Quaderni Anno VII - N 1/2007

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Sommario• EDITORIALE

di Augusto Conte 3

• ARGOMENTI DI ATTUALITÀ FORENSE - Processo Civile: riforma in arrivo

di Claudio Consales 6

• ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

- Adunanza "Itinerante" del 20.2.2007 in Francavilla Fontana Assemblea straordinaria del 9.3.2007 12 - Consiglio Ordine Avvocati presso il Tribunale di Brindisi 15 - Corso di aggiornamento professionale per difensore di ufficio 18 - Corso di formazione e aggiornamento della Scuola Forense 21 - Testo integrale della "intervista" rilasciata dal Presidente dell'Ordine a "Demo" 26 - Giurisprudenza disciplinare del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Brindisi 31

• INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO CORTE DI APPELLO DI LECCE - 27 GENNAIO 2007 di Umberto Pagano 41 - Unione degli Ordini degli Avvocati di Puglia Comunicato in occasione della inaugurazione dell'Anno Giudiziario 65

• CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

- Relazione sull'attività del Consiglio Naz. For. volta nell'anno 2006 di Guido Alpa 68 - Delibera del Consiglio Nazionale Forense di approvazione del regolamento per la formazione 119 - Relazione sul regolamento per la formazione continua della professione di avvocato 127

• CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE

- Rinnovo delle cariche sociali 135

• INSERTO COMMEMORATIVO DELL'AVVOCATO FULVIO CROCE NEL TRENTENNALE DELLA UCCISIONE

NELL'ADEMPIMENTO DEL SUO DOVERE DI PRESIDENTE DELL'ORDINE EGLI AVVOCATI DI TORINO 137

Q U A D E R N IRIVISTA QUADRIMESTRALE

DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BRINDISI

Anno VII - N. 1-2007Autorizzazione Tribunale di

Brindisi n. 10 del 16 maggio 2001Testata associata all' A.STA.F.

Direttore ResponsabileAugusto CONTE

Comitato di redazioneGiancarlo CAMASSA, Stella COMI-TANGELO, Claudio CONSALES, Giustina GIORDANO, Mario LAVENEZIANA, Dario LOLLI, Mauro MASIELLO, An-tonio MAURINO, Emanuele MILONE, Carmelo MOLFETTA, Leonardo MUSA, Carlo PANZUTI, Teodoro SELICATO, Paolo VADACCA.

DirezioneORDINE DEGLI AVVOCATI presso

IL TRIBUNALE DI BRINDISIPalazzo di Giustizia

Viale Liguria, 1 - Tel. 0831/58699372100 BRINDISI

[email protected]@ordineavvocati.br.it

Redazione e pubblicitàEDIZIONI DEL GRIFOvia V. Monti, 18 - Lecce

tel. 0832/394346 - fax 0832/[email protected]

StampaTiemme (ind. grafica - Manduria)

Tiratura n. 1.500 copie

Tutti gli iscritti all'Ordine possono col-laborare alla rivista del Consiglio con articoli su problemi di interesse generale: la Direzione si riserva la facoltà di non pubblicare gli articoli che pervengono. I dattiloscritti non vengono restituiti.

IN COPERTINA: Porto di Brindisi (dipinto di Filippo Hackert, 1789 - Caserta, Palazzo Reale).

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CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BRINDISI Presidente Avv. Augusto CONTE Cons. Segr. Avv. Carlo PANZUTI Cons. Tesor. Avv. Teodoro SELICATO

• OPINIONI E DOCUMENTI

- Il grande avvocato Antonio Caiulo - Viaggi nei suoi scritti a cura di Carlo Panzuti 153 - Note difensive per il Rag. Piccolo contro la Signora Gigante di Antonio Caiulo 156 - Ancora su Pietro Chimienti di Carlo Panzuti 172 - Pietro Chimienti, Senatore del Regno La mozione Turati e la decadenza dall'ufficio dei deputati secessionisti 175 - Il procacciamento della clientela e il divieto di accaparrramento nelle regole deontologiche e nella giurisprudenza disciplinare di Augusto Conte 189

• NOTE DI STORIA FORENSE

- Il Codice di procedura civile per gli Stati Sardi del 1854 a cura di Augusto Conte (I parte) 208

• CONVEGNI E CONGRESSI

- Giudice e Pubblico Ministero - Una proposta di revisione costituzionale per la separazione delle carriere (Milano, 20 gennaio 2007) di Michele Conte e M. Concetta Milani 213

• I CONGRESSI NELLA STORIA DELL'AVVOCATURA

- XV Congresso Nazionale Giuridico-Forense (Lecce, 29.09 - 04.10.1979) prolusione di Aldo Casalinuovo 218

• DIRITTO & ROVESCIO NELLA PROFESSIONE FORENSE a cura di C'È SU UN TOGATO 253

• SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

- DOMENICO CARPONI SCHITTAR - Il processo come arte di Antonio Franchini 259 - MICHELE LEONI - Il tempo degli innocenti di Augusto Conte 265 - SANTE CONVERTINI - La bimba di tutti di Augusto Conte 269

• RICORDI

- Lorenzo Lucisani di Giancarlo Camassa 271

Consiglieri Avv. Giancarlo CAMASSA Avv. Stella COMITANGELO Avv. Claudio CONSALES Avv. Giustina GIORDANO Avv. Mario LAVENEZIANA Avv. Dario LOLLI

Avv. Mauro MASIELLOAvv. Antonio MAURINOAvv. Emanuele MILONEAvv. Carmelo MOLFETTAAvv. Leonardo MUSAAvv. Paolo VADACCA

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EDITORIALE

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EDITORIALE

di AUGUSTO CONTE

La sintesi imposta dalla esigenza di concentrazione, nel breve spazio che un editoriale deve occupare, dei tanti eventi che interessano l’Avvocatura e l’amministrazione della giustizia, ricomprendendo in quest’ultima espressione le norme, di natura sostanziale e processuale, che ne con-sentono la attuazione, e di significato ordinamentale, che si riferiscono ai soggetti che la gestiscono, consente solo un cenno ai temi in discussione.

Essendo convinto che la storia dell’avvocatura si identifi-ca indissolubilmente con la storia del processo, ritengo che al fine di rendere concreto, operativo, effettivo quest’ultimo, per il riconoscimento dei diritti della collettività che si rivol-ge alla giustizia, deve necessariamente essere valorizzato e potenziato il ruolo del difensore, per le garanzie che devono essere riconosciute alle parti interessate alla definizione dei procedimenti civili e alla soluzione di quelli penali.

E, allora, è imprescindibile che la difesa non venga mai più considerata un ostacolo alla realizzazione della giusti-zia, ma concretizzazione del principio di legalità che deve trovare attuazione nel processo, in riferimento alla funzione pubblicistica, oltre che privatistica, assegnata agli Avvocati;

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EDITORIALE

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e che il ruolo del difensore venga confermato nella sua po-sizione di garante del corretto svolgimento del processo, e della regolarità del giudizio, nel contraddittorio, e dei diritti di libertà e sicurezza.

Per lo svolgimento di tale ruolo l’Avvocato deve poter svolgere la propria attività in piena libertà, autonomia e indipendenza, che non costituiscono solo un diritto ma soprattutto un dovere dell’Avvocato che deve conservarle e difenderle da pressioni o condizionamenti esterni, da qua-lunque parte provengano, essendo radicate, in senso etico e professionale, nella coscienza di ciascun Avvocato.

Qualsiasi riforma dell’ordinamento professionale deve tenere conto di questi principi fondamentali e inalienabili, che costituiscono patrimonio morale della nostra civiltà che si fonda sul diritto.

Dal pari le norme processuali, civili e penali, entrambe ispirate alla comune cultura della prova, e della disponibilità della stessa per le parti, non possono prevedere una gestio-ne autoritativa del processo da parte del giudice, che non consideri tali regole che trovano fondamento nel principio costituzionale del “giusto processo”.

E proprio in funzione della necessaria attuazione del prin-cipio costituzionale l’Ordinamento Giudiziario deve ricono-scere la terzietà del giudice e la sua equidistanza dalle parti.

Salvatore Satta affermava che se il processo ha uno scopo, lo stesso risiede nel fatto che a rendere il giudizio sia un soggetto terzo ed estraneo alle parti.

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EDITORIALE

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Per rendere concreta la giustizia non bastano le riforme del processo se non sono accompagnate dal potenziamento di mezzi e personale, a cominciare dagli organici dei ma-gistrati.

L’avvocatura, per quanto le compete, continuerà nel-l’impegno a rendere il servizio della giustizia efficiente ed effettivo.

Questo fine intanto si può raggiungere in quanto l’avvo-catura dia una immagine di sè di protagonista nella società e nel processo, nel solco della tradizione e con gli ammoderna-menti richiesti da una società evoluta, senza farsi travolgere o trasformare in un soggetto che confligge con il ruolo che le consegna la Costituzione Italiana.

Questo numero della Rivista, primo del settimo anno di continua edizione, contiene documenti recenti o meno re-centi, drammatici o culturali, tecnici o operativi che, quasi inconsapevolmente, si sono offerti alla divulgazione e che convergono verso una diffusione della “immagine” dell’Av-vocato, non oleografica o autoreferente, ma viva e concreta, quale risultante dalle relazioni ufficiali, dalle riflessioni di rilievo comportamentale, dalle opinioni di appartenenti alla categoria e di estranei alla stessa, e, purtroppo, da atti di natura “politica”, a conferma, specie per questi ultimi, del ruolo nella società, dalla quale, e per la crescita e lo sviluppo della quale, l’Avvocato non può essere escluso.

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ARGOMENTI DI ATTUALITÀ FORENSE

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Processo Civile: riforma in arrivo

di CLAUDIO CONSALES*

Il processo civile sta per vivere una nuova riforma con tutte le problematiche organizzative ed interpretative che ogni riforma porta con sé.

Le novità in cantiere nascono dalla dichiarata ed espressa esigenza di rendere più rapido lo svolgimento del processo come risposta inelu-dibile ai molteplici richiami che provengono dagli Organismi Europei giustamente insofferenti alle lungaggini della giustizia italiana.

Pertanto è una riforma ispirata non da problematiche sorte per effetto dei recenti e molteplici interventi sul processo civile, ma dal-l’unico fine di rendere più celere ed efficiente la giustizia così come l’Europa ci impone di fare.

Il fine della riforma è espressamente dichiarato, infatti la rela-zione illustrativa del Disegno di Legge proposto dal Governo così esordisce: “Gli interventi proposti sono finalizzati a ridurre la du-rata dei processi civili, nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo, sancito dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, quindi, dalla nostra Costituzione con la mo-difica dell’art. 111. Considerato che, in una materia così delicata, si sono susseguiti, anche di recente, numerosi interventi normativi, il presente disegno di legge non ha l’ambizione di attuare l’ennesima riforma organica del processo civile, ma si propone di introdurre al-cune importanti modifiche al codice di rito, tese al conseguimento della finalità acceleratoria innanzi indicata”.

*Avvocato del Foro di Brindisi.

ARGOMENTI DI ATTUALITÀ FORENSE

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ARGOMENTI DI ATTUALITÀ FORENSE

In sostanza è “la ragionevole durata” del processo il motivo ispi-ratore degli interventi proposti e su cui il Parlamento è chiamato a pronunciarsi a breve.

Significativamente viene indicata normativamente la ragionevole durata del processo, che quindi non è più ancorata ad una valutazio-ne astratta e mutevole, ma ad un dato normativo.

Il disegno di legge indica in cinque anni la ragionevole durata del processo civile così ripartiti: due anni per il primo grado, due anni per il giudizio di appello ed un anno per il giudizio di legittimità.

Al Giudice viene attribuita una diretta responsabilità affinché il processo venga contenuto nei limiti temporali indicati.

Il disegno di legge prevede infatti una nuova norma da inserire nelle disposizioni di attuazione con l’art. 152 bis, dal seguente teno-re: “Il giudice cura che la durata del processo non ecceda il termine di due anni in primo grado, di due anni in secondo grado e di un anno nel giudizio di legittimità”.

Vediamo in sintesi e senza pretesa di completezza quali sono gli interventi più significativi che si profilano all’orizzonte nel tentativo di contenere la durata del processo civile nei cinque anni preventi-vati.

La competenza per valore del Giudice di Pace per le cause ordi-narie dovrebbe passare dagli attuali € 2.582,28 ad € 10.000,00 e per le cause da risarcimento danni prodotti dalla circolazione dei veicoli dagli attuali € 15.493,71 ad € 50.000,00.

L’incompetenza per materia, per valore e per territorio non po-tranno più essere eccepite sino alla prima udienza di trattazione, ma dovranno essere eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta.

Naturalmente per non incappare nella decadenza la comparsa do-vrà essere depositata nei termini previsti.

Le dichiarazioni giudiziali di litispendenza e di continenza di cau-se non richiederanno più la forma della sentenza, ma quella dell’or-dinanza.

Ugualmente la dichiarazione di connessione ed il provvedimento

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ARGOMENTI DI ATTUALITÀ FORENSE

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di riunione della causa accessoria alla causa principale con l’indica-zione del termine perentorio per la riassunzione avrà la forma del-l’ordinanza anziché quella della sentenza.

I provvedimenti sulla competenza pronunciati ai sensi degli artt. 39 e 40 c.p.c., quindi, non avendo più la forma della sentenza non saranno più esposti all’istanza davanti alla Suprema Corte per rego-lamento di competenza.

Le ordinanze che pronunciano sulla competenza ai sensi degli artt. 39 e 40 c.p.c. saranno invece soggette al reclamo entro trenta giorni dalla comunicazione.

Le competenze sul reclamo saranno le seguenti: l’ordinanza del Giudice di Pace è reclamabile davanti al Tribunale in composizione monocratica; l’ordinanza del Tribunale in composizione monocra-tica è reclamabile davanti al Tribunale in composizione collegiale, senza la partecipazione del Giudice che ha emanato il provvedimen-to reclamato; l’ordinanza emessa dal Tribunale in composizione col-legiale o dalla Corte di Appello, quando pronuncia in unico grado, è reclamabile davanti allo stesso collegio diversamente composto.

Una novità anche in tema di lealtà delle parti con la previsione espressa che “Le parti costituite debbono chiarire le circostanze di fatto in modo leale e veritiero”.

Molto innovativa sarà ancora la disciplina che regolamenterà la conciliazione della lite, ed è evidente il “il favor” che si vuole accor-dare a questa soluzione della controversia.

Il Giudice nel tentativo di conciliazione non potrà assumere, come per lo più accade attualmente, un ruolo passivo e quasi di notaio ri-spetto alle determinazioni delle parti, ma è proprio il giudice che dovrà indicare puntuali ipotesi conciliative.

Se le parti a loro volta rifiutano la proposta conciliativa del giudi-ce dovranno specificare a quali condizioni sono disposte a conciliare la controversia.

A questo diverso ed interessante regime delle conciliazioni giudi-ziali si innesta una diversa disciplina per la condanna alle spese del soccombente.

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ARGOMENTI DI ATTUALITÀ FORENSE

Infatti è previsto che se il Giudice accoglie la domanda in misura non superiore all’offerta che è emersa dalla parte soccombente nel tentativo di conciliazione, sarà condannata alle spese la stessa parte vittoriosa che però ha rifiutato senza giusto motivo la proposta con-ciliativa del soccombente.

È innegabile che questa diversa considerazione del tentativo di conciliazione potrà moralizzare non poco la giustizia e porre un fre-no a spropositate domande formulate per lo più impunemente.

Altra novità coinvolge la difesa che dovrà avere cura di contesta-re specificatamente i fatti ritenuti non veri, in quanto il giudice potrà fondare la propria decisione oltre che sulle prove raccolte, anche sui fatti “non specificatamente contestati”.

Per consentire ai giudici di emettere sentenze con più rapidità è stato previsto che nella sentenza potrà omettersi l’esposizione dello svolgimento del processo. In tal modo la sentenza avrà come conte-nuto solo la parte motivazionale.

Sempre all’insegna della speditezza in caso di impugnazione di sentenza, potrà notificarsi una sola copia anche se il difensore è co-stituito per più parti.

In caso di mancata comparizione alla prima udienza non verrà fissata altra udienza, ma il Giudice con ordinanza non impugnabile disporrà la cancellazione della causa dal ruolo.

L’art. 183 c.p.c. dovrebbe subire con la riforma una nuova radica-le modifica, che si può così sintetizzare: si ritorna alla formulazione precedente con la previsione dell’interrogatorio libero delle parti e con il tentativo di conciliazione, nella diversa considerazione volu-ta dal disegno di legge, come innanzi precisato. Il Giudice ancora deve provvedere alle richieste istruttorie e fissare in via preventiva il calendario del processo, quindi una sorta di programmazione delle udienze successive e degli incombenti che dovranno essere espletati. I termini fissati nel calendario del processo sono prorogabili, solo in caso di gravi motivi sopravvenuti. Il Giudice non è più tenuto a concedere i termini previsti per la precisazione delle domande, per l’indicazione dei mezzi di prova e per la produzione documentale.

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ARGOMENTI DI ATTUALITÀ FORENSE

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Nel disegno di legge infatti è previsto che “il giudice, ove sussistano giusti motivi, può concedere”. Gli avvocati, quindi, non potranno più fare affidamento sui termini previsti dall’art. 183 per completare le proprie difese anche in via istruttoria. In particolare va posta molta attenzione nella produzione documentale che deve essere completa sin dal primo atto difensivo (Atto introduttivo o comparsa di rispo-sta).

Altra modifica riguarderà la nomina del CTU; è infatti previsto che il Giudice dovrà formulare i quesiti all’atto della nomina.

Sempre in tema di consulenza tecnica il Giudice una volta con-ferito l’incarico dovrà assegnare non soltanto il termine, come ora accade, al CTU per il deposto della perizia, ma dovrà assegnare un termine anche alle parti, sempre anteriore all’udienza successiva, en-tro il quale vanno depositate le memorie contenenti osservazioni sul-la relazione del consulente. In tal modo si eviteranno le lungaggini collegate ai rilievi difensivi sulla consulenza tecnica.

È previsto un cambiamento della prova delegata, infatti per i testi residenti fuori della circoscrizione del Tribunale si potrà assumere, in via alternativa, la deposizione, richiedendo al teste di fornire per iscritto e nel termine stabilito le risposte agli articoli sui quali deve essere interrogato. Il teste dovrà sottoscrivere la deposizione e spe-dirla in busta chiusa alla cancelleria del Giudice.

In caso di interruzione del processo, ancora, il termine perentorio per la riassunzione dovrebbe passare da sei mesi a quattro mesi.

Anche in caso di cancellazione della causa dal ruolo per la rias-sunzione non si avrà più a disposizione un anno, ma quattro mesi.

Sempre in tema di abbreviazione di termini l’impugnazione, in caso di mancata notifica della sentenza, dovrà proporsi nel termine di otto mesi e non più entro un anno.

Tutti i provvedimenti emessi in primo grado dal Giudice di Pace e dal Tribunale ad oggi ricorribili solo in Cassazione ex art. 111 della Costituzione, nel disegno di legge diventano appellabili. In tal modo sembra che si possa superare l’assurda lesione del diritto di difesa che ha posto l’art. 616 c.p.c. nella nuova formulazione che prevede

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ARGOMENTI DI ATTUALITÀ FORENSE

l’inappellabilità delle sentenze che concludono il giudizio di opposi-zione all’esecuzione.

Il disegno di legge prevede ancora che nell’atto di appello, a pena di inammissibilità, andranno indicati specificatamente i motivi per i quali si chiede la riforma della sentenza ed ancora viene posto il divieto nel giudizio di appello di produzione di nuovi documenti. Superando così in modo restrittivo il dibattito giurisprudenziale sulla possibilità o meno di nuova produzione documentale in appello per effetto delle decadenze sancite nel giudizio di primo grado.

Nel giudizio di Cassazione cambierà il termine per la riassunzio-ne della causa davanti al Giudice di rinvio, passando da un anno a sei mesi.

Altra importante novità prevista nel disegno di legge è l’introdu-zione del procedimento denominato “sommario non cautelare”.

Con tale procedimento sommario di cognizione è possibile fare ricorso al giudice competente a conoscere del merito e chiedere la pronuncia di un’ordinanza di condanna al pagamento di somme di denaro ovvero alla consegna o rilascio di cose. Il Giudice provvede con decreto alla fissazione dell’udienza e sentite le parti, procede agli atti di istruzione ritenuti indispensabili e se ritiene fondato il ricorso emette ordinanza che costituisce titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. L’ordinanza emessa è reclamabi-le ed entro sessanta giorni dalla pronuncia o dalla comunicazione la parte che ha interesse può promuovere il giudizio di merito.

In tale ipotesi l’ordinanza è sostituita ad ogni effetto dalla sen-tenza.

Se non viene iniziato il giudizio di merito entro sessanta giorni dalla pronuncia o dalla comunicazione dell’ordinanza di condanna, ovvero se il giudizio di merito si estingue, l’ordinanza diventa irre-vocabile.

Infine dovrebbero cambiare i termini di sospensione feriale che non andranno più dal 1 agosto al 15 settembre, ma dall’1 al 31 agosto.

Questa è in brevi cenni la riforma in cantiere, che naturalmente potrà subire modifiche nell’iter previsto per l’approvazione.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

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Adunanza “Itinerante” del 20.2.2007in Francavilla Fontana

Assemblea straordinaria del 9.3.2007

Il 20.2.2007 il Consiglio, in attuazione di precedente delibera del 13.2.2007, ha tenuto una adunanza aperta ai Colleghi, presso la Se-zione Distaccata di Francavilla Fontana; l’incontro ha realizzato la prima delle iniziative di riunioni “itineranti” presso le Sezioni Di-staccate, per una partecipazione diretta della Avvocatura del Circon-dario allo svolgimento di attività di rilevanza forense, oltre che per una ugualmente diretta percezione di problematiche di vita profes-sionale afferenti le Sezioni.

Uno degli argomenti di maggiore rilevanza per gli operatori, e di diretta incidenza sull’amministrazione della giustizia e sulla tutela dei diritti del pubblico degli utenti, emerso dalla analisi conoscitiva sull’attività forense nella Sezione Distaccata di Francavilla Fontana ha riguardato la necessità di designazione di un Magistrato, in via definitiva e permanente, per la trattazione delle cause civili, in ag-giunta all’unico Magistrato da poco in servizio, in considerazione del carico del ruolo che è il più rilevante rispetto alle altre Sezioni Distaccate.

È emersa anche la opportunità di riconsiderare gli organici dei Giudici di Pace nell’ambito dell’intero Circondario per riequilibrare i tempi di gestioni e di decisione delle cause di loro competenza, specie in previsione dell’aumento della competenza.

L’argomento più rilevante di carattere generale e di attuale inte-resse all’ordine del giorno riguardava le motivazioni della proposta di indizione di una Assemblea Straordinaria per la discussione delle

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

nuove norme deontologiche e sui criteri inerenti le regole di concor-renza, pubblicità e compensi, essendo necessario valutare e appro-fondire gli argomenti e i temi di novità che incidono direttamente sul-l’esercizio della professione e sui canoni comportamentali, anche in ri-ferimento (come dall’estratto di verbale pubblicato a parte) alla richiesta del Consiglio Nazionale Forense di conoscere le iniziative, di Avvocati e dei Consigli, connesse alle modifiche deontologiche e all’Ordinamento Professionale, per informare l’Autorità Garante per la Concorrenza e per il Mercato che già aveva sollecitato, pur nel breve lasso di tempo dalla divulgazione delle modifiche approvate dal C.N.F. il 18.1.2007, le verifiche sull’“impatto” della nuova normativa e sugli ostacoli op-posti alla concorrenza, alla pubblicità e alla abolizione dei minimi tariffari obbligatori e del divieto del patto di quota lite.

Nel corso dell’Assemblea Straordinaria, indetta e tenuta il 9.3.2007 si è proceduto a una disamina dei canoni deontologici aggiornati, nei sensi illustrati dal C.N.F., secondo i quali è abrogato solo l’obbligo di adottare tariffe fisse o minime e il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento di obiettivi perseguiti: quindi è stato abolito il canone V° dell’art. 43 del Codice deontologico che con-sentiva onorari forfettari solo per prestazioni continuative in materia di consulenza e assistenza stragiudiziale.

L’art. 45 che vietava il patto quotalizio, con l’abrogazione dell’art. 2233, 3° comma C.C. è stato modificato, essendo quindi consentito solo se redatto, a pena di nullità, per iscritto; così come è consentita la pattuizione di compensi parametrati al raggiungimento di obiettivi perseguiti, e proporzionati all’attività svolta, fermo il divieto di ces-sione dell’oggetto della lite, stabilito anche per gli avvocati dall’art. 1261 C.C., che in riferimento all’art. 1418 C.C., sanziona di nullità la cessione, in via diretta o indiretta, del credito o del bene litigioso.

L’art. 45 ha quindi mutato la rubrica da “divieto di patto di quota lite” in “accordi sulla definizione del compenso”.

Ulteriore conseguenza è l’abolizione del canone II° dell’art. 10 che sanzionava il comportamento dell’avvocato che avesse stipulato patti con soggetti che esercitano il recupero crediti.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

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Dalla discussione assembleare è risultato confermato che il rap-porto di fiducia, salvaguardato dal dovere di indipendenza, comporta l’obbligo della astensione dallo stabilire rapporti economici, patri-moniali e commerciali che possano influire sul rapporto professiona-le, con la sola salvezza degli accordi sulla definizione del compenso consentiti dall’art. 45.

È anche emerso che l’informazione sull’attività professionale deve essere coerente con la tutela dell’affidamento della collettività e rispondere a criteri di trasparenza e veridicità, con l’esclusione del-la divulgazione di notizie riservate o segrete, e della indicazione dei nomi dei clienti (nel rispetto di altri doveri quali quelli di segretezza e di riservatezza), e con esclusione della pubblicità ingannevole, elo-giativa e comparativa.

Le modalità di informazione (espressione usata nell’art. 17bis Codice Deontologico in sostituzione di “mezzi”) sono solo indicati-ve e non escludono altri criteri (come si desume dalla eliminazione dell’avverbio “esclusivamente”); possono essere indicati i costi.

Si è verificato che nell’art. 19, che stabilisce il divieto di accapar-ramento di clientela sono confluiti i canoni II° e III° dell’art. 17 (che disciplina le informazioni sull’attività professionale): permane in tal modo il divieto di omaggi o prestazioni a terzi per ottenere incarichi professionali e di offrire le prestazioni al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago, e in luoghi pubblici o aperti al pubblico, e di offrire prestazioni non richieste: metodi vietati perché ritenuti non già attinenti alla informazione sulla attività ma all’acca-parramento illecito.

Dalle considerazioni assembleari è risultato che è compito del-l’Avvocato salvaguardare i principi fondanti della professione fo-rense di autonomia e indipendenza (anche nei confronti del cliente) e che non può essere superata la soglia della dignità e del decoro della categoria forense (non potendo il principio del “decoro” essere rite-nuto un concetto privo di significato da sostituire con criteri riservati al campo economico delle imprese di “proporzionalità e adeguatez-za”).

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Consiglio Ordine Avvocatipresso il Tribunale di Brindisi

L’anno 2007 il giorno 20 del mese di febbraio nella sala di udien-za civile presso la sezione distaccata di Francavilla Fontana del Tri-bunale di Brindisi alle ore 15.40 si è riunito in adunanza itinerante il Consiglio dell’Ordine.

Il Presidente dichiara aperta l’adunanza e invita il consigliere se-gretario a procedere alla verbalizzazione delle operazioni; dà, quin-di, il benvenuto ai Colleghi presenti che intendono partecipare atti-vamente ai lavori odierni.

Il Presidente ricorda che lo scorso 13 febbraio il Consiglio, su sollecitazione del Consigliere Avv. Milone, il quale ha riportato una forte e viva esigenza degli iscritti che operano più diffusamente nel territorio di appartenenza della sezione di Francavilla Fontana del Tribunale di Brindisi, ha deliberato che i lavori di questa sessione si svolgano in adunanza itinerante presso la citata sezione di Fran-cavilla Fontana sul seguente ordine del giorno comunicato a tutti i consiglieri:

1. proposta d’indizione di una assemblea straordinaria della Avvocatura del circondario sulle nuove norme deontologiche e sui criteri inerenti alle regole di concorrenza, pubblicità e compensi;

2. richiesta del Consiglio Nazionale Forense di informativa su iniziative inerenti alle modifiche deontologiche e ordinamentali del-la professione forense;

OMISSIS

Il Presidente riferisce che con nota del 9.2.2007 il Consiglio Na-zionale Forense, sulla base dell’indagine conoscitiva aperta dall’au-torità garante della concorrenza e del mercato sullo “stato del re-

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

16 Quaderni

cepimento dei principi di concorrenza nei servizi professionali”, ha sollecitato i Consigli degli Ordini Forensi d’Italia a far pervenire le indicazioni richieste dalla citata autorità, che legge ai presenti.

Il Presidente rende noto che sino ad oggi non è stata posta all’at-tenzione del Consiglio nessuna questione che possa rientrare nella indagine in esame; è agevole, del resto, osservare che il breve lasso di tempo trascorso non consente in ogni caso di fornire informazioni, dati o risposte precise e attendibili. Tanto ciò è vero che la necessità che ha determinato l’indizione dell’assemblea straordinaria dimostra come si sia ancora nella fase di approfondimento dei temi nati in seguito alle citate modifiche normative.

Dopo ampia discussione, all’unanimitàil Consiglio

- viste le recenti modifiche normative introdotte dal c.d. decreto Bersani e le conseguenti modifiche al codice deontologico nel testo licenziato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 18 gen-naio 2007;

- visto che il breve lasso di tempo trascorso di per sé non ha con-sentito e non consente di procedere già ad una verifica degli adempi-menti e dei presunti risultati;

- visto che, al contrario, è sorta la necessità di un approfondimen-to sui temi che le modifiche normative e regolamentari pongono agli iscritti nell’esercizio professionale;

deliberadi delegare il Presidente a rispondere al C.N.F. evidenziando le

riflessioni svolte nelle premesse del dispositivo.

OMISSIS

Terminata la discussione degli argomenti all’o.d.g., il Presidente dichiara chiusi i lavori alle ore 17.50.

Il PresidenteAvv. AUGUSTO CONTE

Il Consigliere SegretarioAvv. CARLO PANZUTI

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17 Quaderni

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Brindisi, 22 febbraio 2007

Chiar.mo Sig. Avv.Prof. Guido AlpaPresidente CNFVia del Governo Vecchio, 300186 ROMA

Oggetto: AGCM – Indagine conoscitiva

Chiarissimo Presidente,Le comunico di aver portato a conoscenza del Consiglio del-

l’Ordine la richiesta di informazioni utili all’indagine conoscitiva sullo stato del recepimento dei principi di concorrenza nei servizi professionali avviata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ponendola quale argomento dell’Ordine del giorno nella adunanza del 20 febbraio 2007.

Dopo aver illustrato l’argomento il Consiglio ha constatato che l’Ordine Forense di Brindisi non ha mai, né ora né in passato, posto limiti al principio di concorrenza, e per conseguenza, di pubblici-tà, non essendo stati segnalati, né rilevati, casi sui quali siano state travalicate le regole poste a presidio del decoro e dell’onore della categoria forense.

Peraltro, al fine di compiere un generale approfondimento dei temi in discussione il Consiglio aveva già in animo, e di fatto ha poi indetta, per il giorno 09.03.2007 di indire una Assemblea Straordina-ria, con le motivazioni riportate nella delibera assunta del Consiglio che allego in copia conforme; tanto anche in considerazione del bre-ve lasso di tempo trascorso dall’adozione della riforma del Codice Deontologico in materia.

Mi riservo di tenerla aggiornata sugli argomenti in discussione.Cordiali saluti.

Il PresidenteAvv. AUGUSTO CONTE

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

18 Quaderni

Ordine degli AvvocatiFondazione dell’Avvocatura della Provincia di Brindisi

d’intesa conCamera Penale “O. Melpignano” Brindisi

Corso di Aggiornamento Professionale per difensore di ufficio

Programma e calendario

Premessa

Finalità e metodologie didattiche

La riforma della difesa di ufficio si propone lo scopo di renderla effettiva, concreta ed efficiente, rivoluzionando un sistema impron-tato a inerte e passiva partecipazione di natura meramente formale del designato a tale compito, e assegnando agli Avvocati un attivo e dinamico ruolo di partecipazione alla funzione, e all’Ordine Forense un impegno, gravoso ma gratificante, di gestione del servizio.

In tale fondamento e ambito normativo il corso previsto dalla leg-ge di riforma si propone la formazione degli Avvocati, per l’assol-vimento dei compiti affidati ai difensori, sviluppando, ampliando e integrando quelle conoscenze tecnico-giuridiche e quegli atteggia-menti deontologici, che già fanno parte del patrimonio culturale e morale di ogni professionista, nella prospettiva innanzi indicata, che la legge ha inteso perseguire, di svolgere la funzione di difensore di ufficio con la stessa dignità, competenza, qualità, impegno e rigore etico-professionale impiegati nella difesa di fiducia.

La metodologia didattica, di carattere eminentemente tecnico-

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19 Quaderni

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

pratico è ispirata all’aggiornamento professionale permanente ed è articolata in incontri volti a stimolare le competenze acquisite, a svi-luppare e a esercitare le dinamiche tecnico-professionali necessarie per lo sviluppo del ruolo con un attiva e vivace partecipazione dei frequentanti alle indicazioni dei formatori, non solo su principi di natura penale e processuale-penalista, discussi, affinati e applicati attraverso la interpretazione e la pratica giurisprudenziale, ma anche su regole deontologiche prospettate dalle rinnovate funzioni asse-gnate ai difensori di ufficio.

Parte PrimaIl Difensore – Funzioni, compiti e garanzie – L’Ordine Forense

– Scelte, tecniche e strategie difensive30 marzo 2007, ore 15,30

Parte SecondaLe indagini preliminari e l’udienza preliminare – Scelta dei riti

– Le misure cautelari personali e reali – Impugnazioni27 aprile 2007, ore 15,30

Parte TerzaLe indagini preliminari – Le investigazioni difensive – Aspetti

tecnico operativi e deontologici 25 maggio 2007, ore 15,30

Parte QuartaLa fase predibattimentale – Adempimenti – Il dibattimento – Tec-

niche di esame e controesame27 giugno 2007, ore 15,30

Parte QuintaL’alternativa inquisitoria – Giudizio abbreviato – Patteggiamento

– Decreto penale – I mezzi di impugnazione21 settembre 2007, ore 15,30

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

20 Quaderni

Parte SestaIl procedimento penale dinanzi al Tribunale per i Minorenni26 ottobre 2007, ore 15,30

Parte SettimaDeontologia – Prassi operative – Rapporti con l’assistito – Tutela

del diritto alla privacy nello svolgimento dell’attività difensiva e di indagine – Il compenso – La competenza – La pubblicità – I rapporti con la stampa

23 novembre 2007, ore 15,30

* * *

Il programma dei corsi è stato, in occasione del primo, trasmesso dall’Ordine di Brindisi al Centro per la Formazione e l’Aggiorna-mento Professionale e al Consiglio Nazionale Forense.

Il calendario del corso potrà subire variazioni o integrazioni per l’inserimento di argomenti o discipline in funzione di parti-colari evenienze.

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21 Quaderni

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Ordine degli AvvocatiFondazione dell’Avvocatura della Provincia di Brindisi

Corso di Formazione e Aggionamento della Scuola Forense

Biennio 2007-2008

Programma e calendario

AREA PENALEResponsabile Avv. Antonio Maurino

SEZIONE DIRITTO PENALE SOSTANZIALE

Casi pratici: assegnazione, redazione e discussione di que-stionari, pareri e atti

Modulo 1 – 20.03.2007 / 17.04.2007Reati contro il patrimonio.

Modulo 2 – 24.05.2007 / 26.06.2007Reati contro la vita e l’incolumità individuale.

Modulo 3 – 25.09.2007 / 23.10.2007Reati contro l’onore.

Modulo 4 – 25.10.2007 / 20.11.2007Reati contro la P.A.

Modulo 5 – 12.02.2008 / 11.03.2008Reati contro la libertà sessuale.

Modulo 6 – 08.04.2008 / 06.05.2008Reati contro l’amministrazione della giustizia.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

22 Quaderni

Modulo 7 – 03.06.2008 / 03.07.2008Ordinamento penitenziario. Misure alternative alla detenzione.

Modulo 8 – 05.06.2008 / 10.07.2008La responsabilità professionale.

Modulo 9 – 23.09.2008 / 23.10.2008Il procedimento minorile.

SEZIONE DIRITTO PROCESSUALE

Casi pratici: assegnazione, redazione e discussione di que-stionari, pareri e atti

Modulo 1 – 19.04.2007 / 22.05.2007Notizia di reato (denuncia, querela...).

Modulo 2 – 28.06.2007 / 17.07.2007Le parti private e l’attività del difensore – Attività difensiva nel

corso delle indagini.

Modulo 3 – 27.09.2007 / 06.11.2007Attività difensiva al termine delle indagini e udienza preliminare.

Modulo 4 – 22.11.2007 / 18.12.2007Attività difensiva in riferimento alle misure cautelari personali e

reali.

Modulo 5 – 14.12.2007 / 13.03.2008Attività difensiva nella istruzione dibattimentale e discussione.

Modulo 6 – 10.04.2008 / 08.05.2008Impugnazioni.

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23 Quaderni

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

AREA DEONTOLOGICA E METODOLOGIAResponsabile Avv. Augusto Conte

Casi pratici: assegnazione, redazione e discussione di questio-nari, pareri e atti

Modulo 1 – 27.03.2007 / 03.05.2007Ordinamento professionale forense. Funzioni e doveri dell’Avvo-

cato e principio costituzionale di difesa. L’Ordine, l’Albo, gli Elen-chi, il Registro, le incompatibilità.

Modulo 2 – 07.06.2007 / 12.07.2007L’assunzione dell’incarico professionale e i doveri dell’Avvoca-

to. L’incompatibilità nella difesa. Regole sulla privacy. Il rapporto di fiducia e l’indipendenza dell’Avvocato.

Modulo 3 – 18.03.2008 / 29.04.2008Rapporti con i colleghi. Associazione e sostituzione nella difesa.

Pubblicità. Rapporti con la stampa.

Modulo 4 – 17.06.2008 / 18.12.2008La previdenza forense. Il dovere delle contribuzioni e la solidarietà.

AREA CIVILE

SEZIONE DIRITTO SOSTANZIALE

Responsabili Avv. Teodoro Selicato e Avv. Carlo Panzuti

Casi pratici: assegnazione, redazione e discussione di questio-nari, pareri e atti

Modulo 1 – 22.03.2007 / 24.04.2007Persona fisica. Persona giuridica.

Modulo 2 – 15.05.2007 / 14.06.2007Diritto di famiglia.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

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Modulo 3 – 04.10.2007 / 15.11.2007Diritti reali.

Modulo 4 – 11.10.2007 / 29.10.2007Obbligazioni e contratti.

Modulo 5 – 26.02.2008 / 27.03.2008Lavoro e società.

Modulo 6 – 17.04.2008 / 22.05.2008Tutela dei diritti.

SEZIONE DIRITTO PROCESSUALE

Responsabile Avv. Claudio Consales

Casi pratici: assegnazione, redazione e discussione di atto giu-diziario

Modulo 1 – 12.04.2007 / 08.05.2007Organi giudiziari.L’azione. Atti processuali.

Modulo 2 – 12.06.2007 / 20.09.2007Procedimento davanti al Tribunale.

Modulo 3 – 16.10.2007 / 11.12.2007Impugnazioni.

Modulo 4 – 18.02.2008 / 22.04.2008Processo esecutivo e opposizioni.

Modulo 5 – 06.03.2008 / 05.05.2008Procedimento speciale.

Modulo 6 – 29.05.2008 / 26.06.2008Processo del lavoro.

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25 Quaderni

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

AREA DIRITTO AMMINISTRATIVOResponsabile Avv. Carlo Panzuti

Casi pratici: assegnazione, redazione e discussione di questio-nari, pareri e atti

Modulo 1 – 10.04.2007 / 19.06.2007Il risarcimento del danno nei confronti della pubblica ammini-

strazione. La lesione di interessi legittimi.

Modulo 2 – 18.10.2007 / 13.12.2007La giustizia amministrativa. Ricorsi fase cautelare e di merito.

I corsi si svolgeranno presso l’Ordine degli Avvocati dalle ore 15,30 alle ore 18,00.

La scuola si riserva la facoltà di modificare gli orari e gli argo-menti, di svolgere esercitazioni e di indire insegnamenti elettivi, at-tività e incontri aggiuntivi, dando tempestiva comunicazione.

Gli incontri-dibattiti organizzati dalla Fondazione e all’Ordine costituiscono attività formativa integrativa.

Per la conoscenza dello Statuto della Scuola e del regolamento per l’accesso, per l’organizzazione dell’attività didattica si rimanda alle precedenti pubblicazioni.

Il PresidenteScuola di Formazione ForenseAVV. AUGUSTO CONTE

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

26 Quaderni

Testo integrale della “intervista” rilasciata dal Presidente dell’Ordine a “DEMO - L’informazione in provincia

di Brindisi”

Il 27.01.07 c’è stata l’inaugurazione dell’Anno Giudiziario accom-pagnato da uno stuolo di polemiche in merito alle proteste della cate-goria degli avvocati nei riguardi del Decreto Bersani sulle liberalizza-zioni delle professioni e sulla scarsa attenzione che il Governo avrebbe prestato alla categoria nella revisione della riforma dell’ordinamento varato dalla passata legislatura. Riforme deludenti e giustizia afflitta dalla lentezza dei processi. L’epilogo: astensione e proteste clamoro-se. L’anno scorso i magistrati, quest’anno gli avvocati.

L’inaugurazione dell’Anno Giudiziario presso le Corti di Appello costituisce una occasione di confronto, fra gli operatori e alla presen-za dei rappresentanti di tutte le istituzioni statali, sulla amministra-zione della giustizia nel territorio del Distretto. La recente riforma dell’Ordinamento Giudiziario (nella sostanza “bloccata” dal nuovo Governo) prevede l’intervento dell’Avvocatura, quale componente essenziale della giurisdizione, per il ruolo assegnatole dalla Costi-tuzione di garante del principio di difesa, per l’attuazione del quale la categoria forense si aspettava dalla riforma predetta una compiuta partecipazione alla gestione del servizio giustizia e una separazione del ruolo del giudice, per garantire la terzietà, rispetto a quello del pubblico ministero, al fine di realizzare la effettiva parità delle parti nel processo, ispirato al sistema accusatorio.

La delusione per queste mancate aspettative, l’assenza di inter-venti che incidano sulla effettività, sulla celerità del servizio giusti-zia, sulla unificazione dei riti e il recente intervento normativo che ha radicalmente inciso sulla autonomia e indipendenza della Avvo-

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27 Quaderni

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

catura, e sulla sua funzione di garante dei diritti, relegandola a livello di una qualsiasi attività di mercato, hanno ispirato l’iniziativa di utiliz-zare l’incontro per informare la pubblica opinione che alla collettività è stato sottratto un bene morale, tecnico e culturale e fondamentali va-lori di umanesimo forense, che costituiscono un patrimonio di tutta la società. L’Avvocatura prestando la difesa di ufficio e dei non abbienti, esercitando le funzioni di magistratura onoraria ha consentito di fatto, con la propria supplenza, la sopravvivenza del sistema giudiziario.

L’Unione degli Ordini Regionali Pugliesi, della quale sono Vice-Presidente, ha, tra i primi in Italia, deliberato di non partecipare alla cerimonia, limitando l’intervento alla lettura di un documento espli-cativo delle ragioni dell’assenza.

Il Decreto Bersani è intervenuto in modo così dirompente che ha determinato una protesta spontanea, immediata e diffusa non solo per i contenuti in esso riportati, ma anche per il metodo “d’urgen-za” seguito dal Governo per adottarlo, si può, quindi, parlare di chiara ingerenza dello Stato su principi del Codice Deontologico forense. Quali i principi intaccati e quali i rischi?

L’Avvocatura può esercitare la sua funzione in difesa dei diritti prevista dall’art. 24 della Costituzione solo nella condizione di in-dipendenza, autonomia e libertà che sono a fondamento dell’etica professionale che solo di recente è stata, per alcuni più rilevanti e non esaustivi aspetti, istituzionalizzata nel Codice deontologico. I canoni comportamentali sono intimamente connessi, e formano un tutt’uno, con la tecnica operativa e attingono alla tradizione e ai codi-ci di procedura, penale e civile. La regolamentazione dei codici etici, così come avviene in tutti i Paesi Europei, è riservata alla categoria, in attuazione di principi generali stabiliti dagli organismi statali: in breve, se è introdotto il principio che stabilisce la concorrenza tra professionisti, è a questi ultimi che compete individuare i comporta-menti che, nel consentire la concorrenza, salvaguardino il decoro e l’onore della categoria, senza superare quella soglia minima, oltre la quale si realizza un illecito accaparramento di clientela.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

28 Quaderni

Analogo è il discorso sulla pubblicità.La decretazione di urgenza, che incide anche sull’etica, è stata

sbagliata oltre che nel merito, anche nel metodo, essendo stata varata senza una consultazione e concertazione con la categoria e converti-ta in legge facendo ricorso alla fiducia, senza tutelare i principi fon-danti della professione e con pregiudizio del pubblico degli utenti, in violazione anche delle direttive europee.

Se “liberalizzazione” significa creare competizione facendo ricorso a qualità ed eticità delle prestazioni, la legge in questione non ha rag-giunto lo scopo non essendovi alcuna norma, con significato politico di sostegno, diretto alla qualificazione professionale, alla quale ha prov-veduto e continua a provvedere la stessa Avvocatura, con proprio sa-crificio e impegno, fondandosi sul volontariato e sulla iniziativa degli Ordini Forensi che provvedono alla formazione e all’aggiornamento, come fa l’Ordine di Brindisi attraverso la Scuola Forense e i corsi di aggiornamento sulle modifiche alle norme sostanziali e processuali.

La prerogativa della “tutela dei diritti” degli Avvocati non ha un contenuto solo e semplicemente idealistico, poiché significa, al con-tempo, assicurare la “tutela dei diritti dei cittadini”. Come preservare il rapporto fiduciario con il cliente dalle novità legislative in atto?

Il rapporto con il cliente si fonda sulla fiducia che impegna il professionista a conseguire il soddisfacimento dei diritti dell’assisti-to ispirando il comportamento a garantire, nel contempo, la fedeltà alla legge e alle istituzioni. In tale prospettiva della “doppia fedeltà”, l’esercizio dell’Avvocatura deve essere libero da ogni condiziona-mento privatistico (del cliente) e pubblicistico (delle istituzioni). Per salvaguardare il rapporto fiduciario occorre che l’Avvocato sia estra-neo dal conseguimento dell’utile del processo; che continui a essere terzo rispetto all’oggetto della lite: in caso contrario, come per il pat-to quotalizio, oggi consentito, la condivisione del risultato introduce un elemento inquinante nel rapporto fiduciario, soprattutto per gli interessi dell’assistito (che non è, come definito, un “consumatore”, ma una persona che richiede difesa in un processo penale, quando

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29 Quaderni

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

gli viene contestato di avere violato il precetto penale, o tutela di un diritto, quando lo ritiene leso).

In questa nuova ottica, lo studio legale opererà, quindi, come un’azienda. La concorrenza al ribasso dei prezzi screditerà la quali-tà delle prestazioni? Con quali danni per gli utenti?

La concorrenza non è una novità. La professione forense per defi-nizione libera e liberale, vive e opera in regime concorrenziale, spe-cie in un Paese con 180.000 Avvocati, oltre ai praticanti abilitati. La clientela non sceglie (o non dovrebbe, nel suo interesse, scegliere) chi offre il prezzo più basso, ma chi garantisce qualità ed eticità della prestazione. La scelta normativa della eliminazione dei minimi pe-nalizza i giovani che non hanno “potere contrattuale” che deriva solo da una solidità di esperienza professionale, ed espone i cittadini a illusori sconti senza alcuna garanzia di eccellenza nelle prestazioni.

Ai giovani, intanto, è stato sottratto un largo campo di applicazio-ne professionale con la istituzione dell’indennizzo diretto nei sinistri stradali, che esclude il rimborso delle spese legali, penalizzando an-che gli infortunati-consumatori, e lo stesso bilancio dello Stato che viene a perdere le imposte del reddito e dell’IVA – ineludibili nel sistema abolito – derivanti dalle prestazioni.

La “direzione della lotta”: l’Avvocatura a difesa del lavoro in-tellettuale e del decoro professionale, quale linea intendete ancora perseguire che sia in sintonia con il Parlamento Europeo?

L’Avvocatura ha sempre svolto battaglie a favore della colletti-vità e mai per conseguire benefici o agevolazioni personali, specie di natura economica: l’impegno della categoria intera e degli Ordini si propone la finalità, sempre richiesta alle istituzioni statali e mai ottenuta nonostante le proposte da oltre sessanta anni a oggi, di una riforma professionale che qualifichi il ruolo e le prestazioni, le renda competitive con gli Avvocati europei, che possa offrire un percorso formativo per i giovani, rigoroso e utile per chi voglia intraprendere

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

30 Quaderni

la professione, e consentire un permanente aggiornamento. In tali sensi si è espresso il Parlamento Europeo nelle più recenti Risoluzio-ni sull’ammodernamento della professione, con le quali ha sempre escluso che l’attività dei lavoratori della conoscenza legale possa essere assimilata a quella di impresa, in quanto l’Avvocato non for-nisce un prodotto, ma una attività tecnica in un confronto dialettico con le altre parti, in una causa o in un processo la cui soluzione è rimessa al terzo organo decidente che è il giudice.

Il sottosegretario alla Giustizia Maritati, in concomitanza con l’inaugurazione dell’anno Giudiziario, ha annunciato che il Tribu-nale di Lecce sarà inserito tra i siti, scelti a campione, per la spe-rimentazione del processo telematico per le controversie di natura civile che assicurerà, per alcune questioni esecutive, l’attuazione di tempi più rapidi nei processi grazie all’ausilio della telematica.

Il Tribunale di Brindisi, ed il suo distretto operativo, potrebbe essere pronto a recepire tale novità?

È da qualche anno, come si può constatare sfogliando la Rivista “Quaderni”, edita dall’Ordine di Brindisi (che quest’anno intrapren-de il settimo di ininterrotta pubblicazione) che costituisce uno stru-mento di cultura giuridico-forense di portata nazionale, che l’Ordine si attiva nella predisposizione di tutte le condizioni per l’attuazione del processo telematico; anche il Presidente del Tribunale di Brindisi è impegnato in tal senso.

L’Ordine ha già in corso di realizzazione servizi telematici; l’at-tuazione del processo, comunque, richiede la disponibilità dei sin-goli Avvocati per divenire operativa: se questo costituirà un fattore di celerità nella soluzione delle controversie è una sperimentazione che andrà fatta sul campo; sicuramente offrirà un risparmio di tempo e di energie, in ogni senso, negli adempimenti delle Cancellerie e nell’attività professionale.

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31 Quaderni

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Giurisprudenza Disciplinaredel Consiglio dell’Ordine degli Avvocati

Brindisi

Avvocato – Norme deontologiche – Appropriazione indebita – Dovere di lealtà, correttezza ed informazione

Costituisce grave infrazione disciplinare il comportamento del-l’avvocato il quale si appropri, in danno dei propri clienti, di ingenti somme versate da una compagnia assicuratrice a saldo e transazione in favore del professionista, nella qualità di procuratore speciale dei propri assisiti. Né vale ad escludere il predetto illecito l’esistenza di crediti vantati dal professionista nei confronti dei familiari dei pro-pri clienti per attività prestata in altri giudizi e la predisposizione di parcelle esorbitanti, di importo corrispondente a quello sottratto.

L’avvocato il quale, intrapreso un giudizio, non notizi i propri assistiti delle trattative in corso con la compagnia assicuratrice con-venuta, dell’esito delle stesse e, in particolare, nella qualità di pro-curatore speciale sottoscriva gli atti di quietanza pervenutigli dalla stessa assicurazione senza preventivamente notiziarne gli effettivi beneficiari, viene meno ai doveri di lealtà, correttezza ed informa-zione e si rende pertanto responsabile di abusi e mancanze nell’eser-cizio della professione, compromettendo gravemente la dignità ed il decoro professionale della categoria.

È stata inflitta la sospensione di mesi 10.

C.d.O. Brindisi, 16.12.03/29.01.04, Pres. Conte, Rel. Camassa, Proc. c/ Avv. X.Y.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

32 Quaderni

Avvocato – Norme deontologiche – Appropriazione indebita – Gestione di denaro altrui – Doveri di lealtà e correttezza – Do-vere di fedeltà – Obbligo di informazione

I comportamenti penalmente sanzionabili non costituiscono ex se presupposto per la applicazione di sanzioni disciplinari sebbene vadano congruamente esaminati e valutati. Nella fattispecie è indub-bio però che la mancata consegna di somme liquidate in favore del proprio assistito violi l’obbligo di rendere sollecitamente conto delle somme ricevute dal proprio assistito o da terzi per lo svolgimento o nell’esecuzione di determinati affari, mettendo a disposizione i rela-tivi importi a favore dell’avente diritto.

“Emerge pertanto la illegittimità del comportamento del profes-sionista che è tenuto a dare immediata comunicazione al proprio cliente delle somme incassate per suo conto e a fornirgli comunque, senza necessità di particolari inviti e richieste, il rendiconto delle operazioni eseguite in applicazione della obbligazione ricadente sul mandatario (ex multis Cass. 2.8.73 n. 2230).

Tale comportamento, per altro verso, non può giustificarsi con il diritto ad una pretesa compensazione o ritenzione per crediti pro-fessionali poiché pare chiaro che inapplicabile appaia il principio della compensazione quando questo sia il frutto di unilaterale ap-propriazione di somme che egli abbia presso di sé per conto del cliente, quando manchi il consenso di questi”.

“Parimenti gravemente violato pare l’enunciato di principio del-l’art. 35 del cod. deontologico (C.D.) che attribuisce al rapporto fiduciario una evidente posizione apicale rispetto alle norme suc-cessive che disciplinano i rapporti col cliente, inquadrandolo come disposizione di apertura del titolo III e quindi evidenziandone la centralità nell’assetto sistematico del codice stesso.

La stessa norma infatti specifica, trasfondendosi in disposizio-ne con valore precettivo, che sono da evitare rapporti economici col cliente o le iniziative commerciali congiunte o altre operazioni estranee al rapporto professionale.

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33 Quaderni

ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Con ciò a voler stigmatizzare comportamenti ambigui che condi-zionano il rapporto avvocato-cliente, snaturandone l’attività stessa nella parte in cui il professionista assuma in proprio obbligazioni di pagamento del proprio cliente nei confronti di una banca...”.

“Fra i doveri del patrono rientra sicuramente quello di rendere conto al cliente dello svolgimento dell’incarico, che va espletato con diligenza tanto da essere menzionato nella formula di giuramento per l’abilitazio-ne al patrocinio. Il comportamento è da ritenere ancor più censurabile allorquando venga provata l’esistenza di un accordo con taluno dei pa-trocinati volto ad escludere l’obbligo a detrimento degli altri”.

“Non v’è dubbio che il comportamento complessivamente tenuto dall’avvocato … vada altresì valutato sotto il profilo della violazione dei più generali principi richiamati dagli artt. 6 e 7 del C.D. in cui si prescrive un dovere di lealtà, correttezza e fedeltà nei confronti dell’as-sistito a cui non va arrecato pregiudizio rammentando che l’interesse tutelato è quello del decoro professionale della classe forense”.

È stata applicata la sanzione della sospensione di 1 anno.

C.d.O. Brindisi, 29.11.05/31.01.06, Pres. Conte, Rel. Resta, Proc. c/ Avv. X.Y.

Avvocato – Norme deontologiche – Uso di espressioni sconve-nienti ed offensive – Rapporto di colleganza – Prescrizione

Le frasi offensive rivolte ad un collega e contenute in scritti di-fensivi sono “lesive della dignità e del decoro dell’intera categoria forense e gradatamente del professionista nei cui confronti esse sono indirizzate. Se pure dette frasi sono inserite nell’ambito di un pro-cedimento civile di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale era stata proposta domanda riconvenzionale per il riconoscimento di re-sponsabilità professionale e conseguente condanna al risarcimento dei danni, esse certamente travalicano l’esigenza difensiva di rimar-care e motivare le ragioni del dissenso circa l’impostazione della linea difensiva approntata dal collega nel precedente giudizio”.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

34 Quaderni

“Né vale ad escludere l’illecito disciplinare l’asserita mancanza, nel-l’incolpata, dell’intento di arrecare offesa al Collega. Ed infatti, «per la imputabilità dell’infrazione disciplinare non è necessaria la consapevo-lezza della illegittimità dell’azione (dolo generico o specifico), ma è suf-ficiente la volontarietà dell’azione con la quale è stato compiuto l’atto deontologicamente scorretto» (Cons. Naz. Forense, 04/02/04 n. 18)”.

L’incolpata, pertanto, “utilizzando ripetutamente nei propri scrit-ti difensivi, espressioni offensive della dignità e del decoro del Col-lega, … ha violato gli artt. 20 e 22 del codice deontologico, venendo meno agli obblighi deontologici previsti dalle predette norme”.

“Le offese contenute nei vari scritti difensivi … non integrano varie violazioni del codice deontologico, ma devono essere unitaria-mente considerate, potendosi ricondurre ad un unico comportamen-to illecito protrattosi per un determinato lasso di tempo, consistito nel non aver mantenuto nei confronti del Collega … comportamento ispirato a correttezza e lealtà, non salvaguardando, pur nel rispetto del dovere di difesa, il rapporto di colleganza.

Secondo l’orientamento costante del Consiglio Nazionale Foren-se, «l’azione disciplinare si prescrive in cinque anni dalla commis-sione del fatto se questo integra una condotta deontologica di carat-tere istantaneo, che si consuma e si esaurisce nel momento in cui la stessa viene posta in essere. Ove, invece, la violazione deontologica risulta integrata da una condotta protrattasi nel tempo la decorren-za del termine ha inizio dalla data di cessazione della condotta me-desima» (Cons. Naz. Forense 2/03/03 n. 30, 28/11/03 n. 375, 1/10/03 n. 285, 1/10/03 n. 283, 14/07/03 n. 227, 14/07/03 n. 220, 16/06/03 n. 162, 29/05/03 n. 99, 14/05/03 n. 94, 21/02/03 n. 8)”. Sicché deve ritenersi che il termine prescrizionale abbia cominciato a decorrere dal deposito in cancelleria dell’ultimo scritto difensivo contenente frasi offensive nei confronti del collega.

È stata applicata la sanzione della sospensione della censura.

C.d.O. Brindisi, 28.11.06/07.02.07, Pres. Conte, Rel. Giordano, Proc. c/ Avv. X.Y.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

Avvocato – Norme deontologiche – Informazioni sull’attività professionale – Modalità dell’informazione

L’apposizione, da parte di un avvocato, su una cartella utilizza-ta per la collazione dei propri fascicoli nell’esercizio dell’attività professionale, della indicazione “specializzato in diritto familiare e minorile” qualora il professionista non abbia conseguito il relativo diploma di specializzazione presso un istituto universitario e, anco-ra, l’apposizione della indicazione “Giudice di Pace”, costituisce duplice “violazione dell’art. 17 del codice deontologico e dell’art. 38 comma 1 del r.d.l. n. 1578/1933, ponendo in essere una condotta contraria ai doveri di probità, lealtà e correttezza e venendo in tal modo a ledere non solo la propria dignità professionale ma anche i principi di autonomia, di prestigio e di professionalità che caratte-rizzano l’intera classe forense”.

“Venendo a trattare la seconda questione posta dalla difesa, e cioè l’apertura verso un regime di concorrenza nella professione in seguito alla recente normativa meglio nota come decreto Bersani e quindi le ripercussioni sulla disciplina delle informazioni, vi è da sottolineare che il richiamo a un simile principio, peraltro già pre-sente nella normativa europea ed italiana, non va inteso nel senso che affermare una qualsivoglia libertà di operare significhi che essa possa restare svincolata da quel minimo di regole e limiti che sono in ogni caso necessari affinché l’uso della sfera di libertà da parte di ognuno dei soggetti in concorrenza (nella specie, avvocati) non trasmodi in abuso e in lesione della sfera di libertà altrui.”

“Una conferma dell’assunto è rinvenibile proprio nel decreto legge 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni in legge 4 agosto 2006 n. 248, il cui art. 2 comma 3 prevede l’adeguamento delle disposizioni deontologiche e pattizie e dei codici di autodisci-plina che contengono le prescrizioni di cui al precedente comma 1; l’adeguamento deve essere attuato «anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali».

Si è in presenza del riconoscimento legislativo del valore giuri-

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

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dico delle regole deontologiche che, a dire il vero, aveva già trova-to una compiuta qualificazione nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione.

Nelle materie attinenti agli illeciti disciplinari commessi da sog-getti appartenenti a determinate professioni l’ampiezza delle for-mule generalmente adottate dal legislatore per indicare azioni od omissioni disciplinarmente rilevanti comporta per l’interprete la necessità di integrare le clausole generali con il ricorso a fonti nor-mative diverse, anche di rango infralegislativo, come le norme di etica professionale”.

“Nell’ambito del sistema le regole del codice deontologico fo-rense «si qualificano come norme giuridiche vincolanti nell’ambito dell’ordinamento di categoria, che trovano fondamento nei principi dettati dalla legge professionale forense di cui al r.d.l. 27 novembre 1933 n.1578, ed in particolare nell’art.12 comma 1 che impone agli avvocati di “adempiere al loro ministero con dignità e con decoro, come si conviene all’altezza della funzione che sono chiamati ad esercitare nell’amministrazione della giustizia”, e nell’art.38 com-ma 1 ai sensi del quale sono sottoposti a procedimento disciplina-re gli avvocati “che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nel-l’esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale”» (SS.UU., n. 8255/2002)”.

“Sicchè i parametri legali di misura dei comportamenti dell’av-vocato sono le regole del codice deontologico, norme giuridiche di valore infralegislativo.

Una conferma a livello comunitario è nel codice deontologico foren-se europeo il cui art. 2.6.1 prevede che «peraltro, l’avvocato ha l’obbli-go di non fare e non farsi pubblicità personale se non nella misura in cui le regole dell’ordine forense cui appartiene glielo permettano»”.

Ne consegue che il Consiglio deve valutare se l’utilizzo del-l’espressione incriminata sia conforme o meno alla disciplina sulle informazioni, che nel testo approvato il 18.1.2007 ha dato definiti-va esecuzione all’obbligo di adeguamento posto nel decreto Bersa-ni…”.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

“Quando l’evoluzione dei tempi, quelli recenti, ha introdotto for-zosamente il modello del libero mercato estendendolo ai servizi pro-fessionali, è sorta l’esigenza di disciplinare con maggiore dettaglio il campo delle informazioni sull’attività professionale.

Il Consiglio Nazionale ha così provveduto ad una corposa mo-difica del nostro codice nel gennaio del 2006, anche in riferimento all’art. 17 sulle informazioni.

Si noti, però, che la modifica non ha interessato i principi o i ca-pisaldi etici del diritto alla informazione verso terzi, rimasti fissati sempre nel rispetto della dignità e del decoro della professione, nel dovere di correttezza e verità, e quindi nella tutela dell’affidamento della collettività verso un avvocato che si comporti in modo tra-sparente e veritiero, bensì ha riguardato i contenuti e le modalità delle informazioni nella consapevolezza che l’adeguamento era reso necessario sia dall’apertura di un mercato dei servizi più concor-renziale che dall’avvento di nuovi strumenti di comunicazione (è il tema, in altre parole, del radicarsi delle ultime tecnologie)”.

Pur tenendo conto delle modifiche che hanno interessato la disci-plina relativa alle informazioni sull’attività professionale, non si può concordare “sul carattere non tassativo della previsione secondo cui si possono indicare «i diplomi di specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari» (art.17 bis nelle due versioni al 27.1.2006 e al 18.1.2007) nel senso che non «soltanto» essi possano formare oggetto della specifica informazione sulla specializzazione.

La tesi sarebbe avvalorata da un’analisi testuale che al comma 3 dell’art.17 bis vigente al 27.1.2006 si esprime «possono essere indi-cati soltanto», mentre nella modifica approvata il 18.1.2007 si legge «può indicare», con elisione dell’avverbio «soltanto».

L’assunto non coglie nel segno.L’eliminazione del termine «soltanto» trae fondamento dal dato

che la formulazione per clausole generali delle prescrizioni di cui all’art. 12 comma 1 e all’art.38 comma 1 del r.d.l. n.1578/1933 trova specificazione nelle norme del codice deontologico, il quale nel suo primo titolo enuncia, qualificandoli «principi generali», una

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

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serie di doveri diretti a segnare lo svolgimento della professione, mentre nei successivi titoli elenca alcuni canoni complementari volti a tipizzare, nella misura del possibile, comportamenti nei rapporti con i colleghi, con la parte assistita, con la controparte, i magistrati ed i terzi desunti dall’esperienza di settore e dalla stessa giurispru-denza disciplinare, costituenti a loro volta mere esplicitazioni delle regole generali, inidonei quindi ad esaurire la tipologia delle viola-zioni deontologiche e privi di ogni efficacia limitativa della portata delle regole.

Tale relazione tra le norme in esame è chiaramente enunciata nella disposizione finale di cui all’art. 60 che nel chiarire che le previsioni specifiche del codice «costituiscono esemplificazioni dei comportamenti più ricorrenti e non limitano l’ambito di applicazio-ne dei principi generali espressi» si pone come norma di chiusura ed integrativa dell’intero testo.

Il valore esemplificativo dei canoni deontologici, e nella specie della indicazione dei diplomi universitari di specializzazione, non significa però che l’avvocato possa liberamente utilizzare indica-zioni o espressioni che contrastino con i principi generali posti a fondamento della tutela su di un’informazione corretta, veritiera, dignitosa e decorosa.

Sicché l’indagine sul comportamento serbato dall’Avv. … si spo-sta a valutare se possa utilizzarsi l’espressione «specializzato» sen-za che l’avvocato abbia conseguito un titolo legale che la accerti.

La premessa è che la partecipazione al corso teorico-pratico di specializzazione in diritto familiare e minorile organizzato dalla … SpA ha portato al conseguimento di un attestato di frequenza rilascia-to da soggetto definito dalla stessa incolpata «para-universitario», e quindi certamente non rientrante tra le specializzazioni universitarie che si concludono con esami e con il rilascio di un diploma attestante il livello di qualificazione raggiunto con la frequenza”.

“Allo stato la specializzazione è configurabile solo all’interno di uno schema procedimentale che vede a monte una legale facoltà del soggetto abilitato a fornire una didattica a cui consegua un appren-

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

dimento che possa far definire di grado più elevato la conoscenza acquisita in un determinato campo.

Tale impostazione, del resto, è garanzia di tutela per l’affidamen-to nel titolo che si consegue e che trae forza proprio dal riconosci-mento legale del soggetto a ciò abilitato”.

“L’uso improprio di «specializzato in diritto…» per significare che quell’avvocato svolge prevalentemente la sua attività in un set-tore specifico non equivale a utilizzare il diploma conseguito in un corso di specializzazione riconosciuto e consentito dalla legge.

Tale utilizzo invero distorce il messaggio informativo che giunge al soggetto destinatario perché questi recepisce che l’avvocato ha una specifica qualificazione professionale in quel campo del diritto riconosciuta da un soggetto legalmente a ciò abilitato.

Diverso è spiegare nel materiale informativo che l’avvocato esercita la professione prevalentemente in un settore del diritto per far intendere, quindi, che tale maggiore frequenza di applicazione lo può rendere un buon conoscitore di quella materia, specie per l’esperienza temporale acquisita.

Ciò, però, non autorizza l’avvocato a fregiarsi del titolo di specializ-zato, almeno fino a quando il legislatore non attribuirà valenza legale all’esperienza raggiunta e non disciplinerà le modalità per riconoscer-la come legittimante per l’ottenimento di una specializzazione”.

“Il comportamento serbato, da un lato, denota la violazione del principi deontologici di dignità e decoro professionale perché offre l’immagine di un avvocato, con i riflessi sull’intera classe forense, che non rispetta le regole vantando un titolo di specializzazione non posseduto e in spregio quindi al rispetto degli altri colleghi che per ottenere la specializzazione hanno doverosamente seguito il percorso normativo; dall’altro si manifesta per non essere corretto e veritiero in quanto fornisce un’informazione su di una qualità professionale riconosciuta da un titolo che invece non è stato conseguito”.

Dato immodificato in tutti i testi del codice deontologico che af-frontano il tema in discussione è che “le informazioni devono ri-guardare espressamente la «propria attività professionale»”.

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ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO

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“Leggendo gli artt.17 e 17 bis del codice deontologico (e comun-que tutte le versioni succedutesi) si ricava immediatamente che la qualità di giudice di pace non inerisce ad una qualità del soggetto che attiene all’attività professionale esercitata di avvocato.

Quest’ultima è disciplinata dal r.d.l. n.1578/1933 e successiva normazione e si distingue ontologicamente dall’attività di giudice di pace come regolata nell’ordinamento giudiziario.

Tanto è vero che il giudice onorario è sottoposto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari e che sussiste un’incom-patibilità tra l’attività del giudice onorario e quella dell’avvocato nel circondario in cui viene svolto il ruolo di giudice.

La diversità è dunque dimostrata e conduce ad una insanabile incompatibilità nello stesso territorio.

L’informazione che l’incolpata ha inteso dare circa l’attività di giudice di pace non riguarda dunque la professione di avvocato, bensì attiene ad una qualità di un soggetto che, seppure tempora-neamente, rientra nella giurisdizione e in tale veste determina anche l’ipotesi di incompatibilità sopra enunciata.

La limitazione delle informazioni alla sfera della professione fo-rense è sottesa a tutela e garanzia della par condicio tra gli avvocati per non alterare i limiti della concorrenza che deve svolgersi secon-do regole assolutamente precise…

«Una informazione che esplicita per quel soggetto lo svolgimento di una attività di giudice, pur se onorario, indicando una apparte-nenza ad un ordine che ha un ruolo e compiti istituzionali sicura-mente diversi rispetto a quelli che svolge l’avvocatura, aggiunge og-gettivamente, nella posizione di chi comunica quella informazione, un elemento in più idoneo a violare in astratto quella par condicio» (Cass.Civ., SS.UU., 13 gennaio 2006 n.486)”.

È stata disposta la sanzione dell’avvertimento.

C.d.O. Brindisi, 27.02.07/24.04.07, Pres. Conte, Rel. Panzuti, Proc. c/ Avv. X.Y.

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Inaugurazione dell’Anno GiudiziarioCorte di Appello di Lecce

27 gennaio 2007Considerazioni generali sulla amministrazione

della giustizia nel distretto

di UMBERTO PAGANO*

Una sorta di discrasia governa l’andamento della giustizia nel no-stro Paese.

La Costituzione tutela i diritti fondamentali ed inviolabili della persona umana. L’ordinamento vigente appresta gli strumenti utili ad una efficace realizzazione dei principi costituzionali, ma gli inter-venti concreti, fatti di risorse umane, materiali e strutturali difettano, a dispetto della perentorietà del dettato costituzionale: sicchè l’effet-tiva acquisizione di quei diritti e, per restare nel nostro ambito, di un giusto processo non ha modo di concretizzarsi per gli inammissibili ritardi nella definizione delle controversie. Ritardi equivalenti a so-stanziale negazione di giustizia giacché anche quando il percorso giudiziario finalmente si compie, dopo anni o lustri di disagevole frequentazione degli ambienti giudiziari e forensi, il cittadino n’esce comunque perdente. In tali casi spesso il verdetto lo raggiunge quan-do la sua situazione personale, familiare e di lavoro è profondamente mutata, per cui anziché ripagarlo della lunga attesa finisce col condi-zionarne negativamente il futuro.

Quando dunque è disatteso il principio della ragionevole durata del processo si è consumata la principale garanzia che la Costitu-zione ha posto, vieppiù dopo la nuova formulazione dell’art. 111, a tutela dei diritti dei cittadini.

* Primo Presidente della Corte di Appello di Lecce.

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

I nostri costituenti, appartenenti a tutte le aree del pianeta poli-tico del tempo, si trovarono ad operare in un periodo di forte con-trapposizione politica che però non si sviò dall’intento comune di proseguire in concordia nel lavoro portando a termine il progetto di legge costituzionale. Occorre pari ed alta presa di coscienza delle forze politiche per scrivere oggi comuni e durature regole di corretta convivenza democratica, nell’abbrivio supportare dall’esemplarità del precedente storico, per affrontare in un clima disteso le grosse questioni nazionali, tra le quali la giustizia.

Purtroppo si procede in tutt’altra direzione, con unilaterali tenta-tivi di modifica costituzionale (variare la seconda parte significa pre-giudicare la prima); di conflittualità permanente ed a ogni costo che da un canto scongiura purtroppo un serio lavoro per affrontarle e dal-l’altro apre alle prevaricanti forze corporative, comprese le nostre, di magistrati e avvocati, pronte alla protesta nel reclamare una giustizia per il cittadino, per finire con l’essere condizionate da problematiche di categoria; di totale mancanza di un progetto riformatore.

È questa constatazione la ragione se una nota di pessimismo, for-zando anche la naturale propensione contraria di tanti di noi, pervade in modo sempre più pregnante la quotidianità nei palazzi di giusti-zia.

Il dibattito inoltre è stato più mediatico che parlamentare, con conseguenti scarse novità da proporre alla vostra attenzione.

Per l’attuale periodo di riferimento, 1° luglio 2005-30 giugno 2006, a fronte dei constati richiami di addetti e non lavori in conve-gni ed incontri di studio, lo sforzo di forze politiche, magistratura ed avvocatura si è risolto nel tentativo di trovare condizioni di accetta-bile serenità e clima più disteso che in passato, per meglio e più util-mente affrontare problemi annosi non ancora avviati a soluzione.

L’esito non può dirsi dei più confortanti attesi i risultati consegui-ti: una parziale sospensione, con qualche modifica, di alcuni decreti sulla riforma dell’ordinamento giudiziario approvata nella preceden-te legislatura, che peraltro ha lasciato insoddisfatte cospiscue frange della magistratura ed addirittura indispettita l’avvocatura; per tali in-

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

terventi quest’ultima ha pesantemente intrapreso una decisa azione di protesta accusando la classe politica di sudditanza verso la magi-stratura e di voler conseguentemente trascurare d’intraprendere una seria iniziativa volta alla realizzazione del principio costituzionale del giusto processo: principalmente perché sorda alle istanze di at-tuazione di una netta separazione delle carriere dei magistrati, a pa-rere della classe forense unica condizione per aversi un giudice terzo e garante imparziale delle posizioni d’accusa e difesa nel processo.

Il secondo dato rilevante registrato, sempre nel periodo conside-rato, riguarda il varo della legge sull’indulto che ha suscitato pole-miche e contrapposizioni sia tra gli addetti ai lavori che tra le forze politiche, durante l’iter parlamentare e successivamente, alle prime scarcerazioni di persone condannate per gravi reati e presumibilmen-te pronte a riprendere posto e ruolo nella cerchia della criminalità, comunque facile riferimento per esservi fagocitate.

Preoccupate a tale riguardo le riflessioni dei procuratori della Re-pubblica del distretto nonché del Procuratore Antimafia che mani-festano forti perplessità sulla possibilità di poter mantenere i buoni risultati conseguiti contro la criminalità nei prossimi anni nei quali, con buona certezza, saranno accusati gli inevitabili contraccolpi del-la recente legge di indulto, a seguito della cui applicazione sono state scarcerate nel distretto molte centinaia di persone, tra le quali anche trafficanti di rilievo di sostanze stupefacenti e pericolosi esponenti di gruppi criminali di tipo mafioso; sicché appare prevedibile un incre-mento di attività criminali riconducibili a tali organizzazioni le cui potenzialità risultano obiettivamente accresciute dalla liberazione di persone ad essa appartenenti; così come non può affatto escludersi la ripresa di tensioni e conflitti tra clan mafiosi conseguenti al raf-forzamento non uniforme delle loro capacità criminali per il diverso numero di affiliati scarcerati ed il loro differente livello.

Nel dibattito in corso occorre però registrare le contrarie convin-zioni di chi sostiene che il carcere non paga in termini di rieducazio-ne del condannato giacché a causa del sovraffollamento è negata al recluso ogni concreta possibilità di accedervi, sicché sottrarlo a con-

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

dizioni di invivibilità ambientale con un provvedimento di clemenza è inevitabile e ricorrente rimedio ad una verificata carenza di tutela d’inalienabili diritti e doveroso intervento di prevenzione di manife-stazioni contro l’ordine e la sicurezza interna ed esterna al carcere.

La scelta del legislatore non pare ingiustificata ove solo si consideri che le case di reclusione, salvo poche eccezioni, ospitano un numero considerevole di condannati rispetto alla capienza regolamentare; si poteva però intervenire in modo più selettivo a presidio di quella stessa sicurezza esterna giustificatrice sotto altri profili del provvedimento.

Il problema dell’esecuzione della pena andrebbe affrontato radi-calmente, globalmente e non con interventi emergenziali, a monte innanzitutto con la previsione di un sistema sanzionatorio alternativo alla detenzione per i reati meno gravi; ed è auspicabile che in tale direzione si muova la commissione per la riforma del codice penale nella consapevolezza che, come dati statistici inoppugnabili prova-no, torna più frequentemente a delinquere chi ha scontato la reclu-sione rispetto a chi è sottoposto ad una sanzione fisicamente meno afflittiva ma per altro verso parimenti pesante senza peraltro essere escluso dal circuito della civile convivenza.

Evento non voluto ma di agevole previsione è la ricaduta negativa dell’indulto sui processi in corso perché la loro celebrazione, quindi il non breve lasso di tempo che richiederà, risulterà vana quando la sentenza di condanna comporterà l’applicazione del beneficio. Il le-gislatore doveva farsene carico, ma non necessariamente con il varo di un contestuale ulteriore provvedimento di clemenza, l’amnistia, com’è nel passato sempre accaduto; si sarebbe potuto e si potrebbe ancora ovviare con l’introduzione nel sistema processuale di qual-che modifica, ad esempio la previsione di un procedimento, anche camerale, ben articolato nella prospettiva, assicurando il rispetto del pieno contraddittorio, di una possibile conclusione anticipata del di-battimento, anche con previsione di disciplina differenziata rispetto a quella dei riti alternativi attualmente previsti dal codice.

Sono state, queste, le uniche “attenzioni” rivolte al pianeta giusti-zia nell’anno ormai alle nostre spalle.

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Sono invece auspicabili più spediti interventi, volti a migliorare le discipline anche per l’acquisizione di maggiori certezze sulla cor-retta conclusione dei processi.

Recentemente la Cassazione ha annullato due sentenze dei giudi-ci di merito, di condanna di note personalità ritenute responsabili di corruzione, per difetto di competenza territoriale, cioè per una que-stione procedurale che non ha nulla a che vedere con l’accertamento dei fatti operato dai giudici di primo e di secondo grado. La pronun-cia comporterà la prescrizione dei reati per il lungo decorso del tem-po, e ciò al di là della necessitata accettazione, ha suscitato sconcerto nella pubblica opinione, non tanto e non solo per l’ingiusta sottrazio-ne di eventuali colpevoli alla giusta sanzione, ma perché l’accaduto ha dell’incredibile ove si consideri che una semplice, diversa regola, se introdotta nel sistema, avrebbe potuto evitarlo, prevedendo cioè la definitiva soluzione dei problemi di competenza, giurisdizione e nullità degli atti nella fase preliminare del dibattimento.

Nell’attesa di significative riforme, anche semplici, incisive ed a costo zero come questa, si è fiduciosi nella sollecita realizzazione delle altre preannunciate.

Abbiamo vissuto una lunga stagione di contrapposizione tra forze politiche e magistratura ed oggi sentiamo la mancanza di una di-chiarata disponibilità di quelle forze a varare un rigoroso program-ma per la giustizia, che privilegi riforme organiche e non settoriali, razionalizzazione del sistema e migliore distribuzione delle risorse, interventi immediati, per assicurare al cittadino, nel cui esclusivo interesse dovrebbe mirare ogni iniziativa di riforma, un processo giusto e di ragionevole durata, disattendendo quelle richieste che non fossero finalizzate a tale scopo ma solo a garantire la difesa di posizioni corporative.

Per il processo penale, dopo le riforme del giudice unico e del-l’attribuzione di competenze penali al giudice di pace, sono mancate altre di ampio respiro, per cui perdura l’annosa ingovernabilità dei tempi di definizione dei processi; per ovviarvi i Procuratori della Repubblica auspicano interventi del legislatore che rendano meno

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

farraginoso l’iter processuale, come la riduzione dei termini previsti per l’incidente probatorio, l’apposizione di termini al G.I.P. sulle ri-chieste di misure o di proroghe delle indagini, moduli organizzativi nuovi che consentano la scelta prioritaria di definizione dei processi per reati gravi e comunque non destinati alla quasi certa prescrizio-ne. Fatta salva la necessità per il legislatore di muoversi con equili-brio per la salvaguardia dei principi costituzionali della ragionevole durata dei processi e dell’ampia tutela difensiva, sono altresì auspi-cabili interventi per una disciplina più spedita delle notificazioni e delle stesse impugnazioni.

È intollerabile che trovi cittadinanza e persista nell’ordinamento giuridico di un paese civile la norma del riformulato art. 157 c.p.p. che consente al difensore di fiducia dell’imputato contumace di rifiu-tare la domiciliazione legale in tema di notificazione degli atti.

Solo ampie prospettive di rivisitazione del processo penale posso-no segnare il cammino per un adeguamento delle sue articolazioni ai principi costituzionali. Avvertivo lo scorso anno: “Con il codice del 1989 i tempi di definizione dei processi si sono di non poco allunga-ti. Le ragioni? Ne indico una, forse la più importante: la dilatazione dei tempi delle indagini preliminari che vedono il P.M. esclusivo dominus del procedimento, cui seguirà un processo fortemente con-dizionato dai risultati probatori fin lì acquisiti.

Il Codice del 1989 è nato come ambizioso progetto di rito accusa-torio, me ne è stato svuotato dalle nostre quotidiane prassi giudizia-rie cui è andato e va inevitabilmente a rimorchio il nostro legislatore. Con l’attuale e lunga durata delle indagini preliminari pare resusci-tata la vecchia sommaria istruzione in palese violazione dello spirito informatore del rito accusatorio, che impone la presenza dell’impu-tato da subito avanti al suo giudice naturale.

Dottrina ma prima ancora magistrati e avvocati, cui un processo non più “giusto” offre frequenti occasioni di interventi critici, avver-tano la responsabilità culturale di offrire al legislatore collaborazione tecnica per una riforma magari senza appellativi, ma che offra loro un po’ meno visibilità ma spazi infiniti perché sia possibile operare

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nel rispetto dei principi costituzionali di efficienza e garanzia. Così recuperando quell’efficacia ed i buoni risultati che l’attuale processo non riesce a dare”.

Ribadisco con forza la necessità di riflettervi, ancor più a fronte del lungo silenzio sul punto delle forze politiche nonché di noi ope-ratori del diritto quantunque da più parti ormai si avverta l’esigenza di un intervento non più procrastinabile.

Per la giustizia civile, che richiede tempi ancora più lunghi per la definizione delle controversie, occorre ribadire che le riforme setto-riali introdotte negli ultimi anni hanno appena scalfito la perdurante arretratezza delle logiche processuali ed ancor meno lo sconvolgente accumularsi di arretrato, pendenze e sopravvenienze; è perciò ancor più sentita l’indifferibilità di profondi interventi legislativi di sem-plificazione delle procedure, di rigore nella fissazione di preclusioni e decadenze, di vere sanzioni per pratiche dilatorie che troppo fre-quentemente ritardano l’iter processuale.

Nel civile in particolare si avvertono i benefici effetti delle inizia-tive, quali i protocolli d’intesa ed i monitoraggi dei flussi di lavoro sui quali da qualche tempo insistemente Consiglio Superiore della Magistratura e Ministero invitano a lavorare, che avvocati, magi-strati e personale amministrativo portano avanti per una migliore ge-stione delle udienze ed una più appropriata distribuzione del lavoro negli uffici giudiziari, consci ormai (direi finalmente) che un’oculata organizzazione del lavoro consente di conseguire risultati ottimali: che non può non comprendere, con lo studio attento degli atti, la pre-ferenza per una motivazione essenziale dei provvedimenti dei giu-dici ed il rifiuto di prassi dilatorie ed altri abusi processuali da parte dei soggetti processuali.

Va segnalata l’urgenza di riordino della legislazione con l’ela-borazione di testi unici sulle singole materie come contrasto alla farraginosità ed anche contraddittorietà delle normative che non sempre abilitano ad un’agevole interpretazione e più in generale di una nuova cultura della giurisdizione che miri non solo ad una pur ben accetta limatura delle procedure (la più recente riforma proces-

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suale ha introdotto meccanismi di accelerazione delle procedure di cognizione e di esecuzione) ma pure all’alternatività di rimedi delle soluzioni delle controversie rispetto a quello tradizionale del ricorso all’autorità giudiziaria, che dovrebbe rappresentare per le parti in contesa l’estrema ratio.

In questa direzione i capi degli uffici giudicanti del distretto, che auspicano altresì una più attenta considerazione dei profili di costi-tuzionalità in sede di approvazione delle leggi al fine di limitare il ricorrente vulnus procurato dalle sentenze dichiarative d’incostitu-zionalità.

Le disfunzioni del servizio giustizia nel Paese, con cause e pro-blematiche che vi sono connesse, interessano il territorio del distret-to e ne condizionano l’andamento.

I capi degli uffici giudiziari, giudicanti e requirenti, segnalano come causa principale della lentezza nel percorso giudiziario le ca-renze od insufficienze di organico dei magistrati e del personale am-ministrativo, aggravate dalla costante riduzione dei fondi ministeria-li in questi ultimi anni, in particolar modo nel servizio di stenotipia e per la retribuzione del lavoro straordinario al personale amministra-tivo, che determina, soprattutto nel settore penale, frequenti rinvii dei processi o sospensione delle udienze ad ora data.

È fonte di enormi disagi per gli addetti ai lavori e per la stessa co-munità del Salento la distribuzione sul territorio di ben sette sezioni distaccate nel circondario del tribunale di Lecce, quattro in quello di Taranto e quattro nel brindisino. C’è ormai unanime consenso tra gli avvocati, i magistrati ed il personale amministrativo, ed anche tra le forze politiche di ogni tendenza ed appartenenza sull’indiffe-ribilità di un deciso intervento volto al ridimensionamento di detto eccessivo numero delle sezioni e tuttavia l’iniziativa da tempo ormai preannunciata non ha fatto alcun passo in avanti. L’anno scorso si ricordava la discussione sul problema avviata nel corso della Prima Conferenza Provinciale sulla Giustizia e l’unanime auspicio mani-festato nella direzione anzidetta; quest’ufficio di presidenza da ol-tre tre anni attende notizia dal Ministero della Giustizia sulla nota

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inviata a corredo di un voluminoso dossier in risposta alla richiesta dello stesso Ministero di dettagliata informativa sulla questione e di relativo parere del Consiglio Giudiziario (che vi fu e affatto positivo sulla soppressione di buona parte delle sezioni distaccate).

Sull’argomento torna, deciso, il presidente del Tribunale di Lec-ce: “La ragionevole durata del processo, condizionata in larga par-te dalla disponibilità delle necessarie risorse personali e materiali e dall’oculata distribuzione degli uffici sul territorio, difficilmente può essere realizzata nel tribunale di Lecce, a causa della sua suddivisio-ne in SETTE sezioni distaccate”.

“La riduzione delle sezioni distaccate permetterebbe un notevole risparmio della spesa erariale, una più attenta ed incisiva vigilanza da parte del dirigente dell’ufficio, un miglior impiego dei giudici e del personale per supplenze e sostituzioni, la semplificazione degli adempimenti, la riduzione dei disagi della classe forense”.

Concordano i capi degli uffici giudiziari di Taranto e di Brindisi.Quanto agli organici di magistratura e personale amministrativo

occorre segnalare con particolare preoccupazione le carenze-insuffi-cienze del tribunale di Taranto, ufficio di enorme carico di lavoro per il quale un ampliamento dell’organico della sezione lavoro ma pure di altri settori ed un consistente aumento del numero degli ammini-strativi, onde poter assicurare un decoroso servizio, sia nel settore civile che in quello penale.

Analoghi interventi per i tribunali di Lecce e Brindisi, e comun-que provvedimenti del C.S.M. per assicurare una stabile copertura degli organici.

Il tribunale di Brindisi è in sofferenza per l’inadeguatezza del nu-mero dei magistrati addetti alla materia del lavoro, l’assegnazione di una ulteriore unità, di recente disposta, attenua soltanto il disagio.

Del tutto aderente alla realtà il rilievo del procuratore della Re-pubblica di Brindisi sull’organico dei giudici addetti all’ufficio GIP-GUP a conferma di quanto già rilevato dal presidente di quel tribuna-le: “Gli effetti deflattivi dei procedimenti speciali (c.d. riti alternativi) hanno comportato uno spostamento del processo dal dibattimento al

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G.U.P., senza che gli organici di quest’ultimo fossero adeguatamente “rinforzati”; la gravità della situazione è particolarmente avvertita in questi Uffici, ove l’organico dei G.I.P. (due unità) e dei G.U.P. (due unità) è insufficiente a fronte dell’organico dei magistrati del PM (quattordici unità), con tempi di risposta non brevi sulle richieste del PM, nonostante l’impegno e la dedizione al lavoro dei giudici”.

Sull’insufficienza degli organici è puntuale anche il rilievo del presidente preposto alla sezione distaccata di Taranto di questa Corte d’appello, ed al riguardo il dato oggettivo del carico di lavoro di quel tribunale ne offre il riscontro più pertinente in considerazione del frequente ricorso delle parti all’impugnativa sia in sede civile che in sede penale.

L’avvocato generale della Repubblica presso la stessa sezione di-staccata, con l’accurata analisi sui problemi della giustizia nel Paese, offre infine una nota lieta quando riferisce che l’organico di quel-l’Ufficio, con l’impegno quotidiano di tutti gli addetti risulta idoneo a sostenere il peso del lavoro complessivo pur con un numero rag-guardevole di partecipazione alle udienze.

Il procuratore della repubblica della stessa città lamenta invece le carenze più volte segnalate, ma invoca dai suoi colleghi moduli or-ganizzativi ispirati al principio di efficienza e la piena attuazione dei protocolli tra gli uffici elaborati ai sensi dell’art. 227 D.Lgs. 19.2.98 n. 51.

Così scrivevo nella relazione per l’anno 2006.Non sono intervenuti mutamenti né sostanziali accorgimenti per

fronteggiare in qualche modo i ricorrenti problemi creati dalla di-stanza sempre più vistosa tra domanda di giustizia della comunità e strutture del servizio quasi inalterate negli ultimi tempi.

In tali condizioni, non può non suscitare meritoria considerazione il dato confortante rassegnato dai procuratori della Repubblica e dal procuratore antimafia del distretto sul non rilevamento nel territorio di fatti di sangue ascrivibili ad associazione mafiosa, in un periodo nel quale si deve purtroppo registrare l’andamento inverso in altre regioni del meridione d’Italia.

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Anche nell’anno giudiziario decorso la Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce ha conseguito ottimi risultati nella repressione delle manifestazioni di criminalità organizzata, sia sul piano delle indagini che su quello dei giudizi.

Nell’ambito del distretto, le potenzialità delle organizzazioni cri-minali storicamente inserite nell’associazione di tipo mafioso comu-nemente nota con la denominazione di Sacra Corona Unita o comun-que gravitanti nell’ambito di essa, già fortemente ridimensionate, sono state contenute dagli ulteriori interventi giudiziari che hanno riguardato sia l’aspetto cautelare personale e patrimoniale (vi sono stati numerosi provvedimenti di sequestro e confisca di beni), sia l’accertamento delle responsabilità penali.

Indicativa del perdurante ridimensionamento dei clan criminali è, dunque, la sostanziale assenza di omicidi “di mafia” nell’intero distretto; i due omicidi avvenuti a Lecce il 29 settembre ed il 3 no-vembre 2005 ed inquadrabili in ambito di criminalità organizzata che avevano fatto temere per una ripresa di conflittualità tra i gruppi facenti capo alla Sacra Corona Unita sono risultati episodi isolati, legati al traffico delle sostanze stupefacenti, cui non sono seguiti altri (nel periodo 2002/2003 vi erano stati, nella sola provincia di Lecce, dieci agguati mafiosi cinque omicidi i cui autori, peraltro, sono stati tutti identificati e perseguiti). Egualmente significativa l’assenza di latitanti di rilievo.

Occorre riconoscere che in questo ambito i successi conseguiti dal-le forze dell’ordine e dalla magistratura sono stati veramente cospicui, ed a rammentarcelo è l’inoppugnabile considerazione che attualmente il territorio è ben presidiato e le popolazioni godono di maggiore tran-quillità per l’efficace contenimento di scorrerie criminali.

Occorre però costante vigilanza.Il Procuratore della Repubblica di Taranto segnala il positivo

“standard” in termini di sicurezza ma pure l’esigenza di monitorare episodi che indicano la volontà di riorganizzazione di gruppi crimi-nali in declino oppure appena beneficiati della libertà riacquistata da loro esponenti di spicco.

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Quell’Ufficio è gravato di un impegno costante per complesse indagini sulla gestione del denaro pubblico; negli ultimi tempi si è registrato il proliferare di procedimenti che interessano le strutture amministrative e politiche del comune di Taranto e che hanno visto tra gli indagati ed attinti da misure custodiali pubblici funzionari ed imprenditori.

Gli episodi che riguardano le illegalità di gestione della cosa pub-blica a Taranto sono di particolare inaudita gravità e testimoniano sia la disinvoltura con cui fraudolentemente sarebbero state sottratte somme rilevanti alle casse comunali sia la prassi diffusa, come rile-va il Capo della Procura, di superare vincoli e limiti posti all’azione amministrativa a presidio della legalità del procedimento e della im-parzialità delle scelte.

Il “sacco” di Taranto hanno titolato i giornali, con “purtroppo” ineccepibile aderenza alla realtà. Ciò è potuto accadere non solo per l’ascesa a posizioni apicali di responsabilità di persone non rispetto-se della cosa pubblica ma pure per insufficiente azione di controllo, anche da parte della comunità locale, disattenta nell’esercizio legitti-mo ma pur doveroso del diritto alla trasparenza istituzionale.

Gli ultimi mesi hanno visto il proliferare di procedimenti (ne pen-dono, infatti, non meno di venti) nei confronti delle strutture ammi-nistrative e politiche del Comune di Taranto: di recente sono stati attinti da misura di custodia cautelare personale 23 tra funzionari ed impiegati della Direzione Risorse Finanziarie (proc. c.d. “Stipendi d’oro”) ed ancora 7 Funzionari e 2 Imprenditori (proc. c.d. “Parco Cimino”).

Le somme fraudolentemente sotratte alle casse comunali ammon-tano per entrambi i procedimenti a circa dieci milioni di euro.

Il Tribunale del Riesame ha reiteratamente confermato la fonda-tezza delle tesi accusatorie.

Altre indagini hanno ad oggetto l’affidamento di opere e servizi da parte di altri Enti pubblici: esse, pur lontane dal danno rilevante all’erario pubblico tipico delle precedenti, denotano la prassi diffusa di superare con disinvoltura i vincoli ed i limiti posti all’azione am-

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ministrativa a presidio della legalità del procedimento e della impar-zialità delle scelte.

Dalla vicenda Taranto la fondatezza del rilievo secondo cui per costruire un argine alla criminalità occorre in primis che chi ha la gestione della cosa pubblica e rappresenta la casa comune pratichi fino in fondo il rispetto delle regole.

Costanti gli accadimenti con violazione di norme antinfortunisti-che nei siti di lavoro ad alto rischio, con conseguenti lesioni ed omi-cidi di natura colposa, in specie nel tarantino, qualificato territorio ad alto rischio ambientale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per la presenza in tale area del più grande impianto siderurgico d’Eu-ropa, contiguo al centro abitato.

È allarme per i morti sul lavoro, 73 nel 2004, 84 nel 2005 in Puglia; diminuiscono però gli incidenti, ma restano nell’ordine di di-verse decine di migliaia, oltre quarantamila. Grave la situazione nel polo siderurgico di Taranto, anche per le malattie professionali in au-mento. In Puglia e per Taranto in particolare occorre impiantare una rete di sicurezza efficace col contributo di tutti, istituzioni, lavoratori e datori di lavoro. Come da più parti da tempo viene suggerito.

La complessità delle indagini avviate negli ultimi tempi per la tutela dell’ambiente e del territorio ha richiesto in quella Procura l’aumento del numero dei magistrati impegnati nella trattazione dei relativi procedimenti, in particolare riguardanti “la gestione di di-scariche, termovalorizzatori, scarichi in mare nonché procedure am-ministrative di autorizzazione spesso viziate da gravi violazioni di legge”.

Il Procuratore della Repubblica di Brindisi segnala la flessione dei reati in materia ambientale ed edilizia (da n. 116 a 87), ma con preoc-cupazione l’aumento di quelli contro la pubblica amministrazione (si è passati da 136 casi dell’anno precedente agli attuali 348) e conforta poco il fatto che la forte lievitazione sia dovuta all’incremento delle violazioni per indebita percezione di fondi a danno dello stato.

Per il Capo della Procura di Lecce “è possibile affermare che con-tinuano ad emergere fenomeni in cui si annidano malcostume e cor-

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ruzione, nonostante l’attenzione investigativa che, di fatto, viene at-tuata nel tentativo di un autentico risanamento nelle pubbliche attività. Particolare importanza, in tale contesto, assumono le indagini in tema di “pensioni di invalidità”, in cui l’attività svolta dal Reparto Operati-vo dei Carabinieri di Lecce ha consentito di portare alla luce un vero e proprio sistema di predisposizione di perizie compiacenti da parte di alcuni consulenti tecnici di ufficio nominati dal Tribunale volto a con-seguire, dietro la corresponsione di somme di danaro, la erogazione di indennità e di altri emolumenti di natura previdenziale a favore di soggetti che non possedevano i requisiti per poterne usufruire”.

Nelle tre province non ha subito flessioni il traffico di sostanze stupe-facenti, nonostante i pesanti interventi di contrasto delle forze dell’ordi-ne. Cocaina e cannabis in quantità anche ingenti sono al centro dell’ille-gale commercio, praticato da organizzazioni salentine in collegamento con gruppi criminali di altre regioni meridionali ed albanesi.

Nel contrasto giudiziario nel circondario di Lecce alla criminalità straniera è stata rilevata una sostanziale stabilità del numero dei pro-cedimenti iscritti per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, tratta e riduzione in schiavitù (e fatti di criminalità direttamente con-nessi al fenomeno migratorio), i quali sono stati complessivamente 31 tra luglio 2005 e giugno 2006 rispetto ai 25 iscritti nel periodo prece-dente ed ai 47 di due anni fa, in forte diminuzione rispetto ai 90 di tre anni fa ed ai 160 di quattro anni fa). Il dato è affiancato da quello della sostanziale cessazione del fenomeno migratorio attraverso il Canale d’Otranto già rilevata nei tre anni scorsi: invero dalla fine del 2002 non vi è più stato alcun rintraccio di stranieri irregolarmente presenti nel territorio avvenuto a seguito di sbarchi clandestini sulle coste salenti-ne, sostanzialmente cessati dall’autunno 2002 a seguito di interventi in Albania a decorrere dall’estate 2002 con la distruzione di molte imbar-cazioni utilizzate per il trasporto di persone verso le coste pugliesi.

L’incidenza del fenomeno nella realtà locale è in leggera flessione anche nel circondario di Brindisi, ma, come segnala il Presidente del Tribunale, persiste, con tendenza ad un significatico aumento, il coinvolgimento degli immigrati stranieri nell’attività delinquen-

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ziale svolta anche in forma associativa. Ciò è attestato dal fatto che dinanzi al Tribunale risultano pendenti 132 processi a carico di stra-nieri, alcuni dei quali (2) imputati dei delitti concernenti il traffico di droga e le armi, altri (24) imputati del solo reato di immigrazione clandestina e la parte restante accusata soprattutto del reato di falsa attestazione o dichiarazione a pubblico ufficiale su identità o qualità personali proprie o altrui. Dinanzi al G.I.P. sono stati iscritti 1.092 procedimenti a carico di stranieri per traffico di stupefacenti e di armi, per immigrazione clandestina e per false attestazioni o dichia-razioni a pubblico ufficiale su identità e qualità proprie o altrui.

Stabili o in leggera flessione gli episodi di violenza sessuale a Taranto e Brindisi, anche se occorre tener conto del rilievo sulla dif-fusa reticenza alla denuncia in tale ambito e quindi della verosimile ampia diversificazione tra dato processuale e quello reale.

Preoccupanti invece le riflessioni per Lecce. In materia di reati di violenza sessuale e pedofilia, occorre riconoscere che l’incremen-to numerico e qualitativo del fenomeno è palpabile. Sorprendente è il fatto che l’attenzione sessuale deviata si sia spostata verso fasce di vittime sempre più giovani d’età, spesso in ambito familiare ed amicale, con abuso quindi dei rapporti di fiducia esistenti e con pari atteggiamento di copertura ed omertà da parte di coloro che, all’in-terno o all’esterno del nucleo familiare o del giro di amici, sono a conoscenza di fatti costituenti reato o utili alle indagini. L’incremen-to, infatti, delle notizie criminis non è frutto di una maggiore propen-sione alla denuncia, bensì di una maggiore sensibilità ed attenzione al fenomeno da parte della scuola e persino da parte di anonimi che, attraverso il telefono dell’Ufficio interventi civili esistente presso la Procura della Repubblica per i Minorenni di Lecce, segnalano fatti sospetti e degni di approfondimento.

Preoccupazione suscita nel tarantino il costante persistere del fe-nomeno dell’usura legato alla disastrata condizione economica di ceti sempre più deboli economicamente e non facilmente contrasta-bile in quanto praticato con l’intuibile imposizione della più rigida regola omertosa.

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Per le prescrizioni è confermato l’andamento dei periodi prece-denti: si attesta su percentuali inferiori al 10% dei processi iscritti, nel Tribunale di Brindisi sul 3,5%.

Tuttavia il dato è di innegabile gravità in quanto indice di dene-gata giustizia.

La legge ex Cirielli comporterà di per sé nel prossimo futuro un appesantimento del fenomeno, con tendenza ad ulteriore lievitazione dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale che estende la possibilità del ricorso all’istituto per ravvisata incostituzionalità di talune norme che ne limitavano l’applicabilità.

Per il civile, destano preoccupazione le sopravvenienze delle cau-se di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatoria nonché di separazione personale dei coniugi e di divorzio.

Anche se l’attribuzione di competenza al giudice ordinario delle cause in materia di pubblico impiego ha ulteriormente aggravato la situazione delle pendenze, le sezioni lavoro di primo e secondo gra-do hanno assolto e continuano ad assolvere con impegno l’oneroso compito definendo un numero considerevole di affari con deposito dei relativi provvedimenti decisionali senza ritardi e non di rado in tempi rapidi.

Pur nelle ristrettezze di organico, si tenta di abbreviare i tempi di definizione delle controversie in materia di famiglia con accor-gimenti che vanno dalla fissazione delle udienze di ascolto in tempi più ravvicinati (così a Lecce) all’incremento del numero dei magi-strati addetti (come a Taranto), con sofferenza però in altri settori della giurisdizione.

La tipologia della materia del contendere nel circondario di Brin-disi è rappresentata soprattutto dalle cause di lavoro e di previden-za e di assistenza obbligatorie posto che nel periodo considerato si sono avute una pendenza iniziale di 8.307 cause (di cui 2.149 cause di lavoro, ivi comprese 283 cause concernenti il pubblico impiego) ed una sopravvenienza di 3.625 cause (di cui 1.150 cause di lavoro, ivi comprese 253 cause concernenti il pubblico impiego), alle quali fanno seguito le cause di separazione personale dei coniugi e di di-

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vorzio, di anno in anno, purtroppo, sempre più numerose (nel perio-do considerato si sono avute una pendenza iniziale di 1796 cause, di cui 405 di separazione consensuale, 1080 di separazione giudiziale, 87 di divorzi consensuali e 224 di divorzi giudiziali, ed una soprav-venienza di 634 cause, di cui 199 di separazione consensuale 222 di separazione giudiziale, 166 di divorzio consensuale e 128 di divor-zio giudiziale).

Per quanto attiene al c.d. contenzioso ordinario (nel periodo con-siderato si sono avute una pendenza iniziale di 3126 cause ed una pendenza finale di 3464 cause), va rilevato che una parte cospicua ha avuto per oggetto il risarcimento del danno da responsabilità extra-contrattuale ed il mancato adempimento di obbligazioni pecuniarie. Molto contenuto, invece, continua ad essere il numero delle cause in materia di diritto commerciale in senso stretto, ivi compreso quello societario, di contrattualistica e di diritto fallimentare, mentre poco più che marginale è diventato il contenzioso in materia di diritti reali e di diritto ereditario.

Le cause agrarie, che in passato erano di numero cospicuo e di notevole rilevanza economico-sociale per la forte vocazione agrico-la del territorio del circondario, sono ormai ridotte a ben poca cosa, posto che all’inizio del periodo considerato la pendenza iniziale era di sole 51 cause, v’è stata una sopravvenienza di sole 13 cause e ne sono state definite 12 con una pendenza finale di n. 52 cause.

Nel periodo considerato sono state pronunciate e pubblicate nella sede principale 3.923 sentenze: 351 del Tribunale in composizione collegiale e 3.572 del Tribunale in composizione monocratica.

Per quanto riguarda le quattro sezioni distaccate sono state com-plessivamente pronunciate e pubblicate 614 sentenze.

A Taranto la litigiosità resta elevata, considerando che nella Sede centrale sono state iscritte a ruolo nel periodo in considerazione n. 4.217 cause civili, cui devono aggiungersi n. 1.291 domande di in-giunzione, n. 141 procedimenti cautelari e possessori e n. 78 reclami, oltre a n. 869 procedimenti per convalida di licenza o di sfratto per finita locazione o per morosità.

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Notevole è la produttività atteso che sono stati definiti dalle sezio-ni civili nel periodo considerato, n. 2.500 processi ordinari, di cui n. 1.420 con sentenza.

Nonostante l’aumento delle sopravvenienze in quasi tutti i settori, in particolare nelle materie lavoro, famiglia e commerciale, i tempi di definizione dei procedimenti non hanno subito apprezzabili modi-fiche presso il Tribunale di Lecce.

Può considerarsi soddisfacente lo stato dell’amministrazione del-la giustizia minorile nella provincia di Taranto giacché la tipologia ed il numero dei reati non ha subito aggravamenti sensibili rispetto agli anni precedenti. È preoccupante però il coinvolgimento di un numero sempre ragguardevole di minori nello spaccio di sostanze stupefacenti, sebbene ancora riferito prevalentemente alle droghe leggere; ed è parimenti allarmante la constatazione del loro inseri-mento in azioni delittuose contro persone e patrimoni, come tentate rapine all’interno di esercizi commerciali. A monte il disagio delle famiglie bisognose, all’interno delle quali crisi economica ed occu-pazionale, per effetto anche del circostante degrado ambientale, si realizza facilmente “un habitat favorevole alla disgregazione fami-liare ed alla violazione dei doveri genitoriali di assistenza e di edu-cazione verso i figli minori”.

Così il Presidente del Tribunale, che col Procuratore della Re-pubblica evidenzia l’urgenza di un potenziamento dei servizi sociali territoriali e dei consultori familiari con l’assegnazione di adeguate risorse ed incremento degli organici di assistenti sociali, psicologi ed educatori.

Tuttavia, segnala il Procuratore della Repubblica di quella città, la devianza minorile nel territorio si è dimezzata rispetto a dieci anni fa, quando Taranto era indicata come la città italiana con il maggior tasso percentuale di reati minorili ogni centomila abitanti.

Di particolare interesse ed attualità le riflessioni dei Capi degli Uffici giudiziari minorili di Lecce che evidenziano “L’esigenza prin-cipale della giustizia minorile è oggi quella di mantenere il minore al centro dei procedimenti civili e penali che lo riguardano. Recenti ri-

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forme legislative, ed in particolare quella degli artt. 155 e segg. C.C., rischiano infatti di far prevalere l’interesse dei genitori a conservare un ruolo proprio nell’affidamento rispetto al benessere dei minori, nonostante la previsione dell’ascolto di questi ultimi, e la certamente diversa intenzione del legislatore.

Così come la non ben definita ripartizione di competenze tra giu-dici ordinari e giudici minorili, resa ancor più complessa dalle modi-fiche legislative prime citate, può comportare una moltiplicazione di ricorsi con motivazioni e richieste solo in parte e strumentalmente di-verse, per cercare di ottenere da parte di ciascuno dei genitori, dal Tribu-nale ordinario o da quello minorile, la decisione a sé rispettivamente più favorevole. Ne segue il sempre più diffuso coinvolgimento anche giu-diziario dei minori nei conflitti tra i genitori, con il possibile alternarsi di provvedimenti contrastanti, e conseguenti mutamenti di situazioni esistenziali sicuramente pregiudizievoli per i figli stessi.

Delitti familiari particolarmente gravi commessi da minori, epi-sodi sconcertanti di bullismo, danneggiamenti, aggressioni sessuali, rapine e scippi, posti in essere da bande formate da ragazzi, talvolta infraquattordicenni ed extracomunitari, divenuti fonte di allarme so-ciale e talvolta oggetto di una quasi ossessiva attenzione da parte dei mezzi di informazione, hanno portato poi a proporre l’abbassamento dell’età non imputabile e l’inasprimento delle misure cautelari, per vero più negli anni passati, inducendo a sottovalutare la peculiare funzione di recupero e reinserimento sociale del processo penale mi-norile.

Si ritorna ora opportunamente a discutere della istituzione del Tribunale per la famiglia, da cui potrebbe derivare il superamento di tanti problemi in materia di competenza civile, ed insieme una maggiore speditezza ed efficacia degli interventi penali nei confronti dei minori autori di reati, ma anche in favore di quelli che ne sono vittime. L’auspicio è ovviamente quello che il nuovo organo nasca da una fusione delle esperienze dei Tribunali per i minorenni e delle sezioni famiglia dei Tribunali ordinari, non diminuendo, ma aumen-tando l’attenzione per i minori e per i loro problemi”.

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I Tribunali di Sorveglianza di Lecce e Taranto operano in condi-zioni di particolare disagio per le scoperture e comunque l’insuffi-cienza degli organici di personale amministrativo ed ausiliario.

Come si legge nelle puntuali relazioni dei presidenti di tali uffici, la carenza segnalata non ha ritardato l’espletamento delle cariche urgenti, ma inevitabilmente ha ritardato quelle riguardanti i condan-nati liberi.

I procedimenti definiti nei due tribunali fronteggiano adeguata-mente le sopravvenienze.

Quanto alle misure alternative alla detenzione i provvedimenti di applicazione della detenzione domiciliare superano quelli di affida-mento in prova al servizio sociale (Taranto); in costante aumento in genere le richieste di misure alternative alla detenzione (Lecce).

Dette misure hanno di solito esito positivo essendo rari i casi di revoca del beneficio concesso.

È ribadito il giudizio positivo sulle innovazioni legislative intro-dotte con legge 19.12.2002 n. 277 in quanto l’attribuzione al Magi-strato di Sorveglianza della competenza a decidere sulle richieste di liberazione anticipata, alleggerendo il carico di lavoro del Tribunale, ha consentito, anche in virtù dello snellimento della procedura, di ovviare al grave inconveniente di decisioni intervenute a pena ormai espiata.

La magistratura onoraria opera e collabora utilmente con i magi-strati togati conseguendo apprezzabili risultati quanto a produttività. È peraltro auspicabile che i capi degli uffici ne dispongano l’impiego dopo aver pienamente sperimentato la potenzialità della magistratu-ra togata.

È urgente l’unificazione delle discipline su status, valutazioni e progressione con riguardo anche all’esigenza di non disperdere le professionalità acquisite, ma previa più accurata e rigorosa selezione d’ingresso nei ruoli e costante formazione professionale.

Sui giudici di pace pesa in particolare il sostanziale blocco delle procedure concorsuali per la copertura degli organici, con inevitabili sofferenze nella definizione dei processi in vari uffici del distretto.

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È altresì opportuna una migliore distribuzione degli organici ri-spetto alle reali esigenze del territorio: è sovradimensionato l’ufficio del giudice di pace di Brindisi, rispetto ad altri dello stesso circonda-rio, come Fasano e Francavilla Fontana; gravi le inadeguatezze e le scoperture negli organici delle varie qualifiche del personale ammi-nistrativo nell’ufficio del giudice di pace di Taranto, più volte segna-late al competente Ministero senza alcuno specifico risultato.

L’edilizia giudiziaria a Lecce è migliorata, ma vanno ancora se-gnalate cadute a livello d’igiene e sicurezza nei posti di lavoro per cui si sono susseguite le richieste d’intervento agli Enti ed organi preposti alla manutenzione ed alle verifiche sugli ambienti. L’acqui-sizione del secondo immobile in via Brenta, che pare imminente, consentirà la definitiva sistemazione dell’intero settore civile e degli uffici del giudice di pace. Con l’immobile già messo a disposizione ormai da tempo, si attende l’autorizzazione ministeriale al trasferi-mento.

La realizzazione dei due poli, civile e penale, rispettivamente in Via Brenta ed in via Michele De Pietro, forse non soddisfa a pieno, ma non può disconoscere il salto di qualità rispetto alle precarie con-dizioni dell’unica sede prima a disposizione.

Si attende anche la sistemazione degli uffici minorili in struttura adeguata e prestigiosa.

È in fase di concreta attuazione il programma di recupero dell’ex Caserma Vicinanza, già Convento degli Agostiniani, con l’annessa Chiesa di Santa Maria di Ogni Bene e la sua destinazione a Centro di studi giuridici.

Un evento di grande rilievo per la Città di Lecce, che ne ha forte-mente voluto la realizzazione.

Per Taranto il grido d’allarme dell’Avvocato Generale presso quella Sezione Distaccata della Corte, il quale arriva a paventare il blocco totale dell’attività giudiziaria. Ed invero, per la nota situa-zione di dissesto economico-finanziario, il Comune non ha ancora inteso acquisire al suo patrimonio il complesso edilizio, realizzato dalla Provincia e collaudato, destinato ad ospitare la Corte, la Procu-

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ra Generale e il Tribunale di Sorveglianza; l’incredibile situazione di mancanza di liquidità non consentirebbe il trasferimento e la manu-tenzione ordinaria dello stabile.

La doglianza trova puntuale riscontro nella nota dell’11.10.2006 del Presidente Preposto alla Sezione Distaccata al Ministro della Giustizia sulla drastica riduzione dei servizi di vigilanza e pulizia che l’ente comunale deve per legge assicurare, con le immaginabili conseguenze di ordine igienico-sanitario, nella precedente delibera della Commissione di manutenzione nonché nell’intervento dello stesso Prefetto di Taranto che con nota del 2.11.2006 e con forza argomentativa ha sollecitato il Ministro a provvedere alla correspon-sione dei contributi spettanti al Comune ai sensi della Legge n. 392 del 1941, in arretrato sin dal 2001.

Situazioni di questo tipo sono destinate a ripetersi se non si ap-presta un adeguato programma di puntuale e congrua erogazione dei fondi ministeriali che consentano di prevenire l’interruzione di ser-vizi e forniture di quanto ci è indispensabile per il quotidiano eserci-zio della giurisdizione.

La quasi totalità degli uffici giudiziari del distretto è dotata d’in-frastrutture di rete collegate alla rete unitaria della giustizia (R.U.G.) inserita in quella della Pubblica Amministrazione (R.U.P.A.); v’è inoltre fondata previsione di una rapida estensione della rete ai re-stanti uffici che attualmente ne sono privi.

È assicurato in tal modo l’accesso ai servizi informatizzati, siti e banche dati con la possibilità di acquisizione di informazioni utili per il lavoro quotidiano.

È in corso di attuazione un progetto pilota per il rinnovo delle strutture informatiche in uso alla procura della Repubblica presso il tribunale di Lecce, approvato con delibera 25.5.2004 della Regione Puglia e finanziato nell’ambito dei P.O.R., ed è allo studio l’avvio di nuovi programmi.

Va tuttavia segnalata la preoccupata valutazione dei referenti per l’informatica: “I tagli indiscriminati alla spesa per l’informatica giu-diziaria degli ultimi anni hanno posto in ginocchio il settore in un

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

momento in cui la Pubblica Amministrazione ed i privati sono chia-mati all’uso delle tecnologie per produrre meglio e a minor costo; nel settore della Giustizia si assiste impotenti ad un vero regresso informatico rispetto al quel poco che si era cominciato a fare sino a cinque anni fa circa. La eliminazione delle caselle di posta elettroni-ca, la soppressione dei collegamenti esterni alla R.U.G., l’assenza di manutenzione delle macchine esistenti e l’assenza di forniture nuo-ve, la presenza di reti obsolescenti, l’assenza di personale tecnico di supporto, la mancanza di forniture software efficienti stanno produ-cendo conseguenze disastrose. La Giustizia si estranea sempre più dal resto delle attività della Pubblica Amministrazione: non si riesce a trasferire digitalmente documenti da e verso gli uffici giudiziari da parte di altre Pubbliche Amministrazioni nonostante le leggi vigenti ciò consentano (e in certi casi obblighino) purché dotati degli stru-menti necessari.

Classe forense e magistratura tengono alto il prestigio di una sede giudiziaria tradizionalmente legate ad esempi di alta professionalità, cultura e rispetto dei ruoli. Non mancano occasioni di conflittuali-tà, ma ben vengano se, come è sempre accaduto portate avanti con correttezza e lealtà: una spinta ad operare per tradurle in concreti miglioramenti del servizio.

Un particolare riconoscimento al personale amministrativo ed ausiliario che forse più degli addetti ai lavori soffre la situazione di disagio che l’insufficienza dei mezzi a disposizione attualmente incrementa. A completamento della parte generale di questo lavoro le ulteriori indicazioni dalle puntuali relazioni dei capi degli uffici giudiziari del distretto riguardano:

a) La durata dei processi civili e penali in ciascuno dei due gradi del giudizio non ha subito apprezzabili modificazioni, come da pro-spetti in calce alla presente relazione.

b) La maggior parte degli uffici giudiziari del distretto, come già si è accennato, è dotata di organici insufficienti; oltre alla procura generale presso la sezione distaccata di Taranto risultano adeguati alle attuali esigenze gli organici degli uffici giudiziari minorili e del

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

tribunale di sorveglianza di Lecce nonché della procura della Repub-blica presso il tribunale per i minorenni di Taranto.

c) La situazione degli uffici del giudice di pace è quasi ovunque buona anche se con le segnalate carenze di personale amministrati-vo. La sorveglianza esercitata dai presidenti di tribunale è adeguata, l’attività lavorativa dà buoni risultati, il comportamento dei giudici in ufficio e verso l’utenza ha fatto registrare una positiva impressio-ne nell’ambiente con scarse eccezioni.

d) Frequente il ricorso al patrocinio a spese dello stato ed alla difesa d’ufficio nei tribunali del distretto con conseguente elevato costo per l’Erario (511 le ammissioni avanti al solo ufficio GIP-GUP di Lecce). È doveroso sottolineare che l’attuale sistema si presta ad essere facile e non lodevole incentivo alle impugnazioni con sod-disfazione dell’utente litigioso e del difensore non rispettoso del codice deontologico, ma con conseguenze negative a carico della collettività, posto che non sempre è agevole per l’autorità giudiziaria contrastarne l’abuso.

Presso il solo tribunale di Brindisi la spesa complessiva per ono-rari liquidati ha superato l’ammontare di ben 2.500.000.

e) – f) Non sono segnalate decisioni di particolare importanza con riferimento alla convenzione europea dei diritti dell’uomo né controversie con riferimento alle questioni pregiudiziali di cui al-l’art. 24 Trattato C.E.E. ed alla diretta applicazione della disciplina comunitaria.

Circa la legge Pinto da segnalare le sopravvenienze nel numero rilevante di 139. Questi i dati: pendenti al 30.6.2005 n. 30, sopravve-nuti n. 139, definiti n. 65, pendenti al 30.6.2006 n. 104.

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Unione degli Ordini degli Avvocati di PugliaComunicato

in occasione della inaugurazione dell’Anno Giudiziario

Signor Presidente, Signore e Signori,Con preoccupata inquietudine l’Avvocatura dell’intera Puglia ri-

nuncia a partecipare alla celebrazione odierna. Essa intende espri-mere in tal modo il proprio sconcerto conseguente alla recente at-tivazione di misure legislative che minacciano di far degenerare la funzione difensiva, intaccano i fondamenti della sua indipendenza e sviliscono il significato del suo riconoscimento costituzionale.

Avremmo voluto portare il nostro contributo di esperienza alla riflessione sui problemi più gravi che sono emersi nell’anno giudi-ziario appena concluso. Riteniamo di doverci sottrarre a questo com-pito, perché siamo investiti da una minaccia ancora più pervasiva che incombe per deliberata decisione legislativa.

Si tratta della deformazione della funzione dell’Avvocatura che sca-turisce dalle Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali. Con tali “Disposizioni” governo e Par-lamento italiani vorrebbero adeguarsi ad un orientamento comunitario.

Noi, in linea di principio, non contestiamo la opportunità del-l’adeguamento.

- Contestiamo l’omologazione della funzione dell’Avvocatura, della natura delle sue prestazioni, del suo servizio, delle sue forme di esercizio a quelle di altre, pur nobili, ma assai diverse professioni.

- Contestiamo l’omologazione degli obiettivi perseguiti attraver-so l’attivazione della funzione dell’Avvocatura, agli obiettivi perse-guiti attraverso l’esercizio di altre professioni.

- Contestiamo il fatto che misure destinate allo sviluppo, alla

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

crescita e alla promozione della concorrenza e della competitività possano snaturare il bene giuridico della certezza del diritto, alla cui tutela l’Avvocatura concorre in modo decisivo, trasformandolo in un bene commercializzabile.

- Contestiamo il fatto che autonomia, indipendenza e libertà del-l’Avvocatura, caratteri esclusivi della funzione giudiziaria, possano essere intaccati da comportamenti resi leciti, nonostante le loro per-verse modalità d’esercizio, in virtù della pretestuosa copertura che da essi viene concessa da una insensata rappresentazione della con-correnza e della competizione.

- Contestiamo il fatto che l’applicazione delle regole comunitarie sulla concorrenza alle professioni liberali abbia potuto essere realiz-zata dal legislatore estendendo all’Avvocatura presupposti d’eserci-zio della sua attività che minano la uguale protezione e le condizioni di parità acquisite alla funzione giudiziaria nelle sue espressioni: di-fensiva, accusatoria e giurisdizionale.

- Contestiamo il fatto che la tutela della salvaguardia dei diritti sia equiparata, nei suoi requisiti, alla tutela dei beni di consumo e riteniamo assolutamente fallace l’idea che il cittadino, anche come consumatore, sia tutelato da disposizioni urgenti, che rendono anco-ra più debole la sua posizione di fronte a cartelli di prestazioni.

L’Avvocatura, senza sottrarsi ad un attento e penetrante esame critico al suo interno, chiedeva una riforma del proprio ordinamento; chiedeva una riflessione profonda sui percorsi formativi e selettivi che regolano l’accesso alla professione; chiedeva percorsi che garan-tissero la specializzazione e l’acquisizione reale di competenze ade-guate alla complessità raggiunta dalle questioni giuridiche; chiedeva interventi che rinnovassero e adeguassero le garanzie dell’esercizio della professione alle aperture degli spazi comunitari e alla esten-sione degli spazi del diritto, sempre più privi di barriere territoriali. Essa chiedeva il riconoscimento del risultato dell’attività giudiziaria come un bene che non può essere esposto alle aggressioni del mer-cato, ai rischi del commercio, alla contaminazione pubblicitaria o al monopolio di cartelli professionali.

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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Quel risultato, invece, ci viene imposto come un bene economi-co; dobbiamo riuscire a commercializzarlo: gonfiando le aspettative del destinatario; trasmettendo illusioni lecite, coperte da specializ-zazioni che nessuno può certificare perché non esistono; entrando attivamente nella litigiosità come parte economicamente interessa-ta, ristabilendo così una reale, disdicevole disparità all’interno della funzione giudiziaria.

Alle richieste dell’Avvocatura si è risposto frantumando i fragili requisiti di decoro e dignità professionale che ci avevano permesso di continuare ad operare nelle condizioni terribili nelle quali versa l’amministrazione della giustizia in Italia.

Un legislatore affrettato, affannoso di illudere l’opinione pubbli-ca ha offerto i presupposti della pirateria avvocatesca e li chiama concorrenza; ha aperto le porte al rischio di un cannibalismo profes-sionale e lo chiama competitività; ha snaturato l’aspettativa di diritto e lo chiama raggiungimento degli obiettivi perseguiti.

L’avvocatura non può accettare questa deformazione, che è un attentato alla sua libertà ed indipendenza; non può accettare questa minaccia di imbarbarimento della natura della fiducia che ad essa viene attribuita dai cittadini; così come non può accettare l’idea che l’insensibilità politica verso le condizioni della giustizia in Italia possa essere sublimata degradando i requisiti dell’esercizio di una professione che è essa stessa requisito fondamentale di uno stato di diritto.

Il nostro silenzio e la nostra assenza oggi esprimono la nostra decisa indisponibilità ad accettare le irragionevoli conseguenze di decisioni legislative che, con arroganza, sono state prese imponendo il silenzio ad una intera categoria professionale.

Vi ringraziamo per l’attenzione.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale Forense

svolta nell’anno 2006di GUIDO ALPA*

Roma, 14 marzo 2007

Autorità, care Colleghe e cari Colleghi,questa relazione è particolarmente densa di dati e notizie, sia perché

l’anno appena trascorso è stato un annus horribilis, se si deve tener con-to delle iniziative del Governo, del Parlamento e delle altre Istituzioni che si sono abbattute sulla professione forense senza peraltro portare alcun apparente beneficio agli interessi che si intendevano tutelare, sia perché è stato un anno affollato di avvenimenti, anche internazionali, in cui è stata coinvolta l’Avvocatura, sia perché, approssimandosi la scadenza della nostra Consiliatura, vien quasi naturale fare un sinte-tico bilancio dell’attività svolta nel triennio e tracciare le prospettive che attendono l’Avvocatura nell’immediato futuro.

Tuttavia, prima di procedere a questo esame, desidero comuni-care che nel corso del 2006 l’attività giurisdizionale del CNF si è svolta regolarmente, tenendo 23 udienze, esaminando 213 ricorsi, rinviandone 56, decidendone 157; a fine anno erano pendenti 210 ricorsi. Quanto alle sanzioni, sono state comminate 8 radiazioni, 10 cancellazioni dagli albi, 59 sospensioni, 32 censure e 26 avvertimen-ti. Le tavole accluse alla relazione indicano le materie di volta in volta coinvolte e il prospetto dei procedimenti trasmessi dagli Ordini

*Presidente del Consiglio Nazionale Forense.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

territoriali. Si sono tenute regolarmente le sedute amministrative, e si sono visitati ogni settimana uno o più Ordini, mantenendo uno stret-to contatto con la “base”. In più, secondo l’indirizzo inaugurato da questa Consiliatura, si sono tenuti numerosi incontri con i Presidenti degli Ordini territoriali, con le Associazioni forensi, con i Consigli nazionali di diversi Paesi d’Europa. Segnalo in particolare il Conve-gno organizzato con il CCBE sul diritto contrattuale europeo che si inserisce nel progetto comunitario di realizzare un common frame of reference in materia di obbligazioni e contratti, gli incontri per la definizione di programmi comuni concernenti l’Avvocatura nei Paesi del Mediterraneo, nonché i seminari tenuti con le Associazioni dei Magistrati per discutere le riforme dell’ordinamento giudiziario, ma in particolare le modalità di soluzione della crisi della giustizia, civile, penale, amministrativa e tributaria.

L’incontro più commovente è avvenuto qualche giorno fa con gli esponenti della Comunità israelitica di Roma, nel corso della pre-sentazione di uno dei volumi della collana di Storia dell’Avvocatura in Italia, nel quale è stato ricostruito il ruolo dell’Avvocatura e della Magistratura a seguito della applicazione delle leggi razziali perse-cutorie degli Avvocati Ebrei1.

La realizzazione del programma

In verità, se si dovesse confrontare il programma che questa Con-siliatura si è data nel maggio del 2004 e i risultati ottenuti fino ad oggi, credo che sia possibile documentare come, mediante il lungo, delicato e paziente lavoro svolto all’unisono dai Consiglieri e con l’ausilio degli Uffici, tutti gli obiettivi che ci eravamo originariamen-te prefissati sono stati raggiunti, anzi, in alcuni settori, siamo riusciti ad andare al di là di essi, e tutt’oggi stiamo definendo programmi e iniziative che potranno essere sviluppate nel prossimo triennio.

1 MENICONI, La “maschia avvocatura”. Istituzioni e professione forense in epoca fasci-sta (1922-1943), Bologna, 2006.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

A tutti i Consiglieri, agli Avvocati che hanno collaborato con noi nei lavori delle commissioni, agli Avvocati che hanno partecipato come relatori ai congressi e ai seminari, ai Collaboratori e al perso-nale vanno i sensi della mia più profonda gratitudine.

Per menzionare solo alcuni dei risultati raggiunti:(i) quanto alla funzione disciplinare, si sono migliorate la pro-

cedura di confezione e preparazione dei fascicoli, la composizione della banca dati della deontologia, lo smaltimento dell’arretrato;

(ii) si è raggiunta una maggiore coerenza nomofilattica nelle de-cisioni assunte;

(iii) si è proceduto alla revisione del codice deontologico e all’ap-provazione del regolamento per l’aggiornamento professionale;

(iv) quanto all’attività amministrativa, si sono seguite con partico-lare attenzione le modalità di iscrizione all’Albo dei Cassazionisti, la composizione della Commissione per l’esame degli Avvocati che in-tendevano acquisire il titolo di Cassazionista; la composizione delle Commissioni per gli esami di ammissione alla professione forense; la composizione della Commissione per l’esercizio della professione in Italia da parte degli avvocati stranieri;

(v) quanto all’attività di promozione della qualità della profes-sione forense il Consiglio ha svolto direttamente o in collaborazione con i numerosi centri di studio, con le Università e gli Istituti italiani, stranieri e internazionali, corsi, incontri, seminari volti all’approfon-dimento delle tematiche concernenti il diritto civile e penale sostan-ziale, il diritto processuale civile e penale, il diritto comunitario, il diritto privato europeo, il diritto vivente, le tecniche di esercizio del-la professione forense, la deontologia interna e internazionale;

(vi) il Consiglio ha altresì tenuto uno stretto collegamento con le Scuole forensi per migliorare la preparazione dell’aspirante avvocato non solo nelle materie di esame ma soprattutto per la formazione profes-sionale, per la formazione culturale, per la formazione deontologica, che sono poi le tre componenti essenziali di ogni professione intellettuale, come accennerà tra poco, connotati essenzialmente distintivi da ogni altra attività economica, e, in particolare, dall’attività d’impresa;

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

(vii) in questa Consiliatura si è promossa ulteriormente l’attività della Fondazione dell’Avvocatura, e si sono costituite la Fondazio-ne per la Comunicazione forense, che consente di attivare proces-si telematici, contatti e iniziative con tutti gli Avvocati iscritti, e la Fondazione per la Scuola superiore dell’Avvocatura, che consentirà di organizzare master e corsi di specializzazione per gli Avvocati italiani e pure per gli Avvocati stranieri che vorranno qualificarsi nel nostro Paese; la Scuola superiore dell’Avvocatura è stata inaugurata proprio questa mattina, con un seminario dedicato alla educazione del giurista e alla formazione dell’Avvocato: la Scuola, in collabora-zione con le altre Scuole forensi e con le Scuole di specializzazione, con le Associazioni forensi, con le Università italiane e straniere, offrirà la possibilità a tutti gli Avvocati che volessero approfondire tematiche di diritto sostanziale e processuale , tematiche concernenti la consulenza stragiudiziale, il confronto tra ordinamenti giuridici, le prospettive del diritto comunitario di avvalersi di tutti gli strumenti utili per far sì che la preparazione universitaria, il tirocinio, le prime attività professionali, 1’obbligo di aggiornamento permanente siano messi a frutto per la migliore tutela degli interessi del cliente e per la promozione degli interessi morali ed economici del Paese;

(viii) si sono poi pubblicati i risultati degli incontri in libri, CD, costituendo una vera e propria biblioteca del professionista alla qua-le possono attingere gli Ordini e le Associazioni per effettuare a loro volta le loro iniziative in questo settore; e si sono migliorate le riviste del Consiglio;

(ix) il Consiglio ha poi rafforzato il suo ruolo all’interno del CCBE e delle altre organizzazioni europee e internazionali, seguen-do con i propri componenti e con gli avvocati che dall’esterno hanno prestato la loro opera, le numerose iniziative, le ricerche e le riunioni – con un lavoro assai impegnativo – che ormai si rendono necessari per poter mantenere una posizione di prestigio dell’Avvocatura ita-liana nell’ambito dell’Avvocatura europea e nel contempo adeguare i principi comportamentali e la pratica professionale alle esigenze di un mercato sempre più competitivo e aggressivo;

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

(x) quanto alla cooperazione alla amministrazione della giustizia – tema sul quale il Consiglio ha operato anche concretamente con la promozione delle ADR, del processo telematico, dell’accesso alla Banca dati della Corte di Cassazione, nonché con le valutazioni e i contributi critici espressi in tante occasioni, istituzionali e congres-suali – rinvio agli Atti del XXVIII Congresso nazionale forense, di cui ho già accennato nella Relazione per il 2006 del 16 marzo scorso, e poi alla relazione di apertura della sessione romana del medesimo Congresso, del settembre scorso, e alla relazione per l’inaugurazio-ne dell’anno giudiziario tenutasi presso la Corte di Cassazione il 27 gennaio scorso.

Il lavoro è stato effettuato nonostante i tempi procellosi che stia-mo attraversando, che ci hanno comunque sottratto tempo prezioso, energie ed attenzione, ma ci hanno spronato oltremodo a mantenere saldi i principi della nostra tradizione, per conseguire gli obiettivi prefissati, per contenere gli effetti negativi delle spinte disgregatrici che ci hanno circondato, per conservare anche nel nostro Paese il modello di professione forense – integrato a quello della professione intellettuale – che, a causa di malintese normative e per effetto di spinte eversive, sta subendo non una graduale trasformazione ma un’autentica azione disgregatrice.

La seconda fase del XXVIII Congresso forense

Unicum nella storia dell’Avvocatura italiana, il XXVIII Congres-so nazionale forense si è svolto in due sessioni e in due sedi diverse: la prima a Milano (dal 10 al 13 novembre 2005) e la seconda a Roma (dal 21 al 24 settembre 2006). I tempi difficili che avevano trava-gliato in quei mesi e scosso nei mesi successivi la nostra professione si erano annunciati già alla fine del 2004: le forze politiche, i centri economici forti, i mezzi di comunicazione avevano non solo aperto il dibattito sulla riforma delle professioni e sulla loro “liberalizza-

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

zione”, ma avevano precostituito le presse ideologiche e pratiche per promuovere una radicale riforma dell’organizzazione delle profes-sioni e dei rapporti con i consumatori, con le Amministrazioni, con le Istituzioni, in definitiva con lo Stato, che avrebbe preso corpo di lì a poco.

Nel 2005 e fini ai primi mesi del 2006 1’Avvocatura aveva segui-to e discusso questi problemi, e anche contribuito al dialogo con il Governo e con il Parlamento che avevano precostituito le basi per la riforma della disciplina delle professioni: in particolare aveva ap-prezzato i progetti predisposti dal sottosegretario alla Giustizia on. avv. Michele Vietti (c.d. Vietti uno, Vietti bis); di poi aveva proposto modifiche al maxi-emendamento redatto dal Ministro Guardasigilli allora in carica, il sen. ing. Roberto Castelli. Nei mesi che hanno preceduto l’indizione del Congresso le diverse componenti dell’Av-vocatura erano in fermento: sembrava avvicinarsi il momento fatidi-co di una radicale riforma, e quindi occorreva pensare, da un lato, a come profittare dell’occasione per rendere più moderna la disciplina della professione forense, dall’altro lato a come conservare – dinanzi a qualsiasi spinta iconoclasta – i principi fondamentali sui quali essa si fonda. Di qui, rispetto alle due richieste di ospitare il Congresso, pervenute da Milano e da Roma, la decisione del comitato organiz-zatore di seguire l’evoluzione della situazione in due fasi, in modo da poter esprimere la voce dell’Avvocatura nei momenti salienti del processo di transizione e di revisione della disciplina.

Alla sessione di Milano l’idea portante era quindi quella di “go-vernare il cambiamento” dell’ Avvocatura nell’epoca della globaliz-zazione dei mercati e dei rapporti, mantenendo salda la tradizione ormai consolidata, vessillo dei valori dell’ Avvocato italiano. Il di-battito si è soprattutto svolto intorno ai profili politici, per cercare di capire come raggiungere il risultato di ridurre l’enorme schiera di avvocati iscritti agli albi e di aspiranti, per far sì che la “legione” non divenisse un ostacolo al suo stesso sviluppo e al suo stesso benes-sere. Si è dunque parlato dei filtri all’ingresso, dell’aggiornamento professionale, della qualificazione professionale. E pure – essendo

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quello uno dei temi fondamentali del Congresso – del contributo del-l’Avvocatura alla soluzione della crisi della giustizia.

Nel marzo 2006 si è celebrato il I Congresso nazionale di aggior-namento forense: il CNF ha voluto dare un segnale alle Istituzioni, sottolineando come gli Avvocati non intendevano solo partecipare alla vita politica, ma si preoccupavano, come era loro tradizione – lo testimoniano gli Atti del I Congresso giuridico italiano (25 novem-bre-8 dicembre 1872) pubblicati per i tipi de Il Mulino – della loro vita professionale, della disciplina dei processi e delle riforme del diritto sostanziale.

Con la nuova legislatura (la XVI) e l’avvio della attività del nuo-vo Governo si è registrata una cesura nel processo di riforma delle professioni che ormai si trascinava da anni. Una cesura traumatica: intanto perché nel programma politico dell’Ulivo all’Avvocatura si riservava un ruolo trainante nell’amministrazione della giustizia, e si intitolava uno dei capitoli proprio con le parole “Dare dignità all’Av-vocatura” e si erano accese speranze di un rinnovamento accettabile; poi, perché nei seminari di studio e di dibattito sul miglioramento delle forme di amministrazione della giustizia, si riservava all’Avvo-catura uno spazio di rilievo; al contrario, senza alcuna consultazione, con il c.d. decreto-legge proposto dal Ministro dello Sviluppo eco-nomico (del 4.7.2006 n. 223) si sono anticipate le riforme in modo del tutto inconsulto, senza preoccuparsi dei temi centrali e invece (con il pretesto di uniformare la disciplina interna a quella comuni-taria e di introdurre misure di tutela degli interessi dei consumatori) si sono soppressi le tariffe minime, il divieto di pubblicità, il divieto del patto di quota lite. Anziché procedere con un progetto di riforma articolato, sistematico, graduale, e con l’apporto di tutte le categorie interessate, il nuovo Governo assumeva una iniziativa autoritaria al fine di “scrostare” i “privilegi delle professioni”2.

L’Avvocatura ha subito reagito manifestando il suo sconcerto, il suo disappunto e la sua delusione. Non solo il programma dell’Uli-

2 Per un commento critico v. SCHLESINGER, Liberalizzazione e avvocati, in Corr. Giur., 2006, 1337.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

vo era stato ribaltato integralmente, ma non era mai accaduto – in un Paese che si riteneva democratico – di introdurre con decreto-legge, cioè in via d’urgenza, una riforma così radicale, senza tener conto dell’opinione degli destinatari delle norme e degli effetti che le nuove regole avrebbero provocato. Il CNF ha dovuto elaborare una circolare interpretativa – attesa l’oscurità del dettato normati-vo – per consentire agli Ordini di orientarsi nella fase interinale tra l’entrata in vigore della legge di conversione (del 4.8.2006, n. 248) e la data del 1 gennaio 2007, entro la quale i codici deontologici delle professioni ordinistiche avrebbero dovuto essere adeguati alla nuova disciplina, pena la loro sostituzione d’autorità ad opera del Governo e le sanzioni comminate dall’Autorità di Garanzia della concorrenza e del mercato.

La sessione congressuale di Roma registra questo momento di sconcerto e di protesta.

I principi fondanti della professione forense

Al Congresso di Roma il CNF ha proposto l’approvazione di una serie di principi, la cui approvazione è stata unanime:1. riaffermazione della libertà e dell’autonomia dell’avvocato, pro-

fessionista essenziale all’esercizio della giurisdizione, per la co-noscenza e l’attuazione della legge, e per la tutela dei diritti e degli interessi individuali e collettivi;

2. affermazione della centralità del sistema ordinistico e della sua natura pubblicistica, a garanzia dell’autonomia regolamentare in campo deontologico e della conseguente autonomia disciplinare, a tutela esclusiva dell’interesse dei cittadini e della collettività, nel contesto di una riforma della funzione disciplinare che garan-tisca la piena tutela del cittadino utente;

3. adozione di una nuova disciplina che assicuri, insieme alla libertà di accesso, la imprescindibile verifica della qualità della forma-zione dell’avvocato, con criteri di selezione rigorosi, efficaci e obiettivi;

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

4. introduzione di meccanismi idonei ad assicurare una costante ed elevata qualità professionale, anche mediante un sistema di for-mazione permanente obbligatoria, sotto il controllo degli organi istituzionali dell’avvocatura;

5. armonizzazione dei criteri per il mantenimento dell’iscrizione agli albi professionali con quelli dettati per l’iscrizione alla Cassa di previdenza, secondo i principi di effettività, continuità e preva-lenza dell’esercizio dell’attività professionale, ribadendo la radi-cale incompatibilità con altre attività lavorative, ed in particolare con l’impiego pubblico anche a tempo parziale;

6. affermazione dell’esigenza di un sistema tariffario che, salvaguar-dando la dignità del lavoro e la qualità della prestazione, escluda radicalmente ogni ipotesi di commistione tra gli interessi dell’as-sistito e quelli dell’avvocato, a garanzia dell’integrità dei diritti dei cittadini nonché della libertà e dell’indipendenza dell’avvoca-to;

7. riaffermazione dell’assoluta necessità che l’eventuale riconosci-mento delle associazioni delle “nuove professioni” riguardi atti-vità nuove, e non spezzoni di attività già proprie di professionisti iscritti in albi, senza sovrapposizioni che non potrebbero che dan-neggiare la trasparenza del mercato.

Proprio perché vogliamo, anzi dobbiamo guardare al futuro, non mi intratterrò sulle vicende che hanno contrassegnato l’ingresso della nuova disciplina della pubblicità, la soppressione delle tariffe minime, la parziale legittimazione dei patti di quota lite, temi sui quali il CNF si è speso oltremodo, ricorrendo anche all’attenzione del Presidente della Repubblica, e poi, nel mese di agosto, costretto a colmare le lacune di una disciplina frettolosa e disagevole nell’in-terpretazione, a predisporre una lettura della nuova normativa tale da consentirne l’applicazione senza che venissero meno i valori fon-danti e costituzionalmente garantiti della professione forense.

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La specificità della professione forense e il suo riconoscimento da parte del Parlamento europeo e della Corte di Giustizia

Dagli organi della Unione europea ci proviene quel riconoscimen-to che una malintesa concezione delle “liberalizzazioni del mercato” e della concorrenza ci vorrebbero sottrarre. È il riconoscimento – alle professioni legali, ma in particolare all’Avvocatura – di un connota-to specifico, di una competenza irrinunciabile e non fungibile con quella di altre attività professionali, organizzate in ordini o meno, rivolta alla difesa dei diritti, e quindi ai valori sui quali si incardina la società odierna. Dico odierna per comodità, ma la storia millena-ria del ruolo del giurista nelle società occidentali sta a significare come questa professione costituisca una vera e propria dimensione culturale che è strutturale al pensiero occidentale e quindi non solo insopprimibile ma neppure dissolubile in una gelatinosa e indistinta acculturazione tecnica di supporto al mercato.

La Risoluzione del 23 marzo 2006 assunta dal Parlamento eu-ropeo riconosce “l’indipendenza, l’assenza di conflitti di interesse e il segreto/confidenzialità professionale quali valori fondamentali della professione legale che rappresentano considerazioni di pubbli-co interesse”; ed ancora “la necessità di regolamenti a protezione di questi valori fondamentali per l’esercizio corretto della professione legale, nonostante gli effetti restrittivi sulla concorrenza che ne po-trebbero risultare”.

Ancora il Parlamento europeo ritiene che “qualsiasi riforma delle professioni legali ha conseguenze importanti che vanno al di là delle norme della concorrenza incidendo nel campo della libertà, della si-curezza e della giustizia e in modo più ampio, sulla protezione dello stato di diritto nell’Unione europea”.

La professione legale è in questa prospettiva strettamente corre-lata con la difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali sì che solo una professione legale indipendente – prosegue il Parlamento europeo – può garantire ad ogni persona l’accesso ai servizi legali per la difesa dei diritti e delle libertà. Valori che sono posti in peri-

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colo se l’esercizio dell’attività forense fosse effettuato all’interno di organizzazioni “che consentono a persone che non sono professio-nisti legali di esercitare o condividere il controllo dell’andamento dell’organizzazione mediante investimenti di capitale o altro, oppure nel caso di partenariati multidisciplinari con professionisti che non sono vincolati da obblighi professionali equivalenti”.

Il Parlamento europeo considera che “la concorrenza dei prezzi non regolamentata tra i professionisti legali, che conduce a una ridu-zione della qualità del servizio prestato, va a detrimento dei consu-matori; (...) che l’importanza di una condotta etica, del mantenimen-to della confidenzialità con i clienti e di un alto livello di conoscenza specialistica necessita l’organizzazione di sistemi di autoregolamen-tazione, quali quelli oggi governati da organismi e ordini della pro-fessione legale”.

Tutto ciò premesso il Parlamento europeo delinea il quadro di regole entro le quali le professioni legali (e in particolare l’ Avvoca-tura) debbono essere inserite:

- riconosce pienamente la funzione cruciale esercitata dalle pro-fessioni legali in una società democratica, al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali, lo stato di diritto e la sicurezza nell’applicazione della legge, sia quando gli avvocati rappresen-tano e difendono i clienti in tribunale che quando danno parere legale ai loro clienti;

- ribadisce le dichiarazioni fatte nelle proprie risoluzioni del 18 gennaio 1994 e del 5 aprile 2001 e nella sua posizione del 16 dicembre 2003;

- evidenzia le alte qualificazioni richieste per accedere alla profes-sione legale, il bisogno di proteggere tali qualificazioni che carat-terizza le professioni legali, nell’interesse dei cittadini europei e il bisogno di creare una relazione specifica basata sulla fiducia tra i membri delle professioni legali e i loro clienti;

- ribadisce l’importanza delle norme necessarie ad assicurare l’indi-pendenza, la competenza, l’integrità e la responsabilità dei mem-

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bri delle professioni legali, con lo scopo di garantire la qualità dei loro servizi, a beneficio dei loro clienti e della società in generale, e per salvaguardare l’interesse pubblico;

- ricorda alla Commissione che le finalità della regolamentazione dei servizi legali sono la protezione dell’interesse pubblico, la ga-ranzia del diritto di difesa e l’accesso alla giustizia, e la sicurezza nell’applicazione della legge e che per queste ragioni non può essere conforme ai desideri del cliente;

- incoraggia gli organismi professionali, le organizzazioni e le as-sociazioni delle professioni legali a istituire un codice di condotta a livello europeo, con norme relative all’organizzazione, alle qua-lificazioni, alle etiche professionali, al controllo, alla trasparenza e alla comunicazione, per garantire che il consumatore finale dei servizi legali disponga delle garanzie necessarie in relazione al-l’integrità e all’esperienza e per garantire la sana amministrazione della giustizia;

- invita la Commissione a tenere conto del ruolo specifico delle professioni legali in una società governata dallo Stato di diritto e ad effettuare un’analisi esaustiva del modo in cui operano i mer-cati di servizi legali nel momento in cui la Commissione propone il principio “minore regolamentazione, regolamentazione miglio-re”;

- invita la Commissione ad applicare le norme sulla concorrenza - ove opportuno, nel rispetto della giurisprudenza della Corte di giustizia;

- invita la Commissione a non applicare le norme sulla concorren-za dell’Unione europea in materie che, nel quadro costituzionale dell’UE, sono lasciate alla competenza degli Stati membri, quali l’accesso alla giustizia, che include questioni quali le tabelle degli onorari che i tribunali applicano per pagare gli onorari agli avvo-cati;

- ritiene che le tabelle degli onorari o altre tariffe obbligatorie per avvocati e professionisti legali, anche per prestazioni stragiudi-ziali, non violino gli articoli 10 e 81 del trattato, purché la loro

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adozione sia giustificata dal perseguimento di un legittimo inte-resse pubblico e gli Stati membri controllino attivamente l’inter-vento di operatori privati nel processo decisionale”.

Non si deve confondere questa Risoluzione con quelle successive relative ai servizi, perché, come preciserò tra poco, anche se in modo sintetico, una cosa è la disciplina delle professioni legali, altra cosa la disciplina dei servizi nell’ambito dei quali possono essere ricom-prese alcune categorie di prestazioni legali.

Ed è da tenere presente che qualsiasi iniziativa che Governi e Parlamenti di tutti Paesi membri fosse in contrasto con quanto so-pra enunciato si porrebbe automaticamente in contrasto con il diritto comunitario. È errato dunque ragionare nel senso che ove Governi e Parlamenti volessero andare oltre le limitazioni stabilite dagli orga-ni comunitari, ciò sarebbe ben accetto in ambito comunitario, quasi che le limitazioni richieste dalla specificità della professione forense fossero ancora il residuo di antichi privilegi: tutt’altro, il Parlamento europeo ha voluto sottolineare la stretta connessione tra professio-ne forense e diritti e libertà fondamentali e quindi ha enunciato la priorità di questi diritti e libertà rispetto agli interessi concorrenziali di mercato. Se non si intende questo punto fondamentale del diritto comunitario si finisce non solo per stravolgere la tavola dei valori sulla quale riposa l’Unione europea, ma ci si colloca al di fuori di quella tavola di valori.

Anche la Corte di Giustizia ha riproposto il modello interpretativo imposto dal Parlamento europeo, proprio nel decidere la questione pregiudiziale riguardante la legittimità comunitaria del sistema delle tariffe forensi che erano applicate in Italia prima del d.l. n. 2223 del 2006: si badi, questo è un angolo visuale più circoscritto, rispetto al quadro complessivo tracciato dal Parlamento europeo, e tuttavia assai significativo, perché rimette in gioco il rapporto tra valori fon-damentali difesi dall’Avvocatura e disciplina della concorrenza at-traverso la fissazione del prezzo della prestazione professionale.

La sentenza resa il 5 dicembre 2006 dalla Corte di Giustizia nei

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due casi Cipolla/Portolese in Fazari (C-94-04) e Macrino, Capodarte/Meloni (C-2002/04) non accerta un illecito (prima categoria di proce-dimenti) né è diretta a controllare il rispetto del diritto comunitario da parte delle istituzioni (seconda categoria di procedimenti), ma risolve la questione sollevata nell’ambito dei giudizi da cui è stata promosso il ricorso alla Corte (terza categoria di procedimenti). “Funzione tipica di tale procedura – scriveva Francesco Capotorti qualche anno fa nel corso di una relazione presentata ad un convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza della Università di Ferrara3 – è assicu-rare un’interpretazione uniforme delle norme comunitarie o un ac-centramento centralizzato della validità degli atti delle istituzioni”. Con riguardo al caso in esame, che rientra nella terza categoria di procedimenti, la motivazione, considerata la funzione che in questo frangente la Corte è chiamata a svolgere, ha carattere particolare. Ciò perché, proseguiva Capotorti, “l’obiettivo è quello di precisare il significato di una norma o di un certo gruppo di norme comunita-rie, con riferimento ad una situazione che, pur essendosi verificata in concreto, viene presentata alla Corte in termini ipotetici: è noto infatti che spetta solo al giudice interno applicare quella norma, e che la Corte deve limitarsi a chiarirne il senso e la portata”4. A queste pregnanti considerazioni Giacinto Bosco aggiungeva che la pronun-cia della Corte, in questi casi, ha un “effetto diretto sul giudizio pen-dente dinanzi al giudice nazionale, ma ha pure un effetto importante, sebbene indiretto, sul comportamento dei governi e in genere sull’ amministrazione pubblica degli stati ai quali si riferisce la normativa in contestazione”5.

Ancora. Per comprendere esattamente il testo delle sentenze della Corte occorre confrontare il testo delle questioni sollevate, le con-clusioni dell’Avvocato Generale, la motivazione e il dispositivo.

3 Le sentenze della Corte di giustizia delle Comunità Europee, ne La sentenza in Eu-ropa. Metodo, tecnica e stile, Atti del Convegno internazionale per l’inaugurazione della nuova sede della Facoltà, 10-12 ottobre 1985, Cedam, Padova, 1988, p. 233.

4 Op. cit., p. 240.5 Intervento alla Tavola rotonda, op. cit., p. 331.

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Le questioni sollevate erano le seguenti:da parte della corte d’Ap-pello di Torino, nel caso Cipolla:«1) Se il principio della concorrenza del diritto comunitario, di cui agli artt. 10 [CE], 81 [CE] e 82 (...) CE si applichi anche all’offerta dei servizi legali. 2) Se detto principio comporti, o meno, la possibilità di convenire fra le parti la remune-razione dell’avvocato, con effetto vincolante. 3) Se comunque detto principio impedisca, o meno, l’inderogabilità assoluta dei compensi forensi. 4) Se il principio di libera circolazione dei servizi, di cui agli artt. 10 [CE] e 49 (...) CE si applichi anche all’offerta dei servizi legali. 5) In caso positivo, se detto principio sia, o meno, compati-bile con la inderogabilità assoluta dei compensi forensi», da parte del Tribunale di Roma, nel caso Capodarte: «Se gli artt. 5 e 85 del Trattato CE (divenuti artt. 10 [CE] e 81 CE) ostino all’adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine profes-sionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell’ordine con riferimento a prestazioni aventi ad oggetto attività (c.d. stragiudiziali) non riservate agli appartenenti all’ordine professionale forense ma che possono essere espletate da chiunque».

La sentenza è complessa, anche se più semplice nel dettato e meno articolata nei diversi profili affrontati dall’Avvocato Generale nelle sue conclusioni.

Le conclusioni dell’Avvocato Generale, quanto alle questioni sol-levate nel caso Cipolla, erano state nel senso di riaffermare il prin-cipio espresso dalla Corte nel caso Arduino e quindi di legittimare il regime tariffario solo se sottoposto ad un effettivo controllo dello Stato e la sua applicazione da parte del giudice conforme al diritto della concorrenza (artt. 10,81).

La Corte, mantenendo ferma la propria giurisprudenza, cioè non modificando né smentendo la propria posizione assunta nel caso Ar-duino, ha confermato che il sistema tariffario proposto dal Consiglio Nazionale Forense e poi disposto con decreto da parte del Ministro Guardasigilli non è in contrasto con il diritto comunitario, sub specie

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di diritto della concorrenza, né per le tariffe minime previste per le attività riservate, cioè per l’attività giudiziale, né per le tariffe previ-ste per le attività libere, quali l’attività stragiudiziale.

Quanto alla questione sollevata nel caso Macrino, le conclusioni dell’Avvocato Generale erano state nel senso che il tariffario contra-sta con la libera prestazione di servizi stabilendo importi minimi per gli avvocati (artt. 81,10,49).

La Corte ha seguito solo parzialmente il suggerimento dell’Av-vocato Generale, perché non ha proclamato la contrarietà al diritto comunitario del divieto assoluto di deroga e ha segnato alcune di-stinzioni nel senso che:

(i) il divieto assoluto di deroga convenzionale agli onorari minimi (per prestazioni giudiziali e stragiudiziali) costituisce una limitazio-ne alla libera prestazione di servizi;

(ii) tuttavia, è affidata al giudice nazionale la verifica se la nor-mativa (di divieto assoluto) nelle sue concrete modalità applicative, risponda alla tutela del consumatore e alla buona amministrazione della giustizia nonché al principio di proporzionalità nel consegui-mento di tali obiettivi.

La verifica torna quindi al giudice nazionale, ed è questi dunque che avrà l’ultima parola, premessi i principi sopra enunciati, sulla contrarietà o meno del divieto assoluto di deroga convenzionale ai minimi tariffari.

Ne discende dunque che:(a) il sistema tariffario ha comunque retto alla nuova valutazio-

ne di conformità al diritto comunitario: è una conclusione rilevante, che i primi commentatori non hanno posto nel debito rilievo, forse preoccupati di non esasperare o comunque di non sottolineare il con-trasto tra le motivazioni del “decreto Bersani” e della sua legge di conversione e le conclusioni cui è pervenuta la Corte;

(b) il sistema tariffario è valutato dalla Corte nella sua interez-za, senza distinzione tra tariffe giudiziali e tariffe stragiudiziali, dal momento che non è in gioco l’attività forense al di fuori dei confini della riserva. Anche per l’attività stragiudiziale (che la Corte UE e

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il Parlamento europeo considerano prodromica, propedeutica, pre-paratoria, ma anche parallela all’attività svolta in giudizio) dunque si conferma la legittimità delle tariffe, contrariamente a quanti rite-nevano che, essendo questa attività libera nel nostro Paese, non la si potesse assoggettare a canoni prefissati;

(c) il sistema tariffario può essere vincolante in via di principio;(d) il sistema tariffario può essere inderogabile, cioè obbligatorio

se risponde ai requisiti sopra indicati; altrimenti è liberamente nego-ziabile;

(e) là dove non si siano negoziate, le tariffe possono essere appli-cate e vincolano direttamente le parti.

La libera negoziabilità è dunque un succedaneo della obbligato-rietà, ed è ammessa solo a seguito della verifica che i giudizi na-zionali dovranno fare sulla base di direttive che la stessa Corte UE espone più dettagliatamente in motivazione. Si tratta di:

(i) tutela dei consumatori; evocando i consumatori, la Corte esclude che il problema possa investire i clienti “non consumatori”; non sono dunque in gioco le tariffe relative ai rapporti tra avvocati e “professionisti” (cioè tra avvocati e imprese o esercenti professioni), che, come si può indurre agevolmente dal testo della motivazione, sono rapporti in cui le parti non si trovano in una situazione di di-seguaglianza; la Corte si preoccupa dei rapporti in cui le parti siano in una situazione di asimmetria informativa; a questo punto, poiché la Corte afferma il principio ma non in modo apodittico, perché lo sottopone alla verifica del giudice nazionale, si deve ancora dimo-strare che l’abolizione delle tariffe minime per tutti i clienti danneggi in ogni caso i clienti contrattualmente più deboli; si potrebbe poi rimediare alla asimmetria informativa, là dove esistente, offrendo tariffe più trasparenti e leggibili, obiettivo che lo stesso CNF proprio ultimando di approntare in questi giorni;

(ii) buona amministrazione della giustizia; qui si scontrano le tesi dell’Avvocatura, in base alle quali la fissazione di una tariffa minima impegna l’avvocato a non offrire una prestazione di qualità inferiore alla diligenza professionale e ad equiparare nel trattamento economi-

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co tutti i clienti, e le tesi dei “liberalizzatori”, che preferiscono consi-derare tutto negoziabile, anche la qualità; la Corte esclude che vi sia un nesso causale tra entità della tariffa e qualità della prestazione, e si preoccupa degli avvocati stranieri stabilizzati in Italia, che potrebbero essere danneggiati dall’incorrere in un divieto di superamento della tariffa minima per farsi un avviamento; ma anche escludendo la prima argomentazione e includendo la seconda preoccupazione, la Corte non dichiara di per sé illegittime le tariffe minime, ma le sottopone a verifi-ca; i criteri di valutazione suggeriti dalla Corte UE ai giudici nazionali riguardano gli aspetti essenziali della disciplina forense già vigente, quali “norme di organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e responsabilità”; proprio per migliorare ulteriormente la situazione esistente (che è critica soprattutto per il numero degli av-vocati, come la stessa Corte riconosce, e per l’esame di accesso, che grazie alla provvisorietà del sistema varia le valutazioni in modo diseguale) il CNF e le altre componenti dell’ Avvocatura hanno pre-disposto testi di riforma che prescindono da qualsiasi intervento glo-bale di disciplina delle professioni intellettuali, e si sono preoccupati di contribuire, attraverso la collaborazione prestata spontaneamente e attraverso la proposizione di rimedi alternativi o integrativi dello stato attuale della amministrazione della giustizia, a migliorarne il sistema.

È interessante anche sottolineare che la Corte salva il codice deontologico forense, a cui affida il compito di controllare la qualità della prestazione offerta in considerazione del corrispettivo pattuito: la libera negoziazione delle parti non è dunque indice di correttezza deontologica. Considerazione tanto più rilevante ora che – nei limiti consentiti dal codice civile – sembrerebbe abolito il patto di quota lite, sì che in via deontologica gli Ordini sono legittimati a verifi-care se l’ammontare del compenso (che scenda sotto i minimi) sia eticamente corretto, e se il superamento delle tariffe massime possa essere eticamente corretto, a cui si aggiunge il controllo sui patti tout court, là dove il cliente sia esposto ad un rischio imprevedi-bile sottoscrivendo il patto. A questa considerazione si aggiunge poi quella concernente i patti collegati alla proposizione di class actions,

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dove, accanto agli interessi dei consumatori occorre subito collocare il controllo deontologico dei patti sul compenso, qui resi frequenti nella prassi straniera e per così dire “connaturali” a questo tipo di azioni.

Senza dover arrivare alla conclusione un po’ semplicistica che vorrebbe individuare vincitori e vinti all’esito della vicenda giudizia-ria, si deve però riconoscere, senza infingimenti e “distinguo”, che la Commissione ha avuto torto nel sostenere la violazione della normati-va comunitaria (sia in punto di libera concorrenza sia in punto di libera prestazione dei servizi); che il Governo italiano che aveva sostenuto le buone ragioni dell’Avvocatura ha avuto ragione; che la nuova nor-mativa interna, introdotta in via d’urgenza e sotto il vincolo della fi-ducia, senza attendere (si sarebbe trattato di sei mesi) l’esito dei due procedimenti, ora appare di ancor più difficile interpretazione.

Certamente, la responsabilità è del legislatore attuale che ha vo-luto mascherare con l’interesse del consumatore e con gli obblighi comunitari di natura concorrenziale l’introduzione di norme che ora si rivelano ultronee.

Di più. La disciplina introdotta, nella misura in cui contrasta con la Risoluzione del Parlamento europeo, è “anticomunitaria” ed entra in collisione con l’orientamento della Corte di Giustizia.

Le modifiche al codice deontologico e il regolamento per l’ag-giornamento permanente

Il CNF, mediante la sua Commissione deontologica e mediante il gruppo di studio dedicato alla redazione di un progetto di riforma del procedimento disciplinare, già dall’inizio dei lavori della Consi-liatura attuale aveva avviato un processo di riforma delle regole che governano la professione. Coltivando la speranza, poi rivelatasi pur-troppo del tutto infondata, che i Governi e i Parlamenti che si sono succeduti avrebbero approvato un provvedimento legislativo che in via d’urgenza potesse migliorare il sistema di accesso alla professio-ne, integrare i poteri di vigilanza degli Ordini sugli avvocati iscritti

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che non esercitano la professione, introdurre norme sull’aggiorna-mento permanente, migliorare le modalità di controllo del comporta-mento degli iscritti, aveva consegnato agli interlocutori istituzionali relazioni, documenti programmatici, testi di base attraverso i quali si sarebbe potuto operare un aggiornamento della l. forense senza peraltro stravolgerne le fondamenta.

Intervenuta la nuova normativa, il CNF, nel suo ruolo istituzio-nale, non avrebbe potuto né disapplicarla perché incostituzionale e contraria alla normativa comunitaria (alcuni autorevoli giuristi si erano espressi in proposito6) né sottrarsi all’obbligo di modificare il codice deontologico, anche se tale obbligo, introdotto in via auto-ritativa, si scontra con il principio di autonomia dell’Avvocatura e con il principio di autodichìa, entrambi riconosciuti dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione7. Più volte negli ultimi anni il CNF ha sottoli-neato come non sia possibile neppur concepire che il codice deonto-logico forense, costituito da norme di rango primario, sia approvato con atto amministrativo (!) e come sia giuridicamente inconcepibile decretarne la “nullità” (!), per di più differita nel tempo, in caso di sua difformità da regole introdotte dal legislatore.

Comunque, in ottemperanza alla nuova disciplina legislativa, il CNF, nella seduta del 14 dicembre scorso, ha approvato le modifiche necessarie, che riguardano la disciplina della pubblicità informativa, la conclusione di accordi relativi al compenso professionale anche orientati al risultato ottenuto, la libertà delle tariffe minime. Le mo-dificazioni corrispondono al nuovo testo normativo, ai principi costi-tuzionali e alla disciplina comunitaria che sopra si sono richiamati.

Non si può quindi ritenere che le regole deontologiche non deb-bano ingerirsi dei rapporti economici: ciò che preme al CNF, ma all’Avvocatura tutta, è che 1’avvocato non profitti della sua posizio-

6 V. i pareri di Luciani e Ridola in Rass. Forense, 2006.7 Per i riferimenti v. ALPA, L’avvocato, Bologna, 2005; PERFETTI, Corso di deontologia

forense, Padova, 2007.

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ne di competenza e di forza contrattuale per imporre al cliente-con-sumatore sacrifici economici che si traducono in un abuso giuridico ed etico deontologicamente sconveniente, né può, di fronte ai poteri economici forti, oppure per esigenze economiche proprie, accettare condizioni avvilenti che svalutano la prestazione, ne svuotano il con-tenuto e l’efficacia, e si ripercuotono negativamente sull’immagine e sul decoro dell’intera categoria.

Uso il termine decoro, peraltro risalente al secolo scorso (vi è una continuità nella tradizione dei valori dell’Avvocatura di cui siamo or-gogliosi) ed inserito nel Codice civile, perché questo è uno dei connotati fondanti della professione, che certo non si riscontra nell’attività delle imprese, che non guardano al decoro, ma solo al profitto. Il decoro non è lo schermo dietro il quale si vogliono coprire privilegi economici: la violazione del decoro, al contrario, implica l’applicazione di sanzioni, quando l’avvocato, con il suo comportamento, con l’approfittamen-to del cliente, con la esecuzione di una prestazione di qualità inferiore alla diligenza professionale, svilisce sé medesimo e danneggia l’intera categoria. E così per l’accaparramento di clientela: chi ritiene che il divieto di accaparramento (effettuato tramite agenzie, procacciatori o con modi non conformi alla correttezza e al decoro) contrasti con la disciplina della concorrenza continua a ragionare come se l’attività forense fosse una attività d’impresa, il che è escluso sia dal diritto in-terno sia dal diritto comunitario. La disciplina della concorrenza non si può sovrapporre – quasi fosse elevata al rango di norma costituzionale – ai principi fondanti della deontologia forense, avvalorati dal Par-lamento europeo, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, della Corte costituzionale e dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione8.

Anche le nuove regole deontologiche sull’aggiornamento perma-nente corrispondono all’esigenza – etica, prima ancora che giuridica – che l’avvocato sia e si mantenga competente, per poter assolvere degnamente il suo obbligo professionale. Il CNF non intende privare le associazioni nazionali, gli enti e le società private della loro liber-

8 Da ultimo v. BERGAMINI, La Concorrenza tra i professionisti nel mercato interno del-l’Unione europea, Napoli, 2005.

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tà di organizzare corsi e seminari per l’aggiornamento. E tuttavia, proprio ad evitare abusi, approfittamenti, elusioni, ha predisposto un modello di aggiornamento che consenta agli Ordini di verificare l’attendibilità dei progetti di acculturazione. Anche in questo caso sarebbe fuorviante ritenere che tale vigilanza possa violare la con-correnza o implicare conflitti di interesse (nel caso in cui siano gli stessi Ordini ad offrire attività di aggiornamento). Ciò che rileva è che gli Avvocati riescano ad accumulare i crediti avendoli conse-guiti seriamente e quindi ad elevare la qualità della prestazione. Un mercato senza controlli si trasformerebbe in una prateria – quale è attualmente Internet – in cui sciacalli e banditi potrebbero scorazzare indisturbati grazie ad una malintesa nozione di libertà concorrenzia-le, anzi, protetti da questa!

La differenza tra la professione forense, le professioni legali, i servizi legali, i servizi tout court

Quanto sopra brevemente esposto serve non solo per offrire una rap-presentazione oggettiva dei principi e delle regole che governano la pro-fessione forense in ambito comunitario, ma serve anche a precisare al-cuni concetti, categorie ordinanti e prospettive della professione forense nell’ambito delle professioni intellettuali e dei servizi professionali.

Non è un caso che le uniche due direttive in materia di libertà di esercizio della professione e di stabilimento riguardino la profes-sione forense, e che la sentenza resa nel caso Cipolla si affianchi alle tre precedenti (relative anche all’esercizio multidisciplinare e alla composizione delle commissioni esaminatrici), tutte concernenti l’attività forense. Che si tratti di una attività professionale speciale, dotata di propri requisiti, non è più dubitabile, e che quindi a questa professione si debbano riservare regole speciali è una conseguenza dettata non solo dal diritto e dalla logica ma anche dall’opportunità.

Dobbiamo perciò distinguere, senza correre il rischio di omologare nozioni, concetti e regole, la professione forense, alla quale queste di-

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rettive riconoscono una particolare ruolo e, come sopra si è evidenzia-to, lo stesso Parlamento europeo riconosce il carattere fondante dello Stato di diritto, le professioni legali, in cui accanto alla professione forense si colloca la professione notarile; i servizi legali, che sono l’oggetto delle prestazioni eseguite da coloro che svolgono una pro-fessione legale. Non si possono rovesciare i termini e ritenere – come quanti vogliono grossolanamente affermare l’ideologia del mercato e la mistica della concorrenza – che la disciplina dei servizi prescinda dal tipo di professione esercitata e deroghi alle regole e alle raccoman-dazioni sopra richiamate in materia di professione forense.

In questo contesto si debbono perciò leggere le disposizioni della direttiva relativa ai servizi nel mercato interno del 12 dicembre 2006 (Dir. 2006/123/CE).

Pubblicata sulla G.U. del 27.12.2006 (L 376/36) la direttiva rela-tiva ai servizi nel mercato interno 2006/123/CE del 12.12.2006 deve essere recepita dagli Stati Membri entro il 28.12.2009. La versione finale non si discosta molto dal testo approvato quale “posizione co-mune” dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione europea. Essa ha un ambito di applicazione residuale rispetto alla attività forense, in virtù delle deroghe stabilite da alcune sue disposizioni. Ed infatti:

(i) l’art. 3 prevede che le regole introdotte da questa direttiva confliggenti con quelle introdotte da altri atti comunitari in ordine all’accesso o all’esercizio di specifiche attività professionali cedono rispetto a questi ultimi; in materia di attività forense gli atti comunitari che prevalgono sulla direttiva in esame sono per l’appunto la direttiva n. 77/249 sulla libera prestazione di servizi, la direttiva n. 48/89 sulla libertà di stabilimento con il titolo omologo del Paese ospitante (pre-vio esame di complemento), la direttiva n. 5/98 sullo stabilimento permanente con il titolo di origine, la direttiva n. 36/05 (che deve essere attuata entro il 20.02.2007) sulle qualifiche professionali;

(ii) l’art. 5 c. 3 prevede l’esenzione esplicita dalle procedure di rilascio di certificati;

(iii) l’art. 17 prevede l’esenzione esplicita della attività forense dal-l’applicazione dell’ art. 16 riguardante la libera prestazione di servizi.

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Tra i considerando occorre porre in rilievo:- il n. 88 che, in generale, precisa che il principio di libera presta-

zione di servizi non si applica alle attività riservate agli avvocati, ivi compresa, negli ordinamenti nei quali la riserva è prevista, anche la consulenza giuridica; nel nostro Paese la consulenza non è attività riservata, ma la direttiva indirettamente conferma che tale riserva non sarebbe in contrasto con la libera circolazione dei servizi;

- il n. 33 che precisa come per gli altri aspetti della disciplina pre-vista siano inclusi i servizi di consulenza legale a favore di imprese e di consumatori (là dove la consulenza non sia riservata);

- il n. 73 il quale, al di là dei casi delle qualifiche professionali, consente l’esonero dal divieto di tariffe minime e massime se impo-ste specificamente da autorità competenti per la prestazione di deter-minati servizi compatibilmente con la libertà di stabilimento; questo considerando può essere interpretato alla luce della sentenza Cipolla della Corte di Giustizia depositata il 5.12.2006;

- il n. 95 il quale legittima sempre le tariffe se giustificate dalle caratteristiche tecniche della professione;

- il n. 100 che esclude i divieti assoluti o totali di comunicazio-ni commerciali per le professioni regolamentate e rinvia a codici di condotta di ambito comunitario;

- il n. 101 che ammette lo svolgimento di servizi multidisciplinari ma anche le relative restrizioni purché necessarie ad assicurare l’in-dipendenza e l’integrità delle professioni regolamentate;

- il n. 114 che raccomanda l’adozione di codici di condotta da par-te delle professioni regolamentate intesi a garantirne l’indipendenza, l’imparzialità e il segreto professionale.

Tralasciando le regole sulla semplificazione amministrativa e sul-la libertà di stabilimento, e le aree già coperte dalle direttive pre-gresse o esplicitamente escluse dalla direttiva in esame, rimangono alcune disposizioni che afferiscono anche all’attività forense.

Sono conservate per gli avvocati la doppia osservazione delle re-gole giuridiche inerenti la professione sia nel paese d’origine sia nel paese ospitante e così pure la “doppia deontologia”.

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Le novità riguardano essenzialmente la qualità dei servizi.L’art. 22 prevede le informazioni che il professionista deve for-

nire al destinatario, termine che non distingue tra consumatori e imprese (note, status, forma giuridica, indirizzo e tutti gli altri dati identificativi, iscrizione all’albo e Ordine competente, dati di regi-strazione all’IVA, qualifica professionale e Stato membro nel quale è stata acquisita, clausole contrattuali eventualmente praticate, prezzo del servizio se precostituito, assicurazione, se esistente).

Le informazioni possono essere fornite spontaneamente, oppu-re essere rese accessibili nel luogo ove si svolge l’attività, oppure inserite nel sito del professionista, oppure nei fogli illustrativi del servizio.

Nel caso il “prezzo” della prestazione, cioè il compenso, non sia predefinito – come accade normalmente nell’esercizio dell’attività forense – la direttiva non si oppone alla introduzione di tariffe; è solo necessario porre il cliente in condizione di poter conoscere i cri-teri con cui si calcola il compenso oppure consegnare un preventivo sufficientemente dettagliato. Il sistema più semplice è la vacazione; tuttavia, si possono impiegare le tariffe al momento della conclusio-ne del contratto d’opera, ovvero farvi riferimento in via integrativa, sempreché ogni informazione ed ogni criterio di calcolo siano chiari e comprensibili, e conosciuti in tempo anteriore all’assunzione del mandato professionale. Occorre anche informare il destinatario del-le regole professionali vigenti: la normativa di legge, alla quale si può fare rinvio con mezzi anche informatici, il codice deontologi-co, l’esistenza di organismi di conciliazione presso gli Ordini (e, nel caso di tariffe o compensi, la procedura conciliativa già prevista dal-la disciplina forense).

È soppresso ogni divieto in materia di pubblicità: l’art. 24 c. 1 si riferisce esplicitamente alle professioni regolamentate, ma vi è un temperamento (all’art. 24 c. 2) che impone la conformità del mes-saggio alle regole professionali, tenendo conto della specificità della professione, nonché della indipendenza, della integrità, della dignità e del segreto professionale. Ciò significa che, in via legislativa (nel

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testo di attuazione) ovvero in via deontologica sono ammesse limita-zioni, purché non configgenti con il principio di non-discriminazio-ne, con il principio di proporzionalità e siano giustificate da motivi imperativi di interesse generale (secondo le definizioni di tali termini indicate nell’art. 15).

Per quanto riguarda l’organizzazione dell’attività professionale – ferma la libertà di scegliere le forme più opportune – si possono svolgere attività multidisciplinari, ma è consentito apporre limita-zioni per evitare i conflitti d’interesse, per garantire indipendenza e imparzialità, regole deontologiche specifiche per rendere le attività compatibili tra loro e per custodire il segreto professionale.

La qualità del servizio può essere certificata da un organismo in-dipendente o accreditato (ma si tratta di iniziativa semplicemente volontaria) o si può fare ricorso a carte di qualità o marchi predispo-sti da ordini professionali a livello comunitario.

La disciplina della professione forense si potrà dunque adatta-re alla disciplina generale dei servizi, ma non si potrà sovrapporre questa disciplina alla specificità della professione forense. Questo è un monito al legislatore che dovrà attuare la direttiva, perché non si corra il rischio di introdurre, anche questa volta, nel nostro ordi-namento disposizioni contrastanti con il diritto comunitario con il falso pretesto di ammodernare il nostro ordinamento e adeguarlo alle richieste degli organi comunitari.

I principi informatori della attività forense

Tra i molti equivoci sui quali si è costruita una vera e propria aggressione alla professione forense – una sorta di mobbing istitu-zionale al quale il CNF non poteva rimanere indifferente e perciò si è rivolto al Capo dello Stato perché fosse ripristinata la legalità – oc-corre annoverare l’insistita equiparazione del professionista (inteso come esercente una attività professionale intellettuale) all’imprendi-tore. Qui non ci deve trarre in inganno la terminologia comunitaria

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che equipara i due soggetti l’uno all’altro ai fini della concorrenza, ma solo per realizzare determinati obiettivi specifici, come, ad esempio, la lotta alle clausole abusive, alle pratiche commerciali sleali, alla pub-blicità ingannevole, alla circolazione di prodotti difettosi e così via. In materia di professioni una cosa è l’attività intellettuale altra cosa l’atti-vità d’impresa. D’altra parte, se le due figure fossero omologabili, o si dovrebbe introdurre per chi voglia intraprendere l’attività d’impresa l’obbligo del titolo di studio, il tirocinio, l’esame di Stato, il codice deontologico e le sanzioni disciplinari, l’indipendenza e l’autonomia – tutte ipotesi fantascientifiche che porterebbero il mercato su di una dimensione kafkiana – oppure coloro che vogliono identificare le due posizioni si debbono rassegnare a vederle distinte.

Una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazio-ne (depositata il 5 gennaio 2007. n. 37) ha ribadito l’incompatibilità dell’esercizio della professione forense con quella di imprenditore. Vorrei sottolineare che la sentenza ha rigettato il ricorso avverso analoga pronuncia del CNF ed ha osservato come la giurisprudenza della Corte – nonché quella del CNF – sono “fermissime nel ritenere che la situazione di incompatibilità con l’esercizio del commercio, anche in nome altrui”, ex art. 3 del r.d.l. del 1933 n. 1578 ricorre nei confronti del professionista che assuma la carica di amministratore delegato di una società commerciale, ove tale carica implichi gestio-ne e rappresentanza.

È questo un principio che assume un ruolo ordinante delle ca-tegorie giuridiche, perché sottolinea la peculiarità delle professio-ni intellettuali rispetto a qualsiasi altra attività economica rivolta al profitto, e pertanto dovrebbe essere osservato in qualsiasi fattispecie in cui la professione intellettuale – in particolare quella forense – sia coinvolta. Ne deriva che anche la disciplina della concorrenza, come già aveva avvertito il Parlamento europeo, deve essere applicata con le cautele e le limitazioni tali da non snaturare l’essenza dell’attività professionale.

Autonomia e indipendenza sono ancora i cardini dell’attività fo-rense riconosciuti dalla Corte costituzionale in tante pronunce e nel-

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l’ultima emessa in materia, il 21.11.2006, n. 360. Si trattava della conformità a costituzione della l. 25.11.2003 n. 339 che esclude il li-bero esercizio della professione da parte dei dipendenti di enti pubblici che abbiano scelto il part-time. La Corte ha sottolineato come carat-teristica peculiare dell’attività forense sia la sua incompatibilità con qualsiasi impiego retribuito, ex art. 3 della 1. forense e che pertanto tale disciplina non contrasta con l’art. 3 e neppure con l’art. 419.

La professione forense tra diritto privato e diritto pubblicoL’antiriciclaggio

L’attività professione forense, organizzata in forma di libera pro-fessione, autonoma e indipendente, non è regolata soltanto da norme di diritto privato. Trattandosi di un servizio pubblico, alla profes-sione forense fanno carico obblighi inerenti l’amministrazione della giustizia, il controllo dell’accesso alla professione, la deontologia, il decoro, che non si riscontrano di certo nell’esercizio dell’attività d’impresa.

Per incidens ricordo che la disciplina delle professioni è riservata alla competenza legislativa dello Stato: ancora di recente la Corte costituzionale si è pronunciata sulla illegittimità di una legge regio-nale che si voleva ingerire della materia riservata allo Stato10.

Accanto a questi obblighi di recente la seconda11 – ed ora la terza – direttiva in materia di lotta al riciclaggio di danaro illecito han-no istituito altri obblighi, non solo inerenti alla registrazione delle operazioni, non solo alle modalità di riscossione del compenso, ma anche di segnalazione delle operazioni sospette. Il CNF ha vigilato

9 Per un commento v. COLAVITTI, Il rapporto di impiego pubblico a tempo parziale tra libertà di concorrenza e specialità della professione forense, in corso di pubbl. su Giur. Cost., 2007.

10 Corte cost., sentenza n. 50 del 2007.11 Per una analisi comparativa dei modelli nazionali di attuazione della seconda direttiva

v. Comparative Implementation of EU Directives (II) – Money Loundering, a cura del Bri-tish Institute of Intenational and Comparative Law, Londra, dicembre 2006.

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perché questi obblighi, che ben potrebbero essere assolti attraverso il segreto professionale, non incidessero eccessivamente sugli Av-vocati, e comunque non si estendessero oltre il limite, già gravoso, imposto dalle direttive12.

Il percorso di attuazione della terza direttiva, che si sta conclu-dendo, ha presentato momenti di criticità che ci siamo premurati di segnalare all’Autorità competente. Abbiamo perciò trasmesso talune osservazioni allo schema di decreto legislativo recante il recepimen-to della terza direttiva antiriciclaggio, segnalando che in materia è prossima al deposito la fondamentale pronunzia della Corte di giu-stizia nella causa C-305/05, che potrebbe rendere del tutto inappli-cabile la disciplina agli Avvocati, o fornire comunque preziose indi-cazioni interpretative. Inoltre abbiamo osservato che la protezione del segreto professionale – indicato nelle conclusioni dell’Avvocato generale nella causa come diritto fondamentale della persona (e non come privilegio dell’avvocato) – è oggetto di una petizione inviata al Parlamento europeo da parte del CCBE, 1’organismo di rappre-sentanza delle professioni forensi di tutta Europa; la petizione assun-ta nella riunione di Vienna del 15 febbraio scorso mira ad ottenere una risoluzione del Parlamento europeo affinché gli avvocati siano esclusi dal campo di applicazione della disciplina, al fine di evitare che essi siano costretti a venir meno al mandato fiduciario con il cliente e a tradire il segreto professionale che è presidio del diritto di difesa.

Mi piace porre in evidenza il fatto che l’Avvocato generale, Poia-res Maduro13, ha ragionato in termini di diritto comunitario, tenendo conto cioè dei principi dell’Unione, dei principi accolti nella Con-venzione europea dei Diritti umani, della giurisprudenza della Cor-te di Giustizia e della Corte europea per la tutela dei diritti umani, nonché dei canoni deontologici del CCBE; nonostante che i diversi

12 V. le deliberazioni raccolte nella documentazione acclusa alla relazione; nonché Co-cuzza e Gioffré, Antiriciclaggio e professione forense: i nuovi compiti e le responsabilità dell’avvocato, Milano, 2006.

13 Conclusioni presentate il 14.12.2006.

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ordinamenti professionali dei Paesi Membri non siano uniformi, il segreto professionale dell’ Avvocato è principio consacrato in ogni ordinamento occidentale. L’Avvocato generale ha sottolineato che la Corte europea per la tutela dei diritti umani considera ogni intrusione nel segreto professionale dell’Avvocato sia una lesione della “corret-ta amministrazione della giustizia” e quindi lesione dell’art. 6 della CEDU14, sia una lesione del diritto alla riservatezza15, ed è quindi lecito “considerare il diritto ad un equo processo e quello al rispetto della vita privata quale duplice fondamento alla tutela del segreto professionale dell’avvocato nell’ordinamento giuridico comunita-rio”. Il segreto professionale – ha ribadito l’Avvocato generale – in-tegra l’oggetto della consulenza legale; “il segreto deve estendersi ai compiti di rappresentanza, difesa, assistenza e consulenza legale”.

In ogni caso, non ci siamo sottratti ad un esame del merito del testo sottoposto al nostro informale vaglio, ed abbiamo sottolineato che:

- il CNF e gli ordini forensi locali non sono disponibili ad as-sumere il ruolo di destinatari delle segnalazioni dei professionisti, né quello di controllori dei medesimi, sotto il profilo del rispetto della normativa antiriciclaggio, o addirittura, come recita l’attuale versione dell’art. 9, comma 6, il ruolo di guardiani dell’eventuale omissione di segnalazione; non ne avrebbero comunque la possibi-lità, difettando di poteri ispettivi nei confronti degli iscritti. Tutt’al più potrebbero informare l’UIF di fatti rilevati nell’esercizio della funzione disciplinare, dove alle volte, può emergere una maggiore conoscenza del rapporto sostanziale tra cliente ed avvocato, ma nulla di più;

- in merito alla “esimente” dell’esame della posizione giuridica del cliente, riteniamo che la formulazione di cui al comma 3 dell’art. 12, sia totalmente inaccettabile, perché di difficilissima interpreta-zione, e perché mirante surrettiziamente a ridurre l’area delle attività dell’avvocato non soggette all’obbligo di segnalazione;

14 Nimez c. Germania, 16.12.1992, n. 37.15 Foxley c. Regno Unito, 29.9.2000, n. 44; Kopp c. Svizzera, 25.3.1998.

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- del pari inaccettabile appare la formulazione dell’art. 8, comma 4, laddove si prevede la facoltà di avvalersi dei dati dell’anagrafe tributaria “...per i controlli di competenza nei confronti dei soggetti sottoposti agli obblighi antiriciclaggio”: i controlli e le ispezioni do-vrebbero essere condotti nei confronti dei soggetti segnalati, e non già dei segnalanti! Ci auguriamo vivamente che si tratti di un difetto di stesura, e non di una precisa volontà politica;

- non può poi trovare accoglimento la generica e del tutto priva di fondamento nozione di “professionisti legali” (art. 12), comprensiva di tutte le categorie professionali destinatarie degli obblighi. Ragio-nieri, dottori commercialisti e consulenti del lavoro non sono affatto professionisti legali, come non lo sono a maggior ragione soggetti non iscritti in albi che tuttavia svolgono attività di assistenza fiscale o tributaria, e che possono anche non avere alcun titolo di studio, o alcuna specifica formazione legale;

- fortemente indebolito appare poi il principio della tutela del-la riservatezza del segnalante, pure valorizzato dalla terza direttiva; mentre ad oggi il nome del segnalante è svelato solo con decreto motivato dell’autorità giudiziaria (cfr. vigenti istruzioni applicative UIC), ora si pretende che sia reso noto da subito, in via amministra-tiva (artt. 44, comma 3, e 46, commi 2 e 3);

- all’art. 52, poi, si prevede addirittura che gli avvocati siano de-stinatari degli obblighi di segnalazione di tutte le violazioni della normativa sui trasferimenti di liquidità, senza neanche prevedere le esimenti della difesa in giudizio e della consulenza legale, che pure valgono per l’antiriciclaggio. Il che integra una radicale ipotesi di violazione del segreto professionale, e comporta la illegittimità co-stituzionale della previsione.

La tutela del consumatore

Quanto alla disciplina vigente in materia di professioni e di com-pensi professionali, non appare conforme alle finalità enunciate dal-

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la normativa vigente l’assunzione di un rischio dell’esito della lite come potrebbe avvenire mediante patti di quota lite volti ad esclude-re qualsiasi compenso per l’avvocato in caso di esito sfavorevole al cliente. L’assunzione del rischio permea la causa del rapporto con-trattuale istituito con il cliente. Sia che esso debba essere qualificato in termini di mandato professionale oppure di opera intellettuale, la diligenza impiegata ha sì natura professionale, e quindi è una dili-genza qualificata, e tuttavia l’obbligazione assunta è una obbliga-zione di mezzi e non di risultato. E ciò anche perché la decisione della causa non è il risultato immediato e diretto della difesa, quanto piuttosto della sua valutazione da parte di un soggetto terzo quale è il giudice. Un patto di quota lite, così concepito, non solo minerebbe l’indipendenza dell’avvocato i cui interessi finirebbero per coincide-re con quelli del cliente, ma lo esporrebbe al rischio di una decisione erronea o ingiusta (sempre peraltro appellabile, ma) non dipendente dalla sua volontà. Il rischio, permeando di sé la causa del contratto, snaturerebbe l’essenza della prestazione offerta, e la trasformerebbe in un appalto di servizi, figura tipica dell’attività d’impresa.

La nuova disciplina vorrebbe promettere (secondo i suoi fautori) la «riduzione delle parcelle» e una «maggiore efficienza nelle pre-stazioni offerte». Anche qui c’è una equazione che non torna: se il compenso è negoziato, e non si applicano le tariffe – che pure rendo-no paritetico e trasparente il rapporto economico dell’avvocato con il cliente – il cliente sarà automaticamente in una posizione di forza contrattuale tale da riuscire ad ottenere una riduzione del dovuto? E la maggiore efficienza nelle prestazioni si dovrà alla negoziazione?

Per effetto della nuova normativa i liberi professionisti possono far conoscere agli utenti i servizi offerti attraverso la pubblicità in-formativa; sulle riviste informative di pubblica utilità si può ‘selezio-nare’ il professionista più adatto e conveniente alle proprie esigen-ze; si abroga il divieto di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni.

Per quanto riguarda i servizi legali, già ora il codice deontologico

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consente l’informazione sui titoli acquisiti effettivamente (e non su quelli inventati dal professionista); si tratta dei soli titoli consentiti dalla legge, cioè quelli rilasciati dalle Università; ma quali prezzi potranno essere esibiti? Ogni questione ha una sua storia a sé, profili giuridici specifici da studiare e approfondire, ogni difesa ha la sua lo-gica e i suoi tempi, e l’avvocato non può predire il futuro perché – a differenza degli altri professionisti – il risultato della sua attività è mediato dal giudice. Allora si tutelano davvero i consumatori perché ora essi si possano affidare a messaggi pubblicitari (di cui conoscono la dubbia affidabilità) per scegliere il proprio difensore?

La risposta che ci danno i fautori del decreto appare un pò inge-nua, se non mistificante: «L’Utente avrà maggiori informazioni a sua disposizione e quindi più possibilità di comparazione e di scelta» (come se la soluzione di un problema giuridico potesse porsi sullo stesso piano di un servizio informatico, di trasporto o di telefonia).

E si aggiunge: «Il consumatore avrà anche più capacità [sic] con-trattuale». Il consumatore maggiorenne non interdetto ha certamente “capacità contrattuale”. Forse, qui si voleva dire “potere” contrat-tuale, inteso in senso economico-sociologico. Ma, come sopra si é osservato, solo le grandi società, le banche, le assicurazioni, hanno un potere contrattuale che può prevalere su quello del singolo avvo-cato. Proprio per questo il codice civile proibiva il patto di quota lite, e il codice deontologico ancora oggi sanziona l’avvocato che profitta dell’ignoranza del cliente.

Ma i vantaggi che si vorrebbero assicurare al consumatore, sul lato delle professioni, non finiscono qui. Si dice ancora: «L’uten-te potra rivolgersi a società multidisciplinari (formate da architetti, avvocati, notai, commercialisti ecc...). Con una norma del decreto si abroga il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra pro-fessionisti, fermo restando che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità». Ma non si dice che il divieto ave-

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va la funzione di prevenire i conflitti d’interesse, di assicurare all’av-vocato (e quindi al cliente) l’indipendenza da partners che potreb-bero preferire il perseguimento dell’interesse della società rispetto a quello del cliente, la possibilità da parte dell’avvocato di scegliere – nell’interesse del cliente – il professionista di altra materia che di volta in volta riteneva più appropriato. Ora, sollecitando i profes-sionisti ad associarsi anche in “società multidisciplinari” tutti questi vantaggi andranno persi, certamente in danno del cliente. E poi non è detto che la rimozione del divieto si traduca in una rincorsa alle associazioni...

Del tutto non consequenziale rispetto al significato oggettivo del provvedimento è poi la considerazione secondo la quale «Si apre la possibilità di creare studi italiani più competitivi a livello interna-zionale», come se già oggi non vi fossero studi di questo livello o come se vi fossero divieti a costituirli, o come se non si sapesse che gli studi internazionali che operano in Italia si avvalgono di avvocati italiani. Gli avvocati italiani che volessero espandersi all’estero sono ostacolati da fattori oggettivi: dalla lingua italiana, che gli stranieri non conoscono, dal diritto italiano, che gli stranieri non apprezzano, perché scritto in una lingua che non comprendono, dall’ambiente in cui operano, perché il Paese, il sistema-giustizia, il sistema politico che abbiamo sono a torto o a ragione del tutto screditati.

I progetti di riforma delle professioni intellettuali e della di-sciplina forense

Vi è una cesura tra i progetti presentati nella passata legislatura e quelli che oggi sono in procinto di essere discussi in Parlamento, quando saranno terminate le audizioni delle categorie interessate e degli “stakeholders”: i progetti Vietti, Vietti bis, e il “maxiemenda-mento” Castelli fotografavano la situazione, apportavano quale mo-difica migliorativa, ma non introducevano principi rivoluzionari. I nuovi progetti si differenziano dai precedenti perché riformulano

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integralmente la nozione di attività professionale intellettuale, orga-nizzano il settore secondo una formula “triadica” (ordini, associazio-ni tra professionisti appartenenti agli ordini, associazioni equiparate agli ordini per le professioni non regolamentate) e “liberalizzano” il mercato riducendo al minimo il percorso formativo, semplifican-do i requisiti per accedere alla professione, contenendo il controllo deontologico sull’attività professionale, applicando ai professionisti la disciplina societaria destinata alle imprese. Vi è una sostanziale identità tra il professionista intellettuale e l’imprenditore, in nome di una malintesa nozione di concorrenza e di libertà del mercato dei servizi.

Ancor peggiore – a mio parere (esprimo un’opinione personale perché l’argomento è all’o.d.g. della prossima seduta amministrativa del Consiglio) – è il testo proposto dal Governo alla Camera dei De-putati, il disegno di legge n. 2160.

Al di là delle perplessità che può destare la tecnica legislativa – che si avvale di una delega al Governo per disciplinare la materia, mentre già il Parlamento se ne era appropriato, com’è giusto che fosse, trattandosi di materia che interessa circa quattro milioni di italiani, e costituisce la voce più rilevante del PIL del nostro Paese – l’obiezione fondamentale è che l’intervento investe tutte le profes-sioni, quelle regolamentate e quelle non regolamentate, in un quadro comune e unitario, senza fare riferimento alle specialità di ciascuna di esse, ma rinviando ai decreti delegati, cioè ad una seconda fase, che si lascia vaga nei contenuti, la regolamentazione dettagliata as-segnata alle diverse categorie. Meglio sarebbe stato allora, come si è fatto per il codice del consumo, per il codice delle assicurazioni, per il codice della proprietà intellettuale, etc., predisporre innanzitutto un codice di settore, in cui coordinare le regole e in cui preordinare principi di carattere generale. Invece, il disegno di legge assomiglia alla “Carta del Lavoro”, ma, a differenza di quella, non esprime una ideologia coerente. Basti pensare che la disciplina della concorren-za, più volte richiamata, è pensata come se la concorrenza potesse essere svolta senza riguardo alla correttezza professionale, perché le

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regole deontologiche sono affidate non alla singola categoria ma a codici il cui contenuto è genericamente prefissato in funzione della garanzia della concorrenza. Vi è poi una confusione concettuale, ol-tre che ordinamentale, tra ordini professionali e associazioni: si con-sente il passaggio degli iscritti agli albi tenuti dagli Ordini al registro degli associati delle nuove associazioni, si consente l’ingresso nella professione di giovani con un percorso formativo breve, in un qua-dro sovraffollato di espressioni generiche ed imprecise che suonano come altrettante “norme in bianco”16.

Ogni professione ha una sua propria storia, le sue proprie caratte-ristiche e le sue proprie esigenze: le regole che presiedono l’accesso alla giustizia e alla difesa dei diritti sono diverse da quelle che pre-siedono l’accesso al sistema sanitario, e così per il notariato, l’inge-gneria, e gli altri settori scientifico-professionali.

In più, la nostra categoria attende da anni che siano riformati il percorso di formazione, il tirocinio, l’esame di abilitazione, la for-mazione permanente, il processo disciplinare, e molti altri aspetti che ormai rendono urgente la riforma della legge professionale di settant’anni fa. Di qui due alternative:

o si procede, come si è fatto per i notai, con leggine ad hoc, oppu-re si procede con un disegno organico, come quello prefigurato dai congressi forensi o come quelli presentati al Senato o che potranno essere presentati alla Camera.

Le sfide della modernità

(a) L’aggiornamento culturale e professionaleSono essenzialmente tre le sfide che la modernità ha sferrato al-

l’Avvocatura: la sfida dell’aggiornamento culturale; la sfida della or-ganizzazione professionale; la sfida della collocazione sociale.

La sfida dell’aggiornamento culturale si articola in tutte le fasi

16 I giuristi sono usi a trattare le norme oscure e le norme ambigue: v. RAPOLLA, De juri-sconsulto [Napoli, 1726], a cura di I. Birocchi, Bologna, 2006, p. 289.

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in cui si educa e si forma l’avvocato nel nostro Paese. Un avvo-cato che ha frequentato l’Università e ha conseguito la laurea (ora quinquennale) in Giurisprudenza, che ha svolto due anni di tirocinio, sostituito solo in parte della Scuola (di specializzazione oppure fo-rense), che ha superato l’esame di Stato, che ha assunto, con il nuovo regolamento di aggiornamento professionale, l’obbligo di aggiornar-si permanentemente sulle leggi, la giurisprudenza, sulle tecniche di svolgimento della professione.

È questa la sfida più difficile da sostenere, perché lo iato tuttora esistente tra il bagaglio culturale che si è depositato nella mente del-l’aspirante avvocato nel corso degli anni universitari e il livello di preparazione richiesto per superare l’esame è notevole, e per poter essere colmato non sono certo sufficienti i sussidi offerti dai due tipi di Scuola, essendo comunque necessaria la diuturna applicazio-ne, uno studio severo, un controllo della rispondenza tra le nozioni acquisite e la loro pratica utilizzazione nella difesa giudiziale e nel-la attività di consulenza per poter essere sicuri che la formazione accademica non rimanga una astratta esercitazione dell’intelligenza ma si trasformi in uno strumento duttile e funzionale per poter fare fronte alle esigenze della professione.

In questo senso si è adoperato il CNF nella Commissione isti-tuita presso il MIUR per la riforma dei piani di studio delle Facoltà di Giurisprudenza, richiedendo una maggiore attenzione dei corsi e quindi dei docenti alle professioni legali. La richiesta è stata accolta solo in parte, ma nella realtà delle cose, sarebbe occorso un inter-vento assai più radicale per poter consentire ai giovani laureati di affrontare con maggior competenza e quindi con maggior serenità le prove selettive richieste per l’accesso alla professione. In sintesi, è la stessa concezione della Facoltà di Giurisprudenza che dovrebbe essere completamente modificata per adattarla alla realtà attuale e per predisporla agli adattamenti che si profilano come urgenti in un prossimo futuro. La Facoltà di Giurisprudenza forma – se così si può dire – laureati genericamente informati sulle materie giuridiche, ma certo non indirizzati in modo compiuto ad assolvere i compiti

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dei “professionisti legali”, cioè dei tre naturali sbocchi che porta-no all’Avvocatura, alla Magistratura e al Notariato. Perché la laurea triennale è stata un’esperienza fallimentare, anche se avrebbe dovuto servire a smaltire le istanze di diplomi utili per l’accesso alle carriere amministrative e agli impieghi privati di rango medio, sarebbe stato utile riflettere sulla opportunità di convogliare queste istanze in una laurea di tipo diverso, magari affiancata o inglobata in quella di Eco-nomia e Commercio, per dare corpo, attraverso corsi di “business administration” a quel giurista d’impresa (non avvocato ma addetto alle attività legali interne) che costituisce oggi un sussidio utile per chi svolge le attività economiche.

In tal modo, la Facoltà di Giurisprudenza, orientata esclusiva-mente a formare avvocati, magistrati, notai, avrebbe potuto selezio-nare adeguatamente gli iscritti, forgiati secondo i metodi tradizionali aggiornati secondo le nuove tecniche e le nuove realtà economiche, e quindi avrebbe contribuito a ridurre considerevolmente la massa d’urto dei giovani che si avviano all’Avvocatura come ad un percor-so temporaneo, accidentale, tollerabile fin tanto che una occupazione più sicura e stabile non sopraggiunga a sostituirlo. Ma per formare i giuristi professionisti occorre anche riflettere sui programmi edu-cativi, di base e specialistici. Se è vero che il modello di cultura giuridica italiana è uno tra i migliori d’Europa, è anche vero che non possiamo continuare a conservare – o almeno, soltanto a conservare – la cultura giuridica tedesca, come ultimi depositari della dogmatica pandettistica. La dogmatica è utile per formare la costruzione geo-metrica delle nozioni che stanno alla base dell’architettura del diritto (civile, amministrativo, penale), ma quella dogmatica – ormai ripu-diata dalle Università tedesche – deve essere affiancata allo studio della casistica, che consente di affondare nella realtà quotidiana le categorie giuridiche rimpolpandole della esperienza della vita vissu-ta. D’altra parte, una tradizione in questo senso già si era avviata alla fine dell’Ottocento nella Napoli di Emanuele Granturco, che attra-verso la sua Crestomazia chiamava i giovani aspiranti avvocati e gli stessi giovani avvocati, per approfondire con loro – alla luce delle

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vicende reali o ideali – la resa delle nozioni giuridiche imparate nei corsi universitari. L’impiego della case law è diventata una necessi-tà, non è più un sussidio di insegnamento complementare di qualche docente anglofilo. Il diritto vivente, la creatività giurisprudenziale, il diritto innervato nel gangli della società è il diritto che oggi si deve apprendere sui banchi di scuola e approfondire prima di accedere alla professione17, recuperandone dunque l’umanità e la società.

Il CNF, direttamente, o tramite le attività della Commissione cul-tura, della Fondazione dell’Avvocatura, del Centro di formazione, ha organizzato decine e decine di seminari e congressi, in sede e nei distretti, in collaborazione con gli Ordini e con le Associazioni, pubblicando i risultati delle riunioni e mettendoli a disposizione di quanti volessero approfondire i temi discussi18.

Particolare attenzione si è data alle innovazioni processuali, ai circa 26 riti che tuttora sono applicati, al ricorso per Cassazione, alle soluzioni alternative alla giustizia ordinaria, quali le ADR e in parti-colare alla mediazione familiare e al conciliatore bancario.

In più. Il CNF ha sollecitato gli Ordini territoriali a costituire “or-ganismi di conciliazione” per consentire agli Avvocati di avviare, presso gli Ordini, quelle iniziative di prevenzione della lite o di solu-zione amichevole della lite che consentirebbero di smaltire l’arretra-to e pure di beneficiare con l’accesso alla giustizia quanti siano in-consapevoli dei loro diritti o temano i costi eccessivi del processo.

Il CNF ha avviato la realizzazione di un congresso di aggiorna-mento con cadenza annuale: siamo alla seconda edizione, che inizie-rà domani; per tre giorni più di cento relatori, tra i massimi giuristi del nostro Paese, si alterneranno in tre canali didattici, dedicati al diritto sostanziale e processuale. Le iscrizioni hanno superato il mi-

17 GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, 2003, p. 10 ss.18 Tra le ultime pubblicazioni v. Codici deontologici e autonomia privata. Atti del semi-

nario di studi per il ventennale de “La nuova giurisprudenza civile commentata”, Milano, 2006; Il giudice e l’usp delle sentenze straniere. Atti del seminario organizzato per la ce-lebrazione del Cinquantesimo anno dell’insediamento della Corte costituzionale, Milano, 2006; Seminari di aggiornamento professionale: 1. Lex mercatoria; 2. I nuovi confini del diritto privato europeo; 3. Il diritto italiano e il diritto latino – americano, Milano, 2006.

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gliaio; sono Avvocati che da tutti gli Ordini italiani hanno voluto ap-profittare di questa opportunità, per apprendere, riflettere, discutere. Discutere di diritto, perché questo è il nostro mestiere, accantonando le preoccupazioni odierne sulla sorte delle professioni e della nostra professione, consapevoli del fatto che la miglior arma per compren-dere i nostri detrattori non è la protesta, ma la proposta, non la con-testazione ma la testimonianza della qualità morale e tecnica della prestazione.

Ancora. Per avvicinare gli Avvocati italiani al mondo anglosasso-ne, alle prassi contrattuali, al commercio internazionale, al mercato finanziario, che sono i cardini della professione forense in Inghilter-ra, il CNF ha avviato la realizzazione di un corso estivo con cadenza annuale a Londra, in collaborazione con la Law Society, il General Bar Council e gli Istituti di Londra e Oxford. Anche in questo caso la risposta degli Avvocati italiani è stata ammirevole: l’anno scorso più di cento Colleghi hanno trascorso due settimane di intenso lavo-ro, approfondendo la terminologia giuridica inglese, le categorie del common law, e venendo a contatto con l’esperienza di prestigiosi solicitors, barristers, giudici della House of Lords ed eminenti acca-demici.

Ma l’impegno culturale non finisce qui: la formazione del giurista passa anche attraverso l’esaltazione dei diritti umani, quali inelimi-nabile funzione del diritto19 in una società moderna, e attraverso i segni della globalizzazione, che lo rende una trama senza confini20. Di qui le iniziative del CNF riguardanti la cooperazione giudiziaria in ambito comunitario21 e lo studio della procedura applicata dinanzi la Corte europea dei diritti umani.

19 BOECKENFOERDE, Diritto e secolarizzazione, a cura di G. Preterossi, Roma-Bari, 2007.20 FERRARESE, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-

Bari, 2006.21 MICKLITZ, The Politics of Judicial Co-operation in the EU, Cambridge, 2005; LETTIE-

RI, Prontuario della giurisprudenza europea, datt. pubblicato sul sito della Corte europea dei diritti umani.

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(b) L’aggiornamento organizzativo professionaleDalla formazione possiamo passare alla concezione dell’avvo-

cato nella società attuale. Ecco, secondo l’orientamento maturato nell’Europa continentale, soprattutto nell’Europa del Sud, forte di radici comuni, l’avvocato non è solo un tecnico, ma è un operatore sociale. La sua professione, diffusa su tutto il territorio, va ben al di là della soluzione dei conflitti, perché l’avvocato è ormai il consu-lente di singoli e gruppi, di famiglie e di imprese, di società e orga-nizzazioni non-profit, assolvendo dunque il compito che si frappone tra l’individuo e la società, aiutando il primo ad inserirsi e ad operare proficuamente e legittimamente all’interno di essa, e questa ad evol-vere senza traumi verso i nuovi lidi aperti dalla globalizzazione. Non è necessario, per assolvere questo compito, organizzare studi profes-sionali di grandi dimensioni, mentre assai più utile è acquisire – oltre alla generale competenza – competenze specializzate, aggregate le forze e le esperienze, predisporre associazioni temporanee per fare fronte alla domanda di competenze multiple, allestire società (nei tipi consentiti) per distribuire meglio i vantaggi e i rischi creati dalla diuturna attività.

È ormai diventato un luogo comune ritenere che la polverizzazio-ne degli studi professionali costituisca uno dei fattori debolezza del-la categoria forense, una remora all’acquisizione di clientela – anche straniera – e un segno dell’arretratezza degli avvocati italiani. Ma due argomentazioni sembrano sufficienti a smentire questi assunti. In primo luogo, il confronto con le esperienze straniere. Non è vero che negli altri Paesi europei gli avvocati esercitino soltanto in grandi strutture: è appena il caso di controllare l’Annual Report per il 2005 della Law Society per accertarsi che la gran parte degli avvocati in-glesi esercitano individualmente o in associazioni di poche unità (sto facendo riferimento ai solicitors, ovviamente), mentre i barristers, come è noto, non possono neppure associarsi, se non in casi assai li-mitati. In secondo luogo, i grandi studi stranieri organizzati in forma aziendale che hanno acquisito fasce di mercato professionale italiano hanno raggiunto eccellenti risultati, non dovuti però alla loro orga-

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nizzazione aziendale, ma piuttosto al fatto che le operazioni tecniche che sono stati richiesti di realizzare da parte dei clienti italiani erano o saltuarie (si pensi alle privatizzazioni e alle cartolarizzazioni) e destinate perciò ad esaurirsi in breve tempo, oppure collegate con operazioni finanziarie da compiersi sul mercato di Londra, ed era perciò naturale che i clienti italiani si avvalessero di studi inglesi operanti in loco. Oggi la gran parte di quegli studi mantiene la sigla straniera ma è composta prevalentemente da avvocati italiani, che coniugano, all’esperienza straniera, l’esperienza e i contatti sociali maturati in Italia.

Nonostante pregevoli studi e progetti di disciplina della professio-ne forense tendano a promuovere l’adozione di tutti i tipi sociali per lo svolgimento dell’attività forense, mantenendo fermo ovviamente il principio della personalità della prestazione e della deontologia, il CNF ha assunto un atteggiamento di cautela al riguardo: ciò perché i tipi relativi alle società di capitali sono connaturati alla realizza-zione di profitti in forma d’impresa, dimensione che deve rimanere estranea all’attività professionale forense, e perché una volta adottati liberamente quei tipi appare più difficile allontanare il rischio della inclusione – si potrebbe meglio dire intrusione – nella compagine sociale del socio di mero capitale, evenienza che finirebbe per ren-dere evanescente non solo la personalità della prestazione ma anche la libertà di decisione dei soci e il governo autonomo della società. Senza dire poi che la circolazione di azioni o quote correlate con un requisito soggettivo di azionisti e quotisti si contrapporrebbe alla libera circolazione dei titoli di credito, all’ormai ridotta operatività della clausola di gradimento, e implicherebbe l’adozione di statuti societari speciali.

(c) La collocazione socialeI sociologi e gli storici hanno segnalato come al tornante del nuo-

vo millennio si siano notevolmente modificate le classi sociali: la classe media, a cui, per loro formazione, natura e tradizione, erano aggregati gli avvocati, si è notevolmente allargata e impoverità; alla

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classe borghese si è sostituita una fascia intermedia che raccoglie gran parte di quella che un tempo si definiva “aristocrazia operaia” e il ceto impiegatizio; le libere professioni, che svolgevano il ruolo delle èlites, vanno via via dissolvendosi in un magma uniforme, che tende a superare la specificità di ciascuna di esse, a presentare ca-ratteri indefiniti e comunque generalizzanti, a non costituire più la comunità intermedia che difendeva l’individuo dallo Stato – ed ora dalla globalizzazione22 massificante dei rapporti23.

L’Avvocatura subisce dunque la comprensione del sistema eco-nomico, che intende ridurre il costo delle prestazioni, assimilare gli avvocati ad impiegati, e avvalersi di chi svolge attività ripetitive; la compressione delle altre professioni, o delle associazioni di pro-fessionisti non regolamentati, che si intrudono nell’attività legale, avvalendosi del principio della libertà della consulenza, principio al quale si dovrebbe rispondere con una qualificato esercizio di atti-vità riservata; la compressione dei poteri politici, che intravedono nell’Avvocatura un ostacolo, essendo l’Avvocatura dedita – per sua essenziale costituzione – alla difesa dei diritti. Questo gioco di forze svilisce il ruolo sociale dell’Avvocatura. Ciò che non preoccupa chi mette in gioco questi fattori è la considerazione dei loro effetti, nel breve e nel lungo periodo.

22 STIGLITZ, La globalizzazione che funziona, Torino, 2006, ha trovato una formula ac-cettabile di globalizzazione che rispetta i valori della persona; ed ora v. FERRARESE, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, 2007.

23 In una letteratura pressoché sconfinata v. BECK, La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca postnazionale, Bologna, 2003; Le classi dirigenti nella storia d’Italia, a cura di Dongiovanni e Tranfaglia, Roma-Bari, 2006. Per misurare la distanza tra la realtà della categoria forense come si è venuta costruendo fino a qualche anno fa e quella attuale v. STANCATI, La Toga Lametina, pubblicato a cura dell’Ordine degli Avvocati di Lamezia Ter-me, 2004-2005; e per un tuffo nell’Ottocento, MORENO, Il galateo degli avvocati (1843), ripubblicato a cura dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, 2006.

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Il recupero del rapporto con i consumatori e l’aggiornamento della tariffa professionale

Nonostante le presupposizioni degli esponenti del Governo e del Parlamento che imputano all’Avvocatura di ritardare i processi e di vessare le imprese, al CNF non sono mai pervenuti, a mia memoria, esposti di consumatori o di associazioni di consumatori che lamen-tassero l’eccessivo livello delle tariffe o segnalassero violazioni del-l’etica professionale degli Avvocati. E tuttavia il CNF ha deliberato di istituire un “tavolo di confronto” con le associazioni dei consuma-tori per verificare in che modo le prestazioni possono essere rese più efficaci e più trasparenti.

Proprio per soddisfare l’esigenza di una ampia trasparenza ed una più agevole leggibilità delle tariffe professionali la Commissione del CNF che si occupa della materia ha elaborato un nuovo modello di ta-riffa che sarà portato all’approvazione del CNF in una delle prossime sedute, e che sarà discusso ed elaborato definitivamente insieme con il gruppo di lavoro istituito ad hoc dal Ministero della Giustizia. Il nuovo modello divide il procedimento in quattro fasi (studio della controver-sia, introduzione del giudizio, istruttoria, decisione), e fissa per ogni grado di giudizio e per ogni giudizio (civile, penale, amministrativo o tributario) una tariffa unica, dalle indennità e dai diritti, distinguendo la fase istruttoria semplice dalla fase istruttoria complessa, e facendo sì che il valore della causa non sia, attraverso la distinzione in scaglioni, oggetto di sperequazioni. Nel contempo, la nuova tariffa non prende in considerazione la durata del processo, sicché non si potrà più imputare all’Avvocato di lucrare sulla sua pendenza.

La tutela dei diritti delle donne

Il CNF ha organizzato nel 2006 un congresso nazionale con la Commissione Pari opportunità e con la collaborazione degli Ordini, delle Associazioni e dei Ministeri competenti, sui diritti della don-

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na-avvocato; e quest’anno un congresso internazionale in collabora-zione con l’Università di Enna Kore sui diritti delle donne nell’area del Mediterraneo. Il tema, ampio, e complesso, riguardava le civiltà a confronto su pari opportunità, identità e tutela delle differenze. Il congresso è stato notevole non solo per la folta partecipazione degli Avvocati ma soprattutto per l’elevatezza delle relazioni, affidate a Colleghi e Colleghe provenienti dai diversi Paesi del Mediterraneo. Valori in parte condivisi, in parte configgenti, ma tutti orientati a far sì che la donna non sia ancora discriminata per il sesso e costretta ancor oggi a vivere in soggezione nell’ambito della famiglia, in posi-zione subordinata quanto alle opportunità di lavoro, ai margini della società politica e della società civile24.

La tutela dei diritti dei soggetti deboli

La donna, nell’Avvocatura e fuori di essa, è ancora soggetto debole. Si è già detto, sopra, di come si possa intendere in diversi modi la strate-gia di difesa degli interessi dei consumatori, i quali – da soggetti ignorati dalla legge – ora sono divenuti, grazie al diritto comunitario, i prota-gonisti del mercato: le nuove strategie del capitalismo maturo creano i bisogni per poter avere un pubblico idoneo ad assorbire la produzione di beni e servizi25. Ma accanto ai soggetti deboli per ragioni di mercato, oc-corre considerare i soggetti deboli per ragioni sociali: i poveri e i nuovi poveri, resi tali dalla perdita di acquisto della moneta.

Gli avvocati non sono solo avvocati delle grandi imprese, avvo-cati delle piccole e medie imprese, e quindi il loro lavoro non può essere valutato, né il loro ruolo apprezzato, solo dal punto di vista del mercato e della dimensione economica della società26. Nell’atti-

24 V. i saluti introduttivi di Grimaldi, Alpa e Vermiglio e la Relazione di apertura di Andò, La questione femminile al centro dell’incontro tra le civiltà, datt.

25 BAUMAN, Homo consumens, (Ed. Erickosn), Trento, 2007.26 In questo senso v. MALATESTA, Professionisti e gentiluomini. Storia delle professioni

nell’Europa contemporanea, Torino, 2006, p. 106.

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vità giudiziale è di gran lunga prevalente l’assistenza alle famiglie e alle necessità della vita quotidiana, come dimostrano, nell’ambi-to dei milioni di procedimenti civili pendenti, la percentuale delle cause riguardanti i rapporti familiari, il condominio e le locazioni, il lavoro, i sinistri stradali, la compravendita di immobili. Ancora. Tutto il settore dell’immigrazione, delle discriminazioni, della vio-lazione dei diritti umani implica un impegno cospicuo dell’Avvoca-tura, come peraltro lo implica l’assistenza alle organizzazioni senza scopo di lucro27.

Le azioni di categoria e i patti di quota lite

Il disegno di legge (AC 1495) presentato dai Ministri dello Svi-luppo economico, della Giustizia e dall’Economia e delle Finanze introduce un nuovo strumento di natura processuale, intitolato azio-ne collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori.

L’art. 1 c. 1 non ha natura precettiva ma solo esplicativa, in quan-to prevede la istituzione e disciplina di una azione collettiva risarcito-ria quale nuovo strumento generale di tutela “nel quadro delle misure nazionali rivolte alla disciplina dei diritti dei consumatori e degli uten-ti” e “conformemente ai principi stabiliti dalla normativa comunitaria volti ad innalzare i livelli di tutela”. In realtà, come sopra si è sottoli-neato, fino ad oggi non si parlava di iniziative di associazioni volte alla difesa di diritti, ma solo di interessi collettivi. D’altra parte, se le as-sociazioni intendono effettuare un intervento adesivo, è loro concesso dal sistema processuale vigente. L’innalzamento dei livelli di tutela è certamente una delle priorità dei programmi pluriennali di protezione dei diritti e degli interessi dei consumatori promossi dagli organi co-munitari. Per la verità si pensa, dal punto di vista processuale, più agli organismi di conciliazione che non alle azioni collettive, dal momento che esse sono presenti solo in alcuni ordinamenti, ma non in tutti.

27 V. per tutti FACCHI, I diritti nell’Europa multiculturale, Roma-Bari, 2001.

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L’art. 1 c. 2 (ad integrazione del Codice del consumo, a cui vor-rebbe aggiungere un art. 140 bis, intitolato “azione collettiva risarci-toria”) legittima le associazioni dei consumatori, dei professionisti e le Camere di commercio (tornando quindi al novero dei soggetti di cui all’art. 37 in materia di inibitoria di clausole abusive) a richiedere la condanna al risarcimento dei danni e alla restituzione delle som-me dovute direttamente ai singoli consumatori o utenti interessati. Il provvedimento previsto non è dunque di accertamento preventivo, ma di condanna, previo ovviamente l’accertamento della lesione di diritti di una pluralità di consumatori o di utenti. Il risarcimento del danno o la restituzione di somme debbono essere conseguenza di atti illeciti commessi nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti oppure di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali ille-cite o di comportamenti anticoncorrenziali.

Se si prescinde dalla approssimazione della terminologia giuri-dica, si riesce ad intendere che l’iniziativa non può essere svolta a beneficio di un singolo interessato; che la tutela è rivolta alla prote-zione di diritti soggettivi; che tali diritti debbono essere stati violati:

(i) o nell’ambito di un rapporto contrattuale;(ii) o nell’ambito di un illecito extracontrattuale;(iii) o nell’ambito di pratiche commerciali illecite;(iv) o nell’ambito di comportamenti anticoncorrenziali.Mentre è comprensibile il significato di “risarcimento del danno”

nel senso che i soggetti di cui sopra sono legittimati con un ruolo di sostituti processuali ad agire in giudizio, e non fanno quindi valere né interessi propri né interessi diffusi, collettivi o di categoria, ma di diritti di soggetti che siano stati pregiudicati nei settori di cui si dirà, meno comprensibile è la “restituzione di somme”; la restituzio-ne dovrebbe derivare da un pagamento indebito; ma allora non si è più nell’ambito di un illecito.

Per quanto riguarda le “pratiche commerciali illecite” occorre in-tendersi: la direttiva ad essa relative è stata appena approvata, ma non ancora attuata; e i comportamenti già ora considerati “commer-cialmente illeciti” sono per il momento repressi senza ricorrere al

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risarcimento del danno o alla restituzione di somme: è il caso, ad es., dei messaggi pubblicitari ingannevoli.

Per quanto riguarda i comportamenti anticoncorrenziali l’art. 33 della l. antitrust, oltre all’inibitoria, consente ai singoli consumatori di chiedere il risarcimento del danno (Cass. SS.UU., 4.2.2005, n. 2207). Ma non è stato definito né il criterio di collegamento causale tra l’intesa anticoncorrenziale e contratti “a valle”, né il suo ammon-tare.

L’ambito di applicazione si chiude qui e quindi i suoi confini sono assai nebulosi: spetterà a dottrina e giurisprudenza, in caso di appro-vazione sic et simpliciter del testo, di chiarire le incertezze norma-tive.

Il disegno di legge in esame prosegue, sempre nel testo dell’art. 140 bis, dettando regole di natura processuale.

Il c. 2 sub c. 2 prevede che l’atto con cui il soggetto abilitato pro-muove l’azione di gruppo (che si presume sia la medesima azione collettiva di cui al comma precedente “produce gli effetti interrut-tivi della prescrizione (...) anche con riferimento ai diritti di tutti i singoli consumatori o utenti conseguenti al medesimo fatto o viola-zione”. Un “diritto conseguente ad un fatto” è espressione sibillina; si presume che si voglia fare riferimento alla lesione di un diritto istituito nell’ambito dei rapporti afferenti i quattro settori in cui si ripartisce l’ambito di applicazione della normativa in esame. In ogni caso, l’azione ha effetto interruttivo della prescrizione dei diritti di cui sono titolari tutti i consumatori, cioè – si immagina – tutti i sog-getti che si trovino nelle medesime situazioni previste dall’azione promossa, cioè tutti gli appartenenti al gruppo e alla classe o alla categoria. Ma il disegno di legge non indica i criteri con cui defi-nire gli appartenenti al gruppo alla classe o alla categoria. L’azione collettiva si sta trasformando in una class action, pur essendo i due strumenti assai diversi tra loro. La class action è promossa da sog-getti individui portatori dei diritti lesi, mentre l’azione collettiva è promossa da associazioni esponenziali.

Il c. 2 sub c. 3 riguarda la sentenza di condanna. Nulla si dice a

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proposito dei suoi effetti rispetto ai consumatori danneggiati: cioè chi possa avvalersene, se si tratti di un sistema op-in oppure opt-out, e così via. Semplicemente la sentenza vale come titolo per ingiun-zione di pagamento (c. 2 sub c. 8).

Le altre disposizioni riguardano gli accordi transattivi e la conci-liazione.

Gli studiosi di diritto processuale civile si sono diffusi nel distin-guere le azioni collettive dalle class actions, hanno lasciato da parte le azioni per la difesa di interessi diffusi, tema sul quale si erano concentrati gli studi a metà degli anni Settanta, quando fu costruita questa nuova categoria di interessi e si studiarono le tecniche pro-cessuali per la loro difesa (interessi collegati all’ambiente e al settore dei consumi).

Ma si trattava già allora di studi corroborati dal diritto compara-to. Si discuteva sulla possibilità di trapiantare le regole processuali statunitensi nel nostro ordinamento, si parlava di standing di quali-ficazione dei caratteri dei soggetti appartenenti alla classe, di effica-cia della res iudicata, di estensibilità della sentenza anche nel caso avesse effetti negativi, di “stadi” del processo (accertamento delle condizioni, domanda del singolo), e così via. Se si vuol rimanere in un ambito più usuale, facendo ricorso alle azioni collettive, occorre-rebbe normativamente aggiungere di più a ciò che già è praticabile sulla base delle regole processuali attuali, e, soprattutto, chiarire i dubbi interpretativi e colmare le lacune.

Non mi addentro negli argomenti di politica del diritto. Mi chiedo – dal punto di vista della legittimazione ad agire – se tra le associa-zioni professionali possano essere compresi gli Ordini forensi, e il Consiglio Nazionale Forense come “associazione di associazioni” (secondo l’accezione comunitaria degli Ordini professionali). Mi chiedo il ruolo dell’avvocato che “costruisca” l’azione collettiva in-sieme con i soggetti legittimati, e se il collegamento, volto non alla raccolta di adesioni e di mandati (perché siamo in un caso di azio-ne collettiva, non di class action) ma alla difesa dei diritti mediante

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il sostituto processuale-associazione possa essere configurato come accaparramento di clientela; come l’associazione possa individuare i diritti soggettivi individuali da difendere collettivamente se non attraverso avvisi pubblici; e come si debbano calcolare i compensi sia nel caso di procedimento giunto al termine, sia nel caso di transa-zione, sia nel caso di conciliazione.

Dal punto di vista deontologico emergono molte questioni di cui il CNF dovrà occuparsi.

Ma innanzitutto, ci si dovrà porre la questione dell’accaparramen-to della clientela nel caso in cui il legislatore opinasse per la scelta del modello americano delle class actions. Come potrà fare l’avvocato a promuovere l’azione se non avvalendosi dei mezzi di comunicazio-ne, di Internet, di inviti ad aderire, rivolti alla generalità dei cittadi-ni? E che cosa prometterà a chi volesse aderire? E come regolerà la ripartizione dei profitti in caso di vittoria? L’esperienza statunitense, da cui provengono i patti di quota lite e le azioni di classe registra gli esiti nefasti che questi due fattori – singolarmente considerati e uniti tra loro – abbiano finito per scatenare una torbida litigiosità28. D’altra parte, che cosa ci possiamo attendere, sotto il profilo etico, da una società che, apparentemente dominata dalle credenze religiose, con-sente la compravendita del sangue, la compravendita di organi vitali, il contratto di maternità surrogata, il rifiuto di prestazioni mediche d’urgenza in caso di insolvibilità del paziente?

I pericoli di una divisione mercantile della professione

La visione mercantile della professione29 che vorrebbe trasforma-re tutti gli avvocati in famelici esecutori delle direttive dei poteri economici forti, disumanizzati da una concorrenza senza confini, e resi altrettanti numeri di studi di enormi dimensioni, nei quali la

28 OLSON, The Rule of Lawyers. How the New Litigation Elite Threatens America’s Rule of Law, New York, 2003.

29 DESALAY, I mercanti del diritto, Milano, 1997.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

personalizzazione della prestazione verrebbe ad essere confusa con la meccanica applicazione alla catena di montaggio, può essere un wishful thinking di quanti intendono svuotare, deprimere, avvilire la professione forense, ma non corrisponde ancora alla realtà odierna e dobbiamo lottare perché questo disegno non sia portato a compi-mento.

Inconcussa vigeat

Vengo alla conclusione. In una delle sale del Palazzo ducale di Genova, adibito fino a qualche decennio fa a Palazzo di Giustizia, sono riprodotte le immagini delle virtù cardinali, e tra esse la figura della Giustizia. Il pittore – Giovanni Andrea De Ferrari, vissuto nel Seicento – l’ha dipinta con le fattezze di una donna che indossa la corazza, con la mano destra regge la bilancia, con la sinistra il gladio dietro il quale occhieggia una cornucopia dell’abbondanza, a signi-ficare che la giustizia, se efficiente, dà buoni e copiosi frutti; sotto il gladio la donna regge un librone, è il libro della legge, sul quale è inciso a caratteri cubitali il motto: “INCONCUSSA VIGEAT”. La Giustizia, se è vera giustizia, non può esser concussa; ma la Giusti-zia va di pari passo con l’Avvocatura: anche l’Avvocatura non può essere delegittimata, avvilita, oppressa. Credo che il motto possa co-stituire un buon avvertimento ma anche uno scudo per questi tempi procellosi.

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Delibera del Consiglio Nazionale Forensedi approvazione del regolamento

per la formazioneSeduta amministrativa del 18.1.2007

Considerato- che al Consiglio Nazionale Forense e ai Consigli dell’Ordine de-

gli Avvocati è affidato il compito di tutelare l’interesse pubbli-co al corretto esercizio della professione e quello di garantire la competenza e la professionalità dei propri iscritti, nell’interesse della collettività;

- che al Consiglio Nazionale Forense è attribuito dall’ordinamento professionale il potere di determinare i principi della deontolo-gia professionale e le sue deliberazioni costituiscono regolamenti adottati in forza di un autonomo potere che ripete la sua disciplina da leggi speciali, in conformità dell’art. 3 delle disposizioni sulla legge in generale;

- che è dovere dell’avvocato svolgere la propria attività profes-sionale nel rispetto dei principi imposti dall’appartenenza alle organizzazioni professionali comunitarie e di quelli stabiliti dal-l’ordinamento interno, nonché dei principi individuati dal codice deontologico forense;

- che, in particolare, il preambolo del codice deontologico forense affida all’avvocato il compito di tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo, in tal modo, all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia;

- che l’art. 12 del Codice deontologico forense impone all’avvoca-to il dovere di competenza;

- che l’art. 13 del Codice deontologico forense dispone: «È dovere dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione pro-fessionale, conservando e accrescendo le conoscenze con parti-colare riferimento ai settori nei quali svolga l’attività.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

I. L’avvocato realizza la propria formazione permanente con lo studio individuale e la partecipazione a iniziative culturali in campo giuridico e forense.

II. È dovere deontologico dell’avvocato quello di rispettare i rego-lamenti del Consiglio nazionale forense e del Consiglio dell’Ordine di appartenenza concernenti gli obblighi e i programmi formativi»;

- che l’esercizio della funzione di avvocato, stante la continua produzione normativa e il progressivo affinarsi dei canoni di inter-pretazione del diritto, impone la necessità di un costante aggiorna-mento, al fine di assicurare la più elevata qualità della prestazione professionale ha approvato il seguente regolamento:

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

REGOLAMENTO PER LA FORMAZIONE PERMANENTE

ARTICOLO 1Formazione professionale continua

Tutti gli avvocati iscritti all’Albo hanno l’obbligo deontologico di mantenere e migliorare la propria preparazione professionale, curan-done l’aggiornamento.

A tal fine, essi hanno il dovere di partecipare alle attività di forma-zione professionale continua disciplinate dal presente regolamento, secondo le modalità ivi indicate.

Con l’espressione “formazione professionale continua” si inten-de ogni attività di aggiornamento, accrescimento e approfondimento delle conoscenze e delle competenze professionali, mediante la par-tecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico e forense.

ARTICOLO 2Durata e contenuto dell’obbligo

L’obbligo di formazione decorre dalla data di iscrizione all’albo

L’anno formativo coincide con quello solare.Il periodo di valutazione della formazione continua ha durata

triennale.L’unità di misura della formazione continua è il “credito formativo”.Ai fini dell’assolvimento degli obblighi di cui all’art. 1, ogni

iscritto deve conseguire nel triennio almeno n. 90 crediti formativi, che sono attribuiti secondo criteri indicati nei successivi artt. 3 e 4, di cui almeno n. 20 crediti formativi debbono essere conseguiti in ogni singolo anno formativo.

Ogni iscritto sceglie liberamente gli eventi e le attività formative da svolgere, in relazione ai settori di attività professionale esercitata, nell’ambito di quelle indicate ai successivi articoli 3 e 4, ma almeno n. 5 crediti formativi annuali devono derivare da attività ed eventi forma-tivi aventi ad oggetto l’ordinamento professionale e la deontologia.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

La verifica dell’adempimento del dovere di formazione continua è esercitata dai Consigli dell’Ordine con le modalità previste dal suc-cessivo art. 8.

L’adempimento dell’obbligo formativo costituisce presupposto per l’indicazione del settore di attività prevalente ai sensi dell’art. 17 bis del codice deontologico.

ARTICOLO 3Eventi formativi

Integra assolvimento degli obblighi di formazione professionale continua la partecipazione effettiva agli eventi di seguito indicati, promossi, organizzati, o accreditati anche stabilmente dal Consiglio Nazionale Forense e dai Consigli dell’Ordine e dalla Cassa Naziona-le di previdenza forense:

a) corsi di aggiornamento e masters, anche eseguiti con modalità telematiche nei limiti in cui sia possibile il controllo della partecipazione;

b) seminari, convegni, giornate di studio e tavole rotonde;c) commissioni di studio, gruppi di lavoro istituiti dagli organismi

sopra elencati o da organismi nazionali ed internazionali della cate-goria professionale;

d) gli altri eventi individuati dal Consiglio Nazionale Forense e dai Consigli dell’Ordine.

La partecipazione agli eventi formativi sopra indicati attribuisce n. 3 cerditi formativi per ogni metà giornata di partecipazione, con il limite massimo di n. 9 crediti per la partecipazione ad ogni singolo evento formativo.

La partecipazione agli eventi di cui alle lettere a) e b) promossi od organizzati da altri enti, istituzioni, associazioni forensi od orga-nismi pubblici o privati dà luogo al conseguimento dei medesimi crediti formativi, ove gli eventi stessi siano stati preventivamente ac-creditati dal Consiglio nazionale forense o dai Consigli dell’Ordine.

L’accreditamento viene concesso valutando la tipologia e la qua-lità dell’evento formativo, nonché gli aggiornamenti trattati.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

ARTICOLO 4Attività formative

Integra assolvimento degli obblighi di formazione professionale continua lo svolgimento delle attività di seguito indicate:

a) relazioni o lezioni negli eventi formativi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 3, ovvero nelle scuole forensi o nelle scuole di specializ-zazione per le professioni legali;

b) pubblicazioni in materia giuridica su riviste specializzate a dif-fusione nazionale, ovvero pubblicazioni di libri, saggi, monografie o trattati, anche come opere collettanee, su argomenti giuridici;

c) docenze in materie giuridiche in Università, in istituti univer-sitari ed enti equiparati;

d) partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato di avvocato.Il Consiglio dell’Ordine attribuisce i crediti formativi per le at-

tività sopra indicate, tenuto conto della natura della attività svolta e dell’impegno dalla stessa richiesto, con il limite massimo di n. 6 crediti per le attività di cui alla lettera a), di n. 6 crediti per le attività di cui alla lettera b), di n. 15 crediti per le attività di cui alla lettera c) e di n. 12 per le attività di cui alla lettera d).

ARTICOLO 5Esoneri

Sono esonerati dagli obblighi formativi, relativamente alle mate-rie di insegnamento, i docenti universitari di ruolo, di prima e secon-da fascia, nonché i ricercatori con incarico di insegnamento.

Il Consiglio dell’Ordine, su domanda dell’interessato, può eso-nerare, anche parzialmente, per gravi motivi, l’iscritto dallo svolgi-mento dell’attività formativa.

Nei casi di:- maternità- grave malattia o infortunio- interruzione per un periodo non inferiore a sei mesi dell’attività

professionale- altre ipotesi indicate dal Consiglio Nazionale Forense.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

L’esonero può essere accordato limitatamente al periodo in cui l’impedimento si verifica.

All’esonero consegue la riduzione dei crediti formativi da acqui-stare nel corso del triennio, proporzionalmente alla durata dell’eso-nero.

ARTICOLO 6Adempimenti degli iscritti e inosservanza

dell’obbligo formativo

Ciascun iscritto deve depositare, a richiesta del Consiglio del-l’Ordine al quale è iscritto, una sintetica relazione che certifica il per-corso formativo seguito nell’anno precedente, indicando gli eventi formativi seguiti e documentando le attività formative svolte.

Costituisce illecito disciplinare il mancato adempimento dell’ob-bligo formativo e la mancata o infedele certificazione del percorso formativo seguito.

La sanzione è commisurata alla gravità della violazione.

ARTICOLO 7Attività del Consiglio dell’Ordine

Ciascun Consiglio dell’Ordine dà attuazione alle attività di forma-zione professionale e vigila sull’effettivo adempimento dell’obbligo formativo da parte degli iscritti nei modi e con i mezzi ritenuti più opportuni, regolando le modalità del rilascio degli attestati di parte-cipazione agli eventi formativi organizzati dallo stesso Consiglio.

In particolare, i Consigli dell’Ordine, entro il 30 novembre di ogni anno, predispongono, anche di concerto tra loro, un programma degli eventi formativi che intendono organizzare nel corso dell’anno solare successivo, indicando i crediti formativi attribuiti per la parte-cipazione a ciascun evento. Nel programma annuale devono essere previsti eventi formativi aventi ad oggetto l’ordinamento professio-nale e la deontologia.

I Consigli dell’Ordine realizzano il programma, anche di con-certo con altri Consigli dell’Ordine e favoriscono, ove possibile, la

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

formazione gratuita, utilizzando risorse proprie o quelle ottenibili da sovvenzioni o contribuzioni erogate da enti finanziatori pubblici o privati per la partecipazione agli eventi formativi.

Entro il 30 novembre di ogni anno, i Consigli dell’Ordine sono tenuti a comunicare al Consiglio Nazionale Forense una relazione che illustri il programma formativo dell’anno solare e indichi i criteri e le finalità cui il Consiglio si è attenuto nella predisposizione del programma stesso.

ARTICOLO 8Controlli del Consiglio dell’Ordine

Il Consiglio dell’Ordine verifica l’effettivo adempimento dell’ob-bligo formativo da parte degli iscritti, secondo le modalità che do-vranno essere contenute nella relazione illustrativa del programma formativo, di cui al precedente art. 7, attribuendo agli eventi e alle attività formative documentate i crediti formativi secondo i criteri indicati dagli artt. 3 e 4.

Ai fini della verifica, il Consiglio dell’Ordine può chiedere al-l’iscritto e ai soggetti che hanno organizzato gli eventi formativi chiarimenti e documentazione integrativa.

Ove i chiarimenti non siano forniti e la documentazione integra-tiva richiesta non sia depositate entro il termine di giorni 20 dalla richiesta, il Consiglio non attribuisce crediti formativi per gli eventi e le attività che non risultino adeguatamente documentate.

Per lo svolgimento di tali attività, il Consiglio dell’Ordine può av-valersi di apposita commissione, costituita anche da avvocati esterni al Consiglio. Ove il Consiglio si sia avvalso di tale facoltà, il parere espresso dalla commissione è obbligatorio, ma può essere disatteso dal Consiglio con deliberazione motivata.

ARTICOLO 9Attribuzioni del Consiglio Nazionale Forense

Il Consiglio Nazionale Forense promuove ed indirizza lo svol-gimento della formazione professionale continua, individuandone

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

i nuovi settori di sviluppo e favorisce l’ampliamento dell’offerta formativa, anche organizzando direttamente, o per il tramite della Fondazione dell’Avvocatura Italiana e del Centro per la Formazione, eventi formativi.

Il Consiglio Nazionale Forense, anche avvalendosi della Fonda-zione dell’Avvocatura Italiana e del Centro per la Formazione, assi-ste i Consigli dell’Ordine nella predisposizione e nell’attuazione dei programmi formativi e vigila sull’adempimento da parte dei Consi-gli delle incombenze ad essi affidate.

Il Consiglio Nazionale Forense valuta le relazioni trasmesse dai Consigli dell’Ordine a norma del precedente art. 7, esprimendo il proprio parere sull’adeguatezza dei programmi formativi organizzati dai Consigli dell’Ordine, eventualmente indicando le modifiche che vi debbano essere apportate, con l’obiettivo di assicurare l’effettività e l’uniformità della formazione continua.

Il parere del Consiglio Nazionale Forense deve essere espresso entro il termine di quaranta giorni dalla presentazione delle relazio-ni; diversamente il programma formativo si intende approvato.

In caso di parere negativo, il Consiglio dell’Ordine è tenuto nei trenta giorni successivi a trasmettere un nuovo programma formati-vo, che tenga conto delle indicazioni e dei rilievi formulati dal Con-siglio Nazionale Forense.

ARTICOLO 10Norme di attuazione

Il Consiglio Nazionale Forense emana le norme di attuazione e coordinamento che si rendessero necessarie in sede di applicazione del presente regolamento.

ARTICOLO 11Entrata in vigore

Il presente regolamento entra in vigore dal 1 luglio 2007.Il primo periodo di valutazione della formazione continua decorre

dal 1 gennaio 2008.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

Relazione sul regolamento per la formazione continua

della professione di Avvocato

Il dibattito sull’esigenza di adottare, anche per la professione di avvocato, un regolamento che sancisse il dovere di aggiornamento, mediante l’adozione di regole idonee a garantire un adeguamento continuo della cultura professionale, era aperto da anni nell’avvo-catura.

Alcuni anni fa la questione era stata ampiamente discussa nel cor-so di un Congresso tenutosi ad Ancona. Tuttavia, l’esito della discus-sione finì con il mortificare ogni iniziativa volta a sperimentare un sistema di formazione continua. Le polemiche suscitate dal dibattito, l’affermazione che un regolamento ad hoc avrebbe dato luogo ad una struttura meramente burocratica, incapace di dar contenuto ad una iniziativa che pareva velleitaria, la tesi, da più parti prospetta-ta, che lo studio individuale rappresenta l’unico vero strumento for-mativo del professionista legale, costrinsero il Consiglio nazionale forense a ripensare l’iniziativa, che, come sovente accade, finì con l’essere accantonata.

Accantonare l’idea non valse, tuttavia, a risolvere la questione, che non soltanto rimaneva aperta, ma che anzi esigeva, con evidenza sempre maggiore, di essere affrontata.

Affrontare non significa, o non significa sempre, risolvere. Ma il timore di affrontare una questione così delicata e, al tempo stesso, così rilevante per le sorti della professione e per la sua dignità, se non si evolve nella prudente ricerca di una soluzione, diventa il se-gno di una irragionevole rinuncia, se non di una abdicazione al ruolo che il Consiglio nazionale, e con esso il sistema ordinistico, riveste nella struttura della professione forense.

L’Ordinamento riconosce alla nostra professione, in ragione della

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

sua funzione attiva nell’esercizio della giurisdizione, del suo ruolo inteso alla tutela dei diritti individuali e collettivi, del suo contributo essenziale per la realizzazione del sistema di garanzie previsto dalla Costituzione, autonomia e libertà e, quindi, la capacità di autode-terminarsi, in funzione del raggiungimento di quei fini che lo stesso Ordinamento ha inteso raggiungere, mediante la costruzione di un sistema fondato sugli Ordini e sul Consiglio nazionale: di un sistema, cioè, fondato su enti pubblici, ai quali lo Stato affida il controllo della categoria profes-sionale, attribuendo loro il compito di accertare che gli iscritti all’albo ri-spettino i doveri imposti dalla professione ed assegnando loro la funzione della tutela pubblica dell’affidamento che i cittadini debbono riporre nei soggetti che ottengono l’iscrizione all’albo professionale.

Fra i tanti doveri che l’Ordinamento pone a carico del professio-nista forense vi è, forse prima di ogni altro, quello della competenza. Che senso mai avrebbe affidare ad una categoria professionale che non cura la propria competenza, che non ha approfondita conoscenza delle norme, che non si fa carico di seguire l’evoluzione giurispru-denziale nella loro applicazione, che trascura di valutare il significa-to della loro collocazione sistematica, il compito di difendere i diritti dei cittadini davanti al giudice e davanti ad ogni altra Autorità?

Per queste ragioni, dopo una lunga pausa di riflessione, il Consi-glio nazionale dedicò nuova attenzione al problema della formazio-ne professionale ed all’idea di favorirne e di controllare il continuo adeguamento.

Frattanto, si andavano moltiplicando i segni che un’ulteriore atte-sa non era tollerabile.

Tutti gli Ordini professionali e fra questi i dottori commerciali-sti, i ragionieri, i medici, i farmacisti, i geometri, i notai, i reviso-ri contabili avevano adottato propri regolamenti di disciplina della formazione professionale continua, intesa, come si legge all’art. 1 del regolamento approvato dal Consiglio nazionale dei dottori com-mercialisti, quale «attività di aggiornamento e di approfondimento, in forma collettiva, delle conoscenze e delle competenze tecniche sulle materie oggetto di esercizio di attività professionale, che non

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

sostituisce, ma integra, lo studio e l’approfondimento individuali, che sono presupposti per l’esercizio dell’attività professionale».

Per ognuna delle professioni indicate, la formazione continua ha trovato la propria disciplina in regolamenti approvati dai Consigli nazionali e nessuno ha mai dubitato che essi difettassero del potere di dettare norme vincolanti per i professionisti appartenenti alla ca-tegoria da essi governata.

Del resto, il dubbio sulla legittimità dell’integrazione, ad opera del Consiglio nazionale forense, delle norme che dettano i principi della professione e che disciplinano i doveri dell’avvocato e sulla natura cogente di tale integrazione è stato da tempo risolto dalla giurispru-denza. Ed invero, la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha affermato la legittimità dell’integrazione delle clausole generali, contenute nella legge, con il ricorso a fonti normative diverse, anche di rango in-fralegislativo, rilevando che l’Ordinamento professionale affida agli organi deputati all’esercizio della funzione disciplinare il potere di adattare la previsione legale astratta ai casi concreti, facendo riferi-mento a regole già contenute in specifiche previsioni di legge o de-sunte da canoni di condotta condivisi dalla collettività, o da principi deontologici dettati dai singoli ordinamenti professionali.

In sintesi, la Suprema Corte ha affermato che l’autogoverno della professione si realizza attraverso l’attribuzione all’autonomia degli Ordini professionali, enti esponenziali della categoria, sia del potere di applicare in via amministrativa (i consigli dell’ordine locali) e giurisdizionale (il Consiglio nazionale forense) le sanzioni previste dalla legge, sia della funzione di produzione normativa all’interno della categoria, attraverso l’enunciazione delle regole di condotta che i singoli iscritti sono tenuti ad osservare nello svolgimento del-l’attività professionale (cfr. Cass. civ., sez. Unite, 6 giugno 2002, n. 8225).

Sul punto, si è pronunciata, anche recentemente, la Corte di Cas-sazione a sezioni Unite, con sentenza 3 maggio 2005, n. 9097: af-frontando l’eccezione di illegittimità costituzionale del complesso normativo contenuto nel codice deontologico forense, la Suprema

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

Corte la ha dichiarata manifestamente infondata, sull’assunto che le deliberazioni con le quali il Consiglio nazionale forense procede alla determinazione dei principi di deontologia professionale e delle ipo-tesi di violazione degli stessi, costituiscono regolamenti adottati da una Autorità non statuale, in forza di un autonomo potere in materia, che ripete la sua disciplina da leggi speciali, in conformità dell’art. 3, comma 2, delle disposizioni sulla legge in generale.

* * * * *

Molte avvocature straniere hanno, da tempo, adottato sistemi di formazione permanente, con la finalità di assicurare l’aggiornamen-to e il perfezionamento delle conoscenze necessarie all’esercizio della professione e il CCBE, l’Organismo europeo che raccoglie la rappresentanza di tutte le avvocature nazionali, a ciò sollecitato dalla maggioranza delle delegazioni che lo compongono, ha organizzato un gruppo di lavoro, con il fine di studiare le diverse modalità con cui ciascun Paese ha disciplinato la formazione e con lo scopo di re-digere un comune schema di “continuing training”, al quale dovran-no adeguarsi le strutture professionali dei diversi Paesi appartenenti alla Comunità.

Allineandosi ai recenti orientamenti emersi in sede comunitaria, i più recenti disegni e progetti di legge sulla riforma delle professioni in generale e quelli che concernono la professione di avvocato pre-vedono l’obbligo della formazione permanente, l’istituzione di corsi finalizzati alla qualificazione professionale ed alla specializzazione. Infine, la legge 4 agosto 2006 n. 248, che ha convertito in legge il d.l. 4 luglio 2006, n. 223, ha statuito, all’art. 2, comma 3, che le dispo-sizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che con-tengono le prescrizioni di cui al comma 1 fossero adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007.

Le considerazioni sopra esposte, l’evoluzione delle norme inter-ne, gli orientamenti emergenti in sede comunitaria ed, infine, il fatto che alcuni Ordini locali, raccogliendo i segnali che provenivano dal

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

dibattito da tempo avviato dal Consiglio nazionale forense con gli Ordini territoriali, avevano inteso anticipare, in sede locale, inizia-tive tendenti a rendere obbligatoria la formazione continua, hanno indotto il Consiglio a rompere gli indugi e a superare le resistenze provenienti da quelle fasce meno evolute della professione, che sono sorde ad ogni sollecitazione volta a modernizzare la professione e a rendere più trasparente il controllo sulla qualità tecnica del servizio reso dal professionista.

* * * * *

Il codice deontologico forense, già nella sua precedente formula-zione, prevedeva il dovere di competenza (art. 12) e quello di aggior-namento professionale (art. 13). Quest’ultima norma stabiliva che «è dovere dell’avvocato curare costantemente la propria prepara-zione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali è svolta l’attività profes-sionale, disponendo al canone I che la preparazione del professio-nista forense si realizza, oltre che con lo studio individuale, con la partecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico e forense». La norma, con la revisione approvata il 26 gennaio 2006, è stata completata con l’introduzione di un ulteriore canone, che sancisce il «dovere deontologico di rispettare i regolamenti del Consiglio na-zionale forense e del Consiglio dell’Ordine di appartenenza concer-nenti gli obblighi e i programmi formativi».

La norma, così come riformulata, risponde in modo più trasparen-te alla funzione che l’Ordinamento attribuisce al Consiglio Naziona-le Forense e agli Ordini territoriali di tutelare l’interesse pubblico al corretto esercizio della professione e di assicurare la competenza e la professionalità dei propri iscritti, nell’interesse della collettività e dei soggetti che si rivolgono al professionista per ottenere la tutela dei loro diritti lesi.

Adempiendo, dunque, alla funzione sopra indicata, il Consiglio nazionale ha adottato un regolamento, i cui requisiti si possono sin-tetizzare come segue:

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

- La formazione continua è obbligatoria per tutti coloro che siano iscritti all’albo professionale; ogni iscritto è tenuto, quindi, a com-piere attività di aggiornamento, accrescimento e approfondimento delle conoscenze e delle competenze professionali, mediante la par-tecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico forense.

- Ogni professionista è tenuto a conseguire, nell’ambito di un triennio, almeno 90 crediti formativi, attribuiti secondo i criteri indi-cati negli artt. 3 e 4 del regolamento, ed almeno 20 crediti formativi debbono essere conseguiti ogni singolo anno solare.

- Ogni iscritto ha la facoltà di scegliere liberamente gli eventi e le attività formative da svolgere, in relazione ai settori di attività pro-fessionale esercitata, ma almeno 5 crediti formativi annuali debbono derivare da attività ed eventi formativi aventi ad oggetto l’ordina-mento e la deontologia.

- L’adempimento dell’obbligo formativo costituisce presupposto per l’indicazione del settore di attività prevalente ai sensi dell’art. 17 bis del codice deontologico.

- Sono esonerati dagli obblighi formativi, relativamente alle ma-terie di insegnamento, i docenti universitari di ruolo, di prima e se-conda fascia, nonché i ricercatori con incarico di insegnamento.

Il Consiglio dell’Ordine, su domanda dell’interessato, può esone-rare, anche parzialmente, per gravi motivi, singoli iscritti dallo svol-gimento dell’attività formativa, mentre, in caso di maternità, grave malattia o infortunio, interruzione dell’attività professionale per un periodo non inferiore a sei mesi o in altre ipotesi indicate dal Consi-glio Nazionale Forense, l’esonero può essere accordato limitatamen-te al periodo in cui l’impedimento si verifica.

All’esonero consegue la riduzione dei crediti formativi da acqui-sire nel corso del triennio, proporzionalmente alla durata dell’eso-nero.

- Il mancato adempimento dell’obbligo formativo e la mancata o infedele certificazione del percorso formativo seguito costituiscono illecito disciplinare, sanzionato a seconda della gravità della viola-zione commessa.

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

- Integra assolvimento degli obblighi di formazione professionale continua la partecipazione effettiva agli eventi promossi, organizza-ti, o accreditati anche stabilmente dal Consiglio Nazionale Forense e dai Consigli dell’Ordine che consistano in:

a) corsi di aggiornamento e masters, anche eseguiti con modalità tele-matiche nei limiti in cui sia possibile il controllo della partecipazione;

b) seminari, convegni, giornate di studio e tavole rotonde;c) commissioni di studio, gruppi di lavoro istituiti dagli organismi

sopra elencati o da organismi nazionali ed internazionali della cate-goria professionale;

d) in altri eventi specificatamente individuati dal Consiglio Na-zionale Forense e dai Consigli dell’Ordine.

La partecipazione a corsi di aggiornamento, masters, seminari, convegni, giornate di studio, che siano stati promossi od organizzati da enti, istituzioni, associazioni forensi od organismi o privati dà luogo al conseguimento dei medesimi crediti formativi, sempre che gli eventi siano stati accreditati dal Consiglio nazionale forense o dai Consigli dell’Ordine, previa valutazione della tipologia e della qualità dell’evento formativo.

- Integra, inoltre, assolvimento degli obblighi di formazione pro-fessionale continua lo svolgimento di:

a) relazioni o lezioni negli eventi formativi di cui alle lettere a) e b) dell’art. 3, ovvero nelle scuole forensi o nelle scuole di specializ-zazione per le professioni legali;

b) pubblicazioni in materia giuridica su riviste specializzate a dif-fusione nazionale, ovvero pubblicazioni di libri, saggi, monografie o trattati, anche come opere collettanee, su argomenti giuridici;

c) docenze in materie giuridiche in Università, in istituti universi-tari ed enti equiparati;

d) partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato di av-vocato.

- Il controllo della formazione continua è affidato ai Consigli del-l’Ordine, che, per lo svolgimento di tali attività, possono avvalersi di apposita commissione, costituita anche da avvocati esterni al Consi-

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CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

glio. In tal caso il parere espresso dalla commissione è obbligatorio, ma può essere disatteso solo con deliberazione motivata.

- Il Consiglio nazionale forense ha il compito di promuovere ed indirizzare lo svolgimento della formazione professionale continua, individuandone i nuovi settori di sviluppo e favorendo l’ampliamen-to dell’offerta formativa anche gratuita. Il Consiglio nazionale, an-che avvalendosi delle strutture formative ad esso collegate, assiste i Consigli dell’Ordine nella predisposizione e nell’attuazione dei pro-grammi formativi e vigila sull’adempimento da parte dei Consigli dell’Ordine delle incombenze ad essi affidate.

In ragione della novità della disciplina regolamentare introdotta e della prevedibili difficoltà che potrebbero sorgere in sede di prima applicazione del regolamento, il Consiglio nazionale si è riservato di emanare le norme di attuazione e coordinamento che si rendessero necessarie, all’esito della prima fase di sperimentazione.

Non si possono, ovviamente, ignorare o sottovalutare le difficoltà che insorgeranno in sede di applicazione del regolamento e le re-sistenze che alcune frange della categoria professionale potranno opporre alla sua applicazione. Tuttavia il regolamento costituirà un forte stimolo alla promozione della cultura professionale, favorirà la preparazione dell’avvocato, adeguandola al progressivo affinarsi dei canoni di interpretazione del diritto e contribuirà, così, ad assicurare una migliore qualità della prestazione professionale, rafforzando e elevando la considerazione sociale di cui il professionista forense deve godere, nell’adempimento della funzione che l’Ordinamento gli attribuisce.

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135 Quaderni

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE

Rinnovo delle cariche sociali

Si è tenuta il 15 ed il 16 marzo scorso la riunione del Comitato dei Delegati che aveva il compito di procedere al rinnovo delle cariche sociali con riferimento al Presidente ed a 5 componenti del Consiglio di Amministrazione, elezione che si tiene con cadenza biennale.

Com’è noto, secondo lo statuto vigente, che ha modificato la pre-cedente previsione statutaria, il Presidente viene eletto direttamente dall’Assemblea dei Delegati, dura in carica due anni ed il mandato non è rinnovabile per più di due volte consecutive, mentre alla ele-zione del Consiglio di Amministrazione (i cui componenti durano in carica 4 anni e per non più di due mandati consecutivi) si procede in maniera graduale (5 membri ogni due anni) nella prospettiva di assicurare una continuità di indirizzo nell’intento di dare maggiore stabilità alla Fondazione.

Il Presidente uscente, avv. Maurizio De Tilla, esaurito l’incarico per il numero dei mandati, non ha posto la propria candidatura ed in apertura di seduta il Comitato gli ha tributato un lungo e caloro-so applauso di ringraziamento per i ragguardevoli risultati raggiunti alla guida della Cassa lungo i dieci anni della sua permanenza e per la sua proficua attività svolta sempre in prima linea nell’interesse di tutta l’Avvocatura.

Un applauso meritato, cui si associa anche l’Ordine di Brindisi e Quaderni rivolgendogli un sentito ringraziamento anche per la di-sponibilità dimostrata nelle diverse occasioni in cui è stato gradito ospite nella nostra città.

Con una incontrastata elezione ha assunto la carica di Presidente l’avv. Riccardo Scocozza, eletto al primo scrutinio per avere ripor-

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZAE ASSISTENZA FORENSE

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136 Quaderni

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE

tato il consenso della maggioranza assoluta dei componenti del Co-mitato.

Il nuovo Presidente ha già in passato rivestito la carica, è profes-sionista stimato e uomo di grande esperienza, ha proposto un pro-gramma di amministrazione e riforme che ha riscosso ampi consensi, dimostra conoscenza e sensibilità per i problemi dell’Avvocatura.

Quali membri del Consiglio di Amministrazione sono stati elet-ti l’Avv. Alberto Bagnoli, l’avv. Marcello Colloca, l’avv. Giuseppe Della Casa, l’avv. Salvatore Di Cristofalo e l’avv. Vincenzo La Rus-sa.

Al neo-Presidente ed ai neo-Consiglieri vanno le congratulazioni dell’Ordine di Brindisi e di Quaderni e gli auguri perché l’attività a compiere abbia per loro soddisfazioni ed offra prospettive e tra-guardi significativi alla classe Forense, sia sul piano più strettamente assistenziale e previdenziale che su quello di più ampio respiro del-l’attività professionale di ciascuno.

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INSERTO COMMEMORATIVO DELL’AVVOCATO FULVIO CROCE

ORDINE DEGLI AVVOCATIBrindisi

Inserto Commemorativo dell’Avvocato Fulvio Croce

nel trentennale della uccisione nell’adempimento del suo dovere

di Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino

28 aprile 1977 - 28 aprile 2007

I testi sono tratti da “la Pazienza” rassegna dell’Ordine degli Avvocati di Torino, marzo 2007

“FEDELTÀ ISTITUZIONALE E PASSIONE CIVILE DELL’AVVOCATO”è l’argomento del Convegno di Torino

del 4-5 maggio 2007 in ricordo di FULVIO CROCE

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INSERTO COMMEMORATIVO DELL’AVVOCATO FULVIO CROCE

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139 Quaderni

INSERTO COMMEMORATIVO DELL’AVVOCATO FULVIO CROCE

Nominato difensore dʼufficio ai sensi del-lʼart. 130 c.p.p. dichiaro che, considerata la pluralità degli imputati privi di difensore, dovrò delegare altri Colleghi alla difesa.Ed a questo proposito tengo fin dʼora a ren-

dere noto che tutti i membri del Consiglio dellʼOrdine – indipendentemente dalle opinioni di ciascuno di essi – mi hanno assicurato di essere pronti ad essere delegati alla difesa degli imputati in quanto si tratta di adem-piere ad un preciso, seppur gravoso dovere di tutti gli avvocati, diretto a garantire la at-tuazione della difesa tecnica secondo i prin-cipi della Costituzione.

FULVIO CROCE

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INSERTO COMMEMORATIVO DELL’AVVOCATO FULVIO CROCE

FULVIO CROCE

Cerimonia commemorativa a venticinque anni dalla sua morte

Castelnuono Nigra, 28 aprile 2002

di ANTONIO ROSSOMANDO

Signor Sindaco, Autorità civili, religiose, Magistrati, Colleghi ca-rissimi, Cittadini di Castelnuono Nigra.

Il 29 settembre 1988 l’avv. Franzo Grande Stevens, al convegno sul tema “Il processo alle Brigate Rosse e l’assassinio dell’avv. Ful-vio Croce, a dieci anni dalla sua morte” concludeva il suo intervento con queste parole:

“Quel che invece di mortale era in lui giace sotto una pietra nel lindo cimitero di Castelnuovo Nigra”.

Oggi a venticinque anni da quel tragico 28 aprile 1977 siamo tutti venuti qui a deporre la nostra corona di alloro sulla sua pietra sepol-crale nel lindo cimitero di Castelnuovo a ricordarlo, senza soluzione di continuità, nel Palazzo Comunale che lo vide Cittadino e Pubbli-co Amministratore. Siamo qui nella sua bella terra canavesana che anche a Torino, tra Via Corte d’Appello e Via Perrone, Fulvio Croce aveva sempre nel cuore.

Di questo essere noi qui oggi, voglio ringraziare innanzitutto l’Amministrazione Comunale e i cittadini di Castelnuovo Nigra.

Fulvio Croce: l’Uomo, l’Amministratore pubblico, l’Avvocato. Con tratti efficaci e con ricordi affettuosi e riverenti ne ha dato una immagine il Sindaco di questo Comune, Matteo Sergio Bracco. Ful-vio Croce, Avvocato, uomo di legge, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Torino, sono soltanto diversi aspetti di Fulvio Croce Pubblico Amministratore: un tutt’uno ricco della sua umanità sem-plice e schietta, anche se schiva, da leale piemontese.

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INSERTO COMMEMORATIVO DELL’AVVOCATO FULVIO CROCE

“Fu civilista illustre e ancor più gran galantuomo”. Così scrisse nel necrologio l’avv. Giovanni Avonto.

Figlio del medico condotto di questo paese, frequentò la facoltà di Giu-risprudenza a Torino, una facoltà che vantava maestri che hanno lasciato un segno per il loro ingegno e dirittura morale: Ruffini, Solari, Einaudi.

Conseguita la laurea entrò prima nello studio Simondetti. Succes-sivamente “mettendosi”, come soleva dirsi, “in proprio”, ebbe a ri-velarsi civilista attento, tenace, puntiglioso e particolarmente fermo nella intransigente difesa del suo assistito.

Lungo nel tempo e forte nei sentimenti ci piace ricordare il suo sodalizio amicale con l’avv. Giovanni Avonto, penalista colto, ele-gante, forbito nel porgere e nell’oratoria forense.

Li legava fra l’altro la comune passione per la musica, ed in par-ticolare per quella verdiana.

Figura eminente del Foro torinese, misurato, sobrio, acuto, ricco di una arguzia che faceva parte del suo carattere, Fulvio Croce assu-me nel 1968 la Presidenza del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino. Rieletto nei bienni successivi con largo con-senso di stima e apprezzamento, fu Presidente, burbero, ma paterno, fermo nella difesa dei principi deontologici e professionali.

Da tutti era sentito come un punto di riferimento, di equilibrio, di moderazione, di garanzia. Per il giovane procuratore che si avviava in questo nostro mondo, qualche volta difficile, spesso pieno di ansie e di preoccupazioni, così come per l’avvocato maturo e affermato, il nostro Presidente trovava sempre un consiglio responsabile, attento, non condizionato, libero.

“Trascinatore e animatore”, sta scritto nelle sue note caratteristi-che da militare. Trascinatore e animatore fu anche quale Presidente: nel campo della previdenza forense che vide come essenziale all’Av-vocatura; nei protocolli d’intesa per scambi di giovani procuratori fra Parigi e Torino. Egli volle e potenziò la Unione Regionale dei Consigli dell’Ordine del Piemonte e della Valle d’Aosta, consape-vole che una comune cultura ordinistica nell’ambito del Distretto avrebbe costituito un rafforzamento del ruolo istituzionale degli Or-dini dei quali si sentiva garante per prestigio e funzioni.

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Possiamo dire che l’avv. Fulvio Croce come Presidente dell’Ordi-ne torinese sentì alto il ruolo di rappresentante dell’Avvocatura, una Avvocatura che ideologicamente oggi si propone come “soggetto di giurisdizione”.

Una società civile non può prescindere dal riconoscimento della legalità come valore. La giurisdizione deve essere intesa come tutela della legalità esistente e della legalità irrealizzata.

Ma i confini della giurisdizione sono costituiti dal rigoroso con-trollo delle regole e delle garanzie all’interno dello strumento pro-cessuale.

La cultura delle garanzie rimane l’insostituibile punto di riferi-mento di ogni politica giudiziaria, senza tentazioni sostanzialisti-che.

Legalità - Giurisdizione - Garanzie: il senso dello Stato di diritto, la cultura del processo e delle garanzie sono principi che si intrec-ciano con la vita e con la morte di Fulvio Croce, in una pagina di storia, in un capitolo della nostra storia repubblicana segnata da un attacco senza uguali e senza precedenti allo Stato e alla convivenza democratica. Un attacco segnato da una lunga, tragica, dolorosa scia di sangue.

Caddero in molti, ma lo Stato resse anche in virtù di chi cadde in difesa dei principi istituzionali e per senso del dovere.

Era il 1976.Il 17 maggio 1976 inizia avanti alla Corte di Assise di Torino il

processo contro i “capi storici” delle Brigate Rosse, imputati di co-stituzione di banda armata. In apertura di dibattimento gli imputati, nella logica di un processo di rottura, contestando la legittimità della Corte a giudicare, revocano il mandato ai loro difensori di fiducia. Con la scelta di un processo c.d. di rottura, rifiutando il processo stesso si negava l’Istituzione.

Contestati dagli imputati i difensori di fiducia ed esonerati i primi difensori d’ufficio, il 22 maggio 1976 la Corte d’Assise di Torino nominava difensore il Presidente del Consiglio dell’Ordine Avvocati e Procuratori di Torino l’avvocato Fulvio Croce. E questo ai sensi dell’art. 130 c.p.p., articolo che, sul presupposto della obbligatorietà

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della difesa tecnica del giudicabile, con la previsione (come norma di chiusura) che venga nominato come difensore d’ufficio il Presidente del Consiglio dell’Ordine, stabilisce necessaria ai fini della garanzia del contraddittorio, la presenza del “Difensore” nel processo.

L’avv. Fulvio Croce, in conformità alla legge, per decisione del Consiglio di cui è Presidente, delega i seguenti otto nuovi avvocati difensori, tutti componenti dello stesso Consiglio: 1) Pier Angelo Accattino, 2) Massimo Asti, 3) Bruno Bonazzi, 4) Gian Vittorio Ga-bri, 5) Franzo Grande Stevens, 6) Franco Pastore, 7) Ettore Sisto, 8) Domenico Sorrentino.

Quel Consiglio era composto dagli avvocati: Fulvio Croce (Pre-sidente), Piero Fioretta (Segretario), Francesco Cipolla (Tesoriere), Pier Angelo Accattino, Cesare Amerio, Massimo Asti, Bruno Bonaz-zi, Giorgio Del Grosso, Gian Vittorio Gabri, Franzo Grande Stevens, Roberto Manni, Massimo Ottolenghi, Franco Pastore, Ettore Sisto, Domenico Sorrentino (Consiglieri).

I nuovi difensori d’ufficio, nuovamente rifiutati dagli imputati (ri-fiuto che si manifestava anche con minacce di morte) preannunciano all’udienza del 7 giugno 1976, l’eccezione di illegittimità costituzio-nale delle norme che prevedono sempre e in ogni caso l’obbligato-rietà dell’assistenza “tecnica” dell’imputato nel dibattimento.

L’8 giugno 1976 viene ucciso a Genova il Procuratore Generale Francesco Coco. Le Brigate Rosse rivendicano la paternità dell’omi-cidio.

Il 9 giugno 1976 dai difensori d’ufficio, e per tutti dall’avv. Gran-de Stevens, viene presentata alla Corte di Assise di Torino Presidente Guido Barbaro, Giudice a latere Giovanni Mitola la preannunciata eccezione di illegittimità costituzionale.

Mentre gli imputati ribadiscono le minacce di morte nei confronti dei Giudici e degli Avvocati i quali, ad avviso dei giudicabili, nel difendere gli imputati contro la loro volontà non farebbero che ga-rantire l’apparente legittimazione dello Stato e della Corte, la Corte di Assise di Torino respinge l’eccezione.

Il processo viene rinviato a nuovo ruolo.Il 28 aprile verso le ore 15.00 l’avv. Fulvio Croce cade barbara-

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mente ucciso dalle Brigate Rosse nell’androne del suo studio. Aveva 76 anni.

Ricordo ancora la notizia che personalmente ebbe a portare allo studio dell’avv. Romagnoli, l’avv. Sorrentino. Ricordo il nostro cor-rere insieme, sgomenti, in Via Perrone 5, in quel portone dove la tragedia si era consumata.

L’avv. Fulvio Croce aveva riferito nei giorni precedenti a colleghi e consiglieri a lui vicini di aver notato gente sospetta nei pressi della sua abitazione e di sentirsi seguito. Non aveva avvertito gli organi di Polizia. Senza retorica e con sereno senso civico si accingeva severamente a portare a compimento l’incarico affidatogli. Venne ucciso perché, quale Presidente del Consiglio, egli rappresentava il destinatario naturale della norma prevista all’art. 130 c.p.p., a garanzia dell’Ordinamento.

La Repubblica deve anche a lui la sua fermezza. L’Avvocatura a lui deve il senso di una etica responsabile.

Il 3 maggio 1977 per la constatata impossibilità di formare la giuria popolare, la Corte di Assise di Torino rinviava il processo a nuovo ruolo mentre le Brigate Rosse intensificavano le loro attività terroristiche. Assume nel frattempo la Presidenza dell’Ordine con fermezza e alto senso di responsabilità l’avv. Gian Vittorio Gabri.

Il processo sarà celebrato soltanto nella primavera del 1978, nella caserma La Marmora di Torino, nonostante due attacchi con missi-li esplosivi da parte delle Brigate Rosse alle Forze dell’Ordine che presidiavano la caserma.

Nell’aula della Corte d’Assise di Torino (Presidente Guido Barba-ro, a latere Giovanni Mitola, Pubblico Ministero Luigi Moschella), il momento giurisdizionale e la stessa istituzione giudiziaria diventano la centralità del dibattimento politico che impegna il Paese.

Restano al loro posto i nuovi Avvocati difensori d’ufficio. Mi corre l’obbligo ricordarne i nomi: Aldo Albanese, Giovanni Avonto, Lui-gi Balestra, Gianfranco Bonati, Vittorio Chiusano, Geo Dal Fiume, Valerio Durante, Antonio Foti, Gian Vittorio Gabri, Fulvio Gianaria, Francesco Gilardoni, Bianca Guidetti Serra, Maria Magnani Noya, Graziano Masselli, Carlo Umberto Minni, Alberto Mittone, Vittorio Negro, Emilio Papa, Elena Speranza, Gian Paolo Zancan.

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Si pose immediato il problema: il difensore imposto difende l’im-putato o il processo? Quale il suo ruolo?

Nella memoria 17/6/1978 redatta, in una lunga tormentata not-te, nello studio dell’avv. Vittorio Chiusano, una memoria firmata da tutti i venti difensori di ufficio e letta dall’avv. Gian Vittorio Gabri, Presidente dell’Ordine, prima che la Corte d’Assise entrasse in Ca-mera di Consiglio, gli Avvocati rinunciavano alle loro arringhe ri-mettendosi, per quanto riguardava le conclusioni, alla volontà degli imputati. Logicamente e deontologicamente corretta la risposta al problema difensivo sorto nel processo attraverso il comportamento degli imputati, era di garantire la loro identità politica.

Il processo c.d. di rottura che contestava la stessa legittimità del processo non consentiva alcuna mediazione processuale.

Per non ridurre il ruolo di difensore di ufficio a una pura finzione l’unica soluzione era quella di sostenere la tesi dell’auto difesa.

Alessandro Galante Garrone in un suo articolo su La Stampa del 18/8/1976 affermò che “il rispetto formale del rito può divenire an-che una copertura ipocrita”.

Si sostenne che il diritto di difesa non può essere un obbligo.Gli avvocati difensori d’ufficio con la loro scelta riscattavano e

ribadivano il loro ruolo, autonomo e indipendente, rispetto a quel-lo degli imputati e tutelavano il loro diritto di esprimere le proprie ragioni di difesa. Ciò anche in conformità all’art. 6 lett. c della Con-vezione Europea dei Diritti dell’uomo che espressamente attribuisce all’imputato il diritto “di difendersi da sé o di avere l’assistenza di un difensore” statuendo pertanto una libera scelta alternativa.

A seguito della decisione della Corte d’Assise di respingere le tre eccezioni di illegittimità costituzionale, i difensori prendendo atto della reiezione rimasero al loro posto assumendo il ruolo di “garanti del rito”. E ciò al solo fine di garantire la correttezza processuale.

Garanti dunque del rito e non del merito delle tesi difensive che proprio della negazione del processo facevano la loro scelta ideolo-gica.

Lo Stato, negato dagli imputati, si riaffermava come Stato di di-ritto prima ancora che nella decisione dei Giudici proprio nella riaf-

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fermazione del ruolo della difesa “consapevolmente mortificata”, come si legge nella memoria, nel rispetto della libertà di scelta degli imputati dando così una significativa interpretazione di garanzia so-stanziale e di libertà allo stesso Ordinamento.

Con la sentenza 10/10/1979 n. 125 la Corte Costituzionale, in-novando in parte il proprio precedente orientamento, nello spirito di una distinzione tra difesa come diritto e difesa come garanzia, confermando l’inviolabilità del principio stabilito dall’art. 24 Cost., affermava che il difensore d’ufficio deve essere presente al processo: speculare alla inviolabilità del diritto di difesa era pertanto la sua irrinunciabilità.

Nella storia del processo si dovrà scrivere che l’uccisione di Ful-vio Croce, perché Avvocato e ancor più perché Presidente dell’Ordi-ne, ha esaltato il ruolo e la funzione del Difensore nella sua autono-mia e indipendenza e dell’Ordine come garante dell’Ordinamento.

Quale oggi il significato della morte, dell’uccisione dell’avv. Ful-vio Croce, del Presidente del Consiglio dell’Ordine di Torino Fulvio Croce.

Il ruolo dell’Avvocatura è quello fra l’altro di garantire l’Ordi-namento. L’attività di difesa deve essere esercitata nel rispetto del-la fedeltà all’Ordinamento. Senza la difesa, senza la presenza della difesa, non si attua l’Ordinamento che trova origini, giustificazione storica, legittimità politica in quel patto-sociale che è il cardine di ogni moderna democrazia e di uno Stato di diritto.

La legislazione privata dalla ragion di Stato può trovare la fonte della sua legittimazione solo nella comunità in nome e nell’interesse della quale lo Stato agisce.

Per garantire l’Ordinamento e la sua attuazione, per dar vita allo svolgersi attraverso la Giurisdizione di uno dei momenti più alti del-lo Stato di Diritto, l’Avvocato deve rispettare i propri doveri che impongono piena autonomia e indipendenza nelle scelte difensive, evitando di assecondare intenti meramente distorsivi anche del suo assistito.

Questo è scritto oggi nel nostro Codice deontologico: all’art. 6 si proclama il dovere per l’Avvocato di svolgere la propria attività pro-

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fessionale con lealtà e correttezza; all’art. 10 si proclama il dovere per l’Avvocato di conservare la propria indipendenza e di difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti esterni; all’art. 36 si impone all’Avvocato di difendere la parte assistita nel miglior modo possibile, ma nei limiti del mandato e nell’osservanza della legge e dei principi deontologici.

Proprio dalla testimonianza resa dal sacrificio di Fulvio Croce discende come valore irrinunciabile la indipendenza dell’Avvocato, non solo da ogni condizionamento esterno, ma anche da ogni condi-zionamento che possa provenire dello stesso rapporto di mandato.

L’indipendenza va intesa non solo come diritto ma anche e so-prattutto come dovere.

Del ruolo, della indipendenza, della libertà dell’Avvocato è ga-rante l’Ordine forense, custode di quella componente etica che è connotazione primaria di una professionalità responsabile.

Per tutto questo fu ucciso il Presidente dell’Ordine avv. Fulvio Croce: la lealtà nei confronti dell’Ordinamento, l’indipendenza e l’autonomia nell’esercizio professionale costituiscono il suo testa-mento spirituale.

A venticinque anni dalla sua morte, un quarto di secolo, un tempo lontano ma a noi tutti così emotivamente vicino, in questi giorni di ritorno alla barbarie omicida, così drammaticamente presente, noi oggi onorando Fulvio Croce, rileggiamo la lapide che ne ricorda il sacrificio. È una lapide che è stata posta nell’Aula Magna del Nuovo Palazzo di Giustizia. Essa porta il suo nome. Sulla lapide è scolpita una frase che racchiude il significato di una vita e di una morte. È una frase che ricorda a noi tutti il senso del nostro essere Avvocati, all’Ordine il suo ruolo istituzionale.

“Avvocato Fulvio Croce, Presidente dell’Ordine Avvocati e Pro-curatori di Torino dal 1968 al 1977. Medaglia d’oro al valor civile. Nelle battaglie del Foro assertore fermo della Giustizia. Perchè que-sta riprendesse pacifico imperio affrontò consapevole morte”.

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“Avvocato!”Il processo di Torino

al nucleo storico delle Brigate RosseBrevi note da parte di uno degli autori

di ALESSANDRO MELANO

Ecco qualche breve appunto sul film-dvd che ho realizzato con Marino Bronzino e che sarà in edicola a partire dal 28 aprile insieme con La Stampa. Poche annotazioni per non tediare chi legge.

Tentando di essere sintetico e schematico.Così come ho cercato di essere nella realizzazione del documen-

tario.

“Avvocato!” Il perché di un titolo

Micaletto, alle tre del pomeriggio del 28 aprile ‘77, così si rivolge a Croce che, girandogli le spalle, sta per entrare nell’androne del palazzo di via Perrone 5.

Croce si volta: è avvocato, qualcuno lo sta chiamando.Due colpi di pistola in faccia, tre all’addome. È un istante: le gam-

be cedono, cade a terra. La vita lo abbandona in un attimo.Mezz’ora prima ha salutato con un bacio la moglie. Ora per lui

tutto è finito.Bronzino ed io abbiamo scelto il titolo “Avvocato!” perché Croce

è ucciso per il solo fatto di essere avvocato. E perché ha deciso di continuare ad esserlo nonostante le minacce di morte.

Credo sia un buon titolo.È una chiamata per tutti noi, un monito, un invito a girarci ed a guar-

dare in faccia chi abbiamo di fronte quando ci chiama “Avvocato!”.

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INSERTO COMMEMORATIVO DELL’AVVOCATO FULVIO CROCE

A schiena dritta e senza paura.Non possiamo più far finta di nulla: dobbiamo tornare ad affron-

tare le nostre responsabilità...Un pò come fece Croce, senza paura di perdere ciò che nel tempo

abbiamo conquistato.

Una lapide davanti agli ascensori

A fine ‘99, come tante altre volte avevo fatto, mi avvio verso la bi-blioteca dell’Ordine. Davanti all’ingresso, proprio vicino all’ascen-sore, alzo lo sguardo. C’è una bella lapide in pietra grigia che ricorda il sacrificio dell’avv. Fulvio Croce che - consapevole - affrontò la morte per garantire il diritto di difesa ed il processo così come previ-sti dal nostro Ordinamento.

Chi è questo Croce? Mi chiedo.È una mia abitudine. Anche quando cammino per la città finisco

sempre per domandarmi chi siano state le persone cui sono intitolate le vie. E la maggior parte delle volte ne so poco o nulla. Così avviene anche per Croce.

Dopo un’ora passata a consultare il Foro Italiano scambio due parole con Carmen, la nostra seria bibliotecaria. Decido di chiederle se ne sa qualcosa. Le si illuminano gli occhi, mi guarda incredula, si scioglie: “Certo! Abitavo dove lui aveva lo studio, qualche volta mi ha anche tenuta sulle sue ginocchia, e mia madre quel giorno ha sentito gli spari...”.

Ecco come è nata l’idea di raccontare l’omicidio Croce: da una lapide davanti ad un ascensore e dal desiderio di saperne di più attra-verso le persone che lo avevano conosciuto.

Un film? Non era meglio un libro?

No, non era meglio un libro.Volevo arrivare ai miei coetanei.

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INSERTO COMMEMORATIVO DELL’AVVOCATO FULVIO CROCE

Se avessi scritto “solo” un libro avrei confinato Croce e tutto ciò che ha rappresentato ad un pubblico di optimates, agli aristoi abitua-ti alla frequentazione della cellulosa. Un pubblico molto qualificato, ma anche molto esiguo.

Invece quella del processo al nucleo storico delle Br è una storia che va conosciuta dal numero più ampio possibile di avvocati e, so-prattutto, di giovani avvocati. Meglio un documentario. Per questa volta niente cellulosa, solo celluloide.

Le forti motivazioni nascono anche da forti “indignazioni”

All’inizio sono stato solo. Quando parlavo dell’idea di realizzare un documentario su questo tema, molti amici e alcuni colleghi sorri-devano della mia idea “forse un po’ troppo creativa”.

Ero però sorretto da forti motivazioni che, come spesso accade, certe volte nascono da forti indignazioni.

Una su tutte.Preparandomi per il film, mi è capitato di scorrere l’indice del

tomo La mappa perduta, uscito nel ’95 per i tipi di “Sensibili alle foglie”: una ricerca “sociologica” coordinata da Renato Curcio sugli anni di piombo.

Ecco come era stato definito l’elenco degli omicidi compiuti da Brigate Rosse e compagnia: “Dati relativi agli eventi in cui hanno incontrato la morte le persone colpite dalle organizzazioni armate di sinistra dal 1969 al 1989”.

“Evento in cui si incontra la morte?” È possibile definire così un omicidio? L’assassinio, freddamente calcolato, di una persona iner-me? Un avvocato di 75 anni cui si spara negli zigomi incontra la morte nel corso di un evento?

Inaccettabile. Perlomeno ai miei occhi.Un motivo in più per raccontare le cose cercando di chiamarle

con il loro nome. Senza eufemismi né giri di parole.

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INSERTO COMMEMORATIVO DELL’AVVOCATO FULVIO CROCE

Meglio l’avv. Caio o l’avv. Mevio?

Forse si arriva ad una cinquantina. Tanti sono stati gli avvocati che a diverso titolo sono entrati in contatto con il processo di Torino al nucleo storico delle Br senza contare tutti quelli che non accetta-rono l’incarico di difensore d’ufficio.

Chi intervistare? Ho potuto gestire il documentario in perfetta au-tonomia.

Il Consiglio dell’Ordine presieduto dall’avv. Rossomando – ne ringrazio ancora, uno ad uno, i quindici componenti che a fine 2003 hanno deciso di finanziare il film – non mi ha suggerito nulla, nean-che un nome.

Le mie scelte sono state orientate o da necessità di narrazione o da conoscenze personali (dell’avv. Tizio conosco il figlio, di quell’altro il praticante).

E nella scelta degli intervistati ho cercato ove possibile di trovare un equilibrio tra destra e sinistra, evitando di intervistare solo le per-sone note per una particolare appartenenza politica.

Un solo rimpianto: qualche collega ha rifiutato di essere intervi-stato davanti alla telecamera.

Peccato: non tanto per il film, quanto per il giovane avvocato che tra venti anni spero guarderà questo documentario e che non avrà potuto conoscere anche un altro protagonista della nostra storia.

Spazio solo alle vittime o anche ai carnefici?

Mentre scrivo ha davanti a me la Repubblica di oggi.Con una lettera indirizzata a Corrado Augias, il presidente Na-

politano ha appena richiamato l’informazione e la comunicazione televisiva al rispetto della memoria delle vittime e del dolore dei loro famigliari.

Dice il Presidente: “Il legittimo reinserimento nella società di quei colpevoli di atti di terrorismo che abbiano regolato i loro conti con la giustizia dovrebbe tradursi in esplicito riconoscimento della

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ingiustificabile natura criminale dell’attacco terroristico allo Sta-to (...) e dovrebbe essere accompagnato da comportamenti pubblici ispirati alla massima discrezione e misura”.

Egli si riferisce ad una trasmissione televisiva in cui la redazione di Studio Aperto ha portato Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Br, in via Fani per lì intervistarlo in merito all’eccidio della scorta dell’on. Moro.

È evidente l’errore di valutazione compiuto da Italia Uno, peral-tro riconosciuto dallo stesso direttore di Studio Aperto.

E per un documentario? Anche in “Avvocato!” c’è Franceschini.Giusto dargli spazio? Rispondo con le parole del presidente Na-

politano: sì se con la massima discrezione e misura.Aggiungo alcuni dati: Franceschini non è stato condannato per

l’omicidio Croce, né per altri fatti di sangue. Ha interamente scon-tato le pene inflittegli, circa 18 anni di reclusione. Inoltre nell’in-tervista Franceschini ha ammesso i gravissimi errori commessi, da lui e dalle Br (queste dichiarazioni non le troverete nel film ma nei contenuti extra all’interno del dvd).

Egli infine ha riconosciuto l’assurdità delle c.d. Nuove Br.E quando lo ringraziavo per il tempo – ovviamente gratuito – de-

dicatomi, questo impiegato ormai cinquantenne mi ha congedato dal suo ufficio della sede romana dell’Arci dicendomi “Speriamo che serva a qualcosa.”

Tante altre cose avrei da dire. Come spesso conviene, proprio in questi casi è meglio limitarsi. Per far parlare i fatti o, come in questo caso, le immagini.

Un sincero ringraziamento alle persone che ho intervistato (anche a quelli che non compaiono nel film) ed a tutti coloro che con il loro aiuto hanno reso possibile questo lavoro.

Una menzione speciale al collega avv. Massimo Travostino, im-pareggiabile esecutore dei due preludi dal Clavicembalo Ben Tem-perato di Bach che costituiscono la colonna sonora del film.

Auguro a tutti una buona visione: attendo commenti, critiche e sollecitazioni.

In sincerità, come spirito di colleganza impone.

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OPINIONI E DOCUMENTI

OPINIONI E DOCUMENTI

Il Grande Avvocato Antonio CaiuloViaggio nei suoi scritti

a cura di CARLO PANZUTI *

L’esigenza di testimoniare il valore culturale e umano dell’Av-vocatura ha condotto l’Ordine forense brindisino a divulgare il più possibile l’opera dei suoi illustri Avvocati, perché il patrimonio da loro creato in lunghissimi anni di professione fosse monito per il ricordo perenne di una delle più nobili funzioni sociali: la difesa dei diritti e dei valori umani.

È nella memoria di tutti, anche dei più giovani, l’alta figura del nostro Avv. Antonio Caiulo, indiscusso protagonista della toga e vivo partecipante della vita sociale della città.

La speranza di riuscire a tessere un lavoro compiuto sulla sua persona, che dia conto cioè dell’enorme spessore culturale, profes-sionale e umano, ha già preso le mosse nelle intenzioni di coloro che credono convintamene nella trasmissione dei saperi e della storia (ed il Consiglio Nazionale Forense ha da tempo intrapreso la strada di pubblicazioni sulla “Storia dell’Avvocatura”); ora si vuole offrire uno spaccato delle capacità del Nostro in un lavoro, la redazione di note conclusive in un giudizio di separazione giudiziale, che le fa emergere nel loro fulgore.

L’incipit delle note è una pagina di un bel romanzo sulla vita di un uomo di mezza età che va incontro all’amore di una giovane deside-roso di vivere anche lui una vita piena di passioni e di sentimenti.

* Avvocato del Foro di Brindisi.

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OPINIONI E DOCUMENTI

La stretta trama narrativa del corpo dell’atto dà conto dello svol-gersi della vita familiare con pennellate di colore frammiste ad una tecnica descrittiva più consona al tessuto giuridico dello scritto.

Mirabili le ricostruzioni delle prove assunte nel corso del proces-so!

La chiusura ritorna ad essere una pagina del bel romanzo con accenti epici sulla figura dell’uomo che, umiliato di fronte agli altri e tradito nei sentimenti, fa vincere la passione per la vita e per la famiglia: l’epilogo tragico che sfocia nella affermazione della in-dissolubilità del matrimonio e nella ferma volontà di affermarlo ad ogni costo.

Una scrittura semplice nel linguaggio ma ben articolata nel co-strutto, che tradisce le alte capacità del professionista unite ad una inconsueta capacità di profondi passaggi: si legge ad ogni rigo la cultura di cui l’uomo di legge è intriso e la sua duttilità nel piegarla alle esigenze del processo.

Antonio Caiulo è l’Avvocato che prima di tutto è l’Uomo sapiente e profondo che di sé lascia tracce dove muove il passo.

Sembra che il Nostro voglia dirci: “serve davvero affaticarsi a rincorrere il mito della specializzazione quando, invece, lo spessore culturale del professionista è l’arma vincente di una conoscenza che, approfondita secondo le esigenze, rimane insuperabile?”.

* * *

- Note per la lettura -

Tutti i cognomi dei soggetti che a vario titolo compaiono nello scritto sono di fantasia e sostituiscono i veri per rispettare la riserva-tezza delle parti, anche se è trascorso un lungo lasso di tempo dalla vicenda giudiziaria.

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OPINIONI E DOCUMENTI

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OPINIONI E DOCUMENTI

Note difensive per il Rag. Piccolo

controla Signora Gigante

Il rag. Piccolo, in un’età in cui non si è più tanto giovani per tutti i desideri né ancor vecchi per tutte le rinunzie, ebbe la disavventura di conoscere la sua attuale consorte.

Funzionario benvoluto e stimato della sede di Barletta della Ban-ca Commerciale Italiana, egli trascorreva tranquillamente la sua esi-stenza con la madre, che adorava e da cui era adorato. Una vecchiet-ta dimessamente vestita, che, quasi giornalmente, si recava in casa Piccolo per una modesta fornitura di uova propose una volta di far stringere matrimonio tra una sua giovanissima nipote ed il Piccolo. Questi, che non aveva mai pensato di avere una compagna per tut-ta la vita, rifiutò immediatamente, impressionato in modo speciale dalla differenza di età. Ma la posizione economica del rag. Piccolo esercitava su tutta la famiglia Gigante un’attrazione irresistibile e fu un martellamento di mesi e mesi per incrinare e poi travolgere la resistenza del Piccolo. Questi ebbe anche un abboccamento con la fanciulla a cui spiegò tutta la delicatezza del passo che ella intendeva compiere ma furono proteste d’amore e giuramenti di dedizione eter-na. Il rag. Piccolo finì col cedere e non bisogna per questo muovergli rimprovero. L’uomo, anche il meno dotato dalla natura, di fronte ad uno sguardo appassionato di donna, crede, nel suo profondo istinto, che anche a lui la vita è disposta a largire il grande dono dell’amore. Qualsiasi altra considerazione è soffocata dalla indicibile felicità di quell’attimo d’illusione. E nei primi tempi del matrimonio il Piccolo non ebbe a pentirsi del suo nuovo stato. Egli ricompensò il dono della giovinezza fattogli dalla sua Maria con una dedizione, completa, ap-passionata, fiduciosa. La donna, sollevata da uno stato di abbandono

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e di miseria ad una dignità di vita addirittura insperata, corrispose a questo impeto di passione mostrandosi giuliva, vezzosa, riconoscen-te per tutte le attenzioni che le venivano usate. Fu l’assoluta adorata signora della casa. Per quattro anni ella s’interessò del governo della famiglia con intelligenza e con gusto. Il marito, di poche esigenze, profondeva i suoi guadagni per accontentarla in tutto e per tutto ed era felice di compiere qualsiasi sacrificio per lei.

Ma era inevitabile che dovesse accadere quello che accadde. La Gigante aveva avuta la sua adolescenza e alla sua prima giovinezza intristite dalla povertà continua. La sua intelligenza le faceva com-prendere che da quello stato di prostrazione fisica e morale in cui la miseria la attanagliava non si sarebbe mai potuta sollevare per virtù dei suoi parenti ma per virtù propria. Nel suo inconsapevole ma in-fallibile istinto di donna avvertiva che solo attraendo nell’orbita del-la sua esistenza monotona, triste e grama un uomo a cui potesse far dono della sua giovinezza in cambio di un’agiatezza che le permet-tesse di avere il suo posto al sole della vita, poteva districarsi dalla situazione angosciosa in cui la nascita la aveva posta. Ella aspirava, ed in buona fede credeva, che avrebbe amato l’uomo che le avesse permesso di passare dal tugurio alla comoda casa del benestante, che le avesse permesso di cambiare i pochi stracci che la coprivano con vesti eleganti e lussuose, che le avesse permesso di imporre la sua giovinezza esuberante e desiosa di agi all’ammirazione degli uomini e alla invidia delle altre donne. Tale profonda trasformazione della sua vita esteriore si operò per merito del Piccolo che, nel periodo del fidanzamento, ella chiamava salvatore e angelo custode, e per lui nel primi tempi nutrì un affetto misto di gratitudine e di ricono-scenza. Ma alla trasformazione della vita esteriore doveva fare, e fece riscontro un mutamento lento e inesorabile nella vita interiore della Gigante. Le forze più profonde e più potenti dell’anima quelle che, secondo l’intuizione filosofica del Freud guidano tutti gli atti della vita, le forze dell’amore, non possono restare a lungo inappa-gate specie nella donna che è la creatura d’amore per eccellenza. Era quindi naturale che la Gigante, dopo qualche tempo di matrimonio,

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incominciasse a dimenticare, con quella felice facilità con cui i gio-vani sogliono dimenticare, il triste periodo della sua vita prematri-moniale. Per quel fenomeno consueto per cui un nuovo stato acquisi-to ci sembra d’averlo sempre avuto e di doverlo sempre conservare, la Gigante sentì vanire nella lontananza degli anni l’epoca dell’indi-genza umiliante. Giovanissima, bella, elegante, salita, per virtù del matrimonio, ad un ambiente sociale tanto più elevato di quello in cui da fanciulla si era dibattuta, incominciò ad avere coscienza del fasci-no che poteva esercitare ed esercitava sugli uomini nei cui sguardi scorgeva bagliori di desiderio e, crucciata che il fiore dei suoi mi-gliori anni dovesse appassire accanto al Piccolo, finì col non vedere più nel marito il benefattore ma l’uomo: il risveglio, come ben si comprende, dovette essere ben doloroso! Affievolitosi lentamente e poi spentosi quel sentimento di gratitudine che ella, inconsape-volmente, aveva ritenuto un sentimento d’amore, la giovinezza e la bellezza incominciarono a reclamare i loro diritti indeclinabili. Ma le pastoie del vincolo non permettevano alla Gigante troppa libertà di movimenti e così accadde che il primo uomo che potette avere con lei dimestichezza colse il frutto di questa inquietudine spirituale. Quest’uomo fu il Sottile, il quale essendo cognato del Piccolo, nella casa di costui, dove appare dopo quattro anni, aveva, senza destare sospetti, libero accesso. Era anche egli uno sbandato del matrimonio per essere separato di fatto dalla moglie e questa affinità dovette con-correre ad una più profonda e rapida comprensione reciproca con tut-te quelle conseguenze che si possono immaginare. I coniugi Italiani, intimi di casa Piccolo, avvertirono anch’essi il mutamento profondo a cui soggiaceva la Gigante e non si può leggere senza un sentimento di commiserazione l’invocazione del povero Piccolo alla moglie, in presenza dei coniugi Italiani: “Maria, tu sei cambiata, tu non sei più la Maria di una volta”. Sentiva questo povero uomo che la moglie gli sfuggiva di giorno in giorno e, nella coscienza dolorosa della sua inferiorità, non poteva che supplicare rendendosi così anche ridicolo. Tentò dei diversivi, conducendo la moglie in un viaggio di piacere (fol. 30 e 31). Milano, Padova, Venezia, passarono innanzi agli occhi

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dei coniugi come rapide visioni di bellezza ma inutilmente. Per una legge di natura quasi costante quanto maggiormente il Piccolo cerca-va di attaccarsi alla moglie, tanto più questa si allontanava. Ormai il demone della sensualità serpeggiava incontenibile nel sangue di lei e non era certo il marito, il più adatto a soddisfarlo. Anche se la virilità del Piccolo non era spenta, la donna, consapevole della sua giovi-nezza avvenente, aveva ripugnanza per la figura fisica dell’uomo, il cui amplesso doveva ormai sembrare una profanazione per il suo bel corpo. Come conclusiva, infatti è significativa l’ingiuria atroce che ella lanciò al marito in presenza dei coniugi Italiani, quando costoro, dopo già iniziato questo giudizio, accolsero ancora una volta in casa i coniugi Piccolo. Era uno altro tentativo di pacificazione e quando il Piccolo chiese di vedere come stava la sua Maria, questa lo colpì al viso mentre le affluiva alle labbra la suprema parola del supremo di-sprezzo: “vai sgobbo” (fol. 32 r.). Fu il rapido pensiero che il marito con quell’interessamento alla sua persona potesse avere il sottinteso di un desiderio o di un ricordo di contatti carnali che le fece salire dal profondo dell’essere il disgusto.

Ed è la più sintomatica rivelazione dei sentimenti della Gigante nel cui animo, come dicemmo, fu il Sottile a completare il guasto irreparabile che il risveglio irrefrenabile dei sensi aveva iniziato. Come escludere il peccato tra i due quando si considerino le reci-proche confidenze sui segreti d’alcova dei rispettivi coniugi? (fol. 29). Questo genere di confidenze tra uomo e donna o sono conco-mitanti o seguono le intimità, di cui vi sono nel caso nostro altri segni infallibili: il bacio di commiato nelle scale (fol. 29), l’episodio della lunga assenza della Gigante da Barletta dopo che il marito, nel dicembre 1932, aveva raggiunta la nuova residenza di Brindisi (fol. 32), l’assenza da Brindisi, col permesso dell’ineffabile cav. Scelba, della Gigante, la quale si recò per quattro giorni a Bari dov’era il Sottile mentre aveva dichiarato di recarsi a Barletta dai parenti, la dichiarazione fatta allo Italiani che ella dopo la causa si stabilirà a Trieste dove attualmente trovasi il Sottile (fol. 33). Vi è poi un do-cumento che non si può scorrere senza rimanerne profondamente

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impressionati. Senza volerlo lasciamo nella nostra vita delle traccie e degli indizi, attraverso i quali gli estranei possono pazientemente ricostruire determinati periodi della nostra esistenza e quasi cogliere gli stati d’animo che mossero le nostri azioni. Nella fretta di abban-donare il domicilio domestico la Gigante dimenticò il quaderno di cui al fol. 43 in cui sono riportate tutte le spese che ella faceva per sé. È un indice di diligenza che presuppone una calma dello spirito. Le scritturazioni si interrompono dopo i due primi mesi del 1932. Si confronti questa circostanza con quello che hanno riferito i coniugi Italiani che cioè la comparsa del Sottile in casa del Piccolo rimonta alla fine del 1931 e che dopo poco tempo la Gigante si mostrò com-pletamente cambiata e si avrà luminosa conferma che tra il Sottile e la Gigante ben presto s’intrecciarono rapporti intimi. Perché non si soggiace alla prepotenza dell’istinto senza ripercussioni sensibili sulla nostra vita spirituale e conseguentemente sulla normale attività della vita esteriore. La passione carnale, specie quando circostan-ze speciali impongono una continua vigilanza su sé stessi perché si accompagna anche al tormento e al fascino del peccato, produce una agitazione e una tensione dello spirito che a momenti diventano intollerabili.

Essa restringe il campo della nostra attività psichica, mira a un fine solo e immutato, corrompe e falsa il meccanismo normale della coscienza, ci distoglie quasi completamente dalle consuete occupa-zioni giornaliere, ci fa odiare tutto ciò che è d’inciampo per giungere al possesso pieno e indisturbato della persona amata. Quell’interru-zione di registrazione costituisce perciò un altro elemento che ci dice con chiarezza che la Gigante si era disamorata, completamente della casa. Ella non volle e non seppe spartirsi tra l’amante e il marito che finì con l’odiare profondamente e che trascurava, disprezzava, scherniva. Io ritengo che con un uomo diverso dal Piccolo la Gigante avrebbe rasentata la tragedia. Quale onta più grave per un maschio, che deriva il suo diritto anche da un vincolo consacrato dalla legge, di quella di vedere la propria donna rifiutarsi all’amplesso per di-chiarata ripugnanza? Tale rifiuto da niente può essere giustificato.

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Quali che siano gli screzi che temporaneamente dividono due coniu-gi, la donna – che se è normale è quella che per sua missione naturale deve tendere al mantenimento della unità della famiglia – sa che tra le sue braccia il marito spegne qualsiasi risentimento. Ella sa che nel momento dell’intimità le anime si piegano e si riconciliano e se ama il marito quel momento lo cerca ansiosamente, lo provoca. In un solo caso noi possiamo ammettere che la donna si rifiuti al mari-to: quando ella sa che sulle labbra di lui si sono posate altre labbra. Allora la donna, per la quale l’amore non è un episodio come può essere per l’uomo ma la vita stessa, si sente ferita profondamente nel suo orgoglio e trova in sé stessa delle insospettate forze di resistenza. Ora nessuno, neanche la Gigante, ha affermato che il Piccolo si des-se ad altri amori. Ha intessuto tante menzogne la Gigante in questa vicenda per raggiungere il suo scopo, che preciseremo in appresso, ma non ha avuto il coraggio di prestare a suo marito il ruolo di un don Giovanni: si sarebbe coperta di ridicolo anche lei.

Ma vi è qualcosa di più enorme, Signori del Collegio. La Gigan-te respingeva il marito dopo averne eccitata la concupiscenza. Un supplizio simile ha in sé del diabolico. Ella disponeva le lenzuola a sacco (fol. 32 r.). Tra lei ed il desiderio del marito elevava una barrie-ra. V’immaginate voi il tormento di dover sentire, durante la notte, il tepore del morbido corpo della propria donna senza poter placare i sensi eccitati? La Gigante raggiungeva il colmo della perfidia quan-do, stesa sul divano, si esibiva nuda al marito che poi veniva respinto con una risata di scherno (fol. 29 r.). Bisogna riconoscere che nel Piccolo vi è l’assenza di qualsiasi attributo di uomo.

Qualche volta forse in quei quattro anni di umiliazioni inconce-pibili avrà avuto qualche scatto innocuo ma sono propri dei tempe-ramenti deboli questi improvvisi quanto vani ritorni di orgoglio. Su-bito dopo, quasi a reazione dello sforzo nervoso compiuto, ricadono nell’apatia inerte e petulante e su essi grava più di prima la volontà dispotica degli altri. Il Piccolo è di quei mariti il cui ritorno dal la-voro non si attende in casa propria ma in casa dei vicini, è di quei mariti dei quali si accoglie l’annunzio dell’arrivo con una scrollatina

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di spalle (depos. Lino fol. 35) è di quei mariti che affronti simili ripa-gano con una chiassata inconcludente che viene con abilità sfruttata dalla Gigante, la quale si mette a chiamare al soccorso. Corre il Lino e la trova nel corridoio. Noi ci dovremmo aspettare di vedere il Pic-colo fronteggiare la moglie in tragico atteggiamento di Otello presso a colpire. Nient’affatto; il Lino trova la Gigante sola nel corridoio con la porta chiusa. Apre la porta e vede il Piccolo ad un angolo del-la tavola mangiucchiare la cena che si è preparata da solo. Invece della tragedia è la farsa, invece della realtà del Piccolo che dovrebbe essere trovato a picchiare la moglie questa è trovata solo a simulare lo spavento e a gridare a bella posta per un pericolo inesistente per-ché non solo la porta era chiusa ma il Piccolo pensava a consumare la cena e, accudendo a tale bisogna, non si può essere in condizioni di picchiare alcuno. La verità è che la Gigante, che non permetteva più al Piccolo l’amplesso coniugale, odiava ormai il marito che era un ostacolo alla libertà a cui ella ardentemente aspirava. Negli ultimi tempi della convivenza ella era divenuta intollerante perfino della presenza del marito. Vi è un documento a fol. 47 che è rivelatore di questo stato d’animo. Si vuol sapere come in quella lettera la Gigan-te definisce il marito? “Cataplasmo”. Tale lettera, insieme a qualche altra dimenticata dalla Gigante nella fretta di abbandonare il marito, è la smentita più solenne a tutte le menzogne che la Gigante ha detto o ha fatto dire contro il Piccolo; la Gigante non aveva scritto alla madre che il marito le usasse violenze, le facesse proposte oscene, la ingiuriasse (vien da ridere al solo pensare il Piccolo come un vio-lento) ma scrive che è un cataplasmo. Parola espressiva quante altre mai! Nel linguaggio corrente essa designa un individuo di cui ci si vorrebbe disfare perché noioso e fastidioso ma con cui si è costretti vivere nostro malgrado come si è costretti per necessità tenere appli-cato sulla parte dolente un empiastro. Che cosa diventa la parola di qualche lavandaia prezzolata che, volendo guazzare nel pettegolezzo di cui la sua anima meschina si compiace, sgonnella ai margini della tragedia del Piccolo, di fronte ad una prova così eloquente? Contro queste bassezze vi è la parola della stessa Gigante, inconsapevole

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che, un giorno, la Giustizia avrebbe potuto conoscere quale fosse il vero concetto e in quale conto ella tenesse il marito. In uno sfogo epistolare alla madre (e non si è mai tanto sinceri come verso la propria madre), la Gigante si è rivelata intera. Ma vi è dell’altro in questa preziosissima lettera! È bene trascrivere qualche passo: “sarà come tu dici che è cataplasmo e va bene è meglio stare così e non il disonore”. Quale è il disonore a cui allude la madre? Evidentemente la Gigante nella sua lettera aveva confidato alla madre il proposito di separarsi dal marito e siccome anche quella povera vecchietta dove-va conoscere le inclinazioni della Gigante per il Sottile, ella intuì che la figlia intendeva allontanarsi dal marito per essere completamente libera. Così si spiega l’ammonimento della madre di stare accanto al marito piuttosto che coprirsi di disonore. Una conferma di tale inter-pretazione la si trova in appresso:

“Cara figlia io dico così tu fai come vuoi”.Se le parole hanno un significato noi sfidiamo chiunque a dare alle

frasi riportate un valore diverso da quello che noi abbiamo dato.Vivere in libertà! Via questo vecchio gobbo noioso, questo cata-

plasmo che soffoca la mia giovinezza!Ecco il grande scopo che ormai balena alla mente della Gigante

la quale non è donna da non raggiungere, a qualsiasi costo, la meta prefissasi.

Il Piccolo sospetta. Si può andare a Bari quando si vuole perché la volontà del Piccolo non conta ma questo marito petulante è sempre lì a vociare e a lamentarsi. Va bene che il cav. Scelba, tanto tenero, dà qualsiasi permesso (e anche questo è un segno chiarissimo della estrema debolezza di carattere del Piccolo perché nessun Commis-sario di Pubblica Sicurezza di questo mondo potrebbe costringermi a lasciar andar via da casa contro la mia volontà, per quattro o cinque giorni mia moglie) ma è sempre una situazione precaria, intollerabi-le. Disfarsi del marito però costituisce una soluzione monca perché la Gigante non ha come sostenersi. Sì che alle spalle di questo tirchio ella ha messo da parte lire 1300 (depos. Italiani fol. 33 e documenti fol. 44) ma tale somma sfumerebbe presto. Occorre la sicurezza con

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un assegno mensile. Il caso interviene. Il padre della Gigante è ami-co del cav. Scelba. Con una lettera del 28 novembre 1934 egli scrive alla figlia dandole la grande notizia. Ed è così che gli eventi precipi-tano. Si va verso la soluzione rapidamente. In un mese, con l’aiuto del cav. Scelba, la Gigante realizza il suo sogno: dividersi dal mari-to ed avere un assegno mensile. Tutti gli sono attorno premendolo, stringendolo, intimidendolo: avvocati e commissari. Non si tenta di ricomporre una famiglia, ma di dissolverla, non si va dietro ad un accordo ma ad un compromesso disonorevole che deve allontanare due coniugi per sempre.

D’un tratto per questa donna si rovescia il senso del dovere si altera la misura delle responsabilità. È la prima volta che contro le direttive sociali e demografiche del Regime, un funzionario si ado-pera per lo smembramento di una famiglia, quando la legge impo-ne perfino al Presidente del Tribunale di fare un ultimo tentativo di conciliazione. Ma è l’amico che ha raccomandato e quindi bisogna proteggere questa povera figliola e sottrarla alle grinfie del Piccolo; questo nuovo Barbableu in chiave di Rigoletto. Intanto quando si finisce quasi con l’imporre al Piccolo l’idea della separazione e il Piccolo finisce con l’accettare anche la proposta di passare un as-segno alimentare alla moglie purché questa vada a convivere con i suoi, la Gigante si ribella a tale condizione (depos. str. fol. 33). Questo rifiuto squarcia il velo di tutte le finzioni, le violenze, i ricatti tentati contro il Piccolo. La Gigante getta la maschera. Ella vuole la libertà completa senza limitazioni. A Barletta vive suo marito, è conosciuta, sarebbe spiata, non sarebbe completamente padrona di sè. Ella vuole vivere dove può dare libero sfogo agl’impulsi del suo sangue giovane e perciò non accetta tale condizione. Si vuole una riprova matematica che tutto ciò che noi siamo venuti osservando è verità sacrosanta? Col verbale in data 10 gennaio 1935 innanzi all’Ill.mo Sig. Presidente del Tribunale viene alla Gigante liquidata una pensione alimentare di lire 270 mensili. E basta. La Gigante non va oltre, perché ha raggiunto il suo scopo. Siamo noi due che, con l’atto di citazione del sette marzo 1935, abbiamo adito il Collegio.

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Ma si teme la verità e si compie un ultimo tentativo: la causa viene fatta passare in decisione nella non comparsa del Piccolo. La sen-tenza interlocutoria viene notificata da noi. È questa la ricostruzione della dolorosa odissea del Piccolo.

Ma vogliamo compiere intero il nostro dovere. Intendiamo esa-minare e discutere le accuse avversarie. Si vedrà quante menzogne sono state dette.

Nel ricorso all’Ill.mo Sig. Presidente del Tribunale la Gigante qualificò il marito autocrate, prepotente, (che poi sono la stessa cosa) ed avaro.

Dell’avarizia del Piccolo daremo noi la prova invece della Gi-gante:

1.) Durante il periodo del fidanzamento il Piccolo è stato largo di sovvenzioni continue a tutta la famiglia Gigante.

2.) Sul quaderno a fol. 45 si vedrà quello che la Gigante spende-va per sé in abiti, cappelli e scarpe; una media di oltre tremila lire all’anno.

3.) Si leggano le deposizioni Bello e Lino (fol. 35 r.): l’avaro per-metteva anche profusione di profumi.

4.) La Gigante aveva un libretto postale di risparmio che, nel mo-mento in cui ha abbandonato il marito conteneva 1300 lire (depos. Italiani fol. 33 documento fol. 44).

5.) Tutta la famiglia Gigante, durante il matrimonio, attingeva lar-gamente alla borsa del Piccolo. La figlia mandava alla madre (fol. 48) e il Piccolo mandava al suocero (fol. 23 e 24).

Ma vi è un biglietto il di cui contenuto è stato trionfalmente ricor-dato dal cav. Scelba nella sua deposizione, un biglietto in cui il Pic-colo scriveva alla moglie che non le comprava le scarpe perché non se le meritava. Avrebbe potuto aggiungere perché ne aveva a iosa. Peccato grave di avarizia!!! E si vuol tralasciare la motivazione del rifiuto “perché non te le meriti?”. Non è quindi un tratto di tircheria ma una reazione, come al solito stupida e inconcludente, ad uno dei tanti episodi della condotta della Gigante. Le sue osservazioni sul ro-vescio dello stesso biglietto non volle però il cav. Scelba che fossero

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inserite a verbale: “impossibile la convivenza data la forte differenza di età”. Quando scrisse questa frase rivelatrice il cav. Scelba non aveva le sue facoltà critiche offuscate dalla necessità di proteggere la figlia di un suo amico? L’uomo e il funzionario esperto, in serenità completa di animo, videro giusto all’inizio. Videro che la donna gio-vane e bella mordeva il freno accanto ad un marito vecchio e defor-me e capirono che il talamo, l’eterno conciliatore di tutti i dissapori coniugali, aveva, in quel frangente, perduto tutto il suo fascino e la sua naturale destinazione.

Altre accuse si fanno nel ricorso all’Ill.mo Sig. Presidente del Tribunale: “In data 28 settembre e 8 ottobre 1934 il Piccolo senza alcun motivo, inveiva contro la persona della moglie producendole delle lesioni”. Le due date non vengono dimenticate dalla Gigante. Anzi per ogni volta si fa rilasciare due referti medici. È la ipoteca sul futuro. È la sottile acutezza della donna che già pensa ed aspira ardentemente alla separazione ed accumula, precostituisce, cataloga accuratamente le prove esagerando e falsando circostanze con l’aiu-to della lavandaia innanzi alla quale non avrebbe avuto ritegno di svestirsi per mostrare i segni delle percosse. La Gigante si degrada pur di mentire e mentisce pur di raggiungere lo scopo. Tutta la depo-sizione dei coniugi Italiani è l’eco di uno scoppio di incredulità e di ripulsa onesta all’insinuazione che il Piccolo percotesse la moglie.

Essi avevano assistito a scenate di violenza della Gigante verso il marito che corre per la stanza come uno scolaretto inseguito per sfuggire alle ire della moglie e hanno ragione di sorridere di commi-serazione alle accuse della Gigante. Chi è il testimone delle percosse in quei due giorni? Si deve forse andare per via di presunzioni? E chi può autorizzare simile procedimento nella valutazione di gratui-te affermazioni? La Gigante, che ha mentito accusando il marito di avarizia contro l’evidenza di documenti che provengono proprio da lei, mentisce anche adesso ed una lividura si può procurare con la massima facilità. È un sacrificio che si può ben fare con la prospetti-va di potersi liberare del marito.

Ma noi vogliamo essere accondiscendenti al massimo grado con

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la Gigante. Vogliamo dare per ammesse le due percosse e qualche chiassata. E allora il problema della causa scivola su di un’altra questione inerente all’interpretazione della legge. Perché il Piccolo avrebbe percossa la moglie? Fino ad una certa epoca i coniugi hanno vissuto d’accordo: questo è accertato in maniera indiscutibile ed è un elemento della massima importanza anzi di importanza decisiva. Il comportamento di cui a torto si lamenta la Gigante sarebbe venuto dopo e sarebbe stato conseguente alle discordie intervenute in segui-to alla comparizione in casa Piccolo del Sottile, anzi, per essere più chiari sarebbe stato conseguente ai sospetti di intimità tra la Gigante e il Sottile, alle assenze ingiustificate e prolungate della Gigante da Barletta mentre il Piccolo era a Brindisi, all’allontanamento da Brin-disi della Gigante, la quale simulando di andare a Barletta si recava invece a Bari dove trovavasi il Sottile. Qualche innocua escande-scenza del Piccolo non la si può considerare avulsa dal complesso della situazione coniugale nuova che la Gigante ha determinato per sua colpa esclusiva, offuscando la propria onorabilità di moglie, ri-fiutandosi al legittimo amplesso, eccitando i sensi del marito senza concedersi. Sono queste o no ingiurie gravi? Altrimenti se ha per-cosso il Piccolo perché ha percosso? E in ogni modo perché non ha percosso nei primi anni di matrimonio? Questi interrogativi non possono essere lasciati sospesi. La Gigante può mentire quanto vuo-le ma non può soffocare il senso critico del Magistrato. La logica e l’esperienza della vita hanno le loro esigenze indeclinabili e quando un ragionamento si perde nelle nebbie dell’assurdo, segno è che la menzogna ha tentato di sopraffare la verità.

Ora se noi cogliamo la Gigante a mentire quando afferma nel ricorso che “dopo qualche giorno dalle nozze ebbe a conoscere il temperamento del marito prepotente, autocrate, avaro” mentre tutti i testimoni di Barletta ci testimoniano dell’armonia tra i coniugi fino a quando non si è conosciuto il Sottile, è segno infallibile che la Gigante ha voluto nasconderci la verità. Ha voluto cioè nasconderci che la disarmonia ha devastato la tranquillità coniugale dopo qual-che anno dal matrimonio e questo non ha voluto confessare perché

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avrebbe dovuto nello stesso tempo dirci perché la concordia dei pri-mi tempi si fosse dileguata. E l’abbiamo detto noi. Siamo noi logici e conseguenziari e siamo noi quindi nel vero in perfetta concordanza con tutti i testimoni di Barletta che hanno avuto quasi comunanza di vita con i coniugi Piccolo nei primi anni del matrimonio. Non crederete voi ai testimoni da noi addotti? E allora rimpiamgeremo questa fatica sprecata pur inchinandoci come sempre, di fronte al vostro responso e direte implicitamente, se doveste accogliere la do-manda di separazione della Gigante, che il Piccolo in una certa epo-ca della sua vita ha avute ottenebrate le sue facoltà mentali. Perché voi non potreste dare altra spiegazione al contegno del Piccolo. Ma questo non potrete dire perché nessun testimone lo ha detto. E allora, Signori del Tribunale, è questione di Giustizia, cioè è questione di proporzione perché la Giustizia altro non è se non proportio hominis ad hominem. Come valutate voi la percossa, dandola anche per vera, del Piccolo di fronte al contegno della Gigante? Già considerata in sè stessa non potrebbe mai concretare un motivo di separazione le-gale. L’art. 150 Cod. Civ. pone gli eccessi, le sevizie, le minaccce e le ingiurie gravi come motivi di separazione accanto all’adulterio e al volontario abbandono. Ciò significa che i primi, pur essendo entità ontologiche completamente diverse, per essere presi in considera-zione devono rivestire tali forme di gravità da assurgere alla stessa importanza dell’adulterio e del volontario abbandono. Sulla esattez-za di tale interpretazione non si potrebbe seriamente discutere.

“La forza della tradizione spinge la dottrina a definire e la tradi-zione vuole che per eccessi si intendano quei fatti che mettono in pericolo la salute o la vita di uno dei coniugi” (Venzi nelle note alle Istituzioni del Pacifici - Mazzoni pag. 460).

Le sevizie sono i veri e propri maltrattamenti voluti, effetti di crudeltà non iraconda ma fredda, che rendono insopportabile la vita del coniuge seviziato” (Sechi - La separazione personale dei coniugi nella Legislazione Italiana pagg. 38-39).

“Le minacce devono essere tali da intimidire realmente una per-sona sensata epperò non sono minacce le parole pronunziate dal ma-

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rito senza senso e in un momento d’ira”. (Ciccaglione - Separazione personale in Dig. It. vol. XXI N. 81).

Accostate a questi concetti i fatti di cui si lamenterebbe la Gigante e vedrete quanto lontana sia dalla legge la pretesa di separazione dal marito, anche se veri quei fatti.

Ma per noi la causa su questo punto può andare anche oltre. Il comportamento del Piccolo, qualunque esso sia, anche se dovesse concretare, a giudizio del Magistrato un motivo sufficiente di separa-zione va inquadrato e riferito alla condottta e al comportamento della Gigante. Altrimenti tutto diventa incomprensibile ed irreale. Si può forse negare che qualsiasi altro uomo, al posto del Piccolo, avrebbe avuto fondati sospetti sulla fedeltà della moglie? E tutto quello che è stato accertato a carico della Gigante e che non staremo più a ripetere non costituisce forse la più grave delle ingiurie che si possa immagi-nare, la più grave delle umiliazioni che si possa portare all’orgoglio e ai diritti di un maschio? E allora quale legittimità potrebbe darsi alle lagnanze della Gigante?

“In tema di ingiurie il Giudice deve apprezzare lo stato d’animo di chi le pronunzia e il momento in cui le pronunzia, non dovendo considerare offesa la parola sfuggita in un impeto d’ira o la confiden-za fatta ad un amico come sfogo dei sospetti nutriti in fondo all’ani-mo proprio” (Sechi pag. 42).

E nel caso nostro non vi sarebbe neanche interferenza di terzi.Una sentenza della Corte di Appello di Bologna del 28 maggio

1881 la quale aveva negato la separazione richiesta dalla moglie, senza nessun motivo e ingiustamente qualificata vacca e sgualdrina dal marito, suscitò polemiche vivacissime in dottrina. Il Venzi che pur disapprovava il giudicato della Corte così si esprimeva: “Se la donna nulla ha fatto per meritare tale offesa, per determinare quel-l’opinione nel marito, quella ingiuria apre tra i coniugi un abisso. Abbia il coraggio la Gigante di venirci a dire che nulla ha fatto nei confronti del marito.

E recentemente la Corte Suprema: “L’Autorità Giudiziaria per dichiarare la separazione legale di due coniugi per colpa di uno di

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essi a seguito di maltrattamenti a danno dell’altro coniuge, non deve limitarsi a constatare la esistenza dei maltrattamenti stessi, ma deve portare la sua indagine sull’elemento intenzionale del coniuge, il quale si sia reso colpevole. Da tale indagine non è dato prescindere e la mancanza di essa può essere rilevata in Cassazione (Sentenza 10 agosto 1934 in Rivista del Diritto Matrimoniale Italiano 1935 pag. 139).

“Il Tribunale, nel giudizio di separazione dei coniugi, per colpa, valutando i fatti che si adducono dall’una parte a carico dell’altra come causa di separazione deve tenere nel debito conto le circostan-ze nelle quali i fatti stessi si sono svolti, giacché in vista di speciali circostanze può talvolta considerarsi non grave quel fatto che nor-malmente abbia tutte le apparenze di ingiuria grave”.

(Corte di Appello di Milano 21 maggio 1935 in Rivista del Diritto Matrimoniale Italiano 1935 pag. 443).

Decisioni rette, dettate da un profondo senso di umanità, deci-sioni che superano con chiarezza di criteri, gli agguati e le insidie di chi per fini inconfessabili intende alterare, con profitto proprio, il vincolo coniugale. Si tenta mostrare il fuscello negli occhi degli altri occultando la trave che è nei propri occhi. Non si intende fare alcuna apologia di reato ma qualsiasi uomo, degno di esser tale, si immagini al posto del Piccolo di fronte alla moglie nuda, e pervica-cemente invitante per non concedersi, s’immagini al posto del Pic-colo quando, qualche volta, a notte, nel silenzio della casa divenuta un luogo di torture, di sorpresa, superando la barriera perfidamente eretta pretende il tributo coniugale dalla sua donna che si rifiuta e resiste e i due corpi nella lotta cadono sul pavimento avvinghiati in un inutile abbraccio ostile. Altro che percosse in quei momenti!!! Non può accogliersi, dunque, la pretesa della Gigante. La separazio-ne non può essere pronunziata. Sarebbe, ci si scusi il termine, una suprema ingiustizia verso un uomo che ne ha già ricevute tante nella vita, sarebbe il premio ad una condotta immorale ed antigiuridica.

La Gigante, la quale ha volontariamente abbandonato il tetto co-niugale, deve ritornarvi, deve ritornare ad un uomo verso cui ha un

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grande debito di gratitudine, che le è stato sempre fedele, che ha messo ogni suo avere, ogni suo sentimento, ogni suo pensiero ai pie-di di lei con devozione illimitata, con affetto senza pari. È il marito che la reclama e che dal suo affetto immenso attinge la forza per dimenticare. Il Piccolo ha voluto rinunziare alla richiesta contenuta nell’atto di citazione di separazione per colpa della moglie, perché la sua vita, la ragione anzi della sua vita è legata a quella donna irre-vocabilmente. Non desti meraviglia questa rinunzia. I primi quattro anni di matrimonio hanno irradiato nell’anima di questo uomo una luce così intensa che gli episodi posteriori non sono riusciti a soffo-carla del tutto. È un pallido raggio che resiste ancora, è un ricordo che il tempo non cancella anche se attenua. La raffica che li ha se-parati può anche essere stata un processo di purificazione. È questa anzi la certezza del Piccolo anche se può non essere quella di chi, per dovere, si è accostato a questa dolorosa vicenda. E c’è da ammirare in silenzio. C’è da ammirare tanta forza di bontà, tanta illimitata fi-ducia nella bontà degli altri. Ed il Piccolo in questa aspirazione sem-plice, commovente, umana può aver ragione. La vita è così varia, potente, profonda, l’anima ha delle sorgenti di bene così insospettate che le situazioni che sembrano più irreparabili, gli odi che sembrano più mortali finiscono col placarsi.

Alcune grandi figure dell’arte si accostano e comprendono il desi-derio e la fede di quest’uomo tendendo la mano fraterna.

Brindisi, giugno 1936 - XIV

Avv. ANTONIO CAIULO

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Ancora su Pietro Chimientidi CARLO PANZUTI *

Nel numero 3/2003 di questa rivista (pagg. 194-202) Paolo Bar-biero ha scritto per noi un saggio su Pietro Chimienti, brindisino, professore universitario di primo piano in diritto costituzionale, mi-nistro e sottosegretario, deputato dal 1900 al 1921 e quindi senatore del regno dallo stesso anno sino alla morte avvenuta nel 1928, trac-ciandone la storia, il profilo e la produzione scientifica.

La scelta di parlare di lui sorse occasionalmente per il rinveni-mento, tra le bancarelle del mercato antiquario di Arezzo (interes-sante per il contesto e per le occasioni che si trovano!), de “Saggi, Diritto Costituzionale e politica”, Napoli, Francesco Perrella Socie-tà Anonima Editrice, 1915.

Da quel giorno ho iniziato la ricerca dei testi originali delle pub-blicazioni del Chimienti, di difficile reperimento invero, e così cu-riosando ho rinvenuto presso la “Libreria Naturalistica” di Bologna lo scritto “La Mozione Turati e la decadenza dall’ufficio dei deputati secessionisti (Appunti di diritto parlamentare)”, Roma, Libreria del Littorio, 1926, lavoro nel quale l’Autore vuole dimostrare la legit-timità della decadenza pronunciata dal Parlamento facendo ricorso anche alla pratica parlamentare dell’Inghilterra e degli Stati Uniti. Di queste ultime due legislazioni il Chimienti è stato cultore e profondo conoscitore.

Dall’essere un convinto liberale e giungere poi a sostenere il regi-me fascista di Benito Mussolini e quindi a fornire la giustificazione teorica della decadenza dei deputati aventiniani nel lavoro che qui si presenta deriva l’oblio in cui è caduto nel secolo scorso e nell’inizio dell’attuale.

* Avvocato del Foro di Brindisi.

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Rileggendo il saggio del Barbiero e valorizzando la storia del-l’uomo nel complesso percorso che lo ha caratterizzato in un conte-sto di profondi cambiamenti, ritroviamo uno spaccato della società di fine ottocento e dei primi del XX secolo osservata nel campo del diritto e in una vicenda così delicata per la storia del nostro Paese: l’avvento definitivo del fascismo con la dichiarazione di decadenza del 9 novembre 1926 di 123 deputati.

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PIETRO CHIMIENTI

Senatore del Regno

La mozione Turatie la decadenza dall’ufficio dei deputati secessionisti

(appunti di diritto parlamentare)

La deliberazione della Camera dei deputati del 9 novembre 1926 suscitò vivo interesse e commenti vari nella pubblica opinione. L’oc-casione di occuparmene di proposito fu duplice. La prima me la of-ferse il corso libero di Legislazione costituzionale positiva italiana che detto da qualche anno nella R. Università di Roma. La scuola, di casi simili, deve fare la ricostruzione in funzione del diritto e della pratica parlamentare nazionali; perché, per la sede in cui operano, sono particolarmente adatti a creare quei dissidi tra la scuola e la vita che sono amari ed esiziali per la cultura ed il carattere dei giovani. La seconda occasione mi fu offerta da una amabile corrisponden-za col prof. Wilkinson eminente studioso americano di dottrine e di scienze politiche. Egli mi ha dimostrato vivo il desiderio di conosce-re, per via di fatti appurati e rilievi obbiettivi, la attuale situazione politica del nostro paese nelle cagioni che la determinarono e nelle forze materiali e morali che la mantengono attiva ed operosa.

Onde è che questi appunti sono dedicati anche a lui.Il giorno 9 novembre 1926 la Camera dei deputati con 332 voti

favorevoli e 10 contrari votava una mozione dell’on. Augusto Turati ed altri che dichiarava decaduti del mandato parlamentare 123 de-putati, i quali con dichiarazione collettiva avevano abbandonato il servizio della Camera come protesta morale contro la condotta del-l’Assemblea e del Governo. I fondamentali motivi su cui si poggiava la mozione erano: a) la dichiarazione collettiva di abbandono dei

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lavori della Camera motivata in maniera offensiva per l’Assemblea e per il Governo del Re; b) l’assenza prolungata dal servizio in Par-lamento per due anni e cinque mesi con grave danno del prestigio e del funzionamento della Camera e del Senato; c) il godimento delle prerogative parlamentari non ostante fosse venuto a mancare l’eser-cizio delle funzioni; d) l’atto di spergiuro consumato in violazione dell’art. 49 dello Statuto; e) la condotta di sovvertimento contro i po-teri dello Stato, tenuta dai deputati secessionisti fuori della Camera.

Alla coscienza anche dei buoni e tranquilli cittadini, a quella degli studiosi di queste materie, soprattutto per la novità del caso, si pose subito questa domanda: la deliberazione della Camera dei deputati fu un atto di sopraffazione della maggioranza o fu presa in confor-mità dei poteri che hanno ed esercitano le Camere del Parlamento in forza del diritto obbiettivo delle loro prerogative?

La questione, spogliata da passioni e preoccupazioni di parte, va conosciuta ed apprezzata nei suoi termini di fatto e di diritto.

Ciò noi ci proponiamo di fare in questi appunti. Ad illustrazione dei risultati della ricerca faremo seguire un rapido cenno alla pratica parlamentare dell’Inghilterra e degli Stati Uniti di America.

In punto di fatto va ricordato: che nel giugno del 1924, 123 deputati con una dichiarazione col-

lettiva abbandonavano il servizio della Camera in Parlamento e si impegnavano di non ritornarvi se non a determinate condizioni;

che la dichiarazione era motivata con ragioni di aperta sfiducia nella maggioranza della Camera e nel Governo e di protesta morale contro l’Assemblea e contro il Governo;

che il verificarsi delle condizioni poste era fuori della competenza della Camera, in quanto quelle condizioni si riferivano all’azione del potere esecutivo e all’esito di procedure giudiziarie già iniziate pres-so l’autorità giudiziaria ordinaria e presso l’Alta Corte di giustizia del Senato;

che il proposito di non riprendere il servizio della Camera in Par-lamento fu riconfermato con susseguenti deliberazioni e fu mantenu-

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OPINIONI E DOCUMENTI

to anche dopo le pronunzie dell’Alta Corte di giustizia e dell’autorità giudiziaria;

che la opposizione portata fuori della Camera, senza responsa-bilità della propria condotta in Parlamento, tendeva ad eccitare la pubblica opinione ed a far nascere sospetti sull’azione del potere giudiziario e difficoltà al regolare andamento del lavoro legislativo;

che questo fatto per il suo lungo perdurare produceva nella Ca-mera dei Deputati e nel Senato uno stato d’animo di preoccupazioni e di disagio;

che il fatto medesimo non poteva non creare alla politica del Go-verno all’interno e all’estero, non meno gravi preoccupazioni in or-dine alle proprie responsabilità verso il Re e verso i governati;

che nei confronti dei deputati secessionisti si era venuta a creare una situazione anormale per la quale, pure trovandosi per il fatto proprio fuori della Camera, cioè, fuori dell’esercizio delle loro attribuzioni, essi presumevano di poter continuare a godere delle guarentigie parla-mentari attribuite all’assemblea per l’esercizio delle loro funzioni;

che effettivamente essi continuano a godere delle utilità economi-che annesse all’ufficio e che tre di essi, che vi avevano rinunziato, lo avevano fatto in violazione alla legge che non permette la rinunzia alla indennità parlamentare;

che la Camera dei deputati attese per due anni e cinque mesi pri-ma di prendere una deliberazione sull’atto e sulla condotta dei suoi membri;

che quanto era accaduto non aveva precedenti nella storia del no-stro Parlamento;

che durante l’ostruzionismo contro i provvedimenti Pelloux, la proposta di secessionare da parte dei più accesi tra gli ostruzionisti non fu accolta perché giudicata scorretta ed antiparlamentare dagli on.li Rudini, Giolitti e Zanardelli da una parte, e da Barzilai, Pantano e Bissolati dall’altra;

che il 9 novembre 1926 la Camera dei deputati votava una mozio-ne che dichiarava decaduti dall’ufficio parlamentare i 123 deputati secessionisti.

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OPINIONI E DOCUMENTI

Tutto ciò, in punto di fatto, risponde incontestabilmente alla verità. La narrativa esposta, senza commenti, non consente correzioni o riserve.

In punto di diritto va osservato:che in forza di principi generali e di norme del nostro diritto po-

sitivo (articoli 40-45-60-61 dello Statuto; art. 84 legge elettorale po-litica; Regolamento della Camera dei deputati) la Camera ha la po-destà riservata di giudicare in definitivo: a) tutte le quistioni relative alla sua costituzione, cioè alla interpretazione ed applicazione della legge E.P., escluso solamente quando riguarda la legalità delle liste permanenti; b) tutte le quistioni relative al suo funzionamento, cioè alla interpretazione ed applicazione delle sue prerogative;

che essa ha la potestà ed i mezzi istituzionali per impedire e puni-re questi atti dei suoi membri che si palesino, a suo giudizio insinda-cabile, lesivi della dignità e del funzionamento dell’assemblea;

che ad essa, per la responsabilità che ha, di fronte al Capo dello Stato al Governo ed al Senato, del regolare andamento del pubbli-co servizio in parlamento, spettano altresì il diritto ed il dovere di impedire e punire la condotta dei suoi membri quando questa rechi offesa al prestigio dell’autorità dello Stato o crei ostacoli all’azione del Governo responsabile o preoccupi l’esercizio delle attribuzioni dell’autorità giudiziaria o tenti di sminuire la efficacia giuridica e morale delle sue pronunzie;

che, in forza dell’autonomia ed insindacabilità degli interna cor-poris delle Camere legislative, a nessun organo di altro potere dello Stato è possibile intervenire per risolvere questioni interne, come quella sorta in seno alla Camera dei deputati in conseguenza dell’at-to e della condotta dei 123 deputati secessionisti;

che la Camera dei deputati, oltre le attribuzioni legislative e di controllo, ne ha due di altissimo valore costituzionale come l’accusa dei Ministri (art. 47 Statuto) e la partecipazione congiuntamente al Senato alla nomina del Reggente (articolo 13 Statuto);

che per l’esercizio di tutte le sue attribuzioni deve trovarsi sempre in piena efficienza della propria costituzione interna;

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che il Regolamento della Camera presume che nessun deputato sia assente senza giustificato motivo, ed a tale uopo stabilisce norme per la concessione dei congedi ai fini del numero legale necessario alla validità delle sue deliberazioni (art. 54 Statuto);

che l’abbandono dei lavori da parte di 123 Deputati rendeva dif-ficile la concessione di regolari congedi, e quindi privava i deputati fedeli al loro ufficio del diritto di domandarne, per la preoccupazione costante che venisse a mancare il numero legale;

che, per la combinata azione dell’articolo 41 dello Statuto e del-l’art. 102 della legge elettorale politica, la sola Camera dei Deputati è competente a ricevere e giudicare le dimissioni dei suoi membri;

che è costante e pacifica pratica della nostra Camera di non pren-dere conoscenza delle condizioni, riserve e motivi di carattere gene-rale e politico contenute nell’atto di rinunzia, e tali da far sorgere una discussione sugli avvenimenti attuali in sede di rinunzia dall’uf-ficio;

che, per una giurisprudenza costante, è parlamentarmente scor-retto ed offensivo delle prerogative della Camera che il deputato ap-poggi la propria rinunzia ad una riproduzione del voto e della con-dotta dell’assemblea o del Governo ed in genere delle legge e degli ordinamenti costituzionali;

che in simili casi il Presidente della Camera non dà lettura dell’at-to di dimissioni così motivate, perché non è ammissibile che «un de-putato dichiari non poter proseguire a far parte della Camera perché essa ha emesso un voto che egli disapprova» e censuri «apertamente e con un atto pubblico i voti del Parlamento» (Cavour, Sed. 20 di-cembre 1850); e perché non deve esser permesso «che un deputato si arroghi il diritto di motivare la rinunzia con una disapprovazione formale e con un’accusa gravissima contro le deliberazioni prese dalla Camera» (Giuseppe Pisanelli, Sed. 27 luglio 1876);

che per queste ragioni, rilevante per la Camera è l’atto di rinunzia, irrilevanti, anzi vietate, sono le condizioni, le ragioni o le riserve contenute nell’atto;

che la rinunzia può essere tacita come conseguenza logica di un

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atto di volontà compiuto da un deputato in carica o di una situazione in cui viene volontariamente a porsi, e tali che importino la decaden-za dall’ufficio parlamentare;

che la dichiarazione di abbandono dei lavori della Camera con l’im-pegno di non ritornarvi se non a determinate condizioni implicava la tacita rinuncia di un diritto politico che vive per e nel suo esercizio;

che la dichiarazione dei 123 Deputati, consegnata in un atto pub-blico e reso pubblico, conteneva l’aggravante di motivazioni e con-dizioni offensive per l’assemblea, per i componenti la maggioranza, per il Governo del Re, per la autorità giudiziaria;

che il fatto di queste offese, reso più grave dalla condotta dei de-putati secessionisti fuori della Camera, impediva a questa di pren-dere atto puramente e semplicemente della rinunzia, come avrebbe potuto fare senza le circostanze aggravanti più sopra rilevate;

che i deputati per la loro qualità di investiti di una pubblica fun-zione sono considerati come pubblici funzionarii ai fini della prote-zione del loro diritto politico di essere e di funzionare come tali;

che solo a questo fine godono delle prerogative ed immunità at-tribuite all’Assemblea per la indipendenza dell’esercizio delle sue attribuzioni;

che utilità economiche, come la indennità parlamentare e la tesse-ra gratuita di viaggio, sono loro concesse per il servizio della Camera in Parlamento;

che nel caso fosse occorsa la necessità di applicare, nei confronti di qualcuno dei deputati secessionisti la prerogativa dell’art. 45 del-lo Statuto, la Camera si sarebbe trovata nella forzata condizione di passare all’ordine del giorno, non essendo applicabile la guarentigia dell’autorizzazione a procedere in persona di un membro dell’assem-blea che aveva dichiarato di non volere esercitare le sue funzioni;

che l’atto dei 123 Deputati, pur non essendo reato ai fini del Codi-ce penale, costituiva uno dei più gravi atti di indisciplina e di offesa morale verso l’assemblea, in contrasto con i principii generali del-l’ordinamento giuridico dello Stato retto a regime rappresentativo e delle norme del suo diritto positivo;

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che il lasciare ancora impuniti atti di questa natura portava il di-scredito su tutto il Parlamento e significava una confessata impoten-za della sovranità dello Stato;

che la Camera ha la prerogativa di un potere disciplinare sui suoi membri, prerogativa implicita nell’art. 61 dello Statuto e disciplinata nel suo Regolamento interno;

che questo potere disciplinare in forza del Regolamento vigente va fino all’espulsione di un suo membro dall’aula per un numero determinato di sedute;

che la Camera dei deputati, come ogni assemblea legislativa, ha la competenza insindacabile di interpretare ed applicare le proprie pre-rogative con una risoluzione speciale per un caso determinato non previsto dal suo Regolamento; a condizione che la interpretazione e l’applicazione che ne viene a fare discendano da un potere implicito e consequenziale di quello contenuto nella prerogativa medesima;

che è di competenza esclusiva della Camera giudicare gli atti e la condotta dei suoi membri in concorrenza dell’autorità giudiziaria e di apprezzare la sentenza del magistrato in rapporto alla correttezza morale di quegli atti e di quella condotta anche nel caso di sentenza assolutoria;

che è costituzionale e conforme ai precedenti che non solo il Pre-sidente, ma anche un singolo deputato possa prendere la iniziati-va per mettere in moto il potere disciplinare della Camera sui suoi membri;

che una mozione diretta allo scopo di dichiarare la decadenza del-l’ufficio di uno o più deputati per la durata della legislatura, riferen-dosi alla interpretazione ed allo esercizio delle prerogative dell’as-semblea, ha la precedenza e l’urgenza;

che in questo caso la Camera ha il diritto ed il dovere di proce-dere rapidamente nell’esame della mozione appunto per evitare una discussione di politica generale sulla condotta della maggioranza o del Governo in sede non propria ed in occasione di un atto della minoranza, scorretto ed offensivo per l’assemblea, per tutto il Parla-mento e per gli altri poteri dello Stato;

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OPINIONI E DOCUMENTI

che, se anche la Camera prima di punire avesse voluto ascoltare i deputati secessionisti, non avrebbe potuto farlo trovandosi di fronte ad una formale dichiarazione di abbandono dei lavori parlamentari;

che se avesse creduto di invitarli, così nel caso che lo invito fosse stato accolto come nel caso negativo, la Camera avrebbe creato un precedente pericoloso, non solo lesivo della dignità dell’assemblea, ma anche dell’autorità dello Stato;

che in forza dell’art. 49 dello Statuto i deputati, come i senatori, prima di essere ammessi nell’esercizio delle loro funzioni, debbono giurare, a pena di decadenza, (art. 89 L.E.P. – art. 130 del Rego-lamento del Senato – art. 1 Regolamento della Camera) di essere fedeli al Re, di osservare lealmente lo Stato e le leggi dello Stato, e di esercitare le loro funzioni nel solo bene inseparabile del Re e della Patria.

Queste le considerazioni e gli argomenti di diritto che illustrano la risoluzione della Camera dei Deputati del 9 novembre 1926.

Per le premesse di fatto più innanzi ricordate e per le considera-zioni di diritto esposte nella loro concatenazione logica, si può con sicura coscienza affermare che la deliberazione del 9 novembre 1926 fu presa dalla Camera dei deputati in conformità del suo dovere e della esclusiva competenza costituzionale di proteggere l’esercizio delle sue attribuzioni e giudicare e punire la condotta dei suoi mem-bri, lesiva del diritto comune e del regolare funzionamento dei poteri dello Stato così dentro come fuori l’assemblea.

* * *

Qualcuno si è domandato se, dopo l’atto compiuto dalla Camera dei deputati, non fosse necessario o opportuno l’intervento del pote-re esecutivo diretto a normalizzare la composizione dell’assemblea così fortemente decimata.

Per lo appunto qualche pubblicista straniero ha osservato che i collegi dei deputati espulsi dovevano dichiararsi vacanti e procedersi alle elezioni parziali; o che, trattandosi di un così rilevante numero

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OPINIONI E DOCUMENTI

di collegi vacanti, sarebbe stato necessario lo scioglimento della Ca-mera.

Noi riconosciamo che, in via di ipotesi, non vi erano che queste soluzioni; ma crediamo la prima impossibile ad effettuarsi, la secon-da moralmente, politicamente e costituzionalmente non consigliabi-le.

E valga il vero.La nuova legge elettorale italiana, posteriore alla formazione della

attuale Camera, ha ristabilito il collegio uninominale. Tecnicamente non era possibile individuare i collegi da convocarsi, quando le ulti-me elezioni furono fatte sulla base del collegio regionale.

Quali collegi uninominali avrebbe lasciato vacanti la decadenza dei 123 deputati?

Quanto allo scioglimento della Camera è appena opportuno os-servare che un così grave provvedimento sarebbe stato in definitiva imposto al Capo dello Stato da un atto e dalla condotta incostituzio-nale ed antiparlamentare di una minoranza della Camera.

Forse è impossibile pensare ad un precedente più pericoloso per la cosa pubblica, più dannoso per l’autorità dello Stato e più esiziale per la educazione politica del Paese, come sarebbe stato il consiglio dato alla Corona di sciogliere una Camera da poco eletta, e nelle cir-costanze di fatto e di diritto che più sopra abbiamo illustrate.

Questo rilievo è principalmente diretto a quei pubblicisti stranieri che ignorano o non sanno intendere come la Corona in Italia aveva ed ha nel Parlamento un Governo forte della fiducia del Paese e delle due Camere, per virtù di una coscienza nazionale fermamente decisa a dar forza al potere esecutivo, per superare così le difficoltà all’in-terno come quelle che possono venire dallo esterno.

L’Italia di oggi, per i compiti che si è dati e per gli intenti che vuole raggiungere ed assicurare, vive in una situazione politica di contenuto storico-nazionale; non parlamentare e, tanto meno, parla-mentaristica.

* * *

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OPINIONI E DOCUMENTI

Ed ora una breve illustrazione della conclusione a cui siamo giun-ti con un rapido cenno alla pratica ed ai precedenti della Camera dei Comuni.

Prima di tutto, va ricordato che il diritto comune inglese non con-sente la rinuncia all’ufficio di deputato. Il cittadino inglese, nomi-nato per servire in Parlamento nella Camera dei Comuni, non può dimettersi e rinunziare al seggio, né abbandonarlo. Egli lascia il suo seggio solo per atti da lui compiuti e che importino la decadenza dell’ufficio o per causa di morte.

Ogni membro del Parlamento è obbligato di servire lo Stato nella Camera cui appartiene. Non fu mai abolito lo Statuto, Atto 5 Rich. 11 c. 4, per cui «se una persona chiamata a servire in Parlamento non vi interviene (eccetto che egli può onestamente e ragionevolmente scusarsi presso il Re nostro Signore) è passibile di una multa o sarà diversamente punito secondo l’uso antico nel Regno in simili casi».

Un altro Statuto del tempo di Enrico VIII conferma il principio che è «illegale assentarsi dalla Camera senza licenza dello Speaker o della Camera stessa».

Nel 1554 giunse notizie alla Corte del Banco della Regina che parecchi Deputati avevano secessionato dal Parlamento. Essi furono obbligati a tornarvi e sei di essi furono condannati ad una multa.

La pena ordinaria per i membri assenti senza giustificato motivo, quando la assenza non era aggravata da motivazioni o altri atti di offesa all’Assemblea, si limitava alla confisca della indennità che allora era pagata dai collegi elettorali o ad una multa. Il principio contenuto nei ricordati Statuti è ancora in forza.

La pratica parlamentare inglese, ricca di risorse e compromessi, ha un modo caratteristico per consentire ad un membro della Came-ra dei Comuni di abbandonare il seggio parlamentare senza venire meno al suo dovere legale; e cioè di domandare ed accettare dalla Corona un ufficio che importi una tenuissima retribuzione.

L’ufficio usualmente scelto a questo scopo è quello di guardiano o baglivo of Majesty’s Three Children Undrends of Blok Desbo-rough and Burnham o del castello di Northstead o di altra sinecura

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OPINIONI E DOCUMENTI

in possesso della Corona. Questi uffici sono concessi dal Tesoro su domanda dell’interessato. Il Tesoro accoglie la domanda, ma può anche non accoglierla. Se accolta, il collegio è dichiarato vacante e si procede alla nuova elezione.

Questo procedimento è adoperato anche quando un deputato vuo-le cambiare collegio elettorale ed il cambiamento giova al Gabinetto per assicurare un altro seggio alla sua maggioranza.

Oltre questo tipico caso di vacanza di un seggio nei Comuni, altri ve ne sono in cui la Camera ha la potestà di dichiarare e certificare la vacanza di un collegio. Questi casi sono di due specie.

Della prima sono: la morte; la imbecillità mentale di un membro della Camera accertata dallo Speaker; l’essere divenuti membri della Camera dei Lords; l’avere accettato la nomina ad un ufficio pubblico incompatibile con quello di membro del Parlamento; l’accettazione di contratti con lo Stato; l’annullamento di una elezione.

Della seconda specie sono i casi di indegnità morale; e cioè, quan-do la Camera, o in conseguenza di pronunzie di una corte di giustizia o di propria iniziativa ed in forza dei suoi poteri, delibera la decaden-za di un suo membro dal diritto di sedere in questo Parlamento; cioè, come noi diremmo, per tutta la legislatura in corso.

Giova notare che, in ogni caso, è sempre e solo la Camera che pronunzia la vacanza di un seggio e sempre su mozione di un suo membro che, denunziando alla Camera quel tal fatto che dà luogo alla vacanza, invita la Camera a provvedere in conseguenza.

Come è chiaro, i casi che qui ci interessano sono quelli in cui una mozione denunzia all’assemblea che un membro si è reso indegno di servire il Parlamento nella Camera dei Comuni, e ne propone la decadenza.

Il motivo della indegnità si riassume in ciò: che quel membro con la sua condotta, dentro o fuori la Camera, ha recato grave offesa al prestigio, alla dignità ed al funzionamento dell’Assemblea; e che, se questa non provvedesse, nessun altro organo dello Stato potreb-be farlo e la grave offesa impunita porterebbe discredito su tutto il Parlamento.

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Il potere delle Camere inglesi e specie di quella dei Comuni di censurare e punire le offese fatte alla maestà dell’Assemblea è antico quanto la storia del Parlamento. Esso si estende anche agli estranei alle Camere. Questo potere è di diritto comune. Esercitato in manie-ra e limiti assai più larghi per il passato, esso è ancor oggi tra le armi in possesso delle Camere per la difesa della loro dignità e prestigio.

Il venerato precedente secolare, quando le circostanze lo impon-gono, può rivivere ed essere applicato al caso il più recente.

Per non parlare che dei poteri sui suoi membri, oltre la espulsione tem-poranea o per tutta la legislatura, la Camera ha il diritto di tenerli in arresto o di privarli della indennità per il mancato servizio ai suoi lavori.

I casi gravi di offesa che portano la espulsione sono: aperta ribel-lione; falso; spergiuro; frodi ed in genere atti contro la fede pubblica; appropriazione indebita; complicità in atti di frode; corruzione nel-l’amministrazione della giustizia o nei pubblici uffici e nella esecu-zione dei propri doveri come membro della Camera; condotta non rispondente alla dignità di un pubblico ufficiale e di un gentleman; libelli od altre offese contro la Camera.

Infine può produrre l’espulsione il caso di un membro della Ca-mera che si sia sottratto con la latitanza alla procedura giudiziaria di una Corte di giustizia.

La espulsione per indegnità morale è pronunziata per il presente Parlamento.

La Camera dei Comuni ha qualche volta ecceduto questo limite.Nel 1660 dichiarò M. Wollop «incapace di tenere un qualunque

ufficio nel Regno Unito della Gran Bretagna». Questo caso e qualche altro sono ritenuti in Inghilterra come un eccesso della giurisdizione dei Comuni, perché una Camera del Parlamento non può creare da sé sola una ineleggibilità permanente e non conosciuta dalla legge.

Pronunziata la espulsione per decadenza, la Camera ha sempre annullato la rielezione dell’espulso durante la medesima legislatura, perché egli non poteva servire nel presente Parlamento.

Così fece nel 1712 per Mr. Roberto Walpole, così nel 1764 e 1769 per altri.

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OPINIONI E DOCUMENTI

Nel 1882 la Camera modificò questa sua giurisprudenza per il caso della esplulsione di Bradlaugh. Questi fu rieletto, ma nessuna mozione fu presentata contro la validità del suo ritorno nel presente Parlamento.

Ed ora, per finire, non sarà un fuor d’opera ricordare prima di chiudere questi brevi appunti come anche le Camere del Congresso degli Stati Uniti d’America in forza delle loro prerogative hanno il potere di espellere i propri membri.

Si è molto discusso se sia necessario tenersi alla procedura giu-diziaria ed ascoltare gli interessati, e se si possono punire le offese fatte da un membro del Congresso ad una Camera precedente.

Il Senato e la Camera dei rappresentanti hanno tenuto condotta differente e secondo i casi. Qualche volta hanno ascoltato gli inte-ressati. Il Senato con un’unica risoluzione e senza giudizio esplulse parecchi senatori. Le ragioni di espulsione per indegnità sono: per tradimento, per mancanze gravi in contrasto con un pubblico do-vere, per amicizia o associazione coi nemici del governo, per avere portato le armi contro il Governo, per assenza dai lavori della Ca-mera.

Più della Camera dei rappresentanti, il Senato americano ha fatto uso frequente di questo potere.

Anche negli Stati Uniti, ogni questione relativa alla competenza della Camera del Congresso di giudicare e punire le offese fatte ad una di esse dai propri membri, ogni mozione diretta ad espellere gli autori di tali offese sono considerate come materie di privilegi par-lamentari a tutti gli effetti del diritto comune.

Ciò è stato riconosciuto in decisioni della Suprema Corte di giu-stizia, la quale ha altresì ritenuto, sotto un altro profilo ma che con-ferma la portata costituzionale delle prerogative parlamentari, che un giudizio di condanna in applicazione di una legge che qualifica un membro del Senato a tenere il seggio, non obbliga il Senato ad espellere quel suo membro e dichiararlo decaduto dal diritto di sede-re nel Congresso.

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OPINIONI E DOCUMENTI

* * *

E dopo ciò crediamo di avere convenientemente ed obbiettiva-mente illustrato la risoluzione della Camera dei Deputati dal 9 no-vembre 1926, con la quale pronunziò la decadenza di 123 Deputati dal diritto di sedere in Parlameto per la presente legislatura; di avere dimostrato che la Camera, così deliberando, fece uso corretto e costi-tuzionale delle sue prerogative; e che la potestà della Camera, in for-za dei principi generali e norme del nostro diritto positivo ed in con-formità della pratica parlamentare inglese ed americana, è esplicita ed implicita nel diritto comune delle prerogative del Parlamento.

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OPINIONI E DOCUMENTI

Il procacciamento della clientela e il divieto di accaparramento

nelle regole deontologiche e nella giurisprudenza disciplinare

(ovvero dal distributore di penne a sfera al criminalista)

di AUGUSTO CONTE

1) Il primo assillante interrogativo che si poneva, e si pone, il gio-vane Avvocato all’inizio dell’attività è come formarsi la “clientela”.

La preparazione conseguita con la pratica e l’abilitazione profes-sionale non bastano; così come non basta avere uno studio con un arredamento e una libreria (oggi programmi e formulari telematici): per conquistare la clientela bisogna avere innanzi tutto fiducia in sé stessi, nel proprio impegno, e saperla ispirare al cliente e fiducia nel-la propria abilità; nella “conquista della clientela occorre evitare di nuocere alla propria indipendenza, impegnandosi a vincere la diffi-denza che spesso circonda l’opera dell’Avvocato”1.

Per il reperimento della clientela non esiste una metodologia, dovendosi ciascuno affidare alla propria iniziativa, con il limite del rispetto della dignità e del decoro della funzione, e della coscienza professionale.

Uno dei metodi più antichi consisteva nella frequenza delle aule di giustizia: “Ero Avvocato; ero stato presentato al foro: si trattava di trovar clienti; ogni giorno andavo a palazzo a vedere arringare i mae-stri dell’arte, guardavo dappertutto per vedere se la mia fisionomia poteva simpatizzare con qualche litigante che volesse farmi debutta-re con una causa in appello... ma frattanto bisognava trascorrere tutto

1 PIERO CALAMANDREI, Elogio dei Giudici, Ponte alle Grazie, 1993.

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OPINIONI E DOCUMENTI

il pomeriggio e una parte della sera in uno studio, per non perdere il fortunato istante che poteva sopraggiungere... Da me non veniva che qualche curioso per tastarmi, o qualche pericoloso litigante; li ascoltavo con pazienza, gli davo consigli, non tenevo l’orologio in mano, li trattenevo finché volevano, li accompagnavo alla porta; e non mi davano niente, questa è la sorte dei principianti, occorrono tre o quattro anni prima di riuscire a farsi un nome e a guadagnare un po’ di soldi”2.

2) L’Avvocato che avvia l’attività si pone naturalmente in con-correnza con i colleghi; nessuna norma del Codice Civile o di etica professionale ha mai inibito all’Avvocato la libertà di esprimersi e realizzarsi professionalmente, al contrario di quanto avviene per le attività imprenditoriali per le quali, esistono norme che pongono li-miti legali e convenzionali alla concorrenza3 e che disciplinano gli atti di concorrenza sleale prevedendo oltre a sanzioni atte a inibirne gli effetti, il risarcimento dei danni, e persino ipotesi di reato per gli atti di illecita concorrenza commessi con violenza o minaccia4.

Nessuna previsione del genere è stabilita nella disciplina del lavo-ro autonomo5. Pertanto il reperimento della clientela attraverso forme concorrenziali è sempre stato consentito e lecito con il limite del di-vieto del travalicamento della soglia dell’etica professionale e della coscienza professionale, oltre che dell’affidamento della clientela.

E, del resto, anche nella lingua italiana il verbo “procacciare” e il sostantivo “procacciamento” non hanno alcuna accezione negativa avendo il significato di sistema per studiarsi, impegnarsi, sforzarsi o comunque trovare il modo di procurare qualcosa a sé o ad altri6.

3) Significato negativo viene invece attribuito nel linguaggio co-mune, e in quello forense, (anche da molto tempo prima della co-dificazione dei principi e dei canoni deontologici) alle espressioni

2 CARLO GOLDONI, Memorie, Rizzoli, 2002, pag. 129 segg.3 Artt. 2595 segg. Cod. Civ.4 Art. 513 bis C. P.5 Artt. 2222 segg. Cod. Civ.6 ZINGARELLI, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, 2002.

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“accaparrare” e “accaparramento”, che sembrano mutuate dalla ter-minologia commerciale avendo come significato l’attività di fare incetta di beni sul mercato in previsione di aumento di prezzi o di calo di quantità disponibile, o al fine di determinare una situazione di monopolio e rivendere i beni stessi a prezzi maggiorati, e più in generale l’attività di incetta di mezzi allo scopo di farne scorta o per fini speculativi7.

Nel campo professionale ritengo di poter definire l’accaparra-mento come un mezzo illecito di acquisizione della clientela quando l’attività di reperimento, in concorrenza con i colleghi, venga svolta a mezzo di intermediari e procacciatori di affari o, comunque, con modi non conformi alla correttezza e al decoro, sottraendola agli altri professionisti e orientandola verso sé stessi con mezzi inganne-voli, privando la collettività della prerogativa della libera scelta e i colleghi di una leale opportunità di occasioni professionali.

La sussistenza del divieto è, tra l’altro, in relazione alla necessità che la funzione dell’Avvocato sia esercitata per il conseguimento dei fini istituzionali (principalmente quello della difesa, stabilito dal-l’art. 24 Cost.) che interessano anche l’ordine pubblico e le finalità statali (amministrazione della giustizia, tutela delle fede pubblica) e alla esigenza di evitare la esasperata commercializzazione della professione.

Già nel 1957 Antonio Visco avvertiva il pericolo affermando che “...la concorrenza più spietata e l’esasperato costo della vita, spingo-no al mercantilismo e cioè alla commercializzazione della professio-ne, onde ricavarne il maggior utile possibile...” con la conseguente “...svalutazione totale della umana personalità...”8.

4) Prima della codificazione dei principi deontologici e quindi della indicazione (comunque non esaustiva) dei canoni individualiz-zanti i comportamenti sanzionabili la giurisprudenza disciplinare ha censurato condotte rilevanti deontologicamente ritenute lesive del divieto.

7 Ibidem.8 ANTONIO VISCO, L’Avvocato, Leonardo da Vinci Editrice, 1957, pag. 57.

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OPINIONI E DOCUMENTI

In verità la casistica non è molto estesa in considerazione del-l’evidente constatazione che certamente non tutti i casi di accaparra-mento effettivamente verificatisi vengono segnalati; ordinariamente la contestazione della violazione del divieto di accaparramento è connessa ad altre, a volte per ben più gravi fatti, in funzione delle quali è stato individuato anche l’illecito accaparramento, che, tranne rari casi, non si rinviene come unica ipotesi di incolpazione.

La constatazione dimostra anche che l’accertamento della vio-lazione non ha finalità limitative della concorrenza e che, al con-trario, ritenere lecite tutte le forme di reperimento della clientela, compromette non soltanto la concorrenza stessa, ma la indipendenza dell’Avvocatura, oltre alla dignità e al decoro della categoria, con un prezzo troppo alto per la funzione e per l’immagine.

Nella seguente rassegna giurisprudenziale del Consiglio Nazio-nale Forense, utile anche a fini orientativi e didattici, vengono pre-se in considerazione le decisioni degli ultimi trenta anni, tenendo distinte quelle precedenti al 1997, data di introduzione del Codice Deontologico, da quelle successive.

Tutte le decisioni sono tratte da Rassegna Forense, rivista del C.N.F.5) Le violazioni del divieto di accaparramento si verificano sia

nel corso dell’attività forense esercitata nel campo penale che nel campo civile (per restare nella distinzione più generale di applica-zione professionale) con metodi specifici per ciascuna attività, e con mezzi in qualche caso singolari, in altri casi più ordinari e diffusi, ma non meno preoccupanti.

Singolare è senza dubbio l’iniziativa dell’Avv. F.C. che aveva fat-to stampare su penne a sfera nome e titolo di Avvocato, preceduto da quello di “Prof.”, distribuendole negli uffici giudiziari e nelle car-ceri. Il Consiglio Nazionale Forense, rigettando il ricorso avverso la decisione del Consiglio dell’Ordine ha stabilito che “costituisce comportamento lesivo del decoro professionale, punibile con l’av-vertimento, l’avere distribuito penne biro, recanti la stampigliatura del nome e del titolo, negli uffici giudiziari e nelle carceri”9. Mo-

9 C.N.F. Pres. Casalinuovo, 12.1.1974.

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tiva la sentenza (che si segnala anche per la censura della finali-tà mercantile perseguita, estranea alla professione): “La regola di compostezza, che è peculiare prerogativa del professionista, impone l’assoluto ripudio del sistema mercantile, il quale indulge all’uso di mezzi pubblicitari più o meno discutibili per assicurare la maggior diffusione del prodotto. Il distribuire matite «personalizzate» anche se rimanesse incerto il proponimento reclamistico, costituisce sem-pre atto di colpevole imprevidenza, perché una simile manifestazio-ne di vanità suscita commenti mordaci se non addirittura malevoli nei confronti della classe forense. L’Avv. F.C. vieppiù ostentò questo suo sentimento di fatuità quando nelle feste natalizie «girando in tut-ti gli uffici giudiziari» distribuì ai funzionari di cancelleria le matite biro stampigliate con il suo nome ed i titoli professionali”.

Venti anni prima il C.N.F. aveva sanzionato con la radiazione un avvocato “che offriva prestazioni professionali ed extraprofessionali anche non lecite a mezzo inserzioni in «avvisi economici» di giorna-le e che persisteva in tale atteggiamento nonostante formali diffide del CdO e l’apertura a sua carico di procedimento disciplinare”10.

Più specificatamente in tema di procacciamento di clientela il C.N.F. applicava la sospensione di mesi due ritenendo che “viola i doveri di dignità e di decoro professionale l’avvocato che abbia instaurato con un dipendente di una società di assicurazioni un rap-porto avente per finalità il procacciamento di clientela scelta tra per-sone danneggiate da sinistri stradali e loro aventi causa; che abbia promesso ai clienti di prestare la propria opera gratuitamente assicu-rando che si sarebbe fatto compensare dalla controparte; che abbia concordato col procacciatore la ripartizione delle somme ottenute a titolo di rimborso di spese legali; che abbia preteso successiva-mente dai clienti, a seguito della rottura del rapporto, il pagamento di parcelle talvolta anche elevate per le prestazioni compiute”11. La segnalazione al CdO era pervenuta dallo stesso procacciatore (evi-dentemente non soddisfatto nelle pretese concordate).

10 C.N.F. 31.12.1954, in Foro It., 1995, III°, 1.11 C.N.F. Pres. Casalinuovo, 22.2.1975.

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Dello stesso contenuto ed esito sono due decisioni successive12.Forma grave di accaparramento, connessa ad altre violazioni, è

vantare influenza sul giudice cui sia affidata la trattazione di un pro-cesso penale. Nel caso deciso dal C.N.F. l’Avvocato era imputato di concorso nel reato di concussione con un magistrato (entrambi poi assolti) in quanto all’inquisito, titolare di una rinomata industria, oltre a richiedere la nomina in favore dell’Avvocato era stata chiesta una somma di denaro per consentire al magistrato l’acquisto di qua-dri. Il C.N.F., confermando la sanzione della sospensione dalla pro-fessione per un anno, così decise: “Viene meno ai doveri di probità, compromettendo la dignità della classe forense l’Avvocato che abbia tentato di ottenere incarico di assistenza legale, da persona sottopo-sta a procedimento penale, vantando esclusive possibilità di influen-za vantaggiosa verso il giudice e determinando, col suo comporta-mento, un procedimento penale per il delitto di tentata concussione conclusosi con sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato”13. In sede penale era emerso che il magistrato aveva fornito notizie sul processo in corso all’Avvocato, del quale era amico, del tutto innocentemente e senza fini delittuosi essendo “non insensibile al desiderio dell’amico di procacciarsi nuova clientela”.

La “fantasia” nella “propaganda” e nel procacciamento induce anche ad autoattribuirsi titoli attraverso la creazione di neologismi: “Costituisce condotta lesiva della dignità professionale quella tenuta dal praticante procuratore che abbia prestato la propria collaborazio-ne al collega non più abilitato al patrocinio temporaneo e che abbia inviato lettere ad alcuni imputati, con le quali li invitava ad avvalersi della propria opera, comunicando contrariamente al vero di essere difensore di ufficio e qualificandosi alcune volte «criminalista» ed altre volte «penalista»”14.

12 C.N.F. Pres. Casalinuovo 9.1.1976; 14.12.1978.13 C.N.F. Pres. Casalinuovo, 27.4.1978.14 C.N.F. Pres. Casalinuovo; nella rubrica della massima appare l’uso della espressione

“propaganda”, per indicare “pubblicità”.

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L’esponente era l’altra praticante donna che avendo affidato cau-se “facili” al collega, lamentava che questi si serviva anche del suo nome sulla carta intestata “per farsi propaganda” utilizzando i bi-glietti da visita in cui aveva inserito i nomi di entrambi con la quali-fica di “criminalisti, penalisti” e simili.

I rilevanti fatti di cronaca interessanti soggetti famosi hanno sem-pre attratto l’attenzione di Avvocati bramosi di compiere “il salto di qualità” (rectius, di notorietà), e di far assurgere il proprio nome a livello nazionale (ed oltre).

Giuseppe Pelosi, minore di età, detenuto perché imputato del-l’omicidio di Pier Paolo Pasolini si vide recapitare in carcere due telegrammi, speditigli dallo studio di Avvocati, a nome di un fanto-matico “Giuseppe” che lo invitava a nominare suoi difensori i fra-telli Avvocati V.S. e T.S. i quali si prodigavano subito a rendere alla stampa dichiarazioni confliggenti con quelle del vero difensore, già nominato dai genitori del detenuto, fornendo particolari anche sulle intese con il difensore di parte civile, secondo le quali il Pelosi non poteva avere commesso il fatto, eseguito da un gruppo di persone, che probabilmente comprendeva l’imputato.

Invitato dal magistrato istruttore l’imputato non seppe dire chi fosse “Giuseppe” e quindi revocò la nomina ingenuamente fatta, confermando quale difensore l’Avvocato scelto dai genitori.

Il C.N.F. per la giovane età applicò la sanzione (tenue) della cen-sura (a tanto riducendo la sospensione di mesi due inflitta dal CdO) affermando: “Compromette la propria dignità e quella della classe forense l’Avvocato che a mezzo del proprio telefono abbia inviato all’imputato detenuto un telegramma, a firma di persona sconosciu-ta, per sollecitare la propria nomina a difensore di fiducia e che ab-bia espresso pubblicamente, con dichiarazioni alla stampa, opinioni personali sulla posizione del suo assistito, così violando il dovere di assoluta discrezione e di riservatezza in dipendenza del mandato ricevuto”15.

15 C.N.F. Pres. Casalinuovo, 16.2.1979.

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È principio consolidato del C.N.F. secondo il quale “pone in esse-re un comportamento contrario ai principi deontologici il professio-nista quando corrisponde, promette denaro o parte del suo onorario a chi gli indirizza la clientela”16; viene censurato l’accaparramento in funzione di un comportamento lucroso, e quindi il sistema affaristi-co; la stessa decisione in nota chiarisce che “allorquando colui che invia la clientela al professionista non già a scopo di lucro ma per la soluzione sollecita delle controversie, sia pure a vantaggio persona-le, non sussiste illecito deontologico”.

Fonte di “tentazioni” di procacciamento illecito sono anche i ri-levamenti dei nominativi di indagati o di parti dai registri di can-celleria (oggi resi più difficili dai sistemi informatici, tranne caso di “pirateria” telematica): “L’Avvocato che si procacci clientela prendendo contatto per iscritto o per telefono con alcuni imputati, identificandoli attraverso i registri di cancelleria, e poi li induca ad affidargli il mandato di difensore con argomentazioni capziose e mil-lantando eccelse qualità professionali, viola gravemente la norma deontologica che vieta al professionista di offrire al pubblico o ai singoli le sue prestazioni”17. Facendo affidamento sul ravvedimento è stata applicata la sanzione di mesi due di sospensione.

Analoga sanzione è stata applicata al professionista che tenti di reperire clientela tra i detenuti, denigrando i colleghi: “Il professio-nista che ricorra a qualsiasi mezzo idoneo al procacciamento della clientela, sollecitando il conferimento dell’incarico presso detenuti e diffamando i colleghi, determina il discredito dell’intera classe pro-fessionale e va punito con la sanzione della sospensione dall’eserci-zio della professione per mesi due”18.

Un anno di sospensione è stata invece la sanzione applicata a un caso più “organizzato” di accaparramento: “L’Avvocato che, con un procacciatore di affari, dia vita ad una vera e propria organizzazione,

16 C.N.F. Pres. Casalinuovo, 26.10.1979.17 C.N.F. Pres. Casalinuovo, 27.2.1982; in questa sentenza il C.N.F. fa riferimento a una

“norma deontologica” chiaramente non codificata.18 C.N.F. Pres. Casalinuovo, 23.4.1982.

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OPINIONI E DOCUMENTI

per indurre gli assegnatari di poderi, che intendono restituire il ter-reno, a promuovere azioni per ottenere il pagamento delle migliorìe apportate al fondo, viola i doveri di correttezza nell’esercizio della professione forense”19.

La forma di accaparramento usata da G.M. è stata quella di qua-lificarsi notaio a (ingenui) clienti, inducendoli in errore circa il tipo di assistenza professionale offerta: “Il comportamento ambiguo del professionista, che ingeneri nella clientela l’errata convinzione di ri-volgersi ad un notaio piuttosto che ad Avvocato per la soluzione e l’assistenza di problemi del momento, è deontologicamente censura-bile e va punito con la censura”20.

L’accaparramento è ritenuto illecito anche quando la promessa delle prestazioni non è collegata necessariamente alla attività foren-se: “Mortifica il decoro professionale e compromette la dignità del-la classe forense l’Avvocato che inoltri lettere ad odontotecnici per informarli della possibilità di ottenere il conferimento di laurea in odontoiatria «ad honorem» presso una «importante università este-ra» (Università Great China Arts College) con la propria, necessaria, assistenza legale. Sanzione adeguata si ritiene essere la sospensione per un anno dall’esercizio della professione forense”21.

Costituisce infrazione al divieto di pubblicità e di accaparramento della clientela prestarsi a farsi reclamizzare la propria attività, come nel caso dell’Avvocato che nel corso di una rubrica televisiva da lui tenuta presso una emittente locale, consenta, al termine di una delle trasmissioni, l’esposizione di un cartello con scritto il proprio recapito22.

Sempre a proposito di sollecito di nomine da detenuti, fenome-no di procacciamento illecito frequente, il C.N.F. ha confermato il principio secondo il quale “Il professionista che si procacci con

19 C.N.F. Pres. Casalinuovo, 26.11.1982.20 C.N.F. Casalinuovo, 23.5.1983.21 C.N.F. Casalinuovo, 24.3.1983.22 C.N.F. Pres. Franzo Grande Stevens, 3.12.1987. L’incolpato fu assolto mancando la

prova certa della sua consapevolezza della esposizione del cartello.

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espedienti non consoni allo stile ed al decoro professionale, l’affida-mento della difesa di un cliente, viola i principi di lealtà e correttezza propri della professione forense. Nella fattispecie l’incolpato aveva sollecitato ad una detenuta, oltretutto ricorrendo ad inganno, la pro-pria nomina quale difensore di fiducia”23. L’Avvocato incolpato non aveva provveduto a declinare l’incarico neppure dopo avere appreso che in precedenza era stato designato altro collega: la sanzione appli-cata è stata determinata nella sospensione per mesi due.

Di segno positivo la decisione che esclude ipotesi di accaparra-mento e di pubblicità quando la condotta del professionista sia discre-ta e prudente e non tesa a indecorosa pubblicità o esaltazione di propri meriti24; per converso è stato ritenuto violato il divieto di accaparra-mento da parte dell’Avvocato che “vanta di concludere in breve tem-po, grazie alle sue conoscenze, una pratica, pur sapendo che della que-stione era già stato incaricato altro Avvocato; sollecita per il tramite del telefono l’acquisizione di un incarico qualificando il proprio studio come un ufficio di recupero sinistri, specializzato nel settore”25.

Il domicilio presso una società commerciale, pubblicizzato sulla carta intestata, accomunando sulla targa e sul citofono le sede della società con quella dello studio legale comporta illecita pubblicità e accaparramento di clientela, facendo venire meno il dovere di indi-pendenza e di autonomia professionale26; così come l’enfatizzazione di sé stesso e della propria professionalità e delle proprie tecniche processuali e di difesa, molto diffusa, comporta un atteggiamento disciplinarmente rilevante perché tendente ad accaparramento della clientela27.

I provvedimenti in esame e altri simili28 censurano l’esasperato protagonismo del professionista per raggiungere a ogni costo obiet-tivi professionali, anche con vanto di conoscenze eccellenti, in di-

23 C.N.F. Pres. Franzo Grande Stevens, 23.7.1990.24 C.N.F. Pres. Ricciardi, 30.5.1994.25 C.N.F. Pres. F.f. Landriscina, 27.7.1993.26 C.N.F. Pres. F.f. Bonazzi, 25.2.1997.27 C.N.F. Pres. Cagnani, 30.10.1996.28 C.N.F. Pres. Ricciardi, 28.12.1993.

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OPINIONI E DOCUMENTI

sprezzo di elementari principi deontologici di lealtà, dignità e cor-rettezza, che costituiscono il fondamento della attività professionale dell’Avvocato.

5) Il 26 gennaio 1996 si insediò la commissione nominata dal C.N.F. che per la redazione del Codice Deontologico Forense si av-valse di tutti i codici deontologici che molti Ordini si erano dati, insieme a materiale riguardante codificazioni europee; il 19.12.1996 il C.N.F. valutò le osservazioni formulate dagli Ordini e il Codice fu approvato nella adunanza del 17.4.1997 (ratificato nel settembre del-lo stesso anno a Trieste da tutta l’Avvocatura riunita nel Congresso); l’art. 19, inserito tra i principi generali, così si esprimeva:

“È vietata l’offerta di prestazioni professionali a terzi e in genere ogni attività diretta all’acquisizione di rapporti di clientela, a mezzo di agenzie o procacciatori o altri mezzi illeciti.

I° L’Avvocato non deve corrispondere ad un collega, o da un al-tro soggetto un onorario, una provvigione o qualsiasi altro compen-so quale corrispettivo per la presentazione di un cliente.

II° Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o di prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di van-taggi per ottenere difese o incarichi”.

La prima stesura non ha subito variazioni nelle successive modi-fiche introdotte il 16.10.1999, il 26.10.2002 e il 27.1.2006, ma solo con quelle approvate successivamente alla emanazione della Legge 4.8.2006, n. 248, nella adunanza del C.N.F. del 18.1.2007, come sarà in seguito riportato.

Il divieto rispondeva ai principi richiamati nei paragrafi prece-denti e i canoni comportamentali attingevano alla esperienza, an-che disciplinare, innanzi commentata , ed erano ispirati a regole non scritte ma universalmente condivise di etica professionale e riceveva il consenso della dottrina, che auspicava “che gli Ordini professio-nali svolgano controlli per evitare che attraverso le più svariate fonti si realizzi tale accaparramento”29.

29 GUIDO ALPA, in Rassegna Forense 1997, pag. 173 in occasione di un Convegno della Associazione Giuriste Italiane.

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OPINIONI E DOCUMENTI

6) La introduzione della norma deontologica scritta non ha porta-to alla adozione di particolari pronunce giurisprudenziali, il cui con-tenuto ha continuato ad attenersi alle regole consolidate in materia.

Pertanto è stato sanzionato per avere violato il divieto “l’Avvocato che prema sul cliente affinché lo nomini in sostituzione di un collega in una controversia contro un suo ex-cliente, che esprima confidenze e giudizi su quest’ultimo, che suggerisca al cliente comportamenti atti a sottrarre ingenti somme di denaro alla garanzia dei creditori e che inoltre trattenga somme dello stesso”30: tali comportamenti viola-no anche il dovere di riservatezza e altre norme deontologiche. E, an-cora: “L’Avvocato che, quale socio di una società per recupero crediti, proponga a colleghi corrispondenti prestazioni professionali dietro il corrispettivo di percentuali sull’onorario, con decurtazione anche ri-spetto alle tariffe, pone in essere un comportamento deontologicamen-te rilevante perché in contrasto con il divieto di accaparramento di clientela e di indipendenza a cui ciascun professionista è tenuto”31.

Per converso non è stato ritenuto sussistente alcuna violazione in un caso di informativa di una novità giurisprudenziale: “Il professio-nista che invii a terzi una lettera contenente l’informazione di una innovazione giurisprudenziale proveniente dalla Corte di Giustizia Europea, e di sicuro interesse collettivo, pone in essere un compor-tamento deontologicamente corretto e non rientrante nelle ipotesi vietate di pubblicità e di accaparramento di clientela”32.

A proposito di invìo di lettere il C.N.F. aveva censurato, ritenendo violato il divieto di accaparramento, l’Avvocato che aveva inviato a Sindaci di Comuni la richiesta di fornire elenchi di nominativi di dipendenti interessati a proporre una azione giudiziaria già promossa da altri con successo33.

La giurisprudenza del C.N.F. di quel periodo insisteva nel ritenere illecito disciplinare ogni comportamento volto ad acquisire clientela

30 C.N.F. Pres. f.f. Galati, 3.12.1998.31 C.N.F. Pres. f.f. Danovi, 21.7.1999.32 C.N.F. Pres. f.f. Danovi, 25.3.2002, con la quale veniva accolto il ricorso avverso la

decisione del CdO.33 C.N.F. Pres. f.f. Danovi, 28.12.1999.

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versando compensi a terzi: “Pone in essere un comportamento disci-plinarmente rilevante e in contrasto con i principi di probità, dignità e decoro l’Avvocato che invii soldi a propri assistiti al fine di farsi procurare nuovi clienti, che chieda la liquidazione di un compenso per un procedimento nel quale non risultava difensore e che ripetu-tamente adduca impedimenti non veritieri per rinviare procedimenti giudiziari”34. La decisione conferma la constatazione che ordinaria-mente l’accaparramento si accompagna ad altri illeciti.

Il C.N.F. ha sanzionato come illecita la condotta dell’Avvoca-to che ospita la sede di una associazione di consumatori risultando evidente l’accaparramento attraverso l’utilizzo del nome della as-sociazione: “L’Avvocato che ospiti nel suo studio gratuitamente la sede del Codacons locale, consentendo ad un responsabile di detta associazione di ricevere clienti e fornendo allo stesso pareri scritti su questioni di carattere legale, pone in essere un comportamento lesivo del dovere di probità proprio della classe forense configurando tale comportamento una ipotesi di accaparramento di clientela”35.

A conferma delle decisioni assunte prima della codificazione, il divieto di accaparramento è sanzionato quando si concretizzi in un comportamento riprovevole volto ad acquisire illegittimamente la nomina a difensore: “Pone in essere un comportamento disciplinar-mente illecito il professionista che allo scopo di assumere un incari-co professionale tenti di avvicinare un detenuto ricoverato in ospe-dale peraltro dichiarando falsamente all’agente di custodia di essere il suo difensore di fiducia”36.

Il C.N.F. ha ritenuto censurabile anche il solo atteggiamento volto all’accaparramento, indipendentemente dall’effettiva acquisizione di clientela (la norma, del resto, censura la corresponsione di provvi-gioni o la promessa di vantaggi per la sola presentazione di clientela e finalizzata a ottenere incarichi e quindi non prevede il verificarsi

34 C.N.F. Pres. f.f. Danovi, 11.9.2001, con la quale è sanzionato un vero e proprio mer-cimonio di clientela.

35 C.N.F. Pres. f.f. Galati, 8.3.2001.36 C.N.F. Pres. Buccico, 9.6.2000.

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OPINIONI E DOCUMENTI

dell’evento sperato): “L’Avvocato che abbia il proprio recapito pro-fessionale presso una agenzia infortunistica pone in essere un com-portamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di indipendenza e rientrante in una ipotesi di accaparramento di clien-tela disciplinarmente sanzionato, a nulla rilevando l’eventualità che tale accaparramento non sia stato posto in essere”37; spiega nella sen-tenza successiva di qualche giorno, per un caso analogo che: “L’ac-caparramento di clientela, infatti è configurabile anche nella ipotesi in cui sussista l’attitudine della condotta contestata a generare il te-muto sviamento di flussi di clientela, a nulla rilevando l’eventualità che quanto prospettato non sia ancora accaduto e che l’Avvocato abbia comunque assunto l’incarico direttamente dai clienti”38.

Con le decisioni in commento il C.N.F. ha insistito anche nel chiarire che sono le modalità di diffusione a rendere disciplinarmen-te rilevante la informativa sulla attività, altrimenti lecita, quando sia rivolta all’accaparramento, non potendosi violare le regole, previste anche dalla normativa comunitaria, poste a tutela della indipenden-za, dignità e onore: “Pone in essere un comportamento deontologi-camente rilevante, perché lesivo del divieto di accaparramento di clientela e esorbitante il diritto di informazione consentito, l’Avvo-cato che spedisca capillarmente per posta ad un pubblico indefinito degli opuscoli contenenti l’offerta di servizi professionali con spe-cificati i relativi compensi richiesti per ciascuna attività. Se l’infor-mazione sulla attività professionale è consentita, sono le modalità di diffusione e la specificazione aprioristica dei compensi a determina-re una ipotesi di accaparramento di clientela disciplinarmente rile-vante e come tale vietato. Tale divieto, peraltro, rientra nel rispetto dei doveri di corretta informazione dei consumatori come previsti dalla normativa comunitaria che rimanda alle regole professionali di ciascun paese relative alla indipendenza, alla dignità, all’onore e al segreto professionale”39.

37 C.N.F. Pres. f.f. Cricrì, 23.4.2004.38 C.N.F. Pres. f.f. Cricrì, 28.4.2004.39 C.N.F. Pres. f.f. Cricrì, 22.4.2004.

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203 Quaderni

OPINIONI E DOCUMENTI

La decisione ritiene che l’indicazione preventiva dei compensi costituisca illecito accaparramento, non potendosi prevedere tutti gli adempimenti in maniera specifica; la motivazione è coerente con i principi deontologici e normativi e con il sistema tariffario all’epoca vigente, specie in riferimento alla inderogabilità dei minimi40.

Il C.N.F. conferma anche che il fatto disciplinarmente rilevan-te, deve essere intenzionale e deve essere noto al professionista41: in mancanza di tale elemento la sanzione inflitta per una inserzione pubblicitaria ai fini di accaparramento è stata revocata.

Tra i comportamenti censurabili come illecito accaparramento è ricompreso oltre al già considerato vero e proprio “acquisto” di clientela, l’utilizzo di procacciatori compensati con percentuale sul-l’onorario42.

La giurisprudenza disciplinare del C.N.F. ritiene consentita la stipula di convenzioni di categoria43, purché la convenzione non preveda consulenza legale gratuita e una pubblicità con bigliettini divulgativi44.

Censurato è anche l’utilizzo di intermediari per l’acquisizione di clientela e l’assunzione dell’obbligo di consulenza in favore di una associazione, concretizzandosi in caso tipico di illecito accaparra-mento45.

40 La Corte di Cassazione – Sez. Unite 25.3.2005, n. 6213 – nel richiamare la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 19.2.2000 in Causa C-35/99 che aveva ritenuta legittima e non contraria alla normativa europea l’adozione di tariffe con la previ-sione di minimi inderogabili, stabilite dall’Ordine Professionale, il C.N.F., e approvate con Decreto Ministeriale – confermava la sentenza in commento motivando, tra l’altro, che la lesione è riscontrata “...nella prospettazione al pubblico di fallaci innovazioni normative a mo’ di richiamo e di una funzione forense configurata come mera gestione d’impresa di servizi secondo un’esagerata concezione mercantilistica dell’esercizio professionale... non consono al ben diverso livello sul quale deve porsi, per i principi recetti nel Codice Deon-tologico sulla communis opinio degli appartenenti alla categoria, l’attività dell’advocatus, il chiamato alla difesa”.

41 C.N.F. Pres. f.f. Galati, 19.10.2001.42 C.N.F. Pres. Buccico, 13.5.2002.43 C.N.F. Pres. Cricrì, 5.7.2004.44 C.N.F. Pres. f.f. Alpa, 12.7.2004.45 C.N.F. Pres. f.f. Panuccio, 12.7.2004.

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OPINIONI E DOCUMENTI

Negli stessi sensi è considerata l’esclusività di prestazioni e l’ob-bligatorietà della consulenza in favore di una associazione: “Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché in contrasto con il dovere di indipendenza e probità propri della classe forense, l’Avvocato che, sottoscrivendo una convenzione con l’asso-ciazione «giudici arbitrali» si obblighi a utilizzare per l’ufficio la de-nominazione «forum arbitrale», a rispettare l’esclusiva dell’attività con detta associazione, a fornire consulenza obbligatoria, indistintamente, a tutti gli utenti dell’associazione, e, da ultimo, consenta alla pubblicità dell’attività attraverso il volantinaggio, così ponendo in essere una for-ma di accaparramento di clientela e di pubblicità vietata”46.

6) La legge 4.8.2006, n. 248 di conversione del D.L. 4.7.2006, n. 223 interveniva su norme, regolamenti e codice deontologico abro-gando l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime; il divieto di pa-rametrare il compenso al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; il divieto di svolgere pubblicità informativa sulle caratteristiche del servizio, sui costi delle prestazioni (con il limite della veridicità e trasparenza); il divieto di costituire associazioni interdisciplinari; il divieto del patto quota-lite, facendo obbligo agli Ordini Professio-nali di adeguare i codici deontologici contenenti disposizioni patti-zie sui compensi, dichiarando la nullità di quelle eventualmente non adeguate e contrastanti con le disposizioni normative.

Il C.N.F. con deliberato 18.1.2007 nella operazione di adegua-mento delle norme modificava quelle sui compensi, sulla informati-va e interveniva anche sull’art. 19 «Divieto di accaparramento della clientela» che nella attuale stesura è così composto:

“È vietata ogni condotta diretta all’acquisizione di rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non confor-mi alla correttezza e decoro.

I° L’Avvocato non deve corrispondere ad un collega, o ad un altro soggetto, un onorario, una provvigione o qualsiasi altro compenso quale corrispettivo per la presentazione di un cliente.

46 C.N.F. Pres. Danovi, 11.4.2003.

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OPINIONI E DOCUMENTI

II° Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o pre-stazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi.

III° È vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luo-ghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.

IV° È altresì vietato all’Avvocato offrire, senza essere richiesto, una prestazione personalizzata, cioè, rivolta a una persona determi-nata per uno specifico affare”.

Fermo restando che il principio che stabilisce il divieto, ai due canoni preesistenti sono stati inseriti il terzo e il quarto, già inseriti nell’art. 17 sui mezzi di informazione, concernenti il divieto di offri-re, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale in luoghi pubblici o aperti al pubblico, e il divieto di offrire, senza che ve ne sia richiesta, prestazioni perso-nalizzate: i canoni “trasferiti” nell’art. 19 completano il divieto di accaparramento già sanzionato quale forma di reperimento attuata tramite compenso e provvigioni a colleghi o terzi, e tramite l’offerta di omaggi o la corresponzione di vantaggi per ottenere difese o in-carichi.

In effetti i canoni aggiunti integrano ipotesi vietate di accaparra-mento, più che di mezzi illeciti di informativa, costituendo ipotesi (ritengo, come per ogni disposizione deontologica, esemplificativa e non esaustiva di ogni fatto vietato, considerata anche la “fantasia” sperimentata in passato) lesive dei principi fondamentali propri del-l’Avvocatura, quali la indipendenza (anche da terzi “faccendieri”), la dignità e il decoro.

Il decoro non costituisce una categoria astratta o un orpello della Avvocatura: il decoro è un valore, un bene giuridico tutelato dall’or-dinamento, sia che appartenga a persona che a categoria di soggetti uniti, come gli Avvocati, della stessa funzione, comunque esercitata, ma essenzialmente finalizzata alla “difesa”.

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206 Quaderni

OPINIONI E DOCUMENTI

Il Manzini, nell’ambito della tutela penale, considerava il decoro soggettivamente, come “rappresentazione interna di ciò che per co-mune senso è conforme alla propria dignità” e oggettivamente quale “stato individuale esteriore, risultante dal riguardo elementare che gli uomini sogliono osservare reciprocamente verso la personalità morale di ciascuno di essi”: quindi non corrisponde all’amor proprio (narcisisticamente vantato); “esso è il senso della propria dignità personale, precisato e limitato dall’idea di ciò che, per la comune opinione, è socialmente esigibile da tutti”47. Negli stessi sensi Anto-lisei riferisce il decoro alle “qualità e condizioni che concorrono a costituire il valore sociale dell’individuo”48.

Uno dei presidi al decoro della categoria forense è costituito dal divieto di accaparramento che “rappresenta una distorsione della concorrenza attuata mediante corresponsione di somme di denaro ad intermediari della prestazione professionale”49.

Pertanto anche alla luce dei casi giurisprudenziali trattati in pre-cedenza, emblematici di comportamenti confliggenti anche con il rispetto della parità di condizioni e di opportunità nell’esercizio naturalmente concorrenziale della professione, e della stessa Legge 4.8.2006, n. 248 di conversione del D.L. 4.7.2006, n. 223, in applica-zione della quale “la pubblicità di attività professionali deve essere informata a criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’Ordine”50 appare singolare e contradditto-rio il suggerimento del Garante, contenuto nella Relazione in nota, secondo il quale “i codici deontologici dovrebbero limitarsi a conte-

47 VINCENZO MANZINI, Trattato di Diritto Penale Italiano, UTET, IV Edizione aggiornata dai Prof.ri P. Nuvolone e G. D. Pisapia, Vol. VIII°.

48 FRANCESCO ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale, Giuffré Editore, Parte Speciale I° Vol., IV Edizione.

49 C.N.F., Relazione sulla Legge sulle liberalizzazioni e codice deontologico forense – marzo 2007, che aggiunge: “L’Avvocatura non intende sottrarsi alle sfide della società e del mercato, ma, non perciò, intende abdicare al proprio ruolo e alla tutela dei principi etici che le connotano e che sono il frutto della sua storia e l’espressione della sua dignità”.

50 Audizione del Presidente dell’AGCM presso le Commissioni riunite II (Giustizia) e X (Attività Produttive) della Camera dei Deputati, 8.3.2007.

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OPINIONI E DOCUMENTI

nere norme di tipo etico a garanzia, da un lato, di un elevato livello di tutela degli interessi dell’utente della professione, e dall’altro, a garanzia delle libertà, autonomia e coscienza del professionista. Essi non dovrebbero mai riguardare questioni relative al comportamen-to economico degli stessi professionisti nella loro offerta di servizi sul mercato”, non potendo l’etica professionale disinteressarsi dei comportamenti connessi al reperimento della clientela; così come non appare coerente e giustificata la richiesta di abolizione della nor-ma deontologica che fa divieto di accaparramento, “da cui traspare un’accezione negativa della concorrenza, spesso considerata un di-svalore e uno strumento indispensabile per garantire il rinnovamento del settore”, non avendo mai l’Avvocatura negato la concorrenza, che come si è visto è una componente insita nell’esercizio dell’attività, ma piuttosto, e certamente e coerentemente, le attività concorrenziali lesive dei diritti degli utenti, di quelli dei colleghi, oltre che l’indi-pendenza e dignità che connotano la categoria in funzione del tipo di prestazione offerta, consistente principalmente nella tutela dei diritti patrimoniali e di libertà; al contrario il divieto di accaparramento appare proprio posto a fondamento e presidio di una concorrenza lineare e autenticamente competitiva, che comunque salvaguardi il decoro, la cui nozione, innanzi spiegata, è stata erroneamente rite-nuta come impropriamente usata, dovendosi assumere al suo posto quali principi regolatori i criteri essenzialmente economici di ade-guatezza e proporzionalità.

Veramente in tal modo prevarrebbe la funzione mercantile estra-nea alla professione, a danno della clientela in “un mondo professio-nale sovraffollato che spinge a condotte discutibili di accaparramento a qualsiasi costo”51; e il decoro assumerebbe davvero un significato vago una volta privato del consenso alla immagine, perdendo il suo senso di valore morale e giuridico, che gli compete nella società, di cui l’Avvocatura è parte essenziale e alla cui crescita partecipa.

51 DOMENICO CARPONI SCHITTAR, Il processo come arte, Giuffré Editore, 2006.

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NOTE DI STORIA FORENSE

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Il Codice di procedura civile per gli Stati Sardi del 1854

PRIMA PARTE

a cura di AUGUSTO CONTE*

L’importanza al Codice Sardo del 1854 nella storia del Processo Civile è conferita dall’essere confluito nel primo Codice di Proce-dura Civile della nazione italiana approvato con il R.D. 25.6.1865, n. 2366 del quale costituì fondamento insieme al Regolamento Pro-cessuale austriaco di Giuseppe II° introdotto nel Lombardo-Veneto e al Codice di Procedura del Regno delle Due Sicilie del 1819, ma soprattutto dall’avere ispirato a Pasquale Stalinslao Mancini, Giu-seppe Pisanelli e Antonio Scialoja il Commentario, in sette volumi, che ebbe non solo la funzione di illustrare il Codice, ma di porre il fondamento della scienza processualistica italiana.

La breve trattazione che prende avvìo da questo numero di Quader-ni ha lo scopo di compiere una rivisitazione di alcuni aspetti storico-fo-rensi di istituti e riti – per il loro significato storico e per gli effetti che hanno spiegato e spiegano nei sistemi processuali – e una rievocazione di ordinamenti e di personaggi, di origine meridionale (campana e pu-gliese) che hanno dato lustro alla scienza giuridica italiana (probabile ulteriore ragione della disapprovazione del Codice unitario da parte di Chiovenda, che era di Domodossola); la rivisitazione delle regole in uso consentirà anche di “scoprire” la riproposizione di alcuni principi del Codice Sardo nelle recenti riforme o proposte di riforme.

NOTE DI STORIA FORENSE

* Avvocato del Foro di Brindisi.

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NOTE DI STORIA FORENSE

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Il Codice di Procedura Civile per gli Stati Sardi fu promulgato a Stupinigi il 16 luglio 1854 da Vittorio Emanuele II°, controfirmato da Rattazzi, ed entrò in vigore dall’1 aprile 1855; l’esemplare originale venne depositato negli archivi del Regno, “unitamente ad una tradu-zione del medesimo in lingua francese firmata dal Guardasigilli”.

La pubblicazione avvenne con la trasmissione di esemplari, stam-pati nella Tipografia Reale, a tutti i Comuni per essere esposti alla pubblica conoscenza.

La legge di promulgazione del 16 luglio 1854, composta di cin-que articoli, all’art. 4 disponeva che entro il giorno prima dell’1 aprile 1855 doveva essere determinata per legge “la tariffa dei di-ritti dovuti ai segretari ed agli uscieri, e degli onorari degli avvocati, dei procuratori e dei periti per gli atti di rispettiva loro pertinenza”. Si desume che il sistema tariffario per gli avvocati era intimamente connesso alla attività processuale ed era istituito in funzione di tale attività.

L’art. 5 programmava il riordino dell’ordinamento giudiziario stabilendo che dall’1 aprile 1855 “i tribunali di prima cognizione, i magistrati di appello ed i magistrati di cassazione, assumeranno rispettivamente il titolo di Tribunali Provinciali, Corti di Appello e Corte di Cassazione”.

Il 1855 furono pubblicati a Torino “Dalla Società L’Unione Ti-pografico-Editrice”, via Carlo Alberto, n. 33 (casa Pomba) i sette volumi del Commentario “con le sorgenti di ciascun articolo” e le relazioni ufficiali, “compilato dagli Avvocati e Professori di Diritto P.S. Mancini, G. Pisanelli, A. Scialoja”; al Commentario faceva se-guito un “volumetto” che poteva stare anche a sé come opera distin-ta, comprendente il testo del Codice integrato, al fine di facilitarne la intelligenza, dalla “indicazione delle sorgenti da cui fu derivato, cioè la corrispondenza con le disposizioni analoghe e sovente a disegno modificate sì della preesistente legislazione Sarda, e sì de’ Codici e delle Leggi di altri Stati Italiani e stranieri, che furono consultati dal-la R. Commissione di Legislazione nel compilare il suo Progetto”.

Le Relazioni pubblicate nel “volumetto” costituivano un primo

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NOTE DI STORIA FORENSE

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sommario “commento ufficiale”; il volume veniva completato da un “formolario o raccolta di Modelli di tutti gli atti del nuovo procedi-mento giudiziario”.

Quanto all’iter formativo, nella tornata parlamentare del 22 mar-zo 1853 il Ministro di grazia e Giustizia presentò alla Camera dei Deputati la Relazione di presentazione del Progetto, nella quale, dopo avere ricordato che nel 1850 il suo predecessore conte Siccardi aveva presentato al Senato il primo libro del progetto del Codice di Procedura Civile, riferiva che regnante Carlo Alberto una Commis-sione nel 1843 aveva avviato l’opera poi proseguita da altra istituita nel 1848; il progetto era stato esaminato da Magistrati del Regno che avevano formulato le loro osservazioni che avevano portato alla ultima compilazione.

La Relazione chiariva che il Progetto, formulato sulle tracce del Codice francese, in considerazione della somiglianza delle legislazio-ni dei due Paesi, “non sarà tuttavia redarguito di servile imitazione” perché Magistrati e Giureconsulti componenti delle Commissioni, “presero somma cura di innestarvi quelle parti della patria legislazione che più meritavano di essere conservati, attinsero nuove disposizioni alle fonti nazionali del diritto, e guidati dalla pratica osservazione del-le cose forensi spaziarono fra i moderni codici, e comparando le varie loro disposizioni raccolsero le migliori, procacciando di correggere i difetti, di risolvere le dubbiezze, e di antivenire le questioni”.

I Commentatori del Codice, oltre ad essere accomunati dalla ori-gine meridionale, erano tutti e tre esuli per essere stati condannati nel Regno delle Due Sicilie essendo sostenitori della Costituzione.

Giuseppe Pisanelli, nato a Tricase (Lecce) nel 1812, Avvocato, Giureconsulto e Professore di Diritto Costituzionale nell’Università di Napoli, nel 1848 si era rifugiato a Parigi per sfuggire alla condan-na ai lavori forzati; durante la “dittatura” di Garibaldi nel 1860 fu Ministro della Giustizia a Napoli e divenne poi Ministro di Grazia e Giustizia nel Regno d’Italia, elaborando la riforma del Codice Civile del 1865 che è ricordato con il suo nome.

Pisanelli nel Regno di Napoli aveva esercitato la professione fo-

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NOTE DI STORIA FORENSE

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rense. Raffaele De Cesare (altro pugliese nato a Spinazzola nel 1845) autore della nota storia sui Borbone a Napoli riferisce che Pisanelli aveva difeso, insieme al Collega Roberto Savarese (anch’egli poi esiliato: Ferdinando II°, come tutti coloro che esercitano il potere sconsideratamente e rifiutando il dialogo, aveva una “invincibile an-tipatia” per gli Avvocati, che hanno sempre espresso, ed esprimono, in piena autonomia e indipendenza, principi di libertà, suscitando reazioni soppressive con l’utilizzo di tutti i possibili mezzi) il mini-stro plenipotenziario successivamente accreditato nel 1849 a Vienna, Giovanni Gioeni Cavaniglia, principe di Petrulla, patrizio siciliano, che aveva anche il titolo di duca d’Angiò, accusato dieci anni prima, di frode e falsità a querela di donna Cristina dei Medici, figlia del principe d’Ottajano e moglie del marchese Cavalcante. La memoria difensiva redatta dagli Avvocati Savarese e Pisanelli valse al prin-cipe, in detenzione preventiva, la libertà provvisoria; all’esito della istruttoria venne assolto “grazie al valore dei suoi avvocati”. Annota il De Cesare che il principe di Petrulla non aveva finito di pagare gli avvocati e che (come spesso succede) “il Pisanelli, esule a Torino, dove’ tribolare parecchio, per ottenere il resto del compenso”. Lo storico ricorda anche che Pisanelli, con gli avvocati Giacomo Tofano e Diomede Marvasi fece assolvere Giuseppe del Re, poeta esule, che come altri, aveva scritto un “Carme” per “cantare” il gesto di Age-silao Milano, militare calabrese di antica origine albanese, che l’8 dicembre 1856, durante un parata, uscendo dai ranghi, aveva tentato di uccidere Ferdinando II°, venendo condannato e impiccato.

Pasquale Stanislao Mancini era nato a Castel Baronia (Avellino) nel 1817 e dopo gli studi di fisica e storia si applicò a quelli di giuri-sprudenza, divenendone Maestro nell’Università di Napoli. Nel 1848 pubblicò il giornale politico “Il Riscatto”, con l’intento di spingere Ferdinando II° al liberalismo, ma dovette esulare a Torino dove fu per lui istituita la cattedra di Diritto Pubblico e Diritto Internaziona-le. Fu Ministro di Grazia e Giustizia con la sinistra parlamentare.

Il suo campo di applicazione si estese al diritto penale che inse-gnò nel 1872 all’Università di Roma.

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NOTE DI STORIA FORENSE

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Fu un internazionalista, spingendo verso l’unificazione del diritto internazionale privato e l’abolizione della pena di morte.

Antonio Scialoja era nato a San Giovanni a Teduccio (Napoli) nel 1817; era stato ministro costituzionale a Napoli, venendo poi arresta-to e condannato nel 1849 e, ricevuta la grazia, fu esule a Torino.

Anche Scialoja fu Ministro (delle Finanze) durante la “Dittatura” di Napoli nel 1860; fu quindi senatore e ministro nell’Italia unita.

È ancora Raffaele De Cesare nelle sue “cronache vissute” a ri-ferire l’irritazione che Scialoja provocò a Ferdinando II° quando, avendo il giurista notato che l’alto clero era poco propenso alle novi-tà politiche facendo eccezione per monsignor Nicola Caputo, nobile napoletano, vescovo di Lecce che aveva “liberaleggiato” nel 1848, fece tradurre l’ecclesiastico dai gendarmi fino a Capua volendo il Re verificare di persona se fosse per l’età decrepita da ammonire o meno; Scialoja scrisse che “...questo vecchio venerando non è stato neppur lui esente da violenze politiche; e sebbene estraneo alle pas-sioni del mondo e vero ministro del Vangelo, fu tratto come prigione tra gendarmi da Lecce sino a Napoli, e condotto al cospetto del prin-cipe, per giustificarsi non saprei di qual colpa, se non quella d’essere un santo vescovo ed un uomo dabbene... Fossero meno rari i vescovi come il Caputo!”.

Secondo De Cesare profonda impressione suscitò alla Corte di Napoli uno scritto, pervaso anche di fine umorismo, di Scialoja con cui sottoponeva ad acuta critica i bilanci napoletani e nel raffrontarli con i sardi dimostrava la superiorità della vita economica e politica dello Stato Sardo sul Napoletano; il Re pur essendo personalmente onesto e parsimonioso, avrebbe voluto una rigidità nella amministra-zione dello Stato nel quale, purtroppo, la corruzione era degenerata, e mancava la “coscienza del diritto”.

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CONVEGNI E CONGRESSI

213 Quaderni Quaderni

Giudice e Pubblico MinisteroUna proposta di revisione costituzionale

per la separazione delle carriere

Milano, 20 gennaio 2007

di MICHELE CONTE

e M. CONCETTA MILANI*

Si è svolto lo scorso 20 gennaio, presso la Sala Bracco del Circo-lo della Stampa, in Corso Venezia, a Milano, l’incontro organizzato dall’Unione delle Camere Penali Italiane sul tema “Giudice e Pub-blico Ministero: due soggetti diversi nel processo, nell’ordinamento, nella Costituzione”. L’UCPI è tornata così ad affrontare uno dei temi cruciali dell’avvocatura, presentando la propria proposta di revisio-ne costituzionale per la separazione delle carriere, la quale prevede l’istituzione di un doppio Consiglio Superiore della Magistratura: uno per i Giudici, l’altro per i Pubblici Ministeri.

Il convegno era particolarmente atteso, in quanto rappresentava l’opportunità per il primo confronto pubblico del Ministro della Giu-stizia Clemente Mastella con l’avvocatura, su uno dei principali temi della riforma della giustizia.

I lavori sono stati aperti dal Presidente dell’UCPI, Prof. Avv. Ore-

* Praticanti avvocati.

CONVEGNI E CONGRESSI

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CONVEGNI E CONGRESSI

214 Quaderni Quaderni

ste Dominioni, con la lettura del messaggio del Presidente della re-pubblica Giorgio Napolitano, nel quale si invitava al dialogo sui temi della giustizia, auspicando aperture da parte di tutte le forze coinvol-te, al fine di risolverne i delicati problemi su un tema di “primario interesse come la separazione delle carriere”. Messaggi di saluto ed augurio sono inoltre giunti dal Vice- Presidente della Commissione Europea Franco Frattini e dal Senatore Francesco Cossiga.

Il secondo interevento è stato affidato al Responsabile del Centro Studi “Aldo Marongiu”, l’Avv. Paolo Trombetti, il quale ha eviden-ziato che la garanzia dell’imparzialità della decisione, prevista dal-l’art. 111, comma II della Costituzione, non può prescindere, prati-camente, da una diversa dislocazione dei protagonisti del processo. Il concetto è stato ulteriormente sviluppato in ottica comparata, dal prof. Carlo Guarnieri, Ordinario di Sistema politico italiano e siste-mi giudiziari comparati all’Università di Bologna. È stato ricordato che solo in Francia sopravvive un sistema simile al nostro, retaggio napoleonico che, tra l’altro, il Paese d’Oltralpe si sta impegnando a superare. La separazione delle funzioni è gia realtà nella stragrande maggioranza degli Stati; Svezia, Portogallo e Cile per richiamarne alcuni. Il prof. Guarnieri, terminando col citare i padri del liberali-smo, Montesquieu, De Tocqueville, ha auspicato un prossimo ade-guamento ad un assetto accusatorio che garantisca maggiore terzietà dell’organo giudicante.

Conclusione condivisa dal Prof. Nicolò Zanon, Ordinario di Di-ritto costituzionale all’Università di Milano, il quale ha rimarcato la peculiarità della proposta di legge costituzionale di ricondurre le due funzioni, di giudice e di pubblico ministero, a due organi costi-tuzionalmente distinti. Peraltro è stata positivamente considerata la previsione della presenza del Presidente della Repubblica nel Con-siglio Superiore dei Giudici, mentre del Procuratore Generale pres-so la Corte di Cassazione nel Consiglio Superiore dei P.M.. Inoltre, sarebbe assegnato anche un ruolo attivo al Ministro della Giustizia, interveniente in entrambi i Consigli.

Quest’ultimo punto della proposta è stato, nella sostanza, l’uni-

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Quaderni

CONVEGNI E CONGRESSI

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co condiviso dal Guardasigilli, Clemente Mastella che, nel suo in-tervento, sin da principio, ha bruscamente frenato le aspettative dei penalisti, dicendosi per niente convinto della proposta dell’UCPI re-lativa all’istituzione del doppio Consiglio Superiore.

Tra il contenuto, ma altrettanto pacatamente malcelato, malumo-re dell’uditorio, il Ministro ha preferito spostare l’attenzione sulla lentezza della giustizia, definendo “giustizia ingiusta” quella che “dà risposte dopo tanti anni”. Rispetto alla separazione, ha chiaramente fatto intendere, con buona pace degli avvocati, che non è un obiet-tivo fissato nel programma del Governo: “Nel mio programma non c’è. C’è la distinzione delle funzioni”. È sembrato in effetti che la questione posta sul tavolo dall’avvocatura avesse per il Ministro mi-nore importanza rispetto ad altri problemi della giustizia, subendo un declassamento da elemento vitale per il corretto funzionamento della macchina processuale a mero aspetto degno di una qualche im-portanza, quasi un chiodo fisso dei penalisti, senza un rilevante reale riscontro.

Non si è fatta attendere la reazione del Presidente Dominioni che, con una brillante quanto composta offensiva ha ribattuto che: “la separazione delle carriere non è argomento inserito nel programma dell’attuale Governo per motivazioni squisitamente politiche”. Si sarebbe preferito, per il Presidente Dominioni, piuttosto accogliere le indicazioni della magistratura e dell’ANM, caratterizzate da una visione più autoritaria del sistema. La proposta fissa un punto fon-damentale, ha concluso il Presidente dell’UCPI, senza tuttavia trala-sciare la trattazione di tutte le altre cause, individuate e individuabili ma non apparenti, il cui concorso determina il lamentato scorrere lento dei procedimenti giudiziari.

Sono seguiti gli interventi dei politici, con le disponibilità dichia-rate a sottoscrivere la proposta di legge costituzionale dell’UCPI da parte dell’on. Buemi dello SDI, dell’on. Erminia Mazzoni, Respon-sabile giustizia dell’UDC, del Sen. Antonio Caruso, responsabile giustizia di AN e dell’On. Giuseppe Gargani, Presidente della Com-missione Giustizia del Parlamento Europeo.

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Il responsabile giustizia del PDCI Pastore Alinante, pur condivi-dendo solo in parte la proposta dei penalisti, ha denunciato con forza le degenerazioni correntizie del CSM; significativo l’intervento del sen. Emanuele Macaluso.

Il Presidente dell’ANM, il dott. Giuseppe Gennaro, ha brevemen-te motivato la prevedibile contrarietà alla proposta di separazione delle carriere; significativi e di rottura rispetto a tale espressa posi-zione, gli interventi della dott.ssa Clementina Forleo, GIP a Milano, del dott. Modestino Roca, sostituto Procuratore Generale a Potenza e del Procuratore della Repubblica di Larino, dott. Nicola Magrone, i quali hanno rappresentato quella parte non secondaria della magi-stratura decisamente favorevole alla separazione delle carriere.

È stato più volte interrotto dagli applausi degli avvocati l’ener-gico intervento della Dott.ssa Forleo, nel quale ha più volte sottoli-neato che l’indipendenza dell’organo giudicante, in una democrazia, non può essere disgiunta dalla separazione tra p.m. e giudici. Ha poi continuato, anticipando alcuni aspetti trattati anche dal dott. Roca e dal dott. Magrone, censurando il fatto che a Milano il difensore non è nelle condizioni di conoscere i criteri di assegnazione e quindi di verificare se quel giudice è in effetti il proprio giudice naturale. La dott.ssa Forleo, ormai un fiume in piena, tra gli applausi dell’udito-rio, ha proseguito, descrivendo l’appiattimento fortissimo del GIP sull’accusa, tanto che “vi sono argomentazioni dei giudici per le in-dagini preliminari che ricalcano quelle dei p.m. parola per parola, fin nelle note”.

L’attenzione e l’interesse della sala sono stati catalizzati dal per-spicace e vivace intervento del dott. Magrone, che ha sostenuto, for-te della sua esperienza maturata in anni di magistratura, la tesi della separazione delle carriere, ricevendo amplissimi consensi da parte dei penalisti.

Il convegno si è chiuso con la relazione, di taglio storico, del Prof. Giuseppe Di Federico, Professore Emerito di Ordinamento Giudi-ziario presso l’Università di Bologna, e con l’intervento carico di verve del prof. Giorgio Spangher, Ordinario di Procedura penale

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presso l’Università “La Sapienza” di Roma, il quale con un’inecce-pibile epilogo, ripercorrendo i punti fondamentali a favore della tesi separatista, ha offerto un elegante esempio del valore della migliore dottrina.

In conclusione, dunque, l’incontro promosso dall’UCPI ha svi-luppato un ampio dibattito, con cospicui approfondimenti dei vari aspetti della questione, nel pieno ossequio dell’alto invito indirizzato dal Presidente della Repubblica: si è praticato il dialogo politico e giuridico, pur nelle diverse posizioni, con intenti costruttivi e senza polemiche. Dall’insieme è emerso, come sottolineato con soddisfa-zione dal Presidente Dominioni, che la separazione delle carriere non è tema marginale né marginalizzato, ma una determinante linea guida per lo sviluppo costruttivo del dibattito sulla riforma della giu-stizia, punto sul quale l’UCPI conferma il proprio impegno.

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XV Congresso Nazionale Giuridico-ForenseLecce, 29.09 / 04.10.1979

Per l’avvenire dell’Avvocatura d’Italia

prolusione di ALDO CASALINUOVO*

1. - Sono lieto di porgere al XV Congresso degli avvocati e dei procuratori d’Italia il saluto cordiale del Consiglio nazionale foren-se, che ha seguìto, vivamente apprezzandole, le varie fasi della im-postazione preliminare, condotta con deciso impegno e con grande acume dal presidente del Comitato organizzatore, avvocato Vittorio Aymone, presidente del Consiglio dell’Ordine di Lecce, e dai suoi valenti collaboratori.

Un omaggio alle Autorità, alle rappresentanze internazionali, alle gentili signore, ai signori magistrati, che onorano con la loro presen-za l’austerità di questa seduta inaugurale.

A tutti il Consiglio nazionale rivolge il più cordiale ringraziamen-to, elevando un fervido augurio di pieno successo dei lavori, che, per simbolica coincidenza, si svolgono nel centenario della morte di Giuseppe Pisanelli, il giurista insigne, il quale, muovendo da questo rigoglioso Salento, fu il primo legislatore dell’Italia unita ed il cui nome tanto contribuisce al fasto della sua terra meravigliosa.

2. - Il Congresso, con grande senso di responsabilità e con la forza della profonda esperienza che distingue, nei particolari settori, i più qualificati operatori del diritto, darà, come già si evince dalle rela-

* Presidente del Consiglio Nazionale Forense.

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zioni ufficiali, un vivido apporto di energia e di saggezza alla pun-tualizzazione ed alla interpretazione della complessa struttura delle leggi che ci governano.

Non vi potrebbe essere, però, validità funzionale di alcun sistema e perfetta intellezione di alcuna norma senza un completo assesto dell’Avvocatura nella pienezza delle sue prerogative fondamentali e nel sereno adempimento della sua funzione: pertanto, in questa mia prolusione, intendo rapidamente soffermarmi su alcuni criteri orien-tativi che valgano a contribuire al raggiungimento di tali obiettivi.

3. - Due aspetti assumono, all’uopo, preminente rilievo e vanno puntualizzati nella attualità dei loro rapporti comparativi.

Il primo inerisce alla portata ed ai limiti della difesa del singolo, nella esplicazione del mandato fiduciario, con riferimento alle riper-cussioni dannose per altri e per la saldezza stessa dello Stato.

Poiché nulla di nuovo esiste sotto il sole, un criterio integrale era stato propugnato, a proposito, da Lord Broughan, difensore della re-gina Carolina, consorte che fu di Giorgio IV, innanzi alla Corte dei Pari in Inghilterra. Egli, pur muovendo dal presupposto esatto che l’avvocato, «incatenato al suo cliente da un dovere sacro, non cono-sce, difendendolo, che un solo essere al mondo, il suo cliente» e che «il più certo e il più alto dei suoi doveri è quello di salvare la persona affidata al suo patrocinio con tutti i mezzi possibili, qualunque cosa possa accadere a tutti gli altri uomini, senza eccettuare se medesi-mo», perviene alla drastica conclusione che «il difensore non deve inquietarsi né dei pericoli, né delle sofferenze, né delle torture, né dei disastri che può cagionare ad altri», al punto che, «separando ancora i doveri di un avvocato da quelli di un patriota, se bisogna, egli non deve tener conto delle conseguenze della sua difesa, quand’anche, volendo difendere l’imputato, dovesse trascinare il suo paese alla rovina»1.

1 In «Rivista di Edimburgo», marzo 1858, richiamato dal Di Fossa-Tocupo nelle Os-servazioni sul progetto di legge intorno alla riforma giudiziaria, Tipografia Nazionale, Fi-renze, 1868.

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Sembra agevole affermare che una tale concezione, intesa nella perentorietà assoluta di una presentazione del genere, non pare possa in tutte le sue parti resistere di fronte alle esigenze della civiltà ed ai principi etici che debbono in ogni caso presidiare e dirigere l’attività dell’avvocato.

Pur vero che anche il più bieco delinquente debba essere difeso con ogni più strenuo impegno, al fine di discoprire, almeno, nelle fitte tene-bre del crimine, qualche spiraglio di luce, una netta linea di demarcazio-ne fra parte e difensore deve costantemente sussistere: ove dalla messa a punto e dalle amplificazioni giudiziarie di un sistema difensivo, posto in essere e sviluppato dal patrono, possa consapevolmente derivare ulte-riore proiezione di ingiusto danno, con il sacrificio infame di innocenti o il dissolvimento rovinoso della convivenza sociale, dovere imperioso del difensore non potrebbe che esser quello di determinare una rettifica della impostazione difensiva, ovvero, non riuscendovi, di dismettere il mandato, perché incompatibile con la sua funzione.

Proprio per tale aspetto uno dei relatori ha sottolineato che l’av-vocato, indubbiamente collaboratore della Giustizia, è soprattutto un difensore e deve quindi curare principalmente gli interessi del suo cliente, anche se siano in contrasto con quelli della collettività: deve tuttavia svolgere il suo compito «nell’ambito della legge» ed onesta-mente operando2.

La scarsa considerazione, alle volte, di tale principio, ma più an-cora equivoci ed incertezze interpretative di aggrovigliare situazioni di fatto, hanno dato luogo a clamorose incriminazioni, dalle quali è derivata disdicevole luce sulla classe: non mancano casi di profes-sionisti, però, in rapporto ai quali, dopo lo sconcio di frettolose ed incontrollate incriminazioni, dopo il tormento di lunga custodia pre-ventiva, dopo la iniqua denigrazione, nel clamore della stampa, del nome e della personalità, con irreversibili conseguenze, la innocenza è stata riconosciuta finanche «perché il fatto non sussiste», con una riparazione doverosa, ma comunque tardiva.

2 FIORETTA, La funzione dell’avvocato nel nuovo codice di procedura penale, pag. 14.

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4. - Il secondo aspetto, che deve tipicamente qualificare le re-lazioni fra parte e difensore e che incide sulla essenza del rapporto fiduciario, evidenzia il problema delle interferenze fra l’avvocato, sin-golarmente inteso - ovvero fra società di avvocati, rese necessarie dal progresso delle scienze e dal complesso tecnicismo delle moderne at-tività industriali e creatrici3 – ed organizzazioni politicizzate, pronte ad offrire, con esibizione che per il singolo costituirebbe censurabile ope-ra di accaparramento, immediato intervento per soccorrere coloro che siano incorsi in disavventure giudiziarie e lenirne le conseguenze.

Iniziative del genere incidono sulla figura del difensore, ne incri-nano la funzione, minano alle basi la possibilità di sopravvivenza della libera professione, al punto che non mancano studiosi e politi-ci, pur qualificati ed autorevoli, pronti ad affermare che «l’avvocato come figura unitaria non esiste più» e che «al suo posto si trovano, ormai, figure professionali diverse, ciascuna portatrice di una sua logica, ciascuna legata a specifici interessi, ciascuna organizzata in forme che vanno sempre più differenziandosi»4 ponendo in luce «aree in cui la professione forense può lasciare il posto a forme di servizio sociale», poiché sugli avvocati, come su tutti gli esponen-ti delle professioni liberali, «pesa una realtà in cui l’autonomia del professionista si riduce, mentre cresce la sua dipendenza dai diversi centri del potere economico e politico»5.

3 Il Consiglio nazionale forense va svolgendo intensa attività per il riconoscimento giu-ridico delle società professionali, secondo il voto espresso dai precedenti Congressi, e per la conseguente disciplina normativa. Cfr. i pareri 23 novembre 1973 - (in «Rass. For.», 1973, pag. 638 e segg.) - e 26 novembre 1976 - (in «Rass. For.», 1976, pag. 476 e segg.) -, nonché Il contributo del Consiglio nazionale forense alla indagine conoscitiva della Commissione Giu-stizia del Senato sulle società professionali, intervento da me svolto nella seduta 18 gennaio 1977 innanzi alla Commissione Giustizia del Senato, in «Rass. For.», 1977, pag. 537 e segg.

4 RODOTÀ, Sono finiti i tempi dei «principi del Foro», in «La Repubblica», 29 luglio 1978.5 RODOTÀ, Avvocati, che fare?, in «Panorama», 27 settembre 1977. Nell’articolo, ap-

parso subito dopo il XIV Congresso nazionale giuridico-forense - (L’Aquila, settembre 1977) -, lo stesso A. altresì commenta: «La vecchia figura dell’avvocato è stata dunque frantumata. Questo significa che, per uscire dalla crisi, non c’è una strada che vada bene per tutti. Servono strategie differenziate, capaci di riannodare le nuove figure a una realtà anch’essa profondamente trasformata». Cfr. anche, dello stesso Rodotà, per altri profili sul tema, L’avvocato difensore, in «La Repubblica», 4 maggio 1979.

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Sicché non mancano coloro i quali, non certo animati da un sen-timento di esaltazione, indicano l’avvocato come «un visconte di-mezzato», «pronto a dare un colpo al cerchio, uno alla botte»6, per concludere che «effettivamente c’è fra gli avvocati proprio una mi-stificazione di valori, per cui non si riuscirebbe a comprendere cosa voglia significare la libertà e l’eguaglianza, loro bastando che sia scritto che tutti sono uguali, Agnelli come il suo operaio, in base a dei falsi valori, a degli alibi, che li fanno passare da una parte al-l’altra in nome di un’astrazione»7 e coloro che, accoratamente, sulla base di una separata concezione della «scelta di campo», pensando doversi chiedere «non già quale ruolo o quale funzione abbia l’av-vocato in questa nostra società, ma se c’è o non c’è più spazio per la professione forense, in quanto quello esistente tende a restringersi» e si domandano «fino a quale punto il limite pregiudicherà la soprav-vivenza del ruolo»8.

Perché questo resista nel sostegno della sua migliore essenza, io penso che la espressione tecnica della difesa debba in ogni caso prevalere sugli orientamenti politicizzati, specialmente consideran-do che, pur nei processi i quali abbiano per oggetto reati politici, l’obiettivo giudiziario da perseguire è quello dell’accertamento di sussistenza o meno della prova di partecipazione al fatto-reato, e non già della validità ideologica delle teoriche propugnate.

L’osservazione della esperienza diretta mi porta ad affermare, peraltro, che le strutturazioni difensive basate prevalentemente su

6 BARENGHI, Avvocati al bivio fra vecchio e nuovo, in «La Repubblica», 9 luglio 1976. La stessa Barenghi intitola una precedente puntata della medesima inchiesta – (ibidem, 7 luglio 1976) –: L’avvocato: un tecnico che si vende all’asta?

7 Ramat, intervista rilasciata alla Barenghi e richiamata nell’inchiesta citata nella nota che precede.

Agli attacchi del Ramat contro il libero esercizio dell’Avvocatura, rinnovati anche in «La Repubblica», 27 luglio 1978, L’avvocato non libero – (articolo richiamato nella rela-zione Battista, La funzione dell’avvocato nel nuovo codice di procedura penale, pag. 41) – ha risposto vigorosamente Adolfo Gatti, L’avvocato non può essere impiegato dello Stato, ibidem, 3 agosto 1978.

8 LANZARA, Fedeltà al giuramento, in «La nuova giustizia», periodico mensile di attua-lità culturale e giuridica, Napoli, giugno 1979.

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atteggiamenti politici si manifestano per lo più controproducenti in rapporto all’interesse delle parti nel processo: così come viene stigmatizzata la motivazione in chiave politica, contenuta in tante sentenze, è pur sempre da auspicare che l’opera del difensore non contribuisca a dissolvere la naturale fisionomia dei tribunali e della funzione giudiziaria, trasformando le aule di giustizia in tribune pro-pagandistiche ed in arene comiziali.

5. - Il costante ossequio ai principi ora enunciati rende invulne-rabile, tetragono a qualsiasi possibilità di cessione, l’esercizio della missione forense.

Il resto non conta: è malevola, quanto insulsa, manifestazione di ignobile vituperazione. Come pocanzi ho ricordato ed in altra sede ho già avuto occasione di rilevare più diffusamente9, ogni imputato, di qualsivoglia delitto possa essere chiamato a rispondere, ha diritto ad essere difeso e l’universalità del ministero del difensore non deve trovare ostacolo alcuno al più completo ed indipendente espletamen-to del mandato.

Con un ordine del giorno, approvato alla unanimità nella seduta del 28 luglio 1978, prendendo posizione sulla campagna di stampa inscenata contro un valente giurista al tempo delle ultime elezioni alla Presidenza della Repubblica, e basata sul pretestuoso argomento preclusivo che lo stesso, nella sua veste di avvocato, aveva assunto la difesa di persona coinvolta in un clamoroso caso giudiziario, il Con-siglio nazionale ha affermato che l’accettazione e l’espletamento del mandato difensivo «realizzano un servizio di pubblica necessità a tutela dei diritti del cittadino costituzionalmente garantiti, primo fra tutti quello di libertà, fondamento di ogni Stato democratico» ed ha stigmatizzato «il ricorrente malcostume di attribuire al patrono una assurda approvazione dell’attività illecita della parte, perché l’assu-mere il patrocinio in qualsiasi procedimento non significa comunque

9 Cfr.: CASALINUOVO, Toga senza barriere: Universalità della missione forense, rela-zione svolta al I Convegno nazionale della libere professioni – (Roma, Auditorium della Tecnica, 23 maggio 1975) -, in «Rass. For.», 1975, pag. 177 e segg.

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esprimere, né esplicitamente, né implicitamente, alcuna forma di adesione all’illecito oggetto della contestata imputazione»10.

6. - Da questi rilievi scaturisce la esigenza di puntualizzare ulte-riori criteri orientativi per l’assestamento dell’avvocatura, nel fer-mento convulso, e molte volte contraddittorio, della società moder-na. Assestamento che vuol significare estrema difesa per la soprav-vivenza di una istituzione intramontabile, non soltanto, e neanche principalmente, nell’interesse di coloro che in essa militano, ma per la vita stessa dell’aggregato sociale e della civile convivenza.

Tali criteri vanno considerati in duplice direzione: nei rapporti interni, anzitutto; poi nei rapporti con il mondo esteriore e con altre istituzioni, la cui vita con quella dell’Avvocatura interferisce, e, in un flusso continuo ed indispensabile di contatti, da essa riceve, e nel contempo ad essa dona, linfa vitale di attività e di potenziamento.

Carattere di priorità assumono i criteri orientativi per i rapporti interni: nel momento in cui le occulte forze, che hanno sempre cer-cato di aggredire la organicità e la nobiltà della sua funzione, con il proposito di intaccarla e di distruggerla, si vanno sinistramente pa-lesando, è necessario che l’Avvocatura d’Italia sia unita, compatta, decisa, senza possibilità di tentennamenti, di incrinature, di perples-sità.

7. - L’Ordine forense, nel suo vertice e nelle sue periferiche dira-mazioni, deve continuare ad essere il centro propulsore della vitali-tà e dell’azione: tale concetto fondamentale, del quale sono sempre

10 In «Rass. For.», 1978, pag. 412.Inserendosi nella polemica, chiare idee sulla indipendenza dell’avvocato e sulla stranez-

za di voler confondere la posizione dell’imputato con l’attività del difensore, ha enunciato Adolfo Beria D’Argentine, Quel singolare rapporto tra l’italiano e l’avvocato, in «Corriere della sera», 24 luglio 1978. Anche Guido Neppi Modona, L’avvocato che fa politica, in «La Repubblica», 15 luglio 1978, pur con delle riserve circa la incompatibilità obiettiva di eventuale specifica attività professionale precedentemente svolta con talune cariche pubbli-che, insiste fermamente «sul più ampio ed incondizionato diritto dell’avvocato di difendere qualsiasi imputato, secondo libere scelte che non debbono in alcuna maniera essere stru-mentalizzate per creare confusione sul ruolo della professione forense».

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stato fervente assertore, risulta peraltro costantemente riconosciuto e ribadito da tutti i disegni e le proposte di legge che da oltre venti anni si sono sviluppati e sterilmente inseguiti per la riforma dell’ordi-namento professionale, fino all’ultimo, decaduto per la conclusione anticipata della VII legislatura, che ampliava la sfera istituzionale di competenza e di specifiche attribuzioni del Consiglio nazionale.

Senza la piena funzionalità dell’Ordine, regolatore dell’indirizzo e custode della deontologia, l’attività professionale resterebbe priva di guida e di controllo: nel quadro dello Stato di diritto, la funzione dell’Ordine è indispensabile ed insostituibile.

8. - L’Ordine forense non può tuttavia ignorare, e tanto meno re-spingere, la realtà di altri organismi, che, indubbiamente animati dal fervore degli stessi sentimenti, svolgono nobile attività a sostegno del-la classe. I rapporti fra tali organismi e l’Ordine debbono essere di col-laborazione e non di antagonismo: risulterebbe estremamente pregiu-dizievole per la comune azione la eventualità di qualsiasi frattura, il cui unico risultato non potrebbe che essere quello di offrire ai malpensanti motivo ed argomento di maggiore denigrazione, perfida e disfattista.

In tale prospettiva vanno considerate le relazioni fra l’Ordine forense, la Federazione Sindacati avvocati e procuratori italiani, l’Unione delle Curie.

9. - La Fesapi, che, sulla base della norma costituzionale, agisce con entusiasmo, è particolarmente operante in terra di Puglia, come, or è qualche anno, espressi il saluto dell’Ordine al Congresso nazio-nale di Taranto, dalla stessa indetto, sono oggi ben lieto di potere se-gnalare il dinamismo della Sezione di Lecce, che si distingue anche per la pubblicazione di un combattivo periodico11.

È vero che, per quanto attiene alla latitudine della sfera d’azione, a parte la possibilità di contestuale esistenza di altre associazioni consimili, potrebbe profilarsi qualche anomalia strutturale, essendo

11 «Nuovo ruolo», periodico mensile del Sindacato avvocati e procuratori di Lecce.

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difficoltoso puntualizzare, nel settore dei rapporti economici, che ca-ratterizzano la funzione dei Sindacati, una «controparte» dei profes-sionisti forensi, non potendo certamente esserlo né i clienti, né gli av-versari, né i giudici. Sotto tale aspetto vi è chi parla autorevolmente non di «funzioni sindacali» ma di «funzioni di tipo sindacale»12. Resta pur sempre, tuttavia, un campo d’intervento giuridicamente valido, come di recente è avvenuto per il contratto collettivo dei dipendenti degli studi, egregiamente condotto a termine, per il quale, anche in considerazioni di quanto dispone l’ultima parte dell’art. 39 della Costituzione, è stato proprio il Consiglio nazionale ad indicare per primo nella Fesapi l’ente più qualificato a condurre ed a sottoscrivere le trattative.

L’essenziale è comunque mantenerci uniti e non dar luogo a divi-sioni, peraltro inconcepibili, che avrebbero come unica conseguenza soltanto quella di indebolire la comune azione: la compattezza de-gli intenti e dell’opera imprimerà maggiore vigore alla battaglia che dobbiamo condurre.

Siamo tutti avvocati, colleghi carissimi: non abbiamo nulla da spartirci, e, per noi e per i nostri figli, nulla da difendere, se non un nome onorato ed il diritto al nostro lavoro.

Andiamo avanti insieme, allora, ricchi della nostra povertà, te-nendo in alto il nostro vessillo, pur se le remunerazioni della nostra fatica non possono tenere il passo con il ritmo travolgente dell’infla-zione; pur se del tutto indecoroso è il nostro sistema assistenziale, umiliante e mortificante l’irrisoria mercede della vecchiaia; pur se l’assillante controllo fiscale altro non può registrare che la perennità del nostro sacrificio.

10. - Sulla stessa linea di collaborazione, e con contorni ancora più netti, occorre considerare i rapporti fra l’Ordine forense e l’Unio-ne delle Curie, che oggi si presenta in lutto per la dolorosa immatura dipartita del suo presidente, l’avv. Carlo Fornario.

12 BESANA, D’accordo! Ma gli Ordini declinino le funzioni di tipo sindacale, intervista a «Nuovo Ruolo», 25 settembre 1979. L’intervista segue ad altra mia, pubblicata nello stesso foglio, Tra Ordini e Sindacati forensi collaborazione, non antagonismo.

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Egli dedicò largo spazio della sua terrena esistenza alla soluzione dei nostri problemi; fu animatore instancabile, in Italia e all’estero, di convegni e di dibattiti; fu appassionato ed autorevole sostenitore di più alte mete per l’Avvocatura: alla sua Memoria rinnovo l’omag-gio di costernazione e di gratitudine dell’Ordine forense, con perso-nali sentimenti di afflitto cordoglio.

L’Unione delle Curie svolge encomiabile opera, nella sua espressio-ne nazionale e nelle diramazioni regionali, fra le quali, talune special-mente, come quelle dell’Emilia-Romagna, delle Marche e della Cala-bria, vanno assicurando feconda ed assai utile attività di propulsione e di sviluppo.

L’esistenza di una Unione delle Curie, operante nelle attività che im-pegnano il Consiglio nazionale, al di fuori di quelle giurisdizionali, è stata sempre avvertita dalla classe forense, anche se non vi è stata unicità di vedute sul modo di strutturarne la composizione e la funzionalità.

La stessa Unione aveva rivolto invito, circa venti anni or sono, al Consiglio nazionale, per la istituzione di una seconda sezione dello stes-so, ed il Consiglio, rinnovando il 15 dicembre 1961 un voto già espresso fin dall’11 febbraio 1956, si era pronunciato «per la integrazione con i presidenti dei Consigli dell’Ordine costituiti presso le sedi di Corte d’Appello ai fini dell’esercizio di tutte le attribuzioni diverse da quelle giurisdizionali, ritenendo, peraltro, che tale integrazione trovasse rispon-denza nei voti manifestati dai congressi di Palermo e di Genova»13.

Recentemente, poi, il Consiglio superiore della magistratura, for-mulando parere, nella seduta del 13 maggio 1977, sullo schema di disegno all’epoca predisposto dal Guardasigilli per la riforma del-l’Ordinamento professionale, ha ritenuto «valido un momento di collegamento fra i Consigli locali ed il Consiglio nazionale», chie-dendosi «se non sia opportuna un’assemblea o comunque un organo più rappresentativo dell’Unione prevista dall’art. 123»14.

13 Cfr. verbale adunanze del Consiglio nazionale forense n. 9 del 15 dicembre 1961.14 Cfr.: Parere del Consiglio superiore della magistratura sul disegno di legge per la

riforma dell’ordinamento professionale forense, in «Il mondo giudiziario», del 27 giugno 1977, n. 26, pag. 310.

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Vi è quindi da elevare l’augurio, ritenendosi generalmente indi-spensabile una più efficace partecipazione della base all’indirizzo collettivo, che si riesca a discernere ed a fissare, nel prossimo futuro, un sistema che conferisca maggiore funzionalità ai lavori dell’Unio-ne e ne qualifichi l’apprezzamento dei risultati.

11. - Per quanto attiene ai rapporti esterni, nei contatti con altre istituzioni, è indispensabile che l’Ordine forense assuma decisa po-sizione perché la voce dell’Avvocatura sia presente e sentita in tutte le vicende che, sul presupposto di regolamenti giuridici, interessano la vita del Paese e perché la funzione dell’avvocato, nonché l’eserci-zio dell’attività professionale, siano costantemente circondati da ga-ranzie tali che ne tutelino la dignità e ne assicurino il funzionamento, decisamente combattendo ogni deviazione e qualsiasi tentativo di vilipendio.

12. - Fra le più gravi lesioni alla inviolabilità del diritto di difesa, solennemente proclamato dall’art. 24 della Costituzione, va di recente registrato il tentativo d’inserimento nella disciplina normativa dell’in-chiesta parlamentare sul caso Moro della non opponibilità del segreto professionale da parte di coloro che saranno chiamati a deporre.

Debbo, a proposito, anzi tutto, manifestare, in questa terra di Puglia a lui così cara, il più sentito ossequio alla Memoria dello Sta-tista e del Giurista ignobilmente trucidato, così come alla Memo-ria delle altre vittime dell’infame crimine accanto a lui cadute e di quanti, magistrati, avvocati, esponenti delle Forze dell’Ordine hanno scontato con la vita l’adempimento del dovere, fino allo estremo sa-crificio del dott. Cesare Terranova, che l’Ordine forense ricorda con riconoscenza per l’opera svolta quale presidente della Commissione mista per la riforma del sistema di previdenza e di assistenza, costi-tuita a séguito della mozione approvata dal Congresso di Catania, e del maresciallo Mancuso, che lo accompagnava.

Sarà grande avvenimento, se, nell’impegno delle indagini giudi-ziaria e parlamentare, si riuscirà a far piena luce sui delitti, ma è

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necessario rilevare che, ove la deroga, come ritenuto dalla Camera, fosse definitivamente inserita nella legge, minerebbe alla fondamen-ta una prerogativa sovrana dell’attività forense.

E debbo ricordare che la Commissione consultiva degli Ordini forensi dei paesi aderenti alla Comunità economica europea, nella sessione di lavoro tenuta nell’ottobre 1976 a Perugia, anche richia-mata per altro verso in una delle relazioni ufficiali15, ha solennemen-te proclamato «essere nella natura stessa dell’avvocato che egli sia depositario dei segreti del suo cliente e destinatario di comunicazioni confidenziali: il segreto professionale va riconosciuto pertanto come diritto e dovere fondamentale e primario della professione», aggiun-gendo, altresì, che «in caso di dubbio deve essere rispettata la norma più rigida, quella cioè che offre la migliore protezione della inviola-bilità del segreto» e concludendo con il rivolgere caloroso invito ai rappresentanti degli Ordini forensi della Comunità di «prestare aiuto e assistenza ai colleghi degli altri paesi, nell’assicurare la protezione del segreto professionale»16.

Deve quindi sottolinearsi con grande soddisfazione l’orientamen-to delineatosi presso il Senato, laddove in sede di commissione è stato già rilevato che il segreto professionale deve considerarsi un punto irreversibile di ogni civiltà giuridica.

13. - È poi necessario ritornare ancora sulla inconcepibilità del divieto d’intervento orale del rappresentante del Foro nelle sedute inaugurali dell’anno giudiziario: quale cooperatore indispensabile nell’operatività di tutto l’apparato, incombe sul foro il dovere impe-rioso di prendere posizione sui mali che affliggono l’amministrazio-ne della Giustizia, manifestando ufficialmente la propria opinione, attraverso una disamina serenamente obiettiva degli avvenimenti e la prospettazione, sulla scorta di quanto suggerito dalla quotidiana esperienza, di accorgimenti e di utili istanze per il superamento della crisi.

15 BERTI ARNOALDI VELI, Tutela dell’ambiente come problema di libertà, pag. 25.16 In «Rass. For.», 1976, pag. 482 e segg.

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

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Non si riesce a comprendere quali siano, negli sviluppi del clima democratico che tanto apprezzabilmente regola ogni odierno rappor-to, le effettive ragioni del divieto, specie ove si pensi che il persistere nella inaugurazione con un cerimoniale anacronistico in rapporto ai tempi ed alle concezioni non contribuisce comunque al fine cui la seduta dovrebbe essere ispirata, anche se, nell’ultimo discorso inau-gurale, il procuratore generale presso la Corte Suprema di Cassazio-ne ha fatto riferimento ad un «rituale aulico che affonda le sue radici in tradizioni secolari di popolo e non già in inammissibili privilegi di casta».

Il dirottamento della possibilità di intervento del Foro alla pletori-ca assemblea pomeridiana, quasi sempre disordinata, confusionaria, generalmente sterile di proficui risultati, non giustifica per nulla la mancata modifica, reclamata dall’Ordine forense, dell’art. 89 del-l’ordinamento giudiziario, alle cui disposizioni, peraltro, anche il Consiglio superiore della magistratura aveva derogato con interven-to del suo rappresentante alla seduta inaugurale.

14. - La necessità di contenere l’intervento in determinati limiti, non mi consente più analitica disamina.

Dirò soltanto che nel corso del biennio il Consiglio nazionale ha seguito con costante premura l’evolversi delle varie situazioni, per fare ascoltare la parola all’Avvocatura ogni qual volta, con le leggi o con la interpretazione, si sono profilate evenienze di ingiusta restri-zione dei suoi diritti.

15. - Appunto per questo, con il voto del 29 giugno corrente, ha segnalato la iniquità dell’automatismo di perdita di efficacia della già conseguita iscrizione agli Albi per il professionista che non avesse tempestivamente curato la presentazione della domanda integrativa con la indicazione del numero di codice fiscale: la gravità della san-zione, che contiene una sostanziale equiparazione alla cancellazione di diritto agli Albi, avrebbe dovuto implicare l’imprescindibile giu-dizio dei Consigli dell’Ordine per la ricostruzione delle specifiche

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

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contingenze, l’accertamento della eventuale sussistenza di cause di forza maggiore, la valutazione dei singoli casi17.

16. - Egualmente, per il sistema, che va diffondendosi, di limita-zione dei giorni e delle ore di colloquio degli avvocati con gli impu-tati detenuti: tale limitazione costituisce, «inammissibile intralcio al libero, indipendente, pieno esercizio del diritto di difesa» e pone in essere una situazione che «è causa di disagio, menoma il prestigio del difensore e lede facoltà costituzionalmente garantite nell’interes-se del cittadino»18: esso si pone in netto contrasto sia con il precetto costituzionale che con l’art. 135 del codice di procedura penale.

Quando ci si oppone che la limitazione è imposta dalla deficienza delle strutture, relative all’edilizia carceraria ed alla esiguità numeri-ca del personale di custodia, occorre ribattere vieppiù propugnando la iniquità dell’arbitrio, in base al quale carenze che si sarebbero dovute rapidamente rimuovere, e che vanno invece incacrenendosi con l’inerte decorso dei decenni, vengono proiettate ai danni della collettività, in disprezzo di elementari precetti giuridici ed umani.

Posso comunque informare che il Ministero, in accoglimento del-le insistenti richieste del Consiglio nazionale e delle segnalazioni di diversi Consigli dell’Ordine, fra i quali quelli vicini di Foggia e di Lucera, ha di recente impartito disposizioni perché le Commissioni, competenti in base all’art. 16 della legge sull’ordinamento peniten-ziario per la redazione del regolamento interno dei vari istituti, prov-vedano a modificare il testo, stabilendo che i colloqui con i difensori possano aver luogo tutti i giorni feriali negli orari stabiliti e riser-vando alla direzione, ove ricorrano particolari motivi di urgenza, di consentire altresì che siano effettuati anche in giorni festivi ed in orari diversi.

17. - La funzione del difensore è, infine, vilipesa da altra ed ancor più grave soperchieria, per la quale il professionista, che accede alle

17 In «Rass. For.», 1979, pag. 303.18 Cfr. ordine del giorno n. 4/A del 29 giugno 1979, in «Rass. For.», 1979, pag. 284.

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

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case di custodia, nell’espletamento del suo mandato, per conferire con i propri assistiti, è costretto a sottostare ai controlli elettronici, e, sovente, anche alle perquisizioni delle borse.

La disposizione pone l’avvocato di fronte ad una drammatica alternativa: quella di sottostare alla mortificante umiliazione, che, avendo luogo nell’androne d’ingresso, il più delle volte si svolge alla presenza di congiunti di detenuti in attesa del turno di visita, ovvero di rinunziare al colloquio, venendo meno ai suoi doveri.

Ad un intervento effettuato dal Consiglio nazionale dopo le pri-me segnalazioni, i competenti organi avevano risposto comunicando che erano state impartite ai Procuratori della Repubblica soltanto ge-neriche disposizioni per una adeguata disciplina degli accessi negli istituti penitenziari, ma, purtroppo, con l’andare del tempo, l’incon-veniente, lungi dallo scomparire, pare, secondo le segnalazioni, es-sersi dilatato.

Dobbiamo quindi rinnovare calda istanza di esclusione degli av-vocati da un tal genere di controllo, come nessuno ha mai pensato di imporlo nei riguardi di giudici, di cancellieri, di ufficiali giudiziari, di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, che per esigenze delle loro funzioni debbono accedere nei luoghi di custodia: senza la generale reciprocità della stima e della fiducia, nessuna sostanziale collabora-zione sarebbe possibile ed ogni rapporto si tradurrebbe nella vacua sceneggiatura di ipocriti contatti, che, purtroppo, caratterizzano tan-te vicende della nostra vita collettiva.

18. - Onorevole signor Ministro,nel momento in cui si apre così solenne assemblea, che dibatterà,

ad alto livello, temi di vitale importanza per il perfezionamento del-le leggi e l’ordinato svolgimento di vita del Paese, nel ringraziarla della presenza, che onora e qualifica i lavori, desidero rinnovarle, a nome dell’Avvocatura d’Italia, l’augurio che le espressi quando, in un momento particolarmente difficile, assunse la direzione del pe-sante dicastero e dirle, ancora, che gli avvocati, al di là e dal di sopra delle loro specifiche mansioni professionali, sono sempre pronti alla

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

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più leale collaborazione per la soluzione di ogni problema di caratte-re generale, anche se avvertono l’amarezza di essere in genere assai scarsamente considerati, quasi costituisse disdoro contaminarsi con loro, e tanto avrebbero gradito un riferimento esplicito nelle recenti dichiarazioni programmatiche dell’onorevole presidente del Consi-glio dei Ministri, che forse avrà pensato di comprenderli, implicita-mente, nell’invito rivolto agli «intellettuali tutti», in quanto nessuno più degli avvocati potrebbe cooperare alla realizzazione di quella che l’on. Cossiga ha definito come «esigenza sociale e civile di una risposta alla domanda di giustizia».

Proprio in questi giorni ha avuto luogo, a Cannes, il XXV Con-gresso dell’Unione internazionale degli avvocati, ed il mio eminente collega, l’onorevole avvocato Giuseppe Alessi, ha svolto, in rappre-sentanza del nostro Consiglio nazionale, una interessante relazione ufficiale sulla «partecipazione del Foro all’attività legislativa»19, mentre è stato già diffuso il fascicolo di «Rassegna Forense», che registra testualmente gli atti dell’Assemblea generale dei presidenti dei Consigli dell’Ordine degli avvocati e dei procuratori, tenuta, a Roma, nel dicembre decorso, ad iniziativa del Consiglio nazionale, per l’esame del progetto di riforma del codice di procedura penale, che ha puntualizzato osservazioni e proposte di notevole rilievo20.

19. - Gli avvocati molto confidando, onorevole signor Ministro, nel suo autorevole sostegno per il raggiungimento di ogni legittima ed annosa aspirazione, le esprimono gratitudine per l’attenzione loro dimostrata, già nell’arco di tempo ancor così breve dall’insediamen-to, con l’accoglimento di prospettare istanze, prima fra tutte quella di volere rapidamente indire quella «Conferenza nazionale della Giu-stizia», che, da più tempo invano reclamata, sarà infine la migliore sede per la più approfondita indagine sulla crisi e valido mezzo per il superamento.

19 Pubblicata in «Rass. Forense», 1979, pag. 167 e segg.20 «Rass. For.», fasc. n. 4 - (ottobre-dicembre) - 1978.

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

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20. - Signori colleghi, ho finito.Narrano le cronache che il celebre Lachaud, accorso da Nizza a

Parigi, un secolo fa, il 6 febbraio 1882, per difendere, pur dopo lunga infermità, un suo assistito, ebbe a manifestare, nel corso dell’arringa, segni palesi di sofferenza fisica. Berardo des Glajeux, che presiede-va la Corte di Assise, così ricorda l’episodio: «La sequenza degli argomenti era perfetta, ma si può dire che vi mancava l’anima». La voce era appena un soffio, il braccio pendeva inerte. A un certo pun-to, la sua stanchezza parve così visibile che io «invitai Lachaud a sospendere l’arringa. Egli mi rispose con uno sguardo di indicibile angoscia, nel quale la vita e la morte sembravano contendersi in una lotta superba: – No, signor presidente soggiunse, io andrò fino alla fine. – »21.

Illustri e cari colleghi, mentre vi accingete a dare qui prova ga-gliarda delle vostre virtù, voglio ripetere che occorre – in una lunga vita – perseverare a batterci, fino alle estreme possibilità delle uma-ne resistenze, perché l’Avvocatura non muoia, ma vigorosamente risorga, circondata dal credito e dal fascino della gloriosa tradizione antica; perché si imponga ancora, con la probità degli intenti e la specchiata esplicazione dell’opera, alla attenzione delle genti; per-ché, nelle inquietudini e nelle ansie del torbido periodo che la Pa-tria attraversa, costituisca pur sempre incentivo sicuro di equilibrio, responsabile impulso di valide conquiste, strumento efficace per la squalifica di ogni viltà, barriera invalicabile per ogni ignobile per-secuzione, viatico ardente per il perenne trionfo della libertà e della Giustizia!

21 Cfr. L’ultima arringa di Lachaud, in «La Voce», Palermo, agosto-settembre 1978.

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XV CONGRESSO NAZIONALE GIURIDICO FORENSE – LECCE

MOZIONE GENERALE

Il XV Congresso nazionale giuridico forense, convocato il Lecce nei giorni dal 29 settembre al 4 ottobre 1979 sui temi: Tutela giuri-dica dell’ambiente con particolare riguardo ai centri storici urbani e Trasformazione del sistema processuale e strutture professionali lette le relazioni e comunicazioni ed uditi gli interventi dei congres-sisti.

PRENDE ATTO

della pertinenza dei temi proposti e discussi in relazione al rap-porto tra Avvocatura e contesto sociale e culturale del Paese.

Pertanto

RIBADISCE

la unitaria volontà dell’Avvocatura italiana di partecipare, re-sponsabilmente e consapevolmente in prima linea, allo studio ed alla soluzione dei problemi che impegnano il Paese, tra i quali quello attinente all’Amministrazione della Giustizia è la espressione più evidente.

In conseguenza

IMPEGNA

i singoli Avvocati, il Consiglio nazionale forense, gli Ordini, la Unione nazionale delle Curie, il Sindacato e tutte le Associazioni fo-rensi, ad essere presenti con il contributo totale e complessivo della preparazione, della competenza, delle esperienze e della generosità

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che li distinguono, nei momenti propositivi e risolutivi dei problemi innanzi segnalati, a livello nazionaòe e locale con il disinteressato spirito civico di contribuire alla difesa ed al rafforzamento dello Sta-to democratico ed alla promozione dell’Uomo.

SOTTOLINEA

la convinta convergenza - al di là delle pur fisiologiche divergen-ze di opinione sui metodi di analisi e di sintesi - sul valore dell’Uo-mo, soggetto ed oggetto primario di ogni manifestazione che attui la tutela giuridica in qualsivoglia situazione;

RIAFFERMA

la necessità che gli Organi di Governo del Paese esprimano sol-lecitamente quelle scelte politiche che costituiscono il presupposto indispensabile per l’adeguamento delle leggi, per la preparazione e l’impiego degli uomini e per l’apprestamento degli strumenti tecnici e materiali volti alla corretta Amministrazione della Giustizia, essen-dosi dichiarati gli Avvocati d’Italia pronti ad affrontare il ruolo che la società, nella dinamica della sua trasformazione e ristrutturazione, assegna loro.

Comunque

SOLLECITA

l’attuazione immediata degli strumenti operativi innanzi invocati, di guisa che - anche se l’entrata in vigore delle leggi auspicate do-vesse, per esigenze tecniche, subire rinvii rispetto alla promulgazio-ne - il processo, del quale l’Avvocato è protagonista, abbia sin d’ora certezze ed operatività.

Lecce, 4 ottobre 1979.

Presentata dall’Avvocato Vittorio Aymone, Presidente dell’Ordi-ne di Lecce e da altri.

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MOZIONE SUL TEMA: TUTELA GIURIDICA DELL’AMBIENTE

Il Congresso:– ritenuta la validità del tema sulla tutela giuridica dell’ambiente

con particolare riguardo ai centri storici, che dimostra la convinta partecipazione della classe forense a problemi che ormai debbono essere acquisiti alla consapevolezza della comunità nazionale;

– constatato che, nonostante alcune leggi organiche relative alla tutela dell’inquinamento in diversi settori, continua la proliferazio-ne di leggi statali-regionali che rendono incerte le competenze e la regolamentazione vigente in tema dell’ambiente e, ancor più, i nessi con la disciplina urbanistica;

– considerato che la incerta situazione della legislazione aggrava le deficienze operative delle amministrazioni statali, regionali e co-munali e disorienta il cittadino singolo e l’intera opinione pubblica determinando l’ulteriore degradazione dell’ambiente e dei centri sto-rici e urbani in genere, nonché gli interventi occasionali di supplenza specie della magistratura penale, il cui insostituibile compito non deve peraltro trasformare il giudice in gestore della cosa pubblica, e ciò oltre tutto non potendo risolvere positivamente le carenze opera-tive della pubblica amministrazione;

– rilevato che senza un’adeguata capacità operativa della pubblica amministrazione la frequenza dell’intervento improprio del giudice pe-nale non può non accrescersi in relazione alla necessità di fronteggiare il fenomeno per cui l’abusivismo si realizza con speciale frequenza in attuazione di provvedimenti illegittimi dell’autorità amministrativa, per la repressione dei quali deve riconoscersi l’utilità degli interventi di associazioni che hanno come loro compito la tutela dell’ambiente e del corretto esercizio dei poteri pubblici urbanistici.

AUSPICA

1) la pronta emanazione di una legge statale quadro, anche me-

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diante lo strumento della delega che riordini e coordini, con le op-portune modifiche, la legislazione statale vigente dettando criteri uniformi per tutto il territorio dello Stato in tema di tutela dell’am-biente e di uso e riuso del Territorio, anche in riferimento al D.P.R. n. 616 del 1977, e in particolare:

a) definisca i centri storici, se del caso rinviando alla perimetra-zione ad opera dei comuni;

b) riveda la materia dei programmi pluriennali di attuazione;c) preveda sistematicamente poteri sostitutivi della Regione ri-

spetto ai comuni e dello Stato rispetto alle Regioni, anche penalmen-te sanzionata in caso di inadempienza;

d) regoli direttamente ed espressamente la legittimazione proces-suale degli enti ed associazioni costituiti per la tutela dell’ambiente inteso nel senso più lato;

2) la emanazione di un testo unico di tutta la legislazione statale in tema di tutela dell’ambiente, che in particolare definisca con cer-tezza le competenze;

la dotazione dei mezzi finanziari ed organizzativi, a favore delle amministrazioni pubbliche competenti, condizionanti la loro effetti-va operatività tenendo altresì conto dello stato di progressiva paralisi in cui si trovano i tribunali amministrativi regionali;

la decisiva inversione di tendenza sia nel rapporto tra produzione normativa e aspetti finanziari ed organizzativi sia nel rapporto fra momento repressivo e momento di incentivazione ed operativo; che in un settore di tanto rilievo sociale e, per la sua novità, ancor privo di direttrici sicure per il suo svolgimento e sviluppo, il ruolo dell’Avvo-catura è essenziale, data la funzione equilibratrice che, nel complesso, essa svolge mediante la traduzione in termini giuridici delle esigenze molteplici delle singole componenti private e pubbliche della società reale; sicché la sua opera attraverso i singoli e gli ordini che la rappre-sentano deve essere utilizzata, nell’interesse comune, anche in sede di formazione di norma e strumenti in genere destinati ad assicurare la tutela dell’ambiente e l’assetto del territorio, nel cui ambito si inqua-dra il problema specifico della rivitalizzazione dei centri storici.

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IMPEGNA

tutti gli Ordini forensi ad adottare le idonee iniziative per assi-curare all’Avvocatura italiana un dinamico ruolo di stimolo per la soluzione dei problemi inerenti la tutela dell’ambiente.

Presentata dall’Ufficio di Presidenza della I Sezione e dai Rela-tori sul tema.

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

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MOZIONE SUL PRIMO TEMA APPROVATA COME ALLEGATO ALLA MOZIONE DEI RELATORI

I delegati dell’Ordine Avvocati e Procuratori di Rieti propongono alla approvazione del Congresso la seguente

MOZIONE

«Il 15° Congresso nazionale giuridico forense, in Lecce: consta-tato che la tutela dell’ambiente non può essere limitata ai soli centri storici e rivolgersi esclusivamente agli aspetti immobiliari ed urba-nistici, ma essa va inquadrata nel più ampio concetto di tutela del paesaggio e dei beni naturali, costituenti fonti primarie di vita e di ineguagliabile ricchezza nazionale;

– che è necessario, tutelare con energia questi beni non solo da indiscriminate aggressioni e da speculazioni selvagge, ma altresì da ogni inquinamento in genere ed in particolare da quello dei rifiuti;

– rilevato che tali beni naturali, per il fenomeno generalizzato del turismo di massa, hanno già subito danneggiamenti pregiudizievoli e talora pressoché irreparabili ed irreversibili, specie in talune zone di incomparabile bellezza che non possono essere ulteriormente igno-rati e tollerati;

– ritenuto che diviene sempre più urgente ed imperiosa la esigenza di tutelare in modo organico e con norme generali di prevenzione e repressione, il paesaggio naturale come ambiente e come patrimonio in quanto tale, ed in special modo le coste, le spiagge, i laghi, le rive dei fiumi e dei corsi d’acqua, le aree verdi ed i boschi, le scarpate e le aree di sosta e parcheggio, anche di strade ed autostrade, i posti di svago e di riposo, di accampamento su suoli liberi, pubblici e di uso pubblico, i prati, ed i pascoli, i sentieri di campagna e di montagna;

– ritenuto altresì che tali siti vengono vieppiù trattati come pattu-miere dal turismo di massa e stanno diventando ricettacolo indecoro-so, oltreché antigienico, di rifiuti di ogni sorta (sacchetti di plastica, cartacce, bottiglie e vetri vari, scatolette e lattine, sparsi e dovunque

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abbandonati), sì da preludere a breve scadenza, ove non si corra tem-pestivamente ai ripari, ad un vero e proprio disastro ecologico;

– mentre rileva che solo poche Regioni, avvalendosi dei poteri istituzionali loro propri, previsti dalla Costituzione e dagli Statuti, hanno provveduto a disciplinare gli effetti degli inquinamenti da ri-fiuti emanando norme dirette ad impedire l’abbandono dei rifiuti di qualsiasi genere nei luoghi citati, nonché a vietare la circolazione dei mezzi motorizzati fuori dei percorsi e degli spazi consentiti,

AUSPICA

che tutte le Regioni, a statuto speciale ed ordinario, quanto prima e con estrema urgenza, emanino una legislazione organica volta alla salvaguardia dell’ambiente, come bellezza e come patrimonio natu-rale, approntando strumenti efficaci e mezzi adeguati alla prevenzio-ne ed alla repressione, non solo delle speculazioni e degli abusivismi, ma anche degli inquinamenti di ogni tipo ed in specie da rifiuti;

– atteso che gli strumenti legislativi, pur indispensabili ed inso-stituibili, non possono da soli raggiungere l’obiettivo sperato della salvaguardia, dell’ambiente naturale e paesaggistico come ricchezza nazionale, ove non venga a formarsi negli individui e nelle masse una vera e propria “coscienza ambientale ed ecologica”

FA VOTI

perché tutte le istituzioni culturali, politiche e sociali, i mezzi di grande comunicazione (stampa, radio, televisione), pubblici e priva-ti, si adoperino per una vasta e permanente campagna di informazio-ne e soprattutto di “educazione” delle masse e dei singoli, per una sana e corretta fruizione dei beni ambientali, paesaggistici e naturali del nostro Paese, in modo da conservarli, quanto più possibile, inal-terati per la comunità attuale e per le generazioni future».

Presentata dai Delegati dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Rieti e da altri.

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MOZIONE SULLA PLURALITÀ DEI RITI NEL PROCESSO CIVILE

«Il 15° Congresso nazionale giuridico forense,

CONSTATATA

l’unanime preoccupazione e il disagio dell’Ordine forense per il gravissimo difetto di funzionamento del processo civile e le relative disastrose conseguenze che escludono o riducono a condizioni inac-cettabili il soddisfacimento delle esigenze di giustizia del cittadino che è il vero fruitore del processo,

APPROVA

la relazione ufficiale Bassano-Lojacono anche nella sua posizione dei problemi e, tenuto conto delle relazioni e comunicazioni presen-tate, nonché degli interventi in sede congressuale, ritiene necessario che i problemi del processo civile siano sin da ora affrontati alla luce del rivendicato principio di massima tutela del diritto al contraddit-torio,

IMPEGNA

il Ministro Guardasigilli e la Commissione all’uopo nominata dal Ministero a tenere effettivo conto dei dati emergenti dal Congresso nel progetto di riforma in elaborazione, introducendo anche oppor-tune semplificazioni nelle norme del codice attuale, sicché ne risulti uno strumento più idoneo e snello, con l’eliminazione di norme di fatto non applicate per desuetudine, consono alle attuali esigenze di certezza ed operatività: e ciò con particolare riferimento alla disci-plina dell’incompetenza (specie territoriale), delle impugnazioni, delle esecuzioni, e delle opposizioni alla esecuzione,

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CHIEDE

che gli elaborati della Commissione Ministeriale siano preven-tivamente sottoposti al Consiglio nazionale forense per riceverne il parere e consentire la raccolta di suggerimenti e punti di vista del Consiglio degli Ordini distrettuali (ed attraverso di essi di quelli del-le sedi minori) da tenere presenti nell’approvazione del testo defini-tivo da pubblicare in termini brevissimi.

RITIENE

che la situazione degli ordinamenti tutti che si riferiscono alla Giustizia e che dovrebbero assicurare a tutti i cittadini una giustizia effettiva, sollecita, adeguata alle esigenze dei tempi, sia in tali con-dizioni da imporre, finalmente, la convocazione della Conferenza nazionale della Giustizia, secondo la votazione unanime del prece-dente Congresso de L’Aquila.

In quella altissima sede soltanto potranno infatti essere elaborati, sulla base del concorso e dell’apporto della pluralità degli operato-ri di giustizia, nonché sulla scorta delle esigenze del corpo sociale, i criteri di fondo per la programmazione di un’opera legislativa di coraggiosa riforma degli Ordinamenti Giudiziari del nostro paese rispondente alla sua posizione nell’ambito della Comunità Europea.

FORMULA IL VOTO

che nel frattempo e sin da ora il Parlamento sia chiamato ad evi-tare, nell’esercizio dell’attività legislativa, un caotico accavallarsi di norme, di oscurità di precetti e di continue contraddizioni;

INVOCA

in conseguenza la predisposizione, in forme rispettose della de-mocraticità dell’ordinamento, di testi che raccolgono unitariamente materie diffuse e disperse;

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RITIENE NECESSARIO

che la riforma delle strutture cui deve procedersi ad opera del Go-verno, con i necessari stanziamenti per la cenerentola Amministra-zione della Giustizia, segua in tempi brevi, e ciò sia con l’incremento del numero del personale, che con l’apprestamento dell’edilizia e dei moderni mezzi strumentali necessari;

IMPEGNA

la partecipazione continua e generosa degli Ordini forensi, affin-ché in tutte le sedi e con tutti i mezzi consentiti, siano perseguiti i fini di cui alla presente mozione».

Presentata dall’Avv. Angiola Sbaiz Presidente dell’Ordine di Bo-logna e da altri.

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MOZIONE SUL TEMA: «TRASFORMAZIONE DEL SISTEMA PROCESSUALE E STRUTTURE PROFESSIONALI» - LA FUNZIONE DELL’AVVOCATO

NEL NUOVO CODICE DI PROCEDURA PENALE

Il 15° Congresso nazionale giuridico forense,ritenuta la inidoneità del Codice di Procedura Penale in vigore a

consentire la realizzazione della Giustizia secondo i principi della Costituzione,

AUSPICA

che la approvazione del progetto governativo avvenga entro il più breve tempo possibile, con l’accoglimento dei rilievi e dei voti espres-si dagli Ordini forensi e dalla Commissione consultiva per la riforma del Codice di procedura penale, e particolarmente di quelli diretti ad assicurare al difensore la piena autonomia e libertà decisionale.

Chiede che sia prevista un’ampia vacatio legis, che consenta:a) di emanare le leggi correlate al funzionamento del nuovo rito,

quali il nuovo ordinamento giudiziario, il nuovo ordinamento pro-fessionale e la legge per la difesa dei meno abbienti;

b) di apprestare le necessarie strutture.

FA VOTI

che il legislatore, per quanto concerne la difesa dei meno abbien-ti, attui i seguenti principi:

- massima semplificazione della procedura per la designazione del difensore;

- libertà di scelta del difensore da parte dell’imputato:- obbligo dell’accettazione dell’incarico da parte del difensore,

salvo particolari motivi valutabili, in assoluta riservatezza, dal Pre-sidente dell’Ordine;

- liquidazione del compenso al difensore, a carico dello Stato, secondo parcella approvata dal Consiglio dell’Ordine;

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- predeterminazione, in base ad inequivoci parametri, delle condi-zioni necessarie per beneficiare della difesa a carico dello Stato.

CHIEDE

che il nuovo Ordinamento Professionale Forense preveda:- il potere di rappresentanza dei Consigli dell’Ordine per quanto

attiene alla tutela degli interessi morali e culturali degli iscritti e del-l’indipendenza e dell’autonomia dell’esercizio professionale;

- il potere di rappresentanza del Consiglio nazionale forense, an-che nei rapporti con l’Estero, segnatamente per l’attività da svolgere nell’ambito comunitario europeo;

- l’affermazione della massima qualificazione professionale attra-verso un’idonea e rigorosa regolamentazione dell’accesso alla pro-fessione e del praticantato, consentendo la permanenza negli Albi solo quando sussistano i requisiti della effettività e della continuità dell’esercizio professionale e la necessità di un esame attitudinale per l’iscrizione nell’Albo dei Patrocinanti dinanzi alle Giurisdizioni superiori;

- la regolamentazione delle strutture associative degli studi, che assicuri, da una parte l’immediatezza e l’efficacia degli interventi difensivi e conservi dall’altra l’essenza del rapporto fra difeso e pa-trono;

- un sistema di intervento disciplinare rapido ed efficiente che escluda l’automatismo delle così dette «radiazioni di diritto»;

- un più rapido inserimento degli Avvocati iscritti negli elenchi speciali dell’Ordine forense; il requisito della iscrizione nell’Albo Professionale, per la ammissione ai concorsi per l’accesso negli Uf-fici Legali di Enti; la priorità del potere disciplinare dell’Ordine e l’autonomia dei Professionisti nell’esercizio della loro attività.

Angiola Sbaiz (Presidente del Consiglio dell’Ordine forense di Bologna) ed altri.

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MOZIONE SULLE SOCIETÀ PROFESSIONALI

Il Congresso, ritenuto che durante la scorsa legislatura venne ap-provato dal Senato il disegno di legge del senatore Viviani sulle so-cietà professionali, vivamente atteso da un consistente numero di avvocati e di altri professionisti;

che tale progetto non crea problemi di raccordo con i progetti di legge professionale ora in fase di discussione preliminare in Parla-mento;

che peraltro alcune norme della riforma tributaria hanno favorito la creazione di numerosi studi associati, i quali per questioni diverse da quelle tributarie restano oggi scarsamente regolamentati,

FA VOTO

perché le norme già approvate dal Senato in materia di società professionali vengano riconfermate dal Senato e poi sollecitamente approvate dalla Camera.

Presentata dall’avv. Angiola Sbaiz, Presidente dell’Ordine di Bo-logna, e da altri.

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

248 Quaderni

MOZIONE SULLA PREVIDENZA FORENSE

Il XV Congresso nazionale giuridico forense,vista la relazione sulle strutture professionali nella parte riguar-

dante il trattamento pensionistico;

CONSIDERATO

- che per effetto dell’attuale sistema previdenziale forense la one-rosità dei contributi è insopportabile, mentre non sono assicurati li-velli pensionistici dignitosi;

- che si impone una radicale riforma della Previdenza;- che data la complessità dei problemi da risolvere e la necessità

di indispensabili verifiche finanziarie non è possibile una riforma organica in tempi brevi;

- che si rende urgente ed indilazionabile una legge stralcio, che valga ad alleviare le condizioni degli avvocati e procuratori ed a por-re riparo immediato alle gravi carenze della vigente normativa,

FA VOTI

che in attesa dell’auspicata riforma della Previdenza Forense in Parlamento approvi con urgenza la proposta di legge-stralcio d’ini-ziativa dei Deputati Cattanei ed altri, in merito alla quale, è stato già espresso parere favorevole dal Consiglio nazionale forense e dalla Cassa nazionale Previdenza Avvocati e Procuratori.

Firmato dall’Avvocato Giuseppe Valensise Presidente dell’Ordi-ne forense di Roma e da altri rappresentanti di Ordini forensi.

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

249 Quaderni

MOZIONE SULLA RICHIESTA DI RIFORMA DEL REGOLAMENTO

Il XV Congresso nazionale giuridico forense, riunito in assemblea plenaria straordinaria il 1° ottobre 1979

PRESE IN ESAME

le proposte formulate dall’avv. Federico Celentano congiun-tamente ad altri della delegazione dell’Ordine di Napoli, dall’avv. Mario Besana Segretario generale della FESAPI, dall’avv. Giovanni Baldini del Foro di Roma congiuntamente ad altri, dai rappresentanti degli Ordini di Cosenza, Catanzaro, Crotone, Vibo Valentia e Reggio Calabria;

INVITA

gli Ordini proponenti a formulare una sola mozione compiuta-mente articolata per la modifica del Regolamento Congressuale da sottoporre per l’approvazione all’Organo Permanente per l’attuazio-ne dei voti congressuali e, successivamente, all’Assemblea generale degli Ordini per la decisione finale, dopo che siano state preventiva-mente convocate assemblee locali straordinarie sull’argomento.

Firmata dall’avv. Vittorio Aymone Presidente dell’Ordine di Lec-ce e da altri.

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

250 Quaderni

MOZIONE RECANTE PROPOSTA DI MODIFICA DEL REGOLAMENTO

Il XV Congresso nazionale giuridico forense in attuazione del voto espresso nell’Assemblea Plenaria Straordinaria del 1° ottobre 1979, rivolto a dare concreta esecuzione alla riconfermata esigen-za della partecipazione effettiva di tutti gli avvocati e procuratori alla votazione delle mozioni congressuali, senza peraltro vulnerare il principio del voto per rappresentanza, come sancito sin dal XII Congresso di Perugia;

DELIBERA

che l’Organo Permanente per l’attuazione dei voti congressuali, nel rispetto della mozione approvata il 1° ottobre 1979, appresti le modifiche del vigente regolamento congressuale da sottoporre entro il 30 giugno 1980 alle Assemblee dei singoli Ordini forensi e non oltre il 30 dicembre 1980 all’Assemblea Generale degli Ordini per l’approvazione definitiva;

RACCOMANDA

come rispondente alle esigenze di democraticità dei Congres-si l’articolazione che si allega al presente atto redatta dal Comitato Permanente nella seduta del 18 giugno 1979 con l’introduzione della disposizione che riserva in ogni caso ai Presidenti dei Consigli il di-ritto di voto ed ai Consigli degli Ordini la nomina di almeno la metà dei componenti la delegazione.

Firmata dall’avv. Vincenzo Caredda Presidente dell’Ordine di Cagliari e da altri.

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

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ALLEGATO

Art. 11: L’ultimo comma è sostituito dal seguente:«Le delegazioni sono presiedute dal Presidente del Consiglio del-

l’Ordine o, in caso di impedimento, da un componente della delega-zione da lui designato».

Art. 12: Le parole «promuovono la più ampia consultazione degli iscritti nei modi che riterranno più efficaci» sono sostituite con le altre: «indicono un’assemblea straordinaria».

Art. 13: È sostituito dal seguente testo: «Nella medesima assem-blea gli iscritti eleggono i delegati al Congresso per ciascuna sezio-ne o tema, sulla base di orientamenti emersi nel dibattito.

Indicano inoltre modalità e criteri per eventuali sostituzioni, le quali dovranno essere in ogni caso comunicate al Comitato Or-ganizzatore entro e non oltre il quindicesimo giorno antecedente l’apertura del Congresso».

Art. 14: È sostituito dal seguente testo:«Le delegazioni, delle quali fa parte di diritto il Presidente del

Consiglio dell’Ordine sono costituite secondo i seguenti criteri:a) un delegato se gli iscritti non raggiungono il numero di 50 e 2

se il numero degli iscritti è fra 50 e 100;b) oltre ai delegati per i primi 50 iscritti, un altro delegato per

ogni cento o frazione di cento iscritti superiore a 50, se questi non supera il numero di 500;

c) oltre ai delegati di cui alle lettere a) e b) per i primi 500, un altro delegato per ogni 200 se il numero degli iscritti supera i 500.

Le assemblee straordinarie possono eleggere anche un numero di delegati inferiore a quello massimo spettante all’Ordine, conferendo a ciascuno o ad alcuno i voti congressuali spettanti ai delegati non eletti.

In ogni caso la partecipazione di diritto del Presidente del Con-

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I CONGRESSI NELLA STORIA DELL’AVVOCATURA

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siglio dell’Ordine è considerata in aggiunta al numero dei delegati come articolato nel precedente comma».

Art. 16: Al primo capoverso, le parole «dei Consigli dell’Ordine» sono sostituite da «degli Ordini».

Art. 17: Al primo capoverso, le parole «- a) i Presidenti dei Con-sigli dell’Ordine e i membri delle delegazioni» sono sostituite da «-a) i componenti le delegazioni».

Art. 19: Al penultimo comma, le parole: «dai rappresentanti di almeno cinque Ordini» sono sostituite da: «da almeno quindici dele-gati appartenenti a non meno di cinque Ordini».

Art. 20: Al secondo comma, le parole: «dei rappresentanti degli Ordini» sono sostituite da: «dai delegati di ciascun Ordine».

Il comma terzo è così sostituito «ad ogni delegato spetta un voto salvo quanto disposto dall’art. 14».

Nel secondo periodo del terzo comma le parole «i rappresentanti degli Ordini» sono sostituite da: «I delegati».

Al capoverso sono poi eliminate le parole: «I rappresentanti degli Ordini».

Art. 22: Nel primo comma, dopo le parole «dal numero attuale degli iscritti» vanno aggiunte: «nonché l’elenco dei delegati eletti dall’assemblea straordinaria ed i voti attribuiti dalla stessa a cia-scun delegato ai sensi dell’ultima parte dell’art. 14».

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DIRITTO & ROVESCIO

Diritto & Rovescionella professione forense

a cura di C’È SU UN TOGATO*

“Diritto”“Ne’ parlamenti non oltrepassare nelle maldicenze più oltre di

quello che si cerca nella causa. Temperatevi di fare ingiuria alle per-sone e abbiate per fermo che l’avversario si vince con la ragione, non con le maldicenze”.

SANSOVINO - 1559

* * *

“Nel difender le cause bisogna essere veridico, sincero, rispettoso e ragionato”.

SANT’ALFONSO DE’ LIGUORI - 1750

* * *

“Oltre le qualità della mente sono necessarie anche quelle del cuore: un generoso sacrificio dei piaceri e delle libertà; un corag-gio proprio a superare gli ostacoli; uno zelo ardente nel difendere l’innocente, l’infelice, l’orfanello, la vedova, l’indigente; una nobi-le fermezza nel tener sempre il linguaggio della verità; e principal-mente un disinteresse a tutta prova, affinché nulla possa alterare la grandezza del suo animo, sono le qualità che rendono l’Avvocato degno di una stima assai più grande di quella che meritavano i greci e romani oratori; i quali l’ordinario non avevano di mira che la pro-pria gloria, né altro movente che l’ambizione. La prudenza è del pari un carattere essenziale dell’Avvocato. Depositario della confidenza dei suoi clienti e dei loro segreti sovente i più importanti, egli tradi-

* Avvocato del Foro di Brindisi (anagramma).

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DIRITTO & ROVESCIO

rebbe indegnamente il suo ministero se abusasse di questa fiducia, e si renderebbe iniquo prevaricatore se il vile interesse lo induces-se a palesarli. Inoltre dev’essere assai circospetto e moderato nelle espressioni nella trattazione della causa”.

FORANITI - 1838

* * *

“Quando io dico ordine giudiziario io contemplo una vasta figura, che in sé racchiude tutti coloro che fanno professione del sacerdozio della giustizia; e così considero Magistrati e Curia come un sol corpo. Ripeto ancora una volta che chi offende la Magistratura offende la Curia, come chi offende la Curia offende la Magistratura. La storia ci ricorda esempi memorandi e meravigliosi della resistenza che seppero opporre contro le più fiere tirannidi in certi supremi momenti le Magi-strature in accordo con le Curie, che sono i loro naturali alleati”.

FRANCESCO CARRARA - 1874

* * *

“Ognuno di noi sia per tutti geloso della dignità della nostra pro-fessione, del suo decoro, della intangibilità scrupolosa di quella ret-titudine e di quel disinteresse che la devono segnalare agli occhi del pubblico, della conservazione insomma di quell’immaculato patri-monio di famiglia, alla cui tutela il Consiglio dell’Ordine deve vigi-lare con sollecito amore”.

GIUSEPPE ZANARDELLI – 1875

* * *

“Un processo, sia civile che penale, o è un fatto dialettico o non è un processo. Senza la presenza del difensore e senza contraddittorio, non vi sarebbe processo nel senso autentico di questa parola e il giu-dice di un tale processo non sarebbe, secondo una nota distinzione dottrinale, un giudice, bensì soltanto un sentenziatore”.

GIOVANNI COLLI Procuratore Generale Corte di Cassazione - 1975

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DIRITTO & ROVESCIO

* * *

“L’Avvocatura Italiana costituisce la più sicura garanzia per la conservazione delle libertà fondamentali”.

PIETRO PASCALINO

Procuratore Generale della Corte di Cassazione - 1976

* * *

“Nel momento in cui le occulte forze, che hanno sempre cercato di aggredire la organicità e la nobiltà della sua funzione, con il pro-posito di intaccarla e distruggerla, si vanno sinistramente palesando, è necessario che l’Avvocatura d’Italia sia unita, compatta, decisa, senza possibilità di tentennamenti, di incrinature, di perplessità”.

ALDO CASALINUOVO – 1979

* * *

“Gli Avvocati sono stati particolarmente presi di mira, dato che ad essi appartiene storicamente il pesante onere di difensori dei diritti della persona, e quindi, dei relativi spazi di libertà”.

AGOSTINO VIVIANI - 1988

* * *

“La mia conclusione è che la qualità deontologica di un Avvocato corrisponde alla sua qualità professionale, che i due concetti non sono separabili”.

FRANZO GRANDE STEVENS - 2006

* * *

“L’Avvocato è tenuto infatti a una doppia fedeltà, non solo verso il cliente, ma anche verso l’ordinamento; sicché non si possono impu-

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DIRITTO & ROVESCIO

nemente violare le regole sostanziali e processuali. L’Avvocato quindi non deve e non può essere una «coscienza a noleggio»; non può essere un servitore ossequioso delle altrui aspettative, ma deve scegliere in piena autonomia la condotta più rispondente agli interessi del proprio rappresentato, nel rispetto dei principi dell’ordinamento”.

REMO DANOVI – 2006

* * *

“Il ceto forense non è una qualunque categoria di professionisti. Ha avuto nei secoli dell’Europa moderna un ruolo determinante nel rinnovamento delle idee guida per l’organizzazione della Società e dello Stato”.

FRANCESCO PAOLO CASAVOLA – 2006

* * *

“L’Avvocato, quantunque afflitto da un inarginabile mal di schie-na, si guarderà dal rimanere seduto in qualsiasi momento – a partire dall’implicito omaggio all’Ufficio, reso alzandosi in piedi all’entra-re del giudice o del collegio – l’adempimento delle sue funzioni ne comporterà un intervento attivo nella celebrazione del processo. Si alzerà, dunque, per epsorre tesi, formulare richieste, sollevare ecce-zioni, muovere opposizioni, perorare il caso”.

DOMENICO CARPONI SCHITTAR – 2007

* * *

“La storia millenaria del giurista nelle società occidentali sta a significare come questa professione costituisca una vera e propria di-mensione culturale che è strutturale al pensiero occidentale e quindi non solo insopprimibile ma neppure dissolubile in una gelatinosa e indistinta acculturazione tecnica di supporto al mercato”.

GUIDO ALPA – 2007

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DIRITTO & ROVESCIO

Rovescio

“Non si può dire in verità che nella pubblica opinione la figura dell’Avvocato sia circondata da molta simpatia: poiché colle contu-melie che in prosa e in rima sono state scagliate contro gli Avvocati da che mondo è mondo, si potrebbe comporre una copiosa antolo-gia, in cui sarebbero largamente rappresentate le letterature di tutti i tempi e di tutti i paesi. Bisogna però riconoscere che in questo im-perversare di epiteti ingiuriosi, l’Avvocato è spesso vittima di colpe non sue; la satira popolare, mordace ma semplicistica, ha sempre bisogno di far risalire la responsabilità dei fenomeni sociali, deri-vanti da remote cause collettive, a una determinata persona o a una determinata classe di persone: talché per il popolo, se i giudici sono inesperti o corruttibili, la colpa è degli avvocati; se le formalità pro-cessuali sono piene di complicazioni e di tranelli, la colpa è ancora e sempre degli Avvocati. Il professionista legale è dunque, nella mente dei profani, quasi il genio malefico del mondo giudiziario, dal quale derivano tutte le corruzioni e tutti gli inconvenienti di questo”.

PIERO CLAMANDREI – 1920

* * *

“Un Avvocato stupido è pur sempre un Avvocato, un Avvocato di-sonesto è comunque un Avvocato, un Avvocato senza indipendenza cessa di essere un Avvocato”.

VAN DER LAKEN – 1966

* * *

“L’Avvocato è un visconte dimezzato, pronto a dare un colpo al cerchio, uno alla botte”.

BARENGHI – 1976

* * *

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258 Quaderni

DIRITTO & ROVESCIO

“Effettivamente c’è fra gli Avvocati proprio una mistificazione di valori, per cui non si riuscirebbe a comprendere cosa voglia signifi-care la libertà e l’eguaglianza, loro bastando che sia scritto che tutti sono uguali, Agnelli come il suo operaio, in base a dei falsi valori, a degli alibi, che li fanno passare da una parte all’altra in nome di una astrazione”.

MARCO RAMAT – 1976-1978

* * *

“La professione forense può lasciare il posto a forme di servizio sociale poiché sugli Avvocati e su tutti gli esponenti delle profes-sioni liberali, pesa una realtà in cui l’autonomia del professionista si riduce, mentre cresce la sua dipedenza dai diversi centri di potere economico e politico.

STEFANO RODOTÀ – 1978* * *

“Non vedo perché dobbiamo nasconderci dietro un dito e non dire chiaramente che una delle funzioni dell’Avvocato è di mentire per il suo cliente”.

C. CURTIS – 1995

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

* Avvocato del Foro di Venezia

DOMENICO CARPONI SCHITTAR, Il processo come arte, Giuffré Editore, 2007

di ANTONIO FRANCHINI*

Il libro di Domenico Carponi Schittar «Il processo come arte» co-stituisce certamente il punto di ap-prodo di un percorso professionale maturato nel tempo e fondato sullo studio, sull’esperienza e sulla pas-sione civile.

Credo fosse quasi naturale per Domenico, da sempre profondo e attento studioso delle moderne (per noi) tecniche dell’interrogatorio in-crociato e della psicologia applicata al processo penale, assumere piena consapevolezza che gli strumenti tecnici e lo studio delle norme, della dottrina e della giurisprudenza, collegati gli uni e le altre dall’esperienza della toga di avvocato, non potevano che trovare sintesi, motivazione e sublimazione in una vera e propria arte liberale, una definizione qualitativa del processo pena-le che condivido fino in fondo.

Certo, rispetto alle arti maggiori, delle quali a mio avviso il pro-cesso fa parte, si tratta forse di un’arte più volatile, nel senso che

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

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essa non produce un risultato cromatico, auditivo o visivo fisso e de-finitivo; ma quando essa è il risultato della armonia fra accorgimenti tecnici, saperi e movimenti può raggiungere il risultato esaltante di rispondere alla domanda di «giustizia», valore condiviso ma spesso sfuggente e questa arte trova il proprio mirabile equilibrio nella sen-tenza, che costituisce il risultato della attività intellettuale che sem-pre sostanzia ogni arte liberale.

La grande intuizione ed il grande merito di Domenico Carponi Schittar è di aver saputo comunicare con una prosa, colta, ricca e suadente questi concetti ordinati in un discorso organico di grande impatto e suggestione.

Il libro è tutto interessante e si legge d’un fiato (secondo la mia opinione non solo da parte degli addetti), ma ho trovato assoluta-mente straordinaria la prima parte intitolata «la teoria» perché da essa emergono con vera forza evocativa alcuni principi che ritengo fondanti per la professione dell’avvocato e profondamente didattici per la comunità dei giuristi e per i cittadini.

In primo luogo, ne esce a tutto tondo, la figura dell’avvocato (for-se del giurista) come ultimo umanista, centro motore in senso cinque-centesco di una attività interdisciplinare, mediatore e comunicatore di diversi saperi che riesce ad accentrare in sé ed a traslare ad altri con una comunicazione informata; in una società di attività specializzate, domi-nata dai saperi scientifici, che a propria volta sono ormai organizzati in sottosaperi, la figura dell’avvocato è una figura unica, come l’uomo di Leonardo, al centro delle conoscenze, capace di una sintesi umanistica di esse attraverso la parola, miracolo in grado di raggiungere mirabili ri-sultati. Da Gorgia «La parola è un gran dominatore che, con un cor-po piccolissimo e invisibile, è capace di compiere imprese divine».

Questa dunque è un’arte, forse l’unica in grado non solo di suscita-re emozione ed introspezione, ma anche di garantire il sogno di ogni società organizzata: la persuasione come componente prodromica e fondamentale della giustizia (non credo della giustizia divina).

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

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Queste osservazioni, a mio giudizio costituiscono un fiume car-sico che scorre in tutte le pagine del libro di Carponi Schittar e che ogni tanto emerge alla luce con forza ribollente.

Il secondo principio che emerge chiaro dalla lettura del libro e che denota quella che all’inizio di questa presentazione chiamavo pas-sione civile, è la configurazione del processo penale come conflitto fra autorità e libertà, fra Stato autorità e diritti civili.

Al termine di un lungo percorso di esercizio dell’avvocatura, che ha accompagnato ed incarnato la vita individuale, familiare e socia-le, si è radicata fortemente la mia consapevolezza che i concetti di giustizia e relatività, sono quasi sinonimi, nel senso che la giustizia persegue l’obiettivo limitato di una verità «costruita» da un accu-satore e da un difensore da diversi punti di vista senza pretese di assolutezza, cosicché il modello anglosassone del processo di parti è senz’altro quello che rispecchia meglio di ogni altro la realtà della condizione umana, relativa per definizione in quanto effimera.

Questa consapevolezza ha forse ridimensionato tanti entusiasmi della mia giovinezza che perseguivano un concetto di giustizia come valore assoluto, entusiasmi che si accendevano e mi accendevano mentre ascoltavo le lezioni sulla giustizia di Enrico Opocher, filoso-fo del diritto, nel magnifico edificio trecentesco del Bò di Padova; tuttavia essa mi ha fatto anche comprendere che il vero importante valore consiste nella tutela dei diritti civili, nello schierarsi nel con-flitto perenne fra autorità e libertà dalla parte di chi esercita il pro-prio inviolabile diritto alla difesa e che il processo accusatorio è lo strumento migliore, anche se solo uno strumento, per la salvaguardia dello spazio di libertà di un popolo.

A ben vedere la piccola storia della nostra vita e della nostra pro-fessione è una storia di lotta per la espansione e affermazione dei diritti civili.

Questa cultura l’ho ritrovata nelle pagine scritte da Domenico, con il rimpianto più volte da lui manifestato che la consapevolezza

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

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di questo valore della toga dell’avvocato, risulta sempre più spes-so mortificata dal «costume» degenerativo che ritroviamo nelle aule giudiziarie ogni giorno: vestiti, atteggiamenti, stanchi riti, perdita di dignità e di valori.

Quello che osserva Carponi Schittar penso sia purtroppo del tutto vero.

Penso anche che la ragione riposi in un fatto generazionale: chi non ha vissuto il sanguinosissimo secolo passato, chi non ha cono-sciuto o studiato i regimi dittatoriali di destra e di sinistra, chi è abituato alla libertà ed ai diritti civili, che non ha conquistato ma dei quali usu-fruisce come un fatto consolidato, difficilmente riesce a comprendere fino in fondo l’importanza della toga dell’avvocato ed i valori radicati nella Costituzione Repubblicana che essa è chiamata a difendere.

Verrebbe da osservare che se questi sono i tempi, tanto peggio per i tempi!

Ma il libro di Carponi Schittar costituisce, invece, un sussulto di orgoglio della professione di avvocato che può servire da prezioso ammaestramento per tanti giovani giuristi che vivono l’avvocatura come una mera occasione di occupazione, di guadagno, di scalata sociale, senza ideali e, spesso, purtroppo, senza idee.

Forse Carponi Schittar, non se ne rende neppure conto, ma dal suo libro quella che emerge come figura centrale, depositaria del-l’arte del processo, è quella dell’Avvocato, l’uomo solo che al centro dell’aula del processo di Norimberga ai criminali nazisti, li difende al meglio della propria capacità e della propria arte.

La grandezza dello stato liberale-democratico è, infatti, quella di con-sentire agli avvocati nelle aule di giustizia di difendere i cittadini e tute-lare i loro diritti contro se stesso nella forma di Stato-amministrazione.

Se le giovani generazioni di avvocati assumeranno consapevolez-za dell’importanza di questa investitura, resta una speranza.

Se, invece, seguiranno le moderne tendenze «globaliste», allora tutto è perduto.

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Infatti, sotto le mentite spoglie della liberalizzazione, e del favore alla concorrenza è in corso un movimento massiccio per costruire nuove allocazioni del potere economico, sociale e professionale.

Allocazioni che vogliono accrescere le rendite di posizione di for-ti centri di potere presenti nella società civile, banche, assicurazio-ni, società di revisione, società di distribuzione di beni e di servizi, sindacati padronali e di lavoratori, associazioni ambientaliste e dei consumatori.

Questi organismi intendono rappresentare direttamente, senza la mediazione degli avvocati, interessi diffusi, sostituendosi a loro, per quanto possibile, e, in ogni caso, sottraendo loro autonomia e indi-pendenza.

L’obiettivo è trasformarli in lavoratori parasubordinati, che sup-portino i costi e i rischi della libera professione, ma svolgano l’atti-vità di consulenza legale e di difesa nel processo sotto la direzione e il controllo di chi gestisce rigidamente i flussi di clientela e stabilisce le condizioni della prestazione lavorativa.

Il libro di Carponi Schittar traccia una strada diversa, segnata in-sieme dalla tradizione e dalla modernità.

Fa comprendere fino in fondo che il compito dell’avvocato è fon-damentale perché la vita sociale divenga migliore, da peggiore che sia, secondo un processo di continuo incivilimento, in cui l’avvocato è pilastro essenziale, che corregge le storture e cura le ferite sempre nuove che l’ingiustizia reca ai componenti, soprattutto ai più poveri, della società civile.

Dal libro, infine, emerge la figura dell’avvocato disegnata da Do-menico Carponi Schittar: come dicevo, un avvocato moderno, ma insieme antico.

Carponi Schittar si iscrive con la sua opera a pieno titolo nel solco della luminosa e prestigiosa tradizione del Foro veneziano e veneto.

Infatti egli ha rielaborato quella tradizione senza fratture, passan-do da una concezione del processo penale che vedeva l’avvocato

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come spettatore e garante, ad un processo penale tendenzialmente accusatorio che vede l’avvocato come attore dinamico, propositivo e nuovamente garante, con grande intelligenza, preservando i valori di quella tradizione ed inserendoli nella dinamica del processo dei no-stri giorni: anche questa è una operazione culturale ed intellettuale, insomma un’arte del processo.

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MICHELE LEONI, Il tempo degli innocenti, Foschi Editore, 2006

di AUGUSTO CONTE

Il sottotitolo dell’opera è “Una sto-ria giudiziaria” riguardante l’accusa a carico di due giovani dell’omicidio di un Vigile Urbano, avvenuto in un piccolo centro, del tutto inspiegabi-le (e rimasto inspiegato), in quanto l’esile movente, non riscontrato, del richiamo ai giovani, appassionati conducenti di rumorose motociclette, quali disturbatori della quiete pubbli-ca, non giustifica il grave reato.

La testimonianza, riferita come oculare, resa da un singolare anzia-no soggetto, e il rinvenimento di due fucili presso le abitazioni dei giovani ne giustificano l’arresto.

Michele Leoni, come di consueto compie una approfondita inda-gine sulla condizione dei due giovani, strappati a una vita “normale”, in attesa di giudizio, sulla graduale presa di coscienza che il processo non sarà celebrato a breve e sulla integrazione nel regime carcera-rio, con tutti i risvolti di malessere fisico e psicologico che lo stesso comporta.

Il compito di partecipare ai giovani i risultati delle indagini, le delusioni delle aspettative di esito positivo della istruttoria, la ine-luttabilità di attendere il processo in stato di detenzione è affidato al loro difensore, professionista concreto e attendibile, al quale viene affidata la difesa di entrambi.

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La narrazione dello svolgimento del processo offre momenti di grande intensità, sia durante la fase della istruttoria dibattimentale, con l’esame dell’unico testimone, sia nel corso dello svolgimento di un esperimento giudiziario, disposto dalla Corte di Assise con sollievo di imputati e difensore, volto ad accertare la possibilità di “inspicere” sul luogo del delitto dalla terrazza della abitazione del testimone, che nell’attesa della sentenza e alla lettura della decisione assolutoria.

Che non ripagherà gli imputati della esperienza carceraria protrat-tasi per due anni.

Leoni, come afferma nella prefazione, volge lo sguardo oltre il caso giudiziario (che appare come ripreso dalla realtà) per spingere lo sguardo verso la funzione della giustizia e della pena, oltre che della realtà carceraria, soprattutto nella fase preventiva.

Sono gli interrogativi più tormentati nella storia del diritto che più volte hanno espresso il concetto che lo stesso giudizio è sofferenza.

Ha scritto Salvatore Satta, ne “Il Mistero del processo” (Leoni non si dispiacerà dell’accostamento!): “Si direbbe anzi che tutta la pena è nel giudizio (si pensi al termine giustiziare). Chiovenda ha parlato del processo come fonte autonoma di beni: si potrebbe con più realismo parlare del processo come fonte autonoma di mali: e Carnelutti mi pare che nella sua possente intuizione lo abbia visto quando ha parlato di risoluzione della pena nel processo, fino a trar-ne la sconcertante conseguenza che la sentenza di assoluzione è la confessione di un errore giudiziario... e il vero innocente non è colui che viene assolto, bensì colui che passa nella vita senza giudizio... Il giudizio è una pena, è la sola vera pena”.

Avverto la necessità di un “pubblico” ringraziamento a Michele Leoni; l’occasionale rinvenimento del suo “Giudice per nessuno”, già commentato in questa rubrica, ha generato un “collegamento” letterario-forense di profondo spessore culturale, come evidenzia la lettera del Giudice Michele Leoni, che ho il privilegio di avere rice-vuto, pubblicata di seguito a questa breve nota di recensione.

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SAGGISTICA E NARRATIVA FORENSE

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Forlì, 5 marzo 2007

Gentile Presidente

è stata per me una lietissima sorpresa ricevere la Sua recensione del mio “Giudice per nessuno”.

La ringrazio di cuore per avere “resuscitato” questo libro, che, se mi ha dato la soddisfazione di lasciare una testimonianza della mia esperienza, nello stesso tempo è stato anche fonte di rammarico.

Come ogni aspirante scrittore, infatti, lo proposi a vari editori. L’unico a rispondermi positivamente in un tempo ragionevole fu Pu-bliprint, giovane casa editrice all’epoca distribuita da Rizzoli. Pur-troppo, subito dopo la pubblicazione, Publiprint entrò in una crisi irreversibile, fu sottoposta a liquidazione coatta amministrativa e si estinse. Il libro non fu in pratica distribuito. Poco dopo la pubblica-zione ricevetti la risposta positiva di Sellerio. Peccato.

La ringrazio anche perché è riuscito, nel breve spazio di una re-censione, a interpretare alla perfezione quella personalissima sensa-zione di smarrimento che fu alla base del libro. Percepire di nuovo, dalle parole di un’altra persona e a distanza di vent’anni, questa at-mosfera, è stata una vera emozione.

Attualmente sono GIP/GUP al tribunale di Forlì. In questi anni, tuttavia, mi sono cimentato ancora con la narrativa, sempre allo sco-po di rielaborare esperienze e sentimenti che la professione mi ha procurato.

Anche per ringraziarLa ulteriormente dell’attenzione che mi ha riservato, Le invio il frutto di questi tentativi, una raccolta di rac-conti (“Storie di amore e di disordine”) e due romanzi (“Una mo-glie chiamata madre” e “Il tempo degli innocenti”). Questi ultimi appartengono al genere che preferisco, il romanzo psicologico nella

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cornice giudiziaria. Forse rientrano, per usare la felice definizione che ho trovato nei vostri pregevolissimi “Quaderni”, nella narrativa forense.

Le faccio anche i miei complimenti per i “Quaderni”, che mi sem-bra rispondano alla irrinunciabile necessità di umanizzare il conte-sto, purtroppo sempre più spersonalizzante e frenetico, delle attività giudiziarie e forensi, e mantenere aperta una finestra sulla riflessione culturale che da esso deve invece derivare

Di nuovo, sinceramente

MICHELE LEONI

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SANTE CONVERTINI, La bimba di tutti, Schena Editore, 2006

di AUGUSTO CONTE

Il protagonista della vicenda giu-diziaria, Maresciallo dei Carabinieri presso una Stazione dell’Italia meri-dionale, come l’autore, non ha i carat-teri tradizionali del Milite dell’Arma descritti da Mario Soldati o interpre-tati nella cinematografia e nelle serie televisive; informale nei rapporti con inquisiti e superiore, spregiudicato nei metodi di indagine, appare più vicino al Commissario Montalbano, anche per essere del tutto refrattario a mettere a parte delle sue indagini i capi, propensi più a curare l’immagi-ne che l’importanza sostanziale dei risultati.

Al risultato, e non alla forma, mira anche un magistrato-donna di Procura, complice del Maresciallo nel tenere riservate le indagini svolte dal Maresciallo, dando poi lo spunto al superiore di ritenerle frutto della sua intuizione investigativa.

Un “normale” caso di dispersione scolastica inducono il Mare-sciallo, all’inizio quasi controvoglia, ma nel corso delle investiga-zioni con sempre maggiore passione e indignazione, ad approfondire le ragioni dell’evasione, portandolo a scoprire che una bambina di dodici anni (il tredicesimo lo festeggia in caserma) è divenuta l’og-getto del desiderio di tre insospettabili.

L’obiettivo di trovare le prove a carico dei tre soggetti, cui ha fatto riferimento la “bimba”, è raggiunto non attraverso canoni in-

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vestigativi tradizionali o moderni (nessuna ricerca di testimonianze o di richiesta di intercettazioni), ma attraverso stratagemmi volti a rendere sostenibili e credibili le dichiarazioni accusatorie, ottenute nel corso di un incontro con la “bimba” in libera uscita in una città del Nord ove è ospite in un Istituto.

Il caso non appare come un episodio di pedofilia collettiva: la “bimba” infatti è più “matura” della sua età e si concede per merce-de; del resto tutto è chiaro nel finale quando il Maresciallo, questa volta casualmente, essendo stato chiamato a sventare un tentativo di furto, scopre la bimba con il suo “fidanzato” in intimità, e pur nella consapevolezza che questa volta si tratti di un atto, prematuro, di amore, è “costretto” ad arrestare il giovane.

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RICORDI

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RICORDI

* Presidente della Camera Penale di Brindisi.

Il cuore ha tradito un uomo buo-no e mite, un amico sincero, un avvocato serio, preparato e riserva-to, come gli avvocati di una volta, quelli che non promettevano ai pro-pri assistiti successi strepitosi ma garantivano invece una difesa effi-cace, puntigliosa ed ineccepibile.

Se ne è andato in una bella gior-nata, una di quelle che Lui tanto vo-lentieri avrebbe dedicato alla sua pas-sione, la caccia, lasciando un vuoto ed un senso di amarezza che sempre accompagnava un addio prematuro; a me mancherà un amico ed un confidente, al nostro Foro un avvo-cato signore e gentiluomo, che mai ha pronunciato una parola sopra le righe, mai ha alzato la voce, ma ha fatto valere ragioni ed argo-menti che non fossero squisitamente tecnici, e comunque, sempre con estremo garbo.

Lorenzo era giovane e pur quasi antico e superato, nel senso che queste sue doti sembravano purtroppo oramai più un fardello che quel-

Lorenzo Lucisanidi GIANCARLO CAMASSA*

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le splendide qualità quali invece erano, qualità che invece andavano e vanno additate quale esempio a chiunque voglia svolgere la nostra funzione con serenità, rigore, puntigliosità ed estrema dignità.

Il dolore della Tua famiglia, di don Mario, di Emilio e del Tuo amatissimo Antonello è il nostro dolore.

Ci mancherai.