Quaderno di lavoro 2011

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Quaderno di Lavoro realizzato nell'ambito dell'iniziativa speciale "Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere"

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Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliereanno scolastico 2011 - 2012

QUADERNO DI LAVORO

QUARTA EDIZIONE

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Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere

Temi10 I 10 “Temi” dell’economia/finanza

Introduzione di Edoardo De Biasi

PresentazioneIl Quaderno di Lavoro 2011-2012di Federico Cartei

Reddito, risparmio e consumo nel ciclo di vita dell’individuo di Roberto Fini

L’istruzione e il mondo del lavoro

di Roberto Fini

Il lavoro e l’impresa di Federico Cartei

La pianificazione di entrate e uscitedi Roberto Fini

I consumi di Elide Sorrenti

I finanziamentidi Maria Cristina Quirici

I risparmi di Alberto Banfi

Gli investimentidi Federico Cartei

I tre pilastri della previdenzadi Maria Cristina Quirici

La protezione dai rischi di Enrico Castrovilli

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Si ringraziano per i contributi portati alla presente pubblicazione:

Alberto BanfiFederico CarteiEnrico CastrovilliEdoardo De BiasiRoberto FiniMaria Cristina QuiriciElide Sorrenti

Un ringraziamento particolare a Emilio Giannelli per la disponibilità e l’entusiasmo con cui ha realizzato le vignette per questa pubblicazione.

©Copyright 2011

by Osservatorio Permanente Giovani-Editori

progetto grafico e copertina: EssedicomEditing: Isabella Benfante

Stampa: Tipografia Contini, Sesto Fiorentino (Firenze)

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Introduzionedi Edoardo De Biasi

L’anno che si è appena concluso ha dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, la necessità di sviluppare negli italiani una semplice ma adeguata cultura finanziaria. La crisi dell’euro, le difficoltà delle Borse, l’allargamento dello spread tra btp-bund hanno portato al centro dell’attenzione termini che non facevano parte del bagaglio culturale della maggior parte delle famiglie italiane. Parole come subprime, agenzie di rating, default, etf, cds, derivati, prodotti strutturati, sono entrate nelle nostre case e improvvisamente abbiamo compreso il loro valore anche nella nostra vita quotidiana. In passato si era già evidenziata l’importanza di una istruzione finanziaria e, onestamente, si era anche fatto qualche passo in avanti, ma non c’era stato quel cambiamento di mentalità capace di imporre una formazione in campo economico. Una preparazione finanziaria che, occorre sottolineare, è ormai un elemento essenziale anche per la prosperità di un Paese. Ed è tanto più fondamentale se alla sua diffusione contribuisce un’azione comune tra tutti gli attori del sistema economico-industriale.Adesso, complice la crisi globale dei mercati, il vento sembra essere definitivamente cambiato e molte iniziative hanno preso e stanno prendendo corpo. L’opinione pubblica ha quindi cominciato quella lenta, ma ritengo inarrestabile, presa di conoscenza sul valore del risparmio. Non è un caso che, a livello europeo, l’educazione finanziaria stia assumendo un ruolo strategico per la crescita e la tutela dei cittadini. Sollecitati dalle raccomandazioni della Commissione Europea, si sono moltiplicati le iniziative e i progetti finalizzati a formare la cultura. E qui già si intravedono le prime problematiche. Da molte ri-cerche effettuate, emerge che in Italia il livello medio di conoscenze economiche non è adeguato alla scelta e gestione di servizi e strumenti finanziari, previdenziali e assicurativi. A questo limite fa da contraltare, però, una richiesta informativa sempre più forte. Una voglia di informazione che si fonda su tre considerazioni. La prima è la più scontata. Ogni persona nel corso della propria vita è chiamata a scegliere quanto risparmiare, come provvedere alla propria pensione o come sottoscrivere una polizza. È quindi necessario avere quella minima preparazione che ti permette di investire i tuoi risparmi, accrescendo i guadagni e minimizzando i rischi. La seconda riflessione è che le conseguenze di errori gestionali possono risultare pericolose per gli individui, ma devastanti per le famiglie. Gli esempi si sprecano. Il risparmio per la pensione può essere insufficiente a far fronte alla spese post-ritiro dal lavoro. Allo stesso modo l’ammontare di indebitamento familiare, magari a causa dell’uso superficiale di più carte di credito, può esplodere senza che i possessori se ne accorgano. Con la crisi dei mercati, gli effetti negativi sono diventati sempre più visibili, con l’inevitabile conclusione che la ricerca di contenuti in campo finanziario si è molto accentuata.L’ultima considerazione è che il sistema bancario e finanziario ha preso coscienza della necessità di sostenere l’alfabetizzazione dei risparmiatori. Una decisione che può sembrare ovvia ma che

risulta invece più articolata di quel che sembra. Prima di tutto bisogna capire che dal semplice mondo dei bot si è passati alla finanza globale. Negli ultimi anni infatti l’offerta dei servizi finanziari alle imprese e alle famiglie è cam-biata profondamente, nell’ottica di una crescente segmentazione e specializzazione. Questo significa che i radicali mutamenti in atto aumentano la complessità e la responsabilità nelle scelte finanziarie a carico della gente comune. È quindi necessario attivare e alimentare un nuovo fronte di alfabetizzazione che aiuti i risparmiatori ad acquisire le nozioni di carattere economico-finanziario indispensabili per gestire al meglio le proprie risorse. Certo, ma in che modo deve avvenire questo percorso di apprendimento? Il principio base è che l’accesso a queste informazioni avvenga a prescindere dall’età e dalle condizioni sociali. Questo è il punto di partenza. È però evidente che è meglio acquisire nozioni di finanza prima e non dopo avere preso delle decisioni. Questo fa capire il ruolo fondamentale della scuola. Nel mondo moderno capire i processi economici vuol dire comprendere come l’economia sia la cruna dell’ago da cui passa il filo della nostra vita. La scuola diventa quindi il momento cruciale per agevolare il processo di comprensione. L’economia non è più una parte della nostra vita ma un liquido che pervade tutte le nostre scelte, dal divertimento fino alla gestione della vecchiaia. La finanza non è più una scienza per pochi adepti e riservata solo ad alcune categorie sociali ma uno strumento per vivere meglio (o perlomeno non peggio). Proprio per questo motivo l’educazione economica non deve essere concepita come una semplice materia di studio ma deve diventare una nuova opportunità, una specie di lievito formativo, da integrare nei diversi gradi di scolarità per fornire ai giovani gli strumenti necessari alle scelte che dovranno compiere in futuro. A conferma di questo ragionamento basta prendere in esame le esperienze internazionali. I Paesi esteri confermano che la scuola costituisce il canale principale per veicolare l’educazione finanziaria e riveste un ruolo fondamentale perché, da un lato, permette di raggiungere una vasta fascia della popolazione, con riferimento a tutti i ceti sociali; dall’altro, agevola il processo di avvicinamento, o familiarizzazione, dei consumatori di domani ai temi finanziari. E questo prima che giunga il momento della vita in cui vengono effettuate importanti scelte economico-finanziarie. La consapevolezza nell’utilizzo del denaro e nella ge-stione del risparmio consente di costruire quel bagaglio culturale indispensabile allo sviluppo di cittadini responsabili, critici, capaci di capire e interpretare la realtà che li circonda e quindi muoversi con cognizione di causa. Ma come si impara o si insegna l’educazione finanziaria? Nonostante il dibattito sull’argomento sia sempre più vivace, finora emerge la difficoltà di definire un modello educativo e formativo condiviso. Non ci sono ricette certe. Esistono molte esperienze e sperimentazioni che non danno un quadro assodato. L’unica strada è, forse, quella di partire da una definizione, quasi unanimemente condivisa, formulata dall’OCSE nel 2005: «L’educazione finanziaria è il processo attraverso il quale i consumatori e gli investitori migliorano la propria comprensione dei concetti e dei prodotti finanziari e, attraverso informazioni, guide e/o comunicazioni obiettive, sviluppano le competenze necessarie ad acquisire una maggiore consapevolezza dei rischi e delle opportunità finanziarie, al fine di compiere scelte informate, di sapere dove rivolgersi per un aiuto e di intraprendere altre azioni concrete per migliorare il grado di benessere e di protezione finanziaria». Oltre a fornire tale definizione, l’OCSE sottolinea l’importanza di un adeguato livello di informazione che dia la possibilità ai consumatori e agli investitori di muoversi con sicurezza e consapevolezza in un mercato finanziario sempre più sofisticato e complesso, che tende inoltre a spostare sulle famiglie la maggiore responsabilità per i rischi assunti, senza però che tale maggiore responsabilizzazione sia accompagnata da un adeguato livello di conoscenza del meccanismo di funzionamento dei prodotti finanziari, specialmente di quelli più innovativi. E in questo contesto raccomanda pertanto agli Stati membri e alle istituzioni competenti di tenere nella dovuta considerazione i vantaggi che possono derivare da una maggiore alfabetizzazione finanziaria, anche in relazione all’andamento generale del In

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sistema economico ed alla prevenzione di situazioni di criticità prodotte dall’eccessivo indebita-mento delle famiglie. La seconda certezza è il ruolo e la formazione degli insegnanti. Il compito principale dei docenti, almeno per quanto mi riguarda, è formare giovani che riescano a diventare cittadini consape-voli. Capire e far comprendere le basi della finanza favorisce la presa di coscienza delle attuali dinamiche mondiali. Questo non vuol dire porre al centro l’economia ma creare una solida base su cui effettuare scelte individuali e collettive. Parlare di educazione finanziaria solo nelle scuole, comunque, non è l’unica strada. Di solito le scelte più importanti della nostra vita vengono prese in età adulta: quando andare in pensione e se trasformare o no in rendita la ricchezza previdenziale accumulata sono decisioni che ormai vengono prese dopo i 50 anni. Ecco perché all’estero, in vari Paesi, l’educazione finanziaria è un argomento che oggi si affronta anche in azienda. Un continuo cambiamento degli standard di welfare ci obbliga a un aggiornamento continuo. Pena gravi rischi in vecchiaia. Questa necessità di innovamento continuo non poteva lasciare indifferen-te l’industria finanziaria che, oltretutto, in questa fase vive un complicato momento di recupero di credibilità. Ormai capita spesso di sentire la famosa battuta di Mark Twain: «Un banchiere è un tizio che ti presta l’ombrello quando splende il sole e lo rivuole non appena ricomincia a piovere». Per invertire questa tendenza le Banche stanno facendo numerosi sforzi. L’obiettivo è ristabilire quel sano rapporto che è stato il vero cemento della loro crescita. E la prima mossa non poteva essere che quella di migliorare le modalità con cui si presentano al pubblico. L’educazione finanziaria diventa quindi un’occasione ideale per riguadagnare la fiducia dei risparmiatori. Sarebbe però sbagliato fermarsi qui. Il sistema creditizio ha realmente avvertito la necessità di una svolta per migliorare il livello educazionale, leva strategica per lo sviluppo della nostra società. Nessuno vuole nascondere la responsabilità di alcune Banche in vari crac (leggi Cirio, Parmalat, derivati) ma è evidente che la presenza di una cultura finanziaria avrebbe probabilmente limitato gli effetti negativi di alcuni comportamenti non corretti. Ma non è tutto. I radicali cambiamenti del mercato finanziario e l’accrescersi della sua complessità hanno messo in evidenza una vistosa asimmetria informativa rispetto ai consumatori. L’impatto che tale squilibrio può produrre sull’intero sistema è motivo di preoccupazione e attenzione per le istituzioni finanziarie, le organizzazioni internazionali e i governi di tutto il mondo. La necessità di dotare consumatori e risparmiatori di una maggiore cultura, oltre ad essere di beneficio per il cittadino, avrebbe un effetto di stimolo della domanda di prodotti e servizi finanziari e assicurativi di migliore qualità, con ricadute positive per l’industria in termini di maggiore efficienza, competitività e innovazione. L’insegnamento economico dovrebbe essere disponibile e attivamente sostenuto su base continuativa in tutte le fasi della vita. I program-mi di educazione dovrebbero essere calibrati sulle esigenze specifiche dei consumatori e a tal fine bisognerebbe effettuare preventivamente ricerche sul livello attuale di consapevolezza dei consumatori per individuare gli aspetti che necessitano di maggior approfondimento. Insomma, un cittadino moderno è anche un risparmiatore consapevole. Sottovalutare questo binomio vuol dire non aver compreso le sfide che il terzo millennio ci impone.

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IL QUADERNO DI LAVORO 2011-2012Gli investimenti delle famiglie ed il loro grado di cultura finanziariaÈ un dato di fatto che le famiglie italiane siano tra le più ricche al mondo: la loro ricchezza lor-da ammonta, a fine 2010, a 9 mila 732 miliardi di euro, al netto dei debiti che ammontano a circa 1000 miliardi, la ricchezza netta si attesta quindi intorno a 8 mila 700 miliardi, una cifra enorme pari a quasi 6 volte il PIL, 4,5 volte il debito pubblico e 7,8 volte il reddito disponibile, contro il 7,7 del Regno Unito, il 7,5 della Francia, il 7 del Giappone, il 6,3 della Germania ed il 4,8 degli Stati Uniti.La criticità di un così importante patrimonio sta nel gestirlo in maniera produttiva, in modo che incrementi il proprio valore nel tempo, con importanti conseguenze sull’aumento del potere d’ac-quisto delle famiglie e sull’impulso all’economia in generale. La realtà è che tale ricchezza risulta investita in modo molto prudente, per non dire inefficiente, tanto che nell’anno 2009 l’incremento della ricchezza patrimoniale delle famiglie è stato di 93 miliardi, e di questi solo 23 miliardi sono legati all’aumento di valore del patrimonio esistente (pari ad un misero rendimento dello 0,23%, contro un’inflazione allo 0,8%), mentre i rimanenti 70 miliardi sono dovuti all’accumulo di risparmio, pari al 13,5% del reddito disponibile, anch’esso tra i più alti nel mondo anche se in netto calo negli ultimi anni, con un minimo storico all’11,3% del secondo trimestre 2011, a causa della riduzione dei redditi dovuta alla crisi economica e al progressivo invecchiamento della popolazione.Tale patrimonio per il 57,8% è rappresentato da immobili, l’investimento per eccellenza per le famiglie italiane, per il 37,3% da attività finanziarie e solo per il 4,9% da attività reali come i beni delle imprese.Se consideriamo che, relativamente agli immobili, nei quali sono investiti ben 5 mila e 600 miliar-di di euro, circa il 6% è rappresentato da negozi, uffici o capannoni, il 4,3% da terreni ed il resto da abitazioni, di cui l’80% costituito da prime case e il resto da seconde case utilizzate saltuaria-mente, delle quali circa 1 milione e 200 mila cronicamente sfitte, capiamo come il rendimento di tale patrimonio sia molto ridotto proprio a causa della inefficiente strategia con cui viene gestito.Anche per quanto riguarda gli investimenti finanziari le famiglie italiane si confermano per la loro prudenza: dei 3 mila 600 miliardi di euro investiti, il 31,4% viene mantenuto in circolante e depositi a breve, il 19,8% in titoli di stato e obbligazioni, il 27,3% in azioni e fondi comuni, il 18,2% in riserve assicurative e previdenziali e il 3,43% in altri strumenti finanziari. Nel complesso la quota rappresentata dal capitale di rischio, azioni e fondi comuni, è poco sopra un quarto del totale, molto poco per pretendere un rendimento adeguato dal proprio patri-monio finanziario nel tempo, mentre risulta molto elevata rispetto agli altri Paesi la quota in titoli di stato ed obbligazioni, la maggior parte delle quali di origine bancaria.

Fanalino di coda degli investimenti delle famiglie italiane sono le attività reali, pari a 476 miliardi, investite per un quarto circa in beni di valore (quadri, gioielli, mobili di antiquariato) e solo 380 miliardi investiti in beni produttivi delle nostre imprese, valore sottovalutato a causa di valutazioni a costo storico nei bilanci delle imprese, ma dovuto anche al fatto che il capitale proprio finanzia in Italia solo il 12% degli attivi delle imprese (in Francia è il 30% e in Germania il 34%), mentre l’88% è finanziato dal debito.Questo spiega perché, di fronte ad un patrimonio delle famiglie elevato ma investito con una strategia così pruden-ziale e difensiva, in pratica inefficiente per il rendimento che produce, la crescita del nostro Paese si mantenga così bassa, e le conseguenze dell’elevato debito pubblico sull’economia si fanno sentire con conseguenze negative molto pesanti, mentre i benefici di una ricchezza privata così elevata, pari ad oltre quattro volte il debito pubblico, sono praticamente nulli per il benessere in generale.Durante la recente crisi economico-finanziaria tale superficialità nelle strategie di investimento delle famiglie, non solo italiane, si è manifestata in pieno, e per questo limite la necessità di una più ampia diffusione dell’educazione finanziaria viene avvertita a livello globale.Come risulta dall’indagine condotta periodicamente da Banca D’Italia sulle famiglie italiane, circa un terzo della popolazione non è in grado di leggere un estratto conto bancario, calcolare variazioni del potere d’acquisto, distin-guere tra diversi tipi di credito ipotecario e valutare il relativo rischio di interesse.Negli ultimi anni il progresso tecnologico, l’innovazione finanziaria e l’integrazione dei mercati internazionali hanno cambiato i mercati finanziari, ampliando la gamma di prodotti finanziari disponibili per la clientela, con un conse-guente aumento delle combinazioni di rischio e rendimento come mai avvenuto in precedenza.Questa innovazione non è stata accompagnata da una proporzionale crescita nelle conoscenze dei cittadini, nel mo-mento in cui i cambiamenti demografici e la riduzione delle tutele previdenziali hanno reso queste scelte sempre più vitali.Se l’individuo prendesse tutte le decisioni finanziarie ponderando in modo razionale le informazioni di cui dispone, la tutela dell’interesse del singolo cliente presupporrebbe semplicemente la trasparenza delle condizioni contrattuali applicate all’investimento proposto dall’intermediario. In tal modo infatti la conoscibilità e la comparabilità delle condizioni di offerta dovrebbero stimolare una domanda consapevole e la concorrenza tra gli operatori dovrebbe garantire la permanenza sul mercato di coloro che sono in grado di massimizzare il benessere dei consumatori, offrendo le condizioni economiche più convenienti. Purtroppo non è realistico presumere una piena razionalità nell’assunzione delle decisioni finanziarie da parte della gene-ralità dei consumatori: la complessità dei meccanismi alla base delle scelte individuali indirizza molto spesso verso solu-zioni non ottimali, mentre l’insufficiente confidenza con gli argomenti da affrontare conduce spesso a scelte non razionali.Ogni norma a tutela della clientela non avrà mai efficacia se gli utenti non hanno gli strumenti per effettuare scelte razionali e consapevoli, per tale motivo è fondamentale migliorare il modo in cui vengono prese le decisioni finan-ziarie e aumentare la comprensione dei rischi inerenti alle diverse operazioni; ciò è necessario per garantire ai citta-dini l’effettivo esercizio delle libertà individuali attraverso la rimozione degli ostacoli alla partecipazione alla realtà economica e sociale del Paese, in coerenza con i principi previsti dalla nostra Carta costituzionale.

La teoria del “ciclo di vita” di ModiglianiUn importante contributo al Quaderno di Lavoro di quest’anno è stato apportato dalla teoria del “ciclo di vita” dell’in-dividuo del premio Nobel Franco Modigliani, che ancora oggi è alla base degli studi sull’evoluzione delle variabili economiche “reddito, consumo e risparmio” in relazione all’individuo ed alla società in generale.

Presentazionedi Federico Cartei

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Tale teoria ha avuto le sue origini in situazioni economiche difficili come quelle attuali, cioè nell’immediato dopoguerra, quando sotto l’influenza della teoria keynesiana del consumo, che sosteneva che la spesa totale delle famiglie crescesse con il loro reddito corrente ma meno che proporzionalmente, si prevedeva una profonda stagnazione dell’economia perché, si diceva, i consumi sarebbero aumentati meno del reddito, provocando una carenza di domanda effettiva. Questa previsione si rivelò errata. Franco Modigliani fu uno dei protagonisti di quel dibattito assieme ad alcuni tra i migliori econo-misti del tempo, tra i quali Milton Friedman e James Duesenberry.In un articolo del 1954 Modigliani propose un modello di scelte del consumatore, basato sull’idea che le persone abbiano una forte preferenza per la stabilità del flusso di consumo nel tempo. I consumatori risparmiano parte del reddito per far fronte alle loro esigenze di consumo al termine dell’attività lavorativa, durante il pensionamento. Questa semplice idea, oggi generalmente accettata, è alla base della teoria del “ciclo di vita”: dopo una fase lavorativa iniziale durante la quale il reddito è limitato e viene consumato interamente, si inizia a risparmiare quando si dispone di un lavoro e di un reddito stabili e si continua a “mettere da parte” fino alla fine dell’età lavorativa, per poter spendere e finanziare le spese e gli investimenti anche da “vecchi”, quando quel reddito mancherà. È il ciclo di vita del risparmio, positivo durante la fase lavorativa, negativo durante il pensionamento.Il ruolo del risparmio è simile infatti a quello delle scorte in un’impresa: come queste hanno la funzione di stabilizzare la produzione, isolandola dalle variazioni stagionali della domanda, così il risparmio consente al consumatore di mantenere un consumo relativamente costante anche quando il reddito è variabile.

Il percorso del Quaderno di Lavoro lungo il ciclo di vita dell’individuo Dagli studi del premio Nobel Modigliani abbiamo attinto importanti spunti per poter approfondire l’andamento tipico delle variabili reddito, consumo, risparmio e investimenti durante tutto l’arco di vita dell’individuo, con lo scopo di aiutare gli studenti nelle scelte fondamentali che dovranno affrontare fin dagli anni della scuola. Con veste grafica rinnovata e molto accattivante, quest’anno il Quaderno è arricchito in ogni scheda da cinque domande finali a risposta chiusa, grazie alle quali poter verificare subito ed in modo concreto il grado di apprendimento del tema da parte degli studenti e magari confrontare le loro risposte prima e dopo aver affrontato la lezione, per evidenziare i progressi fatti e le co-noscenze acquisite grazie al lavoro svolto in classe. Nella prima scheda del quaderno di lavoro viene approfondita la teoria del “ciclo di vita” con la prospettiva di mettere in evidenza l’evoluzione delle problematiche economico-finanziarie che si presentano dalla giovane età fino al momento della pensione, filo conduttore di tutto il Quaderno (Roberto Fini, Scheda n. 1).La scheda successiva approfondisce il funzionamento del mercato del lavoro con relativi problemi e potenzialità: analizza domanda e offerta per capire quale percorso di studi affrontare per avere maggiori possibilità di accedere al mondo del lavoro in modo soddisfacente senza tralasciare

le proprie passioni e capacità. Si mettono in evidenza le caratteristiche delle offerte di lavoro tipiche proposte dalle imprese ai giovani dopo la conclusione degli studi, caratteristiche e utilità degli stages in azienda, dei master di appro-fondimento e sopratutto il grande valore rappresentato dalle esperienze di istruzione all’estero per favorire nei giovani un’apertura verso il mondo e formare le nuove generazioni al concetto di cosmopolitismo (Roberto Fini, Scheda n. 2).La terza scheda affronta l’alternativa tra intraprendere un’attività d’impresa o la carriera di lavoratore dipendente, le differenti motivazioni alla base delle due alternative, le tutele e le sicurezze del lavoro dipendente contrapposte ai rischi e alla gratificazione, non solo economica, dell’imprenditore: una scelta che va fatta in base alla propria natura e da ponderare bene perché decisiva per il proprio futuro (Federico Cartei, Scheda n. 3).Il singolo individuo e la famiglia, con le loro entrate ed uscite da monitorare continuamente, sotto il punto di vista finanziario sono paragonabili ad un’impresa. Affinché ogni individuo possa in ogni momento acquisire consape-volezza del proprio “budget” occorre avere a disposizione uno strumento che ci permetta di monitorare entrate ed uscite al fine di ottenere un equilibrio finanziario, di quantificare le risorse disponibili per la pianificazione, e gover-nare aggiustamenti futuri funzionali all’acquisizione degli obiettivi di vita. Lo scopo finale è quello di analizzare in dettaglio le voci del reddito e dei consumi nella loro struttura evolutiva, al fine di valutare e pianificare il risparmio secondo le finalità, tenendo conto della dinamica inflazionistica (Roberto Fini, Scheda n. 4).Il gradino successivo del nostro percorso prevede l’analisi dell’andamento delle principali variabili economiche du-rante la vita dell’individuo, ordinate secondo un ordine cronologico: iniziamo dai consumi, ovvero tutte le spese ne-cessarie alla costruzione della famiglia a partire dall’acquisto o dalla locazione dell’abitazione, al mantenimento dei figli, l’autovettura, i viaggi, l’aggiornamento professionale, con l’analisi dei principali strumenti di pagamento (Elide Sorrenti, Scheda n. 5), proseguiamo con i finanziamenti, ovvero le diverse forme di approvvigionamento di risorse per far fronte alle spese familiari in un momento di deficit finanziario, tipico dei giovani (Maria Cristina Quirici, Sche-da n. 6), e con i risparmi, ovvero le somme a disposizione che temporaneamente eccedono, grazie ad una gestione oculata, le spese familiari e che è possibile poter “parcheggiare” in strumenti finanziari di pronta liquidabilità, con lo scopo di mantenerne il potere d’acquisto nel tempo al riparo dall’inflazione, in attesa di effettuare nel prossimo futuro le spese preventivate (Alberto Banfi, Scheda n. 7), senza poter tralasciare gli investimenti, ovvero l’acquisto di immobili o strumenti finanziari con un’ottica di medio-lungo termine, con somme che eccedono in modo stabile i bisogni familiari e che possono essere vincolate più a lungo con lo scopo di ottenere un incremento del capitale nel tempo, tenuto conto del profilo di rischio di ogni individuo (Federico Cartei, Scheda n. 8).La prospettiva di una riduzione delle tutele dello Stato dal punto di vista previdenziale ci obbliga ad affrontare il tema pensionistico sin dai primi anni di lavoro: prepararci subito a costruire una pensione che integri quella pubbli-ca aiuta a ridurre gli sforzi e ad incrementare la somma che andremo a percepire al momento opportuno, con una serie di vantaggi fiscali e di alternative interessanti per non rimanere all’improvviso spiazzati nel momento in cui non percepiremo più lo stipendio (Maria Cristina Quirici, Scheda n. 9).Per non vanificare la pianificazione economico-finanziaria effettuata durante tutto l’arco della vita a causa di un im-previsto riguardante il proprio patrimonio, il proprio reddito o la propria famiglia occorre tutelarci dai rischi di ogni natura, cui possiamo andare incontro, per mezzo di coperture assicurative che oggi ci aiutano ad affrontare ogni tipo di avversità: con l’ultima scheda andiamo a definire la migliore strategia di protezione tramite l’individuazione dei rischi che si corrono, la valutazione del loro possibile impatto economico e l’analisi delle coperture più efficaci ed efficienti per ottenere la stabilità economica oggi e nel futuro (Enrico Castrovilli, Scheda n. 10).

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Sul tasso di risparmio in picchiata pesa anche, rileva la Confcommercio, l’invecchiamento della popolazione. E la dimostrazione della famosa tesi del ciclo di vita di Modigliani. Con il passare degli anni il futuro si accorcia e diminuisce la propensione delle persone a mettere soldi da parte. Inoltre il pensionato, avendo un reddito certo, sente meno il bisogno di risparmiare di un giovane. Tuttavia la recente evoluzione del mercato del lavoro dei giovani, che in teoria sarebbero più propensi ad accantonare risorse per periodi di magra o per il futuro, non compensa, in Italia, l’attitudine degli anziani a risparmiare poco. Le ultime generazioni hanno subito infatti una forte flessibilizzazione del lavoro e per molti della “generazione mille euro” è complicato fare risparmi. Tuttavia c’è un ultimo aspetto che Guiso invita a considerare attentamente. «Le liberalizzazioni – spiega – hanno fatto sì che negli ultimi vent’anni sia diventato più facile accendere un mutuo o prendere un prestito o comprarsi dei beni a rate». In sostanza, non c’è bisogno di accumulare un gruzzoletto prima di affacciarsi a uno sportello bancario, come accadeva sino agli anni Settanta-Ottanta. E anche la diffusione del credito al consumo non è arrivata i livelli degli Stati Uniti, ma «è stata rilevante». Infine, come spiega Emanuela Scarpellini nell’intervista, gli italiani non rinunciano più, ormai, ad alcuni beni considerati una volta superflui. Un dettaglio fondamentale che spiega perché non riuscendo più a mettere da parte i soldi e non riuscendo a guadagnare di più, gli italiani non abbiano tirato la cinghia. Dal 1992 ad oggi i consumi delle famiglie sono aumentati invece quasi del 18 per cento. In cima alla lista spiccano i telefonini. Secondo la Fondazione Hume, il loro consumo è aumentato tra il 1995 ed oggi dell’358,1 per cento. Notevoli anche gli aumenti degli acquisti di medicine il 134,5 per cento negli ultimi quindici anni. Tra i beni cui gli italiani sembrano aver invece voltato le spalle si evidenziano gli “oli e grassi” (–16,5 per cento), un riflesso dell’attitudine degli italiani a mangiare meglio, i libri (–17,1 per cento) e i “giornali ed articoli di cancelleria”. Quest’ultima voce è precipitata del 24,3 per cento. L’unica speranza, per gli aficionados dei giornali di carta è che la quota di crollo degli “articoli di cancelleria” potrebbe essere consistente.

Appunti

Nel crepuscolo degli dei che è la storia dell’economia italiana più recente scompare anche il mito dei “popolo delle formiche”. Ieri Confcommercio ha certificato la fine della leggenda del popolo cauto e un po’ diffidente, abituato a guardare con sufficienza i portafogli gonfi di carte al consumo o le altalene dei listini di Borsa che appassionano tanto gli anglosassoni. Sta sparendo un certo tipo di italiano, fiero della sua poco novecentesca attitudine a nascondere i milioncini sotto il materasso. Dal 1990, dall’anno dei Mondiali in Italia e della Riunificazione tedesca, i risparmio annuo pro capite degli italiani è precipitato del 60 per cento. Tuttavia, da qui a dedurne che siamo diventati un popolo di cicale, ce ne passa. Il crollo della propensione al risparmio non è voluto, nella maggior parte dei casi. Nell’anno dei Mondiali il futuro degli italiani doveva sembrare diffusamente radioso: riuscivano a risparmiare il 23 per cento, quasi un quarto del loro reddito. Invece, vent’anni dopo non solo sono più poveri, ma anche meno capaci di mettere da parte i soldi. Il tasso di risparmio è crollato a meno della metà, al 9 per cento. In altri termini, negli ultimi vent’anni il risparmio annuo pro capite degli italiani è passato dai 4000 euro di ieri ai 1700 di oggi. Se da un lato sparisce dunque il mito del popolo delle formiche, non si attenua invece la tradizionale passione per la casa. Per Confcommercio un terzo delle famiglie «ritiene l’investimento in immobili la principale forma di utilizzo – soprattutto a fini cautelativi – del surplus monetario». La diffidenza, insomma, per tutto ciò che non è il mattone, resta. Tra i fattori che hanno determinato un’erosione della capacità di risparmio, Confcommercio ne mette in risalto principalmente due. La prima è «la stagnazione del reddito disponibile». Come ha sottolineato spesso anche il governatore della Banca d’Italia, i redditi dei lavoratori dipendenti, in termini reali, sono addirittura più bassi rispetto a quindici o vent’anni fa. Secondo Luigi Guiso, economista dello European University Institute di Firenze, «il problema è che il reddito non cresce da vent’anni perché cresce poco la produttività - dal ‘95 ad oggi si è addirittura azzerata». Nello stesso periodo la Germania o gli Stati Uniti continuavano a beneficiare di incrementi di produttività del 2,5 per cento. «Se fossimo cresciuti a quei ritmi – chiosa Guiso – oggi avremmo il 35-40 per cento di produttività in più. E i redditi delle famiglie ne avrebbero certamente beneficiato». Ampliando lo sguardo: negli ultimi anni l’Italia è cresciuta notoriamente poco e «senza crescita, non c’è risparmio», osserva l’economista.

29 Marzo 2011

TELEFONINI E MEDICINE SVUOTANO IL PORTAFOGLIO DELLE FAMIGLIE ITALIANEConfcommercio: dal 1990 i risparmi crollati del 60%di Tonia Mastrobuoni

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Ci si potrebbe aspettare che nel lungo periodo le fasi negative siano annullate da quelle positive e quelle di recessione rappresentino solo parentesi in un trend di crescita sostanziale. Se si pone attenzione al grafico 1, questa visione sembra essere plausibile, anzi la più plausibile: nel lungo periodo il trend di indicatori quali il reddito pro-capite sono caratterizzati da una buona crescita.La questione è però drammaticamente più complessa: dopotutto nessuno vive così a lungo per vedere annullate le variazioni di reddito che possono interessarlo; come ebbe a dire J.M. Keynes nel 1923: «nel lungo periodo saremo tutti morti!»3. Mentre, occorre aggiungere, nel breve periodo siamo tutti vivi! La grave recessione che colpì molti Paesi fra gli anni ’70 e ’80 del Novecento è quasi invisibile nel grafico 1. Ma se si prende in considerazione solo quel periodo ci si rende conto dell’entità del problema (grafico 2).

Graf. 2 – Il PIL pro-capite tra gli anni ’70 e ’80. Fonte: elaborazione su dati www.ggdc.net

Occorre tenere conto delle particolari condizioni in cui ci si trova a vivere nel momento in cui si verifica una recessione: se si è un giovane lavoratore, che ha appena avuto un figlio o che ha intenzione di mettere su famiglia, anche un breve rallentamento del trend positivo può costituire un problema serio. Negli ultimi anni il problema si è fatto particolarmente serio: la gran parte dei Paesi, Italia compresa, sta vivendo dal 2007 una difficile situazione economica che ha precedenti soltanto se paragonata alla crisi del 1929. E non sembra che da questa situazione si possa uscire in tempi brevi. Inoltre la situazione mondiale sembra essere caratterizzata da uno spostamento dei pesi economici a vantaggio delle economie emergenti e a danno delle economie “mature”. Per l’Italia il problema è particolarmente serio perché la crisi si è innestata su un tessuto socio-economico già fragile e su un trend negativo, iniziato probabilmente verso la fine degli anni ’80 e dal quale non sembra che il Paese sia in grado di uscire, almeno non in tempi brevi.Occorre prestare molta attenzione alle trasformazioni che il Paese sta vivendo, anche perché non tutte sono ascrivibili

3 J.M. Keynes, La riforma monetaria, Feltrinelli, Milano, 1975, p.65.

Chiavi di lettura dell’articolo Nel 2007, lo stesso anno in cui iniziava la crisi che si sta vivendo ancora oggi, uno storico dell’economia pubblicava una storia economica d’Italia dal titolo emblematico: Ricchi per sempre?1 La domanda posta dall’autore poteva sembrare provocatoria e anche fuori luogo: la storia economica italiana, almeno fino ai primi anni ’90 del Novecento, è stata caratterizzata da un progresso costante sebbene non accelerato. Paesi come gli USA o il Regno Unito hanno sempre avuto un livello di reddito pro-capite superiore a quello italiano, ma l’Italia non si distanziava in modo sensibile dal dato francese o tedesco (grafico 1).

Graf. 1 – PIL pro capite di lungo periodo in alcuni Paesi.

La domanda posta nel titolo del libro è dunque giustificata: perché non ci si dovrebbe aspettare un progresso continuo e dunque un sempre maggior livello di benessere materiale? Ovviamente nessuno è così ingenuo da pensare che non possano esistere rallentamenti in questo processo, ma perché non ritenere che possa trattarsi di fasi temporanee, peraltro in genere compensate da altrettanti periodi di crescita accelerata? Oppure si è giunti ad un punto di non ritorno, nel quale l’Italia è pericolosamente in bilico? La tesi dell’autore del libro è anche più pessimistica: «La società italiana è sospesa. Da troppo tempo ormai vive una crisi profonda, di orientamenti, di identità ancor prima che economica. Può superarla, ovvero regredire come in passato le è accaduto. […] È di nuovo attuale – condizione ricorrente nella penisola – il configurarsi del problema economico come problema di crescita, col paese in bilico fra sviluppo e regresso».2

1 P. Ciocca, Ricchi per sempre? Una storia economica d’Italia (1796-2005), Bollati Boringhieri, Torino, 2007. 2 P. Ciocca, cit., p. 9 e p. 374.

di Roberto Fini

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capite italiano, benché in crescita negli ultimi trenta anni, è stato stabilmente inferiore rispetto a quello degli altri Paesi ad economia matura. Di qui la necessità di ricorrere sempre di più a quanto risparmiato in precedenza per garantirsi livelli di consumo adeguati e di intaccare il patrimonio familiare pur di mantenere lo status sociale che si ritiene appropriato.Si tratta di una condizione che occorre riconoscere come stabile e che si ricollega ai grandi cicli economici che caratterizzano la globalizzazione: da un lato, la produzione di beni si sposta verso Paesi nei quali il lavoro e in generale i costi di produzione sono più bassi, dall’altro, il tentativo di mantenere almeno parte dell’attività economica nei Paesi di origine provoca un tendenziale abbassamento dei redditi da lavoro. Ne deriva che i lavoratori di Paesi come l’Italia, ma questo vale per tutte le economie un tempo considerate “forti”, sono costretti ad accettare salari sempre più bassi e condizioni di lavoro precarie e flessibili5.Ma tutto questo ha ulteriori conseguenze: per la prima volta nella storia italiana, molti giovani vedono la concreta prospettiva di guadagnare meno dei loro padri e di avere una carriera meno stabile e garantita6. Un reddito da lavoro basso, alla fine della vita lavorativa provoca un trattamento pensionistico più modesto: se un lavoratore che va in pensione oggi, può aspettarsi un reddito non molto lontano dal salario percepito, un giovane che inizia oggi la sua attività lavorativa e che andrà in pensione fra trenta-quaranta anni sa già che la sua pensione non sarà superiore al cinquanta per cento del suo reddito da lavoro.Con questa magra prospettiva è facile che molti giovani restino nella famiglia d’origine il più a lungo possibile e che siano costretti a ricorrere a forme pensionistiche integrative per potersi garantire una vita ragionevolmente tranquilla una volta usciti dal mercato del lavoro. D’altra parte, con redditi da lavoro bassi l’unica strada percorribile diventa quella di usare il patrimonio familiare per arrivare alla fine del mese, per mettere su famiglia, avere un figlio, comperare casa, ecc. Una situazione senza vie d’uscita? Certamente si tratta di un passaggio cruciale, forse il più difficile della storia italiana e dei Paesi considerati fino a ieri “i ricchi” della terra. Il problema, alla fine, è semplice: come conciliare la globalizzazione, che è un processo ormai irreversibile, con la stabilità sociale e le condizioni di vita nei Paesi ricchi; ma la difficoltà è che vi sono Paesi ed aree del mondo che spingono per entrare in questo “club” esclusivo. In cambio offrono lavoro a basso costo e condizioni produttive molto allettanti.Detto così, la globalizzazione potrebbe sembrare un buon affare per tutti: i Paesi emergenti si offrono di fornire “low

5 Sulla globalizzazione e sull’aumento della flessibilità del lavoro sono stati spesi fiumi di inchiostro, sia per quanto riguarda le conseguenze positive sia, più spesso, in riferimento alle conseguenze negative. Sul primo aspetto una lettura interessante è costituita da M. Wolf, Perché la globalizzazione funziona, Il Mulino, Bologna, 2006. Per una rassegna di quanto scritto sulla globalizzazione si può utilmente leggere F. Bonaglia e A. Goldstein, Globalizzazione e sviluppo, Il Mulino, Bologna, 2008. Le conseguenze della globalizzazione sul lavoro umano sono esplorate in modo fortemente critico da L. Gallino, Il costo umano della flessibilità, Laterza, Roma-Bari, 2002. Sul tema generale delle conseguenze sociali della globalizzazione l’autore di riferimento è il sociologo di origine polacca Z. Bauman, che nelle sue opere mette in risalto l’apparente paradosso di una società sempre più in grado di comunicare a livello planetario con le difficoltà di far sentire parte di questa dimensione globale il singolo individuo: su questo tema si legga di Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano, 2000. Sempre sullo stesso tema, un’altra utile lettura è rappresentata da A. Touraine, La globalizzazione e la fine del sociale, Il Saggiatore, Milano, 2008.6 Come in alcuni casi accade, le condizioni concrete di vita e di lavoro delle persone sono dipinte con maggiore efficacia nei film: fermandosi ai contributi più recenti si veda Generazione 1000 euro, diretto da M. Venier. La vita in un call center, che per molti giovani sembra essere oggi uno sbocco lavorativo frequente, viene descritta in Tutta la vita davanti di P. Virzì. Un drammatico caso di sbocco lavorativo collegato alla precarietà è quello narrato nel libro di M. Mianiti, Una notte da entraineuse. Lavoro, consumi, affetti narrati da una reporter infiltrata, DeriveApprodi, Roma, 2005. In generale comunque sono sempre più diffusi i Mc job: lavori sottopagati ed estremamente precari, più o meno dichiaratamente rivolti alle giovani generazioni. In origine si trattava di lavori destinati ai giovani studenti che volevano guadagnare qualche soldo durante le vacanze estive, con il tempo il termine ha assunto un significato più ampio, legato ad un contesto nel quale una parte cospicua di lavoratori vive condizioni “stabilmente precarie”.

alla crisi del 2007, ma soprattutto perché le conseguenze di tali trasformazioni faranno sentire i loro effetti per molto tempo. L’articolo da cui prende lo spunto questa scheda mette in risalto nella premessa una di tali trasformazioni: gli italiani erano un popolo di formiche, con alti tassi di risparmio rispetto al reddito, superati soltanto dal Giappone (grafico 3).

Graf. 3 – Propensione al risparmio dell’Italia e dei Paesi OCSE (o OECD) e G8. Fonte: elaborazione su dati IMF

Un tasso di risparmio in diminuzione non è un dato di cui preoccuparsi eccessivamente, anche perché una minor propensione al risparmio è tipica di molte delle economie industrializzate e la scelta di risparmiare di meno si accompagna necessariamente a maggiori consumi4. Il grafico 3 presenta la situazione italiana in rapporto alla media dei Paesi OCSE e a quella del G8, cioè nei confronti di Paesi simili per quanto riguarda il reddito pro-capite e la struttura economica. C’è da notare che l’Italia era caratterizzata nel 1980 da un livello di risparmio molto alto; alla fine di un trentennio tutti i Paesi scendono nell’abitudine a risparmiare, ma l’Italia più degli altri.Ora, se gli italiani da formiche fossero semplicemente diventati cicale, il problema potrebbe non assumere una particolare rilevanza: le abitudini cambiano e la spinta ai consumi indotta dai meccanismi sociali tipici della nostra contemporaneità potrebbero spiegare senza difficoltà tali cambiamenti nei comportamenti. In altri termini: se si risparmia di meno perché si è deciso di consumare di più, le conseguenze sono una maggior domanda di beni e una maggiore occupazione per produrli. Inoltre, negli ultimi venti anni le Banche hanno messo sul mercato prodotti finanziari in grado di venire incontro alle esigenze creditizie di una platea di consumatori sempre più variegata. Il fatto è che il maggior consumo non è dovuto ad un potere d’acquisto più elevato: il PIL pro-

4 Con lo stile paradossale che lo caratterizzava, Keynes in un’occasione si spinse a scrivere: «Quando si risparmiano cinque scellini, si lascia senza lavoro un operaio per una giornata». La citazione è tratta da J.M. Keynes, Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano, 1968. Sempre Keynes nella sua opera più importante scri-ve: «In mezzo all’ondeggiamento di usi divergenti dei termini, è grato scoprire un punto fisso: che io sappia, tutti sono d’accordo nell’intendere per risparmio l’eccedenza del reddito sulla spesa per consumi»: in J.M. Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, UTET, Torino, 1971, p. 201.Re

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trasforma in denaro contante (solo se il proprietario la vendesse quel suo patrimonio si trasformerebbe in reddito): in altre parole, con la crescita del patrimonio non si fa la spesa. Ma la crescita del valore del patrimonio consente di indebitarsi e di mantenere inalterato il potere d’acquisto che altrimenti si sarebbe dovuto ridurre.Naturalmente l’indebitamento ha i suoi vantaggi, ma presenta anche notevoli rischi: consente di mantenere il livello di vita soddisfacente pur in presenza di un reddito in diminuzione, ma sposta in avanti il pagamento di quei beni acquistati grazie a mutui, prestiti personali e altre forme di credito. In condizioni normali una simile situazione è gestibile da un debitore accorto, cioè colui che evita di “fare il passo più lungo della gamba”. Ma non sempre le persone sono ragionevoli: la crisi che tuttora il mondo sta vivendo è nata nel 2007 dalla fragorosa deflagrazione della bolla immobiliare, a sua volta sostenuta dalla presenza di una quantità considerevole di mutui subprime che le banche americane avevano da tempo cominciato ad offrire a coloro che in condizioni normali non avrebbero potuto sostenere l’onere di un debito immobiliare.Così, quando i tassi di interesse cui erano agganciate le rate del mutuo hanno cominciato a crescere, molti debitori si sono trovati senza la possibilità di sostenere il maggior onere, e hanno smesso di pagare e le case, garantite da ipoteca a favore delle Banche creditrici, sono finite nelle mani della Banche stesse, le quali pensavano di fare un buon affare rimettendole su di un mercato i cui prezzi erano stati, fino a quel momento, in costante ascesa; ma a questo punto l’offerta di case cominciò ad essere sovrabbondante, mentre la domanda contemporaneamente andava diminuendo. Il risultato fu che le Banche si trovarono con case che non riuscivano a vendere o che vendevano a prezzi bassi, che non permettevano di rientrare rispetto a quanto avevano a suo tempo prestato. Da qui una crisi di liquidità che nel giro di poco tempo fece sentire i suoi effetti sia negli USA che nel resto del mondo, trasformandosi nella più crudele recessione dopo quella seguita alla crisi del 1929.Dalla crisi si uscirà, anche se nessuno sa dire quando e come8. In ogni caso dalle crisi si esce sempre. Ma il problema resta e per l’Italia è particolarmente serio, riportandoci al titolo del libro citato all’inizio di questa scheda: gli italiani saranno ricchi per sempre? Probabilmente no e se questa pessimistica previsione dovesse rivelarsi corretta, allora ciascuno dovrà fare i conti con il fatto che nei periodi di “vacche grasse” non si è tirata la cinghia in previsione dei periodi negativi.

8 Qui giova ricordare l’osservazione di Keynes sugli economisti, tanto più caustica se si pensa che proveniva dall’interno della professione: «Gli economisti si attribuiscono un compito troppo facile e troppo inutile, se, in momenti tempestosi, possono dirci soltanto che, quando l’uragano sarà lontano, l’oceano tornerà tranquillo» (Keynes, op. cit., p. 65).

cost” i beni, che vengono poi venduti ai Paesi che hanno il potere d’acquisto sufficiente per comperarli; in cambio i Paesi produttori ricevono reddito sufficiente per crescere, visto che il loro costo della vita è più basso. Ma, nel lungo periodo, quando però “saremo tutti morti”, il risultato sarà una svalutazione del lavoro nei Paesi ricchi: certo, se si riuscisse a produrre beni e servizi che incorporino più conoscenza e che quindi abbiano un valore aggiunto che i Paesi low cost non possono realizzare, allora il problema sarebbe, almeno in parte, risolto. Ma l’esperienza insegna che questo processo non è facile, anche quando si è consapevoli che potrebbe costituire l’unica apprezzabile via d’uscita.La difficoltà è che nel breve periodo siamo tutti vivi e che quindi ognuno deve trovare soluzioni che funzionino “qui ed ora”, o comunque in una prospettiva che si collochi nel ciclo di vita di ciascuno. Peraltro, il consumo che assicura soddisfazione agli individui e alle famiglie oggi è mediamente piuttosto costoso: si potrebbe fare a meno del cellulare? o di una connessione ad Internet? Magari si può rinunciare alla vacanza, ma i figli bisogna mandarli all’estero perché imparino una lingua, e così via7.È dunque difficile ridurre i consumi, anzi è probabile che essi quasi inevitabilmente tendano a crescere e ad impegnare sempre maggior reddito, il quale però scende o non aumenta. In sostanza, chi vive in Paesi come l’Italia guadagna meno di prima in termini reali, ma deve consumare e anzi deve consumare più di prima. È una situazione obbligata che però pone un problema: semplicemente, i conti non tornano, le merci a basso prezzo che la globalizzazione garantisce non coprono l’intera lista della spesa delle persone, che devono comperare anche beni e servizi prodotti in aree che non risentono del benefico effetto della globalizzazione. In altri termini, il vantaggio sui prezzi creato dalla globalizzazione e dalla produzione di beni low cost non è sufficiente a colmare il vuoto che si è creato tra i redditi da lavoro, che sono fermi o addirittura scendono, e il tenore di vita che vuole, deve, salire.A questo punto una domanda dovrebbe sorgere spontanea: d’accordo, il reddito scende e i consumi salgono, ma le persone ragionevoli ad un certo punto non dovrebbero essere in grado di fare quattro conti e di fermarsi? Occorre dire che essere ragionevoli quando si ha a che fare con consumi giudicati indispensabili non è così facile come sembra, ma c’è un’altra ragione più sostanziale che rende difficile uscire da questa situazione. È vero: il reddito scende, ma talvolta tale fenomeno è accompagnato dalla salita del valore del patrimonio, cioè il valore della casa di proprietà, delle azioni o obbligazioni possedute, ecc. Così in alcuni casi può accadere che ciascuno, invece di sentirsi più povero perché guadagna meno, si sente più ricco perché il valore delle cose che possiede cresce. Il problema è che l’aumento del valore della casa non si

7 In una recente intervista, P. Legrenzi, Ordinario di psicologia economica presso l’Università di Venezia, fa-ceva notare un comportamento interessante: «[…] Questa cosa dei cellulari è curiosa, ma anche un dato di fatto: oggi nessuno si sente povero se non va in ferie, ma non possedere un cellulare è quasi un peccato mortale, una colpa da espiare che potrebbe causare pesanti contraccolpi alla propria autostima. Tutti a telefonare ma anche tutti a farsi i lavoretti in casa e a spendere bene sul personale di servizio, come si chiamava anni fa». Legrenzi prosegue ricordando che «il Ferroviere di Pietro Germi, negli anni Cinquanta, ha la cameriera in casa eppure di telefonare non gliene importava nulla, forse neppure l’aveva il telefono. Oggi sarebbe impensabile il contrario, una colf al posto dello smartphone?»: in D. Lepido, Gli italiani risparmiano, con in tasca l’iPhone, “Il Sole 24 ORE”, 5 agosto 2011, p. 11.

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La Banca d’Italia conduce ogni due anni un’importante ricerca sui redditi delle famiglie italiane. Sul suo sito vengono pubblicati i risultati di tali indagini: www.bancaditalia.it/statistiche/indcamp/bilfait/boll_statAlcune notizie sulla vita e il lavoro accademico e di ricerca di F. Modigliani: www.economiascuola.it/formazione/pillole1/maestri1/franco-modiglianiIl sito del premio Nobel consente di leggere tutte le motivazioni e tutte le prolusioni dei premiati. Nel link la Nobel Lecture di Modigliani: www.nobelprize.org/nobel_prizes/economics/laureates/1985/Altre brevi informazioni sulla teoria del ciclo vitale di Modigliani: www.it.wikipedia.org/wiki/Franco_Modigliani

LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE

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Ciclo di vitaCrescita economicaPropensione al consumoPropensione al risparmioReddito pro-capiteSistema finanziario

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Traccia per l’attività in classeL’articolo proposto mette in evidenza alcuni nodi fondamentali dei sistemi economici contempora-nei. Di fronte alla crisi che il mondo sta vivendo, una delle dinamiche più drammatiche è quella relativa alla riduzione del tasso di risparmio delle famiglie: in un contesto nel quale i redditi di-minuiscono, o quanto meno non aumentano, l’unica soluzione che sembra accettabile per molte famiglie appare quella di intaccare il livello del risparmio.Partendo dall’articolo letto e dai contenuti della scheda, il docente può svolgere l’attività in classe, guidando gli studenti a rispondere ai seguenti quesiti, per chiarire la portata dei rischi che il mondo, e in particolare l’Italia, sta vivendo in relazione all’andamento delle principali variabili economiche.

1. Che cosa significa che sta scomparendo il “popolo delle formiche”?È evidente che si fa riferimento alla metafora contenuta nella favola della cicala e della formica. Come è noto, nella favola di Esopo adatta da J. de La Fontaine la formica è il personaggio virtuoso mentre la cicala rappresenta il comportamento imprudente, poiché non è consapevole dei rischi che il futuro può riservare e alla fine soccombe. Gli italiani sono stati per molto tempo delle “formiche”: come spesso accade ai popoli di origine contadina, sono stati abituati a tenere conto che il futuro è, per definizione, incerto e che la prudenza consiglia di affrontarlo con una riserva che consenta di evitare situazioni drammatiche nei momenti di recessione o anche solo di difficoltà.Nel corso del tempo tale abitudine degli italiani è venuta meno: mentre venti anni fa ogni fami-glia risparmiava poco meno di un quarto del suo reddito, oggi non si raggiunge il 10%. Le cause di questa riduzione sono molteplici, ma certamente ha contribuito a questa dinamica la crescita troppo lenta del reddito pro-capite: per mantenere il livello di vita cui si sono abituati, gli italiani hanno preferito intaccare il loro risparmio.

2. È davvero così? Il reddito pro-capite ha avuto un tasso di crescita inferiore a quello di altri Paesi? Da che cosa dipende la dinamica non positiva del PIL?Anche in questo caso le ragioni che hanno provocato una crescita lenta, e volte un ristagno, di indicatori quali il Prodotto Interno Lordo o il reddito pro-capite, non sono facilmente riassumibili e rischiano comunque di non far cogliere pienamente le dinamiche che hanno interessato il nostro Paese. Secondo quanto riportato dall’articolo, una delle ragioni è costituita dal ristagno della produttività: la produttività misura il prodotto per ora lavorata o per lavoratore e dunque costitu-isce un indicatore interessante per misurare l’efficienza di un sistema economico. In altri termini: se un lavoratore italiano produce in un’ora 100 bulloni e un operaio tedesco ne produce 110, a parità di salario percepito da ciascuno dei due lavoratori, quello tedesco è più produttivo di circa il 10% rispetto a quello italiano.

La storia recente dell’Italia è caratterizzata da una lenta erosione dei livelli di produttività e, dunque, da una perdita di competitività dei beni prodotti in Italia rispetto a quelli prodotti in altri Paesi. Questo effetto si è aggravato con l’irrompe-re sulla scena globale di attori come la Cina, l’India ed altri Paesi. I bassi salari pagati ai lavoratori nei Paesi emergenti consento una produzione a costi molto più bassi di quanto non si possa fare in Europa, e in particolare in Italia.

3. Che cosa significa che “senza crescita non c’è risparmio”?L’affermazione è meno scontata di quanto sembri: la crescita è senza dubbio il motore del risparmio. Solo quando un sistema economico cresce e produce quote via via maggiori di ricchezza è in grado di garantire benessere ma-teriale crescente e al tempo stesso quote di risparmio che, attraverso il canale finanziario, permettono alle imprese di disporre di quei finanziamenti necessari per gli investimenti. Al contrario: se la crescita ristagna, il circolo virtuoso appena descritto si trasforma in un circolo vizioso e il sistema tende ad avvitarsi su se stesso.Questo significa che la sequenza crescita-risparmio vale anche nell’altro senso: se si risparmia poco, e non vi sono forme alternative di finanziamento, le imprese possono trovarsi in difficoltà nel procurarsi quanto necessario per i loro investimenti. Questo produce un tendenziale ristagno dell’economia e la mancata crescita si avvita su se stessa.

4. Che connessione c’è con il “ciclo di vita” studiato da Modigliani?L’economista italo-americano F. Modigliani ha avuto un ruolo fondamentale nel rivoluzionare le teorie economiche del Novecento. Una delle sue scoperte più importanti riguarda la teoria del “ciclo di vita”, per la quale gli fu attri-buito il Nobel per l’economia nel 1985. A questo proposito risulta particolarmente interessante la Nobel Lecture dello stesso Modigliani in occasione della consegna del premio e che Modigliani volle dedicare al suo allievo, e soprattutto amico, Richard Brumberg, con il quale aveva elaborato molta parte della sua teoria nei primi anni ’50 e che morirà poco tempo dopo (vedi il sito www.nobelprize.org). La teoria del ciclo di vita di Modigliani suppone che il risparmio delle persone abbia un andamento “a campana” nel corso dell’esistenza individuale: si risparmia poco in gioventù, quando il reddito è relativamente basso, il rispar-mio è maggiore durante gli anni centrali della vita e poi ritorna basso dopo il pensionamento. La contemporanea presenza di salari di entrata nel mercato del lavoro bassi e di un marcato invecchiamento della popolazione assot-tigliano le fonti del risparmio e dunque riducono la disponibilità di liquidità necessaria per gli investimenti.Si possono condurre indagini empiriche di buona accuratezza sui comportamenti individuali in relazione al rispar-mio, utilizzando le indagini della Banca d’Italia e mettendo in relazione l’età degli individui campionati con il loro livello di reddito e di risparmio (vedi il sito www.bancaditalia.it). Ma un’indagine di tipo diverso si può condurre anche in famiglia: ogni studente potrebbe intervistare il proprio genitore o nonno riguardo al livello di risparmio e ai diversi periodi della vita durante i quali si è riusciti a risparmiare di più.

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FAQ DOMANDE E RISPOSTE

1. Che cosa si intende per propensione al risparmio?La propensione al risparmio misura il livello di reddito che non viene destinato ai consumi da parte un individuo o di una comunità. Tale misura è facilmente ricavabile attraverso il rapporto: s = S/Y, dove s è la propensione al risparmio, Y il reddito e S la quota di tale reddito accantonata per risparmi. Per esempio, se il reddito di una persona è pari a 1000 euro e il suo risparmio è pari a 100 euro, la propensione al risparmio è uguale a 0,1. Si osservi che la dimensione della propensione al risparmio è correlata con il livello dei consumi: nell’esempio precedente, se la persona risparmia 100 euro su un

reddito di 1000 euro, implicitamente ciò significa che avrà deciso di impegnare in consumi 900 euro.

2. Nel corso del tempo il risparmio è aumentato o diminuito?A livello globale il reddito a disposizione degli individui è aumentato costantemente a partire dalla seconda metà degli anni ’40 del Novecento. D’altra parte, la società dei consumi ha fatto aumentare a dismisura le “necessità” di spesa degli individui. Da qui una situazione paradossale: l’aumento dei redditi individuali dovrebbe generare maggiori quote di risparmio; in realtà è accaduto il contrario e la gran parte delle persone hanno oggi una propensione al risparmio più bassa rispetto al passato perché destinano quote crescenti del loro reddito per l’acquisto di beni socialmente giudicati come indispensabili (si pensi ai cellulari).

3. Il risparmio rappresenta un comportamento virtuoso?Gli individui risparmiano perché nella loro vita potrebbero dover affrontare periodi in cui quel risparmio potrebbe permettergli di superare momenti difficili. Da questo punto di vista la decisione di risparmiare rappresenta un comportamento prudente e raccomandabile. D’altra parte, il risparmio è reddito sottratto al consumo. “Troppo” risparmio potrebbe generare un paradosso economico: le banche avrebbero disponibilità abbondanti per cui avrebbero convenienza e possibilità di prestarlo a chi lo richiede; ma le imprese potrebbero non avere a loro volta interesse a chiederlo in prestito perché il basso livello di consumo (che è l’altra faccia della moneta) non garantirebbe loro di poter vendere quanto prodotto.

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1. Si supponga che un individuo abbia un reddito annuo netto di 22.450 euro. Egli ne risparmia 3500. Qual è la sua propensione al risparmio?a. 3.500b. 0,15c. 18.950d. 0,84

2. La teoria del ciclo vitale afferma che a. l’individuo tende a risparmiare di più durante la vecchiaia in modo da affrontare i problemi connes-si con l’età avanzatab. l’individuo tende a risparmiare di più durante la gioventù in modo da accantonare risorse sufficienti per le necessità della famiglia che vuole costruirsic. l’individuo ha comportamenti di risparmio uniformi nel corso della sua vitad. l’individuo risparmia poco durante la fase iniziale e finale della sua vita, mentre risparmia una quota maggiore del suo reddito nelle fasi centrali della vita

3. Tra il 2000 e il 2010 la propensione al risparmio delle famiglie italiane a. è diminuitab. è aumentatac. è rimasta più o meno costanted. non è calcolabile per mancanza di dati attendibili

4. In linea di massima, se la produttività di un Paese aumenta,a. si riduce il risparmio degli individuib. aumenta il risparmio degli individuic. non è possibile stabilire una relazione fra produttività e risparmiod. il risparmio resta costante

5. Che cosa si intende per produttività?a. la produzione complessiva di beni da parte di un individuo o di una comunitàb. la crescita economica di una comunitàc. la produzione di beni per unità di tempod. la produzione di beni da parte dello Stato

Soluzioni : 1b. - 2 d. - 3a. - 4b. -5c.

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2 L’istruzione e il mondo del lavoro di Roberto Fini

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avevano figli prima dei 30 anni – aggiunge Martone – oggi è l’esatto contrario: si studia di più, ci si laurea tardi, si rinvia l’uscita dalla famiglia d’origine e non si fanno più bambini». La percentuale di 25-34enni che vive ancora con mamma e papà è passata dal 10% al 30% del ’91, per “esplodere” al 41,5% di oggi e l’età del primo matrimonio è aumentata di sei anni rispetto al 1971. «In passato i giovani apportavano un contributo economico positivo alla famiglia – rileva il sociologo Enrico Finzi –, la situazione attuale è invece di emergenza: le famiglie erodono i risparmi per mantenere i figli, destinati così a perdere la propria eredità. Il rischio povertà è sempre più incombente, non solo tra i nuclei monoreddito del Sud ma anche al Nord, dove si assiste a fenomeni di downgrading sociale». A certificare la caduta della condizione economica delle famiglie sono i numeri: –2,9% la spesa media mensile familiare dal 2002 al 2009, con un calo quasi triplo (–8,1%) tra i single under 35 e del 6% tra le coppie giovani senza figli.

«È la fotografia di un Paese – commenta Pier Luigi Celli, direttore generale della Luiss – che ha smesso di progettare. I ragazzi di oggi si trovano impantanati in un contesto difficilmente leggibile: negli anni Settanta si viveva ancora sull’onda del Sessantotto, con tanta voglia di mettersi in gioco per cambiare le cose. Vent’anni dopo è iniziato il declino, lo yuppismo ha portato a un imborghesimento, a un’assuefazione al benessere da difendere a ogni costo, che ha prodotto conseguenze negative fino a oggi». Che fare dunque per uscire dal guado? «Bisogna insegnare ai ragazzi a intraprendere, a cercare la propria strada – risponde Celli –: la scuola non si può limitare a insegnare concetti, deve trasferire competenze». Ma non basta. «Servono incentivi alle retribuzioni legati al merito, insieme a una defiscalizzazione per i più giovani, oltre a una fiscalità di vantaggio alle lavoratrici madri» suggerisce Martone. Politiche strutturali «che guardino lontano – conclude Campiglio – per allentare quel freno a mano tirato che impedisce ai giovani italiani di crescere ed emergere in tempi rapidi».

Appunti

«Cours camarade, le vieux monde est derrière toi». Corri ragazzo, il vecchio mondo ti sta dietro. Quanti giovani d’oggi vorrebbero sentire questo slogan del Maggio francese per cancellare i contorni deformati di un presente incerto. Ripescare nella scatola della memoria uno dei motti simbolo della protesta giovanile di oltre 40 anni fa, per uscire dalle sabbie mobili di oggi.Senza lavoro e con titoli di studio spesso “inutili” sognano una casa e magari dei figli, ma restano fino alla soglia degli “anta” accampati in casa di mamma e papà. Il parallelo con i propri genitori è impietoso: rispetto agli anni Settanta oggi il tasso di occupazione dei giovanissimi con meno di 25 anni si è dimezzato, mentre la disoccupazione è triplicata (e addirittura quintuplicata tra gli under 35). Per non parlare dell’inattività, oggi oltre il 70%, quasi il 15% in più rispetto a 40 anni fa.

Il centro studi Datagiovani per Il Sole 24 Ore ha messo a confronto l’identikit delle nuove generazioni bloccando il fermo immagine su tre tappe: 1971, 1991 e oggi. «L’invecchiamento della popolazione è sotto gli occhi di tutti – osserva il ricercatore Michele Pasqualotto –: i giovani tra i 15 e i 24 anni sono ormai poco più del 10%: mentre nel 1971 gli anziani erano la metà dei giovani, ora sono una volta e mezza».Nonostante siano molti di meno rispetto al passato, la difficoltà a trovare un’occupazione si mantiene su livelli record. «È questa la grande anomalia – spiega Luigi Campiglio, ordinario di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – che evidenzia come la domanda sia scarsa e le retribuzioni basse». Gli stipendi degli under 30 al primo impiego superano di poco gli 800 euro mensili, secondo Datagiovani, e ristagnano da oltre un decennio al di sotto dei livelli degli anni Ottanta.Insomma, il fatto di essere in pochi non migliora le condizioni d’ingresso, anzi. Le cause? «Prima di tutto la crisi economica – risponde Campiglio – che ha ristretto le opportunità d’impiego soprattutto per i giovani, ma anche una struttura legislativa specchio di una realtà storica e di mercato generata dal baby boom che ormai non esiste più».

E poco conta che i giovani di oggi siano sempre più qualificati, con i diplomati triplicati rispetto al 1971 e i laureati passati dall’1% al 15 per cento. «Le aspettative di trovare un impiego in linea con il proprio curriculum – sottolinea il giuslavorista Michel Martone – si scontrano con l’offerta di contratti a tempo, spesso a bassa qualificazione: così aumentano lo scoraggiamento e l’inattività». La generazione Neet (Not in education, employment or training) conta ormai 2 milioni di proseliti. «Mentre negli anni Settanta i giovani lavoravano presto, si sposavano e

20 Giugno 2011

CONSUMI, FIGLI, LAVORO: LE RINUNCE DEI GIOVANIdi Francesca Barbieri

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e di mancati guadagni5 rappresenta un’opzione accettabile o è una scelta che non presenta particolari vantaggi per il giovane? Ovviamente, un più alto livello di istruzione può considerarsi una scelta positiva in sé: permette di fruire in modo adeguato delle ricchezze culturali, di risolvere problemi complessi, ecc.; inoltre, l’istruzione garantisce maggiori probabilità di inclusione sociale e di cittadinanza attiva. Su questi aspetti vi è un consenso unanime riguardo all’opportunità di scelte scolastiche successive all’obbligo. Ma le domande ulteriori sono: un più alto grado di istruzione rappresenta un buon investimento? In linea di massima, un laureato può aspettarsi un reddito superiore a quello di un diplomato? E ancora: chi raggiunge un titolo di studio elevato è maggiormente garantito contro il rischio di disoccupazione?Benché non possa considerarsi l’unico punto di vista, l’approccio economico al tema dell’istruzione rappresenta un campo di indagine particolarmente interessante. Gli economisti pensano all’istruzione come ad un investimento in un bene di tipo particolare: il capitale umano. Questo capitale è stato definito dal premio Nobel per l’economia Gary Becker come l’insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi. Come in tutti i tipi di investimento, agli economisti interessa valutarne il rendimento. A livello individuale vi è un’ampia evidenza empirica riguardo al fatto che le persone con livelli più alti di scolarità trovano lavoro più facilmente, hanno carriere lavorative meno frammentate e guadagnano salari più elevati. Peraltro, vi sono effetti dell’istruzione che non riguardano l’individuo, ma la collettività entro cui egli si trova a vivere. In altri termini, le scelte individuali dell’istruzione riguardo a variabili come il tipo di scuola da frequentare, l’iscrizione a gradi successivi dopo l’obbligo, ecc. si riflettono anche sulla società: gli economisti definiscono questi effetti come esternalità, cioè effetti esterni delle decisioni individuali. Per esempio, una forza lavoro maggiormente istruita, in media, presenta una maggiore efficienza produttiva e favorisce l’adozione di innovazioni tecnologiche: una persona può aver scelto di frequentare l’università per puro amore della cultura, ma il risultato ulteriore, esterno, rispetto alle ragioni che lo hanno condotto a quella decisione, è che il suo apporto ai processi produttivi sarà probabilmente maggiore e migliore rispetto a quello che avrebbe caratterizzato il suo contributo avendo un grado di istruzione inferiore. Esistono anche altri canali attraverso cui il capitale umano influenza il benessere individuale e collettivo: ad esempio, un maggior grado di scolarità riduce in modo sensibile i comportamenti criminali, riduce i comportamenti a rischio dal punto di vista della salute, favorisce un maggior grado di consapevolezza politica. Si tratta di effetti esterni molto importanti, che costituiscono la principale ragione per cui nel campo dell’istruzione si registra un forte intervento pubblico, benché differenziato in quantità e qualità a seconda del Paese preso in considerazione.La data di nascita dell’economia dell’istruzione e del capitale umano viene in genere ritenuta come ascrivibile ai lavori pioneristici di Schultz6 e di Becker7, nei primi anni ’60 del Novecento. C’è molto di vero in questa datazione: lo stesso termine capitale umano è entrato nella logica dell’analisi economica solo con Becker. In effetti questo autore afferma: «l’uso del concetto di capitale umano è così incontroverso oggi, che può sembrare difficile capire la diffidenza che negli anni ’50 e ’60 fu rivolta all’approccio collegato a questo termine. Lo stesso concetto

5 Sono rappresentati da quei costi che gli economisti classificano come costi-opportunità, cioè tutti quei costi rappresentati dalle rinunce da mettere in bilancio quando si opera una scelta: si pensi, ad esempio, al fatto che l’iscrizione ad un corso universitario si traduce inevitabilmente nel sacrificio di alcuni anni di reddito da lavoro. 6 T.W. Schultz, The economic value of education, Columbia University Press, New York, 1963.7 G. Becker, L’investimento in capitale umano: un’analisi teorica, in L’approccio economico al comportamento umano, Il Mulino, Bologna, 1998.

Chiavi di lettura dell’articoloL’articolo da cui prende spunto questa scheda dipinge una situazione drammatica per i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro: la crisi economica degli ultimi anni si è innestata su un trend negativo di lungo periodo, durante il quale le possibilità occupazionali a favore dei giovani si sono ridotte in modo progressivo. Gli aspetti più preoccupanti di una simile situazione sono quelli che elenca l’articolo: in primo luogo, le basse retribuzioni di ingresso nel mercato del lavoro non consentono di pianificare una vita indipendente rispetto alla famiglia di origine e la costruzione di una famiglia propria1; in secondo luogo, non sembra che il titolo di studio sia in grado di fornire garanzie occupazionali adeguate; in terzo luogo, e come conseguenza della situazione appena descritta, aumenta in numero di Neet2, cioè di giovani che sono al di fuori di qualsiasi circuito, sia formativo che lavorativo.Tutto questo ha importanti conseguenze, sia sul piano individuale che su quello sociale: si rischia di far percepire al giovane la situazione in cui si trova come permanente e comunque non facilmente superabile, generando sfiducia nel futuro con conseguenti comportamenti di chiusura individualistica e/o di fuga verso soluzioni che gli possono apparire come alternative accettabili3. Dal punto di vista sociale, la diffusione di atteggiamenti e comportamenti individuali può produrre conseguenze ancora più serie: il ritardo nella costruzione di una famiglia autonoma da parte del giovane è probabilmente fra le cause della ridotta natalità che caratterizza l’Italia più di altri Paesi; inoltre, l’entrata sul mercato del lavoro dopo i trenta anni di età denota una produttività inferiore, almeno per molte attività lavorative.Come detto, la perdurante crisi economica certamente non aiuta ad uscire da una situazione di pericolosa deriva, ma anzi rischia di rendere cronici processi negativi già presenti nel contesto italiano. A questo punto occorre chiedersi: studiare, conseguire un diploma o una laurea, è una scelta ragionevole e conveniente? Affrontare sacrifici in termini di costi diretti e indiretti4

1 Significativamente, lo IARD, un Istituto di ricerca sociale che si occupa in particolare delle tematiche legate ai comportamenti giovanili, nella sua ricerca quadriennale su tali temi fissa la “gioventù” in una fascia di età che va dai 15 ai 34 anni: solo dopo questa età, infatti, la maggior parte dei giovani sono usciti dal nucleo familiare di origine e si trovano in una situazione di autonomia, sia reddituale che familiare. Cfr. C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo, Rapporto Giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna, 2007.2 Come sottolineato nell’articolo, si tratta dell’acronimo della locuzione inglese Not in education, employment or training, cioè giovani che non studiano né lavorano, e neppure si trovano in una condizione di formazione professionale (stage, tirocini, ecc.). 3 Vanno considerati in questa direzione sia comportamenti ritenuti tradizionalmente “accettabili”, quali l’emi-grazione, sia pratiche quali “la raccomandazione”. Sia l’una che l’altra, però, producono effetti distorsivi: l’emi-grazione priva il Paese di preziose risorse umane, mentre la raccomandazione si traduce spesso nella collocazio-ne in un posto di lavoro di una persona non adeguata ad occuparlo per competenze e preparazione.4 Sono costi collegati alla scelta di iscriversi ad un corso post-obbligo le spese per l’iscrizione, quelle per i libri di testo, quelle di viaggio o eventuale permanenza presso la sede di studio, ecc.

di Roberto Fini

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in modo particolarmente significativo su tali scelte, per cui è necessario concentrare l’attenzione su di esse. Un modo efficace per misurare l’entità di tali variabili è costituito dalla comparazione internazionale di elementi quali i differenziali salariali o il tasso di occupazione. Nella convinzione della rilevanza di un monitoraggio attento delle dinamiche legate alle scelte di istruzione, l’OCSE11 da tempo conduce una ricerca annuale su tali temi. La tabella 1 presenta i differenziali salariali per livello di istruzione in alcuni Paesi nel 2008.

La tabella conferma l’indicazione secondo la quale, in linea di massima, decidere di proseguire gli studi rappresenta un buon investimento, sia per gli uomini che per le donne. In particolare, la scelta di proseguire gli studi dopo la licenza media superiore consente di aumentare il salario medio del 50% o più. Da questo punto di vista proseguire gli studi sembra essere un buon affare, anche se occorre tenere presente che le differenze, da Paese a Paese e per genere, sono rilevanti. In riferimento all’Italia, la tabella permette di osservare che il Paese si trova ad un livello intermedio, abbastanza vicino alla media OCSE, anche se occorre considerare la forte differenza che persiste fra uomini e donne. La tabella 2 prende in considerazione il trend nel corso degli ultimi anni dei guadagni in alcuni Paesi e fa scoprire che la tendenza resta costante anche se permangono le differenze tra i vari Paesi e l’impatto della crisi sembra farsi sentire.

11 La sigla OCSE (o OECD secondo l’acronimo inglese) sta per Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Si tratta di un’importante organizzazione internazionale che raggruppa circa quaranta Paesi caratterizzati da economie di mercato. L’OCSE svolge attività di ricerca sulle caratteristiche economiche e sociali dei Paesi che fanno riferimento all’organizzazione.

di capitale umano fu accusato di essere degradante perché trattava le persone alla stregua delle macchine. Trattare l’istruzione come un investimento invece che alla stregua di un’esperienza culturale fu considerato insensibile ed estremamente ristretto. Di conseguenza, ho esitato a lungo prima di intitolare il mio libro Capitale Umano e ho limitato il rischio facendo uso di un sottotitolo che ora non ricordo più. Solo gradualmente gli economisti, per non parlare di altri, hanno accettato il concetto di capitale umano come un utile strumento nell’analisi di vari temi economici e sociali»8.Peraltro, affermare che le scelte in campo di istruzione possano avere diverse sfaccettature e possano essere motivate da ragioni sia culturali che economiche sembra essere un fatto assodato, ma certamente c’è voluto del tempo perché tale fatto venisse metabolizzato nell’ambito delle scienze sociali a della stessa economia.Il rendimento privato dell’istruzione e quello sociale non necessariamente coincidono. Il rendimento privato si ottiene confrontando i benefici della scolarità (in termini di maggior reddito e minore probabilità di essere disoccupati) con i costi (in termini di mancato guadagno per gli anni di frequenza scolastica e delle spese dirette, quali le tasse di iscrizione e frequenza, i libri, ecc.). Il rendimento sociale ha caratteristiche del tutto diverse: i costi sono rappresentati dalle spese che il sistema deve sostenere per garantire un adeguato livello di scolarità (spese per l’edilizia scolastica ed universitaria, salari per i docenti e il personale, ecc.), mentre i benefici sono costituiti dai vantaggi in termini di maggiore produttività aggregata, di minori spese per la tutela della salute, per la sicurezza, ecc.9. In sostanza una popolazione più istruita garantisce una crescita economica maggiore e maggiormente equilibrata.In qualche modo, la relazione fra istruzione e crescita economica era stata già intuita dal fondatore della scienza economica, A. Smith, il quale scrive: «la differenza tra i talenti naturali degli uomini è in effetti molto minore di quel che si pensa; e, in molti casi, le diversissime inclinazioni che sembrano distinguere in età matura uomini di diverse professioni sono piuttosto effetto che causa della divisione del lavoro. La differenza tra due personaggi tanto diversi come un filosofo e un facchino di strada, per esempio, sembra derivi non tanto dalla natura quanto dall’abitudine, dal costume e dall’istruzione»10. È dunque interesse della società presentare al suo interno alti livelli di scolarità. Il problema è costituito dal fatto che non si possono obbligare le persone a frequentare la scuola oltre un certo livello: sarebbe assurdo, per esempio obbligare tutti giovani ad iscriversi all’università o a frequentare certi corsi invece che altri. Il problema è dunque legato a libere scelte da parte degli individui e tali scelte vengono da essi compiute prestando attenzione al rendimento privato, cioè ai vantaggi garantiti da un più alto grado di istruzione raggiunto: tanto maggiori sono questi vantaggi, tanto più vi sarà un incentivo ad ottenere una maggiore scolarità. E viceversa.È perciò necessario verificare l’entità del rendimento privato in modo da poter fare attendibili previsioni circa le scelte dei giovani e delle loro famiglie. Come detto, alcune variabili incidono

8 G. Becker, Il comportamento umano visto da un economista. Prolusione per il premio Nobel, in L’approccio economico al comportamento umano, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 456.9 È possibile valutare l’istruzione dal punto di vista del suo rendimento fiscale, confrontando la spesa pubblica e le mancate entrate correnti, derivanti dalla partecipazione scolastica, con le maggiori entrate fiscali future. 10 A. Smith, Indagine sopra la natura e le cause della ricchezza delle Nazioni, ISEDI, Milano, 1976, p. 19.

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Tab. 1Differenziali salariali per livello istruzione e genere in alcuni Paesi OCSE (n.i. 100: scuole medie iori) n.i. signi ca “numero indice” che è uguale a 100 per le scuole superiori. In sostanza: le prime tre colonne della tabella indicano i differenziali salariali per chi ha un titolo di scuola media inferiore, mentre le seconde tre colonne riguardano lo stesso differenziale per l’università. Il confronto si opera tenendo conto dell’indice 100 relativo al titolo di scuola superiore.Paesi Medie inferiori (25-64 anni) Università (25-64 anni)

m f m+f m f m+fFrancia 87 82 84 158 147 150Germania 97 80 90 163 158 167Italia 73 74 76 178 143 155Spagna 83 70 81 133 149 138Regno Unito 68 73 71 145 177 154USA 65 60 66 188 171 177Media OCSE 79 76 78 158 154 153Fonte: Elaborazioni su dati OCSE (2010)

Tab. 2 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008Francia Scuola media inferiore 84 84 n.d. n.d. 84 84 85 86 85 84 n.d.

Università 150 150 n.d. n.d. 150 146 147 144 149 150 n.d.Germania Scuola media inferiore 78 79 75 n.d. 77 87 88 88 90 91 90

Università 130 135 143 n.d. 143 153 153 156 164 162 167Italia Scuola media inferiore 58 n.d. 78 n.d. 78 n.d. 79 n.d. 76 n.d. n.d.

Università 127 n.d. 138 n.d. 153 n.d. 165 n.d. 155 n.d. n.d.Spagna Scuola media inferiore 80 n.d. n.d. 78 n.d. n.d. 85 n.d. n.d. 81 n.d.

Università 144 n.d. n.d. 129 n.d. n.d. 132 n.d. n.d. 138 n.d.Regno Unito Scuola media inferiore 66 69 69 70 68 69 69 71 71 70 71

Università 157 162 160 160 157 162 157 158 160 157 154USA Scuola media inferiore 67 65 65 n.d. 66 66 65 67 66 65 66

Università 173 166 172 n.d. 172 172 172 175 176 172 177Fonte: elaborazioni su dati OCSE, Education at a Glance 2010, www.oecd.org

Tab. 3 Tasso di occupazione per livello di istruzione 2008 (quota percentuale occupata della popolazione di età 25-64 anni)

Elementari Medie inferiori Medie superiori Università TuttiFrancia 46 67 75 80 71Germania 41 54 57 84 70Italia 32 62 74 81 63Spagna 49 67 74 83 69Regno Unito 51 52 84 88 78USA 56 58 73 83 75Media OCSE 47 61 74 85 72Fonte: elaborazioni su dati OCSE, Education at a Glance 2010, www.oecd.org

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Tab. 1Differenziali salariali per livello istruzione e genere in alcuni Paesi OCSE (n.i. 100: scuole medie iori) n.i. signi ca “numero indice” che è uguale a 100 per le scuole superiori. In sostanza: le prime tre colonne della tabella indicano i differenziali salariali per chi ha un titolo di scuola media inferiore, mentre le seconde tre colonne riguardano lo stesso differenziale per l’università. Il confronto si opera tenendo conto dell’indice 100 relativo al titolo di scuola superiore.Paesi Medie inferiori (25-64 anni) Università (25-64 anni)

m f m+f m f m+fFrancia 87 82 84 158 147 150Germania 97 80 90 163 158 167Italia 73 74 76 178 143 155Spagna 83 70 81 133 149 138Regno Unito 68 73 71 145 177 154USA 65 60 66 188 171 177Media OCSE 79 76 78 158 154 153Fonte: Elaborazioni su dati OCSE (2010)

Tab. 2 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008Francia Scuola media inferiore 84 84 n.d. n.d. 84 84 85 86 85 84 n.d.

Università 150 150 n.d. n.d. 150 146 147 144 149 150 n.d.Germania Scuola media inferiore 78 79 75 n.d. 77 87 88 88 90 91 90

Università 130 135 143 n.d. 143 153 153 156 164 162 167Italia Scuola media inferiore 58 n.d. 78 n.d. 78 n.d. 79 n.d. 76 n.d. n.d.

Università 127 n.d. 138 n.d. 153 n.d. 165 n.d. 155 n.d. n.d.Spagna Scuola media inferiore 80 n.d. n.d. 78 n.d. n.d. 85 n.d. n.d. 81 n.d.

Università 144 n.d. n.d. 129 n.d. n.d. 132 n.d. n.d. 138 n.d.Regno Unito Scuola media inferiore 66 69 69 70 68 69 69 71 71 70 71

Università 157 162 160 160 157 162 157 158 160 157 154USA Scuola media inferiore 67 65 65 n.d. 66 66 65 67 66 65 66

Università 173 166 172 n.d. 172 172 172 175 176 172 177Fonte: elaborazioni su dati OCSE, Education at a Glance 2010, www.oecd.org

Tab. 3 Tasso di occupazione per livello di istruzione 2008 (quota percentuale occupata della popolazione di età 25-64 anni)

Elementari Medie inferiori Medie superiori Università TuttiFrancia 46 67 75 80 71Germania 41 54 57 84 70Italia 32 62 74 81 63Spagna 49 67 74 83 69Regno Unito 51 52 84 88 78USA 56 58 73 83 75Media OCSE 47 61 74 85 72Fonte: elaborazioni su dati OCSE, Education at a Glance 2010, www.oecd.org

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partecipare al mercato del lavoro da parte di queste persone rispetto a chi invece è provvisto di titoli di studio bassi o medio-bassi e non (o non necessariamente) rifletta una domanda di mercato che privilegi i più alti gradi di istruzione.

Vi sono almeno due insegnamenti da trarre riguardo ai dati relativi alla relazione fra titolo di studio e esiti sul mercato del lavoro: il primo è che titoli di studio più elevati assicurano, in linea di massima, posizioni migliori sul mercato del lavoro, sia in termini di minor rischio di disoccupazione, sia come rendimento in termini di reddito da lavoro; il secondo è che, come tutti i mercati, anche quello del lavoro è condizionato dalle caratteristiche della domanda e dell’offerta, nonché dalla generale situazione economica. Questo significa che proseguire gli studi è in generale una scelta razionale, ma che non ci si può illudere che il raggiungimento di un livello di istruzione formalmente elevato possa in sé garantire una posizione occupazionale soddisfacente.Come è stato osservato di recente, «in Italia il tasso di rendimento privato dell’istruzione è pari a circa il 9 per cento, un valore superiore a quello ottenibile da investimenti finanziari alternativi (ad esempio in titoli) ed è lievemente superiore nelle regioni meridionali rispetto al Centro-Nord. [… Inoltre], nel lungo periodo, la maggior spesa pubblica necessaria a finanziare un aumento del livello di istruzione sarebbe più che compensata, specie nel Sud, dall’aumento delle entrate fiscali, a parità di struttura di prelievo, e dai minori costi derivanti dall’aumento del tasso di occupazione»12.Sostanzialmente, destinare risorse all’istruzione da parte dell’individuo (e della sua famiglia) assicura un rendimento che solo investimenti fortemente speculativi possono eguagliare. Trattandosi di scelte fatte oggi perché dispieghino effetti domani, presenta una componente di rischio legata all’obsolescenza delle competenze. Si tratta di un rischio da non sottovalutare sia da parte del singolo, quando sceglie che istruzione “comperare”, per quanti anni, ecc., sia da parte del policy maker, che si trova a dover progettare un sistema di istruzione che possa funzionare non solo hic et nunc, ma per un tempo sufficientemente lungo.Si tratta di compiti tutt’altro che facili ed esigono molta attenzione, ma il destino di una società e di un singolo sono affidati a tali scelte.

12 F. Cingano e P. Cipollone, I rendimenti dell’istruzione, in Banca d’Italia, Quaderni di Economia e Finanza, n. 53 – settembre 2009, p. 15.

Un altro indicatore utile per valutare la convenienza ad investire in istruzione è rappresentato dalla quota percentuale di popolazione occupata. La tabella 3 considera tale indicatore per gli stessi Paesi delle tabelle precedenti.

Se si prende in considerazione l’intero set dei Paesi OCSE il quadro non cambia nella sostanza: il tasso di occupazione delle persone di età compresa fra i 25 e i 64 anni con un grado di istruzione universitario è di oltre 10 punti percentuali superiore rispetto a quello delle persone che non hanno raggiunto neppure il diploma di scuola media superiore. Questa marcata differenza si accentua per le donne (fino al 15%) e per le fasce di età più anziane, probabilmente anche perché le persone meno istruite in genere entrano ed escono dal mercato del lavoro prima delle altre.L’Italia non fa eccezione in questa situazione generale; la tabella 4 presenta il dato relativo al tasso di occupazione dei laureati per l’Italia e per le ripartizioni geografiche in relazione al genere negli ultimi anni.

Il dato assume maggior interesse se si confronta il tasso di occupazione in base al titolo di studio (Tabella 5). La tabella conferma alcuni aspetti di carattere generale, per la cui interpretazione è necessario però fare almeno un’osservazione: è possibile che la maggiore probabilità di essere occupati per le persone con più alto livello di scolarità rifletta la più alta propensione a

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Tab. 1Differenziali salariali per livello istruzione e genere in alcuni Paesi OCSE (n.i. 100: scuole medie iori) n.i. signi ca “numero indice” che è uguale a 100 per le scuole superiori. In sostanza: le prime tre colonne della tabella indicano i differenziali salariali per chi ha un titolo di scuola media inferiore, mentre le seconde tre colonne riguardano lo stesso differenziale per l’università. Il confronto si opera tenendo conto dell’indice 100 relativo al titolo di scuola superiore.Paesi Medie inferiori (25-64 anni) Università (25-64 anni)

m f m+f m f m+fFrancia 87 82 84 158 147 150Germania 97 80 90 163 158 167Italia 73 74 76 178 143 155Spagna 83 70 81 133 149 138Regno Unito 68 73 71 145 177 154USA 65 60 66 188 171 177Media OCSE 79 76 78 158 154 153Fonte: Elaborazioni su dati OCSE (2010)

Tab. 2 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008Francia Scuola media inferiore 84 84 n.d. n.d. 84 84 85 86 85 84 n.d.

Università 150 150 n.d. n.d. 150 146 147 144 149 150 n.d.Germania Scuola media inferiore 78 79 75 n.d. 77 87 88 88 90 91 90

Università 130 135 143 n.d. 143 153 153 156 164 162 167Italia Scuola media inferiore 58 n.d. 78 n.d. 78 n.d. 79 n.d. 76 n.d. n.d.

Università 127 n.d. 138 n.d. 153 n.d. 165 n.d. 155 n.d. n.d.Spagna Scuola media inferiore 80 n.d. n.d. 78 n.d. n.d. 85 n.d. n.d. 81 n.d.

Università 144 n.d. n.d. 129 n.d. n.d. 132 n.d. n.d. 138 n.d.Regno Unito Scuola media inferiore 66 69 69 70 68 69 69 71 71 70 71

Università 157 162 160 160 157 162 157 158 160 157 154USA Scuola media inferiore 67 65 65 n.d. 66 66 65 67 66 65 66

Università 173 166 172 n.d. 172 172 172 175 176 172 177Fonte: elaborazioni su dati OCSE, Education at a Glance 2010, www.oecd.org

Tab. 3 Tasso di occupazione per livello di istruzione 2008 (quota percentuale occupata della popolazione di età 25-64 anni)

Elementari Medie inferiori Medie superiori Università TuttiFrancia 46 67 75 80 71Germania 41 54 57 84 70Italia 32 62 74 81 63Spagna 49 67 74 83 69Regno Unito 51 52 84 88 78USA 56 58 73 83 75Media OCSE 47 61 74 85 72Fonte: elaborazioni su dati OCSE, Education at a Glance 2010, www.oecd.org

super

Tab. 4Tasso di occupazione dei laureati per genere e area geogra ca (quota percentuale occupata della popolazione negli anni 2004-2010) 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

ITALIAm 86 84 84 84 84 83 82f 75 73 73 72 74 72 72m+f 80 78 78 78 78 77 76

Nord-Ovestm 90 87 87 87 88 88 86f 80 78 77 77 79 77 77m+f 85 82 82 82 83 82 81

Nord-Estm 89 87 87 88 88 85 85f 78 76 78 77 76 77 77m+f 83 81 82 82 81 80 81

Centrom 86 85 84 84 84 83 84f 76 75 74 74 76 74 74m+f 81 79 78 79 80 78 78

Sudm 81 79 79 78 79 77 76f 67 66 67 65 65 64 62m+f 74 72 73 71 71 69 68

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT (2011), Indagine sulle forze di lavoro, www.istat.it

Tab. 5Tasso di occupazione per titolo di studio, genere e area geogra ca (quota percentuale occupata della popolazione nel 2010)

Licenza elementare o titolo di licenza media inferiore

Diploma di scuola secondaria superiore Laurea Tutti i titoli di studio

ITALIAm 74 61 82 68f 57 33 72 46m+f 66 48 76 57

Nord-Ovestm 80 66 86 73f 66 42 77 56m+f 73 55 81 64

Nord-Estm 82 68 85 75f 68 43 77 57m+f 75 57 81 66

Centrom 77 64 84 71f 60 38 74 52m+f 68 52 78 61

Sudm 64 52 76 58f 39 20 62 30m+f 52 37 68 44

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT (2011), Indagine sulle forze di lavoro, www.istat.it

Tab. 4Tasso di occupazione dei laureati per genere e area geogra ca (quota percentuale occupata della popolazione negli anni 2004-2010) 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

ITALIAm 86 84 84 84 84 83 82f 75 73 73 72 74 72 72m+f 80 78 78 78 78 77 76

Nord-Ovestm 90 87 87 87 88 88 86f 80 78 77 77 79 77 77m+f 85 82 82 82 83 82 81

Nord-Estm 89 87 87 88 88 85 85f 78 76 78 77 76 77 77m+f 83 81 82 82 81 80 81

Centrom 86 85 84 84 84 83 84f 76 75 74 74 76 74 74m+f 81 79 78 79 80 78 78

Sudm 81 79 79 78 79 77 76f 67 66 67 65 65 64 62m+f 74 72 73 71 71 69 68

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT (2011), Indagine sulle forze di lavoro, www.istat.it

Tab. 5Tasso di occupazione per titolo di studio, genere e area geogra ca (quota percentuale occupata della popolazione nel 2010)

Licenza elementare o titolo di licenza media inferiore

Diploma di scuola secondaria superiore Laurea Tutti i titoli di studio

ITALIAm 74 61 82 68f 57 33 72 46m+f 66 48 76 57

Nord-Ovestm 80 66 86 73f 66 42 77 56m+f 73 55 81 64

Nord-Estm 82 68 85 75f 68 43 77 57m+f 75 57 81 66

Centrom 77 64 84 71f 60 38 74 52m+f 68 52 78 61

Sudm 64 52 76 58f 39 20 62 30m+f 52 37 68 44

Fonte: elaborazioni su dati ISTAT (2011), Indagine sulle forze di lavoro, www.istat.it

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Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere

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Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere

3. Quali sono i principali indicatori sul livello quantitativo e qualitativo del capitale umano presente in un Paese?Le ricerche che si possono sviluppare a partire dai database presenti nei diversi siti sono moltissime: un tema di centrale importanza è costituito dal confronto dei livelli di scolarità (primaria, secondaria e terziaria) nei diversi Paesi, oppure per un Paese nel corso del tempo. Oppure ancora sulle relazioni fra tassi di occupazione a seconda del titolo di studio, o fra tassi di diplomati/laureati e crescita economica di un Paese o di un’area geografica. Si tenga peraltro presente che i dati su questi aspetti sono generalmente affidabili per i Paesi più ricchi, ma molto meno per le aree in via di sviluppo o emergenti, dove l’attenzione al dato statistico, anche a fini di politiche economiche adeguate, non sempre è un’esigenza sentita dal policy maker locale. Inoltre, la dimensione quantitativa, da sola, non può considerarsi sufficiente: un Paese può avere un alto tasso di scolarità, ma la qualità dell’apprendimento non è tale da garantire competenze adeguate. L’indagine PISA/OECD dimostra che molti Paesi avanzati hanno ormai raggiunto una scolarità media-superiore non lontana dal 100%, e comunque in genere giudicata adeguata alle necessità economico-sociali, ma al tempo stesso viene mostrato che essi sono molto indietro riguardo alla qualità delle competenze acquisite dagli studenti, che non si dimostrano in grado di risolvere problemi di comprensione di un testo scritto, matematici e scientifici13.I dati completi sono a disposizione sul sito del PISA e sono di grande interesse. Purtroppo dimostrano anche una verità sconsolante per molti Paesi, Italia compresa: il livello di competenze dei ragazzi quindicenni nelle aree ricche della Terra è basso. Non sembra, dunque, esserci una relazione diretta fra livelli di reddito di un Paese, qualità del sistema scolastico e risultati dei ragazzi in termini di competenze acquisite. Una verifica “sul campo” attraverso i dati presenti sul sito può essere interessante.

13 L’acronimo PISA sta per Programme for International Student Assessment. Si tratta di un’indagine svolta dall’OECD ogni tre anni su di un ampio campione di studenti quindicenni dei Paesi che aderiscono all’OECD e di altri che comunque desiderano monitorare le competenze dei loro studenti. L’ultima indagine, svoltasi nel 2009, ha visto la partecipazione di 65 Paesi. Nel corso dell’indagine un team di specialisti sottopone un campione di studenti quindicenni, formato da un numero vario dai 4500 ai 10.000, ad una corposa batteria di test volti a misurare le competenze in tre aree di literacy, considerate cruciali: la comprensione di un testo scritto, literacy matematica, literacy scientifica.

Traccia per l’attività in classeL’articolo proposto e la scheda che lo accompagna pongono diverse questioni che possono essere approfondite nell’attività di classe.

1. Quale può considerarsi la prevalente natura del bene istruzione?Questo quesito ne fa sorgere immediatamente altri: il bene istruzione è un bene di consumo o di investimento? Serve per fruire al meglio di altri beni quali le risorse culturali, il consumo museale, la cittadinanza attiva, oppure ha caratteristiche analoghe a quelle di altri beni capitali, che lo rendono prevalentemente un bene di investimento, come del resto sembra far intendere lo stesso termine di capitale umano? È evidente che non esiste una risposta univoca, data la natura poliedrica dell’istruzione, ma un dibattito in aula sulle ragioni che spingono gli studenti a proseguire o meno, gli studi può essere stimolante.

2. Dove si trova il materiale utilizzabile per esplorare la natura ed il significato del termine “capitale umano”?La letteratura nell’ambito dell’analisi economico-sociale dell’istruzione è sterminata e peraltro molta di questa letteratura ha un accentuato carattere tecnico. In considerazione di ciò appare consigliabile rivolgere l’attenzione al materiale presente sui quotidiani e a quello che può ricavarsi dai siti. Per quanto riguarda i giornali, la lettura di quotidiani quali “Il Sole 24 ORE”, “Il Corriere della Sera”, “La Stampa”, ecc. è senza dubbio un utile punto di partenza: non passa praticamente giorno senza che sui giornali compaiano riferimenti interessanti alla relazione fra istruzione e mercato del lavoro. In particolare, “Il Sole 24 ORE” dedica un suo inserto, “Job24”, a tali temi. Al pari, è molto utile il supplemento del lunedì dedicato all’economia de “Il Corriere della Sera”.Sul versante delle risorse presenti in rete la scelta è sin troppo abbondante: dal punto di vista internazionale, un sito interessante è www.eenee.de, che si occupa di censire le risorse bibliografiche e sitografiche più significative per il tema del rapporto tra istruzione e mondo del lavoro. Il sito dell’istituto di statistica dell’Unione Europea, Eurostat, www.eurostat.ec.europa.eu, dedica una sezione continuamente aggiornata ai temi relativi all’istruzione. Il sito di Eurostat offre la possibilità di costruire tabelle e grafici “personalizzati” a partire dai dati presenti nel suo database, esportandoli in Excel, arricchendoli con grafici e mappe. Funzioni analoghe con particolare riferimento all’Italia si trovano sul sito www.istat.it: ISTAT è l’Istituto italiano di Statistica e offre dati accurati sul mercato del lavoro e sull’istruzione. Probabilmente il punto di riferimento di maggior rilievo per concepire una breve ricerca sui temi in questione è costituito dal sito dell’OCSE, www.oecd.org, il quale offre ogni anno un’importante survey statistica, Education at a Glance, sui principali temi legati al rendimento privato e sociale dell’istruzione, ovviamente con particolare riferimento ai Paesi OCSE. Sui temi della scolarità a livello mondiale si può utilmente consultare il sito www.unesco.org, dell’omonima organizzazione delle Nazioni Unite.

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TAGS LINKSSITI E INFO PER APPROFONDIRE

LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE

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Capitale umanoCircolo vizioso bassa crescita/bassa istruzioneCosti- opportunità (dello studio)LiteraciesNeet

Datagiovani è un istituto di ricerche demografiche specificatamente orientato allo studio dei fenomeni socio-economici che interessano i giovani e le loro problematiche. Nel suo sito presenta dati riguardanti la disoccupazione e la sottoccupazione giovanile ed altre ricerche sempre in riferimento alle fasce giovanili: www.datagiovani.it/EENEE è un acronimo che sta per European Expert Network on Economics of Education. Si tratta di una rete formata di ricercatori, prevalentemente economisti, interessati a studiare i fenomeni collegati all’istruzione e a divulgare i loro studi: www.eenee.deL’ISTAT è l’Istituto italiano di Statistica. Sul suo sito sono presenti studi riguardanti il livello di scolarità e le caratteristiche del mercato del lavoro: www.istat.itL’indagine PISA permette di verificare i livelli di competenze raggiunti dai quindicenni in 65 Paesi: www.pisa.oecd.orgOgni anno l’OECD realizza una ricerca sui principali aspetti dei sistemi di istruzione nei Paesi che aderiscono all’organizzazione. Benché limitata ai soli Paesi OECD, l’indagine permette di tracciare un quadro puntuale delle principali caratteristiche quantitative della scolarità: www.oecd-ilibrary.org/education/education-at-a-glance-2010L’United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, è un’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di diversi aspetti, uno dei quali è quello legato alla scolarità. Il sito presenta numerosissime suggestioni interessanti ed un ampio database dal quale attingere i dati relativi alle dimensioni della scolarità in tutti i Paesi del mondo: www.unesco.org

GUARDA IL VIDEO DI QUESTO TEMA

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roFAQ DOMANDE E RISPOSTE

1. Per quali ragioni il livello di istruzione viene considerato una variabile importante nello sviluppo di un Paese?Vi sono diversi motivi per guardare alla dotazione di capitale umano come ad un elemento strategico dello sviluppo. In primo luogo, una società più istruita presenta un grado di assorbimento delle innovazioni maggiore rispetto ad una società meno istruita; questa caratteristica fa sì che la prima abbia maggiori probabilità di crescita rispetto alla seconda, in quanto viene generalmente riconosciuto che le innovazioni rappresentano la pre-condizione che permette ad un sistema economico di svilupparsi e di approfittare delle occasioni che si presentano sui mercati.Inoltre coloro che sono dotati di maggiore scolarità hanno in genere una maggiore consapevolezza come cittadini e come lavoratori: sono maggiormente disponibili a cercare soluzioni più efficienti per risolvere problemi di diversa portata e tipo.

2. Quali sono i principali ostacoli alla crescita della scolarità?Nei Paesi poveri o semi-poveri l’investimento in istruzione è ostacolato dalla mancanza di risorse economiche destinabili al sistema di istruzione. Laddove possibile, in questi Paesi si cerca di destinare risorse alla scolarità di base, in modo da avere una popolazione giovanile che raggiunge livelli di alfabetizzazione di base. In linea generale, però, nel mondo d’oggi una scolarità che non vada oltre i livelli di base non viene giudicata sufficiente, né sul piano individuale né su quello sociale. Si genera così un micidiale circolo vizioso per cui le insufficienti risorse destinabili al sistema educativo producono scarsa scolarità e la scarsa scolarità a sua volta non genera sviluppo.Nei Paesi a maggior reddito le risorse destinate ai sistemi educativi sono in genere abbastanza ingenti e la scolarità è certamente più elevata. In molti Paesi la quasi totalità della popolazione giovanile raggiunge il titolo di scuola media superiore e quote non irrilevanti di giovani completano anche il ciclo universitario. È evidente che in questi casi i problemi sono di tipo diverso e riguardano la capacità del sistema scolastico di dotare gli studenti delle competenze necessarie, adeguate al mercato del lavoro e alla cittadinanza consapevole.

3. Che problemi pone la presenza di un grande numero di Neet?In molte società moderne, compresa purtroppo quella italiana, è presente un alto numero di giovani che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in attività di formazione. Si tratta di un fenomeno nuovo rispetto al passato per le sue dimensioni ma anche per le sue caratteristiche: è probabilmente il segnale di un considerevole divario fra l’offerta di lavoro, costituita da giovani che vorrebbero entrare sul mercato del lavoro, e domanda di lavoro, rappresentata dalle imprese. Non è evidentemente pensabile che tra domanda ed offerta di lavoro vi sia una perfetta uguaglianza, ma le dimensioni oggi raggiunte dalla disoccupazione giovanile fanno pensare che si tratti di livelli particolarmente preoccupanti.Inoltre il fenomeno descritto come Neet sembra essere collegato ad una dinamica sociale che va oltre la “semplice” disoccupazione giovanile, in quanto lascia intravedere una fascia di popolazione “scoraggiata” che ha perso la speranza di trovare un lavoro in tempi brevi e quindi non si dà da fare né nel cercare lavoro, né nel migliorare il suo livello di scolarizzazione o di formazione.

1. Che cosa si intende per esternalità in relazione al tema della scolarizzazione?a. il fatto che la decisione individuale di intraprendere un corso di studi produce anche effetti socialib. il fatto che la scolarizzazione avviene prevalentemente al di fuori del circuito individuale e familiare dello studentec. il fatto che una persona dotata di maggiore capitale umano può cercare opportunità di lavoro anche all’esterod. il fatto che il capitale umano è un elemento esterno rispetto all’individuo

2. Che cosa si intende per rendimento privato dell’istruzione?a. il fatto che la scelta di frequentare la scuola è unicamente una decisione del singolo a, al più, della sua famigliab. è una delle caratteristiche tipiche del sistema delle scuole privatec. la differenza in termini di reddito percepito in base al titolo di studio raggiunto dall’individuo rispetto ad altri impieghi di risorse e tempod. il vantaggio che la società trae dalla decisione del singolo di investire in istruzione

3. Che cosa si intende nella letteratura economica per capitale umano?a. l’investimento che compie l’imprenditore quando decide di assumere un lavoratoreb. la parte di capitale finanziario gestito direttamente da un privatoc. il ruolo svolto dal capitale nella vita di una personad. il valore dell’istruzione “incorporata” nella persona e valutabile in termini di competenze e conoscenze

4. In linea di massima, il tasso di disoccupazione èa. direttamente correlato con il livello di scolarità raggiuntob. inversamente correlato con il livello di scolarità raggiuntoc. indipendente rispetto al livello di scolaritàd. correlato con il tasso livello di scolarità in modo non univoco

5. In linea di massima, il tasso di occupazione èa. indipendente rispetto al livello di scolaritàb. legato al livello di scolarità in modo non univococ. direttamente correlato con il livello di scolaritàd. inversamente correlato con il livello di scolarità

Test FINALE

Soluzioni : 1a. - 2 c. - 3 d. - 4 b. -5c.

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3 Il lavoro e l’impresadi Federico Cartei

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Appunti

Tra luglio e settembre le imprese italiane hanno in programma di assumere 162.600 persone, quasi 23mila in più rispetto allo stesso periodo del 2010. È quanto emerge dalle dichiarazioni di assunzione delle aziende per il terzo trimestre di quest’anno, rilevate dal Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Ministero del Lavoro. Delle oltre 160mila entrate previste, 107mila saranno a carattere non stagionale e, tra queste, 46mila comporteranno un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Una parte consistente di assunzioni coinvolgerà i giovani: quasi 64mila (il 39,3% del totale) sono esplicitamente orientate verso giovani al di sotto dei 30 anni. Il rapporto registra poi che «a queste se ne aggiungeranno sicuramente altre, fra i 59mila assunti senza indicazione di una preferenza di età». L’indagine sottolinea inoltre che «le migliori opportunità per i giovani si concentrano tra i profili impiegatizi (dove la quota di assunzioni per meno che 30enni supera il 50%), nelle professioni qualificate nelle attività commerciali e dei servizi (46,4%) e nelle professioni scientifiche e tecniche (oltre il 40%)». Mentre, aggiunge, «minori le possibilità (ma comunque superiori al 30% delle assunzioni programmate) nelle professioni operaie». Viene tuttavia spiegato che «per 20mila giovani le assunzioni riguardano lavori stagionali (31% del totale), cui si aggiungono oltre 18mila posti di lavoro a termine (il 28%), quote ben più elevate rispetto alle possibilità di impiego a tempo indeterminato (16.400, pari al 26%) o con contratto di apprendistato (7.200 assunzioni, l’11% del totale)». Rispetto al passato nei prossimi tre mesi le imprese faranno meno fatica a rintracciare il personale necessario, ma alcuni profili restano introvabili. «Se mediamente la difficoltà di reperimento in questo trimestre tende a ridursi rispetto al 2010, resta comunque elevata per specifici profili professionali. Tra le figure high skill con contratto non stagionale, i più introvabili (anche in rapporto alla domanda sostenuta) sono i tecnici dell’industria e delle costruzioni e i tecnici del marketing». A questi due profili, spiega il rapporto, «si aggiungono gli specialisti in scienze matematiche, fisiche e naturali, 4 su 10 ritenuti irreperibili sul mercato».

Un incubatore di imprese itinerante che faccia incontrare giovani start up, venture capital, esperti di nuovi media e imprenditori. È con questo spirito che questa mattina è partito da Roma uno speciale Frecciarossa diretto a Milano, carico di oltre 450 giovani imprenditori e più di trenta esperti di nuove tecnologie. A bordo c’era anche l’amministratore delegato del Gruppo Fs, Mauro Moretti.Proprio Moretti ha colto l’occasione per contestualizzare questa iniziativa nel difficile passaggio che sta attraversando l’economia italiana. «La parola chiave deve essere innovazione – spiega –. In questi giorni stiamo vedendo cosa accade se in Italia restano solo le banche e la loro capitalizzazione di Borsa. Servono anche le idee e serve un’industria tecnologicamente avanzata in grado di realizzarle». Durante le tre ore di viaggio gli aspiranti imprenditori, per lo più studenti, hanno lavorato con squadre di esperti per mettere meglio a fuoco le loro iniziative e abbozzare i primi business plan. Alcune idee erano già definite, altre erano solo spunti da definire proprio grazie all’aiuto dei tutor. Alla fine queste 450 idee saranno esaminate in dettaglio e cinque di queste saranno premiate nel corso dell’e-festival che si terrà dal 19 al 23 settembre a Milano. Vinceranno un i-Pad, ma soprattutto la possibilità di essere seguiti da esperti e possibili finanziatori. Un sesto progetto particolarmente interessante è stato già premiato oggi pomeriggio. Si tratta del social network ideato da Roberto Catini, giovane studente di fisica, che punta a mettere in connessione gli studenti di matematica per permettergli di lavorare insieme alla risoluzione di problemi scientifici. A lui Moretti ha consegnato una borsa di studio da 5mila euro che gli permetterà di partecipare alla start up school, condotta da Augmendy e inserita nell’ambito dell’e-festival.

7 Luglio 2011

QUATTRO ASSUNTI SU DIECI HANNO MENO DI TRENT’ANNIdi Redazione Lavoro

14 Settembre 2011

LE NUOVE IDEE IMPRENDITORIALI VIAGGIANO A BORDO DEL FRECCIAROSSAdi Giuseppe Latour

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In altre parole, abbiamo per alcuni profili un eccesso di offerta, dovuta al fatto che molti giovani compiono scelte similari per quanto riguarda il percorso di studi, che magari completano conseguendo anche la laurea, ma che non offre poi sbocchi lavorativi perché la domanda di quel profilo è carente.Invece, figure professionali come il farmacista, il progettista del settore meccanico, l’infermiere, l’addetto alla con-sulenza fiscale, lo sviluppatore di software, l’educatore professionale, l’addetto alla logistica, il disegnatore tecnico Cad-Cam e il fisioterapista, tutte professioni molto appetibili tra l’altro, sono nel 30% dei casi difficili da reperire per le aziende che ne fanno richiesta sul mercato del lavoro, nonostante che, almeno nel 50% dei casi, l’assunzione viene fatta a tempo indeterminato e molte volte non viene neanche richiesta esperienza lavorativa.Ecco che allora il cammino scolastico prima ed eventualmente quello universitario poi, in tempi difficili per l’occu-pazione come quello attuale, dovrebbero essere scelti sì in base alle preferenze degli studenti e alle loro attitudini, ma con un occhio attento alla domanda delle aziende, in modo da non ritrovarsi ricchi di formazione, ma privi di riscontro con le esigenze del mercato del lavoro.I principali contratti offerti dalle aziende ai giovani che iniziano la loro carriera lavorativa riguardano assunzioni a tempo determinato o indeterminato, lavoro part-time, o sono contratti con funzione formativa (apprendistato, di formazione e lavoro, di inserimento), interinali, a progetto, a chiamata.I contratti di lavoro non prevedono una forma particolare, addirittura potrebbero essere anche orali, ma sono disci-plinati, oltre che dalla Legge, anche dai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale dalle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dalle associazioni dei datori di lavoro, che, tramite questo accordo, predetermina-no congiuntamente la disciplina dei rapporti individuali di lavoro (cosiddetta parte normativa) ed alcuni aspetti dei loro rapporti reciproci (cosiddetta parte obbligatoria).Nel contratto di lavoro sono inserite le parti (datore e lavoratore), la causa, rappresentata dallo scambio tra pre-stazione lavorativa e remunerazione, l’oggetto, rappresentato dalla concreta prestazione svolta dal lavoratore, durata e livello attribuito al lavoratore in base alla sua preparazione ed all’incarico effettivamente svolto all’interno dell’azienda e dal quale scaturisce anche la remunerazione da attribuirgli.Periodo di prova e recesso riguardano la possibilità per l’azienda di sciogliersi dal contratto nel periodo iniziale senza rispettare la scadenza originaria e senza le tutele previste in caso di licenziamento.Alcune delle tutele previste per i dipendenti dai contratti nazionali di lavoro sono rappresentate dal periodo di maternità, di malattia e infortuni, dalla previsione dei giorni di ferie e dei permessi, dalle tutele previste per il licen-ziamento, la cassa integrazione, il trattamento degli straordinari, ecc.Il contratto a tempo determinato prevede una durata limitata, è prorogabile per una sola volta se la durata è infe-riore a tre anni, dopodiché si rende obbligatoria l’assunzione a tempo indeterminato.Il contratto di lavoro part-time riguarda un contratto con le stesse caratteristiche di quelli sopra descritti, ma che prevede un numero di ore lavorate ridotte rispetto a quelle piene previste dai contratti nazionali, che di solito con-sistono in 40 ore settimanali.I contratti con finalità formativa riguardano periodi lavorativi per un massimo di tre anni, indirizzati a giovani al di sotto dei 30 anni con la finalità di acquisire una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un appren-dimento tecnico-professionale.Alla fine del contratto il lavoratore avrà acquisito una qualifica e una preparazione che potrà utilizzare a vantaggio dello stesso datore di lavoro o per cercare una nuova occupazione qualificata.

Chiavi di lettura dell’articolo

La scelta tra lavoro dipendente e attività d’impresa dopo il percorso di studiLa scelta che ci si pone alla fine del percorso di studi è tra quelle che influenzano tutta la vita di un individuo: per esperienza personale ci si trova improvvisamente spiazzati dopo anni che si è seguita una strada ben definita, sia essa la scuola o, successivamente, l’università e si deve scegliere cosa fare “da grandi”.Naturalmente, a seconda del percorso di studi affrontato, la scelta tende a restringersi e sicura-mente una buona preparazione scolastica aiuta a trovare più velocemente un buon lavoro, vicino alle proprie esigenze, attitudini e con una remunerazione soddisfacente.La prima decisione importante è quella di capire se è preferibile per le proprie attitudini e la propria volontà intraprendere un’attività di impresa o se è preferibile la carriera di lavoratore dipendente: è meglio avere un solo cliente, ovvero fare il dipendente, o avere tanti clienti e quindi aprire un’impresa? Meglio uno stipendio sicuro ma alle dipendenze di un titolare o uno stipendio variabile con la possibilità di scegliere come, dove, quando e quanto lavorare e fino a che età rimanere attivi nel mondo del lavoro? Andare dietro alle proprie capacità imprenditoriali, tenendo conto dei costi e dei rischi assunti, o ad una carriera più stabile ma non per questo meno soddisfacente?Per capire a fondo la scelta da compiere cerchiamo di delineare meglio le caratteristiche delle due alternative, evidenziando i punti di forza ma anche le criticità di entrambe.

Il lavoro dipendenteL’articolo che ci precede (Quattro assunti su dieci hanno meno di trent’anni) mette in evidenza come le opportunità di trovare lavoro alle dipendenze delle aziende ci sono ancora oggi, la richiesta di giovani infatti è sempre molto alta e rappresenta circa il 40% del totale.La richiesta di nuovi impiegati non è però generalizzata ed emerge che le richieste più numerose per i giovani si trovano tra i profili impiegatizi, nelle professioni qualificate delle attività com-merciali e nei servizi, nelle professioni scientifiche e tecniche mentre è minore la richiesta per le professioni operaie.È molto importante sottolineare, come fa l’autore nell’articolo, che molte delle richieste hanno carattere stagionale, altre sono a termine, mentre solo il 26% riguardano assunzioni a tempo indeterminato e l’11% sono relative a contratti di apprendistato.Problema molto singolare per i tempi che viviamo, ma reale e concreto, è quello affrontato alla fine dell’articolo in cui si evidenziano numerose difficoltà per le aziende a trovare molti profili la-vorativi, tra cui alcuni sono addirittura introvabili, soprattutto per quanto riguarda le figure tecniche provenienti dalle scuole superiori.

di Federico Cartei

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dere come meglio crede cosa produrre (o scambiare), come, dove, quando e con quali mezzi, ha come contraltare il fatto che su di lui ricade il rischio dell’attività imprenditoriale, ovvero la possibilità che, se il progetto d’impresa non fosse gradito ai potenziali clienti o i piani economico-finanziari prefissati non venissero rispettati, l’impresa stessa fallisca e l’imprenditore perda così tutti i capitali in essa investiti e, in alcuni casi, anche i propri beni personali.Lo scopo che si prefigge l’attività imprenditoriale è infatti quello di produrre un utile che remuneri l’imprenditore per l’attività prestata a favore dell’impresa e per il rischio che ha corso nell’organizzare tale attività: proprio la remune-razione del rischio di impresa fa sì che in condizioni normali lo stipendio dell’imprenditore debba essere maggiore di quello dei suoi collaboratori, che vengono remunerati esclusivamente per la prestazione lavorativa svolta.Per diventare imprenditori occorre certamente una preparazione per l’organizzazione dell’impresa, quindi dei di-pendenti, delle attrezzature, delle materie prime o merci, e per la gestione degli aspetti economico-finanziari, legali, burocratici, fiscali che difficilmente si ottiene dopo la fine del piano di studi, anche se esso prevede studi universitari.Per tale motivo imprenditori difficilmente si nasce: da un’indagine dell’ISPO, pubblicata nel marzo del 2010, con-dotta su 400 giovani imprenditori associati a Confartigianato, emerge che il 75% del campione prima di mettersi in proprio apparteneva alla categoria dei lavoratori dipendenti.D’altra parte però alla complessità del fare impresa si può far fronte anche con l’ausilio di professionisti del settore o unendo le forze e la preparazione di più persone che insieme possono colmare le lacune del singolo.Anche le istituzioni finanziarie contribuiscono spesso ad aiutare i giovani imprenditori, affiancando loro esperti nel-la preparazione di business plan, esperti nella normativa comunitaria e regionale per l’erogazione di contributi a vantaggio delle nuove attività ed esperti nella concessione di forme di finanziamento erogate grazie a garanzie di enti pubblici o con fidi a vantaggio dei giovani che, per loro natura, non hanno garanzie personali da offrire alle banche per garantire gli affidamenti accordati.Ciò che balza agli occhi è la difficoltà in questo momento di crisi a creare nuove imprese e addirittura a mantenere in piedi quelle esistenti soprattutto per i giovani imprenditori, probabilmente a causa della scarsità dei capitali a disposizione o del fatto che la limitata storia alle spalle delle loro imprese le penalizzi in un momento di concorrenza spietata nella caccia dei clienti, se è vero che negli ultimi cinque anni si sono persi 64mila giovani tra gli imprenditori e soprattutto il calo si è fatto sentire in maniera più marcata tra gli under 30.Sicuramente sarebbe auspicabile un intervento a favore di tali imprese che rappresentano il futuro del nostro paese e, anche se ancora non è sufficiente, qualcosa nell’ultima manovra finanziaria è stato fatto, laddove per imprenditori e professionisti sotto i 35 anni è prevista, per 5 anni successivi all’inizio dell’attività, una tassazione agevolata al 5% al posto delle aliquote ordinarie, che in alcuni casi possono addirittura superare il 50% dell’utile conseguito. Si tratta almeno di un segnale che va incontro ai giovani più coraggiosi che in questi momenti trovano la forza di mettere in atto le loro idee innovative per iniziare un percorso rischioso ma sicuramente allettante quanto a soddisfazioni e non solo dal punto di vista economico.Anche le iniziative come quella delineata nel secondo articolo (Le nuove idee imprenditoriali viaggiano a bordo del Frecciarossa), che consiste nel lancio di incubatori di imprese grazie ai quali avviene l’incontro di giovani studenti con investitori pronti a finanziare le nuove idee, con l’apporto prezioso di esperti di nuovi media e imprenditori che mettono in gioco la loro esperienza, possono sicuramente aiutare i giovani a trovare quell’entusiasmo necessario a iniziare una nuova attività d’impresa con il passo giusto, cioè con i giusti finanziamenti e i consigli di esperti e futuri colleghi che per un giovane imprenditore non sono mai abbastanza.

Il lavoro interinale, a progetto e a chiamata, riguardano forme di lavoro temporaneo che permet-tono al lavoratore di acquisire, a fronte di una remunerazione ridotta, un’esperienza che in futuro si potrà rivelare importante per entrare nel mondo del lavoro con maggiore stabilità.La scelta per la carriera da lavoratore dipendente presenta sicuramente dei vantaggi rispetto all’attività in proprio: stabilità del posto lavorativo, stipendio fisso e sicuro per 13 o 14 mensilità, avanzamento di carriera graduale nel tempo, ore di lavoro, giorni di ferie, maternità, malattia e permessi stabiliti per contratto e remunerati; in alcuni casi sono previsti anche rimborsi di spese mediche e interventi chirurgici, e naturalmente una pensione che è assicurata dal versamento dei contributi da parte del datore di lavoro.Questi vantaggi si sono affievoliti negli ultimi anni a causa della crisi economica che ha visto molti lavoratori perdere il posto di lavoro a causa del fallimento o della chiusura della propria azienda, ma le tutele a vantaggio del lavoro dipendente (pagamento indennità di cassa inte-grazione e di disoccupazione) hanno fortemente alleviato la pesante condizione economica, mentre bisogna considerare che le opportunità di lavoro per i giovani, come abbiamo visto, non mancano soprattutto se si riesce ad andare incontro con la propria preparazione alle esigenze della domanda e se si è flessibili nella scelta della localizzazione del posto di lavoro.Tra i lati negativi del lavoro svolto alle dipendenze altrui si possono citare la subordinazione rispetto alle direttive del datore di lavoro (vincolo di orario, localizzazione posto di lavoro, mo-dalità di svolgimento dell’attività lavorativa), l’impossibilità di veder incrementare notevolmente il proprio stipendio nel tempo a meno di cambi continui di azienda con la stipula di nuovi contratti più remunerativi, l’obbligo di interrompere la propria attività lavorativa ad una determinata età indipendentemente dalle proprie volontà e capacità.Apprezzare la carriera da lavoratore subordinato dipende dalle caratteristiche di ogni individuo, dalla sua natura: chi cerca la sicurezza della stabilità del posto, dello stipendio, dell’orario di lavoro, dei giorni di ferie e non ha alcuna volontà di rischiare e di esprimere le proprie capacità in maniera autonoma trova in questa dimensione quella ideale per la sua realtà senza fare a meno delle soddisfazioni che derivano da una carriera brillante e, soprattutto nel settore privato, sempre più meritocratica.

L’attività d’impresaL’imprenditore viene definito nel Codice Civile come colui che esercita professionalmente un’atti-vità economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.Può essere sia una persona fisica che una persona giuridica, ossia può esercitare l’impresa sotto forma di impresa individuale o in una società composta da più persone.La professionalità è un requisito necessario nello svolgimento dell’impresa, la quale deve consi-stere in un esercizio abituale e non saltuario dell’attività economica, intesa come attività volta ad organizzare i fattori produttivi (capitale, lavoro, materie prime) per ottenere un prodotto (bene o servizio) che rappresenta il fine della produzione.Il fatto che l’imprenditore possa organizzare a suo piacimento i fattori produttivi, che possa deci-

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I vantaggi del fare impresa risiedono infatti proprio nella possibilità di realizzare le proprie idee e cercare di gestirle al meglio incontrando nel successo, nei propri clienti la conferma della loro bontà, senza alcun vincolo di orario e di subordinazione alle volontà di un datore di lavoro.Se l’idea imprenditoriale si rileverà quella giusta non mancheranno gratificazioni economiche ade-guate allo sforzo compiuto e al rischio sostenuto, possibilità di espandere la propria attività in maniera graduale aumentando il giro d’affari e le aree geografiche interessate in modo da far aumentare valore alla propria azienda che, oltre che per i beni materiali di proprietà (immobili, macchinari, attrezzature, marchi, brevetti, ecc.), sarà valutata anche per l’avviamento, ovvero per la capacità di avere una clientela stabile con un giro d’affari crescente che assicura risultati econo-mici soddisfacenti per il futuro. E magari sarà possibile sognare un giorno la quotazione in Borsa come avvenuto per i giovani fondatori americani di Facebook, Yahoo e, a suo tempo, Apple.Aspetti meno positivi per i nuovi imprenditori saranno rappresentati dai rischi cui inevitabilmente andranno incontro con l’apertura di un’azienda: rischi economici, rappresentati dalla perdita dei beni e del patrimonio aziendale e personale quando con esso si garantiscono le posizioni de-bitorie della società (ditte individuali e società di persone, mentre le società di capitali riescono a creare una divisione tra patrimonio personale dell’imprenditore e quello dell’impresa), rischi reputazionali, in quanto la ripresa di un lavoro o di una attività dopo un fallimento nella realtà italiana risulta molto complicato, soprattutto per la mancanza di capacità di credito con il sistema bancario e di fiducia da parte dei fornitori. Aspetti da non sottovalutare, a seconda della natura della persona, sono la mancanza di un orario definito che porta l’imprenditore a lavorare molte ore al giorno, giorni di ferie ridotti per curare al massimo la propria attività e assenza di tutele in caso di maternità, malattia, infortuni, e di indennità di disoccupazione in caso di chiusura e cassa integrazione in caso di temporanea difficoltà.Occorre avere la natura imprenditoriale nel dna per poter veramente trovare piena soddisfazione nell’apertura di una nuova impresa: la soddisfazione di raggiungere il successo con la propria attività e vederla crescere ogni giorno deve rappresentare una gratificazione così grande che va al di là delle ore lavorate in più o dei rischi che ci siamo assunti con essa, mentre i giorni di ferie mancati rispetto ai propri dipendenti saranno ben spesi di fronte alla soddisfazione di aver raggiunto un insperato livello di vendite o di aver concluso un contratto vantaggioso per il futuro.Conoscenza delle lingue, passione per i viaggi alla ricerca di clienti sui mercati esteri per cogliere opportunità oggi insperate per il mercato italiano, aggiornamento continuo, con parte-cipazione a stage e fiere del settore anche all’estero, saranno determinanti per il buon risultato della nuova attività.Particolare attenzione andrà poi rivolta agli innovativi “distretti di imprese”, ovvero reti di piccole-medie imprese, radicate sullo stesso territorio e specializzate in una o più fasi di un processo produttivo e integrate mediante una rete complessa di interrelazioni di carattere economico e sociale, che aiutano il singolo imprenditore soprattutto nella fase iniziale della sua attività, sia nella riduzione dei costi, che vengono suddivisi tra le diverse imprese raggiungendo economie di scala, sia nella creazione del mercato di riferimento dei prodotti finali, in quanto sarà il distretto stesso a farsi largo con forza su mercati difficilmente raggiungibili dalla singola impresa.

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aFAQ DOMANDE E RISPOSTE

1. Per quale motivo esistono dei profili di lavoratori introvabili da parte delle imprese?Negli ultimi anni i profili tecnico-professionali si sono resi sempre più irreperibili sul mercato del lavoro: sia perché le scuole tecniche non vengono più scelte come una volta dagli studenti, sia perché molti di questi si specializzano con percorsi di studi universitari e non sono disponibili ad accettare lavori per i quali sarebbe sufficiente il diploma.In realtà in una situazione di forte carenza di domanda di lavoratori da parte delle imprese, come abbiamo avuto in questi ultimi anni, sarebbe opportuno scegliere la propria istruzione in base anche alle carenze che incontrano le aziende a trovare profili lavorativi importanti e pienamente dignitosi: basta cercare nella versione on-line de “Il Sole 24 ORE” l’articolo dell’8 settembre 2011, intitolato I 10 profili introvabili, per rendersi conto di quante opportunità non sfruttate ci sono per i giovani lavoratori in cerca di occupazione.

2. Quali sono le principali forme contrattuali offerte dalle imprese ai giovani che cercano la loro prima occupazione?Di solito le imprese propongono contratti di formazione e in particolare di apprendistato ai giovani sotto i 30 anni in cerca di prima occupazione: in tal modo riescono ad avere una riduzione in termini di contributi versati a fronte di un impegno ad insegnare la mansione lavorativa al giovane, che, per un periodo massimo di tre anni, viene così remunerato e allo stesso tempo preparato per un inquadramento essenziale che gli permetta di ottenere successivamente un contratto a tempo indeterminato o di cercare un nuovo posto in altre imprese che faranno richiesta di persone con esperienza lavorativa alle spalle.

3. Per diventare imprenditore di quale preparazione ho bisogno?In Italia per esercitare una professione o ottenere un titolo abilitativo in ambito pubblico occorre superare un esame di Stato di solito molto impegnativo, oltre che selezioni molto lunghe, mentre per aprire un’impresa non viene richiesto alcunché a titolo di preparazione, nonostante il lavoro dell’imprenditore sia tra i più delicati, complicati e pieni di responsabilità: le competenze devono variare a 360 gradi tra argomenti di economia e finanza, marketing, diritto privato, commerciale e del lavoro, fisco, banca, burocrazia a livello di pratiche pubbliche e la necessità di un continuo aggiornamento in quanto tutta quanta questa normativa è soggetta a frequenti variazioni.Questo non significa che l’imprenditore debba essere da solo nell’affrontare tutti questi problemi: si può far affiancare da professionisti del settore che daranno un supporto alla sua attività, oltre che dividere l’attività con altri soci i quali con le loro competenze potranno colmare le lacune del singolo.Sicuramente un’esperienza lavorativa nel settore, anche a titolo di lavoratore dipendente, può aiutare ad acquisire quelle conoscenze di base che saranno necessarie per evitare di aprire un’impresa completamente privi di ogni seppur minima nozione in merito.

4. Su quali presupposti un giovane deve basare la scelta tra intraprendere la carriera lavorativa da dipendente o aprire un’impresa?La natura imprenditoriale è qualcosa che si sente dentro di sé: voglia di mettersi alla prova, realizzare le proprie idee e i propri sogni, libertà nel decidere come, dove e quando lavorare, capacità di leadership per organizzare e motivare i propri dipendenti, capacità di creare e sviluppare nel tempo un’organizzazione dei fattori produttivi che risulti vincente, e contemporaneamente essere flessibili e pronti a cambiarla in corsa, se con il tempo necessita di aggiustamenti e ripensamenti.

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Test FINALE1. Il lavoratore dipendentea. non ha tutele sul posto di lavorob. è tutelato a non perdere il posto di lavoro ma tutto il resto non è sicuroc. è tutelato per orario, ferie, stipendio, malattia, maternità, ma ultimamente molti lavoratori hanno ugualmente perso il loro posto a causa della crisi economicad. è pienamente sicuro e tutelato per il posto di lavoro per tutta la vita in base al contratto di lavoro

2. Il contratto di lavoroa. è definito dalla Leggeb. è lasciato alla libera contrattazione delle partic. è definito dalla Legge e regolato dai contratti collettivi di lavoro, stipulati tra associazioni dei lavora-tori e dei datori di lavorod. viene deciso dal datore di lavoro

3. L’imprenditorea. esercita un’attività economica organizzata al fine della produzione o scambio di beni o servizi, con un rischio che ricade sul patrimonio dell’impresa e sul proprio personaleb. deve aver sostenuto un esame di Stato c. anche se sbaglia non risponde del fallimento della sua impresad. ha periodi di ferie e orari di lavoro definiti per Legge

4. La remunerazione a favore dell’imprenditore è di solito maggiore perchéa. riesce a pagare meno tasseb. viene remunerato per l’attività svolta in impresa e per il rischio corso ad organizzarla e gestirlab. la sua attività a favore dell’impresa è indispensabile e solo lui può svolgere gli incarichi affidatigli d. è il capo e quindi deve guadagnare di più

5. Un distretto di imprese èa. un paese dove ci sono imprese che svolgono tutte la stessa produzioneb. una serie di imprese che sono unite per far fronte alla crisi economicac. un insieme di imprese che producono prodotti in ambito militared. una rete di piccole-medie imprese, radicate sul territorio e specializzate in una o più fasi del proces-so produttivo per ridurre i costi ed aumentare la vendita dei prodotti finali

Soluzioni : 1c. - 2c. - 3a. - 4b. -5d.

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TAGS LINKSSITI E INFO PER APPROFONDIRE www.ilsole24ore.comwww.corriere.it/economiawww.lavoro.gov.itwww.inps.itwww.italialavoro.itwww.inail.it

LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE

QR-CODE

Contratto di lavorotempo determinato o indeterminatoPart-timeApprendistatoContratto di formazione e lavoro: interinale, a progetto, a chiamataAttività economica organizzataFattori produttiviRischio attività d’impresa

Traccia per l’attività in classeDopo aver letto la scheda, si possono utilizzare i concetti espressi sui vantaggi e gli svantaggi nel compiere la scelta di intraprendere la carriera di lavoratore dipendente o di aprire un’impre-sa, per riflettere sulla propria natura e sulle attitudini di ognuno a orientarsi verso l’una o l’altra scelta, tramite lo svolgimento di uno scritto in cui ogni studente deve analizzare la propria natura interiore per capire che cosa sceglierebbe. Successivamente si dividono i ragazzi in due gruppi a seconda della scelta effettuata: per chi ha scelto l’attività di impresa, sarebbe interessante poter creare in gruppo un semplice progetto di impresa, sviluppare un’idea da utilizzare per re-alizzare un piano d’impresa innovativo con tanto di fonti di finanziamento e organizzazione dei fattori lavoro e capitale, mentre, per chi ha scelto la carriera da lavoratore dipendente, sarebbe interessante delineare, tramite discussione in gruppo, quale ambito lavorativo vorrebbe ricoprire ognuno, con quali responsabilità e autonomia, la disponibilità o meno ad abbandonare il luogo di residenza per accelerare la carriera, la possibilità di scegliere il cammino scolastico e univer-sitario in base alla richiesta delle imprese sul mercato del lavoro.Alla fine suggerisco di condividere con tutta la classe sia il progetto della nuova impresa, eviden-ziandone aspetti positivi e aspetti più critici, sia gli esiti emersi dalla discussione di coloro che prefe-riscono il lavoro dipendente, per contribuire a far acquisire a tutti gli studenti le differenze profonde insite nelle due scelte e aiutarli a capire la via per loro più consona, in modo consapevole.

Occorre un capitale iniziale per mettere in piedi la struttura minima per iniziare e un minimo di nozioni di cui abbiamo parlato in precedenza. Al contrario una natura più portata alla stabilità, alla sicurezza, ad essere diretta più che a dirigere, al posto assicurato insieme ad uno stipendio e a tutele ben definite riguardanti l’orario di lavoro, i giorni di ferie, permessi, infortuni, malattia, la fine dell’attività lavorativa ad una età ben precisa, indipendentemente dalla propria volontà e capacità di poter continuare, la successiva pensione, fa propendere per una occupazione alle dipendenze di altri. Questo senza nulla togliere alla possibilità di una brillante carriera piena di soddisfazioni anche dal punto di vista economico.

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4 La pianificazione di entrate e uscitedi Roberto Fini

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La piramide dei bisogni di Maslow, infatti, è molto chiara: i bisogni come il cibo, acqua e riposo vanno soddisfatti, la salute anche e così pure la spesa legata alla socialità, ma sui bisogni di stima e riconoscimento sociale, sullo status e sull’appagamento personale (i bisogni di quarto e quinto livello) si può intervenire anche soltanto chiedendosi se la spesa sia veramente necessaria e non semplicemente imposta dalla pubblicità. Infine, ecco un’importante avvertenza: «Mai dimenticare di mettere a bilancio anche un fondo di emergenza, ovvero il paracadute finanziario da utilizzare in caso di imprevisti – conclude Martini –. Per determinare il suo valore, bisognerà infatti tenere conto delle fonti di reddito, dei propri debiti e della stabilità dei loro impieghi. Mediamente, un buon fondo di emergenza dovrebbe consistere in almeno sei mesi di reddito familiare».

Vi siete curati il colesterolo con la piramide alimentare? Molto bene, adesso curatevi il portafoglio con la piramide di Abraham Maslow, psicologo statunitense che non ha studiato la dieta mediterranea bensì quei bisogni primari e quelle aspirazioni che stanno alla base della realizzazione personale. Sembra banale, ma non lo è. Perché tutti i nostri sforzi e di conseguenza tutte le nostre spese sono determinate da questa spinta. In poche parole, la piramide dei bisogni è quello che ci guida nella corretta compilazione del budget familiare. A patto naturalmente che lo si faccia, perché nonostante l’attività di budgeting sia alla base della corretta gestione dell’“impresa famiglia”, qui da noi non pare così diffusa come nei Paesi anglosassoni. Eppure, non è difficile. In fondo, si tratta di annotare puntualmente entrate e uscite, spese fisse e variabili per poi visualizzare o addirittura ampliare la propria capacità di risparmio. «Chi è pigro, o non del tutto convinto, sappia che l’attività di budgeting è alla base di una qualsiasi attività di investimento o finanziamento – spiega Claudio Grossi di Progetica –. Soprattutto, un’attenta programmazione delle spese può assicurare un incremento minimo dei propri risparmi di oltre 5mila euro l’anno». Possibile? Proviamo ad annotare ogni giorno i costi per il caffè espresso, la brioche e tutti gli alimenti della spesa settimanale, il ristorante e il parrucchiere, il chilo di arance come i farmaci da banco e poi si vedrà. «In tempi difficili come quello che stiamo vivendo, l’approccio non può che essere sistematico, anche se può sembrare noioso – sottolinea anche Paolo Martini, direttore marketing di Azimut, società di consulenza finanziaria –. Visualizzare le entrate e le uscite, infatti, aiuta a capire come ottimizzarle perché può spingere a cercare negozi meno cari o prodotti alternativi».Le regole per redigere un buon bilancio famigliare si contano sulle dita di una mano: 1) si parte dal consuntivo dell’anno precedente; 2) si dividono i consumi essenziali (funzionamento della famiglia) da quelli non essenziali (beni voluttuari); 3) guardando il consuntivo si compila una previsione delle entrate e delle uscite per l’anno in corso adeguandole al tasso di inflazione; 4) sviluppare una previsione indicando le voci di entrata e uscita per ogni mese e visualizzando se il conto sarà positivo o negativo e sapere di conseguenza di quanto avrò bisogno sul conto corrente; 5) verificare la coincidenza tra i programmi mensili e i risultati concreti adottando di volta in volta le stime e i propri comportamenti «magari inventandosi un doppio lavoro o riducendo gli sprechi, pur mantenendo inalterato il tenore di vita», spiega ancora Grossi.

4 Marzo 2011

IN FAMIGLIA SE PROGRAMMATE SPENDERETE MENOdi Antonella Bersani

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Chiavi di lettura dell’articolo Questa scheda prende spunto da un articolo nel quale si mette in evidenza l’opportunità di pro-grammare con estrema attenzione le entrate e le uscite familiari o personali. Molto opportunamente l’autrice dell’articolo sottolinea che, così come per la cura del colesterolo o per effettuare una dieta equilibrata debba usarsi la piramide alimentare, nel caso della pro-grammazione economia si possa (e forse si debba) far uso della piramide di Maslow.Abraham Maslow (1908-1970) è uno psicologo americano (di origine russa) che negli anni ’50 creò un’efficace rappresentazione della gerarchia dei bisogni umani e delle modalità con cui essi vengono soddisfatti da ciascun individuo1. La rappresentazione grafica della piramide rende l’idea dell’analisi di Maslow (fig. 1).

È evidente che i bisogni alla base della piramide sono da considerarsi i più urgenti e devono essere soddisfatti per primi, ma è importante ricordare, come del resto lo stesso Maslow sottoli-nea, che l’essere umano si distingue dalle altre specie animali per la necessità di soddisfare un set di bisogni molto ampio e variegato. Anzi, in ultima analisi, il bisogno di autorealizzazione è ciò che distingue l’uomo da altri esseri viventi: i primati, per esempio, si fermano al quarto livello della piramide; i rettili, ancora per citare essere viventi dotati di una certa complessità fisiologica, non vanno oltre il primo o, forse, il secondo livello. Da questa considerazione deriva l’importante conclusione che l’uomo per realizzarsi appieno, dunque per porsi al livello più alto della scala maslowiana, deve soddisfare tutti gli altri bisogni, a partire da quelli del primo livello.

1 Cfr. A. Maslow, Motivation and Personality, Harper, New York, 1954.

È intrinseco alla natura umana cercare di arrivare al quinto livello, ma per farlo occorre trovare le risorse per garan-tirsi la soddisfazione dei livelli inferiori. Specie quando ci si trova in condizioni economiche non del tutto soddisfa-centi, tali risorse possono essere non sufficienti e comunque un’attenta programmazione di entrate ed uscite rappre-senta una modalità di comportamento altamente raccomandabile. Occorre, per quanto possibile, evitare sorprese e scoprire troppo tardi di non poter soddisfare tutti i bisogni della scala di Maslow, ma solo quelli di livello inferiore.Per quanto sia comune pensare di saper programmare il proprio futuro, in realtà non è un’operazione facile: intervengono, in effetti, sia fattori puramente finanziari (entità del reddito disponibile, livello del costo della vita, consumi resi necessari dalle particolari condizioni individuali, ecc.), sia fattori di ordine psicologico o comunque non riconducibili strettamente all’ambito economico.Oramai da diversi decenni gli economisti si sono convinti della necessità di prestare attenzione ai fattori di carattere psicologico che possono orientare le scelte degli individui, rendendoli più o meno in grado di programmare l’entità delle loro spese, i livelli e la qualità dei loro consumi, le decisioni di risparmio, ecc. Questa nuova consapevolezza ha fatto nascere vere e proprie specializzazioni nell’ambito della disciplina economica generale quali la psicologia economica e la neuroeconomia.Sono diversi gli esperimenti che consentono di verificare le difficoltà concrete della programmazione individuale. Come mostrato da Read e Leeuwen2, se si chiede a delle persone di rispondere a queste due domande:per la prossima settimana, scegli di mangiare frutta o cioccolato?per oggi, scegli di mangiare frutta o cioccolato?3

la maggioranza delle persone sceglie di mangiare frutta se tale scelta riguarda la settimana successiva, mentre sceglie cioccolato se la scelta fa riferimento al presente. Il grafico 1 presenta i risultati di questo interessante e curioso esperimento.

2 D. Read e B.van Leeuwen, Predicting Hunger: The Effect of Appetite and Delay on Choice, in Organizational Behavior and Human Decision Processes, Vol. 76, n. 2., 1998. 3 Nell’originale versione inglese dell’articolo, al posto del cioccolato si parla di unhealthy snacks, ma nella sostanza la questione resta la stessa.

di Roberto Fini

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BISOGNIDI

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BISOGNI DI AFFETTO

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Figura 1 – La piramide di Maslow con le categorie di bisogni in scala gerarchica: mano a mano che si sale di livello, dall’1 al 5, i bisogni si fanno sempre più astratti e sofisticati.Fonte: www.51esami.splinder.com/post/8222153/la-piramide-di-maslow

Graf. 1 – I risultati dell’esperimento di Read e Leeuwen (1998) per genere.

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qualche genere vengano compiute sulla base di attente valutazioni, il che equivale a dire che si usa la corteccia frontale parietale, non avendo senso scegliere impegni finanziari e sacrifici economici sulla base delle emozioni.Ora, una volta decisa la scelta ed acquistato un titolo, molto spesso il soggetto si trova di fronte alla successiva necessità di decidere se mantenerlo nel proprio patrimonio, oppure venderlo per acquistarne altri o per aumentare la propria liquidità e i propri consumi. Si tratta di decisioni molto importanti che andrebbero prese con la stessa attenzione con cui è stato deciso l’investimento iniziale, ma l’esperienza indica invece che le decisioni ponderate possono poi essere vanificate da comportamenti precipitosi e presi sull’onda delle emozioni, cioè attraverso il si-stema limbico. Così, di fronte a perdite che potrebbero essere di entità limitata o soltanto temporanee, spesso si reagisce precipitosamente, disinvestendo sotto l’impulso emozionale che impone di sottrarsi ad eventi che generano apprensione. Peraltro, anche più devastanti possono essere le decisioni prese quando il mercato è euforico e i prezzi dei titoli sono in crescita: in simili casi il sistema limbico reagisce in senso opposto, scatenando impulsi di avidità e ricerca del piacere connesso all’idea di fare un buon affare e si prendono decisioni di acquisto che possono nel tempo rivelarsi negative4.Occorre dunque distinguere i meccanismi mentali che presiedono alle decisioni umane, facendo in modo di usare il meccanismo adatto allo scopo che ci si prefigge. Ovviamente questo non è facile, anche perché l’uso di determinati processi mentali è spesso inconsapevole. Nondimeno occorre essere attenti e consapevoli che la programmazione degli impegni economici è un elemento essenziale del benessere di una persona (o di una famiglia).Può apparire un elemento scontato, ma la prima consapevolezza riguarda il livello di reddito di cui si può disporre e la sua dinamica nel corso del tempo: cosa consente di fare il livello di reddito di cui si dispone? È possibile riservarne una parte e accantonarla per risparmi, pur mantenendo un livello di consumo accettabile? Il livello di reddito attuale è destinato ad aumentare o a diminuire? Quale sarà il suo trend ragionevolmente attendibile nel lungo periodo?Occorre tenere presente che quanto più l’orizzonte temporale della programmazione si allunga, tanto più le previ-sioni si fanno difficili e meno attendibili. È peraltro necessario ragionare su un orizzonte temporale necessariamente lungo: la vita di ciascuno è scandita da eventi che determinano variazioni della situazione economica, sia in senso positivo che negativo. Ovviamente, alcuni di questi eventi non sono prevedibili: la morte del coniuge o del geni-tore in genere provoca, oltre al dolore, anche variazioni del livello di reddito venendo a mancare il contributo del defunto; la decisione di proseguire gli studi, comporta per i genitori di un giovane una spesa considerevole e per il giovane un mancato reddito per gli anni di studio; il lavoro permette di ottenere un reddito, ma non è detto che il suo livello sia stabile, dipendendo dal tipo di lavoro, dal mercato, dalla dinamica della carriera, ecc. Inoltre, alla fine della propria carriera lavorativa, in genere la pensione produce una più o meno marcata riduzione di reddito, cui dovrebbe corrispondere un ridimensionamento del consumo e/o del risparmio. D’altra parte l’età pensionistica corrisponde in genere con una riduzione delle necessità personali e familiari, poiché gran parte delle spese si affrontano negli anni di vita lavorativa: le necessità di mantenimento dei figli, l’accensione del mutuo per la casa in cui si abita, ecc. sono tutte spese tipiche degli anni della maturità, per cui è possibile programmare le necessità di lungo periodo con una sufficiente attendibilità.

4 “Euforia” e “panico” sono i termini che usa Kindleberger in una delle più classiche ricostruzioni della crisi del ’29. E non è un caso che l’autore, uno dei grandi storici dell’economia, usi termini che hanno a che fare con la psicologia e le dinamiche mentali. Cfr. C.P. Kindleberger, Euforia e panico. Storia delle crisi finanziarie, Laterza, Roma-Bari, 1981.

L’indagine condotta dai due ricercatori americani autori dell’articolo citato dimostra la discre-panza nel comportamento umano tra la necessità di gratificazioni immediate (la cioccolata, oggi) e la tendenza ad assumere decisioni orientate alla salute per il futuro (la frutta, la prossima settimana). È bene chiarire che non esiste a priori una scelta “giusta”: il conflitto fra il presente e il futuro è caratteristica di gran parte delle decisioni che vengono prese da ciascuno ogni giorno e rappresenta l’esito di tensioni opposte provocate dalle diverse strutture del nostro cervello. Gli studi sulla struttura del cervello, che hanno compiuto notevoli progressi da quando è stato possibile un uso intenso di TAC e altri strumenti di risonanza magnetica, dimostrano che il cervel-lo umano è composto da tre strutture, stratificate nel corso dell’evoluzione degli animali vertebrati: il cervello del rettile, il più antico e il più “interno”, il cervello dei mammiferi, intermedio, e il cervello umano, il più “esterno”.Questa struttura stratificata consente all’essere umano di rispondere in modo diversificato ai di-versi stimoli: il cervello del rettile presiede ai processi automatici come il metabolismo, il battito cardiaco, la pressione arteriosa; inoltre interviene nel determinare comportamenti umani negli aspetti più primitivi e fondamentali quali bere, mangiare, difendere il proprio territorio, presieden-do anche ai comportamenti aggressivi e necessari alla sopravvivenza. Il cervello del mammifero, che coincide con quello che viene definito sistema limbico, governa le emozioni e consente il passaggio dalla vita asociale dei rettili a quella relazionale tipica, a vari gradi, dei mammiferi; il sistema limbico guida anche i comportamenti di gratificazione: ogni volta che si sperimenta un’azione che genera piacere, l’individuo che l’ha sperimentata cerca di ripeterla.La parte esterna del cervello, la corteccia celebrale, presiede i processi mentali che vengono definiti come superiori e dunque le attività tipicamente razionali come la capacità di previsione degli esiti di azioni. In particolare, la corteccia frontale parietale si attiva quando si scelgono alternative funzionali al futuro (nell’esempio, la frutta fra una settimana).Ovviamente, l’uomo ha necessità di attivare ciascuna delle parti di cui è costituito il suo cer-vello: i riflessi che ci permettono di schivare un pericolo sono tanto più efficaci quanto più è la componente “di rettile” del cervello ad essere attivata. All’opposto quando c’è la necessità di “fare la cosa giusta”, allora è necessario che si attivi la corteccia celebrale parietale. E il siste-ma limbico? Come detto, esso presiede alla necessità di perseguire gratificazioni immediate; in quanto tale esso è in inevitabile conflitto con il sistema razionale: posto di fronte alla scelta (frutta o cioccolata), se si attiva il sistema limbico si sceglie la cioccolata, se si attiva la corteccia celebrale parietale si sceglie la frutta.In relazione alle decisioni connesse alla pianificazione delle risorse economiche, molto spesso il conflitto si risolve a favore del sistema limbico, indirizzando così il soggetto verso scelte emo-zionali e poco razionali. Le emozioni sono ovviamente una componente essenziale della vita umana, ma possono avere effetti devastanti quando si tratta di decisioni di ordine finanziario. Per comprendere questo aspetto è sufficiente pensare ai meccanismi celebrali che si attivano quando si tratta di decidere, per esempio, su un investimento finanziario: è ragionevole supporre che scelte quali impegnare una parte delle proprie risorse economiche per l’acquisto di titoli di

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incompatibili. In realtà non è così, e una semplice simulazione può dimostrarlo5: si considerino due famiglie, i Cicala e i Formica. Entrambe le famiglie ricevono un reddito da lavoro di 40.000 euro all’anno a partire dall’anno 2000; la vita lavorativa dei membri di ciascuna famiglia terminerà nel 2030. La maggiore differenza fra le due famiglie è lo stile di consumo e di risparmio: i Cicala spendono ogni anno il 95% del reddito che percepiscono, risparmiandone dunque il 5%, mentre i Formica si limitano a spenderne l’80%, con un risparmio annuo del 20%. Quanto risparmiato viene investito in un fondo comune di investimento che verrà liquidato alla fine dell’attività lavorativa, dunque nel 2030.Si potrebbe pensare che lo stile di vita dei Cicala sarà ricco di soddisfazioni immediate, mentre i Formica, pur più previdenti, si dovranno accontentare di livelli di consumo inferiori. In realtà le cose non vanno esattamente a questo modo, come dimostra il seguito della simulazione.Nel primo anno, il 2000, i Cicala risparmiano 2000 euro (5% di 40.000), mentre i Formica ne risparmiano 8000 (20% di 40.000). Conseguentemente i consumi dei Cicala saranno stati, sempre nel 2000, pari a 38.000 euro e quelli dei Formica pari a 32.000 euro. Nell’anno successivo, 2001, ciascuna famiglia ha ricevuto il rendimento del fondo di investimento (8% su quanto risparmiato); quindi i Cicala hanno ricevuto 160 euro e i Formica 640. Dunque nel 2001 il reddito dei Cicala sarà diventato 40.000+160 e quello dei Formica 40.000+640. La tabella che segue mostra questa situazione in relazione ai primi anni di rendimento.

Già da questa prima proiezione dovrebbero essere chiari alcuni elementi: in primo luogo, il reddito delle due fami-glie aumenta per effetto del rendimento dovuto all’investimento del fondo di investimento; i consumi della famiglia Formica sono inferiori rispetto a quelli dei Cicala, il che fa presumere che lo stile di vita di questi ultimi sia migliore di quello dei Formica. Ma il differenziale dei consumi delle due famiglie tende progressivamente a ridursi, grazie all’effetto del rendimento del fondo di investimento. Il grafico 3 mette in evidenza gli effetti delle diverse scelte nel lungo periodo.

5 Con qualche variante si tratta di quanto riportato in R. Frank e B. Bernanke, Principles of Economics, McGraw-Hill, New York, 2004. L’esempio originario di Frank/Bernanke è stato ripreso da P. Legrenzi, Psicologia e investimenti finanziari, Edizioni del Sole/24 Ore, Milano, 2006. La simulazione qui presentata è quella di Legrenzi (pp. 32 e segg.).

Il grafico 2 presenta un esempio di programmazione di lungo periodo. È ovvio che oltre alla programmazione di lungo periodo, che investe tutto l’arco della vita, è necessaria anche una programmazione più a breve, e d’altra parte le variabili ipotizzate dal grafico non è detto si ve-rifichino. Nel grafico si è tenuto conto soltanto di entrate ed uscite ragionevolmente certe, come gli aumenti di reddito dovuti alla progressione di carriera nella fase centrale della vita lavorativa di un soggetto, oppure gli aumenti del livello di risparmio legati al maggior reddito disponibile, o ancora il brusco calo nel livello del reddito determinato dall’uscita dal mercato del lavoro e il pensionamento. Ovviamente possono esservi altre voci di cui tenere conto: per esempio, la nascita di figli produce notevoli spese, soprattutto fra i trenta e i sessanta anni, che potrebbero incidere sul tasso di risparmio. In effetti, nel tentativo di mantenere il tenore di vita già acquisito, molte famiglie riducono il livello di risparmio. O ancora, un investimento non andato a buon fine produce, di solito, riduzioni della quota risparmiata. E, d’altra parte, un evento certo come il pensionamento, produce normalmente una riduzione del reddito disponibile cui occorre far fronte o con un ridimensionamento dei consumi, spesso di entità non trascurabile, oppure con accantonamenti durante il periodo di vita attiva attraverso il risparmio o, più opportunamente, attraverso la sottoscrizione di fondi pensionistici.Si tratta di valutazioni che chiunque potrebbe fare, anche se nella pratica non tutti fanno; anche in questo caso dipende da quali parti del cervello vengono stimolate e si attivano: se prevale il sistema limbico, allora si opta per consumi immediati e per la soddisfazione di bisogni presenti, se invece prevale la corteccia parietale, allora si pianificano le spese non soltanto per la soddi-sfazione di bisogni presenti, ma tenendo conto anche delle prospettive future.Si potrebbe pensare che le decisioni tra “la gallina oggi o l’uovo domani” siano radicalmente

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Graf. 2 – Una simulazione di lungo periodo sull’andamento di reddito, consumi e risparmi

Tab. 1Gli effetti sul reddito familiare di due diversi livelli di risparmio a fronte di un piano pensionistico dalle stesse caratteristiche

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Consumi famiglia Cicala

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Risparmio Cicala

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Il grafico mostra una situazione di estremo interesse: è vero che i consumi dei Cicala sono superio-ri a quelli dei Formica, ma soltanto per i primi quindici anni circa. A partire dal 2015 i Formica, pur mantenendo un maggior tasso di risparmio, “sorpassano” negli standard di consumo i Cicala, grazie al maggior rendimento assoluto del fondo di investimento! La stessa situazione è eviden-ziata se si prende in considerazione il differenziale nei consumi fra le due famiglie: fino al 2015 tale differenziale è a favore dei Cicala, mentre a partire dal 2016 la situazione si capovolge.Ovviamente, vi possono essere ottimi e giustificati motivi per la scelta della famiglia Cicala: maggior carico familiare, una malattia, o anche solo il desiderio di “fare la bella vita” finché si è giovani. Allo stesso modo, la parsimonia dei Formica può non avere motivazioni particolari, ma può essere dettata da abitudini familiari frugali. Resta il fatto che questi atteggiamenti, indipen-dentemente dalle ragioni che spingono le due famiglie a tenerli, hanno conseguenze sugli stili di vita, presenti e futuri.Più in generale, non è da preferire una scelta ad un’altra in assoluto, ma occorre utilizzare gli strumenti che l’economia mette a disposizione per scegliere qual è la strada migliore: più saggi e un po’ più tristi oppure meno saggi e più allegri6. L’importante è essere consapevoli delle conse-guenze che le scelte provocano.

6 J. Elster, Più tristi ma più saggi, Anabasi, Milano, 1994.

Traccia per l’attività in classeLe decisioni di spesa degli individui rappresentano un elemento determinante della qualità della vita. D’altra parte, decidere le modalità con cui si spende il proprio denaro e se, e quanto, risparmiare deve essere programmato con attenzione, tanto più, ovviamente, se si dispone di redditi bassi o incerti nella loro continuità. Comprendere dunque quali sono le logiche che guidano le decisioni di consumo o di risparmio rappresenta un campo di indagine impor-tante ed affascinante per il ricercatore, ma anche un ambito di riflessione irrinunciabile per colui che deve decidere quali sono le scelte di consumo da privilegiare. Partendo da queste considerazioni, il docente può svolgere l’attività in classe, guidando gli studenti a rispondere ai seguenti quesiti.

Perché la logica sottostante allo schema di Maslow può servire per programmare gli impieghi del proprio reddito?La piramide di Maslow rappresenta una schematizzazione efficace e di immediata comprensione dei bisogni indi-viduali e dunque delle logiche che guidano, o dovrebbero guidare, una programmazione attenta e razionale delle proprie spese. È ovvio che il primo utilizzo del proprio reddito deve essere destinato al soddisfacimento dei bisogni fisiologici fondamentali, quali il cibo o la protezione dal freddo. Gli altri bisogni, che nella piramide sono al di sopra della sua base, vengono soddisfatti se si dispone ancora di reddito dopo averlo speso per i bisogni fondamentali.Si osservi che la logica di classificazione dei bisogni che ha guidato Maslow si basa sulla presenza di bisogni via via più “astratti”, ma non per questo meno importanti. All’estremo, si pensi al vertice della piramide e ai bisogni di autorealizzazione: essi sono fondamentali per gli individui perché sono collegati all’autostima e alla percezione di sé, elementi questi che guidano le scelte di ciascuno nella vita quotidiana.

Quali sono i fattori che guidano gli individui nelle decisioni di acquisto e consumo?Programmare le proprie decisioni di acquisto può sembrare un’operazione poco impegnativa: in fondo, dovrebbe essere sufficiente sapere l’ammontare del proprio reddito e cominciare a “scalare” la piramide di Maslow. In realtà si tratta di un compito quotidiano che richiede un notevole impegno perché le decisioni individuali sono spesso guidate anche, e a volte soprattutto, da motivazioni psicologiche, peraltro non sempre evidenti allo stesso individuo chiamato a compiere le scelte.La neuroeconomia è un ramo di incrocio fra la teoria delle scelte economiche e la fisiologia delle strutture celebrali. Si tratta di una disciplina recente, ma che ha permesso di compiere grandi passi avanti nella comprensione dei comportamenti economici umani, permettendo di scoprire quali centri celebrali si attivano quando si è posti davanti alle necessità di scelta.Il cervello umano ha una struttura “a cipolla” ed è il risultato di progressive stratificazioni: la parte più esterna è quella che presiede alle scelte razionali, e che dovrebbe essere quella maggiormente coinvolta nelle decisioni economiche. In realtà non sempre è così: è stato dimostrato che in molti casi gli individui agiscono sotto l’impulso di parti del cervello “più interne”, in particolare sotto l’influenza del sistema limbico.

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Graf. 3 – Andamento dei livelli di consumo delle famiglie Cicala e Formica e del differenziale dei consumi fra le due famiglie nel corso del tempo.

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Che cosa hanno appurato gli studi sui comportamenti individuali nel-le scelte di consumo?Non è dunque scontato che le scelte di natura economica siano sempre e comunque guidate dalla piena razionalità. Al contrario, in molte situazioni sono le emozioni, governate dal sistema limbico, a far optare per una certa decisione piuttosto che un’altra. È dunque possibile che le scelte concrete non siano quelle razionali ma quelle emozionali, tanto più nel caso di scelte di consumo che hanno a che fare con il soddisfacimento di bisogni che l’individuo ritiene urgente soddisfare. È per questa ragione che la pianificazione del consumo e del risparmio, oltre a far entrare in campo competenze che hanno a che fare con la contabilità delle risorse individuali e familiari, deve tener conto delle pulsioni emozionali e del ruolo che giocano nelle scelte.

Perché è necessario programmare con attenzione le scelte di con-sumo e risparmio?In linea generale gli individui ritengono di essere capaci di compiere scelte attente per quanto riguarda i loro livelli di consumo e di risparmio. Purtroppo l’esperienza insegna che tali scelte in molti casi si rivelano tutt’altro che corrette. Ovviamente vi sono situazioni non programmabili: la morte improvvisa di un genitore può privare la famiglia del reddito su cui pensava di poter con-tare; una malattia può rivelarsi una fonte di spesa inaspettata; in senso opposto, l’arrivo di una eredità o di una vincita alla lotteria modificano i piani di spesa in questo caso in modo positivo. Ma più in generale, anche quando non si verificano eventi imprevisti, non è detto che le persone dimostrino di saper programmare il loro tenore di vita, presente e futuro. La simulazione delle famiglie Cicala e Formica, presentata nella scheda, dimostra che un tasso di risparmio superiore (famiglia Formica) rende possibile, dopo alcuni anni di consumi relativamente bassi, uno standard di vita superiore a quello di chi aveva deciso di “godersi la vita” con il reddito a disposizione (famiglia Cicala).

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iteFAQ DOMANDE E RISPOSTE

1. Perché occorre tenere presente i rischi connessi all’euforia o al panico finanziari?Euforia e panico sono due componenti essenziali dei mercati finanziari, specie in presenza di bolle speculative: quando il mercato finanziario è in fase di ascesa, è molto facile che si sviluppino comportamenti di euforia e che le persone, prese dal desiderio di guadagnare, investano grandi somme, in qualche caso ben al di fuori di qualunque regola di elementare prudenza. Quando poi il mercato rallenta, si sviluppano comportamenti di fuga dai titoli e si scatena il panico.L’euforia e il panico sono evidentemente guidati dal sistema limbico, ma non è detto che tali comportamenti siano sempre negativi: quando il mercato “tira” può essere una buona idea fare impegnare il massimo delle proprie risorse al fine di massimizzare i guadagni; al contrario, quando il mercato mostra i primi cenni di cedimento, “fuggire” precipitosamente dai titoli considerati più a rischio rappresenta una scelta condivisibile.

2. Ma allora perché gli economisti considerano così pericolosi i comportamenti di euforia e di panico?La risposta a questa domanda ha a che fare con le diverse conseguenze della sfera individuale rispetto a quella collettiva. Come detto, mettere in moto i meccanismi del sistema limbico può rappresentare per l’individuo una buona garanzia di successo nei momenti alti del ciclo finanziario e una riduzione delle perdite quando si verificano dei rallentamenti o delle cadute. Ma quello che può essere ragionevole per un individuo, non lo è per l’intero sistema: per esempio, di fronte ad un modesto rallentamento nella crescita di valore dei titoli, molti investitori potrebbero trovare sensato vendere quei titoli che pure presentano ancora un trend positivo, sebbene in misura minore rispetto al passato. Ma l’eccesso di offerta dei titoli sul mercato ne riduce ulteriormente il rendimento, il che induce altri investitori a “fuggire” da quei titoli. E si crea il panico.

3. Come deve programmarsi un individuo per evitare situazioni negative?Non è facile programmare i propri livelli di consumo, specie in presenza di un reddito non particolarmente alto o non particolarmente stabile. Ma proprio in simili casi la programmazione deve essere più attenta e, se possibile, deve abbracciare tutto l’arco della vita della persona. Occorre tenere presente che vi possono essere eventi nella vita di un individuo che non possono essere previsti, ma cui occorre far fronte quando dovessero accadere. Risparmiare una quota del proprio reddito rappresenta senza dubbio una soluzione saggia, anche se questo inevitabilmente riduce gli standard di vita perché si traduce in minori consumi, almeno nel breve-medio periodo. Inoltre occorre tenere presente le modalità con cui “si investe” il proprio risparmio: se si tratta di risorse destinate a non essere spese in tempi brevi, conviene cercare impieghi che garantiscano un rendimento accettabile, anche se vi è sempre da tenere conto della possibilità che sia necessario rendere liquidabile in fretta quell’investimento.Si tratta di operazioni mentali, prima che finanziarie, di notevole impegno. Che però sono necessarie e che non dovrebbero essere sottovalutate da nessuno.

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Test FINALE

Soluzioni : 1b. - 2c. - 3a. - 4c. -5d.

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1. La piramide di Maslowa. presenta l’alternativa tra consumo e risparmiob. classifica i bisogni in base alla loro urgenzac. permette di valutare il rendimento di diversi impieghi finanziarid. garantisce una programmazione delle spese

2. Il sistema limbicoa. consente di fare scelte economiche razionalib. aiuta la persona quando deve decidere fra due alternative c. interviene permettendo di fare scelte basate sul lato emozionaled. rappresenta la parte più “interna” del cervello umano

3. Le bolle finanziarie sono causatea. dall’euforia finanziariab. dal panico che si scatena sui mercati in determinate occasionic. dall’investimento in titoli bancarid. dal fatto che le banche non riescono a far fronte ai loro debiti

4. In che cosa consistono i fondi pensionistici?a. si tratta di quanto accantonato presso gli istituti di previdenza e che viene restituito al soggettoquando va in pensioneb. si tratta di investimenti fatti dalle banche per preservare il valore delle pensioni dei propri dipendentic. si tratta di quote di reddito accantonate dal soggetto e gestite da apposite società private che vengono restituite al soggetto stesso nel momento del suo pensionamentod. si tratta di quote di risparmio investite in attività alberghiere

5. Che cosa si intende per rendimento di un titolo?a. il prezzo da pagare per l’acquisto di un titolob. il prezzo diviso la quantità di titoli comperatic. il tempo di scadenza del titolo (tre mesi, un anno, cinque anni, ecc.)d. il ricavo garantito a scadenza dal titolo stesso

TAGS LINKSSITI E INFO PER APPROFONDIRE

Il sito della Banca d’Italia permette di accedere all’indagine biennale sui redditi delle famiglie italiane che rappresenta un importante strumento conoscitivo delle condizioni di consumo e risparmio degli italiani: www.bancaditalia.it/statistiche/indcamp/bilfait/boll_stat Inoltre, Banca d’Italia ha intrapreso un’azione di sensibilizzazione verso la necessità di conoscenza dei temi finanziari: in una sezione del suo sito è possibile reperire materiale utile in questa direzione: www.bancaditalia.it/servizi_pubbl/conoscereProgetica è una società di consulenza particolarmente sensibile ai temi dell’educazione finanziaria: progetica.itLa crisi mondiale ha messo in evidenza come essa abbia avuto origine anche a causa della scarsa cultura finanziaria dei risparmiatori. L’OECD ha avviato a questo proposito un ambizioso programma volto a far crescere tale cultura: www.financial-education.org

LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE

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Piramide di MaslowBisogni economiciEuforiaPanicoEducazione finanziariaNeuroeconomia

4. Perché è importante l’educazione finanziaria?Non è facile programmare i propri livelli di consumo, specie in presenza di un reddito non particolarmente alto o non particolarmente stabile. Ma proprio in simili casi la programmazione deve essere più attenta e, se possibile, deve abbracciare tutto l’arco della vita della persona. Occorre tenere presente che vi possono essere eventi nella vita di un individuo che non possono essere previsti, ma cui occorre far fronte quando dovessero accadere. Risparmiare una quota del proprio reddito rappresenta senza dubbio una soluzione saggia, anche se questo inevitabilmente riduce gli standard di vita perché si traduce in minori consumi, almeno nel breve-medio periodo. Inoltre occorre tenere presente le modalità con cui “si investe” il proprio risparmio: se si tratta di risorse destinate a non essere spese in tempi brevi, conviene cercare impieghi che garantiscano un rendimento accettabile, anche se vi è sempre da tenere conto della possibilità che sia necessario rendere liquidabile in fretta quell’investimento.Si tratta di operazioni mentali, prima che finanziarie, di notevole impegno. Che però sono necessarie e che non dovrebbero essere sottovalutate da nessuno.

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5 I consumidi Elide Sorrenti

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Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere

all’evasione. Niente ipocrisie. Chiunque si è trovato a dover dare una risposta alla domanda «con o senza Iva?». E in alcuni casi la differenza non sarà stata certo di poco conto. Si va dall’idraulico all’imbianchino (nessuna delle categorie citate se ne abbia a male). Del resto i numeri dell’evasione sono chiari: 60 miliardi di Iva non pagata all’anno, la metà dell’intero gettito mancato. Si accende così un faro sul problema e la difficoltà dei controlli. Tema che fa ciclicamente riaffiorare l’ipotesi di un ampliamento delle spese deducibili dal privato cittadino con l’obiettivo di far emergere il «nero». In questo caso il conflitto di interessi si risolverebbe a favore della richiesta della fattura o dello scontrino per poi poter detrarre in parte la spesa sostenuta. Ma guardando al passato, le misure prese in questa direzione non hanno prodotto grandi risultati. Come ad esempio la deducibilità delle spese mediche, fa presente l’Agenzia delle Entrate: non c’è stata un’impennata del gettito in quel settore. Mentre la Guardia di Finanza ricorda l’operazione «Pandora» portata a termine due anni fa sulle ristrutturazioni, per le quali erano stati richiesti sgravi fiscali. Le Fiamme Gialle hanno scoperto oltre 5 mila imprese edili che avevano eseguito i lavori senza dichiarare alcun reddito (3 miliardi di euro occulti), mentre i clienti avevano richiesto lo sgravio fiscale nella loro dichiarazione dei redditi. Dai controlli dei finanzieri sono risultati circa 500 milioni di Iva evasa.

I controlli Insomma, il problema controlli è determinante. Per Enrico Zanetti, direttore di Eutekne.info , il quotidiano del commercialista, «l’ampliamento delle spese deducibili può sembrare a prima vista una soluzione per rimuovere le prassi consolidate di complicità, ma nei fatti è più complicato perché solo il controllo verifica la vera spesa sostenuta. E dunque potrebbe invece portare i cittadini a dichiarare spese non sostenute. Oggi l’Agenzia delle Entrate già non riesce a fare i controlli sui 5 milioni di partite Iva. Come potrebbe garantirli sui 40 milioni di contribuenti per dissuaderli dal dichiarare il falso?». Una soluzione però ci sarebbe: «Prevedere una modalità di certificazione delle spese detraibili - ragiona Zanetti - tali da consentire l’inclusione nei file telematici della dichiarazione dei redditi in modo tale che ci sia un riscontro diretto».Intanto c’è l’aumento dell’Iva ordinaria al 21%, mentre le altre aliquote rimangono invariate. La minima al 4%, che interessa alcuni generi alimentari come frutta, verdura e latte, i libri e i giornali e le vendite delle abitazioni quando si tratta di «prima casa». L’aliquota ridotta resta al 10% ed è applicata, ad esempio, a uova e birra (mentre il vino è al 21%) e alle cessioni di abitazioni che non hanno il requisito di «prima casa», ma anche alle bollette elettriche per alcuni grandi clienti industriali come possono essere le acciaierie. Il provvedimento, comunque, non stupisce più di tanto Zanetti: «Mi sembra coerente - conclude -. Da due anni si parla di riforma fiscale e di spostare la tassazione dai redditi alle cose. Sul tema erano d’accordo tutte le parti sociali. Ed è quello che è stato fatto. Certo, ci sono poi anche i patrimoni».

Detersivi, giocattoli e tv, ma anche auto, moto, abbigliamento e scarpe Così pure caffè, vino, cioccolata, pacchetti vacanze e una serie di servizi, dalle riparazioni dell’idraulico al taglio del parrucchiere. Sono i «protagonisti» dell’aumento dell’Iva dal 20 al 21% deciso in extremis dal governo. La scelta impopolare almeno porterà nelle casse dello Stato tra i 4 e i 5 miliardi all’anno. E avrà un impatto sui prezzi dello 0,8%. In teoria. In pratica i timori delle associazioni dei consumatori è un aumento indiscriminato dei prezzi. Con conseguente penalizzazione dei consumi, già in sofferenza per la crisi prolungata che ormai si sta facendo sentire sulle famiglie. Per il presidente del Codacons Carlo Rienzi «il rialzo porterà a un aumento di tutti i prodotti indistintamente perché l’Iva viene scaricata sui consumatori. Saremo destinati a veder salire anche l’inflazione».

Le stimeIl termine ricorrente è «stangata». Che il Codacons quantifica in 290 euro l’anno, ma che salirebbero fino a 385 euro per una famiglia di 4 persone. I calcoli della Cgia di Mestre, l’associazione degli artigiani, è invece meno catastrofista e parla di «aggravio contenuto», valutando la misura del governo il «male minore». La Cgia ha diviso le famiglie per disponibilità di spesa, prendendo in considerazione le fasce di reddito che vanno da un minimo di 15 mila a un massimo di 55 mila euro e per ognuna è stata calcolata l’incidenza dell’aumento in tre casi: contribuenti senza familiari a carico, famiglie con coniuge e 1 figlio a carico e famiglie con coniuge e 2 figli a carico. Nell’elaborazione è stato tenuto conto dei fattori che possono influenzare il reddito disponibile e la diversa propensione al consumo. Il risultato mostra un aumento della spesa annua che va da 37,54 euro a 60,64 per chi ha un reddito di 15 mila euro senza familiari a carico oppure con coniuge e 2 figli. Per chi guadagna 30 mila euro l’aumento va da 58,27 a 77,84 euro. Più si sale con il reddito e più aumenterà l’incidenza: per le famiglie con entrate da 55 mila l’aumento andrà da un minimo di 99,75 a un massimo di 123,21. Federconsumatori, invece, ha fatto un calcolo solo sul rincaro della benzina: un esborso aggiuntivo di 32 euro l’anno, che se si somma agli aumenti a caduta da agosto 2010 si potrà arrivare a oltre 470 euro in più all’anno per fare il pieno.

Il conflitto di interessiCerto, l’aumento dell’Iva sulla bolletta elettrica sarà pagato in automatico e così sul caffè o sul vino, sulla tv o sui giocattoli. Ma c’è tutta una serie di servizi sulla quale crescerà la tentazione

8 Settembre 2011

DAI GIOCATTOLI AI DETERSIVI LA NUOVA IVA PER LE FAMIGLIEI consumatori: l’aumento al 21% costerà 385 euro l’annodi Francesca Basso

L’articolo5I c

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mi Come cambia l’imposta

L’EVASIONE L’IVA IN ITALIA CHI PAGA DI PIÙ LE ALIQUOTE IVA NEI PRINCIPALI PAESI UE

Redditi evasi ogni anno

Mancato gettito

Iva evasa

4,389miliardi di eurogli introiti nel 2012 dall’aumento di un punto dell’Iva

270

120

di cui60

21%

10%

4%

Bollette elettriche,giocattoli, tv, auto, moto, caffè, scarpe abbigliamento, vino,cioccolata, pacchetti vacanze, parrucchiere

Su uova, birra, energia elettrica, cessione di abitazioni senza requisiti “prima casa”

Su latte, libri,giornali, frutta, venditedi abitazioni con requisiti “prima casa”

Lavoratori dipendenti

dei contribuenti totali

Autonomi(*)

20.870.919 5.204.913

12.5%50.3%

stima gettito irpef

dei contribuenti totali

81.562miliardi

19.648miliardi

(*) comprende:lavoratori autonomi, ditte individuali e soci delle società di persone

Corriere della Sera

(cifre in miliardi di euro)

55.7% 13.4%

Portogallo

Grecia

Repubblica Ceca

ITALIA

Gran Bretagna

Francia

Germania

Spagna

Minima Ridotta Ordinaria

(........)

6

6.5

4

2,1

4

13

13

10

10

5

5,5

7

8

23

23

20

21

20

19,6

19

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professionisti pongono al cliente spesso, anzi quasi sempre, il dilemma: “con fattura o senza?”. Il cliente non ha nessun interesse a pagare una cifra maggiorata con la fattura, a meno che lo Stato non gli consenta di dedurne l’ammontare nella dichiarazione dei redditi.L’articolo quindi prende in considerazione la possibilità che, a seguito di questa manovra, aumenti la tendenza ad evadere il pagamento dell’Iva per i beni o servizi citati sopra, che hanno già un ambito di evasione molto elevato: 60 miliardi di Iva non pagata all’anno. Si tratta di operazioni in nero. Il problema dell’evasione è molto grave e la sua soluzione riguarda il sistema dei controlli. Infatti, mentre l’Agenzia delle Entrate non ha riscontrato un rilevante incremento del gettito di entrate a fronte della deducibilità delle spese mediche, le Fiamme gialle hanno scoperto che sulle ristrutturazioni degli edifici, per le quali i contribuenti avevano richiesto lo sgravio fiscale nella dichiarazione dei redditi, vi era un’evasione di circa 500 milioni di Iva da parte di oltre 5mila imprese edili che avevano eseguito lavori senza dichiarare alcun reddito. Si tratta di una discrepanza temporale tra i dati in possesso di due organi dello Stato. L’Agenzia delle Entrate non è in grado di effettuare tem-pestivamente gli opportuni controlli in sintonia con quelli della Guardia di Finanza.Il direttore di “Eutekne.info”, che è il quotidiano del commercialista, ipotizza la possibilità di «prevedere una moda-lità di certificazione delle spese detraibili, tali da consentire l’inclusione nei file telematici della dichiarazione dei redditi in modo tale che ci sia un riscontro diretto». Con questo strumento il controllo incrociato dei dati consentireb-be di scoprire tempestivamente le transazioni in nero e di ridurre così l’ampia area di evasione dell’Iva.

Temi e problemiIl contenuto dell’articolo mette a fuoco due figure chiave : lo Stato e le famiglie. Entrambi sono operatori economici le cui scelte si influenzano reciprocamente. Lo Stato, inteso come pubblica amministrazione, interviene nel sistema economico in diversi modi: • aumentando o diminuendo le imposte e le tasse;• producendo servizi, quali la difesa, l’ordine pubblico, la giustizia, che competono in via esclusiva allo Stato,

e servizi di carattere sociale, quale l’istruzione, la sanità, la previdenza sociale, ecc.• intervenendo in economia, quando la situazione lo richiede, per esempio effettuando investimenti in settori di

interesse generale, quali la produzione di energia elettrica, la viabilità, ecc., anche con l’obiettivo di aumen-tare l’occupazione.

Con il termine “famiglia” in economia si intende un insieme di persone, che, indipendentemente dai legami di parentela, provvedono al soddisfacimento dei bisogni, mettendo in comune tutto o parte del reddito percepito dai suoi componenti (ISTAT – Istituto Nazionale di Statistica) che hanno guadagnato.• in qualità di proprietari dei fattori di produzione, quando cedono capitali, lavoro e risorse naturali alle impre-

se, che li acquistano pagando loro interessi, salari e rendite;• e che spendono per acquistare i beni ed i servizi necessari per soddisfare i loro bisogni.

Il circuito economicoLa figura riportata alla pagina seguente rappresenta il circuito economico ossia un insieme di flussi monetari e reali coordinati dagli scambi tra i diversi aggregati. Lo schema è semplificato perché non sono considerati gli scambi con un altro aggregato, cioè il resto del mondo, e neppure quelli tra consumatori e imprese con il sistema bancario, che per semplicità è inserito tra le imprese.

Chiavi di lettura dell’articoloL’articolo prende in considerazione alcune previsioni circa gli effetti sui prezzi dei beni di consu-mo e sulle scelte di spesa delle famiglie a seguito degli aumenti dell’Iva, che sono stati introdotti con la Conversione del Decreto Legge 13 agosto 2011, n.138. L’Iva o Imposta sul valore aggiunto è un’imposta indiretta, in quanto colpisce il reddito di una persona nel momento in cui lo spende per comprare un bene o un servizio di cui ha bisogno. È quindi un’imposta che grava sui consumi. Si chiama Imposta sul valore aggiunto perché colpisce solo l’incremento di valore che un bene o un servizio acquista quando viene impiegato nel processo produttivo per ottenere il bene o il servizio finale. Tale incremento di valore viene addebitato, attraverso l’aumento del prezzo di vendita, al consumatore. Gli scambi intermedi tra i diversi imprenditori o professionisti, acquirenti o venditori delle materie prime, degli impianti o delle consulenze, utilizzati nelle varie fasi della produzione, vengono colpiti solo sul valore aggiunto offerto al bene o alla prestazione assicuran-do in tal modo la neutralità del tributo in tali scambi. Le aliquote Iva, ossia le percentuali applicate sul valore aggiunto, sono differenziate a seconda della tipologia del bene o del servizio di cui si tratta. Per esempio, per i beni di prima necessità l’aliquota è più bassa. L’articolo presenta in una tabella le categorie di beni e servizi con le rispettive aliquote da applicare. La recente manovra finanziaria ha portato l’aliquota dal 20% al 21% per la fascia più alta dei beni e servizi, quali, ad esempio, bollette elettriche, giocattoli, tv, auto, moto, caffè, scarpe e abbigliamento, vino, cioccolato, pacchetti vacanze, parrucchiere, ecc.

Effetti di questa variazione dell’IvaLe associazioni dei consumatori temono un rialzo generalizzato dei prezzi nella misura dello 0,8% per tutti i beni di consumo, non solo per quelli colpiti dall’aumento. Altre indagini, basate invece sulla composizione familiare e sul reddito percepito, evidenziano come all’aumentare del reddito ne aumenti anche l’incidenza, ossia il peso dell’imposta. Ad esempio, per le famiglie con entrate da 55 mila euro l’aumento di spesa andrà da un minimo di 99,75 a un massimo di 123,21 euro.

Conflitto di interessiEsiste un conflitto di interessi tra il compratore ed il fisco. A meno che non si tratti di beni o ser-vizi che si pagano con il modulo del conto corrente predeterminato come nel caso delle bollette telefoniche, del gas o energia elettrica, in cui l’Iva è inclusa nel prezzo, per altri tipi di presta-zioni vi è la possibilità di evadere il pagamento dell’imposta. Infatti il dentista o l’idraulico o altri

di Elide Sorrenti

La scheda5I c

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Questo incremento dell’imposta, come è stato indicato nell’articolo, ha lo scopo di fornire un aumento delle entrate dello Stato per appianare il deficit del bilancio pubblico; fra le varie previsioni c’era anche quella di un aumento del livello dei prezzi di tutti i beni e servizi, con conseguenti effetti inflazionistici.

L’inflazioneL’inflazione è un fenomeno che si manifesta con un aumento generalizzato e persistente del livello dei prezzi dei beni e dei servizi. Ne consegue la diminuzione del potere d’acquisto della moneta. Il consumatore trova sul mercato i beni e i servizi di cui ha bisogno a prezzi più elevati rispetto a un periodo precedente ed è costretto, se il suo reddito è rimasto costante, a ridurre i suoi acquisti. L’inflazione può produrre altri effetti negativi per l’economia e la società. Uno di questi può essere un processo recessivo, per cui, a seguito della diminuzione dei consumi, le imprese riducono la produzione, gli investimenti e quindi l’occupazione. Le famiglie si trovano ad avere meno salari, interessi e rendite e quindi consumano di meno: così ha inizio una spirale recessiva.L’inflazione determina inoltre situazioni di iniquità sociale. Come abbiamo già visto, i consumatori, specie quelli a reddito fisso, sono danneggiati perché sono costretti a ridurre i loro acquisti. Sono penalizzati pure i creditori che si vedono rimborsare i crediti al loro valore nominale con un potere d’acquisto ridotto, mentre per i debitori il rimborso risulta meno oneroso. Questa situazione genera sfiducia e deprime il risparmio, mentre i tassi di interesse aumentano per ridurre i rischi della svalutazione.

Consumo e risparmioNella rappresentazione del circuito economico abbiamo visto come il flusso monetario sia continuo e passa dalle famiglie alle imprese e viceversa. Si è indotti a pensare che tutto quello che viene guadagnato dalle famiglie ven-ga speso sui mercati. In realtà non è così. Siccome abbiamo inserito le banche tra le imprese, rimane nascosta la variabile del risparmio. Infatti i soggetti normalmente destinano i loro redditi in parte al consumo e in parte al risparmio.Il rapporto tra consumo e risparmio è rilevante ai fini delle scelte degli individui: sono inversamente proporzionali. Se si consuma tutto il reddito, non c’è risparmio. Se aumenta il consumo, il risparmio diminuisce e viceversa. È molto importante però misurare l’entità di queste variazioni, che dipendono da un’altra variabile: il reddito a disposizione. Quando il reddito è molto basso esso viene destinato quasi interamente al consumo, mentre man mano che esso aumenta, i consumi crescono ma in modo meno che proporzionale e aumenta la quota destinata al risparmio. Il risparmio quindi è la parte di reddito che non viene spesa per i consumi. Il grande economista J. M. Keynes ha espresso le relazioni tra reddito e consumo e reddito ed investimento, rispettivamente con la propensione al consu-mo e la propensione al risparmio, che vengono distinti in:a. propensione media al consumo che è data dal rapporto tra i consumi totali di una popolazione e il reddito com-plessivamente disponibile;b. propensione marginale al consumo che è data dal rapporto tra variazioni del consumo e variazioni del reddito; non è costante: a livelli di reddito molto bassi, tutto il reddito a disposizione verrà destinato interamente ai consumi, mentre a livelli più elevati, il consumo crescerà, ma in proporzione inferiore;c. propensione media al risparmio che è data dalla percentuale di reddito risparmiata ad un dato livello di reddito;d. propensione marginale al risparmio che indica l’aumento del risparmio conseguente ad un aumento del reddito.

Al centro troviamo lo Stato che produce servizi destinati alle imprese e alle famiglie; queste a loro volta pagano imposte e tasse. Si tratta di uno scambio piuttosto anomalo in quanto tasse e imposte sono decise unilateralmente dallo Stato e si possono considerare comunque il corrispet-tivo dei servizi ricevuti. Gli altri flussi riguardano i settori delle famiglie e delle imprese. Le prime cedono l’uso dei fattori produttivi alle seconde, ricevendone in cambio un reddito che poi spendono per acquistare dalle imprese i beni e i servizi prodotti.Il flusso monetario è quello esterno, che nella parte bassa assume la qualificazione di interessi, salari e rendite che spettano alle famiglie, nella parte alta quella dei prezzi dei beni e servizi che esse pagano alle imprese, acquistandone i prodotti.Il flusso reale è quello interno, che nella parte inferiore rappresenta il capitale, il lavoro e le risor-se naturali impiegati dalle imprese; nella parte superiore i beni e servizi prodotti a disposizione delle famiglie.

Questo modello è, come abbiamo detto, una semplificazione, che consente di avere una visione d’insieme della tipologia di scambi che avvengono tra questi aggregati. Dà l’idea di un flusso che si riproduce continuamente, man mano che i beni escono dal mercato, soddisfacendo i bisogni delle persone, mentre il ciclo produttivo continua impiegando altri fattori produttivi e offrendo la nuova produzione sul mercato. Può dare l’impressione di un moto perpetuo, in cui le quantità prodotte e i redditi guadagnati siano in equilibrio. In realtà le cose vanno in modo diverso, poiché nel tempo si possono verificare fatti nuovi, come l’adozione di nuove tecnologie, che mutano l’organizzazione delle imprese agendo anche sul volume dell’occupazione, oppure qualche intervento dello Stato, quale la manovra finanziaria che ha aumentato l’aliquota dell’Iva per realizzare l’aggiustamento dei conti pubblici.

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Prezzi dei benie dei servizi

Beni e servizi

Imprese

impostee tasse

ServiziSTATO Famiglie

Capitale,risorse naturali

e lavoro

Interessi rendite e salari

alle

alle

alle

pagano

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alle

impostee tasse

Servizi

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A livello microeconomico i criteri di scelta sono ben espressi dalle due teorie che abbiamo preso in considerazione e riflettono in media i comportamenti usuali delle persone, che agiscono per massimizzare la loro soddisfazione. È però da tener presente che non tutti hanno gli stessi bisogni. Ci sono persone che preferiscono vivere al presente, come le cicale della famosa favola, altre che invece sono prudenti e pensano al futuro e quindi, se possono, rispar-miano. Alcune trovano una grande soddisfazione quando realizzano il proprio tornaconto personale, altre invece quando fanno del bene agli altri. In questa varietà gioca un ruolo importante l’età del nostro operatore.Consumare significa destinare una parte del proprio reddito a soddisfare dati bisogni, acquistando i beni o i servizi che sono offerti sui mercati a determinati prezzi. Il prezzo è il controvalore in moneta del bene richiesto. Il compratore cede al venditore una certa quantità di moneta per ottenere il bene o il servizio desiderato. È molto importante che prima dell’acquisto ne valuti la convenienza, ossia rapporti il sacrificio che fa nel privarsi di quella quantità di denaro con la soddisfazione di avere a disposizione quanto intende acquistare.Nell’attuale situazione di crisi gli atteggiamenti e gli stili di vita degli italiani stanno cambiando anche se con una certa lentezza. Fino alla bufera di agosto vi era la convinzione che la crisi sarebbe stata passeggera. Infatti i consumi sono rimasti abbastanza stabili prima dell’estate 2011, anche perché si è fatto ricorso ai risparmi, e la propensione al risparmio ha toccato il suo punto più basso (9%). I dati statistici denotano un calo di fiducia dei consumatori. I dati delle grandi catene di distribuzione evidenziano preoccupazione per l’aumento dell’Iva che ha colpito assieme ai beni di lusso anche molti generi di largo consumo.I consumatori dal canto loro, pur se sfiduciati, hanno messo in atto strategie adattive, non facendo più la spesa gros-sa una volta alla settimana, ma facendola giornalmente per ridurre gli sprechi, dato che in media buttavano fino al 30% del loro frigorifero, mentre in questo modo acquistano quello che serve sul momento alla famiglia. In merito al risparmio c’è da dire che non ce n’è di nuova formazione. Il portafoglio degli italiani è tra i più prudenti in Europa e l’investimento in azioni è circa al 20%. Non si vuole disinvestire per non avere perdite ed anche perché non si vedono altri investimenti profittevoli.È da considerare che però nell’ambito dello sport i consumi sono rimasti immutati. Il numero dei biglietti venduti a settembre 2011 è rimasto invariato rispetto allo stesso mese del 2010 (attorno a 22.500 per gara). Sky cresce al ritmo di 30-40 mila abbonati ogni tre mesi con un costo medio per abbonato pari a 43 euro al mese. Di fronte a questo fenomeno gli esperti ipotizzano la compensazione. In sostanza la spesa della pay tv può sostituire una cena al ristorante o un week end in campagna. Avrebbe quindi una funzione “anticiclica” (cfr. “Corriere della Sera”, 27 settembre 2011, pag. 13, Lo stile dei consumi di Dario Di Vico, oppure www.corriere.it, sezione Economia).Questo ci porta ad una considerazione: i consumatori hanno una certa resistenza a cambiare le loro abitudini in materia di consumi, così, quando il loro reddito diminuisce o le prospettive per il futuro non sono positive, mettono in atto strategie “adattive” che consentano di evitare sprechi e di scegliere consumi alternativi più economici, cercando in questo modo di mantenere il proprio stile di vita.

I mezzi di pagamentoCome abbiamo visto sopra, nella compravendita il venditore vende e il compratore paga. Il pagamento normalmen-te è effettuato con la moneta corrente che è l’euro, ma vi sono anche altri strumenti a disposizione del compratore, quali gli assegni, i bonifici e la moneta elettronica.1. Euro: costituisce il contante in forma di moneta metallica e di banconote. Ha corso legale non solo in Italia, ma

La decisione di risparmiare è analizzata da due importanti teorie, basate sulle aspettative che le persone hanno in merito al loro futuro: la teoria del ciclo di vita di F. Modigliani e la teoria del reddito permanente di M. Friedman.

Teoria del ciclo di vitaÈ un modello generalmente utilizzato per analizzare le scelte di consumo e di risparmio delle famiglie. Si assume che le persone, nell’arco della propria vita, preferiscano avere un flusso di consumi che rimanga stabile nel tempo. Le motivazioni a risparmiare si basano sul desiderio che la dimensione dei consumi rimanga costante anche nel futuro, considerando potrebbe essere ridotta a causa di eventi prevedibili, come la vecchiaia con il pensionamento, oppure impreve-dibili, come infortuni, disoccupazione, malattie. Gli eventi imprevedibili sono tutelati negli Stati moderni dai sistemi di sicurezza sociale e/o da assicurazioni private, che in forme e con moda-lità diverse sono comunque forme di risparmio.Nel ciclo di vita di un soggetto vi è maggior consumo negli anni di gioventù e di ingresso nel mondo del lavoro, periodo in cui si prendono decisioni importanti, quali l’acquisto della casa e/o la formazione della famiglia, e che comportano spese rilevanti; successivamente nel corso della carriera lavorativa la quota risparmiata aumenta, mentre viene a ridursi durante il pensionamento.

Teoria del reddito permanenteQuesta teoria si basa sul presupposto che le persone, nelle loro scelte di spesa e/o di risparmio, abbiano aspettative per il futuro che vadano al di là della situazione attuale del loro reddito corrente e distingue la domanda di beni di consumo in due parti: a. il consumo permanente, che è stabile in quanto è una funzione del reddito considerato per-manente, ossia quello goduto in modo costante nel passato e che si presume lo sarà anche per il futuro;b. il consumo fluttuante, che deriva da quella quota di reddito che varia al variare della congiun-tura economica. Le scelte operate dai singoli sono il risultato delle aspettative e delle percezioni che essi hanno rispetto al proprio reddito. Quanto può variare il consumo per una data variazione del reddito corrente?Dipende da come il soggetto vive il cambiamento:• se la variazione del reddito è percepita come temporanea, allora la propensione marginale

al consumo è minore di uno;• se la variazione del reddito è percepita come permanente, la propensione marginale al

consumo è pari a uno.Nel primo caso, per ragioni prudenziali, il consumo diminuisce, nel secondo caso rimane co-stante.Queste teorie sono importanti per misurare a livello statistico e macroeconomico i risultati delle scelte fatte dai singoli in dati periodi di tempo e in termini di grandezze e di valori. Infatti il livello dei consumi interessa la produzione e quello del risparmio gli investimenti.

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anche in tutti i paesi dell’Unione Europea che hanno concordato l’adozione di una moneta unica per rendere più facili gli scambi e i pagamenti al loro interno. Avere corso legale significa che la moneta ha potere liberatorio illimitato, ossia può estinguere qualsiasi tipo di obbligazione all’in-terno degli Stati che l’hanno adottata e deve essere accettata dal creditore. 2. Carte di debito: sono costituite da una tessera plastificata con la quale il titolare può effettuare i suoi pagamenti, senza usare il contante, tramite il terminale POS nei negozi convenzionati. Sem-pre con la stessa tessera può prelevare denaro contante presso gli ATM (Automatic Teller Machine o Bancomat) sia in Italia che all’estero. Ogni carta di debito è collegata elettronicamente al conto corrente del titolare presso la Banca, che l’ha emessa. In base al contratto, il pagamento effettuato tramite il POS viene automaticamente addebitato sul conto corrente corrispondente e l’importo della vendita accreditato sul conto corrente del venditore.3. Carta di credito: è costituita anche questa da una tessera plastificata. La sua funzione non è quella di sostituire il contante, ma di attribuire dei crediti ad un cliente sotto forma di finanziamento o di dilazioni di pagamento concessi da una Banca o da un altro intermediario finanziario. Il titolare della carta può acquistare beni e servizi entro un importo massimo predeterminato. L’ad-debito totale sul suo conto corrente verrà effettuato nel mese successivo agli acquisti effettuati e senza addebito di interessi.In merito ad altri strumenti di pagamento come assegni, moneta elettronica, conti di pagamento si veda il Quaderno di Lavoro, Terza edizione, alle pagg. 44, 45 e 46. L’uso di strumenti di pagamento elettronici e di pagamenti fatti tramite Internet va diffondendosi anche in Italia, anche se in misura inferiore rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea . È interessante considerare, in proposito, quanto emerge dalla lettura del Barometro degli acquisti cashless (senza contante), realizzato da “CorrierEconomia” e Cartasì, che è il maggiore emittente di carte di credito in Italia, circa il 60% del totale. L’indice indica un aumento del 5% nel periodo che va dall’agosto 2010 all’agosto 2011. L’Osservatorio acquisti Cartasì fornisce una grande mole di informazioni sugli orientamenti di spesa e sulla fiducia dei consumatori. Il totale annuo è di circa 68,6 miliardi di operazioni di compravendite con un ammontare medio di 100 euro. Considerando il solo mese di agosto, mese per tradizione legato alle vacanze degli italiani, le operazioni cashless hanno avuto un incremento del 4,5%. I settori in cui si è maggiormente usata la carta di plastica sono: alberghi e ristoranti (21,1%), viaggi e trasporti (18,2%), alimentari (12,8%), abbigliamento e calzature (9,8%) (cfr. “CorrierEconomia”, 19 settembre 2011, pag. 14, Consumi – Gli Italiani non perdono la fiducia di Marco Sabella, oppure www.corriereconomia.com).

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FAQ DOMANDE E RISPOSTE

1. L’imposta sul valore aggiunto si applica anche nei paesi dell’Unione Europea? Sì: l’ultima direttiva dell’Unione Europea impone agli Stati membri aliquote che possono variare da un minimo del 15% ad un massimo del 25%. Essa viene impiegata anche da altri Stati europei ed extraeuropei.

2. Che cosa si intende con il termine recessione? Si tratta di una fase del ciclo economico in cui i livelli di produzione sono al di sotto delle capacità produttive a disposizione, ossia i fattori produttivi presenti non sono utilizzati completamente ed in maniera efficace. In questa situazione si determina una riduzione del prodotto interno lordo, dell’occupazione, degli investimenti e dei consumi.

3. Quale può essere l’aumento dei consumi di una famiglia o di una collettività per ogni aumento del reddito di 100 euro?Per esempio una propensione pari a 0,8 significa che ad ogni incremento del reddito di 100 euro si avrà un aumento dei consumi pari ad 80 euro ed un aumento del risparmio di 20 euro.

Traccia per l’attività in classeLa scelta dell’articolo Questo tipo di proposta didattica ha, in primo luogo, l’obiettivo di utilizzare l’attualità con lo scopo di informare sui fatti economici che accadono nel paese e nel mondo. La scelta dell’articolo dovrebbe riguardare dei temi che suscitino l’interesse degli studenti. Si potrebbe anche in via preliminare concordare con essi la ricerca di un argomento su diversi quotidiani. Ognuno porta in classe la sua proposta e poi si sceglie l’articolo che ha suscitato maggior interesse. Potrà trattarsi dello sport, dei consumi tecnologici, dei viaggi, ecc. Qualunque tema che riguar-di i consumi ha un aspetto economico ed uno motivazionale, che possono essere entrambi esplorati.

Il trattamento delle informazioni contenute nell’articolo Il trattamento delle informazioni contenute nell’articolo viene effettuato in classe impiegando i concetti e i modelli della scienza economica, in modo semplice ma non banale. L’obiettivo è quello di far acquisire agli studenti una visione sistemica, in cui i fenomeni esaminati hanno assunto significati coerenti e maggiormente comprensibili. Può essere importante, ai fini della valutazione finale, sottoporre agli studenti un questionario, in cui si chiede di indicare in modo approssimativo ed immediato il significato dei termini economici e delle parole chiave usate dell’articolista.

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Test FINALE1. Quali sono gli elementi che, secondo un recente sondaggio di Confcommercio, hanno determinato la diminuzione della propensione al risparmio delle famiglie italiane, notoriamente molto risparmiatrici? a. la diminuzione dei consumib. la riduzione delle impostec. l’aumento del valore dell’eurod. la recessione, la diminuzione del reddito e l’invecchiamento della popolazione

2. Dato che la propensione al consumo (C) è il rapporto tra il consumo (c) ed il reddito disponibile (Y), qual’ è la propensione al consumo di una famiglia che, con un reddito di 2000 euro, ne spende 1500?a. 0,40b. 0,52c. 0,75d. 0,80

3. Secondo la teoria del ciclo di vita di Modigliania. il risparmio aumenta nel periodo del pensionamentob. il consumo dipende dalle aspettative di future variazioni delle impostec. il risparmio consente al risparmiatore di mantenere il consumo relativamente costante nel tempod. il tasso dei consumi è indipendente dal reddito nazionale

4. L’aumento delle imposte viene deciso pera. ridurre l’avanzo dello Statob. aumentare il reddito nazionalec. aumentare le entrate tributaried. aumentare le esportazioni

5. In quali casi l’economia non produce inflazione? Quandoa. a domanda dei beni e dei servizi sul mercato è più elevata dell’offerta b. la propensione al risparmio rallenta c. la domanda per consumi è inferiore all’offerta di beni sul mercatod. la quantità e la velocità di circolazione della moneta sono molto elevate

Soluzioni : 1d. - 2c. - 3c. - 4c. -5c.

5I c

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Il lavoro in classe Il lavoro in classe può essere preferibilmente svolto da gruppi di lavoro, organizzati in modo da effettuare ricerche in merito ai diversi concetti o teorie citati nell’articolo, per attribuire significati certi ai termini usati e per formulare ipotesi. Il lavoro dei gruppi deve essere assistito e monitorato dal docente, che interviene per fornire dati e spiegazione con lezioni frontali.Terminata la ricerca, i gruppi presentano i loro lavori e si confrontano. I dati in loro possesso ven-gono unificati in un quadro complessivo che, possibilmente, dia risposte significative ai problemi e alle ipotesi di partenza.

La valutazione La valutazione del lavoro viene effettuata dal docente che ha monitorato tutto il percorso e che verifica la rispondenza dei risultati agli obiettivi iniziali. Inoltre verifica come e in che misura il linguaggio si sia arricchito di termini nuovi e come l’esposizione orale abbia assunto una mag-giore coerenza logica. Più difficile, ma non impossibile, verificare e valutare un atteggiamento più responsabile nei confronti del denaro e delle scelte di spesa. La valutazione del lavoro può essere fatta anche dagli studenti stessi, proponendo loro un que-stionario con le stesse voci di quello iniziale per rilevare se e in che misura sono avvenuti sposta-menti semantici dei termini e dei concetti economici da un livello ingenuo e spontaneo, derivato dal linguaggio comune, ad un livello di maggiore astrazione e generalità. Confrontando i due questionari si può vedere se ci sono stati questi spostamenti. Questo tipo di valutazione darebbe agli studenti la misura di quanto hanno appreso con il loro lavoro, aumentando l’autostima, che alla loro età costituisce un elemento fondante per lo sviluppo personale e per l’assunzione di atteggiamenti responsabili.

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LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE

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Iva o Imposta sul valore aggiuntoRedditoStatoFamiglieFattori di produzioneCircuito economicoInflazionePropensione al consumoPropensione al risparmioCiclo di vitaReddito permanente

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6 I finanziamentidi Maria Cristina Quirici

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I finanziamenti per le auto nuove e usate sono crollati dell’11,4% a 13,5 miliardi a causa della frenata delle immatricolazioni, il cui dato di mercato è sceso fino al 20%. Discorso difficile anche per le carte di credito rateali (-5,4% le erogazioni) a causa del semaforo rosso imposto da Banca d’Italia all’istant credit. Il Quinto dello stipendio, esaurito il boom, è sceso di quasi il 14% a circa 5 miliardi. «Tutti questi elementi – interviene Giuseppe Piano Mortari, direttore operativo di Assofin - hanno reso le famiglie un pò meno cicale di qualche anno fa e ora, avendo ridotto la propensione al consumo, ricorrono meno ai finanziamenti. Nonostante nel 2010 le società finanziarie abbiano allentato i cordoni della borsa».Forse anche perché la febbriciola del tasso di default (misura le nuove sofferenze e i ritardi di 6 o più rate nell’ultimo anno) «mostra – rileva Daniela Bastianelli, senior analyst di Crif Decision Solutions - un deciso miglioramento rispetto ai trimestri precedenti: dopo il picco del 3,2% dello scorso anno, l’indicatore è sceso a 3,1% a giugno e al 2,9% a settembre». E per il 2011? «Sarà ancora un anno giocato in difesa – conclude Piero Mortari - Vedremo se verranno confermati i volumi o se ci saranno altre contrazioni. Per il resto ci saranno gli assestamenti legati alle normative di Bankitalia e probabilmente si accentueranno i processi di riorganizzazione e concentrazione del settore». Per Ghelli, «le norme di trasparenza di Bankitalia creano tante tutele in più per i consumatori: questo dovrebbe far crescere la fiducia e rilanciare lo sviluppo del credito al consumo».

Appunti

Torna la voglia di shopping degli italiani ma non tanto da rovesciare il trend del credito al consumo dell’annus horribilis 2009. Cala però la febbre delle insolvenze, dopo il picco del 3,2% raggiunto lo scorso marzo. L’anno scorso ciascun italiano ha ottenuto, in media, circa due finanziamenti: banche e finanziarie hanno “infilato” nelle tasche dei consumatori quasi 53 miliardi, il 5,3% in meno del 2009, che hanno permesso di acquistare auto, elettrodomestici, vacanze e studi e finanziare ristrutturazioni immobiliari e spese sanitarie. È andata dunque meglio del 2009, quando la recessione tagliò le erogazioni in un solo colpo di 5,2 miliardi. Nel 2010 (il taglio) è stato solo di 3 miliardi. Ma sul trend generale ha influito non poco la “strigliata” di Bankitalia agli operatori finanziari: per esempio oggi è vietato ai punti vendita emettere carte rateali contestualmente al finanziamento (instant credit) o inviarle al domicilio del contraente dopo la stipula di un finanziamento (è preferibile un contratto ad hoc). Oppure ancora lo stop alla prassi diffusa di effettuare rinnovi del Quinto dello stipendio prima che siano decorsi i due quinti della durata dei finanziamenti, come prescrive la legge. Secondo gli operatori anche per quest’anno le prospettive del settore sono deboli: una parte della Cigs (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria) è destinata a non essere rinnovata e questo peserà sul bilancio delle famiglie che sono il vero motore del credito al consumo.«Questi anni di crisi – interviene Valentino Ghelli, Presidente di Assofin, l’Associazione delle società di credito al consumo – dimostrano che il credito al consumo non è un ammortizzatore sociale: o meglio, la crisi è stata tale che le prudenti famiglie italiane hanno ridotto sia la propensione al consumo che quella all’indebitamento». In dettaglio, secondo i dati Assofin, nel 2010 sono state realizzate 112,4 milioni di operazioni, in calo dell’1,2%; il valore medio per operazione è stato di 16.300 euro. Quanto alle forme tecniche, nel consuntivo dell’anno crescono soltanto i prestiti personali, sia pure di uno striminzito 0,1%, a 19,2 miliardi. Questi, come i prestiti finalizzati, sono diretti all’acquisto di elettrodomestici, auto, arredamenti o ristrutturazione di case, ma la peculiarità è che vengono erogati presso gli uffici della società o agli sportelli bancari. I prestiti finalizzati, invece, si incassano sul punto vendita, solo che, in questo caso, la società finanziaria deve riconoscere una commissione al negoziante. «La crescita del finalizzato (+4,7% a 4,2 mld ndr.)- osserva Ghelli - si spiega con lo stop imposto alle carte rateali ma anche con il boom dei finanziamenti alle nuove tecnologie: smartphone, tablet, decoder, TV digitali».

12 Febbraio 2011

FAMIGLIE IN DIFFICOLTÀ, IL CREDITO AL CONSUMO PERDE TRE MILIARDIdi Emanuele Scarci

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un reddito a tal fine sufficiente. Ma per poter meglio capire la chiave di lettura dell’articolo in esame è opportuno chiarire prima di tutto cosa si debba intendere per “credito al consumo”, per poi passare ad esaminarne caratteri peculiari e tratti evolutivi.

2. La tipica forma di finanziamento al settore famiglie: il credito al consumo2.1. Aspetti definitori e relative tipologie tecnicheIl credito al consumo riguarda ogni contratto con il quale si conceda un credito ad una persona fisica (consumatore) che agisce per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale o professionale, credito che può assumere diverse forme, quali quelle del prestito, della dilazione di pagamento o di altra analoga facilitazione finanziaria. Pertanto, il credito al consumo si caratterizza per il fatto che non va a sostenere investimenti produttivi, ma solo a finanziare la spesa corrente delle famiglie, sostenendone appunto i consumi.In relazione ai soggetti autorizzati alla concessione del credito al consumo, occorre sottolineare che mentre la dila-zione di pagamento è concessa dai soggetti autorizzati alla vendita di beni o servizi, il prestito è concesso unica-mente dalle Banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli articoli 106 e 107 del Testo Unico Bancario (TUB). Questo significa che chi concede la dilazione di pagamento non può chiedere al consumatore la corresponsione di interessi, poiché, qualora questa fosse richiesta unitamente ad una dilazione di pagamento, si verrebbe a configurare, di fatto, la concessione di un prestito che però, come visto in precedenza, è riservata sola-mente alle Banche e agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti negli appositi elenchi tenuti dalla Banca d’Italia.Per quanto concerne la tipologia degli strumenti per accedere al credito al consumo, è necessario in primo luogo effettuare una distinzione tra prestiti finalizzati e prestiti personali:

a. il prestito finalizzato (detto anche “credito collegato”) è una forma di finanziamento rivolto non già ad un generico bisogno di liquidità del consumatore, bensì finalizzato esclusivamente all’acquisto di determinati beni o servizi. I prestiti finalizzati sono quelli che si sottoscrivono comprando autoveicoli, elettrodomestici, mobili, arredi o altri apparecchi tecnologici. Nella prassi, il contratto viene concluso presso gli stessi esercizi commerciali dei ven-ditori, con modulistica da questi fornita, sulla base di una previa convenzione tra la finanziaria/Banca che eroga il finanziamento ed il venditore/fornitore del bene o servizio, le cui caratteristiche dovranno essere ben identificate nel contratto di finanziamento. Al consumatore è richiesta la presentazione di documenti, tra i quali l’ultima busta paga; il bene/servizio oggetto di acquisto viene in genere messo subito a disposizione del consumatore, mentre i soggetti erogatori possono riservarsi di accordare il finanziamento entro un breve lasso di tempo, di solito necessa-rio per valutare la solvibilità del cliente. In sostanza, il prestito finalizzato è un finanziamento alla vendita rateale, che non comporta l’erogazione di una somma di denaro al consumatore, ma che gli consente di non pagare subito e in contanti l’intero importo del bene/servizio acquistato, bensì di rateizzarlo;

b. il prestito personale, invece, è un finanziamento senza obbligo di destinazione, erogato direttamente a favore del cliente per soddisfarne esigenze di natura personale e rimborsabile a rate prestabilite. Solitamente è concluso presso le filiali bancarie o gli uffici della finanziaria che eroga il credito, e i fondi ottenuti possono esse-re utilizzati dal cliente affidatario per svariati fini (ad esempio per realizzare un progetto o un viaggio), che non

Chiavi di lettura dell’articolo

1. Aspetti introduttivi in tema di finanziamentiUn moderno sistema economico risulta caratterizzato dalla presenza da un lato di soggetti in sur-plus, tipicamente le famiglie, dall’altro di soggetti in deficit, tipicamente le imprese: i primi hanno un reddito superiore ai propri consumi, quindi un avanzo finanziario (o saldo finanziario positivo) che generando un flusso di risparmio va ad alimentare un successivo processo di investimento; i secondi, viceversa, avendo un reddito inferiore ai propri consumi, palesano un fabbisogno di finanziamento per la copertura del loro disavanzo finanziario (o saldo finanziario negativo). Per riequilibrare le rispettive posizioni è necessario un trasferimento di risorse dai soggetti in sur-plus verso quelli in deficit, trasferimento che è reso possibile in virtù dell’intervento degli interme-diari finanziari, tipicamente bancari, data la non corrispondenza delle condizioni rispettivamente poste dai richiedenti e dagli offerenti fondi. Ed è proprio l’attività di finanziamento rivolta sia a imprese (clientela corporate) che a famiglie (clientela retail), utilizzando forme tecniche che si differenziano in relazione a quelle che sono le caratteristiche proprie del fabbisogno di finanzia-mento che l’intermediario soddisfa, a rappresentare l’attività tipica della Banca che, solo qualora svolga congiuntamente anche la raccolta di depositi rimborsabili “a vista”, si configurerà come intermediario creditizio. Le forme tecniche proprie dei finanziamenti concessi alle imprese differiscono da quelle proprie del finanziamento alle famiglie: nel primo caso si parlerà tipicamente di affidamenti, rappresentati dall’apertura di credito in conto corrente, dalle diverse forme di smobilizzo del credito (come ad esempio lo sconto o l’anticipo sul portafoglio salvo buon fine), dall’anticipazione, dal riporto, dai mutui (volti a sostenere investimenti produttivi a medio-lungo termine), nonché dai crediti di firma che, seppur non concessi in forma monetaria, coinvolgono la responsabilità della Banca, che si impegna a garantire o ad assumere un’obbligazione della propria clientela. La tipica modalità di soddisfacimento del fabbisogno finanziario mostrato dalla clientela retail, quindi dai consumatori, è invece rappresentata dal credito al consumo, nelle sue diverse forme, cui si affiancano i mutui, destinati a fronteggiare esigenze di finanziamento connesse a investi-menti o ristrutturazioni in ambito immobiliare. L’articolo preso a riferimento, per approfondire il vasto tema dei finanziamenti, pone in rilievo proprio i caratteri evolutivi del credito al consumo alla luce della profonda crisi finanziaria ed economica che sta interessando le diverse piazze internazionali. La scelta di un siffatto articolo si fonda sulla considerazione che la presente scheda si inserisce nell’ambito di un più ampio lavoro che pone al centro della propria attenzione il singolo individuo, alle prese, nelle diverse fasi del-la sua vita, con tutta una serie di problematiche finanziarie, tra le quali appunto la necessità di reperire mezzi finanziari per sostenere i propri consumi, non avendo a disposizione nel momento

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ipotecari) o quelli garantiti da pegno su un bene mobile, se il loro importo non eccede il valore del bene;• i finanziamenti privi, direttamente o indirettamente, di aggiunta di interessi o altri oneri;• i finanziamenti aventi per oggetto strumenti finanziari concessi da Banche o imprese di investimento;• i finanziamenti concessi in base ad accordi raggiunti davanti all’autorità giudiziaria o altra autorità;• i finanziamenti rimborsabili in unica soluzione alla scadenza entro diciotto mesi, con il solo eventuale addebito

di spese documentate, non calcolabili in forma di interessi.

2.2. Caratteri peculiari dei contratti di credito al consumoI contratti di credito al consumo devono essere conclusi per iscritto e il consumatore deve ricevere un esemplare del contratto, pena la nullità del contratto stesso. La scadenza è rimessa alla libera determinazione delle parti e va de-finita nel contratto: nelle forme del finanziamento, il credito al consumo ha di norma una durata variabile dai 12 ai 72 mesi e non è assistito da garanzia reale (come il pegno sul bene acquistato) o personale (come la fideiussione).Il consumatore che riceve il credito si obbliga: a) nel caso di dilazione di pagamento, a corrispondere il prezzo al venditore di beni o servizi alle date convenute; b) nel caso di concessione di un prestito, a restituire l’importo conces-so (capitale erogato) e a pagare gli interessi calcolati sulla base di un determinato tasso di interesse. L’adempimento dell’obbligo di restituire il capitale e di corrispondere gli interessi avviene in modo graduale nel tempo, attraverso versamenti periodici rappresentati tipicamente dalle rate. Queste rappresentano le somme che il consumatore versa alla Banca o alla società finanziaria per la restituzione del prestito ricevuto. Il rimborso avviene secondo cadenze temporali determinate dalle parti, anche se, di regola, le rate sono mensili. Il consumatore si impe-gna a pagare con puntualità le rate, visto che il rispetto del piano di rimborso rappresenta un evento importante per il buon andamento del rapporto di credito al consumo. Il consumatore è altresì tenuto a pagare le spese necessarie per la conclusione del contratto.Il consumatore ha comunque la facoltà di adempiere in via anticipata agli obblighi che derivano dal contratto di credito al consumo. In particolare, il consumatore ha sempre la facoltà di restituire il prestito in via anticipata o di recedere dal contratto senza penalità. È esclusa la validità di qualsiasi patto fra Banca (o intermediario finanziario) e consumatore, che comporti la rinuncia di quest’ultimo al diritto di adempiere in via anticipata agli obblighi che de-rivano dal contratto di credito al consumo. Qualora il consumatore eserciti la facoltà di adempimento anticipato, ha diritto a un’equa riduzione del costo complessivo del credito; in particolare, egli è tenuto al pagamento del capitale residuo, degli interessi e altri oneri maturati fino a quel momento e, se previsto dal contratto, anche al pagamento di un compenso non superiore all’1% del capitale residuo. Ove il contratto non indichi l’importo del capitale residuo dopo ciascuna rata di rimborso, esso sarà determinato come somma del valore attuale di tutte le rate non ancora scadute alla data dell’adempimento anticipato; il tasso di interesse da utilizzare nel calcolo di attualizzazione è quello vigente all’epoca dell’adempimento anticipato per la determinazione degli interessi a carico del consumatore. La facoltà di rimborso anticipato è riconosciuta dalla Legge solo al consumatore. Pertanto, la Banca o la società finanziaria erogatrici del prestito non possono esigerne il rimborso anticipato a meno che non si verifichino le ipo-tesi di risoluzione del contratto per inadempimento del consumatore, ipotesi rappresentate dal mancato o ritardato pagamento delle rate previste dal piano di rimborso. Infatti, qualora il consumatore non rispetti le scadenze previste per il pagamento delle rate del credito al consumo concessogli, in base alle regole generali in materia di contratti, la Banca e gli intermediari finanziari erogatori del

devono essere esplicitati al momento della conclusione del contratto. Il prestito personale rientra nella categoria dei prodotti di credito al consumo solo se il finanziamento è compreso tra i 200 e i 75.000 euro.

Rientrano nella disciplina del credito al consumo anche le operazioni di prestito effettuate contro cessione del quinto dello stipendio, che risultano volte a soddisfare esigenze personali del ri-chiedente, così come visto per i prestiti personali. In questo caso il credito può essere ottenuto da lavoratori dipendenti, pubblici e privati, nonché da pensionati, con un rimborso attraverso rate mensili a tasso fisso trattenute direttamente dal datore di lavoro/ente previdenziale dalla busta paga/cedolino della pensione, nella misura massima di un quinto dello stipendio/pensione, fino a completa copertura del finanziamento ricevuto (capitale, interessi e spese). L’operazione è assistita da una copertura assicurativa contro il rischio di morte e di licenziamento del lavoratore, sul quale grava il corrispondente premio assicurativo.Una ulteriore forma di concessione di credito al consumo è costituita dai finanziamenti utilizzabili in maniera rotativa (credito revolving), spesso appoggiati ad una carta di credito (detta appun-to “carta revolving”). Come le normali carte di credito, anche le carte revolving consentono di effettuare pagamenti senza ricorrere ai contanti, attingendo direttamente al conto corrente. Il ter-mine “revolving”, tuttavia, ha un significato ben preciso e si riferisce a una caratteristica propria di questo specifico tipo di carta: il cliente può scegliere di saldare il conto non già alla fine del mese, ma dilazionando il pagamento su più rate nel tempo. Il fido concesso è piuttosto contenuto e supera di rado i 2000 euro; man mano che il cliente paga l’importo dovuto e i relativi interessi, il capitale cui può attingere va ricostituendosi e torna a essere disponibile per nuovi finanziamen-ti: un principio “rotativo” cui le carte revolving devono il loro nome. Si può così accedere quasi automaticamente a un finanziamento a rate, senza per questo dover richiedere un finanziamento ad hoc, con tutti i vantaggi in termini di risparmio di tempo e di modulistica da compilare. Ovvia-mente, gli interessi, piuttosto elevati1, si pagano solo qualora si scelga di rateizzare il pagamento e non se si utilizza la carta revolving come una qualsiasi carta di credito a saldo.

Non rientrano, invece, nella disciplina del credito al consumo:• i finanziamenti, di qualsiasi natura, di importo inferiore ai 200 euro o superiore ai 75.000 euro;• i finanziamenti destinati all’acquisto o alla conservazione di un diritto di proprietà di un ter-

reno o di un immobile (edificato o da edificare). In questo caso il finanziamento deve essere richiesto nella forma del mutuo (tipico è il mutuo immobiliare), rimborsabile a rate in un arco di tempo pluriennale, con rate costanti, in caso di mutuo a tasso fisso, o variabili (nell’importo e nel numero), in caso di mutuo a tasso variabile;

• i finanziamenti garantiti da ipoteca su beni immobili con durata superiore a 5 anni (mutui

1 Le spese possono essere molto elevate, con un tasso annuo nominale (TAN) superiore al 10-15% e un tas-so annuo effettivo globale (TAEG) che può anche superare il 20%. Per un maggior chiarimento del significato di questi tassi si rinvia a parti succesive della presente scheda.

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perché, oltre agli interessi, comprende tutti i costi, a conoscenza del finanziatore, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito al consumo, quali, ad esempio, le spese di istruttoria e apertura pratica di fido, le spese di riscossione dei rimborsi e di incasso delle rate (se stabilite dal creditore), le spese per le assicurazioni o ga-ranzie imposte dal creditore, il costo dell’attività di mediazione eventualmente svolta da un terzo, e comunque ogni altra spesa contemplata nel contratto. Sono invece escluse dal calcolo del TAEG le somme che il consumatore deve pagare, a titolo di penale, per l’inadempimento di obblighi contrattuali, compresi gli interessi di mora per ritardato pagamento delle rate alla scadenza, le eventuali spese di gestione del conto corrente aperto ad hoc per pagare le rate (anche attraverso una carta), le spese per le assicurazioni o garanzie scelte volontariamente dal consumatore.Nella disciplina del credito al consumo il TAEG assolve una funzione essenziale: infatti, l’indicazione del costo complessivo del credito nella pubblicità, negli uffici commerciali dell’intermediario e nella documentazione messa a disposizione del consumatore prima della conclusione del contratto consentono a quest’ultimo da un lato di disporre di informazioni omogenee e attendibili sul costo effettivo del credito tra le diverse offerte presenti sul mercato, dall’al-tro di poter raffrontare la convenienza delle diverse offerte di credito. Da quanto detto si evince la particolare importanza di una verifica da parte del consumatore del contenuto del contratto di credito al consumo, che dovrà comprendere: a) ammontare e modalità del finanziamento; b) numero, importo e scadenza delle rate; c) TAEG ed eventuali modalità della sua modifica; d) oneri non compresi nel TAEG; e) garanzie richieste2; f) assicurazioni richieste e non incluse nel TAEG. Inoltre i contratti di credito al consumo concesso nella forma del prestito finalizzato devono contenere anche la descrizione analitica dei beni e dei servizi oggetto di acquisto, l’indicazione del prezzo in contanti, di quello stabilito dal contratto e l’ammontare dell’eventuale acconto, nonché le condizioni per il trasferimento del diritto di proprietà, qualora questo non sia immediato.Infine, è opportuno sottolineare che la disciplina contrattuale sul credito al consumo prevede che nessuna somma possa essere pretesa se non sulla base di espresse previsioni contrattuali e che le clausole di rinvio agli usi sono in ogni caso nulle3.

2.3. Caratteri evolutivi del credito al consumo fino ai recenti nuovi vincoli di tra-sparenza europei Passando a considerare i tratti evolutivi del credito al consumo, è possibile rilevare come in Italia il relativo sviluppo abbia registrato un certo ritardo rispetto a quanto avvenuto in altre realtà straniere, soprattutto anglosassoni, tant’è che una specifica disposizione in materia è stata dettata solo nel 1992 (e successivamente integrata dal TUB, vale a dire il D. Lgs. n. 385 del 1993). A partire dalla seconda metà degli anni ‘90 e fino allo scoppio della crisi fi-nanziaria internazionale del 2007, si è comunque assistito ad una significativa espansione del comparto in esame, testimoniato dall’accresciuta varietà delle categorie di finanziatori – sempre più di matrice non bancaria ed anche di origine straniera – e dalla crescente rispondenza dei prodotti offerti alle articolate esigenze della clientela. Dal lato dell’offerta, per capire il maggiore interesse al riguardo, è fondato ritenere che un incremento nell’erogazione del credito al consumo sia stato visto con favore a fronte della disintermediazione degli attivi bancari e data la ne-

2 Le garanzie richieste al consumatore per accedere al credito al consumo sono piuttosto limitate. In genere è sufficiente che il richiedente abbia un reddito, meglio se da lavoro a tempo indeterminato o nella pubblica amministrazione, un conto corrente e che non sia iscritto nella lista dei “cattivi pagatori”. 3 In caso di assenza o nullità delle clausole concernenti il TAEG o la scadenza del credito, si applicano, rispettivamente, il tasso minimo dei buoni del tesoro annuali nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto e la durata di trenta mesi.

prestito possono chiedere la risoluzione del contratto, evento che comporta la richiesta imme-diata di pagamento del capitale residuo. Il consumatore potrebbe in alternativa esser tenuto al pagamento di maggiori oneri per l’applicazione di interessi di mora, la cui misura deve essere indicata nella documentazione precontrattuale e nel contratto. Nei soli contratti di credito al consumo in cui sia stato concesso un diritto reale di garanzia (a favore della Banca o dell’inter-mediario finanziario) sul bene acquistato dal consumatore con il denaro ricevuto in prestito, il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l’ottava parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto e il consumatore conserva il diritto di pagare le somme dovute alle scadenze prestabilite. Una ulteriore conseguenza del mancato rispetto delle scadenze delle rate attiene alla possibilità da parte delle Banche e degli intermediari finanziari di segnalare al sistema creditizio e finanzia-rio il consumatore come cliente non affidabile, circostanza penalizzante in quanto può ostacola-re la possibilità di ricorrere al credito al consumo in futuro o quantomeno renderlo più oneroso. Al riguardo, occorre infatti sottolineare che preliminarmente alla concessione del credito viene effettuata una valutazione della rischiosità del cliente, utilizzando modelli di analisi statistica detti di credit scoring. Tali sistemi, al fine di valutare la solvibilità del consumatore richiedente il finanziamento, combinano tra loro una serie di informazioni al fine di pervenire ad un punteggio di accettazione (da parte del soggetto finanziatore) circa il rischio di credito del richiedente in un determinato arco di tempo. In funzione del punteggio, l’intermediario trae elementi utili per accettare o rifiutare il finanziamento, per determinarne l’entità e il tasso di interesse da applicare. Le informazioni più rilevanti utilizzate riguardano: a) il richiedente (ad esempio, il reddito disponi-bile e il lavoro svolto); b) le caratteristiche del finanziamento da erogare (ad esempio, in termini di durata ed importo); c) il bene da finanziare (in caso di prestito finalizzato); d) il grado di indebitamento del richiedente il credito, censito, ad esempio, nelle centrali dei rischi private; e) le segnalazioni di eventuali ritardi nel pagamento delle rate di altri crediti al consumo ottenuti. Tutte queste informazioni vengono registrate e conservate per un certo periodo di tempo dai Sistemi di Informazioni Creditizie (SIC), ai quali hanno accesso tutte le Banche e le finanziarie qualora siano chiamate a concedere un prestito ad un determinato soggetto. In particolare, la presenza di segnalazioni di eventuali ritardi nel pagamento di rate precedenti può comportare un innalzamento del tasso di interesse praticato nella concessione del prestito, fino alla decisione di non procedere con il finanziamento.Con riguardo all’entità degli interessi addebitati – e l’addebito di interessi, come visto in prece-denza, risulta un elemento caratterizzante la disciplina del credito al consumo – è opportuno sottolineare come il primo dato su cui soffermarsi nel valutare la sottoscrizione di un contratto di credito al consumo è il TAEG, ovvero il Tasso Annuo Effettivo Globale, che esprime il costo com-plessivo del finanziamento in esame espresso in percentuale annua rispetto al capitale erogato e che, per questo tipo di contratti, costituisce il cosiddetto “indicatore sintetico di costo” (ISC).Il TAEG, il cui calcolo presuppone che siano conosciuti in anticipo gli elementi che ne determina-no il risultato, quali entità del finanziamento e relativi tempi di restituzione, si distingue dal TAN (Tasso Annuo Nominale), che rappresenta il tasso di interesse annuale legato al finanziamento,

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cessità di instaurare relazioni di clientela sempre più integrate. Dal lato della domanda, invece, la crescente propensione a contrarre passività finanziarie ha rappresentato un fattore propulsivo determinante. In relazione allo sviluppo del settore oggetto di analisi occorre comunque evidenziare alcuni spunti di riflessione critica. Un eccessivo ricorso al credito al consumo, infatti, con un massiccio ricorso a pagamenti nella forma rateale, se non accompagnato da una specifica pianificazione finanziaria, che segua l’evoluzione del rapporto tra reddito mensile percepito e somma di tutte le rate mensilmente accumulate, può comportare il rischio di una esposizione finanziaria eccessiva, tale da compromettere la capacità di pagare con puntualità le rate stesse, se non addirittura la solvibilità del richiedente, con l’impossibilità di far fronte alla restituzione del credito ricevuto.L’articolo preso in esame consente comunque di rilevare come la crisi finanziaria ed economica, diffusasi a livello internazionale a partire dal 2007, sia stata tale, come affermato dal Presidente di Assofin, Ghelli, «che le prudenti famiglie italiane hanno ridotto sia la propensione al consumo che quella all’indebitamento».La contrazione del comparto del credito al consumo, manifestatasi pesantemente nel periodo 2008-2009, è proseguita anche nel 2010 (5,3% in meno rispetto al 2009), mostrando però un progressivo miglioramento del tasso di default nei vari trimestri 2010; caute le prospettive per il 2011, anno visto ancora «da giocare in difesa», con gli assestamenti collegati alle nuove regole e norme di trasparenza dettate per il comparto del credito al consumo dalla Banca d’Italia, che dovrebbero dare ai consumatori una iniezione di fiducia negli strumenti oggetto di analisi, e con il probabile sviluppo di processi di riorganizzazione e concentrazione nell’ambito del settore. Al riguardo, occorre rilevare come molteplici siano state le criticità del comparto emerse dall’in-dagine conoscitiva condotta dal 2009 al 2010 dalla Commissione Finanze della Camera, con audizioni con operatori di settori e organi di vigilanza, in primis la Banca d’Italia. In sintesi, le criticità rilevate riguardano: la scarsa tutela per i consumatori, con rischi di frode e mancato rispetto della privacy, data la scarsa trasparenza dei loro rapporti con gli erogatori del credito e gli intermediari; i costi troppo elevati, mediamente superiori dell’1,5% rispetto a quelli praticati nell’area euro, e tassi applicati talvolta “notevolmente al di sopra della soglia di usura”; un nume-ro eccessivo di operatori, variegati nelle loro caratteristiche e difficilmente controllabili dalla Ban-ca d’Italia, che non dispone delle risorse e degli strumenti necessari per garantire una vigilanza capillare su di loro; la conseguente necessità di un incremento dei poteri degli organi di vigilanza (Banca d’Italia, ma anche il Garante del mercato e della concorrenza), nonché dell’entità delle sanzioni pecuniarie da applicare in caso di scorrettezze contrattuali. Alla luce di tutto ciò è quindi da salutare con estremo piacere l’entrata in vigore, il 19 settembre 2010, del D. Lgs. n. 141 del 13 agosto 2010, che ha recepito la direttiva sul credito al consumo (Dir. 2008/48/CE), allineando così l’Italia alla normativa europea. Numerose le nuove regole che hanno riformato il settore e, tra le altre, si rilevano: 1) l’estensione delle tutele connesse ai contratti del credito al consumo per finanziamenti da 31.000 a 75.000 euro; 2) l’ampliamento del periodo che prevede il diritto di ripensamento del cliente che, senza spiegazione, può entro 14 giorni dalla

firma contrattuale tornare sui suoi passi; 3) l’abolizione per i debiti residui sotto i 10.000 euro della penale di estinzione anticipata dell’1%; 4) l’introduzione di un foglio pre-contrattuale standard per permettere un confronto ponderato delle offerte dei diversi operatori europei. L’auspicio è che la riforma del settore avviata con il recepimento della direttiva comunitaria e la conseguente imposi-zione di nuovi vincoli di trasparenza possano ridurre le criticità proprie del nostro comparto del credito al consumo, inducendo al contempo anche maggiore fiducia dei consumatori e dando più spazio al loro diritto sia di scegliere in base ad una informazione comprensibile, evidente e comparabile, sia di poter esercitare il diritto di ripensamento e quindi di poter recedere con una procedura rapida e non penalizzante, tutti elementi necessari per un più sano sviluppo di un comparto estremamente delicato e importante per la nostra economia.

Traccia per l’attività in classe In primo luogo, potrebbe essere opportuno sviluppare in classe una discussione di tipo interattivo, tale cioè da sti-molare la partecipazione attiva dei ragazzi, volta a sondare la loro reale comprensione delle tematiche affrontate nell’articolo e nella scheda e connesse alla richiesta di finanziamenti in qualità di consumatori, in particolare nelle di-verse forme tecniche proprie del credito al consumo. Questo alla luce anche delle loro personali esperienze, in modo da far emergere se hanno avuto modo di affrontare, e in che modo poi hanno eventualmente risolto, il problema di come acquistare i nuovi prodotti ad elevata tecnologia così di moda (magari uno smartphone, o un altro cellulare avanzato, o un notebook o un iPad), non avendo al momento dell’acquisto a disposizione le somme necessarie. Potrebbe poi essere interessante realizzare una vera indagine sul campo, approntando da parte del docente, in col-laborazione con lo stesso gruppo-classe, un questionario che i ragazzi dovrebbero sottoporre alle proprie famiglie in modo da verificare la loro maggiore o minore conoscenza delle diverse forme di finanziamento rivolte ai consu-matori. A scopo esemplificativo, detto questionario potrebbe contenere domande circa le esperienze dirette riportate in famiglia al riguardo, richiedendo, ad esempio: se è stato richiesto un mutuo per l’acquisto della prima casa; in questo caso, se si è optato per un mutuo a tasso fisso o a tasso variabile, o se vi è stata una rinegoziazione del mutuo stipulato; se sono stati utilizzati nell’arco dell’ultimo anno uno o più prestiti finalizzati, specificando per ciascuno di essi il bene o servizio per il cui acquisto il finanziamento è stato richiesto, la durata, il numero e l’importo delle rate; se si conosce per i singoli finanziamenti eventualmente ottenuti il TAEG; se sono stati richiesti uno o più prestiti perso-nali e se sì in quale forma (cessione del quinto dello stipendio o altro) e con quale tempizzazione; se viene utilizzata nell’ambito della famiglia una carta di credito revolving; se sono state vissute esperienze di trasferimento di un mutuo da un istituto finanziario ad un altro, o se sono mai state effettuate estinzioni anticipate dei finanziamenti ricevuti.Il questionario dovrebbe prevedere anche la richiesta del maggiore o minore grado di apprezzamento riportato in relazione alle suddette diverse esperienze. I dati riportati dai questionari dovrebbero essere poi sintetizzati, anche con l’ausilio di grafici e tabelle, e i relativi risultati discussi in classe.

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TAGS LINKSSITI E INFO PER APPROFONDIRE Banca d’Italia, Il credito al consumo, in www.bancaditalia.it/servizi_pubbl/conoscere/edufin-bi/credito P. Ferretti, Forme tecniche dei prestiti: il credito al consumo, in R. Caparvi (a cura di), L’impresa bancaria. Economie e tecniche di gestione, Franco Angeli, Milano, 2006 V. Lops, Nel credito al consumo il diritto di ripensamento del cliente (senza spiegazione) sale a 14 giorni, in “Il Sole 24 Ore”, 5 giugno 2011M. Mobili, Credito al consumo esposto alle frodi. Subito più controlli per legge, in “Il Sole 24 Ore”, 21 febbraio 2010R. Sabelli, Il credito al consumo (finanziamenti, carte revolving, etc.): le regole, ADUC (Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori), Scheda Pratica, 01.06.2011, in www.sosonline.aduc.itwww.abi.it/www.assofin.it/www.bancaditalia.it/www.credito-al-consumo.biz/www.ilsole240re.com

LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE

QR-CODE

Credito al consumo Mutui immobiliariPagamenti ratealiFabbisogno finanziario consumatoriPrestiti finalizzatiPrestiti personaliCarte di credito revolvingTAN e TAEG

FAQ DOMANDE E RISPOSTE

1. Qual è, nel credito al consumo, la differenza fra il TAN (Tasso Annuo Nominale) e il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale)?Nella pubblicità dei contratti di credito al consumo, nei documenti informativi messi a disposizione dei consumatori prima della conclusione del contratto e nei contratti di credito al consumo, sono indicati due tassi, il TAN e il TAEG:

- il TAN esprime, in termini percentuali rispetto al capitale erogato, il tasso annuo di interesse praticato per il contratto di credito al consumo pubblicizzato, offerto o concluso con il consumatore;

- il TAEG rappresenta, in termini percentuali rispetto al capitale erogato, il costo totale effettivo del credito a carico del consumatore, includendo oneri diversi e ulteriori rispetto al tasso di interesse che il consumatore dovrebbe corrispondere alle Banche e agli intermediari finanziari ove decidesse di concludere il contratto. Il TAEG, che risulta quindi superiore al TAN, ha la funzione di agevolare il

paragone fra le proposte di credito al consumo disponibili sul mercato.

2. Chi concede la dilazione del pagamento del prezzo?La dilazione del pagamento del prezzo è concessa dai soggetti autorizzati alla vendita di beni e servizi nel territorio della Repubblica, che non possono però chiedere al consumatore interessi a titolo di corrispettivo di tale dilazione, poiché la corresponsione di interessi, unita alla dilazione del pagamento del prezzo, ovvero ad un sua rateizzazione, equivarrebbe alla concessione di un prestito, che è riservata alle Banche e agli intermediari finanziari.

3. Quali sono i possibili rischi connessi ad un eccessivo sviluppo nella richiesta di credito al consumo da parte dei consumatori?Il credito al consumo, nelle sue diverse forme tecniche, si collega alla scelta, sempre più frequente da parte dei consumatori, di pagare a rate i propri acquisti, per dilazionare nel tempo il pagamento e godere immediatamente del bene o servizio desiderato. Quello del pagamento a rate è un concetto tutt’altro che recente: pagare a rate significa trasferire un onere finanziario nel futuro, scaricandolo su una disponibilità finanziaria a venire. Tale possibilità ha un prezzo, dato dagli interessi sull’importo che si sceglie di pagare a rate, applicati sino all’estinzione completa del debito. La diffusione di questa forma di pagamento tra i consumatori italiani si collega e si intreccia con il moltiplicarsi delle offerte da parte dei finanziatori. Se comprare a rate un’auto o una cucina non è insolito, visto l’ammontare elevato di queste spese, occorre sottolineare come oggi sia ormai prassi frazionare anche il pagamento di grandi e piccoli elettrodomestici o apparecchiature ad elevato contenuto tecnologico (TV Lcd o al plasma, macchine fotografiche reflex, smartphone, iPhone o iPad e così via), ma anche di viaggi di piacere (come crociere, settimane bianche, ecc.) e di qualsiasi genere di bene e servizio. Da qui la crescente richiesta di prestiti personali, oltre che finalizzati, per soddisfare crescenti e talvolta superflui bisogni. E da qui la necessità di sottolineare l’esigenza di fare molta attenzione, poiché sussiste il rischio di perdere di vista l’ammontare complessivo degli esborsi mensili, accumulando un numero elevato di pagamenti a rate senza che a monte vi sia una reale pianificazione finanziaria. Per questo molte associazioni dei consumatori e le stesse Banche consigliano di porre un tetto alle spese, in modo tale che le rate mensili a carico della famiglia o del singolo consumatore non superino complessivamente il 30% dello stipendio recepito, al fine di evitare rischi di ritardi nei pagamenti, se non di veri e propri default, con l’impossibilità di far fronte alla restituzione del finanziamento ricevuto.

GUARDA IL VIDEO DI QUESTO TEMA

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Test FINALE

Soluzioni : 1b. - 2c. - 3c. - 4c. -5b.

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1. La Banca o la società finanziaria eroganti il credito al consumo possono esigere il rim-borso anticipato del finanziamento?a. no, in nessun casob. no, a meno che non sussistano le ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento del consumatorec. si, ma solo in alcuni casi se specificati nel contrattod. si, in ogni caso

2. Ponendo a confronto il TAN e il TAEG di un certo prestito finalizzato si può rilevarea. che il TAN è superiore al TAEGb. che TAN e TAEG sono necessariamente ugualic. che il TAEG è superiore al TAN, comprendendo un maggior numero di fattori rispetto al TANd. che solo a certe condizioni, se specificate nel contratto, il TAEG è superiore al TAN

3. Se si decide di comprare un immobile per uso abitativo e, non avendoli, si vogliono repe-rire i mezzi finanziari a ciò necessari, si puòa. chiedere un prestito finalizzatob. chiedere un prestito personalec. chiedere un mutuo immobiliared. chiedere un mutuo mobiliare

4. In un contratto di credito al consumo devono essere necessariamente indicati:a. solo la durata del finanziamento e il numero delle rateb. solo il TAN e il TAEGc. entità del finanziamento, numero, importo e scadenza delle rate, TAEG e garanzie richiested. entità del finanziamento, numero, importo e scadenza delle rate, TAN e garanzie richieste

5. Chi concede il credito al consumo nella forma del prestito?a. solo le Bancheb. le Banche e gli intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli artt. 106 e 107 del TUBc. solo gli intermediari finanziari iscritti negli elenchi di cui agli artt. 106 e 107 del TUBd. i rivenditori di beni e servizi appartenenti alla grande distribuzione

Appunti

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7 I risparmidi Alberto Banfi

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Alcune polizze presentano anche una gamma più ampia di coperture (componente protezione) come ad esempio quella infortuni o responsabilità civile, fino anche alla garanzia del completamento del piano di accumulo di caso di premorienza del contraente. Anche se va considerato che queste garanzie aggiuntive accrescono gli oneri del prodotto e ne riducono, contestualmente, la componente di risparmio. Alcune polizze offrono al contraente contratti “modulari”, cioè con versamenti aggiuntivi, il riscatto anticipato o parziale al compimento del diciottesimo anno del beneficiario. Ci sono anche prodotti che offrono un bonus legato ai risultati scolastici. L’importante però è che il generoso nonno o l’affezionato zio si facciano i conti in tasca stabilendo con un certo grado di sicurezza quale cifra si è in grado di accantonare periodicamente: meglio accantonare costantemente un po’ meno ma avere la certezza che lo si possa fare con costanza.

Mercati difficili, tempi di sacrifici per tutti. Le famiglie cercano di capire che autunno si prospetta, nuova incertezza e molte domande stanno entrando nelle case di tutti. Manterrò il posto di lavoro? Dovrò affrontare spese straordinarie? Riuscirò a risparmiare? Posso allargare famiglia? È il caso di cominciare a pensare, nonostante lo scenario circostante, al futuro dei miei figli? Domande che dovrebbero entrare nella pianificazione finanziaria della famiglia a prescindere dalla fase economica che si attraversa. Sembra abbastanza probabile che le conseguenze della crisi degli ultimi anni, tornata ad acuirsi nei mesi recenti, si trascineranno ancora per un po’, e questo sta inducendo mamme, papà e nonni a focalizzarsi su un possibile impegno di risparmio per garantire un futuro sereno a figli e nipoti. Un impegno meno faticoso di quanto si possa immaginare, visto che si parte con un evidente vantaggio, cioè il fattore “tempo”, che permette di partire con cifre modeste che, nel lungo periodo, possono produrre risultati soddisfacenti. Che strumenti vengono privilegiati dalle famiglie? Dipende dall’obiettivo dell’accantonamento. Il primo pensiero corre, naturalmente, allo studio, al percorso universitario o alla specializzazione con un master, ma può spingersi fino anche ad immaginare un sostegno economico destinato all’avviamento di una futura attività professionale. Polizze assicurative, libretti di risparmio, buoni fruttiferi, fondi di investimento: la gamma delle soluzioni possibili è ampia. Ma la scelta dipende dall’obiettivo del progetto. Un soluzione di matrice “finanziaria”, come il fondo comune d’investimento, può generare ritorni attraenti, ma a patto che il sottoscrittore – in tale caso il nonno per il nipote o il papà per suo figlio – sia disposto a sopportare anche fasi di forte volatilità e riduzione temporanee del valore delle quote. Nel caso si tolleri poco l’altalena dei mercati, è meglio guardare a prodotti meno remunerativi ma più semplici e capaci di proteggere il capitale. In questo caso la soluzione più gettonata è quella del libretto di risparmio o dei buoni postali, che però offrono un rendimento molto contenuto, capace a malapena di coprire l’inflazione, aspetto compensato dai costi pressoché nulli di questi prodotti. Si può partire con un conto corrente “junior”, l’industria bancaria ne propone molti soprattutto con l’obiettivo di cominciare ad educare molto presto i ragazzi alla corretta gestione del denaro. Diverse, poi, le famiglie che cercano nel settore assicurativo una risposta all’esigenza di accantonare per il futuro della prole: le proposte ad hoc sono tante dai prodotti “PrimoDomani” del Gruppo Generali, a Zurich “Grandi Passi”, da “FarPiù” di Alleanza Assicurazioni a “Grande Avvenire con Lode” di Toro Assicurazioni, da “Open Bravo” di Fondiaria Sai a “Zero Diciotto” di Reale Mutua. Tutti prodotti prudenziali, collegati a gestioni separate, e con la promessa di un rendimento garantito.

29 Agosto 2011

IL FUTURO DEI FIGLI NEI RISPARMI DI OGGIdi Debora Rosciani

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Introduzione: che cosa si intende per “risparmio”Una definizione largamente accettata di “risparmio” lo intende come «quota di reddito che un soggetto decide di non spendere in atti di consumo ma preferisce accantonare in vista di eventuali atti di spesa futuri».Quando un soggetto risparmia deve preoccuparsi di conservare nel tempo il “potere di acquisto” delle somme di cui dispone, e pertanto deve preoccuparsi di conseguire una remunerazione coerente con la rinuncia a spendere in via immediata le risorse monetarie a sua disposizione (la cosiddetta “liquidità”).Tale liquidità è altresì utilizzabile per effettuare varie forme di pagamento: la decisione di depositare le eccedenze di reddito presso una Banca assolve all’insieme di tali preoccupazioni in quanto disponendo, ad esempio, di un conto corrente, il soggetto può utilizzare in totale sicurezza l’ampia gamma degli strumenti di pagamento “bancari” (utilizzo del bancomat, degli assegni, dei bonifici, delle carte di credito, ecc.), oltre che disporre di una remunera-zione (ancorché contenuta) per il fatto di prestare questa somma alla Banca. Da qui allora discende che quando un soggetto detiene disponibilità liquide sotto forma di depositi presso una Banca lo fa per:• compiere transazioni, nel qual caso la somma depositata adempie alla sua funzione di strumento di pagamento

nelle numerose forme tecniche attualmente disponibili; • detenere risorse finanziarie liquide per ragioni precauzionali, dirette cioè a fronteggiare eventi che generano

improvvise quanto non prevedibili necessità di moneta; • accumulare risorse finanziarie in veste monetaria, destinate a soddisfare bisogni eventuali e futuri, ma anche

a compiere attività di carattere speculativo attraverso transazioni compiute sui mercati monetari e finanziari.A seconda delle finalità perseguite, è possibile distinguere tra depositi moneta e depositi a tempo. Con i primi si intendono i rapporti che un soggetto pone in essere con una Banca, finalizzati a detenere risorse mo-netarie immediatamente disponibili al fine di soddisfare i bisogni conseguenti alle transazioni di natura economica, quindi con valenza di strumenti di pagamento. I contratti o depositi a tempo sono invece precostituiti allo scopo di realizzare durevoli forme di investimento o, alternativamente, di accantonare fondi in vista, ad esempio, dell’ac-quisto di beni immobili (si pensi all’abitazione) oppure diretti a cogliere opportunità offerte dal mercato finanziario, attraverso l’acquisto/sottoscrizione di strumenti finanziari . Nella realtà le tipologie generali di depositi citati sopra presentano caratteristiche meno nette di quelle a prima vista individuabili e ciò sia per la duttilità degli strumenti medesimi, che permettono a volte, seppur in diversa gra-duazione, di soddisfare contemporaneamente tutte le motivazioni che danno origine alla domanda di moneta, sia perché in taluni contratti o depositi a tempo i caratteri della trasformabilità in veste monetaria risultano notevolmente attenuati o pressoché nulli ovvero caratterizzati da un contenuto di rischiosità così elevato da far dubitare della possibilità di identificarli con la detenzione di moneta. È quindi più opportuno distinguere tra depositi a prevalente contenuto monetario e depositi con prevalente finalità di investimento.Tra i depositi bancari con prevalente contenuto monetario si distinguono i depositi a “vista o in conto corrente” dai contratti cosiddetti “a tempo”, riconducibili essenzialmente ai depositi a risparmio e ai certificati di deposito. Sempre con gli obiettivi tipici dei depositi con prevalente funzione monetaria possono aggiungersi anche quelle più moderne tipologie che costituiscono specifiche forme tecniche di investimento a tempo, quali ad esempio le operazioni di pronti contro termine.

Chiavi di lettura dell’articolo

L’articolo propone un tema di estrema attualità in quanto analizza le possibili “soluzioni finanzia-rie” per assicurare nel tempo un sostegno finanziario alle generazioni più giovani, data l’attuale prolungata fase di incertezza a seguito della crisi.Infatti, come pensare al futuro dei propri figli (o nipoti) se sono molte le incertezze con cui confron-tarsi: «Manterrò il posto di lavoro? Dovrò affrontare spese straordinarie? Riuscirò a risparmiare? Posso allargare famiglia? È il caso di cominciare a pensare, nonostante lo scenario circostante, al futuro dei miei figli?». Queste domande sono essenziali per poter operare una “pianificazione familiare” e quindi im-maginare un possibile impegno di risparmio per assicurare un futuro tranquillo e sereno per le generazioni future.Ciò presuppone, in primo luogo, l’identificazione dei bisogni da soddisfare (e da pianificare) e delle “soluzioni finanziarie” più consone per gli obiettivi che si vogliono perseguire.

Nell’articolo si propongono alcuni bisogni delle famiglie nei confronti dei figli, così riassumibili:• come assicurare il finanziamento dei loro studi?• come contribuire all’avvio e all’inserimento nel mondo del lavoro?• come accantonare o destinare risorse per assicurare eventuali necessità future quali la sanità,

la previdenza e l’acquisto della casa?L’autrice dell’articolo esamina diversi prodotti finanziari, ciascuno con specifiche caratteristiche e soluzioni ai vari bisogni.Emerge che, comunque, l’identificazione del prodotto più appropriato deve essere posta in stretta correlazione con lo specifico bisogno da soddisfare, con l’entità del risparmio che una famiglia è in grado di destinare per tali bisogni e con il livello di rischio che si vuole sopportare acquisendo tali prodotti.Si rileva che le soluzioni possono essere di “natura finanziaria”, alle quali si associano diversi livelli di rischio e di rendimento per generare le risorse disponibili in futuro: dai più “tranquilli” librettini risparmio ai più “sofisticati e rischiosi” prodotti di risparmio gestito quali, ad esempio, i fondi comuni di investimento. A tali soluzioni si aggiungono quelle di “natura assicurativa”, che consentono sia di accumulare di-sponibilità finanziarie future, sia di disporre di copertura contro il manifestarsi di eventi potenzialmente “pericolosi e avversi” per i figli come in caso di malattia, di infortunio e di responsabilità civile.In ogni caso, il presupposto per garantire quanto visto in precedenza è che la famiglia sia disposta ad accantonare del risparmio (potendone disporre), destinandolo ad accumulo periodico di risorse a beneficio dei figli, attivando così un processo attento e puntuale di pianificazione familiare.

di Alberto Banfi

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PARTICOLARI TIPOLOGIE DI CONTO CORRENTE

• I conti correnti convenzionati prevedono il medesimo trattamento per tutti i correntisti che rientrano nella convenzione, ossia nell’accordo bilaterale tra la Banca ed un organismo rappresentante di una molteplicità di potenziali clienti, che è solitamente un’associazione di categoria o un’azienda. I conti correnti convenzionati hanno pertanto un contenuto innovativo limitato, dato essenzialmente solo dalla “parità di trattamento”.

• I conti correnti a target sono predisposti dalle Banche per rispondere alle esigenze di una parti-colare categoria di potenziali clienti (target) indotti a identificarsi nelle caratteristiche del prodotto offerto. Questa tipologia di conti mostra, rispetto ai conti convenzionati, servizi accessori più mirati e personalizzati, nonché una minore flessibilità, poiché i segmenti target sono predefiniti. Anche in questo caso il contenuto innovativo è limitato, definito dalla segmentazione socio-demografica della clientela che essa comporta e da modalità distributive più aggressive e focalizzate.

1. I conti correntiIl rapporto di conto corrente rappresenta la forma tecnica di raccolta al dettaglio più diffusa e prevede una remunerazione che si concretizza nella corresponsione di un tasso di interesse sulle somme depositate; eccezionalmente può venire applicato un tasso debitore o tasso scoperto di conto corrente e di mora nel caso il conto risulti incapiente o a debito.La misura dell’interesse attivo per il cliente, riconosciuto al conto corrente, è strutturalmente con-tenuta rispetto alle forme alternative di investimento, a motivo della funzione prevalentemente monetaria svolta dal conto corrente. La remunerazione del cliente, stabilita attraverso il tasso creditore originariamente contrattato con la Banca, viene in ogni caso decurtata per effetto della tassazione e per effetto dei costi connessi ai servizi resi e alla tenuta del conto. Ordinariamente il cliente utilizza il conto corrente nei limiti delle disponibilità in esso presenti. È tuttavia possibile che il saldo del conto possa risultare a debito: in tal caso la Banca può accet-tare di eseguire le operazioni richieste dal cliente applicando un tasso di interesse debitore di misura solitamente multipla del tasso creditore sul medesimo conto. Nel corso degli anni le Banche hanno offerto alla loro clientela talune tipologie di conto corrente che perseguono ciascuna obiettivi specifici. In particolare (come riportato nel Box 1) si hanno conti correnti volti a raggiungere selezionate categorie di clienti (conti correnti convenzionati; conti correnti a target; conti correnti abbinati a polizze assicurative; conti in valuta), conti correnti volti a soddisfare le necessità di soggetti interessati ad ottimizzare la gestione di disponi-bilità monetarie (conti liquidità; conti correnti on line) e conti destinati ad enfatizzare la natura di depositi moneta dei conti correnti quali i cosiddetti conti correnti di servizio la cui onerosità è minore a motivo dell’intenso utilizzo dei servizi bancari.

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• I conti correnti abbinati a contratti assicurativi prevedono l’abbinamento del conto a polizze assicurative di vario gene-re, offerte normalmente a condizioni privilegiate. Si tratta di prodotti offerti in forza di accordi tra Banche e assicurazioni per il collocamento sul mercato di specifiche polizze da parte delle Banche (nell’ambito della cosiddetta bancassurance). Le polizze offerte sono di vario tipo, ma le più diffuse riguardano la morte accidentale del correntista con il versamento agli eredi di un indennizzo pari al saldo o ad un multiplo di esso, nonché i rischi di infortuni e malattie, responsabilità civile, furti e rapine. Attraverso questi conti correnti le Banche perseguono una strategia di marketing volta all’ampliamento e alla diversificazione dei prodotti offerti, quindi alla fidelizzazione di chi è già cliente o all’acquisizione di nuovi clienti attraverso l’offerta di polizze mirate e personalizzate su alcune categorie di soggetti.

• I conti correnti denominati in valuta mostrano l’indicazione di una valuta di riferimento, nella quale si registrano addebiti e accrediti, nonché di un tasso di interesse legato all’andamento della valuta di riferimento, ed accrediti ed addebiti in valuta diversa (con conversione al cambio corrente). Mentre per le Banche essi possono consentire il contenimento del rischio di cambio (matching), la clientela può attuare una migliore diversificazione del portafoglio e realizzare con maggiore semplicità operazioni in titoli e valute estere. Ovviamente tale funzione è stata ampiamente ridimensionata con l’adozione dell’euro.

• I conti liquidità (o conti investimento o conti fondi) rappresentano un prodotto misto che prevede l’abbinamento di un conto corrente (strumento con caratteristiche di liquidità) e l’investimento in quote di fondi comuni di investimento (con l’obiettivo di una maggiore redditività delle disponibilità monetarie). Essi comportano il costante confronto del saldo del correntista con giacenza minima, media e massima ed automatico investimento/disinvestimento in quote di un fondo. La diffusione di questa tipologia di conto è modesta per gli elevati costi che può comportare.

• I conti correnti on line mostrano un meccanismo di funzionamento analogo a quello dei conti correnti ordinari, ma con

possibilità per il cliente di compiere operazioni dispositive via Internet 24 ore su 24. Le condizioni di tasso e spese su conti on line e su servizi abbinati sono più convenienti per la clientela, dal momento che non comportano per la Banca l’utilizzo della struttura operativa fisica di appoggio rappresentata dai propri sportelli. Le Banche tradizionali offrono la possibilità di effettuare transazioni on line sul preesistente conto (senza necessità di aprirne un altro), mentre le Banche virtuali (e-bank) abbinano il conto on line al trading on line (ossia la compravendita di valori mobiliari quotati sui mercati di borsa a condizioni più vantaggiose).

• I conti correnti di servizio rappresentano uno strumento con remunerazione nulla o molto contenuta sulle somme deposi-tate, a fronte di assenza di spese di gestione e della possibilità di effettuare un significativo numero di operazioni gratui-tamente o dietro pagamento di una commissione forfetaria di importo contenuto. Essi vengono utilizzati prevalentemente come strumento di pagamento e gestione della liquidità (cioè non di investimento) ed evitano la contrattazione prioritaria tra Banca e cliente del tasso di interesse, poiché in questo caso oggetto della negoziazione è il numero di operazioni gratuite, o della commissione forfetaria. I conti di servizio sono particolarmente convenienti per le imprese e per i privati con una movimentazione intensa e con una giacenza minima prefissata. La loro diffusione è attualmente significativa e in crescita, favorita anche dai bassi tassi di interesse che rendono poco praticabile lo strumento del conto corrente quale forma di investimento.

1.2. I depositi a risparmioAccanto al conto corrente (che, come visto, rappresenta una particolare tipologia di deposito caratterizzata dalla molteplicità di servizi ad esso collegati e che per tale ragione viene appropriatamente qualificato come deposito-moneta) è individuabile una molteplicità di altri depositi che, seppur in forma graduata, rappresentano forme preva-lenti di investimento di denaro che si avvicinano maggiormente alle caratteristiche del deposito-tempo.Di questi è possibile operare una classificazione sulla base della presenza o meno di vincoli alla disponibilità delle somme depositate e sulla base della titolarità delle somme medesime.

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versata e che verrà rimborsata, con l’aggiunta degli interessi), oppure “a sconto” (con un versamento iniziale di una somma inferiore a quella che verrà rimborsata, e la cui differenza rappresenta così l’interesse). Il tasso di interesse corrisposto può essere fisso oppure variabile (e in tal caso dipenderà esclusivamente da parametri finanziari che possono essere sia a breve termine, sia a medio e lungo termine, sia una combinazione di più indicatori).

1.4. L’operazione di pronti contro termineL’operazione di pronti contro termine costituisce una forma di raccolta per la Banca (e di conseguenza di deposito/investimento per il cliente) dal momento che si sostanzia in una vendita di titoli per contanti (pronti) da parte della Banca al cliente e in un contestuale riacquisto da parte della Banca degli stessi ad epoca prefissata (termine), posta in essere nella stessa data, nei confronti della medesima controparte, sugli stessi titoli e valori, e per pari importo nominale. Le categorie di soggetti interessati a tale operazione al dettaglio sono individuabili oltre che nella Banca, da un lato, nelle famiglie e nelle imprese dall’altro. La durata dell’operazione, fissata in relazione alle necessità del cliente, per solito copre un periodo compreso tra i 15 giorni e i 6 mesi, e non trova alcun vincolo né per la data di avvio né per quella di scadenza (se non nell’epoca di scadenza del titolo sottostante). La scadenza, tuttavia, una volta fissata, costituisce un imprescindibile vincolo per le parti, con la conseguente impossibilità di anticipare gli effetti dell’operazione prima della sua naturale scadenza.Il rendimento dell’operazione per il cliente viene contrattato tra le parti al momento della stipula ed è del tutto indipen-dente dal livello del tasso del titolo oggetto di scambio, solitamente rappresentato da titoli di Stato o da obbligazioni emesse dalla Banca medesima o da un soggetto appartenente al gruppo della Banca stessa.

1.5. Il Fondo Interbancario di Tutela dei DepositiDa ultimo è opportuno segnalare che, con riguardo alla tutela prevista per i depositanti nel caso di crisi della Ban-ca, come negli altri Paesi, anche in Italia è attivo uno speciale fondo, il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD), che ha la finalità di circoscrivere gli effetti di situazioni di dissesto che coinvolgano una Banca a beneficio di alcune categorie di creditori/depositanti. In particolare, il Fondo, al quale le Banche sono obbligate a partecipare, garantisce il rimborso dei depositi sino ad un limite di 103.291,38 euro per ogni depositante.

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Con riguardo alla disponibilità delle somme depositate, sono individuabili i depositi liberi e i de-positi vincolati. I primi si caratterizzano per l’assenza di limiti alla libera disponibilità delle somme e quindi approssimano la funzione dei depositi-moneta. Sul versante opposto, i depositi vincolati prevedono la presenza di un termine, e solo alla sua scadenza diviene possibile mobilizzare le somme in essi presenti. Per quanto precede, il tasso creditore di cui beneficia il depositante è maggiore nel caso dei depositi vincolati, per i quali, tuttavia, la presenza del termine non deve considerarsi un impedimento assoluto alla disponibilità delle somme: infatti, viene solitamente consentito al depositante di disporre del denaro depositato mediante preavviso alla Banca la quale, a sua volta, procederà con la riduzione della remunerazione del deposito vincolato por-tandola al livello di quello fissato per i depositi liberi. Nel corso degli ultimi anni, inizialmente ad opera delle maggiori Banche estere operanti in Italia, si sono diffusi i conti di deposito vincolati on line che hanno rappresentato il principale strumento attraverso il quale si è realizzata un’ac-cesa concorrenza tra Banche per attrarre i risparmiatori allettati da tassi di rendimento particolar-mente elevati rispetto a quelli ordinariamente offerti sui depositi tradizionali.

Con riguardo alla titolarità delle somme depositate, una particolare categoria di depositi, un tempo la più diffusa, è individuabile nei depositi a risparmio per i quali è previsto il rilascio ad opera della Banca, al momento della costituzione del rapporto, del cosiddetto libretto (da cui la denominazione comune di libretti di risparmio), che può essere nominativo oppure al portatore. I libretti di risparmio nominativi sono documenti non destinati alla circolazione, intestati al clien-te, il quale per ottenere il rimborso delle somme in essi indicate deve dimostrare di essere l’inte-statario del libretto medesimo. Una particolare tipologia di libretti nominativi è individuabile nei libretti di risparmio nominativi al portatore, per i quali è previsto che la Banca sia esonerata dall’onere di identificare l’esibitore del libretto che “si presume” essere il suo legittimo possessore. I libretti di risparmio al portatore sono documenti destinati alla circolazione e il loro trasferimento si attua con la consegna del libretto; ne consegue che il portatore è legittimato a compiere le operazioni consentite, relative al deposito, semplicemente presentando il libretto allo sportello della Banca e che la Banca che adempie alle prestazioni nei riguardi di chi esibisce il libretto è liberata anche se questi non è il depositante.Per entrambe le categorie di depositi a risparmio è previsto che le annotazioni apposte sul libretto dall’addetto della Banca impegnino quest’ultima verso il cliente e che non sia possibile compiere operazioni senza la presentazione del libretto.

1.3. I certificati di depositoI certificati di deposito sono strumenti finanziari che rappresentano una figura tipica di deposito-tempo. Essi sono titoli al portatore (solo eccezionalmente nominativi) destinati alla circolazione, e nel documento che li rappresenta deve essere indicato, tra l’altro, l’emittente, il valore nominale, gli elementi necessari per la determinazione della remunerazione, l’ammontare dell’interesse pagabile a scadenza, le modalità di rimborso e le eventuali garanzie. Hanno durata compresa tra 3 mesi e 5 anni e possono essere emessi al loro valore nominale (corrispondente alla somma

TAGS LINKSSITI E INFO PER APPROFONDIRE Oltre agli opportuni siti di “bandiera” ossia www.osservatorionline.it e www.intesasanpaolo.com, intendo segnalare i seguenti:www.borsaitaliana.itwww.assogestioni.itwww.consob.itwww.bancaditalia.itwww.ilsole24ore.itwww.abi.itAggiungerei anche alcuni siti di associazioni dei consumatori, e di questi preferirei quello di Altro Consumo: www.altroconsumo.it

LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE

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RisparmioPianificazione familiareCopertura assicurativaBisogno finanziarioConto correnteDeposito a risparmioFondo Interbancario di Tutela dei Depositi Certificato di depositoPronti contro terminePotere d’acquistoPiano di accumulo

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FAQ DOMANDE E RISPOSTE

1. Che cosa si intende per “depositi moneta” e per “depositi tempo”?Con i primi si intendono i rapporti che un soggetto pone in essere con una Banca, finalizzati a detenere risorse monetarie immediatamente disponibili al fine di soddisfare i bisogni conseguenti alle transazioni di natura economica, quindi con valenza di strumenti di pagamento. I contratti o depositi a tempo sono invece precostituiti allo scopo di realizzare durevoli forme di investimento o, alternativamente, di accantonare fondi in vista, ad esempio, dell’acquisto di beni immobili (si pensi all’abitazione), oppure diretti a cogliere opportunità offerte dal mercato finanziario, attraverso l’acquisto/sottoscrizione di strumenti finanziari.

2. Che ruolo ha il Fondo Interbancario per la Tutela dei Depositi? Ha il ruolo di tutelare i depositanti nel caso di crisi della Banca e di circoscrivere gli effetti di situazioni di dissesto che coinvolgano una Banca a beneficio di alcune categorie di creditori/depositanti.

3. Quali sono i principali bisogni da soddisfare per aiutare le generazioni future? Si tratta di una serie di bisogni che vede in primo luogo la necessità di accumulare risorse finanziarie per agevolare il perseguimento di obiettivi basilari, quali la prosecuzione degli studi superiori o l’avvio di una attività lavorativa; in secondo luogo, vengono accumulate disponibilità finanziarie future per assicurare una copertura contro il manifestarsi di eventi potenzialmente “pericolosi e avversi” per i figli, come in caso di malattia, di infortunio e di responsabilità civile.

Test FINALE1. Quale di questi prodotti è più rischioso?a. deposito a risparmiob. deposito in conto correntec. certificato di depositod. fondo di investimento azionario

2. Quale di queste tipologie di conto corrente prevede l’abbinamento di un conto corrente tradiziona-le e di un investimento in quote di fondi comuni?a. conto corrente convenzionatob. conto corrente di liquiditàc. conto corrente abbinato a contratto assicurativod. pronti contro termine

3. I certificati di deposito sono strumenti finanziari che rappresentano a. un deposito tempo rappresentato da titoli al portatore (o eccezionalmente nominativi)b. un deposito tempo rappresentato da titoli esclusivamente al portatorec. un deposito tempo rappresentato da titoli esclusivamente nominativid. un deposito moneta rappresentato da titoli al portatore (o eccezionalmente nominativi)

4. Quale di questi prodotti bancari non costituisce un tipico strumento di pagamento?a. bonificob. assegnoc. certificato di depositod. carta di credito

5. Il “potere di acquisto” rappresenta la possibilitàa. di conservare nel tempo la propria capacità di spesab. di conservare nel tempo il rendimento dei propri investimentic. di utilizzare strumenti di pagamento bancarid. di essere in grado di ottenere sconti sui propri acquisti

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Traccia per l’attività in classeQuale attività da svolgere in classe si potrebbe chiedere agli studenti di predisporre, da un lato, un elenco dei bisogni che ritengono di avere nei prossimi 5-10 anni, e di individuare, dall’altro, quali possano essere le soluzioni per il loro soddisfacimento.Potrebbero essere recuperati, al riguardo, i documenti informativi o del materiale pubblicitario di alcuni dei prodotti descritti nell’articolo e nella scheda, e si potrebbe effettuare un’analisi delle loro caratteristiche.

Soluzioni : 1d. - 2b. - 3a. - 4c. -5a.

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8 Gli investimentidi Federico Cartei

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L’INGEGNERE E GLI STUDI DEI FIGLI di Giampaolo Galiazzo

Il nostro ingegnere ha un patrimonio attualmente suddiviso al 77% in BTp con varie scadenze e al 23% in azioni ed Etf. I BTp sarebbero già in grado di dargli una parziale copertura del reddito in caso di perdita del posto di lavoro, soprattutto se portasse tutte le scadenze oltre i dieci anni, con un rendimento superiore al 5% (circa23mila euro) reinvestibili insieme ai risparmi annuali (sperando non si realizzi l’evento temuto).Tale rendimento potrebbe inoltre essere marginalmente migliorato destinando un10% del patrimonio ad obbligazioni europee corporate (societarie) di pari durata con rating BBB e rendimento medio del 5,9% ed eventualmente un altro 10% a obbligazioni corporate di enti finanziari europei con rating A e rendimento medio del 6,2%. Naturalmente consigliamo la massima diversificazione tra emittenti societari per poter ridurre in tal modo al minimo gli importi investiti per singolo emittente. L’orizzonte a dieci anni è inoltre compatibile con l’obiettivo di finanziare gli studi dei figli. Per quanto riguarda la parte azionaria suggeriremmo invece di investire in 14 azioni (10mila euro ciascuno), selezionate in base ai fondamentali (possibilmente con l’aiuto di un consulente, ndr). Nel paniere di titoli selezionati in base a tali criteri potrebbero essere inserite azioni italiane come Terna e Zignago ed estere come Nestlé, Basf, Astraneca, Unilever, Bhp, Skf.

10 Settembre 2011

QUATTRO PROFILI DI RISCHIO E QUATTRO MODI DI INVESTIRE IN BASE A DIVERSI OBIETTIVI: I PORTAFOGLI SUGGERITI DAI CONSULENTI FINANZIARI

L’articolo8 PLUS24

Gli i

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PROFILO DI RISCHIO MEDIO

L’ingegnere e gli studi dei �gliIngegnere, separato, 2 �gli 4 e 8 anni, casa di proprietà

Reddito annuo netto:45mila euro

Propensione al risparmio:1500 euro al mese

Propensione al rischio:medio

Patrimonio �nanziario attuale: 600mila euro di cui 460mila investiti in BTp con scadenze dal 2013 al 2023.il resto in azioni (Eni, Enel, Bper, Terna) ed EtfObiettivi: rendita a parziale a copertura perditaposto di lavoro e �nanziare studi ai �gli in primaria università

10%

57%23%

10%Bond societari BBB

Bond societari �nanziari A

Azioni

BTp

I 40ENNI E LA VECCHIAIA AGIATA di Ida Pagnotella

Nel profilo indicato (e sulla base degli obiettivi: una vecchiaia agiata) c’è da ipotizzare un piano d’investimento con una durata di 60 anni. Il valore del patrimonio iniziale è di 100mila euro e la famiglia, vista la propensione al risparmio (2mila euro) dovrà effettuare 21 versamenti di 24mila euro l’anno.Suggerirei, inoltre, di aumentare la quota di risparmio in funzione dell’inflazione ipotizzata (2% annuo). Tra 20 anni si può ipotizzare che tale famiglia inizierà a prelevare dal piano di risparmio in modo da poter integrare la pensione a partire dal 2031 (fino al 2071); prelievi mensili di circa 1.700 euro (al potere di acquisto attuale). Nella torta investimenti ipotizzata, le azioni coprono il 40%: viene prevista una diversificazione settoriale selezionando titoli in base ai buoni fondamentali. Escluderei però azioni bancarie e finanziarie in generale. Sul versante obbligazioni terrei un 30% in bond in valuta pregiata di paesi produttori di materie prime e poco indebitati. Il restante 30% in oro o Etf con sottostante oro fisico. Le rate mensili di risparmio possono alimentare a turno queste fette di investimento (un mese l’obbligazionario, un mese azionario, a rotazione). A partire dal 2027, bisognerà però cambiare registro: il portafoglio andrà gradualmente spostato su obbligazioni quotate e in euro, diversificando per scadenza, emittente e tipologia di tasso in modo da raggiungere il rendimento obiettivo minimizzando i rischi. Una piccola cifra può restare in azioni e materie prime (5-10%).

PENSIONATI E FIGLIA RICERCATRICE di Fabrizio Taccuso

La situazione della coppia di pensionati rappresenta il caso tipico dei giorni nostri, in cui i genitori si devono prendere carico delle esigenze dei figli da un punto di vista finanziario.Quindi, in considerazione dell’obiettivo prioritario di aiutare la figlia, data l’alta volatilità presente sui mercati, è bene reimpiegare i 100mila euro necessari al contributo dell’acquisto dell’immobile, in un conto deposito vincolato ad alta remunerazione. Manteniamo i 100mila di investimenti in BTp a media e lunga scadenza, la cui vendita, al momento, sarebbe penalizzante, anche in considerazione del fatto che la tassazione rimarrà invariata al 12,50%.

PROFILO DI RISCHIO ALTO

I 40enni e la vecchiaia agiataCoppia di 40enni, lavoratori dipendenti, 2 �gli di 10 e 8 anni

Reddito annuo netto:65mila euro

Propensione al risparmio:2000 euro al mese

Propensione al rischio:alta

Patrimonio �nanziario attuale: casa di proprietà, mutuo con rata trimestrale di 3000mila euro. Inoltre 1000mila euro: di cui 45mila euro liquidi su conto deposito, 30mila in fondi comuni, il resto in azioni

Obiettivi: una vecchiaia serena e agiata

30%

40%

30%

Etf oro �sico/oro �sico

Azioni (no azionario bancario o �nanziario)

Obbligazioni in valute pregiate e di Paesi produttori di materie prime e poco indebitate

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possono aggirarsi al 3% netto. La restante parte, considerata la propensione al rischio del risparmiatore, è allocata in titoli di debito di emittenti governativi solidi (con deficit e debito pubblico contenuto), in titoli di debito ed emittenti societari di buona qualità creditizia (meglio quelli in euro). Una rimanente parte può essere investito in capitale di rischio (azioni) diversificandola a livello geografico e settoriale. Il mutuo potrà poi essere affrontato mediante i mille euro di risparmio mensile, dedicando una buona parte (il 70% o l’80%) per le rate e la parte rimanente per un piano di accumulo per investimento.

Depositi fruttiferi 18 mesi (da ritirare per richiesta mutuo)

Azionario

Corporate Bond

Titoli di Stato

PROFILO DI RISCHIO MEDIO-BASSO

Il medico single e la casaMedico chirurgo 35enne single, vive con i genitori a Verona

Reddito annuo netto:36mila euro

Propensione al risparmio:1000 euro al mese

Propensione al rischio:medio-bassa

Patrimonio �nanziario attuale: 100mila in Titoli di Stato e fondi

Obiettivi: tra un anno e mezzo comprare casa per andare a vivere con la futura sposa senzautilizzare tutto il capitale disponibile ma anche un mutuo

30%

50%

5%

15%

8Gl

i inv

estim

enti

Tuttavia la parte in scadenza è necessario utilizzarla per una miglior diversificazione di portafoglio. Pertanto il 20% della ricchezza complessiva andrà investita in fondi/sicav a ritorno assoluto che in questa fase si sono dimostrati i più adatti a gestire la crisi, avendo cura,ovviamente di scegliere tra quelli a cinque stelle.E’ bene anche ampliare le aree geografiche, considerando le vicissitudini dell’era euro, inserendo il 10% in fondi obbligazionari di paesi emergenti in valuta locale.Pur considerando la bassa propensione al rischio, sarebbe opportuno sfruttare i forti cali degli indici azionari negli ultimi mesi, introducendo un Etf azionario globale, per un massimo del 10%. Infine, considerando la buona propensione al risparmio mensile dei nostri lettori, è consigliabile l’accensione di un piano di accumulo azionario, da 500 euro mensili, che vada ad investire sempre sui paesi emergenti.Tale forma d’investimento è infatti più idonea per affrontare al meglio i mercati azionari.

IL MEDICO SINGLE E LA CASAdi Giovanni Pedone

Partendo dal portafoglio di origine, la cui consistenza è rappresentata da titoli di stato e fondi per 100mila euro, sarà necessario in prima battuta verificare il reale rischio degli attivi correnti (studiare la composizione dell’obbligazionario su vari fattori di rischio) e accertarsi ed eventualmente eliminare le inefficienze che i comparti di risparmio gestito possono presentare. Trattandosi di un medico chirurgo con una più che sufficiente propensione al risparmio, riteniamo corretta una valutazione dei rischi inerenti la sua sicurezza economica (relativa alla capacità del soggetto di generare reddito) mediante semplici coperture assicurative.Impostiamo una torta di investimenti dove la metà degli attivi è investita in depositi fruttiferi (a 18 mesi) per rivalutare una parte di capitale che potrà essere impiegata per l’acquisto della casa e richiesta mutuo. L’offerta sui depositi fruttiferi è molto varia: non è difficile trovare rendimenti che

PROFILO DI RISCHIO BASSO

Pensionati e �glia ricercatricePensionati 65enni con �glia 28enne, ricercatrice, che vive con loro a Milano

Reddito annuo netto:42mila euro

Propensione al risparmio:1000 euro al mese

Propensione al rischio:bassa

Patrimonio �nanziario attuale: 300mila metà in BTp e metà in pct

Obiettivi: tra un anno aiutare la �glia a comprare casa (versando 100mila euro), usando il resto del patrimonio ad integrazionedella pensione per eventuali future necessità.

Titoli di Stato Italiani

Conto Deposito Vincolato ad un anno

Fondi/Sicav a Ritorno Assoluto ad alto Rating

Fondi Obbligazionari di Paesi Emergenti in valuta localeErt Azionario Globale

30%

30%

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10%

Circolante e depositi Titoli di Stato e obbligazioni Azioni e fondi comuni Riserve assicurative e previdenza Altre attività �nanziarie

PAESI A CONFRONTO: gli italiani battono tutti per titoli di Stato e obbligazioni bancarie (19,8%)

Italia

Francia

Germania

Spagna

Area euro

Regno Unito

Stati Uniti

Giappone

Composizione delle attività e passività �nanziarie delle famiglie a �ne 2010In percentuale sul totale

Fonte: Banca d’Italia e Istat per i dati italiani; Banque de France e Insee (Francia); Deutsche Bundesbank (Germania); Banco de Espana (Spagna; Eurostat e Bce (area euro); Bank of England e Central Statistic Of�ce (Regno Unito); Federal Reserve System-Board of Governors e Bureau of Economic Analysis (Usa ); Bank of Japan e Cabinet Of�ce (Giappone)

31,4

29,0

37,9

48,5

35,1

27,8

14,3

54,7

19,8 27,3 18,2

8,2 20,1 36,8 2,88

1,7 24,8 36,8 2,94

3,2 24,9 15,2 2,1

7,5 24,0 30,2 3,08

8,9 43,2 30,1 4,14

0,8 14,2 53,9 4,49

4,9 9,5 27,2

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Chiavi di lettura dell’articolo

Le regole base per investimenti “a prova di panico”Per costruire portafogli “a prova di panico” in questi periodi di sali-scendi repentino dei mercati, l’autore dell’articolo preso a riferimento ci suggerisce tre regole valide per tutti: non vendere sull’onda dell’emotività, valutare le perdite che si è disposti a sostenere e fissare alcuni obiettivi ragionevoli per il futuro.Naturalmente vendere quando ormai i mercati sono scesi, anche oltre il ragionevole, significhe-rebbe incorrere in una perdita sicura, mentre l’attesa di tempi migliori può far recuperare almeno parte del valore perduto, quando le valutazioni dei titoli da parte del mercato avverranno su basi maggiormente razionali.Le ultime due regole vanno di pari passo laddove capire la perdita massima che siamo disposti ad accettare ci porta a definire il profilo di rischio dell’investitore e quindi anche il rendimento atteso dal proprio investimento, con le relative aspettative per il futuro: se abbiamo un profilo di rischio alto, siamo disposti a sopportare perdite maggiori ma abbiamo anche un obiettivo futuro più alto per il rendimento del nostro portafoglio, se invece vogliamo rischiare di perdere poco allora ci dobbiamo anche accontentare di rendimenti ridotti nel futuro con investimenti in strumenti finanziari più prudenti.Nella scheda presente sul quaderno dello scorso anno dal titolo Rischio degli strumenti finanziari avevamo delineato i concetti base per poter investire in modo consapevole e consono al proprio profilo finanziario, con questo articolo vediamo più a fondo come dovrebbe evolversi il portafo-glio finanziario nell’arco del ciclo di vita dell’individuo, quando, con il passare dell’età, variano anche le necessità, il profilo di rischio e i rendimenti attesi dall’individuo.

Il portafoglio finanziario strategico in relazione al ciclo di vita dell’individuoL’articolo preso a riferimento mette a confronto quattro portafogli relativi a quattro identikit diversi: il giovane single, la coppia sposata sui 40 anni, un professionista con figli piccoli e una coppia di pensionati con figlia ricercatrice.L’analisi del portafoglio ideale per ogni profilo citato ci aiuta a capire come occorrerebbe strutturare il portafoglio durante le varie fasi della vita, anche in relazione all’attività lavorativa svolta, alle esigenze di spesa, alle possibilità di risparmio personali e al profilo di rischio di ogni investitore.Previsioni sull’andamento delle varie attività finanziarie sono impossibili da fare, e anche per i più esperti è impossibile prevedere dove andranno i mercati finanziari con il grado di certezza necessario per orientare le scelte dei risparmiatori.La definizione della politica di investimento strategica (asset allocation) è l’attività più importante ai fini del rendimento di lungo periodo di un portafoglio, di gran lunga più rilevante delle altre

di Federico Cartei

La scheda8Gl

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attività quali la selezione dei titoli ed il market timing, ovvero capire quando entrare ed uscire dai mercati. È stato infatti dimostrato dai Professori americani Ibbotson e Kaplan, dell’Università di Yale ed Harvard, che la politica di investimento spiega circa il 90% della variabilità dei rendimenti di un portafoglio nel tempo e circa il 100% dell’am-montare di tali rendimenti.Per quanto riguarda i primi due profili, del single e dei coniugi di 40 anni, sono sicuramente quelli più vicini alle caratteristiche dei giovani, in quanto investitori che hanno davanti a sé un periodo di tempo più lungo per poter recuperare le eventuali perdite grazie alle oscillazioni dei mercati e quindi hanno la possibilità di rischiare di più, naturalmente con rendimenti attesi maggiori, tenuto conto però delle importanti spese da effettuare nel breve perio-do, in particolare l’acquisto dell’abitazione principale per quanto riguarda il giovane single, che incide sulle scelte di investimento della somma a disposizione.La scelta del portafoglio relativo al professionista con figli si può considerare molto critica sia per l’età del soggetto, sia per l’esigenza manifestata dallo stesso di ottenere un flusso immediato di liquidità costante dal proprio investimen-to e allo stesso tempo un rendimento del capitale investito che andrà a coprire le future spese universitarie dei figli: per il primo scopo occorrerà quindi realizzare una politica di investimenti prudenziali con una parte della somma a disposizione, mentre per centrare il secondo obiettivo occorrerà porre in essere una politica più aggressiva con la somma rimanente.Per chi invece ha un’età più avanzata, come la coppia di pensionati, è consigliabile un approccio più prudente ai mercati finanziari dato il profilo di rischio basso, privilegiando la componente obbligazionaria relativa ad emittenti sicuri con l’obiettivo di mantenere il potere d’acquisto del proprio investimento ed ottenere delle soddisfazioni dalla limitata componente azionaria, da tenere sempre sotto controllo e da considerare solo per investimenti di durata medio-lunga.Per ottenere il massimo risultato dal proprio investimento occorre monitorare costantemente il proprio portafoglio, variarlo in seguito al cambiamento delle proprie esigenze e necessità personali, ma non stravolgerlo in seguito all’oscillazione dei mercati perché, se la strategia di investimento è stata ben delineata ed il portafoglio ben calibrato in base ad essa, allora non occorrerà leggere tutti i giorni i quotidiani finanziari e impaurirsi per i loro alti e bassi, basterà avere pazienza e fiducia nel proprio consulente che prima o poi vi darà le soddisfazioni sperate.

1. Il portafoglio del giovane Nel caso del giovane single, il cui reddito annuo è pari a € 36.000, con un risparmio atteso di € 12.000, e il cui patrimonio finanziario da investire è pari a € 100.000, con la necessità di comprare nel breve periodo una prima casa con l’aiuto di un mutuo, si delinea un profilo di rischio medio-basso, in quanto occorre preservare da perdite una quantità di denaro che servirà per un acquisto importante, e solo una parte verrà investita, ma sempre con una prospettiva di conservazione del patrimonio.In tale prospettiva viene suggerito di investire il 50% dell’intera somma a disposizione, che sarà destinato entro 1 anno e mezzo all’acquisto della prima casa, in depositi bancari fruttiferi: quindi con la massima prudenza si cerca di raggiungere un rendimento che oggi in alcuni Istituti bancari supera il 3% netto e permette così di difendere il potere d’acquisto del denaro investito in quanto l’inflazione si attesta oggi intorno al 2,8%.La parte rimanente viene investita senza alcun vincolo temporale, ma tenendo conto di un profilo di rischio sempre medio, per cui solo il 5% viene investito in azioni con una attenta diversificazione a livello geografico e settoriale,

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Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere

3. Il portafoglio del professionista con figliIl profilo è relativo ad un ingegnere separato, con casa di proprietà e due figli piccoli, reddito annuo pari ad € 45.000, propensione al risparmio di € 1500 mensili, cifra da investire pari a € 600.000, propensione al rischio medio, essendo l’obiettivo quello di crearsi una rendita per assicurarsi un’entrata in caso di eventuale perdita del posto di lavoro e allo stesso tempo finanziare gli studi ai figli in una università di livello alto.Il consiglio per il professionista è quello di investire larga parte della propria disponibilità, alla quale va ad aggiun-gersi il flusso di risparmio mensile, per il 57% in btp con scadenze oltre 10 anni e rendimento superiore al 5% netto, che permette di ottenere un flusso annuo importante di cedole (circa € 18.000) a parziale copertura del reddito da lavoro, per scongiurare la temuta perdita del posto di lavoro.Si consiglia inoltre di investire un 10% in obbligazioni europee corporate, di società private, con durata oltre i 10 anni e rating BBB (relativo ad aziende di media affidabilità creditizia), con rendimento medio del 6,5% netto, ed un altro 10% in obbligazioni corporate di enti finanziari europei con rating A (con affidabilità di credito medio-alta) e rendimento medio del 5,8%, ovviamente ben diversificate tra emittenti societari in modo da ridurre la quota investita per singolo emittente, anch’esse con durata superiore ai 10 anni, compatibili con l’obiettivo di finanziare gli studi dei figli.Per la parte azionaria, di ammontare pari al 23% dell’intero portafoglio finanziario, dato il profilo di rischio medio, viene consigliato di investire € 10.000 ciascuno in 14 titoli azionari selezionati in base ai fondamentali ed al paga-mento di sostanziosi dividendi annuali, meglio se dietro il consiglio di un consulente visto l’alto rischio insito in tale tipo di investimento che va sempre monitorato nel tempo.

4. Il portafoglio della coppia di pensionatiIl profilo riguarda una coppia di pensionati 65enni con una figlia di 28 anni ricercatrice che vive con loro, reddito annuo netto € 42.000, disponibilità da investire € 300.000, propensione al risparmio € 1000 mensili, propensio-ne al rischio bassa con lo scopo di aiutare la figlia a comprare casa tra un anno, utilizzando € 100.000 (oltre alla stipula di un mutuo) e con il resto del patrimonio integrare la pensione per eventuali future necessità.È questo il tipico caso dei genitori che si devono prendere cura dei figli da un punto di vista finanziario, a causa di una stabilizzazione lavorativa dei giovani che avviene sempre più in là nel tempo.Per quanto riguarda i 100.000 euro da destinare all’acquisto dell’abitazione si consiglia un impiego prudente, in un deposito vincolato ad un anno o acquistando buoni ordinari del tesoro di durata annuale, in modo da poter smobilizzare velocemente l’investimento senza però che il capitale venga nel frattempo intaccato dall’inflazione.Il 30% viene investito in btp a media e lunga scadenza, per ottenere rendimenti maggiori con la possibilità di smo-bilizzare l’investimento quando si renda necessario, dato che, ai prezzi attuali, si ritiene di non rischiare di subire in futuro grandi perdite in conto capitale in caso di vendita anticipata.Il restante 20% si consiglia di investirlo in fondi comuni o sicav a ritorno assoluto, cioè lasciando libertà al gestore di investire liberamente senza vincolarlo ad un indice o ad un comparto, visto che, durante la crisi, questi due strumenti finanziari hanno ottenuto buoni risultati, avendo cura di scegliere tra quelli a cinque stelle.Con l’ottica di ampliare la scelta geografica, per evitare di investire tutto in euro, si consiglia di investire un 10% del totale in fondi obbligazionari di Paesi emergenti in valuta locale, per sfruttare la maggiore crescita delle economie di tali Paesi rispetto a quelli occidentali.Con lo scopo di sfruttare i recenti cali azionari si potrebbe rischiare il restante 10% del patrimonio in un etf azionario globale, uno strumento che investe in indici azionari a livello mondiale, nella speranza che i mercati azionari siano

mentre il rimanente 30% in titoli di Stato di emittenti governativi solidi (con deficit e debito pubbli-co contenuto) ed il 15% in titoli di debito di emittenti societari privati di buona qualità creditizia (sopra il rating A).Una volta che sarà presa la decisione di comprare l’abitazione sarà facile smobilizzare la som-ma investita nel deposito bancario e le rate del mutuo, grazie al quale si riuscirà a saldare il prezzo senza smobilizzare l’intero portafoglio, potranno essere ripagate con i 1000 euro mensili di risparmio. Inoltre, se fosse possibile accantonare un 20% di tale risparmio mensile, si potrà investire in un piano d’accumulo per investimento azionario, mettendo da parte una somma che viene di mese in mese investita, con il vantaggio di mediare le oscillazioni di prezzo del merca-to, senza incorrere nell’errore molto frequente di investire tutto quanto a disposizione sui massimi dei mercati e poi ritrovarsi a dover sopportare una perdita per un lungo numero di anni, senza avere più la liquidità necessaria per ricomprare sui minimi.

2. Il portafoglio della famiglia di quarantenniIn questo caso abbiamo una situazione di una famiglia in cui entrambi i coniugi lavorano con due figli piccoli e un reddito annuo di € 65.000, propensione al risparmio pari a € 2000 al mese, casa di proprietà con rata di mutuo da pagare pari a € 3000 trimestrali, e con € 100.000 da investire con profilo di rischio alto, data l’età e il reddito disponibile sufficiente a pagare le spese compreso il mutuo, con un obiettivo quindi legato ad una vecchiaia serena ed agiata ed al mantenimento dei figli.In tal caso abbiamo a disposizione € 2000 di risparmio mensile per poter incrementare gradual-mente il nostro investimento con un piano d’accumulo che permetta di prepararci ad una pen-sione all’altezza dei redditi percepiti dai coniugi, fino alla fine dell’attività lavorativa, ipotizzata intorno al 2035. Tale flusso potrà andare ad incrementare a turno le varie componenti del porta-foglio, aggiungendosi alla somma oggi a disposizione per un investimento pari a € 100.000.Nella torta di investimenti ipotizzata, il consiglio è di investire il 40% in azioni con un’attenta diversificazione settoriale, selezionando i titoli in base ai buoni fondamentali e con particolare attenzione al dividendo pagato di anno in anno che aiuta ad ottenere un flusso di liquidità in parte reinvestibile e aiuta inoltre ad ottenere un rendimento annuale interessante rispetto ad un investimento obbligazionario.Sul versante obbligazioni viene consigliato di investire il 30% della somma a disposizione in bond in valuta pregiata (euro o dollari) di Paesi produttori di materie prime e poco indebitati, mentre il re-stante 30% della somma si consiglia di investirla in oro fisico o in etf con sottostante oro, per avere anche una componente slegata dai mercati finanziari e più ancorata alle materie prime.A partire dal 2027 occorrerà però cambiare piano, si avvicina l’età della pensione ed il profilo di rischio deve diventare più prudente, così occorre spostarsi per almeno il 90-95% su obbliga-zioni quotate ed in euro, diversificando per scadenza, emittente e tipologia di tasso, in modo da raggiungere il rendimento obiettivo minimizzando i rischi, mentre un 5-10% può rimanere in azioni e materie prime per cogliere le opportunità di rendimenti che battano l’inflazione e che permettano quindi un incremento reale del patrimonio nonostante l’impostazione molto prudente.

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vicini ai livelli minimi e che nei prossimi anni riescano a dare maggiori soddisfazioni di quelli obbligazionari.Infine, considerando la buona propensione al risparmio della nostra coppia, si ritiene opportuno investire almeno € 500 mensili in un piano d’accumulo con una maggioranza di componente azionaria, il modo migliore, in questi tempi di forti oscillazioni, per iniziare un approccio con i mercati finanziari.

Traccia per l’attività in classeUna volta letti articolo e commento, sarebbe interessante che ogni studente delineasse in uno scritto il proprio profilo finanziario, sulla base delle proprie convinzioni in tema di rischiosità, avversione alle perdite, preferenze finanziarie e priorità di spesa, attribuendo un giudizio alla propria propensione al rischio che va da bassa a media a alta.Una volta delineato il proprio profilo, lo studente deve essere in grado di costruire un portafoglio strutturato in armonia con questo, suddividendo tra parte azionaria ed obbligazionaria, scaden-ze e rendimenti attesi, orizzonte temporale interessato e variazione dello stesso nel tempo, in base al cambiamento delle esigenze di spesa e all’età.

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www.ilsole24ore.comwww.corriere.it/economiawww.consob.itwww.borsaitaliana.itwww.bancaditalia.itwww.tesoro.it

LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE

QR-CODE

Profilo finanziario dell’investitoreProfilo rischio/rendimento attesoPortafoglio strategicoAsset allocationMarket timingSelezione dei titoliCapacità di reddito e di risparmioPatrimonio da investireOrizzonte temporaleRating

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FAQ DOMANDE E RISPOSTE

1. Perché è importante la scelta del portafoglio strategico?La scelta del portafoglio strategico è di fondamentale importanza perché da questa dipende l’andamento del nostro investimento negli anni futuri, senza bisogno di modificare in continuazione la scelta effettuata: tenuto conto del profilo di rischio dell’investitore e delle sue esigenze, la somma che vuole investire sarà distribuita su diverse asset class (attività finanziarie), grazie alle quali ottenere un rendimento in linea con le aspettative (nel medio-lungo periodo, soprattutto se c’è una parte azionaria che richiede del tempo per battere le oscillazioni dei mercati) senza spingere gli investitori a scelte avventate o dettate di volta in volta dall’euforia/paura dei mercati, che sono quelle che danno i risultati peggiori in termini di rendimento.

2. Come si calibra il portafoglio in base al profilo di rischio dell’investitore?Una volta definito il profilo di rischio dell’individuo, sulla base dell’avversione alle perdite, delle proprie preferenze in termini di rischio-rendimento, della propria previsione di spesa futura, dell’età, del proprio reddito e della capacità di risparmio dell’investitore, occorre bilanciare la componente obbligazionaria con quella azionaria e, successivamente, all’interno di queste macro-classi scegliere le componenti di titoli azionari e obbligazionari più adatte a raggiungere lo scopo che ci siamo prefissi.Sempre meglio evitare il rischio eccessivo anche a scapito del rendimento, e soprattutto occorre privilegiare emittenti patrimonialmente solidi, con buone prospettive future nel proprio settore e alta trasparenza nel comunicare dati societari e reddituali al mercato. Nel caso in cui non si riesca da soli ad effettuare tali scelte sarà necessario affidarsi ad un consulente di piena fiducia.

3. Quando devo intervenire per modificare le scelte strategiche del mio portafoglio?Una volta definito il portafoglio occorre monitorarlo, ma senza l’ansia giornaliera dettata dall’andamento dei mercati: le prospettive infatti sono di medio-lungo periodo e solo in caso di un cambio imprevisto di esigenze di spesa (acquisto abitazione, auto, ecc.) o di abitudini di vita (perdita del lavoro o imprevisti sullo stato di salute, ecc.) sarò costretto ad intervenire in corsa per variare le scelte fatte a suo tempo anche se questo può costare qualcosa in termini di mancati rendimenti, se non di vere e proprie perdite in conto capitale.Se non si verificano circostanze eccezionali come quelle citate, oppure oscillazioni dei mercati così marcate da portare a rivedere la scelta effettuata (magari per monetizzare dei guadagni insperati), occorrerà modificare nel tempo il proprio portafoglio sulla base del reddito atteso e della capacità di risparmio che di solito con l’età aumenta, mentre con il passare del tempo e l’avvicinarsi all’età della pensione si riduce la propensione al rischio e ci si orienta su una gestione più prudente, privilegiando la componente obbligazionaria rispetto a quella azionaria.

4. È importante avere dei consigli da un consulente per investire nei mercati finanziari?Per la costruzione razionale di un portafoglio strategico che tenga conto del profilo di rischio e della realtà economico-patrimoniale dell’investitore nel medio-lungo periodo è consigliabile ricorrere a un consulente finanziario, il quale può aiutare a soddisfare tutte le esigenze mantenendo un rapporto rischio-rendimento adeguato senza cadere in rischi eccessivi. Soprattutto con la volatilità molto elevata degli ultimi tempi e l’andamento non felice dei mercati il fai da te è consigliato solamente in caso di cultura finanziaria molto elevata da parte dell’investitore e possibilità di monitorare il proprio investimento nel tempo per intervenire in caso di necessità di rivedere le scelte effettuate a causa di eventi imprevisti o andamenti eccezionali dei mercati.

GUARDA IL VIDEO DI QUESTO TEMA

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Test FINALE1. Il profilo finanziario di un investitorea. raggruppa le preferenze finanziarie dell’investitore sulla base delle sue aspettative futureb. è necessario solo per chi opera in Borsa con assiduitàc. è una sintesi delle caratteristiche dell’investitore e tiene conto sia della sua propensione al rischio che della realtà economico-finanziaria attuale e futura d. deve essere definito per Legge quando si va a fare un investimento in Banca

2. Il portafoglio finanziarioa. è un contenitore di monete e banconoteb. è costituito da tutti gli investimenti possibili che la Banca ci proponec. è un mix di attività finanziarie scelte in base al profilo dell’investitored. viene deciso dal consulente finanziario in base al denaro investito

3. L’investimento azionario a. è sempre consigliabile perché ha un rendimento maggiore degli altrib. è consigliabile solo in un orizzonte temporale medio-lungo e in un profilo di rischio altoc. è solo per giovanid. va sempre evitato perché tanto fa perdere denaro

4. L’investimento finanziario per i giovania. privilegia il rischio indipendentemente dalle altre caratteristiche dell’investitoreb. non è mai azionario perché la disponibilità di denaro è troppo scarsac. è caratterizzato sempre da azioni d. di solito privilegia la componente azionaria ma si tiene conto delle esigenze di spesa e del profilo di rischiosità dell’individuo

5. Quando devo investire una somma per un periodo limitato,a. scelgo uno strumento di liquidità che mi permetta di mantenere il potere d’acquisto del denaro fino a quando non ne ho bisognob. la tengo sotto il materassoc. la tengo in banca sul conto corrente senza curarmi del rendimentod. la metto in azioni e sicuramente il suo valore salirà indipendentemente dal periodo di investimento

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Soluzioni : 1c. - 2c. - 3b. - 4d -5a.

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9 I tre pilastri della previdenzadi Maria Cristina Quirici

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Questi risultati sono il mix di diversi fattori. Per prima cosa, c’è il metodo di calcolo della pensione interamente contributivo, ma anche – anzi, soprattutto – l’applicazione dei nuovi coefficienti che vengono utilizzati per trasformare in rendita il capitale via via accumulato durante la vita lavorativa.Le previsioni, naturalmente, dipendono da molte variabili, tra cui pesa l’andamento della carriera: secondo la Ragioneria, ad esempio, dinamiche retributive “veloci” subiscono una flessione più marcata del tasso di sostituzione (quindi, più lo stipendio cresce, più si amplia il gap con la pensione). Decisiva sarà, poi, l’età al pensionamento. Si prenda il lavoratore dipendente che raggiunge i 35 anni di contribuzione a 65 anni di età piuttosto che a 60: la riduzione dell’importo medio della pensione, rispetto al 2010, avrà un taglio del 20% nel primo caso e di oltre il 30 nel secondo.Proprio per questi motivi diventano cruciali le successive elaborazioni del ministero dell’Economia, cioè quelle che mostrano come solo la combinazione tra previdenza obbligatoria e previdenza integrativa potrà ridurre l’enorme divario tra ultima retribuzione e prima rata di pensione. Se il giovane neo assunto del nostro esempio scegliesse di versare il proprio Tfr al fondo pensione, nel 2050, al momento del pensionamento, sulla base delle ipotesi della Ragioneria, avrebbe un assegno complessivo (pensione obbligatoria+integrativa) vicino all’80-85% dell’ultimo stipendio. L’ennesima conferma di come quello dei fondi sia il vero snodo della previdenza che verrà.

Giovedì sarà il primo giorno da “ex” per molti lavoratori dipendenti e autonomi. Il 1° aprile, infatti, si apre la finestra di pensionamento sia per chi ha raggiunto i requisiti per la vecchiaia, sia per chi ha maturato un’anzianità contributiva di 40 anni. A conti fatti, per un lavoratore dipendente di 65 anni che si trova in quest’ultima condizione, l’importo lordo della pensione potrà arrivare fino all’80% dell’ultimo stipendio, quota che – al netto di contributi e di imposte progressive che incidono meno – potrebbe superare anche il 90%. Che cosa accadrà, invece, a un giovane neo assunto di 25-30 anni che, per ipotesi, proprio giovedì prossimo inizierà la sua carriera lavorativa? Che cosa lo aspetta nel 2050, quando, dopo 40 anni di attività, sarà nella medesima condizione in cui si trova chi oggi accede al pensionamento? La buona notizia è che, almeno stando alle ultime stime del Ministero dell’Economia sulle tendenze di medio-lungo periodo della previdenza – aggiornate agli andamenti demografici e macroeconomici del 2009 – il sistema gode di una salute accettabile, nonostante la crisi. Certo, molto dipenderà dalla crescita economica, ma ipotizzando incrementi nell’ordine dell’1-1,5% annuo, la spesa dovrebbe muoversi su livelli sostenibili (tra il 14 e il 15% del PIL).Tutto bene, quindi? Non esattamente. Perché, in agguato, c’è anche la cattiva notizia: quando questo giovane avrà compiuto 65 anni e andrà in pensione con 40 anni di contributi, il tasso di sostituzione della previdenza obbligatoria – ossia il rapporto tra l’ultima retribuzione e la prima rata della sua pensione – sarà di poco superiore al 60%.In pratica, da qui al 2050, sempre secondo i calcoli della Ragioneria dello Stato, le pensioni tenderanno a ridursi fino a punte del 30% rispetto ai livelli attuali. Con una doppia considerazione: da un lato che queste semplici simulazioni riguardano un lavoratore “teorico” che mantiene stabilmente l’occupazione a tempo indeterminato per 40 anni e non considerano eventuali periodi non coperti da contributi o coperti solo parzialmente. Dall’altro, che – in ogni caso – si dovrà prima o poi affrontare il problema della “tenuta” nel tempo del potere d’acquisto delle pensioni, oggi spesso garantito da tassi di sostituzione molto alti, impensabili per il futuro.Situazione critica anche per i lavoratori autonomi. In questo caso (l’ipotesi è sempre quella di un’anzianità contributiva di 35 o 40 anni e un’età di 63-65 anni) il tasso di sostituzione netto scenderà via via dall’attuale 90% al 45-50% del 2050.

29 Marzo 2011

SOLO IL FONDO PUÒ SALVARE LA PENSIONEIn 40 anni assegni più bassi del 30%. Per i giovani trattamenti integrativi indispensabili.di Salvatore Padula

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oggi sono investiti in attività fruttifere e serviranno a finanziare le pensioni del domani, nel “regime a ripartizione” i contributi vengono subito utilizzati per finanziare le pensioni di quelli oggi in pensione. Questo significa che il sistema previdenziale pubblico “a ripartizione” si è basato su un “patto intergenerazionale”, comportando una redistribuzione del reddito tra generazioni diverse di beneficiari: la generazione anziana viene mantenuta dalla generazione giovane in cambio dell’implicita promessa da parte dello Stato che quando sarà a sua volta anziana la generazione giovane godrà di un analogo trattamento, a carico della generazione futura. Se questo “patto tra generazioni” alla base del sistema a ripartizione ha consentito fino ad un recente passato una copertura pari circa all’80% della retribuzione media degli ultimi dieci anni di lavoro di un lavoratore dipendente privato, il manifestarsi di tre diversi fattori, tra loro collegati e che di seguito saranno analizzati, ha concorso a determinare la crisi del sistema, che si è palesata nella progressiva e sensibile riduzione della suddetta percentuale, con un tasso di sosti-tuzione destinato a scendere sempre di più.I fattori cui si fa riferimento riguardano:1) l’evoluzione demografica; 2) l’andamento del mercato del lavoro; 3) il dilatarsi del disavanzo pubblico.Per quanto concerne i fattori demografici, essi riguardano da un lato il calo della natalità, connesso al passaggio da una società agricola ad una industriale e alla progressiva emancipazione femminile, dall’altro l’allungamento della vita media, legato ai progressi della medicina e alle migliori condizioni economico-sanitarie della popola-zione. Il congiunto effetto di simili processi ha determinato un vero rischio di default degli organismi previdenziali pubblici: con la distribuzione per età della popolazione italiana che si è spostata nel tempo verso fasce genera-zionali più anziane – tanto che è stato stimato che nel 2050 la percentuale degli abitanti con età maggiore ai 60 anni supererà il 40%, contro il 16% rilevabile negli anni ‘70 – si è reso e continua a rendersi a tutt’oggi necessario pagare le rendite pensionistiche a un crescente numero di pensionati e per una durata sempre maggiore, laddove i contributi necessari per finanziare questa spesa (trattandosi di un sistema a ripartizione) si sono viceversa rivelati sempre più ridotti dato il numero decrescente degli occupati, effetto del calo del tasso di natalità. Ai fattori demografici si sono aggiunti, poi, fattori socio-economici, quali l’aumento della scolarizzazione, con il correlato ritardato ingresso nel mondo del lavoro, o lo sviluppo di nuove forme contrattuali, sempre più orientate verso il tempo determinato. Inoltre, negli ultimi anni la dinamica del mondo del lavoro è stata tutt’altro che favorevo-le: la ristrutturazione produttiva e l’utilizzo di nuove tecnologie, da un lato, e la crisi economica, con i conseguenti licenziamenti, interventi di cassa integrazione e prepensionamenti, dall’altro, hanno ridotto il numero di lavoratori dipendenti e, quindi, la principale fonte di finanziamento della previdenza sociale, con una inesorabile crescita del rapporto tra numero di pensioni da pagare e numero di occupati, sui cui redditi far gravare il prelievo dei contributi necessari per far fronte a tale pagamento2.Conseguentemente, la differenza tra pensioni da erogare e contributi versati non poteva che essere coperta da un crescente intervento finanziario dello Stato, che nel 1990 era dell’ordine di 50 mila miliardi di lire annue (quasi la metà di tutta l’Irpef incassata), con una incidenza sul PIL del 12,8%, a fronte di una analoga incidenza del 5% nel 1960. Questo pesante onere andava a gravare un quadro di finanza pubblica già di per sé compromesso

2 La previsione al riguardo del Rapporto Cazzola prevede un valore del rapporto superiore a 123 punti nel 2050, rispetto agli 87,9 punti del 2000.

Chiavi di lettura dell’articolo

1. Le motivazioni alla base della riforma del sistema previdenziale nazionale L’articolo proposto pone in rilievo un dato estremamente preoccupante, rappresentato dal pro-gressivo e netto ridursi del tasso di sostituzione, vale a dire del rapporto tra ultimo stipendio e prima rata pensionistica fornita dal sistema previdenziale pubblico, riduzione che, secondo altre fonti rispetto a quelle citate nell’articolo in esame, potrebbe essere addirittura ancora più drastica (nei termini del 40-50%).È proprio sulla base di simili considerazioni che si è avvertita la necessità, a partire dai primi anni ‘90, di attuare un profondo processo di riforma del sistema previdenziale, processo che da una situazione caratterizzata dalla presenza esclusiva della previdenza pubblica ha consentito di pas-sare, quantomeno in un primo momento, ad un sistema caratterizzato da tre pilastri previdenziali:• un primo pilastro pubblico, volto a garantire prestazioni previdenziali minime di base e a ca-

rattere assistenziale, erogate da organismi pubblici (INPS e INPDAP) secondo nuove regole di determinazione rispetto al passato;

• un secondo a carattere collettivo e aziendale, costituito dai fondi pensione, istituiti per garan-tire trattamenti complementari, quindi aggiuntivi, rispetto alla previdenza pubblica;

• un terzo, espressione di una scelta di risparmio individuale con fini pensionistici, che attra-verso prodotti finanziari o assicurativi consenta al lavoratore una più libera programmazione della distribuzione temporale del proprio reddito1.

Per quanto concerne le motivazioni all’introduzione nello scenario finanziario italiano di forme previdenziali complementari ed integrative rispetto al trattamento pensionistico pubblico - dire-zione verso cui si sono orientati tutti i maggiori Paesi industrializzati, che ha visto il nostro Paese muoversi con un netto ritardo - il dibattito politico si è sviluppato in seguito alla crisi conclamata del sistema previdenziale pubblico, un sistema che a partire dal secondo dopoguerra si era progressivamente fondato sul criterio della “ripartizione”, secondo il quale i contributi pagati dal singolo lavoratore non vengono “capitalizzati individualmente” (cioè accumulati per costituire il suo futuro reddito), ma sono immediatamente utilizzati o, meglio, ripartiti per pagare le pensioni in essere. In altri termini, se nel “regime a capitalizzazione” i contributi versati dai lavoratori di

1 Da sottolineare come con la riforma della previdenza complementare nota come “riforma del TFR”, trat-teggiata con la Legge delega 243/2004 (o “Riforma Maroni”) ed attuata con il D.Lgs. n. 252 del 2005, siano state eliminate alcune differenziazioni esistenti tra secondo e terzo pilastro. Basti pensare alla possibilità ora riconosciuta al lavoratore di far confluire il proprio TFR anche ad una polizza PIP o ad un fondo pensione aperto, ad adesione individuale (laddove in precedenza alle forme di previdenza integrativa proprie del terzo pilastro andavano solo e soltanto versamenti volontari), ottenendo pure, qualora previsto da appositi accordi, il contri-buto del datore di lavoro. Il superamento di questa e di altre differenziazioni ha indotto qualcuno a considerare il secondo e il terzo pilastro ormai fusi di fatto in un unico pilastro delle forme pensionistiche complementari (comprendente sia le forme ad adesione collettiva che quelle ad adesione individuale), a fianco di quello della previdenza pubblica.

di Maria Cristina Quirici

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altresì stabilito il principio dell’adesione volontaria ai fondi pensione ed erano dettate le regole fondamentali per il funzionamento degli stessi, regolandone modalità di costituzione, gestione delle risorse, modalità di contribuzione e di erogazione delle prestazioni finali. A quest’ultimo proposito, era prevista la possibilità di riscatto, sotto forma di capitale, fino ad un massimo del 50% del montante maturato, mentre il restante doveva essere obbligatoriamente erogato sotto forma di rendita. La consapevolezza, però, che solo ulteriori limitazioni, ancorché graduali, dei trattamenti pensionistici pubblici po-tevano consentire di porre rimedio agli squilibri del settore previdenziale, ha fatto sì che altri passi dopo il primo si rendessero necessari. E la Legge n. 335 presentata nel 1995 dal governo Dini, nota come “Riforma Dini”, ben si inserisce in questo disegno riformatore, basandosi su alcuni princìpi fondamentali, quali: pensionamento flessibile in un’età compresa tra i 57 ed i 65 anni; pensioni calcolate sull’ammontare dei versamenti effettuati durante l’intera vita lavorativa; equiparazione tra dipendenti privati e pubblici. Da sottolineare come la normativa in esame, prefiggendosi lo scopo di ridurre la spesa previdenziale pubblica, oltre a quello di favorire la reale affermazione dei fondi pensione, abbia determinato il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo per il calcolo della pensione pubblica, passaggio graduale visto che è stato stabilito che:• il sistema retributivo, che prevede che la pensione pubblica sia calcolata in funzione delle ultime retribuzioni

percepite dal salariato, poteva essere applicato a tutti i lavoratori che alla data del 31/12/1995 avevano maturato 18 anni di contributi;

• per coloro che a tale data avevano versato meno di 18 anni di contributi, doveva essere utilizzato il metodo misto, che prevede che la pensione venga quantificata pro quota sia con il criterio retributivo (per la parte ante-cedente al 31/12/1995), sia con quello contributivo, per la restante parte;

• il sistema contributivo, che determina la pensione in base ai contributi versati dal lavoratore durante tutta la sua vita lavorativa, doveva essere applicato ai neo assunti dopo il 31/12/1995.

L’introduzione del metodo contributivo, essendo ormai il “vecchio” metodo retributivo divenuto insostenibile per le casse della previdenza pubblica, comporta una netta riduzione del tasso di sostituzione: sulla base del nuovo me-todo, infatti, la rendita pensionistica si otterrà capitalizzando il montante di tutti i contributi versati da un lavoratore, rivalutati ogni anno ad un tasso pari alla crescita media del PIL degli ultimi cinque anni, trasformandolo in rendita mediante un coefficiente di trasformazione che tiene conto della speranza di vita residua al momento del pensiona-mento. Detto coefficiente, ovviamente, varierà in funzione dell’allungamento della vita media – è stato recentemente previsto che debba essere rivisto ogni tre anni - dando luogo a rendite progressivamente più basse.Ma gli interventi in tema di legislazione previdenziale si sono susseguiti anche negli anni successivi alla riforma Dini. Di particolare importanza è al riguardo il D. Lgs. n. 47 del 2000, che ha introdotto, accanto alle forme pensionistiche complementari collettive, forme pensionistiche individuali (FIP), rivedendone il regime fiscale. È stato così regolamentato il cosiddetto “terzo pilastro” del sistema previdenziale, che va ad affiancarsi al primo pilastro pubblico, avente l’obiettivo di garantire prestazioni pensionistiche minime a carattere assistenziale, e al secondo pilastro a carattere collettivo e aziendale, rappresentato dai fondi pensione, volto a garantire ai lavoratori una tutela pensionistica complementare. Questo terzo pilastro risulta finalizzato alla previdenza integrativa di tipo individuale, rappresentata da una scelta di risparmio con fini pensionistici e realizzata tipicamente attraverso contratti assicurativi quali le polizze vita. Inoltre, la Normativa 47 del 2000 ha permesso l’adesione alle forme pensionistiche individuali (FIP) anche a sog-

da forti squilibri in altre voci di spesa, da alti tassi di interesse sul debito pubblico, nonché da impegni internazionali di stabilità. A quest’ultimo riguardo si pensi alla firma nel febbraio 1992 del Trattato di Maastricht per la partecipazione alla moneta unica, che ha reso necessario far convergere il rapporto tra disavanzo pubblico e PIL da oltre il 10% dei primi anni ‘90 al 3% richiesto dal Trattato per il 1997. E l’intervento sulle pensioni non poteva che risultare uno degli aspetti decisivi per il richiesto riequilibrio dei conti pubblici. Il combinato effetto dei diversi fattori delineati ha condotto alla non sostenibilità della situazione previdenziale in essere, rendendo necessario il varo della riforma della previdenza pubblica (peraltro a tutt’oggi in divenire) che ha comportato il progressivo passaggio da un sistema a ri-partizione con modalità di calcolo retributivo ad uno a capitalizzazione con modalità di calcolo contributivo3. In altri termini, l’intreccio tra calo demografico, invecchiamento progressivo della popolazione e necessario abbassamento della curva della spesa pubblica, giunta con il tempo a livelli insostenibili, ha determinato la pressante esigenza di rivedere il sistema previdenziale pubblico nell’ottica di un riequilibrio finanziario, spingendo verso lo sviluppo di forme pensioni-stiche complementari rispetto a quelle pubbliche. In tal senso si sono quindi mossi gli interventi legislativi che, a partire dall’inizio degli anni ‘90, si sono succeduti nel tempo con l’intento di riformare questa complessa materia e che continuano ancora oggi, risultando destinati a conti-nuare anche nel prossimo futuro.

2. Le tappe della riforma del sistema previdenziale e la costituzione del secondo e terzo pilastro Volendo ripercorrere le principali tappe di questa riforma, si delinea una evoluzione normativa che vede in un primo momento (siamo nel 1992) due interventi di riforma a carico rispettivamen-te delle pensioni di anzianità e di quelle di vecchiaia ancora nell’ambito del sistema previdenzia-le pubblico: con il primo, in particolare, veniva elevato per tutti i lavoratori il periodo minimo di contribuzione, per poter ottenere la pensione di anzianità, a 35 anni – si ricorda che le pensioni di anzianità sono legate non all’età anagrafica del lavoratore (si parla in tal caso di pensione di vecchiaia) bensì alla sua anzianità di servizio - eliminando la possibilità delle pensioni “baby”, prevista nel 1973 per i soli dipendenti pubblici; con il secondo si innalzava l’età per la pensio-ne di vecchiaia da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 per gli uomini, incrementando il requisito minimo di contribuzione per questo tipo di pensione da 15 a 20 anni.Ma il passo fondamentale che ha avviato la costruzione di un secondo “pilastro” previdenziale è stato compiuto con l’emanazione, sotto il governo Amato, del D. Lgs. n. 124 del 1993, provve-dimento (noto come “Riforma Amato”) che ha introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamen-to e regolamentato, i fondi pensione. Il testo prevedeva due tipologie di fondi: i fondi pensione chiusi, di natura contrattuale e associativa, ed i fondi aperti, a carattere individuale, nati per iniziativa di un soggetto abilitato alla gestione di una forma pensionistica complementare. Veniva

3 Sulla differenziazione tra sistema retributivo e contributivo si veda successivamente quanto specificato al riguardo dalla “Riforma Dini” (L. 335/1995)

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che la scelta del lavoratore sulla destinazione del proprio TFR riguardi il solo TFR maturando, restando fuori dalla riforma il TFR maturato prima del 31 dicembre 2006, che continuerà a rimanere in azienda e sarà gestito con le regole antecedenti la nuova normativa. La scelta in esame può essere manifestata o in modo esplicito o in modo tacito (cosiddetto silenzio-assenso). In caso di modalità esplicita, entro il 30 giugno 2007, per i lavoratori in servizio al 1° gennaio 2007, o entro 6 mesi dalla data di assunzione, se avvenuta dopo quest’ultima data, il lavoratore dipendente poteva e può scegliere di:

a. destinare il TFR futuro ad una forma pensionistica complementare;

b. mantenere il TFR futuro presso l’impresa.

In quest’ultimo caso, il TFR maturando continuerà ad essere gestito dal datore di lavoro solo se l’impresa ha meno di 50 dipendenti, dal momento che, in caso di aziende con più di 49 dipendenti, il TFR maturando dovrà essere trasferito al Fondo Pensione gestito dall’INPS (FONDINPS).La scelta di destinazione del TFR futuro ad una forma pensionistica complementare deve essere espressa dal lavora-tore attraverso una dichiarazione scritta indirizzata al proprio datore di lavoro con l’indicazione della forma di pre-videnza complementare prescelta. La dichiarazione scritta è necessaria anche nel caso in cui si scelga di mantenere il TFR futuro presso il proprio datore di lavoro.Con la modalità tacita del silenzio-assenso, qualora il lavoratore non abbia espresso alcuna indicazione relativa alla destinazione del TFR entro il 30 giugno 2007, per chi era in servizio al 1° gennaio 2007, o non la esprima entro 6 mesi dall’assunzione, se avvenuta successivamente a tale data, il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi, anche territoriali, o ad altra forma collettiva individuata con un diverso accordo aziendale, se previsto. Tale diverso accordo deve essere notificato dal datore di lavoro al lavoratore in modo diretto e personale.È opportuno sottolineare come la scelta di affidare il TFR maturando ad un fondo pensione non possa essere revoca-ta, mentre quella di mantenerlo presso il datore di lavoro può in ogni momento essere revocata per aderire ad una forma pensionistica complementare. Di fatto, nel 2007 i lavoratori si sono trovati a dover compiere una scelta senza sapere cosa scegliere e perché, tanto da poter forse considerare il conseguenteaumento delle adesioni alla previdenza complementare più il frutto dell’indecisione o di spinte sindacali piuttosto che di reali scelte consapevoli da parte dei singoli lavoratori. Purtrop-po, è necessario rilevare, oggi come allora, una scarsa cultura previdenziale, che porta a pensare alla questione “pensione” solo nelle fasce di età più avanzate. E questo è un dato senza dubbio preoccupante e lo è ancor più qualora si consideri che lo scopo principale della recente riforma del sistema previdenziale è essenzialmente quello di indirizzare alla previdenza complementare i giovani, coloro cioè che si affacciano adesso o si sono da poco affacciati al mondo del lavoro, perché saranno proprio loro che avranno più bisogno di integrare prestazioni pre-videnziali pubbliche estremamente ridotte rispetto a quelle oggi percepite, scontando un tasso di sostituzione molto basso, tale da non garantire un tenore di vita in età senile almeno simile a quello mantenuto nell’età lavorativa. Inoltre, per meglio capire in quale modo la previdenza complementare sia strutturata così da rivolgersi con preferen-za ad un’utenza giovane, è necessario prendere in considerazione un ulteriore elemento qualificante la riforma in esame, vale a dire l’elemento della nuova disciplina fiscale in essa prevista. Al riguardo, infatti, si può rilevare come, per invogliare la scelta dei lavoratori verso le forme pensionistiche comple-mentari (unificate e quindi tutte equiparate nell’ambito di un unico secondo pilastro, che va a contrapporsi al primo

getti non titolari di reddito di lavoro o di impresa, nonché a persone fiscalmente a carico di altri soggetti, consentendo così l’accesso a forme di copertura previdenziale anche a soggetti che non godevano della previdenza di base o che svolgevano, senza vincoli di subordinazione, lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari. È importante sottolineare, poi, che il D. Lgs. 47 del 2000 ha compiuto una riforma complessiva della disciplina fiscale cui sottoporre le diverse forme pensionistiche complementari ed integrati-ve, con la previsione di agevolazioni fiscali (quali la deducibilità dei contributi volontariamente versati a dette forme di previdenza anche a favore di soggetti fiscalmente a carico, seppur entro un determinato ammontare, o l’adeguamento del regime fiscale dei fondi pensione a quello pre-visto per gli organismi di investimento collettivo del risparmio) al fine di dare impulso e rafforzare un sistema di previdenza complementare basato sulla completa volontarietà del versamento dei contributi, nella consapevolezza dell’importanza del ruolo svolto dai fondi pensione per la rivita-lizzazione dei mercati finanziari nel loro complesso.

3. La recente “riforma del TFR” nell’ambito della “Riforma Maroni”Nonostante il decennio di riforme testé delineato, lo sviluppo della previdenza complementare in Italia alla fine del 2004 si rivelava ancora insoddisfacente, visto che in termini di iscritti i relativi aderenti a tale data sfioravano appena il 12% degli occupati. Da qui l’avvertita necessità di introdurre una nuova disciplina del sistema previdenziale con la Legge delega n. 243 del 2004, nota come “riforma Maroni”, che ha tracciato delle vere e proprie linee guida, che sono state successivamente attuate dal D. Lgs. n. 252 del 5 dicembre 2005, e che riguardano:

a. il sostegno alle forme pensionistiche complementari attraverso il possibile conferimento del TFR maturando, con modalità e regole previste con l’entrata in vigore, il 1° gennaio 2007, del suddetto Decreto attuativo n. 252 del 2005;

b. la previsione di incentivi alle imprese, con riguardo sia alla facilitazione all’accesso al credi-to, sia all’eliminazione del contributo per il finanziamento del Fondo di garanzia gestito dall’IN-PS, al fine di compensare i costi connessi alla perdita del TFR conferito ai fondi pensione;

c. la previsione di maggiori tutele per gli iscritti, agendo sulla governance dei fondi.

La riforma così posta in essere è nota anche come “riforma del TFR” per il peso preponderante assunto, anche a livello mediatico, dalla modifica introdotta in tema di liberalizzazione della scelta, seppur da parte dei soli lavoratori dipendenti del settore privato, circa la destinazione del proprio TFR. È forse opportuno ricordare che TFR è l’acronimo con il quale si indica il Tratta-mento di Fine Rapporto, vale a dire una sorta di “liquidazione” spettante ai lavoratori dipendenti al termine del rapporto di lavoro, costituita con accantonamenti periodici che -almeno sino alla riforma in esame - rappresentavano per il lavoratore un risparmio forzoso e per l’imprenditore una fonte di autofinanziamento a basso costo. Tenendo conto di quest’ultimo aspetto – per evitare cioè che il finanziamento della previdenza complementare dei lavoratori si traducesse in una crisi finanziaria delle imprese – è stato stabilito

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pilastro della previdenza pubblica), il Decreto attuativo della riforma del TFR abbia previsto un regime fiscale che:

1. conferma la deducibilità dei contributi versati alle forme di previdenza complementare dal red-dito complessivo Irpef fino a un massimo di 5.164,67 euro, con un risparmio fiscale, in termini di minori imposte pagate, pari all’aliquota fiscale più elevata applicata al reddito complessivo del lavoratore;

2. consente un effettivo risparmio qualora si vada a considerare il passaggio dal montante lordo al montante netto nelle due ipotesi alternative: a) di una somma accantonata dall’azienda come somma del TFR via via maturato in capo al lavoratore e dall’azienda liquidato in unica soluzione alla risoluzione del rapporto di lavoro dipendente; b) di una somma ottenuta capitalizzando tutti i contributi versati al fondo di previdenza complementare, secondo la linea di investimento scelta dal fondo, che si trasforma, al momento del pensionamento, utilizzando il coefficiente di trasformazione vigente, nel pagamento di una rendita vitalizia erogata da una compagnia di assicurazione a tal fine convenzionata con il fondo.

Nel primo caso, infatti, la somma liquidata in unica soluzione sarà tassata con l’aliquota media IRPEF (si consideri che la minima è al 23%), nel secondo con una aliquota del 15%, aliquota che si riduce di uno 0,30% per ogni anno di partecipazione al fondo successivo al quindicesimo, con una riduzione massima del 6%, per cui si può giungere ad applicare un’aliquota minima del 9%, ipotizzando almeno 35 di partecipazione. Queste considerazioni evidenziano come siano proprio i giovani (con un orizzonte di permanen-za nei fondi previdenziali complementari molto ampio) quelli che potranno godere maggiormente dei benefici fiscali previsti dalla recente riforma attuata con D. Lgs. N. 252 del 2005. Si giunge così a capire come siano del tutto condivisibili le considerazioni poste a conclusione dell’articolo esaminato, laddove si sottolinea come «solo la combinazione tra previdenza obbli-gatoria e previdenza integrativa potrà ridurre l’enorme divario tra ultima retribuzione e prima rata di pensione. (...) ennesima conferma di come quello dei fondi sia il vero snodo della previdenza che verrà».

Traccia per l’attività in classe In primo luogo, potrebbe essere opportuno sviluppare in aula una discussione di tipo interattivo, stimolando la partecipazione attiva dei ragazzi, volta a sondare la loro reale comprensione delle tematiche affrontate nell’articolo e nella scheda e connesse alle motivazioni e alle modalità con le quali è stato riformato il nostro sistema pensionistico, introducendo forme complementari ed integrative rispetto alle forme di previdenza pubblica, che risultano destinate a ridursi progressiva-mente, non garantendo più un tenore di vita adeguato, o quantomeno dignitoso, rispetto a quello tenuto nell’età lavorativa. Potrebbe poi essere interessante realizzare un’indagine sul campo approntando da parte del docente, in collaborazione con lo stesso gruppo-aula, un questionario che i ragazzi dovrebbero

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TAGS LINKSSITI E INFO PER APPROFONDIRE Commissione Governativa Cazzola, Rapporto strategico sulle pensioni, “Il Sole 24 ORE”, Milano, 2002COVIP, Come cambia la tutela previdenziale: i giovani e la previdenza complementare, Quaderno tematico n. 4, 2003L.Gai, I fondi pensione. Il loro contributo allo sviluppo dei mercati finanziari e all’avvento della democrazia economica, Giappichelli, Torino, 1996M.C. Quirici, Una forma di gestione collettiva non disciplinata dal TUF: i fondi pensione, in M.C. Quirici, Il mercato mobiliare. L’evoluzione strutturale e normativa, Franco Angeli, Milano, 2010E.R.Bagnoli, Previdenza: le sei mosse per non vivere a mezza pensione, in “Corriere Economia”, 5 luglio 2010A. Cannioto – G. Maccarone, Come cambiano le pensioni: procedure unificate per la previdenza complementare, in “Il Sole 24 ORE”, 10 agosto 2010M. Lo Conte, I fondi pensione? Sin da bambini, in “Il Sole 24 ORE”, 6 settembre 2009M. Lo Conte, La vita si allunga: un fondo pensione per ciascuno di noi, in “Il Sole 24 ORE”, 23 dicembre 2010M. Lo Conte, Non solo il TFR per la pensione di scorta, in “Il Sole 24 ORE”, 31 agosto 2011O. Posani, SOS pensioni: fra vent’anni varranno solo metà dell’ultimo stipendio, in “La Nazione”, 23 febbraio 2010 Associazione dei Fondi Pensione negoziali – www.assofondipensione.it Associazione Italiana per la previdenza complementare – www.assoprevidenza.it Commissione per la Vigilanza sui Fondi Pensione – www.covip.itwww.ilsole24ore.comSocietà per lo Sviluppo del Mercato dei Fondi Pensione – www.mefop.it Portale di informazione sulla previdenza complementare a cura del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – www.tfr.gov.it

LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE

QR-CODE

Fondi pensione chiusiFondi pensione apertiPiani Pensionistici Individuali (PIP)Tasso di sostituzioneSistema previdenziale a ripartizione Sistema previdenziale a capitalizzazioneMetodo di calcolo contributivo Metodo di calcolo retributivoDestinazione del Trattamentodi Fine Rapporto (TFR)Pensione di anzianitàPensione di vecchiaia

sottoporre alle proprie famiglie in modo da verificare la loro maggiore o minore conoscenza delle diverse forme di previdenza complementare. A scopo esemplificativo, detto questionario potrebbe contenere domande circa le esperienze dirette riportate in famiglia al riguardo, richiedendo, ad esempio: in caso di presenza nell’ambito fami-liare di lavoratori dipendenti del settore privato, il tipo di scelta effettuata circa la destinazione del TFR maturando e le relative motivazioni; se vi sono familiari (come nonni o altra persona anziana) che godono di un trattamento pensionistico e la relativa tipologia (pensione di anzianità o di vecchiaia); in caso di presenza di pensionati che usu-fruiscono di un trattamento per anzianità, il numero di anni di contribuzione e l’età anagrafica loro richiesta; il tasso di sostituzione, vale a dire il rapporto tra l’ultima retribuzione percepita e l’ammontare della prima rata pensionistica percepita; se vi siano adesioni a forme di previdenza individuale come PIP o Fondi pensione appunto ad adesione individuale, l’entità dei contributi eventualmente versati e gli anni previsti di adesione a simili forme di previdenza complementare; se vi siano forme di adesione a fondi contrattuali, quindi chiusi, e la relativa tipologia; se vi siano forme di adesione a fondi a contribuzione definita o a prestazione definita da parte di giovani lavoratori e l’even-tuale età all’ingresso, e così via.Il questionario dovrebbe prevedere anche la richiesta del maggiore o minore grado di apprezzamento riportato in relazione alle suddette diverse esperienze. I dati riportati dai questionari dovrebbero essere poi sintetizzati, anche con l’ausilio di grafici e tabelle, e i relativi risultati discussi in aula.

GUARDA IL VIDEO DI QUESTO TEMA

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1. Il Tasso di sostituzione rappresentaa. il rapporto tra primo stipendio e prima rata pensionistica pubblica percepitab. la differenza tra prima rata pensionistica complementare e prima rata pensionistica pubblica percepitac. il rapporto tra l’ultima retribuzione e la prima rata pensionistica pubblica percepitad. il tasso di interesse da pagare per sostituire l’insufficiente previdenza pubblica con quella complementare

2. Nel calcolo della rendita pensionistica, ponendo a confronto il metodo di calcolo retributivo rispetto a quello contributivo si può rilevare chea. la rendita pensionistica ottenibile con il secondo è sempre superiore a quella ottenibile usando il primob. le rendite pensionistiche ottenibili utilizzando l’uno o l’altro sono necessariamente ugualic. le rendite calcolate utilizzando il primo sistema sono superiori a quelle ottenibili sulla base del secondod. alle attuali condizioni demografiche e tendenze del mondo del lavoro, l’utilizzo del secondo è più favore-vole alle generazioni giovani rispetto al primo

3. Nella recente riforma del sistema previdenziale, nota come “riforma del TFR”, la scelta della destinazio-ne del TFR maturando si rivolge:a. a tutti lavoratori dipendenti, sia privati che pubblicib. ai soli lavoratori dipendenti privatic. ai soli lavoratori dipendenti pubblicid. ai soli lavoratori autonomi e professionisti

4. Nel sistema previdenziale a ripartizionea. i contributi versati dal singolo lavoratore sono capitalizzati individualmenteb. i contributi versati da tutti i lavoratori di oggi sono ripartiti tra le pensioni di domani (allorché i lavoratori di oggi andranno in pensione)c. i contributi versati da tutti i lavoratori di oggi sono immediatamente ripartiti per pagare le pensioni di oggi (cioè di quelli attualmente in pensione) d. i contributi versati da tutti i lavoratori oggi in pensione saranno ripartiti tra le pensioni di domani (allorché i lavoratori di oggi andranno in pensione)

5. In relazione ai Fondi pensione chiusi, o contrattuali, si può rilevare chea. gli aderenti hanno necessariamente caratteristiche disomogeneeb. il contratto deve essere stipulato tra ogni singolo aderente e il datore di lavoroc. sono il frutto dell’iniziativa diretta di uno degli intermediari finanziari autorizzati alla loro gestione (SIM, Banche, Assicurazioni, SGR)d. nascono dalla contrattazione tra le parti sociali per garantire agli iscritti un trattamento previdenziale aggiuntivo rispetto a quello pubblico

FAQ DOMANDE E RISPOSTE

1. Qual è la differenza tra un Fondo pensione chiuso e un Fondo pensione aperto?I Fondi pensione chiusi sono organismi, con scopo esclusivamente di natura previdenziale, di natura contrattuale, nascono cioè dalla contrattazione tra le parti sociali (tipicamente tra sindacati dei lavoratori e datori di lavoro), per garantire agli iscritti un trattamento previdenziale aggiuntivo a quello di primo pilastro. Elemento caratterizzante i Fondi chiusi è l’omogeneità nelle caratteristiche degli aderenti: lavoratori dipendenti, privati o pubblici, identificati sulla base del criterio di appartenenza o a una certa categoria professionale o comparto, anche territorialmente delimitato, ed eventualmente anche a singole imprese o gruppi di imprese. La gestione finanziaria è affidata, sulla base di un’apposita convenzione, a gestori professionali (Sim, SGR, Assicurazioni e Banche) abilitati alla gestione. A differenza dei Fondi chiusi, i Fondi pensione aperti sono frutto dell’iniziativa diretta di uno dei soggetti finanziari autorizzati a gestire i Fondi pensione chiusi (Sim, SGR, Assicurazioni e Banche), che offrono prodotti di risparmio con finalità previdenziale. Nei Fondi aperti non vi è l’obbligo della gestione convenzione delle risorse. Ai Fondi pensione aperti si può aderire individualmente o collettivamente, non riscontrando elementi di omogeneità negli aderenti. In particolare, l’adesione collettiva al Fondo pensione aperto avviene attraverso un contratto collettivo e, in via residuale, anche attraverso un regolamento aziendale.

2. Che cosa si intende per Fondo a contribuzione definita e per Fondo a prestazione definita?In un Fondo a contribuzione definita è certo l’ammontare dei contributi da versare periodicamente al Fondo, mentre l’entità della prestazione finale dipende dai contributi versati al Fondo pensione e dai risultati della gestione finanziaria.In un Fondo a prestazione definita, invece, è determinata e certa l’entità della prestazione finale, mentre è variabile la misura della contribuzione richiesta. L’aderente potrebbe essere chiamato ad una maggiore contribuzione tutte le volte in cui i rendimenti prodotti dal Fondo pensione non siano sufficienti a garantire la prestazione all’origine definita. È riservato ai soli lavoratori autonomi e liberi professionisti, vale a dire che a questa tipologia di fondi non possono aderire i lavoratori dipendenti, visto che le aziende non hanno accettato il rischio di una contribuzione variabile.

3. Che cosa significa dire che un fondo pensione può essere “monocomparto” o “multicomparto”? Un fondo pensione monocomparto si caratterizza per il fatto che le posizioni degli aderenti vengono gestite in modo unitario, adottando una stessa politica di investimento.Un fondo pensione multicomparto, invece, si caratterizza per la presenza di un assetto gestionale nel quale sono previsti più comparti all’interno dello stesso Fondo pensione. Ciascun comparto presenta un profilo rischio-rendimento differenziato; l’iscritto ha la possibilità di scegliere il comparto cui aderire in funzione del proprio profilo di rischio-rendimento, delle sue esigenze, dei suoi bisogni, dell’orizzonte temporale di permanenza nel Fondo.

Test FINALE

Soluzioni : 1c. - 2c. - 3b. - 4c. - 5d.

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10 La protezione dai rischidi Enrico Castrovilli

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dettava le due regole a Jackson Hole, Angela Merkel lanciava un nuovo monito. Nelle scorse settimane il cancelliere tedesco è intervenuto più volte spiegando che i Paesi dell’Eurozona in difficoltà devono «fare il loro dovere » e mettere i conti in ordine. Anche per questo la Germania si oppone alla soluzione degli eurobond: la copertura di un’obbligazione continentale potrebbe costituire un facile alibi per non avviare le riforme.

AppuntiWashington, 29. Solo l’unione fa la forza. Solo l’unione fa la vera differenza. Ne sono convinti Barack Obama e Angela Merkel. Tanto che, in un recente colloquio, hanno rilanciato il messaggio chiedendo al prossimo G20 di avviare azioni coordinate contro il rischio di una nuova recessione mondiale. Sarà difficile capire che cosa fare, ma ci vuole uno scatto. Da parte di tutti.Il presidente americano e il cancelliere tedesco hanno convenuto sulla necessità di «un’azione concertata» per incentivare la crescita mondiale e ridare slancio all’economia. Come ha indicato in un comunicato la Casa Bianca, «i due leader sono stati d’accordo nel ritenere urgente un’azione comune attraverso il G20 per affrontare le sfide economiche attuali e stimolare la crescita e la creazione di lavoro». La nota non dà alcun dettaglio sulle azioni concrete che verranno proposte alla prossima riunione del G20, a novembre. Segno che, forse, la discussione tra i grandi Paesi è ancora in corso e che, per il momento, non ci sono punti fermi.A settembre è atteso un discorso di Obama sulla disoccupazione, che resta uno dei nodi della crisi americana. La scorsa settimana sono tornate a crescere le richieste per i sussidi: secondo i dati diffusi dal dipartimento del Lavoro di Washington, l’incremento è stato di cinquemila unità, per un totale di 417.000 richieste. Anche i numeri della scorsa settimana sono stati rivisti al rialzo, passando da 408.000 a 412.000. Gli analisti avevano pronosticato che negli ultimi giorni il dato si sarebbe attestato intorno alle 405.000 richieste. Dal Labor Department spiegano che a pesare sulle ultime rilevazioni è stata soprattutto la vertenza Verizon. A metà agosto i dipendenti del gigante telefonico hanno dato vita a un immenso sciopero: il caso ha portato la scorsa settimana a 8.500 nuove richieste di sussidio e altre 12.500 nella settimana terminata il 13 agosto.Gli Stati Uniti, inoltre, temono che la crisi del debito sovrano in Europa possa avere serie ripercussioni sulla propria economia. Nel suo discorso al meeting di Jackson Hole, il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha sottolineato che la ripresa americana è ancora debole, ma si rafforzerà. Chi sperava nell’annuncio di nuovi aiuti da parte della banca centrale è rimasto deluso: Bernanke ha rinviato la decisione alla fine di settembre. Ma – stando al capo della Fed – la politica monetaria non può fare molto nel lungo termine. Il Congresso deve farsi avanti e mettere i conti pubblici in regola il prima possibile: questa è la sola soluzione plausibile alla crisi.Una ricetta, quella dell’austerità, su cui insiste molto anche Berlino. Proprio mentre Bernanke

29-30 Agosto 2011

Barack Obama e Angela Merkel lanciano un messaggio al prossimo G20

AZIONE COMUNE CONTRO IL RISCHIO RECESSIONE

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Ma cosa significa il termine rischio? È bene distinguere tra rischio, incertezza e certezza. Il rischio di un certo evento – E – è misurabile come probabilità – p (E) – che accada l’evento E (un incidente in auto, una vincita a una lotteria) ed è misurato dal rapporto tra i casi in cui l’evento accade e il numero totale degli eventi possibili (tutti gli automobilisti o tutti i giocatori della lotteria). L’incertezza invece non può essere misurata. Essa è insita nell’im-prevedibilità che attraversa la vita umana, quella definita dallo studioso americano Nassim Nicholas Taleb come Cigno nero: un evento raro di enorme impatto e inaspettato, che talora spicca il volo, come quello accaduto l’11 settembre del 2001. La certezza invece è che alla mattina sorga il sole oppure che la vita di ogni uomo abbia un termine.

Approfondimento sul rischio della disoccupazioneI disoccupati in molti paesi industrializzati sono attorno al 10% della forza lavoro e gli stimoli proposti di investimenti in infrastrutture e di alleggerimenti fiscali sui lavoratori, operati ad esempio dal Presidente USA Barack Obama, non stanno producendo gli effetti sperati. Perché in una fase di recessione la disoccupazione tende a aumentare? Occorre partire dalla considerazione che le imprese sono danneggiate da un’economia in recessione. Con un an-damento negativo del PIL, esse si interrogano se vale la pena fare nuovi investimenti o se addirittura non convenga ridurre la produzione dell’impresa, allo scopo di non esporla a maggiori rischi. Le imprese assumono lavoratori quando effettuano nuovi investimenti, ma se al contrario esse non investono o addirittura riducono la produzione, non vi saranno nuove assunzioni o addirittura delle persone perderanno il lavoro. Le più recenti statistiche segnala-no in particolare la grande difficoltà di trovare un lavoro da parte dei più giovani.

Come proteggersi dai rischi della disoccupazione?La protezione dai rischi della disoccupazione può essere affrontato da azioni coordinate tra i principali paesi del mondo. Infatti, in un’economia fortemente globalizzata come quella attuale, il rischio della trasmissione di effetti negativi da alcuni paesi ad altri tramite un effetto di domino è assai marcata. Il leader statunitense Barack Obama e quello tedesco Angela Merkel pensano così che sia necessario impostare azioni coordinate. Sarà necessario che esse siano sorrette da un’analisi accurata che non ripeta gli errori del recente passato. Ma cosa può pensare di fare una famiglia o un giovane per proteggersi dai rischi della recessione? La prima ricetta è quella di non lasciarsi scoraggiare e di raddoppiare il proprio impegno, in primo luogo nella formazione superiore ed universitaria. Gli osservatori concordano nel ritenere, sulla base dagli studi del premio Nobel del 1992 dell’economia Gary Backer1, che l’investimento in capitale umano è una delle carte migliori per il benessere delle popolazioni. Ed essendo come dice Becker “il capitale umano incarnato nelle persone”, è bene che ciascuno si spenda in uno studio confacente alle proprie attitudini personali, dilatando al massimo le proprie capacità. In secondo luogo è bene misurarsi il prima possibile nel mercato del lavoro, comprendendone regole, meccanismi, organizzazione di un’impresa.

2. La crisi del debito sovrano è il punto di maggiore preoccupazione dei leader mondiali«Gli Stati Uniti, inoltre, temono che la crisi del debito sovrano in Europa possa avere serie ripercussioni sulla propria economia.»1 Gary Becker: Il capitale umano, Laterza, Bari 2008

Chiavi di lettura dell’articolo

Perché un articolo sui rischi? E come proteggersi dai rischi?L’articolo apparso alla fine di agosto sul quotidiano “L’Osservatore Romano” segnala il rischio che l’economia mondiale si avviti in una grave recessione. Se non sono prevedibili gli sviluppi della crisi, l’economia di molti Paesi è esposta a notevoli rischi. Quali sono i rischi di una recessione economica? Quali altri rischi si possono incontrare nella vita? I rischi sono ineliminabili dalla propria esistenza, ma è bene adottare strategie per ridurli e per proteggersi contro i danni che ne possono derivare. Questa scheda si articola nei seguenti punti:• offre una chiave di lettura dell’articolo sui rischi della recessione economica;• propone alcune attività didattiche da svolgere in classe per chiarire quali sono i diversi tipi di

rischi e quali possono essere le strategie idonee per proteggersi dai rischi; • mette a disposizione sull’argomento materiali di approfondimento quali link, faq, parole chia-

ve o tag; propone un test finale per saggiare la comprensione degli argomenti proposti.

1. In che cosa consistono i rischi di una recessione mondiale? Come affrontarli?«Solo l’unione fa la forza. Solo l’unione fa la vera differenza … Barack Obama e Angela Merkel … hanno rilanciato il messaggio chiedendo al prossimo G20 di avviare azioni coordinate contro il rischio di una nuova recessione mondiale … “per affrontare le sfide economiche attuali e stimo-lare la crescita e la creazione di lavoro”». I Paesi emergenti, come la Cina e l’India, sviluppano le loro economie con ritmi superiori al 6% annuo, mentre il PIL (Prodotto Interno Lordo) di grandi Paesi industrializzati come USA, Germania e di altri Paesi europei ristagna, cresce di pochi punti percentuali o addirittura rischia di entrare in recessione. La recessione renderebbe impossibile riprendersi dalla grave crisi finanziaria iniziata nel 2007/2008, perché in una fase economica di questo tipo tutti i valori economici diventano negativi: la ricchezza creata da un Paese diminuisce di anno in anno, il tasso di crescita del PIL assume di conseguenza un valore negativo, dal momento che il Pil dell’anno successivo è infe-riore a quello dell’anno precedente; i posti di lavoro scendono mentre aumentano i disoccupati; reddito, risparmi e consumi calano. La recessione può influenzare profondamente la vita di ogni persona da vari punti di vista, solo una minoranza di fortunati nella recessione non modificherà le proprie abitudini di vita, ma la gran parte della popolazione subirà indubbiamente effetti assai negativi. Nella scheda verranno presi in considerazione i rischi che si possono incontrare sui pro-pri redditi, sui patrimoni o sulle persone, a partire del rischio oggi più avvertito: quello che una forte e prolungata fase di difficoltà economica faccia correre a molti il rischio di una vita meno ricca di opportunità, per completare i ragionamenti sugli altri rischi che possono essere incontrati nella vita.

di Enrico Castrovilli

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Tra gli economisti è ancora aperta la discussione sulle cause della crisi immobiliare e finanziaria del 2007/2008. Si discute ora sulla crisi dei debiti pubblici degli Stati (detti anche debiti sovrani). Perché esistono i debiti sovrani? Lo Stato effettua spese pubbliche (G) quando realizza opere pubbliche (strade, ospedali, cure sanitarie, scuole), paga dipendenti statali e pensionati. Lo Sta-to dispone di entrate (T) costituite da tasse, imposte, contributi o da entrate straordinarie. Se le entrate T sono ad esempio 45 e le spese G sono 50, il bilancio pubblico ha un deficit di 5, che si può finanziare facendosi prestare la somma di 5 dai risparmiatori, emettendo titoli del debito pubblico, come i nostri bot, cct, btp. I deficit, accumulandosi ogni anno, generano nel tempo un debito pubblico multiplo del deficit. Battere nuova moneta per 5 allo scopo di finanziare il deficit non è buona cosa, rischia solo di far aumentare i prezzi. Ma allora il deficit nel bilancio di uno stato è positivo o negativo? Il deficit pubblico è stato a lungo ritenuto positivo. Le rivoluzionarie teorie dell’economista inglese John Maynard Keynes, che negli anni della grande recessione successiva al 1929 ribaltò le precedenti teorie favorevoli al pareggio del bilancio statale, proposero di combattere i momenti di recessione con il deficit pubblico. Per Keynes l’unico modo per riattivare la domanda insufficiente quando vi fosse un insufficiente utilizzo di risorse consisteva nel realizzare spese pubbliche in deficit per opere e pre-stazioni pubbliche (politica detta di deficit spending). E ben vengano i prestiti pubblici, pensano gli economisti keynesiani: il deficit pubblico produrrà una ripresa dell’economia, ci sarà quindi un maggiore flusso di reddito per le famiglie, nelle casse dello Stato entreranno maggiori tributi e si potranno così restituire i soldi a coloro che li hanno prestati allo Stato. Sulla base di queste idee, in molti Paesi a economia di mercato vi è stata una crescita della presenza dello Stato nell’economia e i deficit pubblici sono diventati la regola.Teorie economiche antiche (quelle classiche) e più recenti (monetariste) non condividono la fidu-cia dei keynesiani nel ruolo economico dello Stato e preferiscono al contrario interventi pubblici delimitati con conti pubblici in ordine. L’idea è che il deficit pubblico sottragga risorse ai consumi e agli investimenti privati (cosiddetto effetto di spiazzamento). Il debito viene ritenuto una forma di irresponsabilità, che toccherà alle generazioni future restituire. Prestare soldi allo Stato sarebbe positivo se si fosse sicuri che esso li spenderà bene, ma spesso i privati sono più attenti di un ente pubblico nell’uso delle risorse. Il Trattato di Maastricht del 1992 sull’Unione Europea ha stabilito che uno Stato per aderire all’euro deve rispettare criteri prudenti per i conti pubblici: le regole di Maastricht prevedono che il deficit pubblico non deve superare il 3% del PIL e tendere al pareggio, mentre il debito pubblico non deve superare il 60% del PIL. Dopo la crisi finanziaria del 2008 si è assistito a una rapida crescita dei deficit e dei debiti pubblici. I Paesi industrializzati hanno versato aiuti ai settori in difficoltà dell’economia, hanno sovvenzionato soprattutto nel mondo anglosassone banche e assicurazioni sull’orlo del fallimento e pagato maggiori sussidi ai disoccupati. Il cattivo andamento dell’economia ha prodotto la riduzione delle entrate tributarie. G ha superato di molto T e in Europa i limiti di Maastricht non sono più stati rispettati. Anche negli USA deficit e debito sono fortemente cresciuti tanto che que-sta estate l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha declassato il debito pubblico USA da AAA

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iad AA+. Al tempo stesso è cresciuta la preoccupazione che i Paesi deboli dell’Unione Europea con debiti sovrani eccessivi propaghino un incendio globale. La situazione è aggravata dal fatto che gli operatori finanziari internazionali hanno iniziato a non fidarsi del fatto che i Paesi europei con i conti fuori ordine riescano a restituire i propri debiti. Cosa sta accadendo allora? Come in tutti i mercati, quelli finanziari hanno il grande ruolo di realizzare transazioni di strumenti finanziari, quali titoli del debito sovrano, azioni, obbligazioni, derivati, gestendo così risparmi, prestiti e investimenti. Al tempo stesso i mer-cati danno ineludibili segnali su quali sono i punti di forza e di debolezza nelle situazioni economiche. E’ accaduto così che i titoli pubblici dei debiti sovrani dei paesi con i conti in disordine sono diminuiti di valore e i loro interessi si sono impennati. Perché? Il rendimento (cioè l’interesse pagato) di questi titoli deve aumentare per compensare il loro aumentato rischio e il rendimento cresce nella misura in cui il prezzo di questi titoli cala. Un titolo a reddito fisso del valore di 100 € che dà ogni anno un interesse di 5 € rende il 5%, ma è quando il titolo crolla a un valore pari a 50 che i 5€ di rendimento a questo punto equivalgono al 10%, se il titolo viene acquistato in quel momento2. Lo spread (ovvero la distanza) tra i rendimenti dei titoli dei paesi a rischio aumenta rispetto a quello dei paesi con in conti in ordine (uno per tutti, la Germania). Ma la finanza può assumere un ruolo speculativo quando, invece di consentire le transazioni e dare segnali sulla salute dei soggetti economici, cerca di lucrare sulle situazioni forti acquistando titoli e su quelle deboli vendendoli. In questo caso essa non costituisce il sistema sanguineo che alimenta il corpo del sistema economico, ma al contrario offre forti e immotivati guadagni nel breve periodo ad alcuni, danneggiando al tempo stesso risparmiatori ed intere economie. La grande incertezza generalizza le cadute nel valore dei titoli di Stato e delle Borse, produce forti oscillazioni dei prezzi, con un situazione definita di volatilità. Si entra in recessio-ne. E se uno Stato con i conti in disordine deve pagare maggiori interessi per indurre i risparmiatori a sottoscrivere i titoli del suo debito sovrano, il suo deficit aumenta ancora e il risanamento dei conti diventa ancora più difficile. Un esempio per tutti è quello della Grecia. Ma non è il solo Paese con i conti in difficoltà. Mentre scriviamo la stessa architettura dell’euro è a rischio.

Approfondimento sul rischio per i risparmi Se il valore degli strumenti finanziari (titoli di stato, azioni, obbligazioni, quota di fondi comuni, depositi bancari) diminuiscono, diminuisce anche la ricchezza dei cittadini, con un conseguente calo dei consumi, degli investimenti e del valore dei risparmi. Tutta l’economia reale viene infettata. Una famiglia genera risparmi (S dall’inglese Saving) quando i propri consumi (C) sono inferiori del reddito disponibile Yd (Y dall’inglese Yield) al netto delle tasse (T). Vale quindi la relazione Y – T = Yd e Se Yd > C S I risparmi a questo punto divengono elemento del patrimonio familiare, tradizionalmente suddiviso in Attività finan-ziarie (gli strumenti finanziari di cui stiamo appunto discutendo), e Attività reali, quali case, terreni, gioielli e altri beni rifugio. Una buona gestione del patrimonio può accrescere il reddito, ma se al tempo stesso la parte finanziaria del patrimonio scende di valore (a causa dell’andamento negativo dei mercati finanziari) e i redditi a loro volta scendo-no (a causa della recessione), si mettono in discussione sia il valore del patrimonio, sia la possibilità di aggiungervi nuovi risparmi.

2 Per approfondire gli elementi alla base del calcolo del rendimento dei titoli di stato e delle obbligazioni in generale si visiti la pagina web: http://www.borsaitaliana.it/speciali/obbligazioni/ilrendimentodeititoliobbligazionari/ilrendimentodeititoliobbligazio-nari.htm

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la crisi 2007-2009 ammonta alla strabiliante somma di 7.700 miliardi di dollari. Ecco qui la benzina che ha ali-mentato la speculazione finanziaria.In secondo luogo cresce la consapevolezza della necessità di rimettere in ordine i conti degli Stati. Alcuni Paesi eu-ropei stanno introducendo nelle loro carte costituzionali il pareggio di bilancio. E’ forse giunto il momento di abban-donare la tradizionale politica keynesiana dei deficit pubblici e di iniziare a ridurre la dimensione dei debiti sovrani, costosi per gli Stati e possibile oggetto di speculazioni finanziarie. Berlino insiste su questa posizione. La cancelliera tedesca Angela Merkel è così contraria all’emissione dei cosiddetti eurobond, titoli che sarebbero emessi dall’Unione Europea per finanziare i deficit dei Paesi europei. Questo provvedimento al momento non è da lei condiviso, perché lascerebbe impregiudicati i conti in disordine di diversi Stati.

Approfondimento sul riequilibrio dei conti pubblici Per rimettere i conti pubblici in ordine, con le cosiddette manovre finanziarie, si possono tagliare le spese pubbliche e/o aumentare le tasse. Il giudizio di una manovra sarà diverso a seconda che si privilegi il taglio della spesa oppure l’aumento delle tasse. Secondo alcuni le manovre finanziarie costituiscono un inaccettabile attacco ai livelli delle prestazioni assicurate dallo stato sociale alla collettività. In ogni caso le manovre finanziarie incontrano forti opposizioni all’interno di Paesi con i conti in disordine. All’opposto altri pensano che stiamo attraversando un mo-mento difficile, che può diventare positivo se si ridisegna una generale riduzione della eccessiva presenza dello Stato nell’economia, ridando spazio ai cittadini, alle loro libere forme associative, alla volontà di intrapresa e di innovazione mortificate da una presenza dello Stato asfissiante. Questa è, ad esempio, l’idea del grande econo-mista austriaco Joseph Alois Schumpeter, che criticò fortemente le idee keyensiane per aver generato una pervasiva estensione dell’intervento dello Stato nella società mortificando la voglia di intrapresa delle persone.• Che cosa pensi dell’ipotesi di rimettere in ordine i conti pubblici? Sono maggiori i vantaggi o gli svantaggi?

Motiva la tua risposta.• …………………………………………………………………………………………………………………………• In conclusione, qual è secondo te il miglior modo per proteggersi dai rischi di una recessione economica globa-

le? Che cosa pensi delle idee di Keynes e Schumpeter?• …………………………………………………………………………………………………………………………

Traccia per l’attività in classe1. La protezione degli altri rischi della vita Quali altri rischi si incontrano nella vita? Proteggersi dai rischi non implica rinunciare ad aspetti giocosi della vita, è vero l’opposto. Il dinamismo e la voglia di fare sono essenziali nella società moderna, ed è proprio la responsabilità nei propri comportamenti che può ampliare le realizzazioni nei campi della vita, esse sono tanto più godibili in quanto sono più sicure. Occorre allora disegnare adeguate strategie di protezione dai rischi, proteggendo quello che si è e quello che si ha. I rischi della vita sono molteplici, si possono correre rischi a scuola, a casa, per la stra-da, al lavoro, stando sul web, facendo sport o un viaggio. Al tempo stesso i rischi sono mutevoli, crescono con lo sviluppo di tecnologie sempre più potenti.

Come proteggersi dai rischi per i propri risparmi?La forma di protezione principale dai rischi che possono colpire i propri risparmi è duplice. Una prima forma di protezione è quella della diversificazione negli impieghi. E’ il principio elementa-re di non mettere tutte le uova in un solo paniere, se questo cade addio a tutte le uova! Meglio dividere le uova in tanti panieri, sarà molto difficile che cadano tutti i panieri. Concretamente questo significa suddividere il patrimonio risparmiato in varie attività finanziarie, sapendo asse-condare la propria propensione al rischio. Una seconda forma di protezione è quella di effettuare scelte finanziarie nel lungo periodo, senza fermarsi alle suggestioni di quanto accade nel breve periodo. Tutte le statistiche sui valori economici dimostrano che la logica di lungo periodo è quella vincente. I valori economici delle due principali componenti della ricchezza delle famiglie italiane, la casa e le attività finanziarie, possono subire oscillazioni negative o positive nel breve periodo, ma nel lungo periodo la cre-scita del valore è storicamente stata certa. La formula vincente è quella di risparmiare sempre, effettuare piani di accumulazione dei risparmi, con il benefico effetto di imporre una disciplina ai propri comportamenti psicologici, tenendoli al riparo dall’euforia o dal panico momentanei.

3. Si torna a un maggiore equilibrio nei conti pubblici«…il presidente della Fed, Ben Bernanke, ha sottolineato che la ripresa americana è ancora debole, ma si rafforzerà. Chi sperava nell’annuncio di nuovi aiuti da parte della banca centrale è rimasto deluso: Bernanke ha rinviato la decisione alla fine di settembre. Ma – stando al capo della Fed – la politica monetaria non può fare molto nel lungo termine. Il Congresso deve farsi avanti e mettere i conti pubblici in regola il prima possibile: questa è la sola soluzione plausibile alla crisi … Una ricetta, quella dell’austerità, su cui insiste molto anche Berlino … Anche per questo la Germania si oppone alla soluzione degli eurobond: la copertura di un’obbligazione continentale potrebbe costituire un facile alibi per non avviare le riforme.»Come si potrebbe consolidare l’azione comune auspicata da Obama e Merkel? Una prima questione riguarda la possibilità di utilizzare un politica monetaria espansiva, cioè offrire denaro a buon mercato alle imprese e ai consumatori. Ma come ricorda Ben Bernanke, presidente della Banca Centrale USA ,la politica monetaria non può fare molto nel lungo periodo. Va garantita la necessaria liquidità al sistema economico senza ripercorrere gli errori degli anni ‘30 del secolo scorso, quando la restrizione dei prestiti bancari alle imprese contribuì drammaticamente a peg-giorare la crisi subito dopo il crollo di Wall Street nell’ottobre del 1929. Ma più che garantire liquidità adeguata ai soggetti economici la politica monetaria non dovrebbe fare. Ha suscitato grande impressione una recente notizia3 di ben diversa natura, emersa grazie agli analisti fi-nanziari di Bloomberg che dopo una battaglia legale di due anni sono riusciti ad accedere ai documenti riservati della Fed (la Banca Centrale USA). Essi hanno così potuto calcolare che la effettiva dimensione della liquidità immessa dalla Fed americana nel sistema economico durante

3 Vedi: “Il vero conto della crisi USA: 7.700 miliardi di dollari” di Massimo Gaggi, Corriere della Sera, 29 novembre 2011

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Prova a indicare in ordine di gravità i rischi che a tuo parere si affrontano nel corso della vita. Completa la seguente tabella, pensando a una forma di protezione per ogni rischio che hai individuato. Giustifica le tue scelte:

Per una adeguata strategia di protezione dai rischi occorre però preliminarmente valutare il tipo di rischio, per capire se si tratta di un rischio assicurabile o di un rischio che può essere affrontato con forme di protezione differenti da quelle fornite dalle assicurazioni4. La strategia da adot-tare nasce dall’analisi di quale relazione intercorre tra l’entità del danno atteso e la probabilità che esso si verifichi. Come affrontare i grandi danni? Nel caso di un alto danno atteso che ha un’alta probabilità di verificarsi, la cosa migliore è quella di agire sulla rimozione delle cause: ad esempio l’uso della droga produce con grande probabilità effetti devastanti ed è quindi ne-cessario rimuovere responsabilmente la causa (l’uso della droga), così il danno sarà evitato. Ma nel caso di un alto danno con bassa probabilità, è allora bene pensare a stipulare un contratto di assicurazione, che tramite il meccanismo mutualistico trasferirà sull’impresa la sopportazione del danno. Questo è il caso degli incidenti automobilistici, dei furti, rapine, incendi, di copertura di varie forme di responsabilità civile, che saranno affrontati nel paragrafo successivo. Quando invece gli eventi producono danni modesti ed hanno un’alta probabilità, è bene gestire in proprio i danni con un po’ di attenzione in più, tanto la perdita sarà modesta. Infine i piccoli danni poco frequenti possono essere trascurati. Una prima strategia di protezione dai rischi è l’adozione di forme di prevenzione nei diversi am-bienti di vita e lavoro. Le cinture di sicurezza e i seggiolini per i bambini in auto, i caschi in moto, gli strumenti per la sicurezza nei luoghi di lavoro, l’attenzione ad utilizzare alimenti sani adatti alla propria salute, l’osservanza accurata dei consigli medici nel caso di un’indisposizione. Prestando attenzione al rispetto delle norme dei Codici e delle altre leggi dello Stato, stando bene attenti a non provocare a qualcuno un danno ingiusto, perché in questo caso si è tenuti a risarcire i danni prodotti.

2. Le protezioni dai rischi e il sistema assicurativoLa seconda strategia di protezione dai rischi è quella di ricorrere alle assicurazioni private o al si-stema della protezione sociale fornite dallo stato e da altri enti pubblici. Queste società calcolano

4 Confronta pag. 117 di G. Megale e S. Sorgi “Guida all’educazione finanziaria”, Ed. Il Sole 24 ORE, Milano 2010

la probabilità di determinati fatti rischiosi, raccolgono premi adeguati tra molti soggetti esposti ai danni generati dai medesimi rischi, raccogliendo somme in grado di risarcire i pochi che subiranno gli effetti degli eventi. Adam Smith, il padre dell’economia politica, già nel 1776 osservò che «l’attività assicurativa, ripartendo tra un gran numero di persone una perdita che rovinerebbe un individuo, la fa ricadere in modo lieve e facilmente sopportabile sull’intera società». Questo è il principio della mutualità assicurativa.Proviamo a fare un esempio. Supponiamo che nelle case della cittadina di Albachiara siano accaduti 6 furti, che hanno prodotto in media ciascuno un danno di 10.000 €. Se la metà dei proprietari dei 300 appartamenti decide volontariamente di assicurarsi contro il furto, a quanto ammonta il premio che ogni famiglia dovrà pagare alla socie-tà di assicurazione Vitabella? La società Vitabella dovrà incassare 60.000 € da 150 assicurati, vale a dire 60.000 €: 150 = 400 € (premio puro). La polizza pagata sarà più alta, perché al premio puro la società aggiungerà i costi della gestione e un eventuale margine di profitto.Vediamo un altro esempio con gli incidenti automobilistici. Supponiamo che nella città di Pratofiorito circolino 50.000 auto e in un anno vi sono stati 2000 incidenti.

Qual è la probabilità dell’evento E di incidenti automobilistici?…………………………………………………………………………………………..

Il calcolo è presto fatto. Ricordando che P (E) = numero casi in cui accade l’evento / numero totale casi possibili, ne deriva che p (incidenti auto) = 4.000 (incidenti auto)/50.000 (numero totale di auto) = 0,08 o in percentuale 8%.

Se ogni incidente produce in media un danno di 5000 €, a quanto ammonterà il premio puro della RCA (Respon-sabilità Civile Auto) della società Vitabella? Tieni conto che nella circolazione stradale è obbligatoria l’assicura-zione RCA. ……………………………………………………………………………………………………………………………

Il calcolo del premio puro è allora: 4.000 (incidenti) x 5.000 (danno medio degli incidenti) = 20.000.000 som-ma corrispondente ai danni totali, da suddividere tra i 50.000 proprietari di auto: premio puro = 20.000.000 / 50.000 = 400 €Le assicurazioni costituiscono indubbiamente uno strumento potente di difesa dai rischi. Esiste un’ampia e crescente gamma di protezioni dai rischi della vita offerte dalle assicurazioni, tradizionalmente divise in assicurazioni contro i danni e sulla vita, che difendono contro infortuni, malattie, incendi, furti, responsabilità civili, morte e molti altri casi avversi della vita. Il pagamento delle assicurazioni è a carico dei soggetti assicurati. Le assicurazioni sociali vedono invece l’intervento dello Stato, che protegge i propri cittadini contro gli infortuni sul lavoro, con l’assistenza sanitaria e con la previdenza sociale. Mentre le assicurazioni private sono pagate dagli assicurati, le assicurazioni sociali sono finanziate con le entrate statali. Alla base di ogni protezione dai rischi come si vede c’è il risparmio, da gestire in modo pianificato e diversificato, per realizzare in una logica di lungo periodo con piani finanziari, previdenziali e pensionistici. Di fronte ai tanti rischi della vita il risparmio è lo scudo principale per la protezione di persone, famiglie e collettività. Il welfare statale fatica a proteggere, per i motivi analizzati, da tutti i rischi della vita e sarà sempre più necessario integrarlo con altre forme di protezione cui debbono provvedere le persone e le altre formazioni sociali intermedie.

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Rischio Protezione

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Furto .................................................................

Influenza Vaccino influenzale

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TAGS LINKSSITI E INFO PER APPROFONDIRE ABI, Associazione Bancaria Italiana www.abi.it/ ANIA, Associazione Nazionale fra le imprese assicuratrici www.ania.it/ Assogestioni, Associazione italiana dei gestori del risparmio www.assogestioni.it/index.cfm/1,413,0,49,html/il-sistema-previdenziale Banca D’Italia, Banca Centrale Italiana www.bancaditalia.it/CONSOB, Commissione Nazionale per le Società e la Borsa www.consob.it/main/index.html COVIP, Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione www.covip.it/ INPS, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale www.inps.it/newportal/default.aspxISVAP, Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni Private e di interesse collettivo www.isvap.it/isvap/imprese_jsp/HomePage.jsp Mefop, Società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi Pensione con la partecipazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze www.mefop.it/

LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE

RischioRecessione G20Bilancio pubblicoDebito pubblico sovranoDeficit spendingPareggio di bilancio Manovra finanziaria IncertezzaProbabilitàPolizza Assicurazione

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FAQ DOMANDE E RISPOSTE

1. Perché oggi sono forti i rischi di recessione economica globale?La recessione globale, ovvero un peggioramento dei dati economici che si concretizza con un tasso di crescita negativo del Pil, oggi è un rischio effettivo perché, dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2008, i principali Paesi industrializzati non hanno trovato un sentiero di crescita economica adeguata. Anzi si è generato un eccesso di deficit e di debito pubblico che ha prodotto movimenti finanziari speculativi

e destabilizzanti contro i Paesi esposti ad un eccesso di debiti pubblici.

2. Quali sono le fondamentali forme di protezione di fronte ai rischi della vita?Le diverse forme di protezione dipendono dai diversi rischi. Per gli incidenti automobilistici, furti, incendi vi è la protezione offerta dalle società di assicurazione, per gli aspetti economici occorre una gestione pianificata e diversificata del portafoglio dei propri risparmi, mentre il welfare state può proteggere dai rischi di carattere generale. In ogni caso occorre intensificare la capacità delle persone e delle famiglie di adottare forme di prevenzione e responsabilità nei comportamenti. Il welfare statale dovrà essere integrato da altre forme di protezione da parte di soggetti privati.

3. Qual è la differenza tra certezza, rischio e incertezza?La certezza è che si ripeteranno in futuro determinati avvenimenti che sono finora sempre accaduti nella vita dell’uomo. L’incertezza è quella di avvenimenti del tutto imprevedibili che non possono essere misurati nella probabilità del loro accadimento. Il rischio è invece misurato dalla probabilità che

accada un certo avvenimento sul totale degli avvenimenti possibili.

Test FINALE1. Nella recessione economicaa. il tasso di crescita del PIL assume valori negativib. l’andamento del PIL resta stabile c. i risparmi cresconod. i disoccupati diminuiscono

2. Keynes era favorevole ai deficit pubblici perchéa. il deficit pubblico produce sempre spreco di risorseb. era contrario ad utilizzare risorse privatec. ritiene che bisogna vivere al di sopra delle proprie possibilità d. il deficit pubblico aumenta la domanda e attivizza il sistema economico

3. La speculazione finanziaria ha un aspetto che può essere considerato utile: quale? a. arricchisce i ricchi e impoverisce i poveri b. segnala situazioni di forza e di debolezzac. punisce i ricchid. punisce chi sbaglia

4. Il rischio di un evento si può ottenerea. in base a sondaggi demoscopicib. leggendo tutti i manuali sull’argomentoc. calcolando la probabilità dell’evento come moltiplicazione tra il numero degli eventi sfavorevoli accaduti e il numero totale di quelli possibilid. calcolando la probabilità dell’evento come rapporto tra il numero degli eventi sfavorevoli accaduti e il numero totale di quelli possibili

5. Nella città di Belfiore la RCAuto è più costosa che a Pratofiorito perchéa. ci sono più auto in circolazione a Belfiore b. Belfiore è una città di montagna e Pratofiorito è in pianurac. in proporzione alle auto in circolazione, negli ultimi anni ci sono stati più incidenti a Belfiore d. a Belfiore i guidatori sono in prevalenza donne

Soluzioni : 1a. - 2d. - 3b. - 4d. -5c.

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