivazione del corteo dei morti,

indossano abiti dove il bianco è il colore prevalente, probabilmente dal colore del lenzuolo funebre o da quello delle ossa (e questo, come si è visto, era legato al bianco come colore della morte nel periodo matriarcale), in Arlecchino il concetto si capovolge.

Forse per reazione alle regole matriarcali, forse a causa della posizione di rilievo che occupava all’interno del corteo dei morti, forse per indicare i colori di un corpo martoriato (ossa, sangue, carne maciullata) come terribile monito di chi doveva interpretare il messaggio, il suo costume è ricco di colori.

Altra caratteristica della maschera è il bastone. Per quanto si inquadri perfettamente con le azioni che sono tipiche della funzione del

tribunale (che è sì un tribunale morale, ma che si ritualizza con azioni fisiche ben precise, come

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le percosse ai presenti), il bastone rimanda anche ad altre figure, come il mazzamaurello campano o il mazapégul romagnolo9, per le quali l’origine è quella tutoriale.

D’altro canto della figura tutoriale, legata al concetto di rito iniziatico10 e di protezione dell’iniziando sia attraverso la guida spirituale che con azioni fisiche anche violente (non dimentichiamo che anche oggi, nell’Italia del Sud, il termine “mazziare” significa colpire, ma lo si intende con finalità educativa), Arlecchino possiede le caratteristiche precipue, sia la già ricordata azione di tipo violento, sia per la “dispettosità” nei confronti dell’assistito (la durezza mascherata da dispettosità è una caratteristica tipica delle figure tutelari finalizzata all’addestramento dell’iniziando), sia la caratteristica di figura liminare, cioè al limite tra il mondo reale e quello degli essere sovrannaturali.

Queste caratteristiche sono molto antiche, in quanto più ascrivibile alle funzioni magico-religiose inerenti i riti iniziatici del neolitico che ai più tardi Lari e Penati della cultura romana, figure più tutelari che tutoriali.

D’altro canto questa doppia interpretazione, sia come capo del corteo dei morti che come spirito tutoriale, non deve stupirci, nel momento in cui ci rendiamo conto che la prima di queste funzioni altro non è se non la seconda proiettata sulla collettività anziché sul singolo.

Figura opposta è la maschera di Pulcinella.

Pulcinella rappresenta l’uomo che, al contrario di Arlecchino, tenta la collaborazione con la donna, anche se qualche volta sembra possa cedere a tentazioni maschiliste.

Pur nella sua origine di essere ctonio, legato alla terra nella sua manifestazione più estrema e infernale, quella tellurica e vulcanica (le leggenda lo dice nato da una eruzione del Vesuvio), c’è però in lui un

particolare attaccamento alla figura femminile non in sé stessa, ma nelle sue manifestazioni più allegoriche. Il suo amore per la Luna, espressione di Artemide e della femminilità, il suo particolare rapporto con la sirena Partenope (che invece era stata vinta da Ulisse, uomo, quindi, con caratteristiche più simili ad Arlecchino), vista nel suo legame con l’acqua e quindi ancora una volta con un simbolo femminile, il suo aspetto di “maschera doppia” quando viene rappresentato a cavallo di una vecchia (ambiguo ma significativo rapporto di unione con la metà femminile), ne fanno l’emulo maschile di Melusina.

Che d’altro canto anche lui faccia parte del tribunale morale non c’è dubbio: come Arlecchino la sua faccia è nera, come lui partecipa al corteo del morti, come lui anche in

9 RENATO CORTESI - Contenuti antropologici e culture europee nelle favole dialettali dell’area romagnola - , su: Società di Studi Romagnoli, Cesena, anno LII, 2004. 10 A. VAN GENNEP - I riti di passaggio – Boringhieri, Torino, 1981.

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Pulcinella esistono dei simboli che ne fanno una figura tutoriale (la gobba, segno identificativo dei “predestinati” a grandi cose, come dimostrato dai lavori di Ginzburg11), anche lui è una figura che compare in parecchie parti del mondo (il più famoso omologo della maschera napoletana è forse l’irlandese Punch) ma poi le somiglianze si stemperano: il suo abito rimane bianco, e con lui nel corteo compare spesso anche la “vecchia”.

Qualcuno ne ha anche tentata una interpretazione alchemica12, evidenziando la sua origine tellurica e l’aspetto scuro del suo volto (che rimanda alla nigredo) ma la sua aspirazione al bianco e alla Luna ( e quindi all’albedo), evidenziando una volta di più in questo desiderio di indagare i misteri della natura l’aspetto gilanico del personaggio; infatti Melusina è disponibile alla conoscenza, Lilith no.

Questo dipinto del pittore Donghi riassume le due opposte caratteristiche di Arlecchino e Pulcinella.

11 CARLO GINZBURG - I Benandanti: ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento – Einaudi, Torino, 1981. 12 M. MARRA - Il Pulcinella Filosofo Chimico. Uomini e idee dell’alchimia a Napoli nel periodo del viceregno” – Ed. Mimesis, Milano, 2000.