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I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – numero 1
“Il mercato energetico italiano”
Il mercato energetico italiano
Maggio 2005
A cura dell'Ufficio Studi di Sviluppo Lazio
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
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Questo quaderno è opera di Maria Grazia De Angelis, sotto la supervisione del Servizio Studi di Sviluppo
Lazio
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
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INDICE
Introduzione pag. 4
1. Politica energetica europea pag. 6
2. Politica energetica in Italia pag. 10
2.1 La liberalizzazione del mercato elettrico pag. 10
2.2 Il settore del gas: il decreto 154/2000 pag. 13
3. La filiera elettrica pag. 17
4. Prospettive del sistema elettrico italiano: rischi ed opportunità pag. 19
4.1 Generazione pag. 19
4.2 Trasmissione e dispacciamento pag. 24
4.3 Distribuzione pag. 25
4.4 Importazione ed esportazione pag. 33
5. Il ruolo degli enti locali nel mercato elettrico pag. 34
Bibliografia pag. 41
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
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Introduzione
Il black-out del 28 settembre del 2003 ha messo in luce la fragilità del sistema di approvvigionamento e la mancanza di potenza di riserva del sistema elettrico italiano. Le principali cause vanno ricercate nell’obsolescenza degli impianti e delle infrastrutture energetiche e nella dipendenza dalle importazioni del nostro Paese. Quanto al primo aspetto va detto che il sistema energetico italiano potrebbe fare fronte da solo alla domanda interna, grazie ad una potenzialità produttiva di 76.950 MW a fronte di una richiesta di picco massima pari a 53.105 MW; ma l’obsolescenza degli impianti, caratterizzati da bassi rendimenti e forte orientamento verso combustibili di origine petrolifera, riduce la capacità di produzione disponibile ad appena 49.000 MW, rendendo il nostro Paese dipendente dalle importazioni per oltre il 16% del proprio fabbisogno di elettricità: la percentuale più alta di tutta Europa. Il grado di dipendenza energetica, tuttavia, è legato non soltanto alla inadeguatezza del parco di generazione elettrica e della rete di trasporto, ma anche ad due ulteriori ragioni: da un lato, alla scelta di non far ricorso all’energia nucleare adottata nel 1987, dall’altro, alla scarsità delle risorse energetiche interne. Entrambi tali fattori si sono tradotti in un costante aumento delle importazioni di idrocarburi passate da quasi l’81% del 1995, all’83,6% del 2001, fino all’84,6% del 2003 (contro una media europea prossima al 54%) e in un livello dei prezzi energetici di gran lunga superiore alla media europea (per effetto della crescita dell'economia mondiale, soprattutto asiatica, delle pressioni speculative, del peggioramento della situazione politica mediorientale e di altre situazioni contingenti, le quotazioni del petrolio nel 2004 hanno superato i 50 dollari al barile). A tali problematiche, sono sopraggiunti gli impegni assunti con il protocollo di Kyoto (l’Italia ha ratificato il Protocollo di Kyoto nel giugno 2002 e il 19 dicembre 2002 ha pubblicato il primo Piano nazionale di riduzione dei gas serra, la Revisione delle Linee Guida per le Politiche Nazionali di Riduzione delle Emissioni dei Gas Serra) i cui limiti alle immissioni di anidride carbonica in Italia sono fortemente ostacolati da una generazione fondamentalmente termoelettrica che soddisfa oltre il 73% del fabbisogno nazionale.
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Nel recepire le direttive comunitarie 96/92 e 98/30, il Governo italiano ha affrontato tali problematiche avviando, dopo 40 anni di nazionalizzazione, il processo di liberalizzazione del mercato dell’elettricità e del gas. A seguito dell’emanazione del decreto 79/99 (decreto Bersani), eccezion fatta per le attività di trasmissione e dispacciamento riservate allo Stato, la produzione, l’importazione, l’esportazione, l’acquisto e la vendita di energia sono state liberalizzate con l’obiettivo di ammodernare e ampliare le infrastrutture, di ottenere una riduzione e una maggior trasparenza dei prezzi, il miglioramento della sicurezza, della qualità e della continuità energetica. Allo stato attuale fare un bilancio sui benefici apportati dalla concorrenza in questo settore è prematuro: nonostante siano trascorsi sedici anni dall’emanazione del decreto Bersani, l’Enel continua, infatti, a ricoprire quote rilevanti sia nel segmento della produzione che in quello della trasmissione e distribuzione di energia elettrica. L’esperienza condotta da altri Paesi dimostra comunque che, se il libero mercato persegue indubbi vantaggi sul piano della riduzione e trasparenza delle tariffe, esso non soddisfa l’attesa del miglioramento infrastrutturale e tecnologico della rete e degli apparati. Per cogliere i vantaggi e superare gli ostacoli derivanti dalla liberalizzazione, un ruolo chiave viene riconosciuto alla Comunità Europea e ai singoli Paesi membri le cui politiche energetiche si ritiene debbano promuovere nuovi strumenti di finanziamento delle infrastrutture, forme di partenariato fra pubblico e privato, lo scambio di competenze tecniche.
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Fig 1: Immagine satellitare del black-out elettrico avvenuto in Italia il 28 settembre 2003
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1. Politica Energetica Europea
Fino alla crisi petrolifera degli anni ’70, in ambito comunitario la materia dell’energia
è stata disciplinata dai trattati Ceca ed Euratom, nati per regolare lo sfruttamento
delle fonti carbosiderurgiche e nucleari.
Nella convinzione di poter contare su fonti energetiche stabili e sicure, su tale
tematica trascorsero anni di silenzio e di scarso interesse.
L’esigenza di adottare una politica centralizzata si avvertì soltanto a seguito
dell’esplosine dei prezzi del petrolio: risalgono a tale periodo l’adozione delle
disposizioni volte a garantire l’accumulo di scorte petrolifere e la costituzione di un
apposito Comitato dell’energia.
Ulteriori passi in questa direzione furono fatti negli anni ’80, quando, spinta dalle
problematiche ambientali, la Comunità Europea introdusse alcune misure per
l’introduzione della benzina senza piombo, la limitazione delle sostanze tossiche e la
diminuzione del tasso di zolfo nei combustibili per il riscaldamento.
Ma soltanto a partire dagli anni ’90 si assiste ad una rapida evoluzione della politica
energetica comune.
La consapevolezza che l’Europa è il più grande importatore di energia del mondo e il
secondo più grande consumatore, da un lato, le forti oscillazioni del prezzo dei
combustibili, le problematiche ambientali, i fragili equilibri internazionali, dall’altro,
hanno dato impulso nell’ultimo decennio ad un’attività di ricerca, di analisi, di
confronto da parte di istituzioni pubbliche e private culminate con la pubblicazione
del Libro Bianco del ’97, con le Direttive del ’96 e del ’98, con il Libro Verde nel 2000
e con numerosi programmi e comunicazioni.
Il Libro Bianco ha la finalità di dimostrare la necessità di intervenire sui consumi di
energia del settore degli edifici, nella fase di costruzione e soprattutto in quella di
gestione. Esso evidenzia che nell’ambito della costruzione e della ristrutturazione
degli edifici e la loro gestione, il consumo di energia in termini primari, cioè riferito a
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circa 190 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) del fabbisogno nazionale,
costituisce circa il 45%.
Da ciò deriva la necessità di un complesso di interventi sistematici, ben promossi,
studiati, progettati, realizzati e verificati, tale da ridurre di una significativa
percentuale il consumo totale primario e le relative emissioni di gas serra. Un
risultato auspicabile potrebbe corrispondere al 20% del consumo e delle emissioni.
Il Libro Verde, nel dettare le norme in materia di sicurezza dell’approvvigionamento
energetico, fissa i seguenti obiettivi:
• monitorare la domanda di energia data la scarsità delle proprie risorse;
• avviare un’analisi sul contributo di lungo periodo dell’energia nucleare;
• sviluppare un nuovo approccio alla gestione delle scorte di petrolio rafforzando la
solidarietà fra gli Stati membri in tempo di crisi e avviando nuove relazioni con i
Paesi produttori di idrocarburi;
• tutelare l’ambiente attraverso la limitazione delle emissioni di idrossido di
carbonio;
• realizzare il Mercato Interno dell’Energia.
Volti a fronteggiare il rischio di un nuovo shock petrolifero, a limitare la soggezione
dell’Europa al ricatto dei paesi produttori di idrocarburi e a ostacolare la sua
vulnerabilità alle loro vicende politiche, i primi tre obiettivi sono perseguiti mediante
la diversificazione delle fonti energetiche, il rafforzamento dei legami con la Russia
(dalla quale s’importa c.a. il 40% del gas e il 20% di petrolio), la produzione di
energia da fonti rinnovabili.
La sfida della tutela ambientale è indubbiamente la più difficile e ambiziosa
soprattutto se si pensa alle esigenze di crescita economica e all’aumento dei
consumi di energia previsti negli anni futuri. L’utilizzo del gas, il miglioramento
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dell’efficienza energetica e il ricorso a fonti rinnovabili allo stato attuale sono le
soluzioni ritenute più plausibili a livello comunitario.
Con l’emanazione delle Direttive 96/92 e 98/30, la Comunità Europea ha, infine,
dettato le regole comuni per la realizzazione il funzionamento del mercato interno dell’elettricità e del gas.
Perseguendo il duplice obiettivo di accrescere la coesione economica e sociale tra i
Paesi membri e realizzare un mercato concorrenziale contraddistinto dal
ridimensionamento dei monopoli pubblici, esse stabiliscono i seguenti principi:
• ingresso di nuovi operatori nel settore della generazione da realizzarsi o
attraverso un regime di autorizzazione a singoli produttori in possesso di
determinati requisiti o un regime di gare d’appalto;
• libertà di scelta dei fornitori di elettricità e gas da parte di tutte le imprese entro il
2004;
• separazione della gestione rete di trasmissione dalle attività di generazione e
distribuzione;
• separazione contabile tra le attività di generazione, trasmissione e distribuzione
per le imprese che operano in tutte e tre le fasi;
• accesso non discriminato per consumatori e produttori alla rete basato
sull’applicazione di tariffe trasparenti;
• garanzia del mantenimento di standard di servizio pubblico in tema di sicurezza,
regolarità dell’approvvigionamento, qualità, prezzo e tutela ambientale.
Sebbene tutti i Paesi membri abbiano recepito in larga misura le norme dettate dalle
due Direttive, la nascita di un mercato interno con accettabili livelli di concorrenza
sembra ancora lontana. Un primo ostacolo che si frappone alla sua realizzazione è
rappresentato dalle differenti velocità con cui i Paesi membri procedono verso i
processi di liberalizzazione: mentre il Regno Unito e i Paesi scandinavi sono andati
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ben oltre il soddisfacimento dei requisiti minimi, altri, come la Francia e la Germania,
stanno provocando un forte rallentamento a tale processo.
Un secondo impedimento è costituito dalle infrastrutture. Affinché la concorrenza
funzioni è, infatti, essenziale sviluppare delle interconnessioni che facilitino gli
scambi di energia e le competenze transfrontaliere; in altre parole, è essenziale che
tutti i clienti abbiano accesso alla rete elettrica in base a prezzi equi, a uguali
condizioni e a un trattamento paritetico. Secondo uno studio recente (condotto da
Observatorie Mediterranéen de l’energie nel 2001) lo sviluppo delle capacità di
trasporto della rete europea, anche in vista dell’incremento delle importazioni (la
dipendenza europea dovrebbe passare dall’attuale 40% al 70% nel prossimo
decennio), richiederà investimenti per 200 miliardi di Euro.
Infine, sussiste il problema della ricerca di un sistema tariffario armonizzato per gli
scambi. Per dare impulso a tale sistema è stato istituito, su iniziativa della
Commissione, il cosiddetto “Processo di Firenze”, un meccanismo, cioè, basato
sulla concertazione tra i soggetti economici del settore e le autorità di controllo che
ha già dato buoni risultati sul piano della metodologia tariffaria transfrontaliera.
In sintesi, nei prossimi anni la vera sfida per l’Europa sarà riuscire a superare tali
ostacoli per dar vita a un mercato interno volto ad accrescere il livello qualitativo del
servizio a prezzi sempre più competitivi.
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2. Politica energetica in Italia
2.1 La liberalizzazione del mercato elettrico
L’Italia nel panorama energetico europeo è il Paese in cui il livello dei prezzi
dell’elettricità supera la media europea del 20% per i consumi domestici e del 25-
50%, per quelli industriali; in cui la dipendenza energetica da altri Paesi è di circa
84% contro una media europea del 54%; in cui, infine, il 34% della produzione di
energia deriva dal petrolio, a fronte di una media europea del 10% (dati “Rapporto
energia” elaborato da Enea). Tali cifre, unite ad un parco di generazione e
distribuzione elettrica assolutamente obsoleto, sono i fattori di maggior
preoccupazione e quelli che più ci allontano dal resto dei Paesi europei.
Le strade intraprese dal governo per farvi fronte sono principalmente due: favorire la
produzione di energia da fonti rinnovabili e liberalizzare il mercato ponendo fine al
monopolio di Stato.
Quanto alla prima strada, le politiche energetiche finora poste in essere hanno
prodotto risultati abbastanza positivi. Tra il 1995 e il 2003 il contributo dato al
bilancio energetico dalle fonti rinnovabili è aumentato del 25%. I dati più
sorprendenti hanno riguardato la produzione eolica che dal 2000 al 2001 ha
raggiunto un incremento del 45% e il solare termico i cui impianti sono aumentati
con una media annua del 15%. Tali trend sono destinati a crescere nei prossimi anni
grazie allo sviluppo di nuove tecnologie e all’introduzione di una serie di strumenti
finanziari e incentivi che vanno dai certificati verdi, ai fondi regionali, ai fondi
strutturali europei, alle tariffe verdi, fino a forme di incentivazione come il project
financing.
L’introduzione di un sistema concorrenziale è avvenuta con l’emanazione dei decreti
79/99 (decreto Bersani) e 154/2000 (decreto Letta) di recepimento delle direttive
comunitarie 96/92 e 98/30.
Il decreto 79/99, in particolare, ha dato luogo alle seguenti novità:
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• Trasformazione dell’Enel in SpA e creazione di una holding con società separate
per le attività di produzione, distribuzione e vendita ai clienti finali. Va detto,
peraltro, che il riassetto societario ha portato l’Enel ad ampliare il proprio
business anche in altre attività e ad attuare strategie di internazionalizzazione
che hanno dato vita ad un tra i maggiori gruppi in Europa;
• Autorizzazione di nuovi soggetti a partecipare alle attività di generazione,
distribuzione e vendita purché nessun soggetto detenga una quota di mercato
superiore al 50%; Fig 2: Filiera Elettrica dopo la liberalizzazione del settore
Fonte: AICARR
• Libertà di scelta da parte dei clienti finali del fornitore direttamente sul mercato
elettrico. La distinzione fra clienti idonei (imprese i cui livelli di consumo elettrico
superando una determinata soglia possono accedere al mercato libero) e clienti
vincolati (soggetti che sono obbligati ad approvvigionarsi presso la società di
distribuzione che esercita l’attività dove è ubicata l’utenza) prevista dal decreto e
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attualmente in vigore è, infatti, destinata a scomparire a partire dal 2007 quando
tutti gli utenti, indipendentemente dai livelli di consumo energetico, potranno
scegliere il fornitore presso il quale acquistare l’energia;
• Costituzione del Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN). Si tratta
di una SpA controllata interamente dallo Stato i cui compiti consistono nel
connettere alla rete di trasmissione chiunque ne faccia richiesta senza
discriminazioni e senza compromettere la continuità del servizio nel rispetto delle
regole tecniche e delle condizioni tecnico-economiche di accesso e di
interconnessione fissate dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas; nel gestire i
flussi di energia, i relativi dispositivi di interconnessione e i servizi ausiliari
necessari; nel gestire la sicurezza, l’affidabilità, l’efficienza e il minor costo del
servizio e degli approvvigionamenti di energia; nel gestire la rete di trasmissione
nazionale; nel deliberare gli interventi di manutenzione e sviluppo della rete di
trasmissione nazionale;
• Costituzione del Gestore del Mercato Elettrico (GME). È una SpA costituita dal
GRTN nel 2000 con lo scopo di gestire gli scambi di energia effettuati nella Borsa
elettrica in modo da garantire un’adeguata disponibilità di energia di riserva;
• Definizione della Borsa dell’energia. Si articola nel mercato elettrico e nel
mercato dei certificati verdi. Il primo, a sua volta, è composto dal mercato del
giorno prima, in cui gli operatori del settore possono acquistare e cedere energia
attraverso offerte di acquisto, di vendita e contratti bilaterali; e dal mercato di
aggiustamento dove, sulla base di offerte di acquisto e di vendita, è possibile
contrattare variazioni di quantità di energia rispetto a quelle negoziate sul
mercato del giorno prima.
• Determinazione dei Certificati Verdi. Sono i titoli emessi dal GRTN che attestano
la produzione di energia da fonti rinnovabili. Nel mercato dei Certificati Verdi la
domanda è costituita dall’obbligo per produttori e importatori di immettere
annualmente una "quota" di energia prodotta da fonti rinnovabili pari al 2% di
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quanto prodotto e/o importato da fonti convenzionali nell'anno precedente;
l'offerta , invece, è rappresentata dai Certificati Verdi emessi dal Gestore della
rete a favore di impianti qualificati che producono energia attraverso l’utilizzo di
fonti rinnovabili (impianti IAFR) o ad alta efficienza energetica (impianti Cip6).
• Definizione dell’Acquirente Unico (AU). Istituito anch’esso sottoforma di SpA dal
GRTN, l’Acquirente Unico svolge la funzione di acquistare energia elettrica sul
mercato libero per conto dei clienti vincolati, sulla base delle previsioni della
domanda da esso stesso elaborate. Pertanto l’Acquirente Unico acquista energia
attraverso il sistema delle offerte (borsa dell’energia) e, solo eccezionalmente e
previa autorizzazione dell’Autorità per l’energia e il gas, attraverso contratti
bilaterali, per rivenderla alle imprese distributrici per la quota destinata alla
fornitura del mercato vincolato.
Nonostante il passaggio dal monopolio al libero mercato sia stato contraddistinto dal
ritardo dell’avvio della borsa elettrica, da una serie di ricorsi ai tribunali amministrativi
per l’assegnazione di capacità di importazione e di produzione di energia, da una
lunga discussione sulla divisione delle competenze e dei ruoli tra il ministero, le
regioni, le istituzioni del mercato, esso ha fatto registrare sia un aumento del parco
produttivo, cresciuto del 14%, sia un incremento della produzione, cresciuta del
15,8%. Benefici si sono avuti anche sul livello delle tariffe: rispetto alla media
europea, queste hanno subito riduzioni apprezzabili, sebbene limitatamente alla
spesa sostenuta dalle famiglie (riguardo alle utenze industriali si osserva il persistere
di livelli tariffari superiori a quelli medi europei).
2.2 Il settore del gas: il decreto 154/2000
Con un consumo di oltre 70 miliardi di mc, l’Italia costituisce il terzo mercato del gas
europeo dopo la Gran Bretagna e la Germania.
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Gli elevati tassi di crescita della domanda, l’aumento dei prezzi degli ultimi anni, la
forte dipendenza da altri Paesi e la contestuale riduzione della produzione interna,
hanno richiesto anche per il gas l’apertura del mercato alla concorrenza.
La normativa vigente può essere sinteticamente riassunta come segue:
• la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sono aperte ai privati: sono
previste procedure concorsuali per il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio del
diritto esclusivo di ricerca e coltivazione in una determinata area geografica;
• l’Autorità per l’energia elettrica e il gas è competente in materia di
determinazione di tariffe di stoccaggio, dispacciamento, distribuzione e vendita ai
clienti non idonei; risoluzione di controversie relative all’accesso al sistema del
gas; predisposizione del contratto tipo per la definizione dei rapporti tra gli enti
affidanti e il gestore del servizio di distribuzione; fissazione dei criteri di accesso
alla rete ed obblighi delle imprese di trasporto; criteri per la realizzazione delle
opere di allacciamento;
• l’approvvigionamento (importazione e coltivazione) è soggetto a semplice
comunicazione se il gas proviene da Paesi UE e ad autorizzazione del Ministero
delle attività produttive se proviene da Paesi extracomunitari;
• il trasporto e il dispacciamento sono attività libere ma di interesse pubblico (ne
deriva l’obbligo per le imprese di allacciare alla propria rete gli utenti che lo
richiedono ed il compito del Ministero delle attività produttive di definire la rete dei
gasdotti e le regole del dispacciamento in casi di emergenza);
• l’attività di distribuzione è svolta in regime di servizio pubblico, affidata mediante
gara per non oltre 12 anni;
• l’attività di vendita ai clienti finali è sottoposta ad autorizzazione del Ministero
delle attività produttive rilasciata sulla base delle capacità tecniche e finanziarie;
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• è stabilita una quota massima di vendita ai clienti finali (50% dei consumi
nazionali) e di immissione di gas nella rete nazionale (75% dei consumi
nazionali);
• sono oggetto di separazione societaria l’attività di trasporto e dispacciamento;
l’attività di distribuzione; l’attività di vendita che può essere svolta solo dalle
imprese che non svolgono nel settore altre attività oltre quelle di importazione,
esportazione, coltivazione;
• per l’attività di stoccaggio è prevista la separazione contabile delle attività di
trasporto e dispacciamento e la separazione contabile da tutte le altre attività
della filiera;
• la qualifica di clienti idonei è riconosciuta a tutti gli utenti.
Alla vigilia dell’avvio della liberalizzazione, il settore del gas presentava in Italia una
domanda soddisfatta per il 78% dalle importazioni; una crescita dei consumi annui
dell’8,4%; un unico soggetto in tutte le fasi della filiera: l’Eni controllava l’88% della
produzione, l’85% del trasporto, 99% dello stoccaggio, 89% della distribuzione
primaria.
Dopo cinque anni dall’emanazione del decreto 154/2000 di recepimento della
Direttiva 98/30, tali dati non hanno subito variazioni sostanziali. Un’indagine
conoscitiva dell’Autorità garante della concorrenza e dell’Autorità per l’energia
elettrica e il gas condotta per verificare lo stato del processo di liberalizzazione del
settore nei tre anni successivi all’emanazione del decreto, dimostra che l’Eni
continua ad avere una posizione dominante sia nella fase dell’approvvigionamento
di cui detiene il 68%, sia nel controllo delle infrastrutture di trasporto internazionali. Il
confronto internazionale delle tariffe evidenzia che quelle italiane continuano a
superare la media europea di oltre il 17% risultando inferiori soltanto a quelle
tedesche. Tra i possibili interventi per favorire la concorrenza, le due Autorità
suggeriscono la realizzazione dei progetti di nuove infrastrutture; il potenziamento
dei gasdotti internazionali da parte di Eni al fine di consentire nuove opportunità di
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approvvigionamento da parte degli operatori; lo sviluppo di un mercato centralizzato
(o borsa del gas) e la creazione di un polo mediterraneo del gas in competizione con
quelli nordeuropei; lo smobilizzo del gas stoccato che si rende disponibile; adeguate
misure di sostegno alla ricerca e produzione di gas nel territorio nazionale.
Il decreto Letta, a sua volta, detta a carico delle aziende che svolgono attività di
importazione l’obbligo di effettuare un piano di investimenti che preveda un valore
cumulato del capitale investito al lordo degli ammortamenti pari al 5% dei ricavi
previsti nello stesso anno.
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3. La filiera elettrica Fig.3 Diagramma di flusso delle transazioni interne alla filiera elettrica
Fonte: ANIE
L’industria elettrica è formata da quattro anelli principali: produzione (o
generazione), dispacciamento, trasmissione, distribuzione.
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La generazione concerne la produzione d’energia elettrica dalle fonti primarie
(idrocarburi, gas, nucleare, idrico, ecc.). Ogni impresa di produzione dispone di un
parco più o meno esteso di gruppi di produzione situati in luoghi distanti dai centri di
consumo sia per ragioni legate alle disponibilità delle risorse di produzione, sia per
vincoli ambientali, sia per il raggiungimento di economie di scala ottenibili soltanto
con impianti di medio-grandi dimensioni. l’immissione in rete di energia da parte dei
gruppi di produzione risulta condizionata dal Gestore della rete di trasmissione,
operatore che svolge la funzione di dispacciamento: tale funzione consiste nel
programmare e regolare l’immissione in rete dell’energia proveniente dai generatori.
la trasmissione consiste nel convogliare l’energia prodotta dai gruppi di produzione
nella rete di trasmissione per trasportarla ai punti di distribuzione. La distribuzione
consiste, infine, nella consegna dell’energia agli utenti finali.
Sono definite Utility le aziende che operano nei tre precedenti settori in modo
verticalmente integrato. Esse possono essere società dello Stato, oppure
emanazioni di Enti locali o, ancora, società private quotate in borsa.
Il settore elettrico, nei tre segmenti della produzione, trasmissione e distribuzione, è
oggetto di un riassetto le cui determinanti possono essere ricondotte all’azione di tre
forze: la tecnologia, il mercato, la politica.
Tutti i segmenti del settore elettrico sono fortemente condizionati dall’innovazione
tecnologica: nella generazione, i cicli combinati hanno comportato la riduzione della
dimensione ottima degli impianti e del costo di investimento, con conseguente fine
delle economie di scala da sempre assunte come una delle più significative
giustificazioni del regime monopolistico; nel segmento della trasmissione, il
crescente impiego della tecnologia in corrente continua, nonché l’introduzione di
dispositivi per il controllo dei flussi di potenza sulla rete, consentono oggi di
incrementare la capacità di trasmissione nelle sezioni critiche della rete. Il comparto
della distribuzione beneficia, in ultimo, delle tecnologie informatiche e della
comunicazione (es. contatori per la misura oraria dell’energia e la lettura a distanza,
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Internet, trasmissione dati sulla rete elettrica) che rendono più agevole ed articolata
la connessione con l’utente finale e consentono di offrire al medesimo servizi a
valore aggiunto.
Per quanto riguarda il mercato, gli stimoli maggiori al cambiamento del settore
provengono dagli utenti. A partire dalla crisi petrolifera degli anni ’70, infatti, essi
hanno visto aumentare consistentemente i prezzi energetici con gravi ripercussioni
sui redditi dei consumatori residenziali e sulle quote di mercato di quelli industriali.
Entrambi, dunque, “spingono” affinché vi sia un’inversione di tendenza delle tariffe.
A livello politico, molti Paesi, per il perseguimento di quest’obiettivo, hanno avviato
politiche di deregolamentazione del settore elettrico lasciando all’iniziativa privata la
costruzione di nuovi impianti di produzione per incrementare l’offerta (negli Stati
Uniti l’entrata sul mercato di nuovi produttori tra il 1980 e 1992 fa sì che l’incidenza
della produzione non-utilities sul totale dell’energia prodotta sia passata dal 2,9% al
9,9%). La Gran Bretagna è tra i primi Paesi ad avviare la liberalizzazione (1989),
seguita dalla Norvegia, Finlandia, Svezia, Nuova Zelanda, Argentina, Ucraina,
Australia, Spagna e gran parte degli Stati Uniti.
In Italia, come detto, tale processo ha avuto inizio nel ’99 con l’emanazione del
decreto Bersani.
4. Prospettive del sistema elettrico italiano: rischi e opportunità
A seguito della liberalizzazione del settore elettrico, ad eccezione delle attività di
trasmissione e dispacciamento, la produzione, la distribuzione, l’importazione,
l’esportazione e la vendita di energia costituiscono distinti mercati in cui le imprese
possono liberamente accedere seppur con limiti e divieti volti ad assicurare la tutela
dei consumatori e a favorire la concorrenza fra gli operatori.
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4.1 Generazione
La fase della generazione è senza dubbio la più importante in quanto è quella in
cui si concentra di più l’impatto ambientale dell’intera filiera. Lo stadio della
generazione elettrica è, inoltre, quello più interessato dagli effetti delle politiche
energetiche ed ambientali, da un lato, e delle politiche per la concorrenza dall’altro,
con risultati spesso non necessariamente coerenti dato che gli obiettivi ambientali e
di sicurezza della fornitura non sempre sono compatibili con quelli della pura
efficienza economica. Fra le possibili soluzioni a disposizione degli operatori di
questo comparto, il ciclo combinato (si basa sul funzionamento di due cicli
termodinamici a cascata, un ciclo a gas, a monte e uno a valle, a vapore. Il risultato
è una duplice produzione elettrica, con il raggiungimento di rendimenti di
trasformazione particolarmente elevati, fino al 60%, contro un valore massimo del
45% delle tecnologie tradizionali) sembra la soluzione più adeguata a soddisfare
entrambe tali esigenze: consente sensibili miglioramenti sia sul fronte dell’efficienza
economica che su quello della tutela ambientale. Il Gruppo Enel ha predisposto un
piano di trasformazione a ciclo combinato di un insieme di centrali, appartenenti alle
sue quattro società (Eurogen, Elettrogen, Interpower, Enel-Produzione), per un
totale di circa 14.200 Mw da realizzarsi entro il 2008. Sotto il profilo economico, il
ciclo combinato comporta una significativa riduzione del numero di addetti (diretti ed
indiretti) necessari per l'ottimale esercizio e manutenzione dell'impianto: una stima
internazionale ritiene possibile passare dai 3-4 MW per addetto degli impianti
tradizionali ai 9-12 MW per addetto degli impianti a ciclo combinato.
Un ruolo importante nel promuovere un radicale cambiamento nella organizzazione
dell’industria elettrica, con un peso presumibilmente ben maggiore rispetto a quello
assunto recentemente dai cicli combinati, è la generazione distribuita (si tratta di
piccoli impianti a turbogas e a motore alternativo dislocati in prossimità dell’utenza.
Relativamente al turbogas, si stima si possano ottenere rendimenti medi fra il 30 e il
35% con punte massime fino al 40%. Ad essi si affiancano le celle a combustibile in
cui la produzione elettrica non avviane per processo di combustione ma
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direttamente per via elettrochimica. Questa tecnologia, basata sul ciclo all’idrogeno
consentirebbe di ottenere un rendimento pari al 70% con un impatto ambientale
estremamente ridotto). Essa consente di assicurare indubbi vantaggi rispetto alla
produzione centralizzata: primi fra tutti, il risparmio energetico e il venir meno dei
costi di trasporto. Inoltre, darebbe luogo ad una maggiore accettabilità degli impianti
da parte delle popolazioni locali vista la maggiore corrispondenza fra costi e
benefici; ad una riduzione del rischio della volatilità dei prezzi dell’elettricità che
potrebbe determinarsi per effetto delle transazioni organizzative dei mercati; e ad un
minor rischio di interruzione del servizio conseguente ad una eventuale carenza di
capacità degli impianti di trasporto e generazione centralizzata.
Sotto il profilo della tutela ambientale, il minor consumo di combustile di cui
necessita, favorirebbe la riduzione dell'inquinamento chimico e termico dell'aria e
delle acque (a confronto una centrale termoelettrica, perdendo circa il 60% della
potenza termica immessa con il combustibile, trasferisce alla sorgente fredda, acqua
di mare o fiume, ingenti quantità di calore, causa di nocive alterazioni
microclimatiche).
La micro-cogenerazione, ovvero, la produzione combinata di energia elettrica e di
calore, è il modo più efficiente e competitivo di realizzare tale produzione. Gli
sviluppi tecnologici puntano a minicentrali molto efficienti con un minimo impatto di
emissioni e di rumore, completamente automatiche e telegestite. I sistemi
attualmente disponibili utilizzano motori a combustione interna, microturbine, motori
stirling e in futuro fuel cell. Ma la produzione combinata di elettricità e calore può
realizzarsi anche con impianti di taglia superiore a 10 Mw. E’ questo il caso della
media e grande cogenerazione che per le sue caratteristiche (grandi fabbisogni di
calore ad alte temperature), interessa prevalentemente le applicazioni industriali. Tra
i vantaggi che consentono di ottenere gli impianti di maggiori dimensioni, il più
importante è il raggiungimento di elevati rendimenti, tali da eccedere di gran lunga i
fabbisogni dell’utenza anche quando si tratta di stabilimenti industriali di grandi
dimensioni. Per i fruitori, ciò si traduce nella possibilità di vendita di tale eccedenza.
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
23
La quota di cogenerazione rispetto al totale termoelettrico è attualmente in crescita
ed il potenziale di penetrazione nel 2010 si stima superiore al 30%.
Il raggiungimento di questi livelli dipende, però, dal superamento delle barriere di
tipo normativo e autorizzativo, dall’adeguatezza della remunerazione dell’energia
immessa in rete e dal miglioramento delle prestazioni delle tecnologie disponibili.
L’altro grande ambito di interesse nella fase della generazione è l’utilizzo delle fonti
rinnovabili. Per capire la natura delle problematiche legate alla loro diffusione vanno
distinte le fonti rinnovabili “tradizionali” e quelle “nuove”. Le prime comprendono
l’idroelettrico di grandi dimensioni (sopra i 10 Mw di potenza istallata) il cui
potenziale è stato quasi interamente sfruttato nei Paesi industrializzati; le seconde, il
solare fotovoltaico, l’eolico, la biomassa e il mini-idro.
Alle potenzialità di diffusione di queste ultime si è cominciato a guardare con
particolare interesse all’indomani del primo shock petrolifero nel 1973. Tale
interesse è andato crescendo negli anni successivi, a seguito dello sviluppo
tecnologico che ha reso sempre più fattibile il loro sfruttamento, e dell’attività
normativa che ha introdotto una serie di vincoli e sistemi di incentivazione al loro
utilizzo.
Quanto a questi ultimi, il decreto 79/99 prevede l’obbligo per i produttori e importatori
di energia elettrica di immettere nel sistema elettrico nazionale una quota di energia
prodotta da fonti rinnovabili pari al 2% dell'energia elettrica prodotta o importata
nell'anno precedente. Tali soggetti possono adempiere il suddetto obbligo anche
acquistando, in tutto o in parte, l'equivalente quota o i relativi diritti, denominati
certificati verdi, da altri produttori o dal GRTN.
Tale decreto innesca un vero e proprio mercato in cui la domanda deriva dall’obbligo
posto a carico dei produttori e importatori di cui sopra e l’offerta è rappresentata dai
certificati verdi emessi a favore di impianti privati che hanno ottenuto la
qualificazione IAFR dal Gestore della rete, così come dai certificati verdi che il
GRTN stesso emette a proprio favore a fronte dell’energia prodotta dagli impianti
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
24
Cip 6. I certificati verdi sono, di fatto, un titolo al portatore il cui valore finale risulta
determinato dalla contrattazione bilaterale tra soggetti detentori - produttori di
energia da fonte rinnovabile - e soggetti obbligati all'acquisto - produttori o
importatori di energia elettrica prodotta con fonti fossili convenzionali - nei limiti
previsti dalle normative. Essi possono, inoltre, essere acquistati anche da soggetti
terzi (cosiddetti traders) interessati alla loro compravendita a meri fini speculativi.
Il GRTN, società del Ministero del Tesoro, opera come gestore e garante del
corretto funzionamento del mercato.
Un’ulteriore novità nel panorama energetico è rappresentata dai certificati bianchi introdotti con D.M. 20 Luglio 2004 per incentivare il risparmio energetico.
Si tratta di titoli rilasciati dal GME a partire dal 2006 alle aziende distributrici con più
di 100.000 utenti attestanti il rispetto dell’obbligo di risparmio energetico posto a loro
carico, a parità di servizio offerto. Tale provvedimento si fonda sul presupposto che i
distributori possono avere un ruolo chiave nell’efficienza energetica in quanto hanno
un rapporto diretto con gli utenti e possono quindi intervenire sulle loro modalità di
consumo.
I certificati bianchi, di valore pari alla riduzione dei consumi conseguita, possono
essere scambiati tramite contratti bilaterali oppure all'interno di un apposito mercato
(Borsa), regolato dal GME. La possibilità di compravendita dei titoli permette ai
distributori di "acquistarli" da società di servizi energetici indipendenti, le cosiddette
Esco, contenendo i costi complessivi ma garantendo insieme il raggiungimento del
grado di efficienza stabilito. L’obbligo di risparmio energetico, non dovendo incidere
sui ricavi delle imprese distributrici, è coperto, in parte, dalle componenti tariffarie e,
in parte, con contributi delle Regioni. Con i certificati bianchi si intende ottenere un
risparmio energetico pari a 2,9 milioni di tep (tonnellate equivalenti di petrolio) entro
il 2009.
Per quanto riguarda il grado d’apertura del mercato, nel comparto della generazione
operano circa 500 soggetti (compresi gli autoproduttori). Tale numero non è tuttavia
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
25
sintomatico di una situazione di frammentazione del mercato. Al contrario, circa
quattro quinti della produzione nazionale d’energia elettrica provengono da impianti
che fanno capo a sei gruppi industriali. In particolare, nel 2003, l’Enel, attraverso le
due società controllate Enel Produzione ed Enel Green Power, ha contribuito al
49,4% della produzione nazionale netta (46,4% per ENEL Produzione a cui si deve
aggiungere il 2,9% di ENEL Green Power); il secondo produttore è risultato Edison
che, con le sue controllate, ha prodotto il 12,3% dell’energia netta; seguono
Edipower, 7,6%1, Endesa Italia, 6,4%, Tirreno Power, 2,3% ed EniPower, 2%.
L’ingresso di nuovi operatori, è reso difficile dalla scarsissima disponibilità di potenza
a loro disposizione, dall’eccessiva burocratizzazione per l’ottenimento delle
autorizzazioni e successiva realizzazione di nuovi impianti e dalle incertezze sul
ritorno degli investimenti da parte degli operatori e degli enti finanziatori.
Per favorire la concorrenza, secondo l’Autority per l’energia elettrica e il gas, l’Enel
dovrebbe aumentare le linee e le interconnessioni con l’estero e favorire
l’insediamento di nuovi poli di produzione nelle zone deficitarie rispetto alla
domanda. Nei prossimi anni, il completamento dei lavori di conversione a ciclo
combinato degli impianti ceduti dall’Enel e le previste realizzazioni di nuovi impianti
da parte di operatori nazionali ed esteri dovrebbero contribuire ad una decisiva
evoluzione in senso concorrenziale.
4.2 Trasmissione e dispacciamento
Le attività di trasmissione e dispacciamento sono riservate allo Stato e attribuite in
concessione al Gestore della Rete. La necessità di assicurare in ogni istante il
bilanciamento tra domanda e produzione di energia elettrica, nonché il rispetto della
capacità massima di rete (cioè il non superamento del valore massimo di flusso di
potenza consentito dalle linee) impone un’attività di programmazione e un controllo
continuo a garanzia dell’affidabilità, sicurezza e qualità (misurata, quest’ultima in
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
26
termini di continuità del servizio) del sistema elettrico che solo un soggetto a ciò
preposto può garantire.
4.3 Distribuzione
E’ stata invece liberalizzata, pur se parzialmente, l’attività di distribuzione. Il
decreto 79/99 prevede, infatti, che le imprese distributrici già operanti continuino a
svolgere la propria attività sulla base di concessioni rilasciate dal Ministero
dell'Industria e che scadranno il 31 dicembre 2030. A partire da questa data, il
servizio di distribuzione sarà affidato alle imprese sulla base di gare, nel rispetto
della normativa nazionale e comunitaria in materia d’appalti pubblici. Ai fini della
razionalizzazione del sistema, lo stesso decreto dispone che per ogni comune
venga rilasciata una sola concessione (pertanto, nei comuni in cui operano più
soggetti, si devono adottare iniziative per la loro aggregazione); che le società di
distribuzione partecipate dagli enti locali possano chiedere all’Enel la cessione dei
rami d’azienda dedicati al servizio di distribuzione nei comuni in cui tali società
servano almeno il 20% delle utenze; che le imprese distributrici che forniscono più di
300.000 clienti finali provvedano alla separazione societaria relativa alle attività di
distribuzione e vendita dalle altre attività nella filiera elettrica.
La distribuzione è un servizio di rete, mentre la vendita di energia elettrica
rappresenta l’attività commerciale nei confronti dell’utenza. Per quanto riguarda il
nuovo ordinamento tariffario per i clienti domestici, secondo quanto disposto
dall’Autorità, la tariffa elettrica deve essere formulata in modo tale da ricondurre il
prezzo dell’energia al costo riconosciuto alle imprese di distribuzione così da
permettere una certa flessibilità nei rapporti fra le stesse e i clienti. Il prezzo finale
pagato da ciascun cliente domestico deve, quindi, comprendere componenti
tariffarie a copertura di costi di generazione, di costi di trasporto (trasporto
dell'energia dal sito di produzione sino all'abitazione del cliente), di costi commerciali
e di misura (attività commerciali connesse alla vendita quali la fatturazione, la lettura
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
27
del contatore, ecc.), di costi sostenuti per gli interventi effettuati sul sistema elettrico
nel suo complesso per realizzare finalità di interesse dell'intera collettività nazionale,
quali obiettivi di carattere sociale, ambientale e uso efficiente delle risorse (attività di
ricerca e sviluppo, promozione delle energie rinnovabili, ecc.). I distributori possono
offrire una gamma di possibilità tariffarie a fronte dell'erogazione di servizi elettrici
diversi purché tali ulteriori tariffe siano offerte in modo non discriminatorio a tutti i
clienti appartenenti alla tipologia d’utenza (ovvero, utenza residenziale e non, a loro
volta distinte secondo la quantità d’energia consumata), purché rispettino il codice di
condotta commerciale che garantisce trasparenza e correttezza nei confronti dei
clienti vincolati, e, purché, siano presentate annualmente all'Autorità dell’Energia
Elettrica e del Gas per la verifica e l’approvazione.
Poiché gli esercenti dell’attività di distribuzione rappresentano l’unico collettore dei
proventi per la remunerazione del servizio di trasporto su tutte le reti, essi devono
cedere al Gestore della Rete di Trasporto Nazionale e ai gestori delle reti di
distribuzione la quota di competenza dei ricavi derivanti dall’erogazione del servizio
di trasporto sulle loro reti. In particolare, i distributori devono corrispondere una
quota dei proventi al Gestore della Rete a copertura dei costi sostenuti per la
trasmissione e una quota ai titolari d’impianti di generazione connessi in media e
bassa tensione alla rete.
Particolare importanza riveste, poi, la valutazione del livello di qualità del servizio:
periodicamente l’Autorità per l’energia elettrica e il gas effettua un monitoraggio
sull’attività di distribuzione da cui desume gli standard qualitativi del servizio erogato
e stabilisce uno schema di premi e di sanzioni. I premi sono riconosciuti sottoforma
d’adeguamenti tariffari per il recupero dei costi sostenuti per incrementare l’attività
del servizio. Gli standard qualitativi relativi al servizio elettrico riguardano la
continuità della fornitura, i livelli di tensione e frequenza e la qualità commerciale del
servizio. Per quanto riguarda la continuità della fornitura gli indicatori caratteristici di
performance sono la frequenza e la durata delle interruzioni. Relativamente alla
frequenza, il principale intervento per migliorare la performance del sistema risiede
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
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nell’interramento delle linee, che riduce l’esposizione agli eventi atmosferici,
diminuendo le interruzioni e il deterioramento tecnico delle linee e delle
apparecchiature. E’ presumibile che in futuro saranno effettuati, in quest’ambito,
investimenti significativi e che, quindi, si creino nuove opportunità di business.
Attualmente le imprese che in Italia svolgono l’attività di distribuzione sono meno di
200. Il settore è caratterizzato da una forte concentrazione della quota di mercato
relativa alle prime 10 imprese e dalla presenza di un altissimo numero di piccoli
operatori, oltre 150, che insieme servono meno dello 0,5% del mercato. Enel
Distribuzione, con una quota dell’88%, anche dopo la cessione delle reti alle
municipalizzate, è la principale impresa del settore.
Tale scenario è destinato a mutare nei prossimi anni, come dimostrano le alleanze,
le operazioni di fusione e le costituzioni di consorzi fra le piccole e medie imprese in
atto (ne costituisce un esempio l’accordo di joint venture per la commercializzazione
d’energia elettrica ai clienti finali del mercato retail siglato da Endesa e Merloni).
Anche in questa fase le dinamiche del mercato sono fortemente influenzate dagli
investimenti nelle infrastrutture della rete di cui l’Enel possiede l’80%.
Ad esclusione dei clienti vincolati, ovvero dei soggetti tenuti fino al 2007 ad
approvvigionarsi rivolgendosi ai distributori che operano nell’ambito territoriale di loro
appartenenza sulla base di un trattamento tariffario regolamentato dall’Autorità per
l’energia elettrica e il gas e relativamente ai quali il Decreto 79/99 affida
all’Acquirente Unico la funzione di acquistare energia, tutti gli operatori (ovvero, le
imprese distributrici e i grossisti, limitatamente all’energia consumata da clienti
idonei; i clienti finali il cui consumo supera 1GWh in ciascun punto misura
considerato e 40 GWh come somma dei punti di misura; produttori, importatori,
esportatori) possono effettuare l’acquisto e la vendita di energia elettrica
attraverso la borsa elettrica, ovvero, ricorrendo a contrattazioni bilaterali.
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
29
Fig 4 Assetto del mercato liberalizzato
Fonte: AICARR
Per l’acquisto e la vendita di energia elettrica il decreto legislativo 79/99 prevede, in
particolare, un mercato organizzato (c.d. borsa elettrica) gestito dal GME Spa
composto da un mercato del giorno prima (MGP) e un mercato di
aggiustamento(MA); un mercato non organizzato in cui gli operatori concludono
contratti non standardizzati di compravendita di energia elettrica (cosiddetti contratti
bilaterali); l’attribuzione al GRTN della responsabilità della sicurezza del sistema
elettrico e del servizio di dispacciamento dell’energia elettrica, ruolo svolto anche
attraverso un apposito mercato denominato mercato per il servizio di
dispacciamento (MSD).
Sia i contratti di compravendita di energia elettrica conclusi in borsa che i contratti
bilaterali si configurano come acquisti e vendite di energia elettrica a termine, in
quanto hanno ad oggetto impegni di acquisto e vendita riferiti ad istanti temporali
successivi: nel caso della borsa, il riferimento è ciascuna ora del giorno successivo a
quello di negoziazione, mentre nel caso dei contratti bilaterali il riferimento si sposta
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
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su un orizzonte temporale più lungo, solitamente l’anno. Dato il differente orizzonte
temporale, anche le modalità di determinazione del prezzo di valorizzazione
dell’energia elettrica sono differenti. In borsa si ha una valorizzazione su base oraria,
mentre nei contratti bilaterali il prezzo è di norma determinato al momento della
conclusione del contratto per tutta la durata del medesimo.
Poiché il bene scambiato nel mercato organizzato e con contratti bilaterali è
omogeneo, i prezzi dei contratti bilaterali e quelli di borsa sono tra loro connessi.
Innanzitutto, poiché i clienti possono acquistare anche nel mercato organizzato, i
prezzi dei contratti bilaterali sono determinati in funzione della curva dei prezzi attesi
di borsa (cosiddetta curva forward dei prezzi); inoltre, poiché il contratto bilaterale
consente al cliente di stabilizzare il prezzo su un orizzonte temporale predefinito, la
valorizzazione dell’energia elettrica nei contratti bilaterali include anche la copertura
dal rischio connesso con la volatilità del prezzo.
Va tuttavia sottolineato che anche coloro che acquistano o vendono energia elettrica
nella borsa elettrica possono stabilizzare il prezzo dell’energia elettrica ricorrendo
alla stipula di appositi contratti di copertura, tipicamente contratti alle differenze
(CFD). Ad esempio, attraverso la conclusione dei contratti alle differenze detti a due
vie i relativi contraenti si coprono dal rischio di volatilità del prezzo dell’energia che si
verrà a determinare sul MGP attraverso la definizione ex ante di un prezzo fisso
valido per entrambi i contraenti ad una data futura. Infatti, lungo l’arco di tempo di
durata del contratto, se il prezzo di mercato effettivamente registrato sul MGP
risulterà superiore al prezzo fissato dal CFD, una parte (il produttore) corrisponderà
all’altra (il consumatore) la differenza tra i due prezzi. Se, invece, il prezzo di
mercato sarà inferiore a quello del CFD, graverà sul consumatore l’onere di
corrispondere la relativa differenza al produttore. Per quanto sopra detto, l’acquisto
di energia elettrica attraverso contratti bilaterali quindi è integralmente replicabile, in
termini di copertura del rischio, attraverso la compravendita di energia elettrica nella
borsa elettrica e la conclusione di contratti alle differenze a due vie.
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
31
Con riferimento alla disciplina di funzionamento sia del mercato elettrico organizzato
che dei contratti bilaterali, le disposizioni attuative del decreto legislativo n. 79/99
hanno previsto che:
• Al fine di gestire e risolvere le congestioni di rete, ovvero delle situazioni per le
quali i vincoli di rete non consentono l’esecuzione dei programmi di immissione di
energia elettrica definiti sulla base di un ordine di merito economico, il mercato
dell’energia elettrica sia diviso in zone di rete corrispondenti ad aree territoriali;
• Le offerte di vendita accettate nel MGP siano valorizzate al prezzo d’equilibrio
della zona in cui avviene la corrispondente immissione dell’energia elettrica in
rete;
• Le offerte d’acquisto accettate nel MGP siano valorizzate, indipendentemente
dalla zona dove tali prelievi avvengono, ad un prezzo unico nazionale
determinato come media dei prezzi zonali, ponderata sulla base dei consumi
(PUN).
La gestione delle congestioni nella rete rilevante, attraverso la suddivisione del
mercato in zone e l’applicazione di prezzi di vendita differenziati geograficamente,
consente l’assegnazione efficiente
del diritto di utilizzo della capacità di trasporto, ovvero permette di selezionare già
nel MGP gli impianti di produzione che soddisfano la domanda al minor costo
variabile, compatibilmente con i vincoli di rete.
In tale contesto, i produttori ricevono anche corretti segnali di prezzo e s’incentiva,
nel lungo periodo, la localizzazione efficiente degli impianti di produzione. La
separazione del mercato in zone ai fini della gestione delle congestioni di rete rende,
inoltre, esplicito il valore economico della capacità di trasporto tra le zone
medesime, pari alla differenza tra i prezzi di equilibrio delle zone considerate, ai fini
di una valutazione quantitativa dei benefici economici legati allo sviluppo della rete di
trasmissione nazionale.
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
32
La separazione del mercato in zone ai fini della risoluzione delle congestioni di rete,
comporta l’applicazione di corrispettivi d’utilizzo della capacità di trasporto alle
immissioni d’energia elettrica in rete. A riguardo, la disciplina per il dispacciamento
adottata da AEEG prevede che, nel caso di separazione del mercato in zone, i
titolari di contratti bilaterali, in qualità d’operatori di mercato che cedono energia
elettrica siano assoggettati ad un corrispettivo per l’utilizzo della capacità di trasporto
pari alla differenza tra il PUN ed il prezzo di vendita dell’energia elettrica nella zona
in cui avviene l’immissione. Tale corrispettivo può assumere valore sia positivo che
negativo. Nel primo caso, il titolare del contratto bilaterale è tenuto al pagamento del
predetto corrispettivo a favore del GRTN. Nel secondo caso, il titolare del contratto
bilaterale è beneficiario del corrispettivo da parte del GRTN.
Il corrispettivo d’utilizzo della capacità di trasporto pone i contratti bilaterali in
condizioni di parità di trattamento rispetto alle vendite ed agli acquisti di energia
elettrica effettuati sulla borsa elettrica. S’instaura, quindi, una “competizione” tra le
due forme di mercato a tutto beneficio dell’efficienza delle negoziazioni e della
riduzione dei costi per la conclusione e la gestione delle transazioni.
Come si è detto, in presenza di congestioni di rete, l’energia elettrica venduta ed
immessa in rete in una determinata zona è valorizzata ad un prezzo zonale diverso
dal PUN, mentre al PUN viene valorizzata l’energia elettrica acquistata (ovvero è
implicito nelle modalità di liquidazione dei prezzi di equilibrio di mercato
l’applicazione del corrispettivo di utilizzo della capacità di trasporto).
Il corrispettivo d’utilizzo della capacità di trasporto può essere scomposto in due
componenti: una componente corrispondente al costo delle congestioni di rete, pari
alla differenza tra la valorizzazione, ai corrispondenti prezzi zonali, dell’energia
elettrica prelevata dalla rete e dell’energia elettrica immessa in rete; una
componente compensativa pari alla differenza tra la valorizzazione, rispettivamente
al PUN ed a prezzi zonali dell’energia elettrica prelevata dalla rete. La somma delle
due componenti risulta pari al corrispettivo di utilizzo della capacità di trasporto. In
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
33
presenza di un prezzo unico nazionale di valorizzazione dell’energia elettrica
acquistata, la componente compensativa risulta necessaria in quanto la differenza
tra prezzo riconosciuto ai produttori e prezzo pagato dagli acquirenti avrebbe
altrimenti consentito arbitraggi da parte degli operatori localizzati nella stessa zona:
a titolo di esempio, in assenza di tale intervento correttivo, un consumatore e un
produttore di una zona a basso costo avrebbero l’incentivo a realizzare la fornitura
attraverso un contratto di compravendita al di fuori del sistema delle offerte ad un
qualsiasi prezzo compreso tra il valore atteso del prezzo zonale e il valore atteso del
prezzo unico nazionale, dividendosi la rendita che deriva dalla predetta differenza di
prezzi. Per effetto di tale arbitraggio, tutti i consumatori delle zone con valore atteso
del prezzo zonale più basso opterebbero per la fornitura attraverso contratti
bilaterali, mentre i soli consumatori delle zone con valore atteso del prezzo zonale
più alto parteciperebbero al mercato elettrico. Di conseguenza, il PUN
convergerebbe alla media dei prezzi delle zone con valore atteso di prezzo zonale
più alto.
Per le predette ragioni il corrispettivo di utilizzo della capacità di trasporto si applica
anche ai contratti bilaterali con punti di immissione e di prelievo nella stessa zona.
La previsione di un prezzo di acquisto unico nazionale, anche in presenza di
congestioni di rete e di prezzi di vendita differenziati geograficamente, e,
conseguentemente, di un corrispettivo a cui sono assoggettati i titolari di contratti
bilaterali implica che sia i partecipanti al MGP sia i titolari di contratti bilaterali siano
esposti al rischio derivante dalla variabilità delle differenze tra il PUN ed i prezzi
zonali di vendita.
Come appena rilevato tale rischio equivale a quello derivante dalla variabilità del
corrispettivo di utilizzo della capacità di trasporto. Al fine di offrire agli operatori di
mercato opportunità di copertura del rischio derivante dalla volatilità del corrispettivo,
l’AEEG ha promosso lo sviluppo di strumenti di copertura di predetto rischio,
denominati CCC.
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
34
I CCC, ceduti dal Grtn attraverso procedure concorsuali, possono qualificarsi come
contratti per l’assegnazione di diritti di utilizzo della capacità di trasporto con
corrispettivo fisso, predeterminato e indipendente dalla valorizzazione spot del
corrispettivo di utilizzo della capacità di trasporto. I CCC non hanno pertanto
propriamente una natura assicurativa o finanziaria bensì sono da intendersi come
integrazione del contratto di dispacciamento. Semplicemente, consentono una
valorizzazione a termine di un bene, il corrispettivo per l’assegnazione dei diritti di
utilizzo della capacità di trasporto. Ovvero l’introduzione dei CCC consente ai
soggetti produttori di stabilire con anticipo il flusso dei ricavi e dei costi conseguenti
alle immissioni di energia elettrica nel sistema elettrico nazionale. I CCC, o strumenti
analoghi, sono stati introdotti in molti Paesi esteri che hanno adottato un disegno di
mercato caratterizzato da un’articolazione locale (zonale o nodale) dei prezzi.
Lo sviluppo degli strumenti quali contratti alle differenze o CCC, così come quello di
eventuali strumenti analoghi, è di rilevante importanza al fine di incentivare
l’ingresso di nuovi operatori e l’incremento degli scambi nel mercato organizzato,
grazie alla possibilità di trovare forme di copertura dai rischi temporali e zonali.
Tuttavia, entrambi i contratti implicano la fissazione di prezzi il cui livello è esposto al
potere negoziale delle parti; tali strumenti, pertanto, coprono i rischio di volatilità dei
prezzi dell’energia, ma non eliminano il problema dell’esercizio di potere di mercato
e di sfruttamento di eventuali posizioni dominanti.
4.4 Importazione ed esportazione
Le attività di importazione ed esportazione sono condizionate dalla capacità di
trasporto delle linee elettriche di interconnessione con i Paesi confinanti.
Tale capacità, con riferimento alle importazioni, ammonta a 40 miliardi di KWh
all'anno (ca.15% del fabbisogno energetico totale) di cui poco più di 20 destinati al
mercato libero. In base alla delibera 219/00, metà della capacità disponibile sulle
frontiere è riservata alle compagnie elettriche estere proprietarie delle reti confinanti
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
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con il nostro paese, mentre il restante 50% è attribuito dal GRTN agli operatori
nazionali, secondo modalità stabilite dall'Autorità.
La quota di capacità assegnabile annualmente, come determinata dal GRTN, è
attribuita a clienti idonei o finali e a consorzi di clienti finali in grado di assicurare il
completo utilizzo della capacità assegnata per almeno l’80% delle ore annue, pena
la decadenza dell’assegnazione.
Tutte le domande inoltrate dagli operatori al Gestore sono accolte ma, nell’ipotesi in
cui esse superino la effettiva disponibilità, vengono proporzionalmente ridotte fino a
rientrare nei limiti della capacità disponibile. Nessun operatore, in ogni caso potrà
disporre più del 5% della capacità di importazione sul complesso delle frontiere e
del 10% su ciascuna di esse. Inoltre, i clienti idonei finali non possono chiedere
quantitativi superiori alla propria capacità di consumo.
Attualmente l’importazione soddisfa il 14% della domanda interna di energia con
pieno utilizzo delle interconnessioni. A partire dagli anni ’80 il saldo negativo degli
scambi di energia con l’estero è triplicato: gli interconnettori internazionali,
trasportando energia proveniente in prevalenza da impianti elettronucleari, hanno
infatti reso più conveniente le importazione rispetto alla produzione interna.
Inizialmente imputabile all’insufficiente offerta interna, l’incremento degli acquisti
dall’estero oggi è dunque imputabile in prevalenza alla sospensione dei programmi
di sviluppo dell’energia nucleare sul territorio nazionale.
5. Il ruolo degli enti locali nel mercato elettrico
Il rapporto tra i ruoli del Governo e delle Regioni e la continua ricerca di un equilibrio
tra di essi rivestono un ruolo importante nelle diverse scelte energetiche a livello
locale.
Le incertezze sulla divisione delle competenze derivanti dalla riforma del titolo V
della Costituzione, secondo cui allo Stato stabilisce i principi generali mentre alle
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
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Regioni spetta legiferare sulle norme di dettaglio, ha finora condotto ad affrontare le
problematiche energetiche attraverso soluzioni di emergenza (come ad esempio la
“legge obiettivo” che accelera e semplifica l’iter autorizzativo per la realizzazione
delle infrastrutture di rilevanza nazionale) che il più delle volte hanno rischiato di
incrinare i loro rapporti.
La legge costituzionale n.3 del 2001 ha profondamente innovato il titolo V
introducendo una nuova distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni. Il nuovo
disegno costituzionale individua un elenco di ambiti nei quali spetta solo allo Stato
legiferare; un elenco di materie nelle quali le Regioni possono legiferare purché ciò
avvenga nel rispetto dei principi dettati dallo Stato; infine prevede la potestà
legislativa regionale per tutte le materie non riconducibili a questi due elenchi. Le
ragioni della scelta di una politica energetica unitaria e centralizzata, vanno ricercate
nei dati relativi al fabbisogno energetico nazionale e nei modi di soddisfazione del
medesimo. Nel settore dell’energia elettrica, come detto, l’Italia è strutturalmente
dipendente dalle importazioni non essendo in grado di servire l’intera domanda
nazionale in situazioni di fabbisogno di punta con la produzione interna. Inoltre, la
stessa generazione nazionale è legata per il 70% all’uso di petrolio e metano
(quest’ultimo destinato a crescere fino al 90% nel 2010) i cui prezzi sono soggetti a
frequenti oscillazioni.
Tale dipendenza dalle importazioni, alla quale si aggiunge un parco generazione
piuttosto obsoleto, comportano gravi rischi di approvvigionamento e di disponibilità
di energia ad un prezzo congruo. E’ evidente che la pianificazione degli interventi e
l’adozione delle relative soluzioni per affrontare tale situazione non possono che
essere centralizzate. Di certo, le Regioni sono responsabilizzate nel predisporre un
adeguato piano energetico ma nel fare ciò devono inevitabilmente interagire con i
meccanismi relativi alla pianificazione del sistema elettrico complessivo sia per
quanto concerne le infrastrutture, sia per il parco di generazione.
I Quaderni di Sviluppo Lazio – Anno II – Numero 1
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La legge vigente attribuisce allo Stato la competenza in materia di programmazione,
progettazione, esecuzione e manutenzione di grandi reti infrastrutturali dichiarate di
interesse nazionale con legge statale, come pure la valutazione tecnico-
amministrativa dei relativi progetti. In particolare, la competenza ad assumere le
decisioni in materia di manutenzione, gestione e sviluppo della rete di trasmissione
nazionale spetta al GRTN, nel rispetto degli indirizzi del Ministero delle attività
produttive in materia di sviluppo della rete, fermo restando il coinvolgimento delle
Regioni interessate in ordine agli aspetti di localizzazione, razionalizzazione e
sviluppo delle reti locali.
E’, invece, di esclusiva competenza degli enti locali l’autorizzazione alla costruzione
di elettrodotti con tensione normale sino a 150 kV e relativa valutazione tecnico-
amministrativa e attività consultiva sui progetti.
Analogamente, nel settore del gas competono allo Stato le funzioni amministrative
concernenti le reti di interesse nazionale di oleodotti e gasdotti e, più precisamente,
al Ministero delle Attività produttive la programmazione a lungo termine del sistema
nazionale del gas.
Anche in materia di costruzione di impianti di produzione di energia la disciplina
vigente segue la distinzione tra impianti dimensionalmente o qualitativamente di
rilevanza statale e impianti di rilevanza locale. Competono, cioè, allo Stato le
funzioni amministrative concernenti la costruzione e l’esercizio degli impianti di
produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici; alle province
l’autorizzazione alla installazione e all’esercizio degli impianti di generazione
elettrica di potenza inferiore ai 300MW, fermo restando il rispetto delle linee di
indirizzo e di coordinamento previste dai piani energetici regionali; alle Regioni le
funzioni amministrative in materia di impianti di potenza superiore a tale soglia che
producono energia da fonti rinnovabili di energia e da rifiuti.
In materia di tutela dell’ambiente e del territorio, particolare importanza rivestono le
leggi sulle competenze relative alla valutazione dell’impatto ambientale (VIA) per le
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ripercussioni che esse hanno sull’installazione e l’esercizio degli impianti di
generazione elettrica. Esse sono ripartite tra diversi livelli. Lo Stato è competente ad
effettuare la VIA in relazione a quei lavori di particolare rilevanza qualitativa e
dimensionale, quali, progetti di ricerca e di coltivazione di idrocarburi e progetti con
impatto ambientale transfrontaliero. Le Regioni e le Province autonome sono
competenti, in linea generale, per la VIA in tutti i casi in cui non sussista competenza
statale e a loro incombe la responsabilità di assicurare che l'attuazione della
procedura di VIA avvenga nel rispetto delle disposizioni della Comunità Europea.
Esse sono inoltre competenti a individuare l'autorità competente in materia di VIA e
l'organo tecnico competente allo svolgimento dell'istruttoria e possono delegare tali
procedimenti alla competenza degli enti locali per particolari tipologie progettuali.
Alle Regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano spetta, poi, la definizione
delle materie attinenti alla VIA, nonché delle modalità per l'armonizzazione delle
procedure nei casi in cui la realizzazione del progetto prevede specifici pareri, nulla
osta, autorizzazioni e assensi da amministrazioni non statali.
La procedura di VIA coinvolge numerosi soggetti tanto privati che pubblici, tanto
statali che locali. Ad esempio, la disciplina della VIA regionale coinvolge nel
procedimento tutte le autorità che possono essere interessate al progetto per la loro
specifica responsabilità in materia di ambiente e il pubblico interessato. In altre
parole, chiunque può presentare osservazioni scritte all'autorità competente sui
possibili effetti dell'intervento, in relazione alle caratteristiche del progetto e della sua
localizzazione. Devono, inoltre, essere coinvolti nella procedura Provincia e Comuni
interessati cui deve essere trasmessa la domanda completa di copia del progetto e
dello studio di impatto ambientale, che devono esprimere il proprio parere entro
sessanta giorni dalla data di trasmissione. La VIA, inoltre, prescinde dalla
valutazione dell’utilità dell’impianto in relazione alle esigenze del mercato e mira a
determinare le conseguenze che lo stesso avrebbe sul territorio e sulle popolazioni.
Tali fattori, come noto, danno luogo a frequenti conflitti interistituzionali. Basti
pensare, al riguardo, alle scelte pianificatorie circa la generazione sia in ordine alla
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collocazione dei siti, sia per quanto riguarda la gestione di alcuni impianti: non
appena è presentata la domanda per la costruzione di un impianto, nasce un
comitato locale contro il progetto che rischia di non decollare. Per effetto di questa
situazione, al 31 dicembre 2001 erano state presentate 646 domande di
connessione alla rete di trasmissione, necessarie per la costruzione di nuove
centrali per complessivi 114.600 MW, pari quasi a due volte l’attuale potenza
installata sul territorio nazionale. Si ricorda, al riguardo, la situazione di stallo, ancora
in atto, del progetto “Alto Adriatico” promosso dalle società Eni - Div. Agip, Edison
Gas e British Gas. Le cifre di tale giacimento sono sostanziose: si stima che in loco
siano presenti riserve per circa 28 miliardi di metri cubi di gas naturale, e sia
recuperabile una portata di picco di circa tre miliardi di metri cubi di gas all’anno. Il
progetto prevede lo sviluppo e la messa in coltivazione di circa 15 giacimenti di gas,
mediante la perforazione di circa 83 pozzi e l'installazione di 19 piattaforme fisse per
la produzione, l'iniezione e il monitoraggio della subsidenza. Dichiarato in parte
realizzabile nel ’99 imponendo agli operatori, tra gli altri, molti vincoli ambientali, il
progetto ha preso il via soltanto nel 2000, quando il Ministero dell'Industria ha
accordato all'Eni la concessione di coltivazione di idrocarburi nell'area di 400 Kmq
circa ubicata in Mare Adriatico a sud-est del Delta del fiume Po ad una distanza
media di 20 Km circa dalla costa.
Per superare le descritte situazioni di “paralisi”, è stato emanato il “decreto sblocca
centrali bis” (d.l. 7 febbraio 2002 n.7, convertito in l. 55/2002) che, riportando sotto le
competenze centrali dello Stato e, precisamente del Ministero delle attività
produttive, l’autorizzazione per la costruzione e l’esercizio di impianti con potenza
superiore a 300 MW termici, ha abolito le concessioni e gli tutti gli atti di assenso
degli enti locali previsti dalle precedenti norme.
Inoltre, al fine di coniugare l’esigenza dell’efficienza economica di un sistema
centralizzato con l’obiettivo della devolution e, dunque, con gli obiettivi locali legati al
territorio, all’ambiente, all’equilibrio nello sfruttamento delle risorse, l’opinione
dominante suggerisce di ridimensionare il peso dei “poteri negativi” degli enti locali
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come le potestà autorizzatorie in materia di tutela del territorio, di aumentare quello
dei “poteri positivi” attraverso il loro coinvolgimento nella definizione dei progetti e di
prevedere misure di compensazione a favore delle Regioni e degli enti locali che
ospitano nuove infrastrutture energetiche o infrastrutture oggetto di potenziamento o
trasformazione.
Il ruolo delle Regioni in materia energetica nell’attuale cornice legislativa è destinato
comunque a crescere come dimostra la rilevanza dei Piani Energetici Regionali
(PER).
Il PER costituisce lo strumento di definizione delle linee di politica energetica
regionale e di adozione degli atti di indirizzo e coordinamento per la sua attuazione,
ovviamente nel rispetto degli obiettivi di politica energetica definiti a livello statale.
La competenza del PER comprende il contributo delle Regioni a conseguire gli
obiettivi nazionali di limitazione delle emissioni di gas ad effetto serra posti dal
Protocollo di Kyoto, nonché l’insieme di incentivi volti a favorire l’utilizzo di fonti
rinnovabili e degli impianti idroelettrici.
Il PER è uno strumento flessibile e aggiornabile su base annuale a seconda
dell’evolversi della situazione energetica, sottoposta a costante monitoraggio, e
oggetto di confronto permanente tra gli Enti locali e gli operatori del settore
energetico. Esso si suddivide in tre parti. La prima, denominata “quadro conoscitivo”,
in cui si indicano gli elementi economici, fisici, tecnici che influiscono sulla
formazione del piano, inclusi i c.d. “bilanci energetici” e le indicazioni sulle tendenze
del sistema economico ed energetico regionale. La seconda, definita “piano di
indirizzo”, definisce, sulla base del quadro conoscitivo, le scelte di pianificazione e
programmazione: in essa si individuano gli obiettivi, formulati in base alle priorità di
intervento e le direttive per il loro perseguimento. La terza parte, infine, contiene il
“piano finanziario”, in cui sono dettati criteri per la ripartizione delle risorse, nonché
le modalità per il finanziamento e l’incentivazione delle azioni dei progetti e degli
interventi previsti.
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Lo strumento del PER è destinato a conoscere una duplice espansione: verso l’alto
(o il centro) e verso il basso (o la periferia). Nel primo senso, esso si inserisce nel
processo di aumento del peso delle Regioni nel quadro della politica energetica
nazionale e, per alcuni versi comunitaria, come dimostra il suo utilizzo per la
promozione dell'utilizzo delle fonti rinnovabili, per la diffusione degli impianti di
cogenerazione (specie di quelli alimentati a biomasse), per il contenimento dei
consumi energetici nei settori industriale, artigianale e terziario e la riduzione dei
costi dell’energia attraverso l’installazione di nuovi impianti ad alto rendimento e
l’ammodernamento di quelli esistenti.
Nel secondo senso, il PER è destinato a rappresentare un importante strumento di
allargamento della partecipazione degli Enti locali alle decisioni in materia di
energia. Gli enti locali, infatti, continueranno sempre più ad essere chiamati a
collaborare nella raccolta dei dati di “bilancio energetico”, nella cooperazione alla
loro elaborazione, nella partecipazione attiva alle previsioni sui consumi futuri.
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Sviluppo Lazio
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