QUADERNO!! DEGLI!ATTORI! - Passante di Bologna · 2 Ciò vale per le ... Ma il progetto dello...

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QUADERNO DEGLI ATTORI Presentato da Associazione il Cerchio Verde 19 settembre 2016 Integrato con nota del 28 ottobre 2016

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Bologna Metropolitana: una città di villaggi nel bosco Il futuro delle città dipende dalla nostra capacità di favorirne l’adattamento ai grandi cambiamenti in atto. Questi risultano ormai profondamente intrecciati tra di loro in una sorta di matassa inestricabile: la crisi ambientale effetto della riduzione delle risorse, il cambiamento climatico, la crisi economica e sociale nei paesi cresciuti sul welfare trovano complessivamente rappresentazione nella crisi dello spazio urbano, che le manifesta ma anche le alimenta. Non è chiaramente possibile inferire in maniera incisiva su queste grandi questioni, ma abbiamo la possibilità di inferire profondamente sulla realtà dello spazio urbano, con progetti e politiche. E’ necessario farlo manifestando capacità di interpretare sensibilmente i contesti -spaziali, sociali, microeconomici, ambientali- entro cui collocare i progetti. Occorre agire con sollecitudine, cogliendo le occasioni, mettendo in campo la massima disponibilità a ri-discutere convinzioni consolidate in condizioni palesemente differenti dalle attuali. Da più parti si sostiene che nella politica per le trasformazioni territoriali sia necessario spostare il fuoco dal consumo di suolo al consumo di ambiente: i danni causati dagli eventi calamitosi, dalla crisi idrica e dai picchi di calore, oppure la povertà energetica sono di natura economica e sociale, ma minano alle basi l’idea di benessere della collettività. Altri studiosi delineano come scenario ineluttabile quello dello shrinking, della contrazione degli spazi abitabili, un fenomeno comparso già decenni fa in alcune città del nord America o asiatiche. La contrazione degli spazi occupati dalle attività si combina con l’evidenza della crisi ambientale e con gli effetti del cambiamento climatico, producendo il più delle volte una drammatizzazione di fenomeni già in atto, accelerandone gli effetti sgradevoli. Proprio il fenomeno del restringimento urbano e le operazioni forzosamente limitate e discontinue di rigenerazione, assieme alla velocità delle trasformazioni nei modi d’uso del territorio e alla mutevole mappa delle aree in declino, richiedono maggiore capacità di osservare e decifrare i fenomeni che si manifestano nelle città e nei territori, di interpretarne genesi e prospettive, di individuare azioni e politiche adeguate, di aggiustare e innovare strumenti e procedure. Il nostro immaginario va aggiornato e l’occasione di applicare questa visione ad un territorio che per effetto delle trasformazioni legate alla realizzazione del Passante di Mezzo subirà una forte accelerazione delle sue trasformazioni è un’occasione importante per affermare/verificare la centralità di temi vecchi e nuovi, dentro la convinzione che nel loro intricato insieme possono dare corpo a un’idea diversa di città o, forse meglio, di spazio abitabile. Rigenerare città e territori adeguandosi alla scarsità e attivando processi resilienti è una condizione inedita, che però genera a sua volta grandi difficoltà nonostante sembrino acquisiti i capisaldi di una città ecologica. Le politiche urbanistiche, se abbinate alle politiche ambientali, prefigurano un diverso modello di sviluppo e comportano una coraggiosa revisione di convincimenti radicati e modi di intervento collaudati. Alcuni di questi appaiono già piuttosto stressati sebbene ancora assai poco scalfiti: che la rigenerazione possa chiudersi entro la logica della ricostruzione e dell’infilling; che la densificazione possa riconsegnarci una città compatta; che la competizione tra città possa giocarsi attorno ad alcuni, pochi parametri quantitativi tutti riconducibili alla crescita (o alla decrescita); che infrastrutturazione si riduca alla mobilità; che la mobilità imponga grandi opere. Crediamo invece che occorra assumere con convinzione la prospettiva di una nuova forma della città contemporanea, ecologica e produttiva, costituita da pattern molto diversi per popolazioni, pratiche d’uso, economie. Che occorra individuare gli obiettivi operabili in questa fase, e che sia indispensabile, mettendo a punto gli strumenti, rivedere senza inibizioni quelli esistenti.

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Ciò vale per le città allargate, le città metropolitane e i sistemi urbani. E vale per gli insediamenti sparsi, quell’insieme informe, ma quasi sempre plurifunzionale, che la diffusione insediativa ci ha lasciato. Da concepire, gli uni e gli altri, come spazi abitabili che intercalano parti dense, dove prevale il costruito, e spazi aperti, che includono le tante forme del green. In questa prospettiva è indispensabile interrogarsi sul carattere saliente che le trasformazioni territoriali, alle differenti scale, possono assumere e, ancora, riflettere sulle reciproche influenze. Il problema non può essere ridotto rincorrendo forzosamente i paradigmi della sostenibilità nel realizzare di volta in volta ciascuno dei manufatti dello spazio abitabile. È evidente che la questione si fa interessante se il centro dell’osservazione si sposta su ciò che tiene insieme le cose, sugli spazi delle loro relazioni. La costruzione di uno sfondo: una città di villaggi, comunità e nuovo spazio pubblico Lo spazio antropizzato, urbano e rurale, è senza dubbio la scena fisica di una comunità, teatro della sua azione. Ma il progetto dello spazio, che si è dimostrato talvolta essere veicolo di inibizioni e condizionamenti, può e deve divenire motore potente di emancipazione e riscatto, innesco di processi virtuosi. Il progetto dello spazio è attore nella vita della città tanto quanto lo sono le pratiche esercitate in esso dai cittadini, e l’idea, oggi sempre più diffusa, che il progetto dello spazio sia una questione tecnica e non soprattutto politica, contribuisce a privare le comunità di un fondamentale strumento di corretta organizzazione della vita pubblica. La progressiva privatizzazione, delimitazione, ri-funzionalizzazione degli spazi urbani avvenuta nell’ultimo secolo ha da un lato ridotto il senso di appartenenza ad un territorio più vasto di quello su cui si esercita la proprietà, e dall’altro sostenuto l’idea che lo spazio altrui, e quindi la sua sicurezza, sia un problema altrui. Ma lo spazio nel suo complesso è un bene pubblico, poiché è pubblico ciò che può essere visto e percepito da tutti, e soprattutto è pubblico ciò che è comune a tutti. Occorre oggi superare il concetto che solo lo spazio pubblico, di proprietà pubblica e fruibilità collettiva, sia un bene di tutti. L’impossibilità evidente dell’istituzione pubblica di acquisire e poi gestire, in sicurezza, aree vaste del territorio ha imposto politiche di privatizzazione dello spazio urbano, ed il passaggio progressivo da un’economia legata all’uso del suolo e conoscenza del territorio ad un’economia distaccata dalle istanze ecumeniche e spesso espressione del “qui e ora”, hanno prodotto pratiche progressivamente sempre più indipendenti dalle caratteristiche dello spazio fisico. Questo ha implementato una percezione di insicurezza diffusa, determinata dalla sempre minore conoscenza dello spazio proprio e altrui, e dall’incapacità, o impossibilità, di godere di risorse che sono state, in un tempo precedente e diverso, maggiormente disponibili e condivise. La crescente domanda di sicurezza urbana può allora essere letta come indicatore di un maggiore desiderio di città, come richiesta di vivere appieno le opportunità offerte dal proprio contesto urbano, e dunque non necessariamente come sintomo di paura o indicatore di condizioni d’invivibilità del territorio. Le piccole comunità, che ancora mostrano i caratteri dell’appartenenza ad un territorio sentito come un bene comune, ne percepiscono più fortemente le contraddizioni, ed è proprio in questi contesti che la domanda di sicurezza si rivela con evidenza essere esigenza di città. Occorre tutelare e valorizzare questa consapevolezza comunitaria, grazie alla quale il progetto dello spazio può rendersi sia efficace interprete delle ambizioni sociali, che strumento rivelatore di potenzialità inespresse. Le strutture insediative tipiche dell’area bolognese, testimonianza dell’equilibrio tradizionale tra le attività umane e la terra in cui si manifestano, possono rappresentare ancora oggi un modello cui aggrappare ipotesi di trasformazione: la Città Metropolitana è una città di villaggi. Dal secondo dopoguerra la città di Bologna e la sua cintura intercomunale hanno interpretato e valorizzato questa condizione sedimentata nei secoli precedenti, proponendo piani e progetti quasi sempre coerenti con un’idea virtuosa di decentramento e policentricità, non solo amministrativa ma soprattutto spaziale. Questa scelta politica –unica nello scenario italiano- ha prodotto periferie abitate con consapevolezza e orgoglio, curate e manutenute, ciascuna differente dall’altra ma ciascuna appartenente all’altra e all’insieme urbano. La periferia bolognese non è un luogo generico da riqualificare genericamente con azioni di mitigazione sparse. La periferia bolognese è una costellazione di comunità che abitano spazi in gran parte già di qualità, che necessitano di attenzione puntuale qualora vengano imposte trasformazioni spaziali rilevanti.

Il Cerchio Verde

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Identificare oggi la città metropolitana bolognese come una città di villaggi consente di mettere a fuoco importanti ed immediatamente comprensibili strategie. Se, infatti, l'evoluzione della città è un problema multiforme, cui concorrono quelle componenti di natura culturale, sociale, economica, percettiva e materiale che in ciascun luogo si combinano specificamente, risulta allora evidente il fatto che la soluzione alla domanda di progettualità delle comunità locali deve trovare un’espressione in azioni capaci di rinnovare gli spazi e le pratiche propri di ciascuna centralità, azioni che, attraverso la loro sinergia, alimentino e rafforzino quel sistema di relazioni fisiche, sociali, economiche, che sempre più qualifichino questa porzione di territorio come unicum. Il territorio è il telaio portante dove appoggiare ogni strategia politica-civica. In un mondo dove la città è diventata globale, il suo progetto diventa determinante per il futuro stesso dell’umanità. Possiamo allora forse immaginare il ruolo di una grande infrastruttura territoriale come il Passante di Mezzo entro questa visione, e di articolare le mosse di ricerca intorno ad alcune questioni/temi caratterizzati dalla possibilità di essere osservati a scale molto differenti, da quella geografica a quella del singolo manufatto. Una geografia di piccoli networks interconnessi. E’ indispensabile operare uno sforzo teso a ri-concettualizzare e a modellizzare le reti della mobilità, ma più in generale i sistemi di connessione tra le cose, studiando e scoprendo il ruolo fondamentale delle reti minori. Si può tentare di valutare l’efficacia di una rete isotropa rispetto una rete gerarchizzata mettendo in discussione alcuni radicati fondamenti del pensiero urbanistico e politico/istituzionale occidentale. Da questo punto di vista la vicenda del Passante di Mezzo potrebbe rappresentare un’interessante opportunità se la logica costitutiva del manufatto si affrancasse dal problema della pura velocità commerciale. I comportamenti e gli stili di vita necessari per un futuro sostenibile e una trasformazione positiva della società hanno sullo sfondo sistemi di relazione complessa che comprendono l’ambiente, l’acqua, lo sviluppo rurale, il consumo sostenibile, la comprensione interculturale, la diversità culturale, il cambiamento climatico, la riduzione delle catastrofi, la biodiversità, l’economia di mercato, che si esprimono con chiarezza solo in una dimensione geografica. La nostra proposta per la città Per quanto riguarda l’infrastruttura stradale in senso stretto vale la pena di soffermarsi su un primo aspetto che riguarda le ricadute fisico-morfologiche di una scelta che, se confermata, comporterebbe con l’allargamento della sede autostradale/tangenziale un depauperamento del territorio. Per Corticella, Lame, Dozza, San Donnino, Borgo Panigale, Croce del Biacco l’allargamento della tangenziale ha la stessa valenza, impatto, rilevanza che avrebbe avuto l’inserimento del passante nord per ciascuno dei comuni coinvolti. Si comprende che alla scala metropolitana la scelta del Passante di Mezzo possa risultare virtuosa, e che calcoli astratti lo confermino. Si comprende che, progettata dal punto di vista del flusso di traffico, l’infrastruttura debba allargarsi quanto più possibile e maggiormente in determinate zone. Si comprende la necessita conseguente di azioni varie di mitigazione (barriere al rumore, sottopassi,..) e altre di compensazione (piste ciclabili, aree alberate,..). Ma il nastro del passante di mezzo non si snoda in un vasto paesaggio che seppure antropizzato è aperto e disponibile a misure ampie. Il passante di mezzo passa in mezzo ad una parte di città metropolitana in larga misura consolidata, che si è consolidata ignara della possibilità degli importanti allargamenti del sedime autostradale ora in discussione. Occorre progettare lo spazio anche e soprattutto dal punto di vista della città in cui l’infrastruttura si inserisce. Questo progetto, se realizzato, può confliggere con il progetto dell’infrastruttura.

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Gli spazi di qualità della periferia bolognese mostrano chiaramente che la qualità urbana, soprattutto nelle periferie, non si raggiunge attraverso singole azioni di mitigazione o compensazione. La periferia bolognese è una parte di città in molti casi consolidata e in equilibrio. Occorre valutare, in ogni singolo e differente punto, come il progetto dell’infrastruttura minacci o rompa questo equilibrio, se esistono azioni compensative affinché non si rompa, se è verosimile che non succeda o siamo destinati a perdere qualcosa. Occorre valutare e capire con lucidità e trasparenza quanti e quali spazi siamo destinati a perdere. Occorre ridiscutere il progetto alla luce di queste valutazioni. Non è difficile immaginare che ridiscutere questa scelta potrebbe avere una diretta ricaduta sul dimensionamento della sezione stradale complessiva riducendo l’attuale previsione di allargamento della stessa. Lo spazio liberato da questa urgenza potrà essere dedicato nel suo complesso ad un progetto di lungo periodo di bosco urbano e puntualmente, solo laddove necessario, alla realizzazione dei luoghi di interscambio con le mobilità di altra scala. Si tratta di una visione che non contraddice la larghissima parte degli obiettivi del progetto del Passante di Mezzo ma lo inserisce in una visione di insieme indubitabilmente ancor più ambiziosa. Un’unica sede, integrata, tangenziale/autostrada lungo tutti i 14 km dell’attuale percorso bolognese, a quattro corsie + corsia di sosta. Ne beneficerebbero i cittadini bolognesi e i fruitori dell’autostrada che vedrebbero raddoppiate le attuali corsie di marcia, incrociando e gestendo al meglio gli attuali flussi di traffico che hanno densità e fasce orarie il più delle volte diverse. Eliminazione delle barriere/caselli di Borgo Panigale, Casalecchio, San Lazzaro, Arcoveggio e Fiera, e introduzione di un sistema di pagamento altamente tecnologico che riguarda il pedaggiamento free-flow. I sistemi free-flow consentono il pagamento del pedaggio senza bisogno di canalizzare il traffico e soprattutto senza bisogno di fermare il veicolo. Sono principalmente tre le tecnologie utilizzate: radio, video (solitamente utilizzate insieme nei sistemi multilane) e satellitare, ciò consentirebbe di fare muovere le utenze autostradali e quelle della tangenziale entro un manufatto unico e lasciare alla tecnologia il compito di distinguere i residenti liberando questi ultimi dall’onere del pedaggio. Nella impossibilità evidente di costringere a breve termine l’utenza dell’autostrada all’utilizzo di queste tecnologie, si potrebbero più facilmente dotarne i cittadini della città metropolitana. Una misura che consentirebbe anche di regolamentare il traffico della tangenziale alla sola utenza metropolitana. Ogni obiezione di natura tecnica (trasportistica, ingegneristica, previsionale) a questa ipotesi dovrebbe essere discussa e ridiscussa, accettando anche compromessi e rischi, perché il vantaggio complessivo per la città e i suoi abitanti è talmente significativo da rendere le questioni tecniche dettagli risolvibili rispetto a quelle politiche, ambientali, sociali. La città del Navile: una città bosco Occorre creare connessioni:

• Fra le centralità del Navile (Croce Coperta, Corticella, Lame, Dozza) • Fra il Navile e la Città metropolitana (Bolognina, centro di Bologna e Castelmaggiore)

sui seguenti temi: _ Mobilità Costruendo, ristrutturando, modificando, migliorando stazioni, parcheggi scambiatori, tram, piste ciclabili, percorsi pedonali _ attraversamenti Costruendo scavalcamenti verdi dell’asse autostradale ad est e a ovest di via di Corticella, ristrutturando, modificando, migliorando sottopassi, attraversamenti pedonali e ciclabili delle rotatorie e degli svincoli _ svincoli Modificando gli svincoli esistenti, compreso l’accesso alla A13 per chi entra dall’entrata n. 6 _ zone tampone Costruendo fasce boscate e barriere al rumore lungo tutto l’asse del tratto autostradale/tangenziale Bologna, 14 settembre 2016

Il Cerchio Verde Onlus

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iscritta al registro provinciale volontariato con determinazionel n.6689 del 17.11.95 URL: http://www.ilcerchioverde.org - E-mail: [email protected]

Sul tema generale PASSANTE DI MEZZO, ribadiamo:

1- Il nostro NO all’allargamento.

2- Realizzazione di un’unica sede, integrata, tangenziale/autostrada lungo tutti i 14 km dell’attuale percorso bolognese, a quattro corsie + corsia di sosta. Eliminazione delle barriere/caselli di Borgo Panigale, Casalecchio, San Lazzaro, Arcoveggio e Fiera, e introduzione di un sistema di pagamento altamente tecnologico che riguarda il pedaggiamento free-flow. Data l’evidente impossibilità di fare previsioni univoche e verosimili riguardo l’entità del traffico che nel prossimo futuro attraverserà Bologna, questa soluzione è l’unica che possa consentire il miglioramento delle condizioni attuali del traffico senza consumare il suolo urbano, e senza danneggiare irreparabilmente e per sempre spazi pubblici e privati faticosamente consolidatesi negli scorsi decenni. Viviamo in tempi di incertezza e sono troppe le variabili da cui dipendono entità e caratteristiche del traffico nel vicino futuro - l’economia del Paese crescerà? E come? Ci saranno auto più ecologiche o no? Le opere comunque necessarie per la mobilità urbana (potenziamento del sistema ferroviario metropolitano ed in generale del trasporto pubblico, ponte sul Reno, complanare di Pianura, …) scaricheranno la tangenziale di traffico rendendo non necessario il suo potenziamento? - per avviare un’opera non reversibile ed incidente in maniera chiaramente negativa sulla città e i suoi abitanti. Occorre dunque una soluzione non profondamente invasiva e reversibile.

3- Città bosco: lo spazio liberato da questa urgenza può essere dedicato nel suo complesso ad un progetto di lungo periodo di bosco urbano e puntualmente, solo laddove necessario, alla realizzazione dei luoghi di interscambio con le mobilità di altra scala. L’esistenza stessa dell’infrastruttura, già oggi, unitamente alle difficoltà economiche in cui versano privati e pubblico, e alle evidenti criticità imposte dal cambiamento climatico (innalzamento generale delle temperature e picchi di calore, aumento dell’intensità delle precipitazioni e bombe d’acqua, periodi di siccità e periodica recrudescenza degli effetti dell’inquinamento), reclamano azioni che devono essere rispettose dell’ambiente e quindi della salute pubblica, della permeabilità dei suoli, pervasive, non inquinanti, a basso costo di costruzione e manutenzione, e reversibili. L’ipotesi che formuliamo di città bosco ha queste caratteristiche.

4- Necessità di confronto urgente con l'assessorato all'urbanistica che deve accogliere tutte le considerazioni e le istanze proposte dagli altri assessorati, dai ministeri come dai cittadini e trasferirle nel progetto dello spazio fisico, comprendendo se è in che misura il progetto di potenziamento del nodo di

Bologna è congruente con gli strumenti di piano esistenti, non tanto sul piano tecnico quanto su quello ideale. Noi crediamo che non lo sia.

Abbiamo partecipato con attenzione a tutti i tavoli di confronto pubblico sul progetto del passante di mezzo proposto da Società Autostrade e dall’Amministrazione. Abbiamo attentamente valutato gli elaborati grafici presentati e i diversi documenti finora messi a disposizione, approfondendo particolarmente l’ambito del Quartiere Navile e confrontando la soluzione proposta alla luce delle attuali criticità della zona, per comprendere se in qualche misura, almeno puntualmente, il progetto apporta qualche miglioramento come in ogni occasione genericamente annunciato. Siamo fortemente delusi dall’insieme delle soluzioni progettuali presentate, che riteniamo approssimative e assolutamente non informate delle qualità e delle criticità dei luoghi attraversati dall’infrastruttura, e perciò non rispettose della città e dei suoi abitanti. Questo a fronte di un progetto preliminare che ha caratteristiche tecniche di un progetto definitivo e che appare perciò difficilmente modificabile nella sostanza. Esprimiamo quindi forte preoccupazione, e non ci spieghiamo perché il confronto con i cittadini e i sopralluoghi – indispensabili – vengano fatti a progetto già avanzato, non comprendiamo il senso del confronto pubblico se la redazione del progetto comunque prosegue parallela e indifferente. Riteniamo che qualsiasi ipotesi di progetto che riguardi la mobilità del Quartiere Navile (e quindi anche il progetto da noi auspicato di un’unica sede integrata tangenziale/autostrada) debba confrontarsi con queste criticità e risolverle come segnalato:

1- Inquinamento prodotto dal traffico veicolare sull’infrastruttura ad alta velocità e sulle altre arterie: “città bosco” come indispensabile misura di compensazione.

2- Problemi di vario tipo riguardanti la mobilità alla scala urbana, su gomma e non, che si riflettono negativamente alla scala del quartiere: necessità di realizzare prima di ogni altra azione le opere definite accessorie (dopo una loro attenta e puntuale valutazione).

3- Prossimità alla fascia dell’autostrada/tangenziale di residenze, servizi (scuole, residenze protette per anziani e centri sportivi) e spazi aperti pubblici originariamente progettati con attenzione alla fascia di rispetto: No a qualsiasi allargamento. La proposta di realizzazione di una quarta corsia fra le uscite 6 e 8, assolutamente inaccettabile per gli abitanti del Quartiere Navile, indica mancanza di conoscenza della città e del funzionamento del traffico in questo ambito.

4- Necessità di revisione degli svincoli dell’uscita 6, attualmente mal funzionanti e da rivedere nell’ottica della vicinanza delle case, degli attraversamenti pedonali e ciclabili, dell’immissione nella viabilità ordinaria. La proposta progettuale presentata peggiora una condizione già problematica.

5- Necessità di depotenziamento delle uscite di Croce Coperta che attualmente veicolano traffico extraurbano su un’arteria dalla sezione non adeguata e che collega attrezzature di quartiere.

6- Necessità di modifica dell’innesto dell’A13 particolarmente pericoloso per chi entra dallo svincolo 6. Bologna, 28 ottobre 2016