Quaderni del Borgoantico-4

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Quaderni del Borgoantico-4 alla scoperte delle dimore storiche di Villa Lagarina 2 Saluto Fabio Giacomelli 3 Presentazione di Sandro Giordani 4 L’ambiente naturale dell’Adige di Lorenzo Betti 5 Il traghetto e il ponte di Villa Lagarina di Antonio Passerini 20 La chiesetta di S. Giovanni Battista al porto di Villa Lagarina di Italo Prosser 32 Il fiume Adige come sistema di trasporto delle merci di Roberto Adami 35 Le fontane pubbliche di Villa Lagarina di Sandro Aita e Roberto Adami 37 Nostalgia d’Adige di una villana “doc” di Antonia Marzani 38 Adige, eterno poeta di Giacomo Bonazza

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Quaderni del Borgoantico-4alla scoperte delle dimore storiche di Villa Lagarina

2 SalutoFabio Giacomelli

3 Presentazionedi Sandro Giordani

4 L’ambiente naturale dell’Adigedi Lorenzo Betti

5 Il traghetto e il ponte di Villa Lagarinadi Antonio Passerini

20 La chiesetta di S. Giovanni Battista al portodi Villa Lagarinadi Italo Prosser

32 Il fiume Adige come sistema di trasporto delle mercidi Roberto Adami

35 Le fontane pubbliche di Villa Lagarinadi Sandro Aita e Roberto Adami

37 Nostalgia d’Adige di una villana “doc”di Antonia Marzani

38 Adige, eterno poetadi Giacomo Bonazza

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Perché una presenza del Consorziodei Comuni del Bacino ImbriferoMontano dell’Adige in questo pre-stigioso momento di valorizzazionedell’omonimo fiume come incontrodi cultura e di amicizia voluto dal-l’Associazione Borgoantico?Perché questo come gli altri Con-sorzi sono istituzionalmente legatiall’acqua e chiamati ad armonizza-re sotto il profilo finanziario e nel-l’interesse delle popolazioni diret-tamente coinvolte il suo valorericonducendolo nel grande temadel rapporto fra economia, societàe ambiente.L’augurio cordiale quindi e l’auspi-cio non può essere che dalle diver-sificate riflessioni vengano cono-scenze appropriate, ma soprattuttostimoli perché entri nel cuore ditutti noi montanari “il valore” diquesto bene primario che è l’acqua.

Fabio Giacomellipresidente del Consorzio dei Comuni

della Provincia di TrentoB.I.M dell’Adige

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CONSORZIO DEI COMUNIDELLA PROVINCIA DI TRENTO

B.I.M. DELL’ADIGE

Saluto

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Nel pensiero comune il fiume Adigenon riveste oggi un ruolo importan-te come in passato; soltanto in rareoccasioni, quando è in piena eminaccia i centri abitati o le colture,riacquista l’importanza che gli erainvece costantemente attribuita neisecoli scorsi. A parte i pescatori chesono necessariamente attenti osser-vatori del fiume, per i più l’Adigepassa del tutto inosservato.Eppure un tempo non era così:lungo il suo corso si svolgevano itraffici, il trasporto delle merci,l’acqua stessa veniva utilizzata siacome irrigazione che come forzaidraulica per muovere le pale deimulini.I traghetti prima, e la realizzazionedei ponti poi, hanno condizionatolo sviluppo urbanistico, economicoe sociale dei paesi rivieraschi. VillaLagarina non è stata estranea aquesto processo; infatti fino atempi relativamente recenti il“port” era un luogo dove fervevauna ricca attività, non solo perchécostituiva un passaggio obbligatoda una sponda all’altra per persone,animali e merci, ma anche perchéera il luogo di produzione dei“coppi” (fornace), attività peraltroagevolata sia dalla presenza dellamateria prima costituita dall’argil-la (“mota”) portata dal fiume, chedal fiume stesso, quale via di tra-sporto. La presenza e il passaggiodi molte persone favorirono il sor-gere di un deposito per le merci, di

un ricovero per gli animali e di unlocale per il ristoro e il pernotta-mento dei viandanti, attività tutt’o-ra svolta dall’albergo Al Ponte. Lapresenza poi della chiesetta dedica-ta a S. Giovanni, successivamenteabbattuta per far posto all’attualestrada, completava il nucleo degliedifici del “Port”.La ricerca storica promossa attra-verso i “Quaderni” non poteva noncomprendere il Fiume Adige e il“Port” di Villa Lagarina, situato inlocalità “Mote”. Tra il Fiume el’antico borgo di Villa non vi eranoin passato barriere di nessun tipo.Dobbiamo immaginare tale spazioprivo di ostacoli quali l’autostrada,la strada provinciale, diversecostruzioni anche di grosse dimen-sioni; una sola, stretta strada dicampagna, probabilmente recintatada muri a secco come si usava untempo, rappresentava l’unico col-legamento tra il “Port” e il Borgo diVilla Lagarina, che configuravanopertanto un’unica entità.L’uomo nel corso degli anni hamodificato l’ambiente fluviale e learee circostanti, piegando alle pro-prie esigenze quanto la natura avevarealizzato. Il fiume ha subito nelcorso dell’Ottocento, oltre ai neces-sari lavori di consolidamento degliargini, un restringimento dell’alveomediamente di 20 metri (da 80 a 60)e una riduzione del suo corso, dallacittà di Merano a Mori, di oltre 8 chi-lometri. Questi dati, ai più scono-

sciuti, devono essere motivo diriflessione sull’utilità di eventualiulteriori interventi antropici.

Una nota aggiuntiva. Le nazioniunite hanno decretato il 2003 “annointernazionale dell’acqua”, invitan-do i paesi più ricchi a promuoverecon maggior convinzione azionivolte alla salvaguardia dell’ambien-te e alla promozione di politiche disviluppo compatibili. Nel suo pic-colo anche l’associazione Borgoan-tico ha colto questo appello, nonsolo individuando nel fiume Adigel’argomento della propria annualericerca storica, ma anche realizzan-do manifestazioni finalizzate allariscoperta del fiume e alla salva-guardia del suo ambiente. In talsenso particolare significato assumela cerimonia simbolica “L’Adigedalla sorgente alla foce”, nel corsodella quale le rappresentanze diCuron Venosta (Graun im Vinsch-gau) e di Chioggia verseranno nellafontana principale di Villa Lagarina,due campioni d’acqua del fiumeAdige, provenienti: uno dalla sor-gente e l’altro dalla foce, per sotto-lineare l’importanza primaria diquesto bene indispensabile per lavita, che deve appartenere a tuttiindistintamente.

Sandro Giordanipresidente Associazione Borgoantico

Presentazione

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Parlare di ambiente naturale facendoriferimento al Fiume Adige, che scorrein una delle valli alpine più antropizzate,può sembrare paradossale, o quantome-no improprio. Non lo è, però, se si tieneconto che nonostante i numerosi e inten-si fenomeni di alterazione e artificializ-zazione che ha subito nel tempo, il mag-giore corso d’acqua che solca il territoriotrentino, secondo per lunghezza solo alPo tra i fiumi italiani, ancora oggi man-tiene una certa complessità ecologica ecostituisce un ecosistema acquatico digrande importanza sia a livello locale,sia più in generale per il territorio alpinoed europeo. Nonostante il più grave tra ifattori di modificazione che nel corso deisecoli lo hanno interessato, infatti, ilfiume, soprattutto nel suo medio corso,riveste un ruolo essenziale come corri-doio ecologico attraverso il tessuto mon-tuoso dell’Arco Alpino.La grande rettifica ottocentesca, di fatto,relegò l’Adige, tra Merano e Mori, in unnuovo alveo molto più stretto, regolare esemplificato rispetto al complesso lettonaturale, fatto di meandri e di ghiareti, dimorte e lanche, di risorgive e ampiegolene. Le conseguenze di quelle grandiopere di deviazione e rettifica fluvialedivennero nei decenni successivi semprepiù stabili e irreversibili, a causa dellaprogressiva occupazione dei terreni dioriginaria pertinenza fluviale. Le ischie,ovvero i tratti di alveo “tagliati” dall’in-tervento artificiale dell’uomo, vennerovia via bonificate e destinate ai piùdiversi utilizzi, inizialmente soprattuttoagricoli, poi molto più vari e complessianche in relazione con le dinamiche diinurbamento del fondovalle.Così, per gran parte del suo corso, che sistima sia ridotto a quasi un terzo dellasua originaria lunghezza, il grandefiume ha perduto molto il contatto con ilterritorio circostante, con conseguenze e

complicazioni di grande entità, legatealla riduzione dello scambio con le faldeacquifere, agli aumentati rischi di eson-dazione catastrofica in fase di piena, allaquasi completa eliminazione dei boschiripariali e, in generale, alla riduzione didiversità dell’ambiente fluviale e peri-fluviale.Altri fattori di alterazione, poi, si sonoaggiunti al “peccato originale” dellagrande rettifica: a partire dagli anni Ventidel Novecento il fiume ha cominciato asubire gli effetti dello sfruttamentointensivo delle sue acque e dei suoi tri-butari a scopo di produzione idroelettri-ca con una generale modificazione delregime naturale delle portate. Oggi leportate minime assolute sono menodella metà di quelle originarie; mentre lepiene hanno assunto un carattere cata-strofico dovuto alla generale velocizza-zione dei deflussi nel reticolo idrografi-co di fondovalle.Soprattutto tra gli anni Sessanta e Ottan-ta, poi, si sono fatti sentire i deleterieffetti sulla qualità delle acque dell’in-quinamento diffuso o puntiforme di ori-gine civile, agricola e industriale. Eventistorici quali l’inquinamento del Lavisot-to a Trento Nord ad opera della Sloi odell’Adige a valle di Rovereto per colpadella Siric costituiscono, oggi, un moni-to da non ignorare.Ne emerge un quadro di profonda altera-zione, che è tanto più grave se si tieneconto che il medio corso dell’Adigericeve, attraverso distanze non lunghe, leacque dalle purissime sorgenti montanee le restituisce a valle, nella Pianuraveneta, ad un territorio popoloso e asse-tato.Ciò nonostante, anche grazie a qualchetimido segnale di inversione di tenden-za, l’Adige di oggi mantiene alcuniimportanti valori ecologici, paesaggisti-ci e naturalistici che meritano una parti-

colare tutela. Pur se depressa, infatti, ilcorso d’acqua, tramite una fauna inver-tebrata composta prevalentemente daCrostacei Gammaridi e da larve di inset-ti Tricotteri (volgarmente noti come“fregagne”), continua a svolgere un’im-portante funzione di autodepurazioneche impedisce l’ulteriore scadimentodella qualità ambientale e della risorsaidrica. La recente ripresa numerica dicomponenti più esigenti della fauna ben-tonica, come i Plecotteri del genereDinocras (le “zampegole”) o gli Efeme-rotteri Eptagenidi, sono il segno impor-tante di un certo miglioramento com-plessivo delle condizioni ambientali.Una fauna ittica relativamente abbon-dante e diversificata, d’altra parte, con-ferma che la catena alimentare nel fiumeè ancora sufficientemente strutturata. Inparticolare, la lenta ma evidente ripresadella Trota marmorata, il più tipico eprezioso abitatore endemico delle acquedell’Adige, è un segno importante delvalore naturalistico che, nonostantetutto, il fiume continua a conservare. Epur se lo scambio tra il corso d’acqua e ilterritorio circostante risulta per lo piùreciso dalle rigide arginature che rendo-no pensile l’attuale alveo, e gli sbarra-menti idroelettrici privi di by pass neinterrompono la continuità longitudina-le, ciò nondimeno esso mantiene un’im-portantissima funzione di corridoio flu-viale che rappresenta, tra l’altro, la via ditransito preferenziale per molti uccellimigratori transalpini.Come si vede, quel fiume spesso dimen-ticato, quasi allontanato e relegato in unangolo marginale del territorio, temutoper la potenza distruttiva delle sue piene,è in realtà un ambiente ancora ricco, untesoro da conservare, tutelare e difende-re per il benessere delle popolazioni cheoggi ne abitano le sponde e che le abite-ranno in futuro.

L’ambiente naturale dell’Adigedi Lorenzo Betti

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Lo stretto rapporto esistente traVilla Lagarina ed il fiume Adige hasempre avuto come punto centrale iltraghetto (“port”) e il successivoponte, vale a dire le due entità checonsentivano di superare la naturalebarriera rappresentata dal fiume neiconfronti degli spostamenti verso ilterritorio roveretano. Di seguito sicerca di portare un contributo allastoria di queste due istituzioni ripro-ducendo la documentazione icono-grafica sulle stesse raccolta, oppor-tunamente commentata e presentatauna prima volta sulla terrazza del-l’Albergo Al Ponte nei giorni 6-8giugno 2003, in occasione dellamanifestazione Il fiume in festa,quindi ripetuta per la tradizionale

festa di autunno del Borgoantico (3-5 ottobre 2003), alla quale il presen-te Quaderno è collegato. A questa prima parte, rappresenta-ta sostanzialmente da immaginiche scandiscono i momenti crucia-li delle vicende storiche, segue unsecondo contributo costituito dallapresentazione di alcuni dei princi-pali documenti riguardanti il tra-ghetto (prima investitura del 1489;tariffe in uso alla fine del Seicento;ricavato all’inizio dell’Ottocento)e il ponte (tentativi di costruzionedel 1810 e del 1821; consistenzadel pedaggio di fine Ottocento).La facoltà di poter istituire un servi-zio a pagamento per il trasporto dipersone, animali e merci da una

sponda all’altra del fiume era undiritto esclusivo (“privilegio”) del-l’imperatore, come lo erano peresempio lo sfruttamento delleminiere o l’utilizzo dei bacini d’ac-qua (anche il Lago di Cei). L’impe-ratore “passava” questo diritto,come tanti altri, ai suoi vassalli, nelnostro caso al principe-vescovo diTrento, in cambio di determinatecontropartite stabilite da un apposi-to patto e mediante un atto notarile,detto investitura, magari pubbliciz-zato e solennizzato da una cerimo-nia. Il vescovo a sua volta “passava”con analoghe procedure alcuni diquesti diritti avuti in feudo ai suoivalvassori, quelli che comunementesi chiamano “signori”, o “signorot-ti”, ai quali affidava l’amministra-zione di particolari beni o di porzio-ni di territorio. Ovviamente il“signore” certi suoi diritti, comequello di far funzionare un traghettosull’Adige, non poteva gestirlidirettamente, e quindi li “passava”anche lui in gestione ad altre perso-ne in cambio, di solito, di denaro. I “signori” che comandarono suVilla Lagarina furono, a partire dal1200, i Castelbarco fino al 1456 eda allora i giudicariesi Lodron.Ed è proprio del primo periodo di“signorìa” dei Lodron un’investi-tura che riguarda il traghetto diVilla Lagarina che viene affidatoad un Vicentini (se ne parla inun’altra parte del quaderno).Il primo ponte in legno di VillaLagarina fu inaugurato alla fine del1847. Nell’occasione fu costruitoanche un “casello del dazio”, primonucleo di quello che diventerà l’Al-bergo “Al Ponte”. Questo ponteverrà fatto bruciare dall’autoritàaustriaca nel luglio del 1866 per

Il “porto”, cioè il traghetto, di Villa Lagarina (acquarello di Eduard Gurk del 1840, collezione privata)

Il traghetto e il ponte di Villa Lagarina

Indispensabili servizi di comunicazione tra l’antico borgo e Rovereto

di Antonio Passerini

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Primo ponte in legno (1847-1866)(dipinto di ignoto su un bersaglio per iltiro a segno realizzato in ricordo dellanomina a capitano del Circolo di Rovere-to di Pietro Marzani, giugno 1848, colle-zione privata)

Secondo ponte in legno (1868-1895)(fotografia originale di proprietà di Franco Decarli)

ostacolare un’eventuale avanzataverso Trento di Garibaldi, già arri-vato in Val di Ledro, o di altre trup-pe del Regno d’Italia. Anche ilponte di Ravazzone fu fatto brucia-re in quell’occasione. ASacco inve-ce il ponte non esisteva ancora.Le teste di ponte ed i pilastri pog-giavano su una palafitta conficcatanel letto del fiume e costituitaognuna (due le teste di ponte e duei pilastri, quindi quattro palafitte)

da 60-90 pali di larice legati unoall’altro con cambre e riempitinegli spazi interni con pietre eghiaia. I pali che sostenevano latesta di ponte verso Villa eranodotati di scarpe, vale a dire dipunte di ferro. Queste palafitte,che sostennero i due ponti di legnoe il ponte in ferro, sicuramente esi-stono ancora nel letto del fiume. Il secondo ponte in legno venneinaugurato il 4 giugno 1868. La

presente foto fu scattata presumi-bilmente nel 1895 in occasionedell’inizio dei lavori di demolizio-ne del ponte stesso e di costruzio-ne del ponte in ferroNella ricostruzione furono appor-tate delle modifiche al progetto delprimo ponte, per esempio alzandoil livello della carreggiata e dando-le maggior pendenza.

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Particolare del ponte in ferro con il can-cello del “dazio”. Il “dazio”, cioè ilpedaggio per il passaggio sul ponte di per-sone, di animali e di mezzi di trasporto,venne tolto completamente alla fine del1898. (Proprietà Franco Decarli)

Particolare del cancello, che veniva chiuso di notte. In secondo piano parte di un edificiolaterale della copèra. (Proprietà Franco Decarli)

Sulla sinistra il complesso delle fornaci per laterizi (“copèra”), al centro l’Albergo al Pontecon la “mitica” terrazza, sulla destra la testa del ponte. (Si noti il posizionamento della strut-tura in ferro.). (Proprietà Franco Decarli)

Ponte in cemento (1966) - (Fotografia ori-ginale di Enrico Riolfatti)Una fase dei lavori di costruzione dell’at-tuale ponte in cemento (conclusione lavori1966). La nuova struttura viene costruitaleggermente a valle del ponte in ferro, chesi intravvede sulla destra. In basso, a sini-stra, la passerella per i pedoni

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Gli ultimi anni del ponte in legno. La foto risale probabilmente al 1895. Si sta smantellandoil ponte in legno e si stanno abbassando i piloni per ridurne l’altezza. Nella circostanza dellacostruzione del nuovo ponte viene ripristinato il servizio di traghetto. (Proprietà FrancoDecarli)

Ponte in ferro (1896-1966)(fotografia originale di proprietà di FrancoDecarli)Data probabile della foto: inizio 1896. Sullavecchia struttura in legno è stato posiziona-to il nuovo ponte in ferro, che poi dovràessere abbassato. Le intelaiature realizzatesulla sommità dei piloni (la stessa cosa èstata fatta sulle teste del ponte), che sorreg-gono la nuova struttura in ferro, verrannopoi eliminate pezzo a pezzo appunto perabbassare il ponte nella posizione voluta. Ilpiano sul quale passano le persone e i mezzicorre a metà della struttura in ferro, perquesto l’incavo di appoggio del ponte suipiloni deve essere abbassato.Il ponte in ferro fu costruito dalla dittaGridl di Vienna, la stessa che costruì quel-lo di Ravazzone (Archivio Comunale diVilla Lagarina)

Particolare della testa del ponte sulla sponda destra (verso Villa Lagarina). La struttura inferro non è stata ancora abbassata nell’apposito vano. Il ponte in ferro fu inaugurato il 23maggio 1896. (Proprietà Franco Decarli)

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Foto ricordo sulla riva sinistra dell’Adige. Sullo sfondo il ponte in ferro. (Proprietà Rita Gal-vagni)

Il ponte attuale, in cemento armato, venne inaugurato il 14 agosto 1966. Nell’estate 2003sono iniziati i nuovi lavori di ristrutturazione e consolidamento del ponte.

Particolare del ponte in cemento armato edella testa sinistra del vecchio ponte inlegno e ferro. (Foto Borgoantico)

Particolare della testa sinistra (versoRovereto) dell’antico ponte in legno. (FotoBorgoantico)

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Anni Trenta. Foto di gruppo sulla terrazza dell’Albergo al Ponte. Seduto al centro, con la cravatta, Luigi Coser, il proprietario dell’Albergo,che aveva acquistato l’edificio nel luglio del 1910. Alla sua destra la moglie Anna Stedile.

L’ alluvione del 1966: il fiume Adige ha sommerso la ferrovia. La foto fu scattata alle ore 11del 5 novembre 1966, poco a Nord della stazione ferroviaria di Villa Lagarina. (ProprietàSandro Petrolli)

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La stazione ferroviaria di Villa Lagarina. Anno presunto della foto: 1926, in occasione del passaggio del Re d’Italia. La “Ferrovia del Tiro-lo” fu completata nel 1859 ma la stazione di Villa Lagarina fu finanziata 15 anni più tardi ed inaugurata il 10 luglio 1876. (Proprietà Narci-sa ed Ines Riolfatti)

Primi anni Cinquanta (1950). Festa della classe 1909: foto di gruppo sulla terrazza dell’Al-bergo al Ponte. (Proprietà Narcisa ed Ines Riolfatti)

Primi anni Cinquanta (1950). Festa dellaclasse 1909. Foto all’interno dell’Albergoal Ponte (Proprietà Narcisa ed Ines Riol-fatti).

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[Libera traduzione dal latino, ridu-zione e sottotitolazione a cura diAntonio Passerini.Il documento si trova nella Biblio-teca Civica di Rovereto alla segna-tura 3. 40. 9. (33)]

La cerimonia sulla piazza della pieve, presso la porta della canonica

L’investitura avvenne nell’annodella nascita di Gesù Cristo 1489,lunedì 11 gennaio, nella villa diVilla della valle Lagarina, diocesidi Trento, sulla piazza presso laprima porta della canonica dellapieve alla presenza di molti testi-moni appositamente chiamati tra iquali il cappellano della pieve stes-sa e Giovanni Castelbarco.I magnifici e generosi Martino eAntonio, conti di Lodron e signoridi Castel nuovo e di Castellano,agendo per se stessi e per i lorosuccessori, “investirono” (cioèaffidarono con investitura) Anto-nio figlio del defunto DomenicoVicentini abitante della villa (cioèpaese) di Villa della conduzionedel porto situato sull’Adige pressola chiesa di San Giovanni.

Una libbra di pepe ad ogni rinnovo di contratto

Il contratto di locazione perpetuaandava di 19 in 19 anni ed era rin-novabile. Ad ogni rinnovo i signo-ri Lodron avrebbero percepitocome regalia, oltre all’affittoannuale, una libbra di pepe (circa3,3 etti, che dovevano essere unapiccola “fortuna”), secondo la con-

suetudine delle altre investiture.Durante la cerimonia dell’investi-tura Antonio Vicentini era inginoc-chiato e teneva in mano rametti dialloro. Egli espose la sua richiestacon espressioni di devozione. Ognipromessa e giuramento che eglifaceva valevano non solo per luima anche per suoi eredi.

I doveri del conduttore del“porto” e tariffe oneste

L’investitura prevedeva che fosse-ro ben specificati - di fronte aitestimoni - i doveri del conduttoredel “porto”. Egli doveva mettere inservizio un traghetto solido, fornitodi barche, di corde e di ogni altrastrumentazione necessaria al tra-sporto, in condizioni tali da garan-tire sicurezza ad ogni persona cheavesse voluto attraversare l’Adigecon animali, carri ed altre cose. Latariffa del servizio doveva esserequella consueta, e comunque “one-sta”.

Chi era esente dal pagamentodella tariffa di trasporto?

Non tutti erano obbligati a pagare,ed anche questo viene dichiarato especificato in dettaglio nella ceri-monia di investitura davanti aitestimoni. Erano esenti dal pedag-gio i signori Lodron ed i loro suc-cessori di Castel nuovo e di Castel-lano, con tutta la famiglia e tutte lepersone che vivevano nei lorocastelli, ed una serie di altre perso-ne secondo un elenco scritto nel“zornalo” (giornale) e nei libri diCastel nuovo. Fatte salve le clauso-

le del contratto ed i diritti dei“signori”, per il resto i conduttorierano liberi di fare ciò che ritene-vano opportuno, respingendoeventuali pretese di persone, dicomunità, di conventi.

Due ducati d’oro di affitto annuo

L’affitto doveva essere pagato ognianno nel giorno di San Michele (29settembre) o entro gli otto giorniseguenti e consisteva in due ducatid’oro. Se Antonio Vicentini o i suoieredi non l’avessero pagato, ilprimo anno avrebbero pagato ildoppio, il secondo il doppio deldoppio, il terzo la somma da paga-re sarebbe stata triplicata e loroavrebbero perso ogni diritto.

Il diritto si può vendere, ma nonagli ebrei

Se poi i locatori avessero volutoapportare miglioramenti al traghet-to, avrebbero dovuto avvisare isignori Lodron. Ed anche se vole-vano subappaltare il servizio ovendere i diritti acquisiti, doveva-no avvisare i Lodron, i quali anziavevano la precedenza su eventua-li altri compratori, e per di più conun ribasso di 20 soldi rispettoall’offerta massima, veritiera, daparte di terzi. Ma se i Lodron nondavano una risposta entro quindicigiorni, allora i Vicentini erano libe-ri di vendere a chi volevano, esclu-si però i servitori, i militari, i giu-dei, gli ospedali, le chiese, i luoghireligiosi e le persone sospette.

Anno 1489I signori Martino e Antonio Lodron

affidano ad Antonio Vicentini di Villa Lagarina la conduzione del “porto” di San Giovanni

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Si fanno solenni promesse e siimpegnano tutti i propri beni agaranzia del contratto stipulato

La cerimonia di investitura si con-clude con solenni promesse, reci-proche, di mantenere fede ai patti,di non contraffare il testo del con-tratto e di non tirare in ballo, infuturo, scuse o pretesti per mettersia litigare o per cambiare la carte intavola. Le due parti contraenti - iLodron ed il Vicentini - impegnanopoi tutti i loro beni, mobili edimmobili, presenti e futuri, agaranzia del contratto e chi avesseinfranto i patti avrebbe pagatosecondo le leggi. Il contratto è redatto e vidimato dalnotaio, il quale si firma: io Giovan-ni, notaio di Cologna, chiamato aquesto compito, ho scritto La zona del porto di Villa Lagarina nel 1818 in un disegno di Cristoforo Piva (Archivio di

Stato di Trento, Capitanato circol. di Rovereto, busta 65). Sotto un particolare.

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Tariffe del 1685Per una persona, andare e ritornare carantani 1Un Cavallo o Mullo “ 4Una sedia con sotto un Cavallo solo, andare e ritornare “ 6Una sedia con due Cavalli, cioè una a balancino “ 10Una Carrozza, Calesso o Birba o Carretta con due Cavalli “ 10Un Carro di Marcanzia “ 12Un Carro galette (bachi da seta) “ 12Un Carro con Seta da vendere o venduta “ 12Un Asino “ 3Ogni capo d’animali grossi “ 3Ogni capo d’animale minuto Quattrini 3Un Carro andar carico e ritornar non carico Carantani 6Un Carro andare e ritornare carico “ 7Una soma formento “ 2Un Zerlo galette con la persona “ 4Un Zerlo o Conzal di Seta, frutti, Carne o altro con persona “ 4Una Cesta ossia minalla senza manico non ordinaria con la persona “ 4Un Cavallo, Mullo o Somaro con cestoni o Sacchi carico di Seta, galette, Uva od altro “ 6Ogni Lenzuolo galette oltre la mercede degli uomini “ 3Una Cesta da brazzo ordinaria o rozzo d’Uva con la persona “ 3

Che cosa trasportava il traghetto dauna sponda all’altra del fiume? Equanto si pagava?Ce lo dice un tariffario del 1685, dalquale possiamo ricavare indiretta-mente tante altre notizie che riguar-dano i mezzi di trasporto, l’econo-mia e l’organizzazione dell’ammi-nistrazione delle giurisdizioni diCastel nuovo e di Castellano e dellagestione del Palazzo di Nogaredo. Il dettagliato tariffario che presen-tiamo è dunque un prezioso, picco-lo specchio del tempo, in questo

caso della fine del Seicento.Tariffario dettagliato - un piccolospecchio del tempo - non solo suimezzi di trasporto ma anche suiprodotti e quindi sull’economia deltempo. Per avere un’idea del valore di uncarantano diciamo che con 13carantani si faceva un trono e chela paga giornaliera di un manovaleera di un trono e mezzo, la paga diun muratore di poco più di duetroni (oltre ad una certa quantità divino), la paga di un maestro mura-

tore di due troni e mezzo (oltre aduna certa quantità di vino, miglioredi quello dei muratori semplici).Infine si può notare - dalle firmeposte in calce - che i proprietari del“porto” non sono più solamente iLodron, ma che la proprietà è suddi-visa in quattro parti, due dei Lodrondi Castel nuovo e di Castellano (chesono persone diverse, una dellequali vive a Salisburgo), una delCommissario Madernini ed unadella famiglia Sparamani, la qualeper secoli condusse il “porto”.

Un tariffario del “porto” specchio dell’economiadi fine Seicento

Se passa un cavallo paga 4 carantani, se passa un asino ne paga 3

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Capitando alle Rive di qua verso S. Giovanni o di là verso S. Ilario qualche barca, barchiello, Zatta e caricando o discaricando Sale, Corrami, grani, Casse piene, Some di grano o Sacchi di carbone, Droghe, legnami, o altre mercanzie, per cadaun sacco di Sale, grano o altro Carantani 1Ogni balla di Sola, Corrami, soghe o altro “ 3Ogni Cassa di Droghe “ 3Ogni Carro Coppi, quadrelli del N° 200 per Carro “ 3Ogni Barchetto di Sabion, o Sassi condotto a Riva “ 6Passando in là verso S. Ilario un Carro fieno, o in qua verso Villa un Carro carico di grano, fieno, vino, legne, quale nel ritorno caricasse altra roba per altri pagherà per detta roba oltreli 6 Carantani del Carro “ 3

Specifica delle persone che hanno la franchiggia della suddetta tariffa

1. L’Amministratore e coaggiunto del Palazzo [Palazzo Lodron di Nogaredo] con la Moglie, figli e Servi-tù di Casa. Poi gli altri Ufficianti e Servitori dipendenti di esso, come sono il Canteniere, Giardiniere, Por-tinajo e Famiglio del Palazzo, il Major di Castellano, il Maestro delle Fabbriche, tutti però per le sole loropersone, e generalmente tutti quelli e tutto ciò che d’ordine d’esso Amministratore o altramenti passeràper nostro Servizio.2. Il Commissario di Castel Romano [nelle Giudicarie, di proprietà Lodron],e suo coaggiunto con laMoglie, figli ed altri di quel Servizio.3. Il Commissario delle Giurisdizioni con la Moglie, figli e Servitù di Casa.4. Il Vicario con la Moglie, figli e Servitù di Casa.5. Il Cancelliere e suo coaggiunto con la Moglie, figli e Servitù di Casa. 6. Gli Officianti per le sole loro persone7. Li nominati Giudici delle Concordie per le loro sole persone e servitore chi n’avrà.8. Li nominati Soprintendenti ed esattori della Venerabile Cappella e dei Censi Nuovi per le sole loropersone.

Le tariffe raddopiano quando il fiume è in piena

È da notarsi che dandosi l’escrescenza delle acque la mercede viene raddoppiata, come così fu semprepraticato, e per altri straordinarij incontri ed escrescenze maggiori la mercede è relativa all’accordo fra leParti.Da Salisburgo, 1 dicembre 1685, Francesco conte Nicolò di Lodron[da Nogaredo] Domenico Lodron Laterano a nome proprio e di mio nipoteDr. Madernini Commissario come proprietario della 4ª parte del Porto dell’Adige di Villa LagarinaPaolino Sparamani a nome proprio e di mia sorella Teresa.

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Interessantissime notizie sul“porto” di Villa (ripetiamo che“porto” vuol dire innanzitutto tra-ghetto, poi anche il luogo dove iltraghetto è attraccato) ci arrivanodalle sei risposte che l’Ufficio vica-riale di Nogaredo (cioè la sedeamministrativa delle vecchie giuri-sdizioni di Nogaredo e Castellano,ed anche del tribunale) manda allaCamera Amministrativa di Rovere-to su altrettanti quesiti nel contestodi un’indagine promossa dall’auto-rità centrale di Trento, verso la finedi luglio del 1810 (il 22 si manda daRovereto il questionario, il 24 sirisponde da Nogaredo). Da poco piùdi un mese, e cioè dal 10 giugno,l’imperatore Napoleone aveva ema-nato un decreto col quale il Trentinoveniva aggregato al Regno d’Italiadopo essere stato comandato percirca tre anni dai Bavaresi (alleati diNapoleone). Si voleva prenderesotto controllo - in funzione delpagamento delle tasse o per “stata-lizzare” certi servizi - situazioninelle quali perduravano anticheconsuetudini o antichi privilegi (ciavevano già provato anche i Bava-resi, che avevano “nazionalizzato”il porto di Villa, anche se la “moder-nizzazione” dell’amministrazioneaveva significato una sua burocra-tizzazione: più controlli, più statisti-che, più relazioni significavanoanche più carte). Le notizie che sipossono ricavare sono tante. Ne evi-denziamo solo una: i Lodron sonoproprietari di diritto (dominio diret-

to secondo l’antico diritto feudale)del porto, ma di fatto i veri proprie-tari (dominio utile) sono di più, eciascuno con la sua quota (dettacarati), e tra questi viene suddivisol’utile.Aggiungiamo due spiegazioni: ilreghem di cui si parla al punto 3 erala fune che era sospesa tra unasponda e l’altra del fiume ed allaquale il traghetto era agganciato;un fiorino valeva 5 troni (un trono= 20 marchetti).In corsivo sono riportati i quesiti,in tondo le risposte

1 Quanti porti sull’Adige esistononel suo distretto e li nomini aduno ad unoA S. Giovanni dell’Adige chepassa da Villa esiste un Porto.

2 Quale sia la rendita sporca d’o-gnuno di detti portiLa rendita sporca di questoPorto per un calcolo d’approsi-mazione sentiti pria gli attualiconduttori del medesimo portopuò ascendere a circa fiorini 850annui.

3 Quale e quanta la spesa annuache ha il proprietario del portopel mantenimento del medesimoe per l’esercizio La spesa annua che può occorre-re un anno coll’altro tra ilReghem, Soghe, riparature dibarche, dei Scanelli [cioé picco-le panche], del pavimento delporto, col mantenimento d’unuomo continuo di custodia e di

servizio e di qualche altra servi-tù in casi straordinari puòammontare a 450 fiorini.

4 Chi sia il proprietario del portoProprietari del Porto suddettosono: riguardo al DominioDiretto la famiglia DinastialeLodronia, e rispetto al Dominioutile sono l’Illustrissimo Sig.Conte Francesco di Lodron, ilDistinto Signor Dottor Giuseppede Madernini e la famiglia Spe-ramani divisa in due rami, e ciòfatto in Carati ineguali.

5 Se appaltato o per economiaNon è questo Porto né appalata-to né tenuto in economia, mabensì dai proprietari dell’utiledominio sublocato agli attualiconduttori Fedrigolli, quali con-tribuiscono d’annuo affitto fior-ni 400, pocco meno.

6 Quando cessi l’appaltoLa locazione è spirata e continuaper patto anno per anno non dan-dosi la disdetta tre mesi avanti lafine dell’anno scadente ognianno al S. Michele.

La risposta di Nogaredo, firmatadal cancelliere Baldessarini, sichiude con la frase di rito: “Ciòevacuato si contesta la piena stimadi questo Giudizio”.

[Biblioteca Civica di Rovereto,documento 3. 51. 14. (58)]

Luglio 1810: quanto rende il “porto” di San Giovanni di Villa

Gli utili suddivisi tra i componenti di una specie di società per azioni

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La proposta dei Bavaresi: vende-re Cimana per avere i soldinecessari

L’iniziativa del 1844, che portò nel1847 alla costruzione del ponte,non fu la prima idea che si ebbe dicostruzione di un ponte a Villa. Neiprecedenti decenni ci furono alme-no altri due tentativi seri - con deci-sioni ormai prese e con finanzia-menti individuati - che arrivaronoad un passo dalla messa in atto del-l’opera. Ma ambedue andarono avuoto.A proposito di tentativi falliti,merita menzione l’iniziativa - nonper Villa ma per Sacco - del conteBossi Fedrigotti di costruire a suespese un ponte tra Sacco, appunto,e Isera. Ciò avvenne nel 1794: ilavori al ponte, previsto ad una solaarcata, proseguirono speditamentefino ad una fase molto avanzata,ma una piena dell’Adige travolsetutto. Il conte oltre al danno ebbeanche la beffa di dover ripulire asue spese il letto del fiume perché idetriti ostacolavano la navigazionedelle zattere (per la discesa) e dellebarche (per la risalita).Nell’aprile del 1810 i Bavaresi, checomandavano il nostro territorio dapoco più di tre anni, decisero dicostruire un ponte a Villa. I lavorisarebbero stati finanziati con lavendita della montagna di Cimana,che era proprietà del ComunComunale, ormai dichiarato sciol-to, e che era stata stimata di unvalore vicino ai 40.000 fiorini.L’opposizione di Isera, Folas eReviano alla vendita di Cimana perla costruzione del ponte (ovvia-mente loro erano poco interessatiad un ponte situato a Villa) e

soprattutto il fatto che i Bavaresiun paio di mesi dopo dovetteroandarsene per far posto ai Francesi,fece naufragare tutto.

Il progetto del comune di VillaLagarina: 300 azioni da 50 fiori-ni l’una

Una decina di anni dopo ci provò ilcomune di Villa Lagarina, maanche questa volta i buoni proposi-ti non ebbero l’esito sperato.Per illustrare questa vicenda utiliz-ziamo una relazione del capoco-mune di Villa Lagarina.

[Il documento, di proprietà privata,è presentato qui di seguito daMaria Beatrice Marzani, che l’haanche tradotto. Dopo l’introduzio-ne si riporta in corsivo la traduzio-ne in italiano della relazione e trenote riferite ad essa].La relazione è allegata ad una lette-ra, datata Daiano, 30 luglio 1822,inviata da Agostino Marzani al fra-tello Pietro, che era impiegato alGoverno di Innsbruck. Sia la lettera sia la relazione sonoscritte in tedesco. Il capocomune diVilla aveva dato ad Agostino unarelazione scritta in italiano, perchéla spedisse al fratello, ma Agostinoaveva pensato bene di tradurla intedesco, considerandola unleser-lich (illeggibile). Da notare chequello che Agostino chiama, giu-stamente, prima sindaco (Syndi-kus), poi capocomune (Gemeinde-vorsteher) doveva essere FilippoMarzani.

Già nel 1818 il sindaco di VillaLagarina aveva chiesto alla luogo-tenenza di Innsbruck il permesso dicostruire un ponte sull’Adige.Un’eccelsa delibera del 16 luglio1821 lo concesse, con qualchemodifica. In seguito alla nuovaorganizzazione1 territoriale, con ilprimo gennaio 1821 il vecchiocomune di Villa fu abolito.Il capocomune2 di Villa invitò icapi degli altri sei comuni formati-si dalla dissoluzione del preceden-te a contribuire secondo le loropossibilità alla costruzione delponte. A richiesta del comune di Villa, ilcapitanato di Rovereto indisse per il12 settembre 1821 una riunione allaquale furono invitati, e comparvero,tutti i rappresentanti di quei comuniai quali la costruzione del pontepoteva portare dei vantaggi. Questiammisero all’unanimità i beneficiche sarebbero derivati dalla costru-zione del ponte, ma dichiararonoche le loro amministrazioni nonerano in grado di sostenere le spesenecessarie. Perciò il comune diVilla propose di raccogliere il capi-tale occorrente, di 14.000 fiorini inmoneta del regno, mediante 300azioni di 50 fiorini ciascuna, e invi-tò tutti gli abitanti che desideravanola costruzione del ponte a sottoscri-verle, dopo che la stessa ammini-strazione comunale di Villa avevasottoscritto una parte delle azioni.In base a questa proposta, gli abi-tanti di Villa, sebbene il paese contisolo 62 case, si assunsero i tre quar-ti delle azioni, cosicché, avendo poisottoscritto anche alcuni abitanti diRovereto, ora mancano solo 3000fiorini al pagamento di tutte lespese.

Tentativi (falliti) di costruire un ponte a Villa

Ci provano i Bavaresi (1810) ma se ne devono andare ci riprova il comune di Villa (1821-1822) ma non si viene a capo di nulla

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Ora il comune di Villa ha presenta-to al capitanato di Rovereto larichiesta che la somma mancantepossa venir anticipata dall’erario.L’erario potrebbe cedere al comu-ne un credito di 3000 fiorini cheesso ha nei confronti del discioltoComun Comunale, nella qualeobbligazione è condebitore lo stes-so comune di Villa. Il comune siimpegna a ricostituire il capitalesecondo il dovuto in sei anni sotto-ponendo a una speciale ipoteca unbosco che gli appartiene, valutatodall’ingegnere circolare Sartori15.134 fiorini. Il comune ha giàchiesto anche l’approvazione dellatariffa proposta, la quale non puòvenir abbassata, in quanto sta in

perfetto rapporto tanto con l’attua-le tariffa del porto, quanto con ilpedaggio di Salorno, Egna eMasetto. Il capitanato di Roveretonon mancherà di trasmettere allaluogotenenza queste proposte,accompagnate dai documenti rac-colti dalla nostra amministrazionecomunale, e perciò si prega di sbri-gare la pratica speditamente, perpoter, in caso di conferma, iniziareil lavoro già nel prossimo autunnoe veder compiuta la costruzionegià nella prossima primavera”.

Note1 La nuova organizzazione, che pone-va fine all’ordinamento comunale

voluto da Napoleone nel 1810, venneapprovata il 14 agosto 1819: il numerodei comuni, ridotto sotto Napoleone,ritornava ad essere quello stabilito dal-l’Austria nel 1805 (nel periodo in cuiera tornata in possesso del territorio). Qui sembra però che l’effetto di questanuova legislazione sia giunto a Villasolo l’1 gennaio 1821. 2 In seguito alla nuova organizzazio-ne, non più Syndikus ma Gemeinde-vorsteher (capocomune). Dovevaessere, sia prima sia dopo il cambia-mento, il conte Filippo Marzani, zio diAgostino e Pietro; abitava nella casaora Scrinzi di via Garibaldi).3 Sciolto dal 1805. La definitiva divi-sione del territorio fu approvata il 10agosto 1818.

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Il dettagliatissimo tariffario del1600 per l’utilizzo del traghettovenne ridotto a poche voci per ilpassaggio sul ponte. Anzi quandovenne costruito il ponte in ferro nel1896 le persone non pagarono piùnulla mentre restò una tassa suglianimali consistente in un soldo pergli animali minuti, due soldi per ilbestiame sciolto e 4 soldi per lebestie da tiro attaccate. Ma anchequesta due anni dopo venne tolta,cosicché con il 1898, dopo secoli esecoli, non si pagarono più pedag-gi per attraversare l’Adige.Quando con il 1° novembre 1882Bortolo Tartarotti di Pomarolo presein consegna il ponte di Villa avendovinto l’appalto per il suo “sfrutta-mento” triennale (la somma totaleche dovette pagare fu di 11.521 fio-rini), le tariffe erano le seguenti:

a - Per ogni personain valuta austriaca soldi 2b - Per ogni persona con carretto tirato a mano soldi 3c - Per ogni bestia da tiro attaccata soldi 6d - Per ogni bestia da tiro

sciolta soldi 3e - Per ogni capo di bestiame minuto soldi 1

I regolamenti specificavano peral-tro che “non si possa pretendere latassa se non da chi oltrepassa l’e-stremità del Ponte sulla spondasinistra del fiume”, ma anche che“nessuna persona sarà esente dalpagare la tassa di passaggio siaessa montata a cavallo, sopra uncarro, o sopra una carrozza”. In verità c’era una certa casistica diesenzioni dal pontatico (tassa per ilpassaggio su ponti). Ne citiamo unaparte: i cursori di tutti i Comunicomproprietari del Ponte, tutte lecondotte di materiale, ghiaia, sassied altro ad uso pei Comuni e delPonte, tutte le persone impiegate neilavori per il ponte, il guardiano dellastazione ferroviaria e la sua fami-glia, i Francescani e i Cappuccini(non gli altri religiosi), sia riguardoalle persone sia ai generi tradotti daquesta riva al Convento. Tutti costo-ro dovevano esibire una “cartaapposita” rilasciata rispettivamentedai comuni o dal padre guardiano.

Di notte il Conduttore deve pre-sentarsi al cancello con una lan-terna accesa

Il contratto di locazione prevedevauna serie di doveri. Eccone alcuni:“Sarà obbligo del Conduttore ditrattare con sollecitudine e urbani-tà i passeggeri, di presentarsi alcancello del Ponte di notte tempocon una lanterna accesa, di sorve-gliare che non si passi per il Pontecon animali, carri o carrozze cor-rendo, d’impedire che in caso dinavigazione di barche le funiimpiegate per il loro attiraglio nonpassino sopra i parapetti del Ponte.Sarà pure obbligo del conduttore disorvegliare eventuali barcheappartenenti al Ponte, di preservar-lo da guasti intentati maliziosa-mente e da pericoli in caso di inon-dazioni”.In caso di provvedimenti sanitariche impedissero il passaggio sulponte delle persone, come in occa-sione di pestilenze, il Conduttoredel ponte potrà chiedere una ridu-zione delle quote che deve pagare.

Si pagano pedaggi per il passaggio sul ponte

fino al novembre 1898

Esenti i Cappuccini e i Francescani

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Sulla sponda destra dell’Adige,nell’area adiacente a nord all’attua-le albergo al Ponte, più precisa-mente al centro dell’attuale stradaasfaltata sorgeva fin verso la metàdell’Ottocento un piccolo edificiosacro dedicato a San Giovanni Bat-tista1.Quando, nel 1845, fu costruito inquel punto il primo ponte che col-legò la Destra Adige con la stradapostale, la chiesetta (come vedre-mo, ormai sconsacrata) fu demoli-ta, in quanto proprio sulla sua areafu costruito il terrapieno sostenentela strada che doveva collegare ilpaese con il ponte stesso.

I resti dell’edificio sacro dovrebbe-ro giacere a circa 30 pertiche (50-60m.) dal punto dove fu stabilita latestata del primo ponte, in direzionedi Villa, e a circa 3 m. di profondità.Scavando in quel punto, si dovreb-bero trovare i muri perimetrali (m 5x 8-9 circa), i resti degli stipiti delleporte e delle finestrelle, i residuinon demoliti dell’altare e di quan-t’altro non fu asportato al momentodella demolizione (1845)2. Questo mio modesto lavoro si basain parte su dati già pubblicati e inparte su documenti inediti, e si pro-pone di far rivivere una chiesettache rappresenta un frammento, non

del tutto marginale, della storiadella Comunità di Villa Lagarina. La chiesetta di San Giovanni Batti-sta era annessa al porto fluviale, edera sorta nella medesima zona ovepresero piede le fornaci deiLodron. Per la sede in cui si trova-va, oltre che con la definizione di«chiesa di San Giovanni al porto»,era indicata con il sottotitolo dichiesa «ad tractum Athesis [pressoil traghetto dell’Adige]», e anchecome chiesa «proxima ripae Athe-sis», ma anche «Cappella presso lafornace».Premetto che con il nome dialettale«port» si intendeva sia il barcone

Particolare del progetto della strada e del ponte costruiti per collegare la Destra Adige con Sant’Ilario. La chiesetta di San Giovanni Batti-sta ben visibile presso l’argine destro, proprio nel mezzo del nuovo tracciato, dovette essere demolita (Biblioteca Rosminiana Rovereto).

La chiesetta di S. Giovanni Battista

al porto di Villa LagarinaItalo Prosser

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utilizzato per il trasporto dall’unaall’altra sponda del fiume delle per-sone e delle merci con carrozze ecarri, sia il luogo nel quale si radu-navano le merci e i transitanti, e che«portenèri» erano chiamati i bar-caioli che guidavano detto barcone.Carlo Teodoro Postinger scrive chela «chiesetta» di San Giovanni alporto è citata nel 1285, ma nonriferisce la fonte da cui egli ricavaquesta data3. Ho passato in rasse-gna gli elenchi dei documenti delPrincipato Vescovile di Trentoriguardanti Villa Lagarina in taleepoca, ma non ho trovato nessunanotizia in proposito4.Comunque, dato che la presenzadei vari «port» sorti sull’asse del-l’Adige in Trentino5 risulta moltoantica, e preso atto che porto e tra-ghetto di Villa derivarono il lorotoponimo, verosimilmente, da unedificio sacro (forse soltanto untabernacolo?) dedicato a san Gio-vanni Battista, era ragionevole pre-sumere che un simile edificio esi-stesse già nel secolo XIII. Trovai la conferma di ciò, e l’origi-ne della data riportata dal Postingernelle «Notizie antiche e modernedella Val Lagarina» di AdamoChiusole, stampate a Verona nel1787; a pagina 56 egli scrive: «Pres-so al porto [di Villa] trovasi unaChiesetta di s. Giovanni che è moltoantica, mentre la trovo nominatanelle divisioni fatte nel 1285 [da quiverosimilmente proviene la datasegnata dal Postinger] tra i cinquefratelli Signori di Brentonico [e cioèUberto, Gislimberto, Alberto, Azzo-ne e Concio] nelle quali si leggeunam petiam terrae apud SanctumJoannem, de una parte flumen Athe-sis, de alia Plebs Lagari».È documentata anche una data suc-cessiva. Infatti nel documento chericorda la prima investitura del«porto di San Giovanni», datato 11gennaio 1489, si afferma che taleporto è posto «prope EcclesiamSancti Joannis de Villa»6. Questadata si riferisce già ad una verachiesa, o chiesetta, evidentementeeretta in epoca precedente.

Nell’urbario dei beni immobili dellaPieve di Villa, datato 1508, ma cheè un aggiornamento di un preceden-te registro del 1467, sono citatealcune pezze di terra arativa poste«in le pertinenze de la vila de Vila incontrada de Sancto Zoan» e altreposte «in contrada dita Fornas deSancto Zoan»7. Si conferma quindi

che nell’area della fornace era pre-sente fin prima del 1467 un edificiosacro dedicato a San Giovanni. Ciò che fa meraviglia è che nellavisita pastorale al decanato di VillaLagarina effettuata nel 1537 duran-te l’episcopato di Bernardo Clesionon si accenni alla chiesa di SanGiovanni al porto.

Pala dell’altare della chiesetta di San Giovanni al porto commissionata da Gasparo Lodrone dipinta da Girolamo Padulo nel 1582. Restaurata nel 1864 da Gio. Abraham Stolz e nel1998 da Cristina Gasperotti e Lucia Villano.

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Don Giacomantonio Giordani8

afferma che la più antica memoriadella chiesa di San Giovanni Batti-sta che egli ebbe modo di trovarerisale al 1578, ma nemmeno luicita la fonte di tale memoria.Purtroppo neppure nella visitapastorale del 1581 (8 maggio) siaccenna alla chiesa di San Giovan-ni al porto, anche se forse non è uncaso che proprio in tale visita,quando nella pieve di Villa erainsediato il conte Antonio, primoarciprete Lodron della linea diCastellano9, si ordini la soppressio-ne dell’altare di San Giovanni Bat-tista eretto dentro la chiesa di SantaMaria, e il trasferimento degliobblighi del medesimo all’altaredegli illustri signori conti.Nella suddetta visita, inoltre, sinomina anche il conte Gasparo delramo Lodron di Castelnuovo10 ilquale, come vedremo poco sotto,nell’anno successivo (cioè 1582)farà dipingere la pala che orneràl’unico altare della chiesetta di SanGiovanni al porto.Pertanto, per quanto mi risulta,dopo la segnalazione del Chiusolee la documentazione del 1489, ladata successiva che ricorda lanostra chiesetta o cappella compa-re un secolo dopo, e si legge nell’e-pigrafe che si trova in basso adestra della pala suddetta. La tela, attualmente conservata inpalazzo Libera, sede distaccata delMuseo diocesano di Trento, misuracm. 171 x 104,5 e raffigura SanGiovanni Battista nell’atto di bat-tezzare Gesù Cristo che affonda legambe nude entro l’acqua delfiume Giordano. Il testo dice: «HIERONIMUSPADULUS. MEDIOLAN / EN:NATURA SURDUS. ET MUTUS.CA / SU AUTEM MONOCULUS.PINXIT. / ANNO D[OMI]NI. M:D. LXXXII».Traduzione: «il milanese Geroni-mo [Gerolamo] Padulo, sordo-muto dalla nascita e anche mono-culo per causa accidentale, dipinsenell’anno 1582».Secondo Carlo Teodoro Postinger,

sotto la suddetta pala esisteva unapredella [probabilmente di legno]della quale nel 1913, epoca delloscritto di Postinger, si conservavaun «ritaglio con un ritratto assaiben condotto di Gasparo Lodronche, nel 1582, dedicò la pala allachiesetta [di San Giovanni alporto]11».Riguardo al fondatore del primoedificio, non essendo stato finorarinvenuto un documento, si posso-no soltanto fare delle supposizioni.Prendendo per attendibile la data(1285) fornita dal Chiusole, si èindotti a pensare all’intervento diun Castelbarco.Successivamente, dato che nel Set-tecento la nomina del custode, e laresa dei conti della chiesa venivanosottofirmati dal vicario della par-rocchiale o direttamente dall’arci-prete, che all’epoca era un Lodron,e dato che nel 1750 si dichiara chele riparazioni della chiesa «spec-tant ad Familiam Lodroniam12», èassai verosimile che, dopo la metàdel Quattrocento, in coincidenzacon l’insediamento dei Lodronnella giurisdizione di Castellano eCastelnuovo, l’edificio sacro alloraesistente sia venuto a trovarsialmeno sotto la loro tutela, datoche, tra il resto, i suddetti contierano proprietari, per diritto feuda-le, anche del vicino traghetto, checedevano in affitto a un privato.

1585. La consacrazioneSecondo quanto scrive nel 1750 ilReverendo Sebastiano conteLodron, canonico di Bressanone earciprete di Villa, la chiesa di SanGiovanni Battista al porto fu con-sacrata il 4 ottobre 158513 da mon-signor Gabriele Alessandri di Ber-gamo, vescovo Galesano, suffraga-neo del Principe Vescovo Ludovi-co Madruzzo14. Gabriele Alessandri era figlio delcelebre giureconsulto Gabriele daBergamo. Entrò nell’ordine deipredicatori di san Domenico e nel1566 fu nominato vescovo dellachiesa Gallese da papa Pio V. Inseguito entrò al servizio del Princi-

pe Vescovo Ludovico Madruzzo ecome vescovo suffraganeo visitòquasi tutta la diocesi, consacrandomolte chiese e numerosi altari15.Nel 1591 la chiesetta era ben notanell’area della Val Lagarina. Infatti,il 26 aprile 1591, Cristoforo Rosmi-ni figlio di Francescantonio, dopoaver ucciso - a Rovereto - il cogna-to Vincenzo Prosser (6 aprile 1591)si rifugiò «sulla riva destra dell’A-dige all’altezza di Villa Lagarinanella Giurisdizione di Castellano eCastelnuovo, territorio del PrincipeVescovo di Trento. Qui, presso lachiesa di San Giovanni al portoincontrò il notaio Giuseppe Rosmi-ni» che rogò il documento di richie-sta di perdono16.

La chiesetta secondo le visitepastorali e altre fonti

1636.Si tratta della prima menzionedella chiesetta che compaia in unatto visitale. Si scrive, infatti, che il16 maggio 1636: «fu visitata laCappella di S. Gio. Batta vicino alPorto di Villa, e fu commesso [ordi-nato], essendo sprovvista del tutto,che quanto prima sia possibile, sia

Sigillo di monsignor Gabriele Alessandri,vescovo suffraganeo del Principe VescovoLudovico Madruzzo che, nel 1585, consa-crò la chiesetta di San Giovanni Battistaal porto.

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1690. Concessione di indulgenza da parte del papa Alessandro VIII alla chiesa di San Giovanni Battista al porto di Villa, vali-da per il giorno 24 giugno, ricorrenza della natività di San Giovanni Battista.

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provvista, et in particolare princi-palmente sia provisto alla conser-vazione del muro, e tetto d’essa. Etche li fornaseri non lavorinoappresso d’essa sotto pena dellascomunica. Datum et pubblicatumut anteam17».A questo proposito bisogna ricorda-re che la porta della chiesa - checome tutte le chiese antiche aveval’abside rivoltra a oriente, cioè versoil fiume - si apriva a occidente suuna piccola piazza a poche decine dimetri da due fornaci, una grande euna piccola, le cui attività sonodocumentate fin dalla fine del Quat-trocento e in particolare nel 152518. Queste fornaci, sfruttando l’argilladepositata dall’Adige nei terrenipresso la riva del fiume, produce-vano generalmente una o due«cotte» all’anno (agosto, ottobre)di coppi, mattoni e quadrelli, maanche di calce viva.Come osserva Roberto Adami19,queste attività richiedevano unospazio relativamente ampio sia perdepositare l’argilla, i sassi calcarei,e la legna necessaria per le «cotte»,ma soprattutto per accatastare iprodotti finiti e, infine, per consen-tire il carico dei carri che portava-no la merce ai vari acquirenti.Verosimilmente i suddetti materia-li erano accumulati a ridosso dellachiesa, tanto da recar danno ai murie rendere problematico non solo illoro restauro, ma anche la revisio-ne periodica del tetto.A un certo punto questa situazionedivenne intollerabile e provocò lareazione degli ecclesiatici localiche segnalarono gli inconvenientiall’autorità superiore di Trento. Laprotesta fu presa in considerazionedal Principe Vescovo che, in occa-sione della sacra visita del 1636,ordinò a «li fornaseri» di non lavo-rare presso la chiesa, «pena dellascomunica».

1683.Il 31 maggio 1683 i visitatori rile-varono che la chiesa di san Gio-vanni Battista risultava consacrata,come si poteva rilevare da un docu-

mento pubblico ivi visto e letto. Dichiararono inoltre che c’erano ilcalice con la patena, il velo, labusta, il corporale, il purificatorio,ma che tali oggetti appartenevanoalla chiesa parrocchiale. Mancavano solo le tabelle del van-gelo, un lavabo e la tela cerata, peri quali oggetti si ordinò di provve-dere, mentre i rimanenti resultava-no in ordine20.Da altre fonti si hanno le seguentinotizie:- nel 1684 la pala dell’altare di SanGiovanni venne restaurata dal pitto-re Gio. Abraham Stolz, originario diPraga, ma residente a Rovereto21;- il 25 aprile 1690 il papa Alessan-dro VIII concesse «alla chiesa diSan Giovan Battista vicino al portodi Villa» l’indulgenza plenaria chepoteva essere ottenuta da tutti colo-ro che, confessati e comunicati,avrebbero visitato detta chiesa il 24giugno, giorno della natività di SanGiovanni Battista, «cominciandodalli Primi Vesperi fino al tramon-tar del Sole di detto giorno22»;- l’8 giugno 1696 fu organizzata una«straordinaria processione» perimplorare da San Giobbe e San-t’Antonio da Padova la cessazionedella malattia che colpiva il baco daseta con grave danno economicodella popolazione. Tale manifesta-zione religiosa partì dalla parroc-chiale, passò «sotto a S. Giovanni alporto» proseguendo per le campa-gne di Brancolino e Nogaredo23.

1708.Durante questa visita i visitatoripresero atto che non mancavanulla, ad eccezione del messaleaggiornato con le messe recenti.Da questo atto (1708) si viene asapere che custode della chiesa erail reverendo don Gasparo Comoroil quale dichiarò che detta chiesanon aveva alcun reddito, eccetto lepoche elemosine che riceveva inoccasione della festa della nascitadi San Giovanni Battista [24 giu-gno], elemosine che non erano suf-ficienti neppure per il mantenimen-to dei paramenti liturgici stretta-

mente necessari.A tal proposito i visitatori racco-mandarono che la chiesa fosseprovveduta di un messale con lemesse dei santi nuovi e esortaronoil custode a «procurare l’accresci-mento delle elemosine», ordinando«che in avvenire tenga nota distin-ta di ciò che riceve e spende24».

1728.La chiesa di San Giovanni Battistavicino all’Adige fu visitata il 7 giu-gno di quell’anno. I visitatoriaccertarono che l’altare era consa-crato, che c’erano soltanto un cali-ce e una «casula» bianco-rossa,perché tutto il resto veniva portatoal bisogno dalla parrocchiale25.

1750.Il primo giugno 1750 il reverendodon Giuseppe Francesco Crivelli,prete visitatore, scrive (traduco dallatino): «mi recai anche alla chiesadi San Giovanni, presso la riva del-l’Adige vicino all’attracco dellenavi [barconi, barche, zattere], mamancando le chiavi sospesi la visi-ta». Successivamente, ottenute lechiavi dal custode che allora eradon Domenico Camelli, il visitato-re potè entrare e constatò che «inessa c’è un solo altare fisso consa-crato. Le sacre suppellettili sonosufficienti anche perché raramentesi celebra, a parte nel giorno festi-vo di San Giovanni [24 giugno] nelquale si canta messa solenne».Non deve meravigliare la necessitàdi avere le chiavi per visitaredurante il giorno la chiesetta, per-ché l’edificio sacro era isolato equindi normalmente chiuso. Sullafacciata d’ingresso, rivolta versoVilla, erano state aperte, a latodella porta principale, due fine-strelle protette da inferriate, chepermettevano ai passanti la vistadell’interno rappresentato da un’u-nica aula occupata dalla serie deibanchi, con in fondo l’altare sor-montato dalla pala. Sotto una delledue finestrelle, verso l’interno, eraposta una cassetta delle elemosine. In previsione della suddetta visita

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l’arciprete di Villa don SebastianoLodron canonico di Bressanone,aveva compilato l’elenco dellechiese soggette alla nobile pieve.In tutto, fra chiese, cappelle ed ora-tori elencò 38 edifici sacri tra cui alquinto posto è segnata la chiesa diSan Giovanni al Porto. A propositodi questa chiesa egli scrive che«nella sua festa di San GiovanniBattista si parte processionalmentedalla parrocchiale e si va a SanGiovanni al porto a cantarvi lasanta messa».Egli precisa inoltre che la suddettachiesa è isolata, che vi è il campani-le con una campanella, che la dettachiesa non ha benefizi, e che «ilcustode è don Domenico Camelli ilquale tiene le chiavi e il libro deiconti su cui sono registrate le picco-le elemosine che vengono fatte26». Il fatto che la chiesa non avessebenefici è assai significativo perchévuol dire che la gente del luogo nonla frequentava e soprattutto non ledestinava legati testamentari, ingenere perpetui, per la celebrazionedi messe a suffragio dell’anima.Cosa che, invece, accadeva constraordinaria frequenza per i varialtari della pieve di Santa Maria eper le altre chiese ad essa soggette.

1768.Il Principe Vescovo Sizzo de Noris[1763-1776] arrivò a Villa il 26aprile 1768, accolto dall’arcipreteMassimiliano Settimo conteLodron assieme a venti e più sacer-doti e nobli.Nell’elenco delle chiese e oratoriesistenti nell’arcipretura di Villa, alnumero 2 si cita San Giovanni alporto, chiesa consacrata e dotata diuna campanella. Si ribadisce chetale chiesa è dotata di un solo alta-re il cui titolare è per l’appunto SanGiovanni Battista che si festeggiasolennemente il 24 giugno. Custo-de di detta chiesa è il molto rev.dodon Domenico Camelli di Villa.Nelle successive visite pastoralidel decanato di Villa Lagarina, cioèdel 6 ottobre 1827 e del 29 settem-bre 1839, non si nomina la chiesa

di San Giovanni al porto perché findal 1811 la chiesa (assieme alporto) era divenuta proprietà deldemanio e, come si desume dalcontesto storico, aveva perso la suafunzione originaria.

La chiesetta secondo il libro dei conti dal 1713 al 1783

Questo documento27, inedito, è digrande interesse per la conoscenzadella nostra chiesetta, anche seprende in considerazione un perio-do circoscritto del Settecento.Considerando che nell’arco di 70anni si sono succeduti due custodi,cioè don Tomaso Camelli e suonipote don Domenico, possiamodividere le notizie in due periodi.

Dal 1713 al 1727In questo periodo, come abbiamodetto, fu custode di San Giovannial porto don Tomaso Camelli. L’at-to di riconoscimento dell’investitu-ra recita:

«Adì 21 giugno 1713Il Molto illustre e Rev.do Signor donDomenico Menestrina, VicarioArchipresbiteriale della Ven.le chie-sa di Villa, ha dato in custodia lachiesa di S.to Gio.Batta vicino alporto di Villa a mè pre’ TomasoCamelli di Villa in giorno di mer-cordì, alla presenza del Ch.mo dot-tor Comoro, et mi ha consegnatotutte le mobilie et robe pertinentialla detta chiesa come per lo Inven-tario. Di più tra questi mi ha conse-gnato troni n° 17 e marchetti 7, liquali denari sono stati ritrovati nelliEllimosinari di detta chiesa».

Pre’ Tomaso segnava scrupolosa-mente nel suddetto libretto leentrate e le uscite.Tra le entrate figurano innazituttole elemosine ricevute direttamenteil 24 giugno, festa della natività diSan Giovanni Battista, e quelle rac-colte da due cassette, una dellequali era posta presso l’acquasan-tiera e l’altra presso il davanzale di

una delle finestrelle della chiesa.Seguono le donazioni materiali daparte di privati, ad esempio dilegnami, ma soprattutto di coppi daparte dei vari «compagni fornasè-ri». A proposito delle donazioni dicoppi, si ha l’impressione che colpassar del tempo si sia stabilita tragli operai delle fornaci e il custodedella chiesa una consuetudine percui «i fornasèri», ad ogni cotta,offrivano 10 coppi alla chiesa.Da queste offerte, che per un certoperiodo erano costanti, veniamo aconoscere i nomi dei «compagnifornaseri» che lavorarono alle vici-ne fornaci: - 1713: Antonio Galvagnini,

Marco Rosi, Nicolò de Ambrosi- 1714: Martino Galvagnini,

Marco Rosi- 1715: Nicolò de Ambrosi, Marti-

no e Antonio Galvagnini- 1716: Antonio, Martino e Tomè

Galvagnin, Andrea Nardi eAmbrogio de Ambrogi

- 1717: Martino e Antonio Galva-gnini, fratelli

- 1723: Lorenzo Marzani, Dome-nico Fedrigolli detto Perotim,Nicolò Villi

- 1724: Lorenzo Marzani, Martinoe Antonio Galvagnini

- 1727: Francesco, Antonio eTomé Galvagnini, Nicolò Villi

Le spese ordinarie erano rappre-sentate dall’acquisto dell’olio,usato per la lampada che rimanevaaccesa tutto il giorno durante lafesta della natività di San Giovan-ni, e delle candele. Raramente siaccenna all’acquisto o meglio allariparazione di qualche paramentosacro, dato che era consuetudineportare l’occorrente per le singolefunzioni direttamente dalla chiesaparrocchiale.Comunque, le spese più consisten-ti riguardavano soprattutto lamanutenzione dell’edificio e altreurgenze. Ecco qualche esempio:- Adì 29 ottobre 1713 ho speso in

arsenico adoperato per i sorzi,troni 3.

- Adì 13 novembre 1713 ho spesoin una boràta [piccola trave di

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legno] adoperata per far come-dar il coperto del campanil troni3 e 1 marchetto.

- Adì 19 novembre 1713 speso inun zerlìno [piccola cesta da por-tare a spalle] di calcina troni unoe mezzo.

- Adì 29 maggio 1714 speso incolla per accomodar il piededella Croce, et speso in chiodiper acomodar il campanileto etper far intràr la soga in chiesacon busola [un tronchetto dilegno cavo lungo circa 60 cm.che attraversava il soffitto dellachiesa e dentro il quale scorrevala corda della campana], più peraver fatto un tòco di muragliaverso Villa ed anco [per averchiuso] le fessure della medesi-ma in Chiesa quanto di fuori, piùper aver messo in opera la bus-sola della campanèla, per avermesso li zochetti alla medesima,doperati copi 20 avuti colle ele-mosine e di più ho speso in coppicernuti n° 34 per il coperto della

chiesa a soldi 2 l’uno, troni 3 emarchetti 8.

- Adì 5 giugno 1714 [speso] in unasoga per la campanèla troni 10.

- Adì 21 giugno 1714 speso in farrinfrescar il parapetto [dell’alta-re] che era rosso con fiori bianchicon croce verde in mezzo, con duepassamani uno per parte dellacroce il quale era venuto smortoper l’aria. Hora ritrovasi tuttorosso con croce bianca con pas-samani et zane bianche, le qualicose si ritrovavano nel parapettorosso di tabino. Troni 3.

- Adì 21 aprile 1715 speso in settaper far la croce al medesimoparapeto.

- Adì13 aprile 1715 speso in fatu-ra in far la croce al medemo anti-pendio.

- Adì 22 giugno 1715 speso in olioper la lampada in occasionedella solennità di detto Santo,speso in chiodi per acomodar libanchi ...

- Adì 24 aprile 1717 copi n°10

furono messi a causa che il ventoli ha portati giù dal coperto etandati in pezzi.

- Adì 23 giugno 1721 speso in duecandele di onze due l’una impor-ta troni 1, più speso il medesimogiorno d’olio troni 6:2, più nelmedemo speso in fero et in faturaper far accomodar la campanelatroni 3.

...- Adì 26 giugno 1722 ho fatto fare

un proclama sopra il coperto dellamedesima chiesa acciò niuna per-sona possi andare nel medesimo, equesto fu fatto a fine, acciò nonvòlti e rivòlti li coppi in cercarenivi d’uceli, et per la medemaspeso all’offiziale troni 10.

... - Adì 9 maggio 1724 spesi in due

ampoline per la messa marchetti8, soldi 1.

...- Adì 24 aprile 1725 per aver fatto

giustare il coperto della medesi-ma chiesa speso:

Particolare della Pretura di Rovereto. Rappresenta il traghetto di San Giovanni con la chiesetta omonima. Disegno acquarellato di LorenzoZanconti (1785).

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- in calcina brentelle otto, importatroni 3

- una bena e mezza sabbione troni 1- una asse marchetti 15 et sessan-

ta copi, e questi sono stati diquelli della elemosina che siriceve di cota in cota

- e alli murari li ho datto troni 11,più per ever somministrato vinomosse 4 - e sono state datte aGio. Riolfatti di Pedersano, lemedeme importa marchetti 16

- li murari sono stati il detto Gio.Riolfatti di Petersano et il miserMattio Pifer di Pomarolo.

- Adì 23 giugno 1725 speso in bro-che, oglio, una spazaora, in can-dele n° 6, in far giustare la portapiccola, pan, vino mosse 3, chio-di. Le asse sono state donate percarità dal signor Antonio Frap-porti dal Dosso.

- Adì 17 agosto 1726 copi in ele-mosina ho ricevuto 10 dalli mae-stri fornasari.

- Adì 15 otobre 1726 ricevuti inelemosina dalli fornasari coppi10.

Il periodo della custodia della chie-setta da parte di don TomasoCameli finisce con la resa dei contial Vicario parrocchiale, don Giro-lamo Maffei, del 29 dicembre1727, nella quale il suddetto donTomaso risultò debitore di troni 11e mezzo e 165 coppi.In sostanza da queste note di contisi viene a sapere che la chiesetta simanteneva con una gestione auto-noma.

Dal 1728 fin verso il 1770

A don Tomaso successe comecustode di San Giovanni Battista ilnipote reverendo don DomenicoCamelli che mantenne quella fun-zione per 42 anni. In questo lungo periodo le segnala-zioni delle entrate e delle uscite,che iniziano il 13 aprile del 1728,sono saltuarie, anche se fondamen-talmente le voci sono quelle giàriportate dal custode precedente.Nei primi anni vengono registrate

ancora le donazioni di coppi fattedai «compagni fornasèri» che sono:- 1728: Tomè e Francesco Galva-

gnini, Domenico Fedrigol, Nico-lò Villi, Martin dell’Orbo mila-nese

- 1729: Francesco Galvagnini,Nicolò Villi, Domenico Fedri-golli

- 1732: Francesco e Tomè Galva-gnini, Bartolomeo Cavalér,Gio.Battista de Ambrosi

- 1736: Tomè, Martino e GiovanniGalvagnini, Domenico Giorgi

- 1737: fratelli Fedrigolli.Anche di don Domenico riportoalcune citazione di spesa:- Adì 24 dicembre 1731 speso per

far voltar li copi del coperto diSan Giovanni ...

- Adì 23 giugno 1732 speso in unasoga per la campanella marchet-ti 5 soldi 12

- Adì 4 luglio 1733 fatta fare lapianeta verda e violacea. Levatala fodra a una pianeta di lanarossa e bianca tarpata dalletarme e suspesa, ... e li finimentidella medema messi sopra lapianeta bianca e rossa di settanella quale vi erano verdi, levativia quelli verdi e li ho posti soprala pianeta verde e violacea.Speso in tutto troni 8.

- Adì 23 giugno 1738 per averfatto accomodar, cioè voltar licopi troni 2, marchetti 8, più peraver messovi sopra il copertocopi n° 120 di ragione delle ele-mosine in più volte dati.

- Per anno 1739 ho ricevuto lasolita elemosina per due cotte dicopi.

- Adì 24 ottobre 1740 ho ricevutola solita elemosina per 2 cotte,copi n° 20.

Negli anni successivi seguonospese per «broche, chiodi, oglioper la lampada, candele, soga perla campanella, calcina, sabbione,fattura per 4 opere [giornate lavo-rative]», ecc.- Adì 24 luglio 1748 manca la soli-

ta elemosina di copi per non avercotto.

Il 23 maggio 1750 don Domenico

Camelli, «come ispettore dellachiesa di San Gio Batta al porto»rese i conti «dall’anno 1727 in sinad oggi» all’arciprete don Seba-stiano conte Lodron28. Consideran-do che «nell’ultimo ristretto [29dicembre 1727] andava debitore ilq. mio zio don Tomaso Camelli ditroni 11:5» ... «e calcolati li ricevi-menti e rispettivi spendimenti si ètrovato debitore di copi 200 e 90, eall’incontro va creditore di troni 26e marchetti 14».Dopo questa resa di conti donDomenico Camelli continuò la suafunzione di «ispettore» di San Gio-vanni almeno per altri vent’anni,ma le notizie sono scarse. Nel 1757 egli si assunse l’onere di«riparare la chiesa nel rifacimentodei pilastri ed altro». Egli segnache per questi lavori spese: - «per opere di murari e manovali

troni 23 e mezzo;- per sabiòm troni 8 e mezzo;- per colla e colori troni 2 e mezzo;- per numero due opere per nettar

la piazzetta troni 3;- per chiodi per far acommodar li

banchi marchetti 15;- il vino delle sopra dette manifat-

ture fu somministrato dal rendi-tor dei conti e nulla pretende».

Per la realizzazione di tale lavoroegli ottenne le seguenti elemosine:«da Massimiliano [Settimo] delS.R.I. conte Lodron canonico diBressanone e arciprete di Villatroni 44;- dal conte Giuseppe Wolgestein

troni 22; - dall’abate Angelo Rosmini troni

22:15;- dal vicario Madernini troni 15;- dal signor dottor [Paride Loren-

zo] Marzani troni 21:15;- dal signor Gio.Batta Marzani

troni 22;- da casa Sparamani troni 5;- da don Lorenzo Curti troni 3;- da Ambrosio Villi troni 2.

Totale troni 210.Inoltre egli ebbe in dono «copi307, calzina bene 4 e uno quarto disfiorita, più una bena di regalia e100 quadrelli».

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Il 12 gennaio 1768, nella Canonicadi Villa, il signor don DomenicoCamelli rendeva i conti della suaamministrazione all’arciprete ecanonico Massimiliano conteLodron, il quale di suo pugno scri-ve: «Dal soprascritto conto [ilsignor don Domenico Camelli]appare liquido debitore di troni1:12, e ciò riguardo alla sua resadi conti dell’anno 1750 fin tuttol’anno 1767 inclusive tanto riguar-do alli ricevimenti, che per li spen-dimenti».Nella visita pastorale del 1768 sidichiara che don DomenicoCamelli è custode della chiesa diSan Giovanni al porto. L’ultima resa di conti di donDomenico Camelli all’arcipreteconte Massimiliano Lodron avven-ne il 4 gennaio 1770. In quest’oc-casione si dichiara che il custodedella chiesetta è debitore di troni3:5 «compensati con altre spese».Dal 1770 ha inizio un vuoto dinotizie forse dovuto al cessaredella funzione della chiesetta.A questo proposito ricordo che ilnostro quadernetto finisce con unanota del 22 dicembre 1783, allor-chè l’arciprete Massimiliano Setti-mo conte Lodron29 radunò in cano-nica i fratelli Giovanni e Giuseppe

Statua lignea di San Giovanni (probabilmente non il Battista) che, secondo la tradizione, sitrovava nella chiesetta di San Giovanni Battista al porto (collezione privata).

Facciata della chiesetta di San Giovannicon, in tratteggio, la sezione dei muraglio-ni che avrebbero delimitato e sostenuto lastrada nuova (Archivio Comunale di VillaLagarina, maggio 1845. Disegno allegatoalla relazione dell’i.r. ingegnere circolaredi Trento Menapace).

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La cappella del Crocifisso costruita nel 1864 con il contributo della Delegazione del ponte dell’Adige e con l’elemosina dei privati, a ricordodella chiesetta di San Giovanni Battista al porto demolita nel 1845 (foto 2003).

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Fedrigolli. La nota dice: «si feceroli conti della V.le chiesa di SanGiovanni ... e si vide che per l’an-no 1782 e 1783 corrente, in ragio-ne di troni 7 per saldo all’anno,pagarono troni 14.In fede Massimiliano conte Lodronarciprete».Non si dice la ragione, ma forse lachiesa, ormai sconsacrata, era statadata in affitto ai fratelli Fedrigolliche già in quel tempo, la usaronocome magazzino30, pagando unaffitto concordato con l’arciprete.Siamo nel periodo in cui GiuseppeII emanò i decreti che imponevanola soppressione di chiese e mona-steri, ma non ho trovato un decretodi soppressione; è probabile, quin-di, che al momento dei decretiimperiali la chiesetta avesse giàcessata la sua funzione.

La demolizione

Come ho anticipato, nel 1845, quan-do fu dato inizio alla costruzione delnuovo ponte in legno con piloni dipietra sull’Adige, la chiesetta di SanGiovanni al porto fu demolita per-chè veniva a trovarsi, ad un livellomolto più basso (almeno 2 metri) delpiano del ponte, sulla direttrice dellanuova strada per Villa. A questo proposito ricordo che nelmaggio 1845, da Trento, l’I.R.Ingegnere Circolare Menapace,trattando della «Formazione del-l’accesso al ponte sul lato versoVilla», scrive: «l’accesso al nuovoponte viene formato da una rampa,che comincia precisamente 61°. 2’.[pertiche] avanti la porta dellaCappella, che verrà demolita, per-ché viene a stare nel meditagliodella carreggiata, e si distendesopra una totale lunghezza di per-tiche 90 con una ascesa uniforme... sino avanti il ponte31». In quel tempo era parroco decanodi Villa (1840-1851) don BortoloOdorizzi originario di Mechel inVal di Non.Ovviamente, se fosse stato adottatoun progetto adeguato, l’antica chie-

setta avrebbe potuto essere rispar-miata, ma da come andarono le cose,e da quanto si arguisce dai docu-menti visti, non sembra che l’abbat-timento dell’edificio sacro, peraltroin quel tempo già adibito a magazzi-no di legnami, abbia suscitato riso-nanza nel clero e nella popolazione. Tra gli arredi appartenenti allachiesetta di San Giovanni al porto,oltre alla pala dell’altare del 1882della quale abbiamo parlato,rimangono una statua lignea di SanGiovanni32 e parte dei componentidell’altare (collezione privata) conaltri oggetti di arredo la cui attribu-zione alla chiesetta di San Giovan-ni Battista non è documentata.

La cappella del Crocifisso

Per mantenere la memoria dellachiesetta demolita, il successore didon Odorizzi, cioè l’arciprete donPietro Slanzi, si prese cura di farcostruire la cappella del Santo Croci-fisso. Lo scopo dell’impresa fu con-diviso dalla Delegazione del pontedell’Adige, rappresentante i 12 paesiconcorrenti alla fabbrica, che contri-buì alla costruzione della nuova cap-pella con l’offerta di 100 fiorini. L’edificio sacro fu eretto all’incro-cio della strada del ponte con quel-la della destra d’Adige, quindi acirca 400 metri dalla sede dellachiesa demolita, verso Villa.Il prof. don Eleuterio Lutteri diRovereto dettò l’epigrafe incisa nelmarmo posto sotto il Crocifisso33:

C[ives] F[acere] F[ecerunt]S[acrum]

Prisco divo Joanni BaptistaeSacello sub Athesii pontis moli-

tionem deiecto [,]Crucifixo Redemptori Inteme-rataeVirgini divoque Baptistae

S[acrum]collata piarum stipe novum

adsurgitA.[nno] D.[omini]MDCCCLXIIII

Traduzione: «I cittadini fecero costruire l’edifi-cio sacro. Essendo stata distrutta,al tempo della costruzione delponte dell’Adige, l’antica cappelladedicata a San Giovanni Battista,grazie all’offerta dei devoti nesorge una nuova dedicata al Reden-tore Crocifisso, alla Vergine Inte-merata e a San Giovanni Battista.Nell’ anno del Signore 1864».

La cappelletta del Crocifisso fubenedetta da don Slanzi il 7 mag-gio 1865, cioè 15 giorni primadella sua morte. Il manufatto rimase al suo postofino ad una trentina d’anni fa circaallorché, per allargare il crocevia, fuspostato di alcuni metri e collocatodentro l’adiacente proprietà privata.Attualmente, dopo il consolidamen-to dei muri e il rifacimento dellacopertura eseguiti nel 1996, se neauspica il restauro dell’interno conasportazione della tenda che looscura, in modo che possa ritornareinteramente visibile alle collettivitàdella Destra Adige che lo fecerocostruire e ai forestieri.

Note

1 Dopo la morte del precursore diGesù Cristo, il suo culto si diffuse inmodo eccezionale tanto che già nel IVsecolo le chiese e gli oratori a lui dedi-cati erano numerosi sia in Palestina,sia in occidente.Nel Medio Evo, la festa della sua nati-vità, celebrata il 24 giugno, era di pre-cetto e fu così importante da esserechiamata il «Natale d’estate». Tantoper avere un’idea dell’importanza chein passato ebbe questo Santo ricordoche in Italia i toponimi di paesi riferiti aSan Giovanni sono 128, anche se non èpossibile distinguere quanti siano attri-buiti a San Giovanni Battista e quanti aSan Giovanni Evangelista (AA. VV.San Giovanni Battista. BibliothecaSanctorum, Città Nuova Editrice 1965,pagg. 600-623). In Val Lagarina esisto-no la chiesa di San Giovanni Battista diBorgo Sacco e quella di San GiovanniBattista ed Evangelista di Ala.

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2 Archivio storico del Comune di VillaLagarina. «Descrizione dei lavori placi-dati, e da eseguirsi a) per la costruzionedi un ponte di legno con imposte e pilo-ni di pietra sul fiume Adige presso VillaLagarina b) per la formazione degliaccessi, e di un tronco di strada, chemette a quella postale nelle vicinanze diSant’Ilario». Trento in maggio 1845Menapace I.R. Ingegnere Circolare.3 Carlo Teodoro Postinger, L’esposi-zione d’arte di Villa Lagarina, in ProCultura, Notiziario fasc. 1-2 anno1913 pag. 88.4 P. Giuseppe Ippoliti - P. AngeloMaria Zatelli, Archivi Principatus Tri-dentini Regesta, 2001.5 Alessandro Cuccagna, Ponti e portisull’Adige in Trentino, Riv. Geografi-ca Italiana, Firenze 1977, LXXXIV, 1.Vedi anche Remo Stenico, Nave S.Rocco dalla palude al frutteto, ristam-pa 1997.6 Roberto Adami, Villa Lagarina e ilfiume Adige pag. 13 (in Adige unfiume di storia a cura di Hans Wieser eRoberto Adami, Associazione ComunComunale Lagarino, 1999). Il docu-mento si trova nell’Archvio Lodronpresso la Biblioteca civica di Roveretoed è segnato Ms. 3. 40. 9. 33.7 Giovanni Cristoforetti, Appendice.Urbario della Pieve (1468-1508) in Lanobile Pieve di Villa Lagarina, 1994,pagg. 283-300. 8 Giacomantonio Giordani, Cenni sto-rici su la chiesa e su i paroci di VillaLagarina, ristampa 1983, in nota apag. 46. 9 L’arciprete di Villa conte AntonioLodron di Castellano fu colui che,come osserva Antonio Passerini, aprìl’Europa ai Lodron in quanto divennecapo del capitolo della cattedrale diSalisburgo, preparando così la stradaal parente Paride che nel 1619 fu elet-to Principe Vescovo di quella città (Lanobile pieve di Villa Lagarina 1994,pag 40-41).10 Gasparo era figlio di NicolòLodron di Castelnuovo. «Fu altodiplomatico presso gli imperatoriMassimiliano e Rodolfo II di casad’Austria, per i quali assolse delicatiincarichi, ripagato con onorificenze e

privilegi, come quello di batter mone-ta» (Antonio Passerini, Le vicendedella comunità di Villa Lagarina in Lanobile pieve di Villa Lagarina 1994,pag. 39). 11 Ibidem pagg. 87-88. Il conteGasparo Lodron era figlio di Nicolò.Contrasse due volte matrimonio evenne a morte il 10 settembre 1585(vedi Quintilio Perini «I Lodron diCastellano e Castel Nuovo», 1909 Attidell’Accademia Roveretana degliAgiati sez. III, Vol. XV). 12 ADT, Atto visitale libro 57 (1750)c. 51.13 Don Giacomantonio Giordani, inop. cit., a pag. 46 in nota, scrive che lachiesa di San Giovanni Battista alporto fu consacrata il 21 maggio 1585.14 ADT, Atto visitale libro 57 (1750)c. 64 v.15 Simon Weber, I Vescovi suffraga-nei della chiesa di Trento, 1932, pagg.117-128. 16 Italo Prosser, «Cristoforo Rosminie Antonia Prosser. Vicende roveretanetra Cinque e Seicento», Il Comunalen° 35, giugno 2002, pag. 51.17 ADT, Atto visitale libro 25 (1636)c. 117 v., e c. 120.18 Italo Prosser, Noriglio, Cronacadella comunità, 1999 pag. 136 eseguenti. 19 Hans Wieser, Roberto Adami, Adigeun fiume di storia, Associazione ComunComunale Lagarino-1999, pag. 27.20 ADT, Atto visitale libro 27 (1683)c. 40, e c. 153.21 Comune di Villa Lagarina. I luoghidell’arte, «Il S. Giovanni ritrovato»,Storia di un restauro, Palazzo Libera14 agosto - 6 settembre 1998. Depliantstampato in occasione della mostra.Referenze storiche: Roberto Adami. 22 Virginia Crespi Tranquillini, Gio-vanni Cristoforetti, Antonio Passerini,La nobile pieve di Villa LagarinaStampalith 1994 pag. 159.23 Giacomantonio Giordani, in op.cit., pag. 28.24 ADT, Atto visitale libro 28 (1708)cc 1, 4 v. , 60, 76, 83.25 ADT, Atto visitale libro 40 (1728)c. 365. 26 ADT, Atto visitale libro 57 (1750)

cc. 49, 51, 62, 64 v.27 Si tratta di un quadernetto conserva-to presso l’Archivio storico della pievedi Villa Lagarina, che porta la segnaturaX, B 1. Misura cm 22 x 16 ed è compo-sto di 30 pagine delle quali 24 sonoscritte e le rimanenti sono bianche.Porta il titolo «Libro dei conti apparte-nenti alla Chiesa di S: Giò: Batta vicinoal porto di Villa. Anno 1713». All’inter-no è contenuta una carta volante cheriporta i conti riguardanti il periodo tra il10 maggio 1750 e il 20 settembre 1767.28 Il conte Sebastiano Lodron fu arci-prete di Villa dal dicembre del 1748fino al 1751 allorché rinunciò all’inca-rico in favore del fratello Massimilia-no Settimo.29 L’arciprete di Villa Lagarina Mas-similiano Settimo conte Lodron, cano-nico della cattedrale di Bressanone edella collegiata ad Nives di Salisburgovenne a morte il primo settembre1796.30 Don Giacomantonio Giordani nei«Cenni storici su la chiesa e su i paro-ci di Villa Lagarina» in nota a pag. 46scrive che la chiesa di San GiovanniBattista al porto «fu privata della cam-pana nel 1871 [forse voleva dire 1771,perchè nel 1871 la chiesa e quindianche il campaniletto a vela erano giàstati abbattuti da 26 anni]; e forse d’al-lora in poi servì di magazzino peilegnami».Villicus, La cappelletta del crocifissodi Villa Lagarina, in Il Comunale n°28 del dicembre 1998 a pag. 20 affer-ma, non si sa in base a quale fonte:«Nel 1841 [la chiesetta di San Giovan-ni al Porto] fu trasformata in magazzi-no per legnami». 31 Archivio storico del Comune di VillaLagarina. Già citato in nota al n° 2.32 In realtà tale statua non porta isegni distintivi che sono sempre pre-senti nelle statue di San Giavanni Bat-tista, e quindi potrebbe riprodurre piùverosimilmente un San GiovanniEvangelista dolente sotto la croce,anche se mancano il libro del vangeloe l’aquila, oppure San Giovanni Nepo-muceno.33 Villicus, ibidem pag. 20.

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Il ruolo che oggi svolgono nel tra-sferimento delle merci la ferrovia el’autostrada, un tempo era svoltodal fiume Adige, questo importan-te corso d’acqua che taglia tutto ilTrentino da nord a sud, mettendo incomunicazione il mondo commer-ciale tedesco, che andava a sinte-tizzarsi nelle quattro importantifiere annuali di Bolzano, con ilmondo italiano, la cui realtà piùvicina era costituita dalla città diVerona.Pur senza entrare nel dettaglio, nonè certo questa la sede adatta perfarlo, si cercherà di seguito di for-nire alcune informazioni fonda-mentali che possano rendere com-prensibile il sistema su cui si basa-va lo sfruttamento commerciale delfiume Adige1.La via d’acqua veniva sfruttataintensamente per il trasporto dellemerci (e secondariamente anchedei passeggeri) nel tratto Bolzano-Verona, con possibilità di estensio-ne del percorso fino a Venezia. Ipunti chiave di questo percorsoerano: il porto di Bronzolo, scalomerci di Bolzano e punto di arrivodel legname proveniente dalle este-se foreste altoatesine; Lavis: situa-to alla confluenza Adige-Avisio,dove arrivavano imponenti quanti-tà di legname proveniente dallaValle di Fiemme; Sacco, scalomerci di Rovereto, situato alla con-fluenza Adige-Leno, dove arrivavail legname tagliato nei boschi delRoveretano (Terragnolo, Vallarsa),ma soprattutto dove risiedevano lefamiglie titolari della compagniadegli spedizionieri e degli zattieri;Pescantina, scalo merci di Verona,dove aveva sede la compagnia del-l’Arte nautica, ossia dei burchieri.

Importanza minore avevano ilporto di Calliano, situato alcunichilometri a nord di Rovereto,dove confluiva il legname tagliatonei boschi della comunità di Folga-ria; e il porto di Villa Lagarina,elemento di collegamento tra laDestra Adige e Rovereto. Altriporti lungo l’Adige erano quelli diEgna, Salorno, S. Michele e NaveS. Felice, quest’ultimo ricordatogià in epoca medievale.Il trasporto delle merci avvenivaovviamente nei due sensi. La rego-la era semplice: le merci dirette asud potevano viaggiare esclusiva-mente su zattere; le merci dirette anord solo su burchi, che al ritornonon potevano caricare né merce, népasseggeri, ma soltanto i cavalliusati per l’alaggio (traino dei bar-coni lungo la strada alzaia).Il traffico commerciale da nord asud, ossia da Bolzano a Verona,con possibilità di arrivare fino aVenezia (arsenale), era gestitodalla “Compagnia degli Spedizio-nieri di Sacco”, che originaria-mente era costituita da tutte lefamiglie della comunità di Sacco,giusto diploma imperiale del 1584.Nel 1744, approfittando di una dis-posizione imperiale di Maria Tere-sa che vincolava il rinnovo del pri-vilegio al versamento di 100.000fiorini in contanti, dieci famiglie diSacco (Fedrigotti, Baroni, Gelmi-ni, Bonfioli e Panzoldo) anticipa-rono la grossa somma di denarorichiesta assicurandosi la privativadelle spedizioni.Le ditte degli spedizionieri diSacco avevano i terminali com-merciali a Bronzolo. Per garantiretrasporti veloci e sicuri, si avvale-vano della perizia degli zattieri di

Sacco. Gli zattieri erano organizza-ti in una corporazione chiamata“Arte della Zattaria di Sacco”,dotata di propri statuti e regola-menti. Le condotte delle zattereavvenivano a rotazione, cioè aturno tra i vari membri della corpo-razione, secondo un ordine cheveniva fissato e fatto rispettare dalsovrintendente, chiamato ancheGastaldo. I responsabili delle con-dotte erano i Maestri Zattieri; adognuno di loro era affidata una zat-tera, per condurre la quale si avva-levano di almeno altri tre zattieri.Per evitare i possibili danni recatidall’acqua, le merci trasportatesulle zattere erano custodite entrobotti di legno costruite dai membridella potente “Corporazione deibottai di Bolzano”. La zattera,oltre che trasportare la merce, eraessa stessa un prodotto commercia-le, in quanto fin dalla sua costru-zione nel porto di Bronzolo era giàvenduta sotto forma di legname dacostruzione. Arrivata a Verona escaricata la merce, la zattera termi-nava la sua corsa nelle segherie,dove veniva ridotte in travi ed assi.Alcune zattere, costituite da pezza-ture di legname di eccezionale lun-ghezza (fino a 15-18 metri), prose-guivano il loro viaggio verso l’Ar-senale di Venezia, dove i tronchisarebbero finiti nelle chiglie o suiponti delle navi della Serenissima.Le zattere venivano costruitelegando tra loro i tronchi con robu-ste “strope”, i caratteristici legaccidi salice, che venivano infilate inappositi fori posti a circa 30 centi-metri dalle teste dei tronchi. Inmedia una zattera era costituita datrenta tronchi d’albero posti su piùstrati, ed aveva una larghezza di

Il fiume Adige

come sistema di trasporto delle mercidi Roberto Adami

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circa 5 6 metri. In questo modo unazattera poteva trasportare, oltre allemerci, circa 120 metri cubi dilegname.Le difficoltà del trasporto dellemerci su zattera erano rappresenta-te dalle condizioni del fiumeAdige: ingrossamenti e secche, chemettevano a dura prova la periziadegli zattieri. In certi tratti delcorso poi, anche in condizionifavorevoli di navigazione, esiste-vano dei punti pericolosi (vortici)che in alcuni casi il “MagistratoMercantile di Bolzano”, l’autoritàistituzionale (Tribunale commer-ciale) preposta alle fiere di Bolza-no e ai commerci lungo l’Adige,cercò di ovviare predisponendo deipercorsi alternativi, anche attraver-so modifiche dell’alveo del fiume.Un ostacolo alla navigazione dellezattere era costituito dai conoidi dideiezioni dei torrenti che sfociava-no nell’Adige; ed anche dalle“roste”, grossi muri di protezionedegli argini, costruiti dai contadinicome riparo per i campi e praticontro la furia del fiume. In questipunti si creavano correnti anomaleche spingevano le zattere contro iripari, con rischio di naufragio ocomunque di danneggiamentodelle merci. Nei casi estremi, in cuila navigazione diventava troppopericolosa, le zattere venivano sca-ricate e sostituite per brevi tratti dalservizio di trasporto su strada(“carraria”).Da sud a nord le merci viaggiavanosui burchi, che erano le grandi bar-che trainate da cavalli, i quali per-correvano la strada alzaia parallelaall’Adige. Il commercio in questadirezione era gestito da una corpo-razione chiamata “Arte Nautica diPescantina”, alla quale appartene-vano le principali famiglie di quel-la comunità: Butturini, Benvenuti,Bonvicini. Le merci, meno numerose di quel-le che scendevano l’Adige, risali-vano il fiume fino a Trento, dovefinito di scaricare imbarcavano icavalli e tornavano a Pescantina.Un ostacolo alla navigazione dei

burchi era costituito dalle esonda-zioni dell’Adige, che distruggeva-no o rendevano impraticabile lastrada alzaia. In alcuni casi il pro-blema poteva venire risolto ricor-rendo all’uso di buoi (più robustidei cavalli nel trainare la barca neitratti acquitrinosi); altre volte lastrada doveva essere interamentericostruita, spesso acquistandoparti dei campi limitrofi. Le spesedi mantenimento e ricostruzionedella strada erano a carico dell’Ar-te Nautica di Pescantina.Un altro ostacolo alla navigazionesull’Adige con burchi era costitui-to dai (in realtà pochi) mulini sul-l’Adige, in corrispondenza deiquali i burchieri dovevano staccarela corda dell’alaggio e riattaccarlaa monte della costruzione.Come si inseriva in questo sistemadi trasporto delle merci la realtàeconomica di Villa Lagarina? Perrispondere a questa domanda espo-niamo un caso avvenuto a VillaLagarina nel 1783.La famiglia dei conti Marzani diVilla necessitava di zucchero ecaffé. Si rivolse così alla dittaNocher e Stanga di Monaco chetramite la fiera di S. Andrea di Bol-zano consegnò la merce richiestaagli spedizionieri, rappresentatidalla ditta Baroni e Fedrigotti diSacco, con recapito in Bronzolo.La merce venne collocata in unbarile costruito dai maestri bottaidi Bolzano; il barile fu caricato suuna zattera costruita al porto diBronzolo con legname provenienteda Nova Levante destinato (giàvenduto) ad una segheria di Vero-na. La zattera guidata con periziada un maestro zattiere di Saccoscese l’Adige fino al porto di VillaLagarina, dove, come sempre, lamerce venne consegnata al respon-sabile del traghetto (“portinaio”):“fu dal nostro maestro di zattacondotto il suddeto barile alla rivadi Villa e lo diede in custodia alPortinaio, così come si costumacon tutti i colli che per colà vengo-no scaricati”. In seguito sarebbegiunto al porto un carro trainato da

buoi mandato dai Marzani, cheavrebbe caricato il barile e loavrebbe portato nel palazzo deiconti, sulla piazza della Fontana.Se oggi noi siamo a conoscenza diquesto fatto è perché a questopunto la storia ebbe un’improvvisavariante, che anziché farla finire inun libro di casa (Marzani) nel qualeerano registrate le spese effettuatedalle famiglie (che probabilmentesarebbe in seguito andato perduto),la dirottò negli atti dell’ufficio cri-minale dei Lodron (gran parte deiquali invece si conservano).Accadde infatti, che a ritirare ilbarile si presentasse non un uomodi fiducia dei Marzani, ma certoGiuseppe Andreoli dai Molini diNogaredo, che caricata la botte sulcarro di tal Bortolo Marzani diVilla Lagarina (la coincidenza delcognome del “carradore” con i veriproprietari della merce è puramen-te casuale), aveva condotto zuc-chero e caffè nella casa di quest’ul-timo, iniziando a vendere la prezio-sa merce alla gente di Villa. Da quila denuncia e il processo control’Andreoli, nel frattempo resosiirreperibile.Quali materiali viaggiavano sul-l’Adige? Come detto in precedenzala principale merce che viaggiavasull’Adige era costituita dal legna-me da costruzione. Abbiamo vistoperò che anche derrate alimentaricome zucchero e caffé arrivavano aVilla per la via d’acqua.Sulle zattere e sui burchi, a secon-da che si viaggiasse verso sud overso nord, potevano essere carica-te le più svariate merci. Verso ipaesi tedeschi partivano botti pienedi vino e di pregiate sete colorate;da Salisburgo o Innsbruck poteva-no arrivare botti piene di sale, pellilavorate e prodotti per l’edilizianon disponibili in Val Lagarina,come i chiodi tedeschi e le lamieredi rame per le coperture delle chie-se. Dalla pianura veneta arrivavanogrosse quantità di grano (frumen-to), che i nostri paesi non riusciva-no a produrre in quantità sufficien-te al proprio autoconsumo. Nelle

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quattro fiere di Bolzano poi, chericordiamo erano quelle di “MezzaQuaresima”, “Corpus Domini”,“S. Bartolomeo” (30 agosto) e “S.Andrea” (30 novembre), si poteva-no trovare le merci più disparate.Come pure nel grande mercato diVerona.Anche i prodotti locali potevanoviaggiare per la via d’acqua. APomarolo, ad esempio, per granparte dell’età moderna fu attivauna grossa cava di tufo, dalla qualesi ricavavano i caratteristici sassiper la costruzione delle volte dellechiese. Quando alla metà del Sei-cento venne ricostruita la chiesa diAvio, i tufi per le volte vennerocaricati su centinaia di zattere allariva dell’Adige presso Pomarolo;condotti lungo il fiume fino allerive di Avio, quindi caricati su carrie portati al cantiere della chiesa. Lastessa cosa avvenne per la chiesa diSacco nel 1649. Per Villa Lagarinaè documentata anche una grossafornitura di foglia di gelso (“foia demorèr”) arrivata al porto su zatterae poi trasportata nelle case delpaese, dove la gente, in quell’occa-sione a corto della preziosa materia

prima, stava vedendo svanire lapossibilità di allevare i propri bachida seta (“cavaléri”), e con essaquella di arrotondare considerevol-mente le entrate finanziarie.Occasionalmente sulle zatterepotevano viaggiare anche i passeg-geri. Quando nel 1651 l’ingegnereGian Domenico Visetti, abitante aRovereto, si trasferì ad Avio per ilavori di ricostruzione della localechiesa parrocchiale, lo fece imbar-candosi proprio su una zattera nelporto di Sacco, sulla quale caricò lesue cose e tutta la famiglia: “Ilmagnifico Dominico Visetti inge-gnere venne in Avio lunedì 10luglio, seco conducendo messerCarlo suo fratello, architetto, lamoglie, la madre, tre figliolini et ungarzone, con le sue robbe, in unazatta di suo legname”.Una zattera per discendere l’Adigeda Bronzolo a Trento impiegavamediamente mezza giornata; daTrento a Verona 2 giornate (si viag-giava solo di giorno e la correnteera meno veloce di oggi). Per com-piere lo stesso tragitto a ritroso conun burchio trainato da cavalli civolevano da 2 a 4 giorni. Le merci

che da Verona proseguivano perVenezia infine, impiegavano circa8 giorni per arrivare a destinazione.L’Adige continuò ad essere sfrutta-to per il trasporto delle merci finoalla metà dell’800, quando fu rea-lizzata la ferrovia, che divenneconcorrenziale nel trasporto rispet-to al vecchio sistema per la viad’acqua. In vista della realizzazio-ne del tracciato ferroviario il fiumevenne “raddrizzato” in più punti; ilsuo corso divenne più stretto eregolare, ma perse anche gran partedel proprio suggestivo paesaggiofatto di anse, “ischie”, risorgive egolene; una grave perdita in sensoestetico, ma anche ecologico.

Nota

1 Le notizie che seguono sono statesintetizzate dalla bibliografia esistentee dai risultati delle ricerche d’archivio.Per quanto riguarda la bibliografia siricordano, tra i testi prodotti in areatrentina: CANALI 1939, ARMAN1972 e ROSSINI 1986; tra quelli pro-dotti in area veneta: FACCIOLI 1956,COLTRO 1989, TURRI - RUFFO (acura di) 1997.

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Il centro storico di Villa Lagarina ècaratterizzato da alcune fontanepubbliche, pregevoli manufatti inpietra lavorata dalle forme armo-niose, che associano all’utilitàdella loro funzione una grandevalenza come elementi caratteristi-ci ed insostituibili dell’arredourbano.La fontana principale è quella dipiazza Riolfatti, per secoli chia-mata proprio piazza della Fontana,la cui esistenza è documentata apartire dalla metà del Cinquecento.

Le forme attuali dovrebbero risali-re al Settecento: vasca ottagonalecon specchi lavorati in pietra calca-rea bianca; colonna erogatricescolpita e decorata.Gli specchi sono marcati da unsemplice riquadro, con lavorazioneleggermente differenziata dellapietra. Essi sono inoltre giuntatidirettamente negli angoli, congrappe metalliche. Sul lato nord èpresente la colonna a base rettan-golare, arricchita da due slanciatevolute che racchiudono in alto due

mascheroni con cannelli ritorti edecorati da teste di delfino in bron-zo. Il pilastro è sormontato da uncapitello con una boccia e sopra-stante putto, realizzati in arenariabianca (“pietra morta”). Due forisotto i cannelli fanno pensare aduna preesistente mensola o suppor-to delle bocche erogatrici. Anchesul lato opposto è presente unmascherone con bocca “finta”; ilforo esistente non pare infatti fosseutilizzato.Al secolo successivo probabilmen-

La fontana di Cavolavilla è ben più antica della data 1911 che compare su di essa

Le fontane pubbliche di Villa Lagarinadi Sandro Aita e Roberto Adami

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te si deve l’aggiunta della vascarettangolare dotata delle caratteri-stiche pietre inclinate con funzionidi lavatoio, complete di colonnineportasapone; della stessa epoca è larealizzazione delle panchine in pie-tra che circondano il manufatto,ombreggiato dagli ippocastani.Una struttura simile, con analoghevicende storiche, fortunatamentemeglio documentate, sorge all’e-sterno del palazzo Guerrieri Gon-zaga, in prossimità dell’incrociotra via Cavolavilla e via DamianoChiesa. Si tratta sempre di unagrande fontana-lavatoio in pietraformata da due strutture distinte:anche in questo caso la parte piùantica è costituita dalla vasca aforma semicircolare con specchiconvessi e concavi (di tipico dise-gno barocco), e realizzati in grosselastre bombate di calcare bianco-grigio, giuntati direttamente suglispigoli, senza pilastrini. Gli spec-chi presentano una lavorazione dif-ferenziata, con cornice inscritta,lavorata alla punta grossa. La basedegli specchi è formata da una sot-tile modanatura che circonda tuttoil vascone principale. Sul lato sud èpresente il pilastro quadrato, conspigoli smussati, sormontato dauna curiosa sorta di “boccia” o dicapitello, sormontato a sua volta dauna “fiamma” costituita da fioriscolpiti (rose, girasoli, ecc.). Dalmascherone fuoriescono poi duecannelle in ferro con supporto. Albacino principale, diviso a metà daun setto di decantazione, è addos-sato il lavatoio vero e proprio,anch’esso realizzato in pietra cal-carea, più rudemente sbozzata. Ilpiano di lavoro è formato da lastro-ni di notevole dimensione, in cal-care di colore lievemente rosato,

sorrette da tozzi pilastrini rettango-lari in pietra bianca.La vasca più antica venne costruitanel 1773 su proposta di alcuni cit-tadini di Villa Lagarina e con ilconsenso del conte MassimilianoSettimo Lodron, governatore dellagiurisdizione di Villa, che donò ildiritto di derivare l’acqua spettantealla sua famiglia. Il terreno su cuivenne collocato il manufatto fuinvece donato dal nobile GiuseppeFesti, proprietario del vicino palaz-zo. Nel 1879 venne aggiunta laseconda vasca, progettata daDomenico Sandonà che abitavanella casa di fronte alla fontana.Nel 1888, su pressione di alcunefamiglie delle contrade Cavolavillae Morea (Madonna Mora), cheaffermavano che l’acqua di unasola spina era poca “per far scorre-re le immondizie delle lavarine eper servire a circa due terzi dellapopolazione del paese”, il comunedi Villa dotò la fontana di unaseconda spina. Altri miglioramential manufatto furono eseguiti nel1911, come testimonia la data inci-sa sul lavatoio.La fontana della contrada di Val-trompia risale al 1880 e vennecostruita dalla comunità su proget-to di Domenico Sandonà. É in pie-tra rossa con vasca rettangolaredall’elegante bordo lavorato a toro;la colonna è quadrangolare in pie-tra rossa, sormontata da un capitel-lo con testa di medusa in pietramorta, mentre la bocca erogatriceha forma di testa di leone. Alcunianni or sono (nell’ambito dellaripavimentazione del borgo) vi èstata aggiunta una seconda piccolavasca decorativa (a quota pavimen-to), demolendo il lavatoio incemento che aveva in epoca recen-

te parzialmente intaccato la vascaoriginaria.La contrada che fa capo alla piazzadella chiesa non è dotata di fontanepubbliche, ma di un prezioso esem-plare nel giardino antistante lacanonica. La possibilità di servirela canonica con una spina che deri-vasse l’acqua dagli acquedotticomunali dovrebbe risalire al 1773,anno di erezione della fontana diCavolavilla. La fontana è costituitada una vasca in pietra bianca addos-sata all’edificio della canonica. Lacanna erogatrice esce dalla bocca diuna monumentale testa antropo-morfa. Sullo specchio anteriorecostituito da una grande lastramonolitica è inciso il blasone dellafamiglia Madernini con la colombacon ramoscello di olivo. Gli angolidella fontana sono evidenziati damotivi a foglie d’acanto; ai lati delmanufatto si trovano due piccolecolonnine di pietra lavorate a spic-chi con funzioni di paracarro.Per concludere la descrizione dellemonumentali fontane del borgo diVilla Lagarina è interessante nota-re come esse abbiano rappresenta-to nei secoli passati una espressio-ne concreta e materiale del valoreattribuito da sempre dai nostri aviall’acqua. Acqua come bene pub-blico, risorsa preziosa che meritavapreziose forme plastiche per offrir-la all’uso comune. Non è certo uncaso che appunto le fontane sianostate da sempre luoghi di incontro,di scambio, di condivisione, certoanzitutto dell’acqua stessa ma, suotramite, anche di valori e di risorsee beni collettivi che l’acqua ha con-tribuito ad aggregare e a valorizza-re nel tempo. Un valore oggi risco-perto e che merita una rinnovatatutela.

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Il quarto Quaderno del Borgoanti-co è dedicato all’Adige, il nostrofiume. Un fiume è come il tempo:acqua e vita che se ne vanno, nuovaacqua e nuova vita che arrivano. Epresso i fiumi e grazie ad essi gliuomini sono usciti dalla preistoriae sono entrati nella storia, cioèhanno iniziato a scrivere e quindi acomunicare e a pensare in modopiù vasto e complesso.Il Borgoantico - Villa Lagarinavive oggi, come vuole il nostrotempo frettoloso e tecnologico, inmodo abbastanza distratto la suavicinanza con l’Adige ed è, secon-do me, molto utile e bello che que-sto assolato e siccitoso anno inter-nazionale dell’acqua e le beneme-rite iniziative culturali collegate ciriavvicinino ad esso.Un caro amico, nato a Villa Lagari-na ed ora trasferitosi lontano dalpaese, a volte mi racconta di comegli piaceva da bambino, dopo scuo-la, vagabondare per le campagnefino a scoprire, al di là del verde, loscorrere frusciante e scintillantedell’acqua.Questo non è più possibile: dall’A-dige ci separa l’autostrada, che haraso al suolo le case di Chiusole eal loro posto esibisce le sue rondi-nelle finte. Io penso che dall’Adige

come dalla natura in generale ciseparino l’avidità, la frettolosità.Un giorno, ricordando con alcuneamiche compagne d’infanzia comeera bella la valle prima della “rivo-luzione industriale”, ho avuto que-sta risposta: “Gaverenti da morirde fam ?”.Non credo che questo sia vero. Lestrade, le autostrade, le case, le fab-briche sono necessarie - il cammi-no iniziato dall’uomo presso ifiumi porta anche a questo - manon è necessario che siano brutte.Certo non devono essere troppe,non devono essere il nostro fine,ma un mezzo, che facendoci starmeglio e rendendoci la vita piùfacile e comoda ci consenta didiventare migliori, di studiare, diviaggiare, di aiutare gli altri.Chissà, forse un atteggiamento piùriflessivo e più attento ai valoridella natura e dell’arte avrebbepotuto salvare a suo tempo la chie-setta di S. Giovanni o evitare illungo nastro di cemento che ciporta a Rovereto.La funzionalità e la bellezza nonsono nemiche, ma complementari.Dopo anni di insensibilità, chehanno provocato devastazioniincredibili - erano i tempi in cui leagenzie turistiche tedesche scrive-

vano: “Andiamo a visitare l’Italiaprima che gli italiani abbiano finitodi distruggerla” - sono arrivati anniche sembrano forse un po’ miglio-ri. Non so. Forse la situazione asso-miglia un po’ a quella della lottacontro il cancro: è vero che si gua-risce di più, ma ci si ammala anchedi più, cioè è vero che c’è più atten-zione, ma è vero anche che ci sonomolti più interventi.Comunque le bellezze dell’Italia edel Trentino sono tali e tante cheper quante ne dobbiamo rimpian-gere ce ne sono sempre infinitealtre da difendere e dobbiamo con-tinuare ad impegnarci per capirecome farlo nel modo più utile egiusto.Nel concludere queste parole diaffetto per Villa Lagarina e dinostalgia per l’Adige, mentre rin-grazio l’Associazione Borgoanticoper la sua preziosa attività, mi per-metto di esprimere un desiderio,fiduciosa che non me ne voglianogli interessati: come sarebbe bellopoter tornare a pranzare, a cenare oa mangiare un gelato sulla terrazzadell’Albergo al Ponte, come tantianni fa! Con l’Adige lento e mae-stoso che scorre sotto di noi.

Nostalgia d’Adige di una villana “doc”di Antonia Marzani

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Adige, eterno poetadi Giacomo Bonazza

(...) Ma la mia strofe vanirà torbidane gli anni: eterno poeta, o Adige,tu ancor tra le sparse maceriedi questi colli turriti, quandosu le rovine de la basilicadi Zeno al sole sibili il còlubro,ancora canterai nel desertoi tedi insonni de l’infinito

Quando Giosuè Carducci verso lafine dell’800, nelle Odi barbare eprecisamente nella lirica Davanti ilCastel Vecchio di Verona, contem-pla l’impassibilità del fiume rispet-to il fluire della storia, l’Adige èancora un protagonista assoluto delpaesaggio atesino, nonostante lasopravvenuta concorrenza dellaferrovia a privarlo inesorabilmentedella sua secolare funzione di viadi trasporto fluviale.Quei versi, d’eco leopardiano, cheassegnano al fiume un destino dieterno cantore e sottolineanomalinconicamente la fatuità delleimprese umane intorno al suocorso, sembrano ancor più ostici alcontemporaneo che questa consa-pevolezza e sensibilità ha smarritonel fiume, quello si dilagante, del-l’indifferenza e del disincanto.Scrive Eugenio Turri in un capitolodel pregevole Adige/Etsch : ilfiume, gli uomini, la storia: “(...) ècome se il fiume non esistesse,celato dietro le cementificazioniche lo assediano. E, ciò che è piùgrave, è che esso non esiste comeelemento importante, come presen-za vissuta per le stesse popolazioniche vivono lungo le sue rive, che loconsiderano sempre più comecloaca, come collettore dei lorodetriti produttivi, non come cor-rente vitale, anima del territorio,suo vaso sanguigno”.

Ad un fugace quanto distrattosguardo dal ponte si è ridotto pertanti il rapporto con il fiume! E luida sotto, più mesto che placido, aguardarci su dentro le nostre fretto-lose automobili e procedere, lentoserpentone acqueo, verso la foce,linea d’appoggio delle ben piùveloci e frenetiche direttrici, quelleautostradali e ferroviarie, che lofiancheggiano.Eppure, se non questo, ci fu untempo dove gli uomini divenneroessi stessi cantori del fiume, fontedi ispirazione poetica, “centro pro-pulsore di vita e di suggestioni”.Di questi sguardi “lenti” probabil-mente abbiamo bisogno oggi, perrisintonizzarci sul respiro dellanatura, del vivere stesso.Nel suo Viaggio in Italia del 1786così annota W. Goethe discenden-do in carrozza verso Trento: “Orail corso dell’Adige si fa più lento,formando in vari punti un gretomolto largo. La campagna lungo ilfiume e su per i colli è così fitta eintrecciata di piante da far pensareche si soffochino a vicenda: spal-liere di viti, mais, gelsi, meli, peri,cotogni, noci. Al di sopra dei muriaffiora rigoglioso il sambuco; insolidi fusti l’edera sale su per lerocce e le ricopre largamente; lalucertola guizza nelle fenditure, etutto ciò che si muove di qua e di làriporta alla mente le più careimmagini dell’arte (...)”.L’Adige prim’attore quindi di unpaesaggio vallivo quanto mai varie-gato nella sua biodiversità. Moltosimile a quello dipinto poeticamen-te, quasi un secolo e mezzo piùtardi, dal grande artista pergineseTullio Garbari nella lirica Val Laga-rina e nella prosa ritmica Dalla

Canzone di Villa Lagarina, compo-ste in una grigia Milano del 1916,rimembrando dall’esilio i colorismaglianti del suo retico Trentino.Valsuganotto, Garbari aveva fre-quentato le scuole reali di Rovere-to: ecco i ricordi e i colori lagarini!L’Adige anche raffigurato: dallenumerose stampe antiche ai famosiacquarelli trentini di Albrecht Dürercon la città che si specchia dentro ilsuo fiume, fino a quelli eterei diErnesto G. Armani dai vari ponti deltratto lagarino (Villa Lagarina,Sacco, Ravazzone), passando daquello a noi più caro e vicino diEduard Gurk che riproduce il tra-ghetto di Villa Lagarina nel 1840.E poi ancora l’Adige soggetto privi-legiato nelle tele dei maggiori pitto-ri trentini: da Bartolomeo Bezzi(Sulle rive dell’Adige, 1885) aEugenio Prati, da Luigi Bonazza(L’Adige alla periferia di Trento,1950) alle vaporose, quasi allucina-te visioni di S. Michele all’Adigedel bohemien Angelico Dallabrida.Tralasciando qui ovviamente ulte-riori riferimenti iconografici all’A-dige ‘padano’ se non accennarealmeno alle splendide vedute delfiume che solca Verona di Bernar-do Bellotto (metà del 1700).Un immaginario appena sfioratoche giorno dopo giorno rischia disbiadire o addirittura scompariredentro l’orgia mediatica di paesag-gi senza orizzonte.Servano queste brevi note a ride-stare un briciolo di curiosità, senon di passione, verso il fiumedimenticato, che rimane comunquemetafora di un altro viaggio...l’anima umana somiglia all’ac-qua, dal cielo scende, al cielo risa-le, sempre mutando...

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Val Lagarina(Tullio Garbari)

Val lagarinaDorata di fruttiE di sole autunnaleSui greppiDirupantiVestiti del velloCrespo ricciutoDei cespugli tondeggiantiDei boschi ceduiQuercialiTra la desolazioneDelle lavine e delle rupiMorte.

Lama inazzurrataDal sereno tesoE profondoSul tuo cuore o terraE sul tuo fiumeAdige,BagnanteLe acacie

Protese sulle riveFascianti l’argine erbosoNell’ombraCara a noiAmanti distesiSotto quest’oroE quest’azzurroIl capo nell’ombra alta e fondaCoi piedi nella lucePresso all’acqueMormorantiOndate increspateA sciacquio verso le riveCondotteRisucchio bordeggiante.

Su la matura ricchezzaDi val LagarinaRiluconoLe palle di bronzo doratoDell’obelisco di SaccoE il suo ponteLa strada che sale a IseraLe groppe dentateDello Stivo e del Corno.

Dalla canzone di Villa Lagarina(Tullio Garbari)

Rivedo il grosso barconePieno di ocradorati poponi e dizucche verdi gialle,La chiatta panciuta carica dimeloni color fangoIn mezzo al fiume rossastro e gon-fio per le piogge d’autunnoTra i flutti riottosi dell’Adige.

Passavamo in carrozza rapida-mente sul vecchio ponte di legno.La barca traghettava il fiume ros-siccio di lavine torrenziali,Seguiva un po’ la corrente andan-do alla deriva.A prua v’era un solido rematorescamiciato:Ben incurvando le reni inarcava legambe dal muscoloso polpaccio.

Curvo per la violenza delle onderotte dalla chiattaSbatteva ogni tanto il remo suifianchi bituminosiRoridi d’acqua gocciolante sulcatrame.Un ragazzo seduto presso il timo-

ne guidava la barca.Intravedo nel lampo svanito labianca chiesa del paeseE il gran viale zebrato di sole Picchiettante i tronchi annosiI frascamiIl terreno,Tra albero e albero le stazionidella Via Crucis lievemente ascen-denti

Il silenzio del chiostroLe monache sorridenti in ampietonache biancheLe zie e un’allegra luce di soleentrante dalla finestraLuce smorzata (riflessi di viali)dalle voci sommesseCome i passi sui tappetiLe figure accennanti dalle ombre dei vaniDalle penombre degli angoliDel salotto conventualeDove trovammoLa felicità della giovane zia noviziaE poi il pirlo trottolante offertomiin canonicaDall’alto e magro prete candido ebonario.

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Finito di stamparenel mese di Ottobre 2003

da Litografia Stella - Rovereto (TN)