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LA PROVA PER TESTIMONI Relatore: Dott. Paolo CORDER Giudice del Tribunale di Venezia A) Come deve essere dedotta la prova testimoniale? – ammissibilità e rilevanza della prova testimoniale; – deduzione per fatti specifici; – prova diretta e contraria, – prova dei fatti negativi; – prova a conte- nuto tecnico; – divieti probatori. Come è noto, la prima norma di riferimento è l’art. 244 c.p.c., il quale recita: “La prova per testimoni deve essere dedotta mediante indi- cazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati per articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata”. Alla parte che intende presentare al giudice un’istanza di prova testimoniale viene dunque imposto, innanzitutto, l’onere relativo all’“indicazione specifica... dei fatti, formulati in articoli separati”, sui quali debbono essere sentiti i testimoni. Un tale onere viene imposto per due ordini di ragioni: a) consenti- re alle controparti di preparare un’adeguata difesa e di articolare, se ne- cessario, prova contraria; b) permettere al giudice di esprimere il giu- dizio di rilevanza e ammissibilità (Cass. n. 4056/89; Cass. n. 1938/87), oggi richiesto espressamente dal nuovo testo dell’art. 184 c.p.c.. Le due descritte finalità rappresentano, evidentemente, i parame- tri sui quali graduare le valutazioni sul rispetto del requisito della spe- cificità dei fatti dedotti in via istruttoria. Le linee guida possono essere compendiate nel seguente modo: 1) i fatti debbono essere sintetizzati nelle loro modalità essenziali di tempo, luogo e svolgimento; 2) i fatti debbono essere esposti in modo idoneo a confortare, se confermati, la tesi difensiva del deducente; 3) i fatti debbono essere descritti in maniera tale da consentire alla con- troparte di dedurre prova contraria sul punto (Cass. n. 3635/89; Cass. 3728/87; Cass. n. 2814/86). Si possono fare alcuni esempi concreti. 1) Se la prova ha ad oggetto il rilascio, ad opera di una certa per- 99 N. 108/impag. 9-140 13-10-1999 8:31 Pagina 99

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Diritto

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LA PROVA PER TESTIMONI

Relatore:

Dott. Paolo CORDERGiudice del Tribunale di Venezia

– A) Come deve essere dedotta la prova testimoniale? – ammissibilità erilevanza della prova testimoniale; – deduzione per fatti specifici; –prova diretta e contraria, – prova dei fatti negativi; – prova a conte-nuto tecnico; – divieti probatori.

Come è noto, la prima norma di riferimento è l’art. 244 c.p.c., ilquale recita: “La prova per testimoni deve essere dedotta mediante indi-cazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati perarticoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata”.

Alla parte che intende presentare al giudice un’istanza di provatestimoniale viene dunque imposto, innanzitutto, l’onere relativoall’“indicazione specifica... dei fatti, formulati in articoli separati”,sui quali debbono essere sentiti i testimoni.

Un tale onere viene imposto per due ordini di ragioni: a) consenti-re alle controparti di preparare un’adeguata difesa e di articolare, se ne-cessario, prova contraria; b) permettere al giudice di esprimere il giu-dizio di rilevanza e ammissibilità (Cass. n. 4056/89; Cass. n. 1938/87),oggi richiesto espressamente dal nuovo testo dell’art. 184 c.p.c..

Le due descritte finalità rappresentano, evidentemente, i parame-tri sui quali graduare le valutazioni sul rispetto del requisito della spe-cificità dei fatti dedotti in via istruttoria.

Le linee guida possono essere compendiate nel seguente modo: 1)i fatti debbono essere sintetizzati nelle loro modalità essenziali ditempo, luogo e svolgimento; 2) i fatti debbono essere esposti in modoidoneo a confortare, se confermati, la tesi difensiva del deducente; 3)i fatti debbono essere descritti in maniera tale da consentire alla con-troparte di dedurre prova contraria sul punto (Cass. n. 3635/89; Cass.3728/87; Cass. n. 2814/86).

Si possono fare alcuni esempi concreti.

1) Se la prova ha ad oggetto il rilascio, ad opera di una certa per-

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sona, di un determinato documento già prodotto in giudizio, non sirichiede che il capitolo di prova contenga la trascrizione del contenu-to del documento stesso, essendo sufficiente la semplice indicazionedella data del documento o del numero di produzione, a meno chedagli atti o dalle allegazioni delle parti non risulti che quella persona,in quella data, abbia rilasciato più documenti (Cass. n. 143/85). Qua-lora, invece, la prova testimoniale riguardi la ricostruzione del conte-nuto del documento, il capitolo dovrà essere più particolareggiato(Cass. n. 2240/66).

2) In tema di vizi della cosa venduta:

– “vero che la gru fornita dalla ditta Alfa presentava vizi e difetti talida rendere impossibile il suo utilizzo”. Trattasi senza dubbio di capito-lo inammissibile in quanto troppo generico e non rispondente ai cri-teri di specificità sopra evidenziati. In particolare, esso non mettereb-be in grado la controparte di dedurre la prova contraria;

– qualche dubbio può invece sorgere circa l’ammissibilità o menodi un capitolo di prova di tal genere: “Vero che la gru fornita dalla dittaAlfa presentava i vizi e i difetti indicati nella parte motiva dell’atto di cita-zione, tali da renderla inidonea all’uso”. Con ogni probabilità, la solu-zione dipende dal maggiore o minore grado di specificità del richiamocontenuto nel capitolo e dalla maggiore o minore chiarezza espositivanella parte motiva richiamata. In ogni caso, si debbono avere ben pre-senti le ragioni, sopra indicate, poste a fondamento del requisito dellaspecificità degli atti;

– certamente ammissibile è il capitolo di prova del seguente con-tenuto: “vero che la gru fornita dalla ditta Alfa aveva uno dei due brac-ci, ed in particolare quello di sinistra, di lunghezza inferiore a quello didestra, di talché essa, nell’effettuare la manovra di sollevamento di merci,iniziava a oscillare pericolosamente”.

3) In tema di annullabilità del negozio per violenza o dolo, è suf-ficiente che il capitolo di prova sia ricostruito in tal modo: “vero che indata 22 aprile 1988 Tizio ha sottoscritto il contratto de quo sotto la pres-sione della violenza e della minaccia da parte di Caio”, o è necessarioche nel capitolo venga descritto il comportamento tenuto da Caio evengano riportate le frasi eventualmente pronunciate da quest’ultimo?

Continuando in tema di valutazione sul requisito di specificità, sisuole affermare che il teste deve riferire su fatti ma non può formula-re giudizi su di essi (v. ad esempio nel processo penale la disposizionedi cui all’art. 194 terzo comma c.p.p. che vieta al teste di esprimere

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apprezzamenti personali, “salvo che sia impossibile scinderli dalladeposizione sui fatti”).

Pertanto, non possono essere ammessi, in quanto non aventi adoggetto fatti specifici, i capitoli di prova diretti ad ottenere dal teste unmero giudizio, privo cioè di riferimenti concreti e appigli obiettivi(Cass. n. 4111/95; Cass. n. 1173/94). E una siffatta prova testimonialeè stata ritenuta inammissibile anche a prescindere dalla eccezione diparte, giacché la dichiarazione del teste sarebbe comunque inutilizza-bile a fini probatori (Cass. n. 8620/96). Ciò non toglie, tuttavia, che alteste sia consentito di esprimere il suo convincimento derivatogli dallapercezione diretta del fatto (Cass. n. 2270/98).

Il giudizio sulla specificità dei fatti dedotti nei capitoli di prova,così come quello sulla rilevanza, va condotto sulla base della loro for-mulazione letterale e facendo riferimento agli altri atti del procedi-mento, alle altre deduzioni delle parti e alla facoltà del giudice di chie-dere chiarimenti (Cass. n. 10272/95); e non già in relazione alla pro-spettiva di eventuali domande integrative, diverse dai semplici chiari-menti, da porre al teste, in modo tale da supplire alle deficienze con-tenutistiche della prova dedotta (Cass. 1312/90).

Tale giudizio costituisce un apprezzamento riservato al giudice dimerito e se è sorretto da una motivazione congrua ed esente da vizilogici o giuridici, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. n.2759/75; Cass. n. 1775/75; Cass. n. 1753/73). E comunque, il giudizioin questione è insindacabile in sede di legittimità purché congrua-mente motivato (Cass. n. 1523/97).

Di regola, il giudice non potrà, tuttavia, respingere l’istanza diprova per testi limitandosi ad osservare apoditticamente che i fattinon sono stati indicati in modo specifico, ma dovrà dar conto delleragioni per le quali quei fatti, così come dedotti, anche se provati, nonpotranno condurre all’accoglimento della tesi difensiva dell’istante(Cass. n. 2435/90; Cass. n. 598/75).

Quali sono le conseguenze di una omessa specificazione deifatti dedotti nei capitoli di prova?

Si sono formati, a tal proposito, due orientamenti.Il primo, muovendo dal carattere cogente della norma in esame,

sostiene che la sua inosservanza è rilevabile d’ufficio e determina l’i-nammissibilità della prova dedotta. A sostegno di tale indirizzo si fa’notare come la mancata specificazione dei fatti impedisca al giudicedi apprezzare se il mezzo istruttorio sia concludente e pertinente. Diconseguenza, essendo affidata al giudice la direzione del procedimen-to, egli deve esercitare tutti i poteri volti alla sollecita definizione dello

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stesso (art. 175 c.p.c.), tra i quali quello avente come scopo l’impedi-mento allo svolgimento di attività istruttoria superflua (cfr. Cass. n.2435/90; Cass. n. 2231/80). A corollario di tale ordine di principi, siafferma che se la prova viene erroneamente ammessa ed espletata,essa va considerata invalida e il giudice non potrà tenerla in alcunconto (cfr. Cass. n. 3589/59).

L’indirizzo prevalente, invece, ritenendo che le formalità di de-duzione della prova stabilite dall’art. 244 c.p.c. non trovino fonda-mento in un principio di ordine pubblico, bensì siano essenzialmenteposte a tutela dell’interesse delle parti, esclude la rilevabilità d’ufficiodei vizi di formulazione della prova per testi, attribuendo alla parteinteressata l’onere di far valere eventuali nullità (art. 157 c.p.c. – Cass.n. 264/97). L’inerzia di quest’ultima equivale ad acquiescenza, la qualeprovoca la definitiva sanatoria e l’impossibilità di un successivo rilie-vo in sede di impugnazione (Cass. n. 6396/79; Cass. 2662/78; Cass. n.3039/76).

La parte interessata ha l’onere di opporsi alla ammissione dellaprova per omessa specificazione dei fatti prima che questa sia esple-tata, altrimenti si verifica una rinuncia tacita all’eccezione di nullità,la quale rimane così definitivamente sanata (cfr. Cass. n. 684/92; Cass.n. 446/76).

Va poi rilevato che la sanatoria per acquiescenza (Cass. n.1864/95) si può realizzare anche quando la parte interessata non sol-levi l’eccezione di nullità della prova nella prima istanza o difesa suc-cessiva all’espletamento della prova o della notizia di essa (Cass. n.3693/95; Cass. n. 13011/93), ovvero allorché la stessa parte non ripro-ponga l’eccezione in sede di conclusioni definitive (Cass. n. 5008/78).

Infine, va aggiunto che nell’ipotesi in cui, per qualche ragione, laprova testimoniale sia stata estesa a fatti non compresi nei capitoliammessi, in assenza di tempestiva e reiterata eccezione di parte, ilvizio è sanato.

A questo punto, è bene rammentare che le forme di sanatoria peracquiescenza, conseguenti alla omessa eccezione della parte interes-sata, riguardano unicamente le eccezioni sollevabili ex art. 244 c.p.c. enon, di regola, quelle ricavabili dai divieti probatori di cui agli artt.2721 e ss. c.c. (Cass. n. 2101/97).

In sede di impugnazione l’introduzione della nuova formulazio-ne dell’art. 345 c.p.c. ha modificato la situazione precedente caratte-rizzata sostanzialmente da due indirizzi: il primo, più restrittivo,sosteneva che una volta che la prova per testi era stata giudicata dalgiudice di primo grado inammissibile perché formulata in modo gene-

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rico, il giudice d’appello doveva limitarsi a sindacare la correttezza ditale giudizio e ad ammettere la prova qualora ravvisasse dei vizi sulpunto della pronuncia impugnata, escludendo, tuttavia, la possibilitàdi ammettere la stessa prova dopo una sua nuova formulazione piùspecifica dedotta in sede di gravame (Cass. n. 8466/92; 3815/86).

Il secondo orientamento, invece, prendendo le mosse dal requisi-to della novità insito nella formulazione specifica eventualmentededotta dalla parte in secondo grado, ammetteva la prova per testiricapitolata in modo specifico in sede di gravame, nonostante la stes-sa fosse stata dichiarata inammissibile nel precedente grado di giudi-zio per genericità della formulazione (Cass. n. 9204/92). Tutto ciò acondizione che la parte, nel frattempo, non fosse incorsa in qualchedecadenza definitiva, tipo quelle di cui all’art. 244 terzo comma oall’art. 104 disp. att. c.p.c., ovvero che la stessa non avesse violato ilprincipio di unità della prova sancito dal secondo comma del medesi-mo articolo 244 (Cass. n. 5003/93; Cass. n. 5620/89).

Con la nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c. (simile a quelladell’art. 437 c.p.c. in tema di rito del lavoro), evidentemente, è statarovesciata la regola precedente sancendo l’inammissibilità di nuoveprove, con il temperamento della indispensabilità o della non propo-sizione in primo grado per causa non imputabile alla parte. E’ dunquepossibile che il descritto contrasto giurisprudenziale venga a cessare,in quanto tutto si dovrà incentrare sul carattere indispensabile dellaprova, con la conseguenza che se il capitolato è stato dichiarato inam-missibile per la genericità della formulazione il giudice di appellopotrà ammettere una nuova formulazione più specifica dedotta insede di gravame solamente quando la prova si appalesi indispensabileai fini della decisione, a meno che non si ritenga, tornando al prece-dente contrasto, che una tale prova non sia nuova e quindi non sipossa verificare su di essa il requisito della indispensabilità.

L’altro onere posto a carico della parte istante è quello relativoall’indicazione delle persone da interrogare.

Tale requisito risponde a molteplici esigenze: a) consente al giudi-ce di ridurre le liste sovrabbondanti e di eliminare i testi la cui depo-sizione è vietata dalla legge (art. 245 c.p.c.); b) pone in condizione lacontroparte di eccepire eventuali incapacità o inattendibilità del teste;c) concede ai testi la possibilità di venire a conoscenza delle circo-stanze sulle quali saranno chiamati a rispondere, al fine di far valereeventuali motivi di astensione.

Venendo al contenuto del requisito in esame, va detto che si ritie-ne sufficiente l’indicazione del nome e del cognome del teste. Non si

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richiede necessariamente anche l’indicazione della residenza (a talriguardo, la Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 75 del 1993, hadichiarato manifestamente infondata la questione sollevata dal Giudi-ce Conciliatore di Robbio, il quale, sul presupposto di una violazionedell’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei dirittidell’uomo e delle libertà fondamentali, adottata dall’Italia con legge848/55, aveva dubitato della costituzionalità dell’art. 244 c.p.c. nellaparte in cui non prescrive alla parte intimante l’indicazione della resi-denza del teste, impedendo in tal modo, ad avviso del giudice a quo,alla parte avversaria la convocazione degli stessi testi a prova contra-ria. La Corte si è limitata a richiamare il proprio indirizzo interpreta-tivo che esclude le norme internazionali pattizie, ancorché generali,dall’ambito normativo dell’art. 10 Cost.).

Ciò premesso, ci si deve quindi chiedere se siano o meno rituali leindicazioni, quali “legale rappresentante della società …; titolare dellacarrozzeria… ecc..

Volendo superare rigidi formalismi, si potrebbero ritenere ritualile suddette indicazioni laddove esse possano essere integrate aliundeo, comunque, ogniqualvolta soddisfino le esigenze poste a fondamen-to dell’onere di indicare la generalità dei testi, sopra richiamate. Inol-tre, non è necessario che la parte precisi su quali capitoli i singoli testidebbono essere interrogati. In mancanza, ciascuno di loro può esseresentito su tutti i capitoli ammessi.

Qualora la parte colleghi determinati testi a determinati capitolie poi li elenchi nuovamente tutti alla fine della memoria istruttoriapuò sorgere la questione su quale delle due formulazioni prevalga sul-l’altra.

In tema di indicazione delle persone da interrogare, va segnalata,con riguardo al rito del lavoro, la sentenza della Corte di Cassazionen. 4716/89, la quale ha affermato che la omessa indicazione dei testinel ricorso introduttivo ex art. 414 c.p.c. determina una mera irrego-larità che può essere sanata attraverso il ricorso al potere-dovere delgiudice previsto dall’art. 244 terzo comma c.p.c., in quanto applicabi-le al processo del lavoro, e non una decadenza insuperabile (cfr. ancheCass. n. 4797/78).

Tale orientamento giurisprudenziale, tendente per certi versi asuperare l’atteggiamento del legislatore nella disciplina dei limitisostanziali e processuali della prova per testi indirizzato in senso for-temente formalistico, non è univoco. In senso contrario, ovverosia nelsenso della irrimediabile decadenza dalla prova per testi in caso diomessa indicazione delle persone da interrogare in sede di atto intro-

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duttivo, si è più volte espressa la stessa Corte di Cassazione: n.4896/81; 4638/85; 3903/88.

A dirimere il descritto contrasto giurisprudenziale è giunta, direcente, la sentenza delle Sezioni Unite Civili n. 262 del 1997, laquale ha preferito seguire l’opzione ermeneutica meno restrittiva, san-cendo, appunto, che l’omessa indicazione, nel ricorso introduttivo diun procedimento soggetto al rito del lavoro, della generalità delle per-sone da interrogare concreta mera irregolarità e non comporta deca-denza. Di conseguenza, il giudice di primo grado, ove ritenga il mezzoistruttorio pertinente e rilevante, deve indicare alla parte tale irregola-rità assegnandole termine perentorio per provvedere a sanarla, men-tre il giudice del gravame, davanti al quale venga lamentata l’illegitti-ma decadenza dalla richiesta istruttoria, qualora riscontri la sussi-stenza del vizio, deve trattenere la causa e decidere sull’istanza, am-mettendo e assumendo eventualmente la prova, previa assegnazionedel termine perentorio per l’indicazione dei testi nel caso in cui la par-te non vi avesse già provveduto anticipatamente.

Le Sezioni Unite, dapprima, hanno analizzato le argomentazionisvolte a supporto dei due indirizzi in conflitto:

– quello più restrittivo: 1) la decadenza comminata dall’art. 416terzo comma c.p.c. in danno del convenuto deve valere anche per l’at-tore, pena la violazione dell’art. 3 Cost.; 2) l’utilizzazione, da parte delgiudice, del potere istruttorio d’ufficio previsto dall’art. 421 secondocomma c.p.c. non può essere invocato dalla parte decaduta dalla pro-posizione del mezzo istruttorio; 3) nell’indicazione dei mezzi di provava ricompresa anche l’indicazione dei testi, come prescritto dall’art.244 c.p.c., applicabile al rito del lavoro, 4) l’ammissione tardiva ditestimoni è ammessa solo per gravi motivi ex art. 420 c.p.c., comun-que dietro autorizzazione del giudice; 5) la possibilità per la parte diintegrare le istanze istruttorie con l’indicazione dei testi risulta incon-ciliabile con la finalità di conferire al rito del lavoro i tratti propri del-l’immediatezza e della concentrazione;

– quello meno restrittivo: 1) i mezzi di prova di cui all’art. 414 c.p.c.si devono intendere sotto il profilo squisitamente oggettivo, con esclu-sione quindi dei soggetti da interrogare; 2) il terzo comma dell’art. 244c.p.c. non è incompatibile con il rito del lavoro; 3) la facoltà di inte-grare la richiesta istruttoria non mette a repentaglio i principi diimmediatezza e concentrazione tipici del rito del lavoro, atteso che giànell’art. 420 c.p.c. sono previsti differimenti motivati dell’udienza diassunzione della prova o di discussione; 4) il potere del giudice di

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disporre d’ufficio mezzi di prova ex art. 421 secondo comma com-prende anche, come minus, quello di autorizzare l’indicazione tardivadelle persone da interrogare.

La Corte ha poi giustificato la scelta operata sostanzialmente sullascorta delle seguenti considerazioni:

A) vi è netta differenza tra il caso in cui la parte non deduca alcunmezzo di prova e quello in cui essa si limiti a non indicare le personeda interrogare;

B) il potere-dovere del giudice previsto dall’art. 421 c.p.c. vieneappunto a completare le irregolarita commesse dalle parti;

C) nel rito del lavoro, dati gli interessi in gioco, si fa più pregnan-te l’intervento officioso del giudice rispetto all’applicazione del princi-pio dispositivo;

D) l’esercizio del potere-dovere del giudice avviene comunque nelpieno rispetto del principio del contraddittorio;

E) il rimedio della lacuna formale è tutto interno al sistema delrito del lavoro (art. 421 c.p.c.), senza che sia necessario scomodarel’art. 244 c.p.c..

C’è da chiedersi, a questo punto, se oggi la descritta impostazionenon sia per caso foriera di maggiori problemi, alla luce dell’intervenu-ta abrogazione dei due ultimi commi dell’art. 244 c.p.c.. In definitiva,nel rito ordinario le preclusioni istruttorie scattano in maniera rigoro-sa ex art. 184 c.p.c., senza alcuna possibilità di integrazione su ordinedel giudice (salvo ovviamente l’art. 184-bis c.p.c.), come invece acca-deva con il vecchio art. 244 c.p.c., mentre nel rito del lavoro, di regolascandito da ben più rigide preclusioni e caratterizzato dai noti princì-pi di immediatezza e concentrazione, viene fatto sostanzialmente rivi-vere, sebbene attraverso lo specifico potere-dovere conferito al giudi-ce ex art. 421 c.p.c., il vecchio art. 244 c.p.c.. Tali considerazioni sonoperò destinate a perdere significato laddove si ritenga, come già avve-nuto in dottrina, che la facoltà prevista dall’ultimo comma dell’art. 244c.p.c. abrogato sia stata oggi sostituita dal potere del giudice, ex art.184 c.p.c., di assegnare alle parti un termine perentorio per formularenuove prove.

Il terzo requisito richiesto dall’art. 244 c.p.c. è quello relativo allaformulazione della prova per testi in “articoli separati”. Esso è postoa presidio della elementare esigenza di ordine e chiarezza espositiva.Tuttavia, a differenza dei precedenti requisiti, si ritiene che l’inosser-

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vanza determini una mera irregolarità, priva della sanzione di inam-missibilità, purché, ovviamente, le circostanze oggetto della provasiano facilmente ricavabili dal contesto dell’atto (ad esempio: richia-mo per relationem a fatti capitolati nella parte narrativa dell’atto dicitazione (Cass. n. 1407/56, Cass. n. 1213/55).

Quanto fin qui esposto riguarda essenzialmente la deduzione dellac.d. prova diretta. Per quanto concerne la cd. prova contraria, occor-re distinguere tra la situazione anteriore e quella successiva all’entra-ta in vigore della novella del c.p.c..

Prima della novella il secondo comma dell’art. 244 c.p.c., poiabrogato, prevedeva che la parte contro la quale era stata proposta laprova testimoniale, anche in caso di opposizione, aveva l’onere didedurre nella prima risposta la prova contraria diretta e indiretta, nelsenso che doveva indicare le persone da interrogare sui capitoli diprova dedotti da controparte e gli articoli separati sui fatti (fatti diver-si da quelli dedotti da controparte, dai quali poter argomentare lainsussistenza o l’inefficacia originarie o sopravvenute dei fatti artico-lati dall’avversario) sui quali interrogare i testi a prova contraria indi-retta.

È di tutta evidenza che l’onere della deduzione della prova con-traria diretta si ferma all’indicazione delle persone da interrogare enon comprende anche la necessità che vengano riformulati i capitoligià dedotti da controparte.

La disposizione in esame rispondeva al principio di unità dellaprova, volto ad evitare cioè il frazionamento della prova in fasi suc-cessive del giudizio.

Per prima risposta si intendeva la prima deduzione orale o scrittasuccessiva all’atto ovvero all’udienza in cui era stata richiesta la provatestimoniale. In particolare, è stato sostenuto che qualora l’udienzasuccessiva a quella di deduzione della prova diretta fosse stata udien-za di mero rinvio la prima risposta andava considerata l’ulterioreudienza in cui veniva discusso il merito. Inoltre, se la prova diretta erastata chiesta in sede di precisazione delle conclusioni, la parte potevadedurre a prova contraria nella prima udienza davanti al giudiceistruttore in caso di rimessione in istruttoria della causa (Cass. n.6170/82).

Ovviamente, in ipotesi di mancata deduzione della prova contra-ria diretta ed indiretta entro la prima risposta la parte doveva consi-derarsi decaduta, con conseguente inammissibilità della prova even-tualmente dedotta.

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Il terzo comma dell’art. 244 c.p.c. ante riforma, poi anch’essoabrogato, stabiliva la facoltà del giudice istruttore, discrezionale, daesercitarsi anche d’ufficio (Cass. n. 3345/80), mediante una valutazio-ne di opportunità e di prudente apprezzamento delle esigenze istrutto-rie della causa, senza necessità di motivazione e quindi sottratta al sin-dacato di legittimità (Cass. n. 191/95), di concedere alle parti un ter-mine perentorio e quindi non prorogabile (art. 153 c.p.c. – Cass. n.1640/78) per formulare o integrare le indicazioni previste nei duecommi precedenti. In questo caso la decadenza dalla prova diretta o daquella contraria derivavano dalla inosservanza del predetto termine.

È chiaro che l’assegnazione del termine perentorio presupponevache la parte avesse gia tempestivamente dedotto la prova per testi,mentre non era consentito al giudice fissare il termine per sollecitareuna prova non richiesta: ciò avrebbe violato il principio dispositivo exart. 115 c.p.c. (Cass. n. 5406/91).

Incerta in giurisprudenza era la portata della facoltà di integra-zione concessa al giudice: secondo un orientamento questa era limita-ta alla possibilità della parte di integrare le indicazioni relative allepersone da interrogare (Cass. n. 8137/90; Cass. n. 318/82); ad avviso diun altro indirizzo, forse prevalente, il termine poteva essere assegnatogenericamente per le integrazioni della prova dedotta, ivi incluseanche quelle relative alla formulazione dei capitoli di prova (Cass. n.8157/92; Cass. n. 7205/91).

Il principio dell’unità della prova testimoniale sancito dal se-condo comma dell’art. 244 c.p.c. era considerato compatibile sia conil procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione ex legge n.689/81 (Cass. n. 11653/92), sia con la disciplina delle controversie dilavoro, purché la parte interessata avesse presentato apposita istanzaal pretore (Cass. n. 4716/89; Cass. n. 1366/86). In mancanza di una taleistanza, la prova doveva essere dichiarata inammissibile (Cass. n.4838/92; Cass. n. 2521/87). Va ricordato, tuttavia, che la compatibilitàcon il rito del lavoro ha incontrato, di recente, voci contrarie in sensoassoluto, in considerazione del dettato dell’art. 420 c.p.c. (Cass. n.728/93), o con un’eccezione nell’ipotesi di cui all’art. 420 sesto commac.p.c. (Cass. n. 8124/92).

Con la novella del 1990 e la conseguente abrogazione del secon-do e del terzo comma della norma in esame è venuto meno il sistemadi proposizione della prova contraria ed è stata eliminata la facoltà delgiudice di concedere un termine per integrare la prova per testi. Tuttociò, come già accennato, è stato sostituito con la facoltà del giudice, suistanza di parte, di concedere, ai sensi dell’art. 184 secondo comma

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c.p.c., un termine perentorio per la formulazione di nuove prove e perla produzione di documenti ed un altro termine perentorio per dedur-re a prova contraria.

Si tratta di stabilire, tuttavia, se questo secondo termine riguardiesclusivamente la prova contraria a quella dedotta nel rispetto delprimo termine perentorio previsto dalla citata norma o se invece con-cerna genericamente la prova contraria rispetto a tutte le prove fino aquel momento dedotte. La soluzione dipende, probabilmente, dallamaggiore o minore estensione della nozione di nuove prove di cui alsecondo comma dell’art. 184 c.p.c.. Ad esempio, attraverso un argo-mento a fortiori, si è fatto rilevare che se la norma ammette la possi-bilità di formulare capitoli di prova ex novo, a maggior ragione deveconsentire la facoltà di riformulare quelli già dedotti.

Degna di nota è la differenza del nuovo sistema rispetto al prece-dente: non vi è più la necessità di dedurre la prova contraria nellaprima risposta successiva e si è notevolmente attenuata la discrezio-nalità del giudice in relazione alla concessione del termine perentorioper dedurre la prova contraria.

Di regola, i capitoli di prova aventi ad oggetto fatti negativi nonpossono essere ammessi, in quanto ben difficilmente il teste sarebbein grado di escludere in assoluto la verificazione di una determinatacircostanza.

La Corte di Cassazione, sul punto, ha affermato che la prova deifatti negativi può essere data mediante presunzioni, le quali possonoessere basate su fatti positivi, che, pur non esattamente contrari aquelli negativi, siano tuttavia idonei a far desumere il fatto negativo(Cass. n. 5744/93).

Inoltre, l’inammissibilità della prova per testi riguardante fattinegativi risponde al principio di distribuzione dell’onere della prova,nel senso che, in linea di massima, le parti non vengono onerate delladimostrazione di fatti negativi al fine di far valere le loro pretese in viadi azione o di eccezione (arg. cfr. Cass. n. 973/96 in tema di surrogadell’assicuratore ex art. 1916 c.c., e Cass. n. 1944/82 in tema di acces-sione invertita). Ciò non significa, peraltro, che la deduzione di unfatto negativo (ad esempio: il convenuto in un’azione di danno chesostenga l’inesistenza di particolari voci di danno), per il solo caratte-re particolare del petitum, possa esonerare la parte dalla prova di talefatto, secondo gli ordinari princìpi (Cass. n. 13872/91). In tal caso,ovviamente, la parte interessata potrà far ricorso alla dimostrazione difatti positivi contrari (Cass. n. 2586/81).

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E invero, può accadere che la parte sia onerata di fornire la dimo-strazione di fatti negativi. In questa ipotesi, essa, prescindendo da unrigido e prefissato schema di prova, dovra formulare capitoli aventi adoggetto quei fatti positivi dai quali dedurre l’esistenza del fatto negati-vo. Ci si riferisce, ad esempio, al caso del licenziamento per giustifica-to motivo oggettivo, in relazione al quale il datore di lavoro, che addu-ca a fondamento del licenziamento la soppressione del posto di lavo-ro presso cui prestava le proprie mansioni il dipendente licenziato,deve provare di non poter diversamente utilizzare il lavoratore in man-sioni analoghe (Cass. n. 9204/96).

In linea di principio, la distinzione tra la consulenza tecnica e latestimonianza risiede nel criterio che ravvisa nella prima un giudizioe nella seconda una semplice narrazione. Rifacendosi a tale sinteticae per certi versi superata distinzione, si dovrebbe escludere qualsiasicontatto tra i due istituti processuali: il teste, infatti, come detto, deveesimersi dall’esprimere giudizi.

Ciononostante, non si può nascondere il fatto che si possa con-cretamente realizzare una sorta di commistione tra i due istituti, tant’èche è stata introdotta la nozione di testimonianza tecnica (DENTI,Testimonianza Tecnica), la quale verte su fatti la cui descrizione, primaancora dell’apprezzamento, richiede specifiche cognizioni tecniche,che non rientrano nella cultura e nell’esperienza “media”.

Invero, non può essere in assoluto esclusa la prova per testi a con-tenuto tecnico, ovverosia avente per oggetto apprezzamenti di naturasquisitamente tecnica.

È evidente che se la prova tende ad ottenere dei meri giudizi tec-nici, ovverosia l’indicazione delle regole tecniche per la valutazione deifatti, essa è inammissibile, giacché l’individuazione di tali regole spet-ta al giudice che ricorre al consulente tecnico ove esse non rientrinonella sua “scienza privata”. Ma quando l’apprezzamento tecnicodemandato al teste è strettamente collegato all’indicazione di datiobiettivi e alla descrizione delle modalita specifiche della situazioneconcreta direttamente percepite o rilevate dallo stesso teste, la provapotrà essere ammessa (Cass. n. 1173/94). Si pensi ai casi di prova sul-l’esistenza dei vizi della cosa venduta o dei difetti dell’opera appaltata.

Il tema della prova per testi a contenuto tecnico, come accennato,costringe a mettere in relazione detta prova con la consulenza tecnicad’ufficio. In particolare, va osservato che se quest’ultima, di regola,non rappresenta un vero e proprio mezzo di prova, ma solo uno stru-mento di valutazione sotto il profilo tecnico-scientifico, di dati proba-

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toriamente già immagazzinati, essa acquisisce il valore di mezzo diprova quando consiste anche nell’accertamento di fatti rilevabili solocon il ricorso a determinate cognizioni tecniche (Cass. n. 2514/95;Cass. n. 2083/95, Cass. n. 2629/90). Anche in questo caso, tuttavia,rimane netta la differenza tra la testimonianza e la c.t.u.

In alcune ipotesi particolari la giurisprudenza esclude l’ammissibi-lità della prova testimoniale a contenuto tecnico, ritenendo indispen-sabile la c.t.u.: ad esempio, controversie concernenti il diritto a conse-guire la pensione di invalidita (Cass. n. 270/72) ovvero riguardantiimmissioni eccedenti la normale tollerabilità (Cass. n. 1245/81). Sipossono, infine, aggiungere le controversie relative alla responsabilitàprofessionale del medico.

Quanto ai limiti sostanziali processuali di ammissibilità dellaprova per testi, ricordato che quelli di natura squisitamente proces-suale sono stati eliminati dall’ordinamento ad opera della Corte Costi-tuzionale (artt. 247 e 248 c.p.c.), è bene premettere, con riguardo aquelli di carattere sostanziale, che la materia è talmente vasta cherichiederebbe una relazione a sé stante. Pare quindi opportuno, inquesta sede, fare qualche cenno generale e soffermarsi brevemente sualcune questioni affrontate anche di recente dalla giurisprudenza dilegittimità.

In primo luogo, va precisato che le limitazioni introdotte dagliartt. 2721 e ss. c.c. operano solamente allorché il contratto vengadedotto in giudizio dai contraenti, oppure dai loro eredi, per realiz-zarne i suoi effetti tipici.

In particolare, quindi, la limitazione di cui all’art. 2721 c.c. nonsi applica quando il contratto viene fatto valere come semplice fattostorico influente per la decisione della controversia (Cass. n. 3351/87)ovvero nel caso in cui sia un terzo ad invocare la prova dell’esistenzadel contratto (si pensi, ad esempio, al caso del mediatore che chiede diprovare la conclusione del contratto mediato allo scopo di ottenere laprovvigione: non essendo parte del contratto mediato egli è in gradodi dimostrare per mezzo dei testi l’esistenza di tale contratto – Cass. n.4477/78). Ancora, rimangono esenti dalle limitazioni in questione ivizi del consenso (Cass. n. 2161/60), la risoluzione e la rescissione delcontratto.

Di recente, sono stati poi esclusi i divieti probatori in questione alfine di dare dimostrazione della qualità di coltivatore diretto (Cass. n.5671/97), ovvero per provare la simulazione delle esigenze abitativetransitorie, nel procedimento instaurato dal conduttore e avente ad

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oggetto la ripetizione di quanto versato in più oltre l’equo canone(Cass. n. 1318/98).

Merita poi di essere rammentato che, sebbene il legislatore nonabbia provveduto a rivalutare l’importo di lire 5.000 indicato all’art.2721 c.c., la Suprema Corte ha ugualmente stabilito che, in linea dimassima, la prova orale di contratti di notevole valore economico nonpuò essere ammessa, dato che di regola essi vengono documentati periscritto (Cass. n. 4600/84).

L’art. 2721 c.c. prevede, tuttavia, che si possa superare il limite diammissibilità in considerazione della qualità delle parti, della naturadel contratto (ad esempio, rapporti di parentela o rapporti di partico-lare fiducia che possano giustificare la mancata documentazione delcontratto) o di ogni altra circostanza utile.

Il documento al quale si riferisce l’art. 2722 c.c. deve possederenatura contrattuale, nel senso che deve trattarsi di un atto scritto dalquale emerga l’esistenza ed il contenuto del contratto dedotto in giu-dizio. Il divieto di cui alla norma in esame, quindi, non si applica:quando il documento ha carattere meramente integrativo di un con-tratto verbale (Cass. n. 1700/85); in relazione alla quietanza (Cass. n.2716/88; Cass. n. 8730/97); in caso di ricognizione di debito o di pro-messa di pagamento (Cass. n. 4377/92); per la fattura, la bolla di con-segna e l’estratto conto (Cass. n. 821/71).

Inoltre, il patto deve essere aggiunto o contrario al documento,ovverosia deve avere ad oggetto un accordo complementare diretto adampliare o a modificare il contenuto della convenzione. Il divieto dicui all’art. 2722 non opera poi laddove la prova riguardi fatti storicivolti a chiarire il contenuto negoziale che risulti suscettibile di diffe-renti interpretazioni (Cass. n. 782/81).

L’inammissibilità di cui all’art. 2723 c.c. attiene ai patti posteriorialla formazione del documento, intesi come pattuizioni che accedonoalla convenzione risultante dallo scritto e che apportino aggiunte omodificazioni. Essi coincidono, dunque, con le clausole destinate aregolare diversamente particolari aspetti del rapporto tra le parti, sulpresupposto della sua persistenza e della sua prosecuzione (Cass. n.100/91). Ne consegue che non rientrano nel divieto gli accordi direttia risolvere anticipatamente il rapporto risultante da atto scritto (Cass.n. 6586/86). A differenza dell’art. 2722 c.c., il successivo art. 2723 pre-vede una deroga che richiama i concetti di cui all’art. 2721 c.c. (qua-lità delle parti, natura del contratto ecc.).

L’art. 2724 c.c. è invece dedicato alle eccezioni ai divieti della pro-va per testi.

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Detto che tale norma non trova applicazione all’opposizione diterzi all’esecuzione (art. 619 e ss. c.p.c.), in quanto l’art. 621 c.p.c. con-tiene una disciplina specifica, merita di essere sottolineato che le dero-ghe ai divieti probatori presuppongono che la parte istante deduca edimostri la sussistenza di una delle tre ipotesi contemplate nellanorma in esame (principio di prova per iscritto; impossibilità di pro-curarsi la prova scritta, smarrimento senza colpa). Il giudice comun-que non può rilevarla d’ufficio (Cass. n. 7976/94), né può discostarsidall’ipotesi specifica dedotta dalla parte per ravvisarne una diversa(Cass. n. 7339/83).

Sull’ipotesi relativa al principio di prova per iscritto va ricordatoche è necessario che venga prodotto uno scritto proveniente, e quindisottoscritto (Cass. n. 2588/89), dalla parte contro la quale è chiesta laprova o dal suo rappresentante, e diverso da quello che si vorrebbesovvertire con la prova testimoniale. Inoltre, lo scritto deve far appa-rire verosimile il fatto allegato (Cass. n. 1318/98 – ad esempio, sonostati ritenuti tali: la ricevuta di pagamento trimestrale del canone dilocazione, anziché a mese come previsto nel contratto scritto origina-rio, rispetto al patto orale contrario posteriore di pagamento a trime-stre – Cass. n. 2825/52; gli assegni emessi, rispetto alla conclusione diun contratto di conto corrente stipulato in forma verbale – Cass. n.6974/88). Ancora, è stata fatta rientrare nella nozione di principio diprova per iscritto la risposta data dalla parte in sede di interpello eriportata nel verbale poi sottoscritto (Cass. n. 4522/93).

Il giudizio di verosimiglianza va condotto solamente attraverso ildocumento in questione (Cass. n. 802/92), ovvero anche utilizzando ilrestante materiale probatorio (Cass. n. 2046/78).

L’impossibilita materiale di munirsi di una prova scritta presuppo-ne che la parte abbia custodito il documento con la diligenza del buonpadre di famiglia (Cass. n. 43/98), ed è stata individuata, ad esempio,nei depositi necessari stipulati in occasione di incendi, tumulti ecc..Quella morale è stata fatta coincidere con i rapporti coniugali, di con-vivenza more uxorio, e non nelle relazioni professionali o di mera ami-cizia (Cass. n. 3750/92).

Quanto alla terza deroga, va solo evidenziato che la parte interes-sata deve provare la perdita del documento e la non colpevolezza. Talesecondo requisito ha trovato riscontro nell’ipotesi di smarrimento deldocumento ad opera di un terzo pienamente affidabile, al quale erastato affidato per ragioni apprezzabili, come il mediatore (Cass. n.1745/93) o come il notaio (Cass. n. 2046/64).

Anche l’art. 2725 c.c. trova ingresso quando il contratto viene

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invocato tra le parti in quanto tale, ossia come fonte di reciprocheobbligazioni, e non come mero fatto storico (Cass. n. 3562/95). Sideve, inoltre, escludere l’applicazione della norma nell’ipotesi in cui laprova per testi tende ad assolvere compiti meramente interpretatividella volontà delle parti (Cass. n. 4439/84). Ad esempio, in tema dirisarcimento danni da invalidità permanente, la prova del fatto che ildanneggiato svolgeva attività di mezzadro (cfr. art. 1350 n. 9 c.c.) puòessere fornita anche per testimoni giacché si tratta di accertare sol-tanto lo svolgimento dell’attività professionale al fine della determina-zione del reddito e quindi del danno (Cass. n. 3316/72).

Importante è sottolineare come, a differenza di quanto avviene perla violazione delle norme che regolano la prova per testi, l’inosservan-za del principio che esige la produzione in giudizio del documentocontrattuale come unico mezzo di prova del contratto per il quale siarichiesta la forma ad substantiam, è rilevabile d’ufficio e può essereeccepito per la prima volta anche in sede di legittimità (Cass. n.2902/87). Si rientra, invece, nell’alveo delle eccezioni in senso strettocon riferimento alla eventuale violazione dei limiti concernenti laforma imposta ad probationem, non essendo in questo caso la regoladella inammissibilita della prova per testi dettata da ragioni di ordinepubblico (Cass. n. 2988/90). A questo punto, giova precisare che i di-vieti probatori si applicano anche al pagamento, purché effettuatodalla parte e non da un terzo (Cass. n. 1617/70 in tema di rivalsa Inail),e alla remissione del debito. L’indicazione contenuta nell’art. 2726 c.c.è da ritenersi tassativa e quindi non estensibile agli altri atti unilate-rali tra vivi a contenuto patrimoniale, quali la disdetta (Cass. n.171/70), la rinunzia all’azione di risoluzione del contratto (Cass. n.2924/75) e il riconoscimento di debito (Cass. n. 3004/80).

Siamo, invece, nell’ambito della sfera di applicazione dell’art.2726 c.c. nel caso della quietanza, quale documento certificativo delpagamento (Cass. n. 3592/71).

La violazione della regola di cui alla norma in esame non è rileva-bile d’ufficio, e pertanto la prova assunta senza incontrare contesta-zioni ad opera delle parti interessate viene legittimamente acquisita alprocesso (Cass. n. 4396/76). L’eccezione, come nelle altre ipotesi di vio-lazione dei divieti probatori (salvo quella riguardante la forma deicontratti ad substantiam), deve essere sollevata nella prima istanza odifesa successiva all’espletamento della prova pretesamente viziata,intendendosi per istanza anche la richiesta di provvedimento ordina-torio di mero rinvio oppure la formulazione della conclusioni. In difet-to, la nullità e sanata (Cass. n. 2988/90).

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Infine, merita di essere ricordato che altri divieti alla prova testi-moniale si rinvengono nell’art. 1417 c. c. in tema di simulazione e nel-l’art. 619 c.p.c. in relazione all’opposizione di terzo all’esecuzione.

– B) L’incapacità del teste a deporre può essere rilevata d’ufficio? – inquali casi sussiste l’incapacità a deporre del teste? – può essereassunto come teste chi ha risposto all’interrogatorio libero qualeprocuratore speciale della parte? – può essere assunto come teste ilprocuratore della parte? per deporre deve rinunciare al mandato? seindotto dalla controparte può astenersi?

La prevalente dottrina e la consolidata giurisprudenza si trovanocontrapposte in relazione alla questione della rilevabilità d’ufficio oad istanza di parte della eventuale incapacità a deporre dei testimoni.

La prima muove dalla considerazione secondo la quale la materiaregolata dall’art. 246 c.p.c. fa parte delle regole di giudizio che atten-gono alla formazione del convincimento del giudice. Di conseguenza,tali regole non possono essere inficiate dal comportamento omissivodelle parti: di qui la rilevabilità d’ufficio dell’incapacità a testimoniare.

Diversamente argomentando, sul presupposto dell’interesse delleparti sotteso alla disposizione di cui all’art. 246 citato, con esclusionequindi di qualsiasi profilo di ordine pubblico, la giurisprudenza è per-venuta alla conclusione che l’eccezione di incapacità del teste e ecce-zione in senso stretto ovverosia rilevabile solamente ad istanza diparte (Cass. n. 7869/90, Cass. n. 323/80). La deposizione testimonialeassunta in violazione della norma in questione è quindi affetta da me-ra nullità relativa.

Tuttavia, a tali osservazioni si è replicato facendo notare la con-traddittorietà della tesi della rilevabilità ad istanza di parte: da un lato,in base ad una valutazione compiuta a priori dal legislatore si è rite-nuto che mai il terzo legittimato ad intervenire nel processo possaessere un teste obiettivo, dall’altro, si è sostenuto che, comunque, ladeposizione di un tale teste può essere posta a fondamento del liberoconvincimento del giudice qualora nessuna delle parti interessate sipremuri di eccepirne l’incapacità o di far valere la nullità della testi-monianza. Di qui l’auspicio di parte della dottrina rivolto alla sostan-ziale eliminazione dei divieti di cui all’art. 246 c.p.c..

Del resto, in ordinamenti non meno razionali e garantisti di quel-li dominati, come il nostro, dal principio nemo testis in causa propriala testimonianza della parte è fenomeno consolidato (sistemi di Com-

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mon Law). E tutto ciò nel quadro di una drastica riduzione di tutti ilimiti alla prova testimoniale (già attuata in vari ordinamenti, anche dicivil law), compresi quelli di natura sostanziale (2722 e ss. c.c.), detta-ti, come è noto, dal disfavore per tale mezzo di prova.

Senza giungere alla radicale eliminazione dei limiti di cui all’art.246 c.p.c., parte della dottrina, muovendo dal rilievo della irraziona-lità dell’operato del legislatore, il quale, per un verso, prevede la pos-sibilità per il giudice ordinario di trarre argomenti di prova dallerisposte date dalle parti durante l’interrogatorio libero, ma per altroverso non consente allo stesso di utilizzare, entro i medesimi limitiprobatori, le affermazioni dei testi interessati ex art. 246 c.p.c., ha fattocircolare l’idea di una applicazione dell’art. 117 c.p.c. anche per i testiincapaci, al pari di quanto avviene nel rito del lavoro in forza dell’art.421 ultimo comma c.p.c..

Seguendo probabilmente tale impostazione era stata sollevataquestione di costituzionalità sul punto. Ma la Corte ha ritenuto la que-stione inammissibile concernendo scelte effettuate dal legislatore nel-l’esercizio del suo potere discrezionale: secondo il giudice delle legginon è irragionevole che il legislatore “abbia ritenuto di non poteraccordare fiducia alle dichiarazioni rese da chi abbia nella causa uninteresse qualificato” (Corte Cost. ord. n. 494/87).

L’eccezione, in applicazione della regola di cui all’art. 157 c.p.c.,non può essere sollevata dalla parte che ha chiesto l’ammissione delteste pretesamente incapace (Cass. n. 2802/69).

Quanto alle modalità ed ai tempi per sollevare l’eccezione de qua,va osservato che la parte non può limitarsi ad allegare genericamentel’incapacità del teste o la nullità della deposizione, ma deve indicare inmodo specifico il preteso interesse del testimone. In difetto, l’incapa-cità deve essere esclusa (Cass. n. 4752/88).

Inoltre, in ossequio alla regola generale della rilevabilità delle nul-lità relative (art. 157 c.p.c.), l’eccezione deve essere sollevata nellaprima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso, purchéil procuratore della parte interessata non sia stato presente all’udien-za di assunzione. In caso contrario, l’eccezione va sollevata, a pena didecadenza, nella stessa udienza di assunzione, subito dopo l’espleta-mento della prova (Cass. 303/96; Cass. 11253/96; Cass. n. 1425/87;Cass. n. 5087/86; Cass. n. 4880/79; Cass. n. 189/77).

Non è ovviamente necessario che il rilievo sull’incapacità del testevenga mosso prima dell’inizio dell’assunzione. Infatti, le cause di inca-pacità potrebbero emergere durante la deposizione e l’opposta con-clusione confliggerebbe con la regola di cui all’art. 157 c.p.c. sopra

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richiamata. Tuttavia, è necessario che l’eccezione di nullità sia solle-vata successivamente al provvedimento di ammissione del teste, inquanto una sola eccezione per così dire preventiva è stata giudicatainidonea a produrre le conseguenze di cui all’art. 157 c.p.c.. Infatti,detta norma presuppone il compimento di un atto nullo e quindi nonè opponibile in relazione ad un atto futuro (Cass. 5534/97; Cass. n.11253/96; Cass. n. 7869/90). Per non incorrere in decadenze la parteche ha sollevato in via preventiva un’eccezione di incapacità di unteste è dunque onerata della reiterazione dell’eccezione dopo il prov-vedimento di ammissione, secondo i tempi e i modi sopra ricordati.

La prima istanza o difesa successive vanno riferite al grado di giu-dizio in cui è stato assunto il mezzo di prova asseritamente viziato. Neconsegue che l’eccezione non può essere sollevata per la prima volta inappello, neppure dal contumace (Cass. n. 3231/80; Cass. n. 5068/79).

Una definizione rigorosa della formula “prima istanza o difesasuccessiva” considera tardiva anche l’eccezione non formulata duran-te l’udienza immediatamente successiva all’espletamento della provache però si era esaurita con un mero provvedimento di rinvio (Cass. n.4574/87; Cass. n. 1994/80).

Qualora la nullità della deposizione per ragioni di incapacità delteste non venga eccepita tempestivamente, il vizio è sanato peracquiescenza (Cass. n. 1425/87). E una volta verificatasi la sanatoria,la nullita non può essere più rilevata nei successivi gradi di giudizio(Cass. n. 5068/79). Si ha inoltre sanatoria per rinuncia all’eccezionenel caso in cui, respinta dal giudice, l’eccezione non sia riproposta insede di conclusioni (Cass. n. 1042/89) o espressamente come motivo digravame (Cass. 3787/96; Cass. n. 1735/75), o ancora nel caso in cui laparte interessata all’eccezione di incapacità del teste si associ all’i-stanza di assunzione dello stesso formulata da altra parte del giudizio(Cass. n. 303/96).

Accolta l’eccezione di incapacità, il teste non viene ammesso adeporre o la testimonianza è colpita da nullità, e il giudice non potràtenerne conto nella decisione della causa. Se però dalla motivazionedella sentenza dovesse emergere che il giudice si sia servito della depo-sizione del teste incapace al fine di decidere la controversia, il viziodella prova si estende alla sentenza, in caso contrario la nullità delladeposizione diviene ininfluente (Cass. n. 6447/80).

Resta l’ipotesi in cui l’incapacità del teste assunto sia stata in qual-che modo sanata. In tal caso, l’incapacità non si traduce tout court ininattendibilità del teste, e la deposizione dovrà essere vagliata dal giu-dice al pari delle altre prove (art. 116 c.p.c.).

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In ossequio al già ricordato principio tradizionale nemo testis incausa propria, è stata sancita l’incompatibilità assoluta tra la posizionedi parte attuale o potenziale e quella di testimone.

Tale incompatibilità ha trovato espressione nell’art. 246 c.p.c., ilquale stabilisce che non possono essere assunte come testimoni le per-sone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare laloro partecipazione al giudizio. Dottrina e giurisprudenza, seppurenel quadro di vari contrasti interpretativi, hanno poi cercato di dareuna veste al principio sancito dalla norma riportata, qualificando l’in-teresse di ostacolo alla deposizione testimoniale come l’interesse di cuiall’art. 100 c.p.c., personale, concreto e attuale (Cass. n. 7077/86; Cass.n. 5919/93).

È superfluo ricordare che questione del tutto diversa dalla capa-cità del teste e quella riguardante l’attendibilità dello stesso, la qualefrequentemente si può porre in relazione a testimoni perfettamentecapaci di deporre (v. Cass. n. 9126/93 che affronta funditus la proble-matica della distinzione tra incapacità e inattendibilità).

La predetta definizione generale ha poi trovato un ulteriore speci-ficazione. È stato fatto rilevare che l’interesse causa di incapacità atestimoniare è quello che legittimerebbe la partecipazione del teste algiudizio con l’intervento principale, adesivo autonomo o adesivo dipen-dente (Cass. n. 1369/89; Cass. n. 32/94), sia esso volontario o ad istan-za di parte (Cass. n. 3432/98). Inoltre, l’interesse, come sopra qualifi-cato, deve riferirsi specificatamente al rapporto controverso.

Infine, è stato precisato, sebbene con qualche voce contraria, chel’interesse in questione deve essere ragguardato in sé e per sé, a pre-scindere dalle vicende che rappresentano un posterius rispetto allaconfigurabilità dello stesso, come, ad esempio, la rinuncia al diritto ola prescrizione (Cass. n. 1580/74) e dalla effettiva possibilità di parteci-pazione al giudizio in relazione allo stato e alla fase dello stesso. Pari-menti, è stato sottolineato come l’interesse de quo debba essere valu-tato, di regola, in base a elementi indipendenti dalle dichiarazioni delteste, atteso che queste ultime, rappresentano, appunto, fatti futuri edincerti rispetto all’individuazione dell’interesse medesimo (Cass. n.5919/93; Cass. n. 8840/90).

Al contrario, nell’ottica di una visione meno rigida dei limiti allacapacità di deporre, si è sostenuto, da parte della giurisprudenza dimerito (App. Torino, 11 giugno 1992 – “il caso dei pantaloni strappa-ti”), che l’interesse che determina l’incapacità ex art. 246 c.p.c. nondeve essere comunque irrisorio, in assoluto ed in rapporto al valoredella controversia. Sebbene le formule riportate consentano di circo-

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scrivere in modo apprezzabile i confini della nozione di incapacità atestimoniare, va osservato che poi l’esperienza dei casi concreti cipone talvolta di fronte a situazioni non facilmente ed immediatamen-te assimilabili alle definizioni generali. Sembra quindi opportuno fareuna sorta carrellata delle varie possibili ipotesi di capacità/incapacitàaffrontate dalla giurisprudenza, anche meno recente:

1) non è ovviamente capace di deporre chi ha assunto la qualità diparte nel giudizio;

2) non è capace la parte che è stata estromessa dal giudizio percarenza di interesse (Cass. n. 1986/64);

3) è invece capace di deporre la parte del giudizio divenuta tale persuccessione mortis causa dopo l’assunzione della testimonianza(Cass. n. 1496/83);

4) è incapace a deporre il condebitore solidale soggetto passivodel procedimento monitorio nel giudizio di opposizione instauratoda alcuni condebitori (Cass. n. 314/65), in quanto egli ha pur sempreassunto la veste formale di parte nella fase monitoria;

5) è incapace il rappresentante legale di società dotata di perso-nalità giuridica (Cass. n. 241/96), nella controversia in cui sia parte lasocieta;

6) è capace il semplice amministratore o membro del consiglio diamministrazione di società dotata di personalità giuridica (Cass. n.3256/56), ma vedi Cass. n. 9826/96 che ha precisato che l’amministra-tore è capace di deporre se non rappresenta in giudizio la società o seè cessato dalla carica al tempo dell’espletamento della prova, salvacomunque l’esistenza di un diverso interesse concreto e attuale relati-vo all’oggetto del giudizio;

7) e capace il legale rappresentante di società dotata di persona-lità giuridica divenuto tale dopo la deposizione o cessato dalla caricaprima dell’espletamento del mezzo di prova (Cass. n. 1461/77; Cass. n.2580/80);

8) è capace il socio di società dotata di personalità giuridica neiprocedimenti instaurati da terzi contro la società, atteso che la società,essendo fornita di personalità giuridica, costituisce un soggetto a séstante, distinto dai soci che la compongono (Cass. n. 1076/68);

9) al contrario, non è capace il socio di società con personalitàgiuridica nelle controversie sociali interne, quali quelle di cui all’art.2377 c.c., in quanto ciascun socio (anche quelli dissenzienti o assenti

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che non hanno originariamente impugnato la delibera, così comequelli consenzienti) potrebbe intervenire in causa, adesivamente afavore dei soci ovvero in favore della società (Cass. n. 3481/55; Cass. n.5263/80);

10) è ancora capace il socio di società con personalità giuridicacessato da tale qualità prima della deposizione o prima dell’adozionedella delibera impugnata, perché entrambe le situazioni fanno venirmeno la possibilita della sua partecipazione al giudizio (Cass. n.6310/79; Cass. n. 6943/82);

11) non sono capaci a testimoniare il socio accomandatario dellas.a.s., il socio accomandante ex art. 2320 c.c. e il socio della s.n.c. edella s.s., poiché, essendo illimitatamente responsabili con il loropatrimonio, sono portatori di interesse personale all’esito della lite(Cass. n. 3577/84; Cass. n. 1444/81);

12) parimenti, sono incapaci il presidente e il direttore di asso-ciazione non riconosciuta: trattasi infatti di soggetti legittimati a starein giudizio per conto dell’associazione (artt. 36 c.c. e 75 c.p.c.);

13) è invece capace di deporre il semplice membro dell’associa-zione non riconosciuta, perché trattasi di enti privi di personalitàgiuridica ma comunque integranti un soggetto giuridico autonomo edistinto dagli associati (Cass. n. 3448/79), salvo che il membro non siapersonalmente e solidalmente responsabile per effetto dell’art. 38 c.c.,avendo agito in nome e per conto dell’associazione (Cass. n. 2219/59);

14) è incapace il componente di un comitato, in considerazionedel fatto che egli ex art. 41 c.c. è personalmente e solidalmente respon-sabile delle obbligazioni assunte dal comitato;

15) è incapace ciascun condòmino nell’ambito delle controversieinstaurate da o contro il condominio, eventualmente rappresentatodall’amministratore ex art. 1131 c.c., oltreché ovviamente in quelle tracondòmini o contro l’amministratore, in quanto, di regola, ogni con-dòmino non viene privato del potere di agire o di difendere i dirittiesclusivi o comuni inerenti al condominio, e quindi egli è in grado dipartecipare al giudizio (Cass. n. 1191/80 – v. anche Cass. n. 6483/97che ha sancito l’incapacità di ciascun condòmino a deporre nelle causeriguardati le parti comuni del condominio);

16) di regola, non è capace l’amministratore del condominio,poiché legittimato a rappresentare gli interessi comuni dei condòmini(Cass. n. 2665/76), salvo quindi che non si tratti di controversie invol-genti unicamente interessi individuali dei condòmini;

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17) risultano incapaci a deporre l’amministratore e ciascun con-dòmino nei procedimenti di impugnazione delle delibere assembleari,in quanto entrambi sono legittimati passivi, in via concorrenziale (Cass.n. 8198/90; Cass. n. 1220/69 – contra, Cass. n. 12379/92 sul presupposto,che peraltro non trova sufficiente riscontro nella stessa giurisprudenzadella Suprema Corte, di una legittimazione passiva esclusiva dell’am-ministratore, con esclusione, quindi, di una analoga legittimazione incapo ai singoli condòmini, i quali, in tal modo, non potendo partecipa-re al giudizio, sono idonei a rendere la testimonianza (probabilmentepurché la controversia non riguardi parti comuni del condòmino);

18) è chiaramente incapace il fallito nelle controversie inerenti arapporti economici compresi nel fallimento, giacché, sebbene pereffetto degli artt. 31, 42 e 43 della legge fallimentare il fallito perda lalegittimazione processuale attiva e passiva, egli conserva ugualmentela titolarità dei rapporti patrimoniali afferenti il fallimento e quindi laqualità di parte in senso sostanziale nelle controversie relative a talirapporti (Cass. n. 2404/89, Cass. n. 2680/93 – v. però il caso in cui ladeposizione del fallito non è stata ammessa, in una controversia aven-te ad oggetto la simulazione di una vendita di bene immobile stipula-ta immediatamente prima della dichiarazione di fallimento, sul diver-so presupposto della facoltà del fallito, riconosciuta dall’art. 43 l.f., diintervenire nei giudizi riguardanti questioni dalle quali può dipendereuna imputazione di bancarotta a suo carico ovvero nei casi previstidalla legge (Cass. n. 6247/83) – con la conseguenza che in tutti gli altricasi, non potendo il fallito partecipare al giudizio, potrebbe esserechiamato a deporre come teste?)

19) sono capaci i creditori del fallimento, non istanti, nelle causedi opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, atteso che nelprocesso fallimentare le ragioni dei creditori vengono fatte valere dalcuratore (Cass. n. 3308/59; Cass. n. 3091/60); e ciò anche nel caso incui il creditore sia già stato ammesso al passivo (Cass. n. 3157/94);

20) è incapace il socio fallito con la società di fatto nel giudiziodi opposizione proposto da un altro socio, perché, pur non essendoparte formale dell’opposizione, esso è parte sostanziale fornita di unrilevantissimo interesse quale quello diretto ad individuare solidarietàpassive ulteriori rispetto al pagamento del suo debito (Cass. 23 ottobre1973 – se però il giudizio riguarda la simulazione assoluta della ven-dita di un immobile realizzata da uno solo dei soci falliti con la societàdi fatto e viene instaurato dal curatore contro il terzo, il socio fallitoche non ha concorso nella simulazione è stato giudicato capace di de-

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porre in quanto portatore di un mero interesse di fatto e non di un ve-ro e proprio interesse giuridico alla partecipazione al giudizio Cass. n.3265/86);

21) sono capaci i creditori fallimentari nel giudizio promosso dalcuratore contro gli amministratori ex art. 2393 c.c. (Cass. n. 217/72);

22) sono ugualmente capaci il creditore e il dipendente di unadelle parti in giudizio, in quanto chiaramente portatori di un merointeresse di fatto alla conclusione della controversia, senza alcuna pos-sibilità di partecipare al giudizio (Cass. n. 1027/75);

23) è capace a deporre la parte di un processo analogo a quelloin cui viene chiamato a deporre (esempio tipico: collega di lavoro delricorrente nel rito del lavoro), in quanto portatore di un interesse dimero fatto e privo della facoltà di intervenire in giudizio (Cass. n.1887/97); invero, con riguardo, ad esempio, alle controversie del lavo-ro, il giudizio ha ad oggetto i diritti e gli obblighi nascenti da queldeterminato contratto di lavoro concluso tra quel lavoratore e queldatore di lavoro, e ciò anche se i giudizi vengono riuniti (Cass. n.6932/87) o se le domande (ad esempio, di accertamento dell’illegitti-mità del licenziamento) sono state proposte originariamente nellostesso processo da più lavoratori poi chiamati a deporre “ad incrocio’’(Cass. n. 7800/93), trattandosi di connessione impropria. Tuttavia,secondo un diverso orientamento giurisprudenziale, la capacità delteste è conservata solamente nel caso in cui i giudizi rimangano distin-ti, mentre nel caso di riunione, considerato che la qualità di parte sicomunica a tutti i soggetti originari, il teste divenuto parte deve esse-re ritenuto incapace a deporre (Cass. n. 387/87; Cass. n. 5629/79);

24) risultano incapaci i soggetti che avrebbero potuto esserechiamati in giudizio dall’attore, in linea alternativa o solidale,come soggetti passivi della pretesa fatta valere contro il convenuto(Cass. n. 3577/84; Cass. n. 1444/81; Cass. 3432/98 nella quale vengonodelineate, in linea generale, le varie ipotesi di possibile legittimazionea partecipare al giudizio ostative rispetto alla deposizione testimonia-le), ovvero che potrebbero essere chiamati in garanzia dal convenuto(Cass. n. 445/67). Un caso esemplare e quello dell’art. 2049 c.c.;

25) va giudicata incapace a deporre la persona trasportata a bor-do di una vettura coinvolta in un sinistro, che abbia subíto lesioni(Cass. n. 1580/74), anche se si è trattato di lesioni lievi e se la stessa hadichiarato di rinunciare al diritto al risarcimento (Pret. Catania, 26febbraio 1996);

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26) è ritenuto capace il conducente di veicolo coinvolto in sini-stro stradale nel procedimento instaurato dal proprietario contro ilterzo responsabile, senza che questi abbia poi a sua volta svoltodomanda riconvenzionale, in quanto non potrebbe intervenire in giu-dizio, purché ovviamente non abbia subíto danni (Cass. n. 5858/93 –se invece il terzo ha svolto domanda riconvenzionale, il conducente èincapace a deporre poiché potrebbe essere coinvolto nel giudizio exart. 2054 c.c. – Cass. n. 2441/75);

27) è da reputarsi incapace a rendere testimonianza il coniuge inregime di comunione dei beni nelle controversie instaurate da o con-tro l’altro coniuge dalle quali dipenda l’attribuzione di entità patrimo-niali destinate ad incrementare o decurtare il patrimonio comune(Cass. n. 1594/84); in caso contrario, la deposizione è ammessa (Cass.n. 3651/94, che fa comunque salvo il giudizio sull’attendibilità di unatale tipo di teste), nonostante l’entità patrimoniale oggetto del giudiziopossa eventualmente finire nella comunione de residuo, dato che intale ipotesi mancherebbe comunque l’attualita dell’interesse del teste(in un caso particolare di procedimento avente ad oggetto una viola-zione di distanze tra fabbricati il coniuge del convenuto in regime dicomunione è stato ritenuto capace di deporre in quanto l’incrementoeventuale del patrimonio non era strettamente connesso all’oggettodella lite, con la conseguenza che il teste era portatore di un mero inte-resse di fatto – Cass. n. 9786/97).

Sempre con riferimento alla posizione del coniuge, va segnalatoche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 62 del 1995, ha dichiaratoinfondata la questione di legittimità costituzionale del combinato di-sposto degli artt. 159 c.c. e 246 c.p.c., nella parte in cui prevede l’inca-pacità a testimoniare del coniuge in regime di comunione legale dei be-ni che possono essere incrementati o decurtati in dipendenza del giudi-zio in cui è parte in causa l’altro coniuge, in riferimento agli art. 3 e 24Cost.. La Corte, pur avendo dichiarato, in passato, l’incostituzionalitàdell’art. 247 c.p.c., nella sentenza richiamata, come in altre precedenti,ha nuovamente confermato la razionalità della disposizione di cuiall’art. 246 c.p.c., anche in relazione al coniuge in comunione legale.

28) è, di regola, capace il soggetto che in conseguenza di propriecondotte o di proprie omissioni possa aver eventualmente arrecatoun pregiudizio alla situazione processuale di una parte: ad esem-pio, è stato giudicato capace il soggetto che, in qualità di ex assistentelegale di una parte del processo, ha omesso di inviare alla controparteuna lettera interruttiva della prescrizione del diritto al risarcimento

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danni da incidente stradale, nell’ambito del procedimento instauratodal danneggiato contro i responsabili del fatto illecito, ove i convenu-ti abbiano eccepito la prescrizione e l’attore abbia chiesto l’introdu-zione del predetto teste al fine di provare l’avvenuta interruzione deltermine prescrittivo, e ciò in quanto un tale soggetto è portatore di uninteresse che riguarda i rapporti tra sé e alcune parti e non specifica-tamente il rapporto controverso in giudizio (Cass. n. 554/78 – v. altricasi di applicazione di detta regola: Cass. n. 8840/90 in tema di ina-dempimento contrattuale; Cass. n. 32/94 riguardante un caso di per-sona aggredita dal lavoratore licenziato e Cass. n. 1341/93 in tema dilicenziamento illegittimo, ove è stato giudicato capace di deporre unlavoratore ritenuto corresponsabile del fatto illecito che aveva provo-cato a carico del ricorrente il licenziamento oggetto del giudizio);

29) è incapace il lavoratore nei processi tra datore di lavoro e isti-tuti previdenziali riguardanti omissioni contributive, in quanto,dovendosi accertare incidentalmente la sussistenza del rapporto dilavoro subordinato, il lavoratore, pur non essendo contraddittorenecessario, avrebbe un interesse alla partecipazione al giudizio, cometestimoniano le azioni ex artt. 2116 c.c. e 13 legge n. 1338/62 (Cass. n.6299/88); in tal caso le dichiarazioni possono essere raccolte ai sensidell’art. 421 c.p.c.;

30) è invece capace il dipendente di istituto di credito nel giudi-zio instaurato dal cliente contro l’istituto stesso, dato che questi è por-tatore di un mero interesse di fatto, anche se accusato dal cliente diirregolarità nelle annotazioni di competenza, essendo fra l’altro ravvi-sabile un rapporto di garanzia distinto dal rapporto dedotto in giudi-zio (Cass. n. 2641/93 – contra, Trib. Milano, n. 4157/88 sul presuppostodella possibile azione di rivalsa nei confronti del dipendente);

31) è ancora capace il mediatore nelle controversie tra le parti delcontratto concluso con il suo intervento, purché non riguardanti ildiritto alla provvigione (Cass. n. 4439/84 Cass. n. 5426/78; Cass. n.2780/97);

32) è capace l’altra parte del contratto concluso con l’inter-vento di un procacciatore di affari nel giudizio instaurato tra laparte incaricante e il procacciatore (Cass. n. 2866/75);

33) sono capaci il procuratore e il mandatario di una delleparti, salvo che essi siano titolari in concreto di un effettivo interes-se che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio (Cass.n. 739/66);

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34) parimenti è capace il subagente nel giudizio instaurato traagente e preponente, in quanto il diritto del subagente al pagamentodelle provvigioni, da parte dell’agente, non dipende dal pagamento, daparte del preponente, delle spettanze dell’agente (Cass. n. 5203/89);

35) è capace il rappresentante commerciale del venditore nelgiudizio promosso da costui contro il compratore (Cass. n. 959/68);

36) è capace il notaio che ha rogato l’atto oggetto del giudizio,perché privo di interesse diretto in causa (Cass. n. 5450/78), salvocomunque il diritto al segreto professionale;

37) è altresì capace il consulente tecnico di parte sulle circostan-ze di fatto direttamente da lui rilevate (in tal caso il professionista nonporta nel processo la propria assistenza tecnica, atteso che la suadeposizione non verte sulla qualificazione dei fatti, bensì unicamentesulla descrizione di fatti materiali (Cass. n. 8/68);

38) non è capace la madre nel giudizio di paternità naturale, poi-ché legittimata a spiegare intervento adesivo (art. 269 c.c.);

39) non sono ugualmente capaci il possessore e il detentore nelprocedimento possessorio, giacché entrambi sono dotati di legittima-zione attiva in un tale procedimento (i familiari del possessore e deldetentore sono invece capaci di deporre, in quanto portatori di unmero interesse di fatto – v. Cass. n. 1714/89 per un caso avente comeprotagonista il titolare di un contratto agrario);

40) neppure è capace il dante causa del possessore che agisce insede possessoria, perché se egli ha garantito il possesso nell’atto di tra-sferimento, potrebbe intervenire in giudizio ad adiuvandum del pro-prio avente causa, onde evitare che in caso di soccombenza quest’ulti-mo eserciti poi azione risarcitoria nei suoi confronti per aver malegarantito il possesso del bene (Cass. n. 1369/89);

41) non è capace il teste nel giudizio incidentale di falso chepotrebbe essere parte del giudizio principale, in quanto ciò che contaè la posizione di parte nel giudizio principale (Cass. n. 3169/88);

42) sono capaci il sostituto e l’ausiliario del prestatore d’operaintellettuale (Cass. n. 2354/61);

43) è capace colui che collabora con l’azienda paterna, senzaessere contitolare dell’impresa (Cass. n. 2597/83);

44) non è invece capace il cedente di un contratto obbligato agarantire il buon fine nei confronti del cessionario (Cass. n. 592/53);

45) non è altresì capace il genitore esercente la patria potestà sul

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minore che potrebbe essere la causa immediata del danno oggetto delgiudizio (Cass. n. 74/62);

46) il minore di età non è di per sé incapace a deporre (Cass. n.5485/97);

47) nel giudizio tra i congiunti del defunto, avente ad oggetto lascelta del luogo di sepoltura della salma, gli altri congiunti dello stes-so hanno interesse giuridico personale legittimante l’eventuale parte-cipazione al giudizio e, perciò, sono incapaci di testimoniare in ordi-ne alla electio del luogo medesimo fatta in vita dal de cuius (Cass. n.2304/90; Cass. n. 1527/78);

48) sono evidentemente capaci i cittadini uti cives interessati aduna servitù di uso pubblico nell’ambito di un procedimento che abbiaad oggetto tale servitù, in quanto portatori di un mero interesse gene-rico e diffuso (Cass. n. 7865/90);

49) un rapporto di mera ospitalità tra il teste e una parte del giu-dizio non conduce all’incapacità del teste (Cass. n. 8131/93);

50) secondo la giurisprudenza di legittimità è ritenuto capace dideporre il procuratore speciale della parte ammesso a rendere l’in-terrogatorio libero ex artt. 183 e 420 c.p.c. (Cass. n. 2058/96; Cass. n.346/96; Cass. n. 3503/88), in considerazione del fatto che la procuraspeciale non comporta una legittimazione sostanziale del procuratore,tant’è che questi non potrebbe per ciò solo essere convenuto in giudi-zio o intervenirvi: si tratterebbe solamente di una questione di atten-dibilità.

Un orientamento di merito, invece, individuando una incompatibi-lità tra la qualità di parte o di un suo rappresentante e quella di teste,è pervenuto ad escludere la capacità di deporre del procuratore spe-ciale (Pret. Bologna, 24 aprile 1985);

51) Con riguardo al procuratore costituito e alla sua capacità direndere testimonianza si è andato formando un orientamento giuri-sprudenziale, largamente maggioritario, secondo il quale spetta al giu-dice, nell’esercizio del potere discrezionale di ridurre le liste sovrab-bondanti ex art. 245 c.p.c, valutare l’opportunità o meno di assumerela testimonianza dell’avvocato della parte, in quanto la capacità a testi-moniare, disciplinata dall’art. 246 c.p.c., non può essere estesa oltrel’àmbito delle persone aventi nella causa un interesse che potrebbelegittimare la loro partecipazione al giudizio (Cass. n. 893/51; Cass. n.324/80). In altri termini, stando alla lettera della legge, il difensore nonpuò dirsi portatore di un interesse attuale e concreto in relazione alla

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causa e quindi la sua deposizione non può trovare ostacolo nell’art.246 c.p.c. e neppure vi è la necessità di dover rinunziare al mandato:altro è il patrocinio nella duplice figura di sostituzione e di assistenza,altro è lo stare in giudizio della parte, nel quale si concretano le rap-presentanze legale e organica.

Tuttavia, si è fatto strada, sulla base di un autorevole orientamen-to dottrinale (SATTA), un diverso indirizzo giurisprudenziale (Trib. Mi-lano, ord. 8 maggio 1996), favorevole all’individuazione di una inca-pacità del difensore a testimoniare, seppure sui generis, nel senso cheessa non trae spunto dal riferimento normativo di cui all’art. 246 c.p.c.(letteralmente inconciliabile con tale impostazione), bensì trova la suafonte nel principio generale, non scritto, “secondo cui chiunque par-tecipa al processo in una posizione tipica, qualunque essa sia, svolgeuna funzione alla quale deve restare fedele e non può assumerne un’al-tra senza necessariamente contraddire alla prima”.

In particolare, a sostegno della incompatibilità tra la figura diteste e quella di difensore, è stato osservato:

– che “il vigente sistema processuale non ammette che lo ius po-stulandi possa estendersi fino alla facoltà di assumere, in costanza dimandato, la veste di testimone e ciò per il semplice rilievo che le circo-stanze su cui il procuratore teste potrebbe essere chiamato a deporrepotrebbero anche non giovare alla parte e creare perciò con questa unconflitto di interessi che mal si concilia con la facoltà del difensore dilibera critica e valutazione delle prove e con il suo potere-dovere di as-sistenza e difesa della parte nel cui interesse egli esercita il mandato”;

– che non può essere ammessa una peculiare commistione di ruoliprocessuali, conseguente al fatto che il procuratore, da un lato, ha unaparticolare conoscenza della controversia e ha contribuito all’impo-stazione della medesima (anche articolando i mezzi istruttori e quellitestimoniali in particolare), e dall’altro egli si trova a deporre sulle cir-costanze da lui stesso, in altra veste, ritenute rilevanti e funzionali alladecisione della causa in senso favorevole al proprio cliente;

– che nel sistema penale la Corte di Cassazione non ha mancato dirilevare l’inammissibilità del contestuale esercizio delle funzioni didifensore e di teste, con conseguente decadenza automatica dall’uffi-cio di difensore del professionista che abbia assunto la qualità di teste(Cass. 8 giugno 1988);

– che le finalità sottese alla prescrizione dell’art. 251 c.p.c. (i testidebbono essere sentiti separatamente) verrebbero vanificate in caso di

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deposizione del difensore, il quale in ragione del suo mandato potreb-be (e comunque avrebbe diritto di) presenziare alla deposizione deglialtri testi ammessi (senza contare che secondo alcuni una prova di talfatta sarebbe viziata per inidoneità a raggiungere lo scopo – ma sulpunto si è ribattuto che il pericolo di violazione dell’art. 251 c.p.c. nonvi sarebbe in quanto il momento della valutazione della compatibilitàè ricollegato al momento in cui il giudice emette il provvedimento diammissione delle prove).

In ogni modo, qualsiasi sia la soluzione reputata più consona(quella fondata sulla lettera dell’art. 246 c.p.c. o quella basata per cosìdire su di una figura di incapacità a testimoniare di carattere eminen-temente istituzionale e funzionale), è indubbio che la questione inesame involge problematiche connesse alla deontologia professionalepropria della categoria dell’avvocatura.

È noto, infatti, che gli avvocati non possono essere obbligati adeporre su quanto da loro conosciuto in ragione della loro professio-ne, e ciò sia nel processo penale (art. 200 c.p.p.), sia nel procedimen-to civile (art. 249 c.p.c.), sia più genericamente nei giudizi di qualun-que specie (art. 13 R.D. n. 1587/33 – un tale principio lo si vuole esten-dere ai praticanti avvocati – v. ordinanza di rimessione alla CorteCostituzionale del Tribunale di Udine, 26 giugno 1996 questione di-chiarata non fondata con sent. n. 87/97).

E prendendo proprio le mosse dal “diritto di tacere” sancito anchea livello di normativa interna di categoria, si è sentita l’esigenza indottrina di dare manforte all’orientamento giurisprudenziale di meri-to più restrittivo. In particolare, è stato messo in evidenza come l’al-ternatività tra la figura del teste e quella del difensore e la insanabileinconciliabilità tra i due ruoli, oltre che essere le dirette conseguenzedi comuni regole deontologiche, possano liberare il processo da alcu-ni paradossi: l’avvocato, ad esempio, si troverebbe nella necessità diporre domande a sé stesso o di discutere sull’attendibilità dei testi.Non vi è chi non veda come in tali casi, seppure paradossali, si rendapalese lo stridente contrasto di ruoli e di funzioni.

Seguendo invece impostazione più restrittiva, fatta propria dallaricordata giurisprudenza di merito, l’avvocato si troverà di fronte adun duplice ed alternativo obbligo di astensione: come teste, se vieneinvocato il diritto al segreto professionale; come difensore (se vieneprivilegiato il diritto alla testimonianza).

Il giudice, dal canto suo, qualora l’avvocato chiamato a deporrenon rinunci al mandato, potrà applicare l’art. 245 c.p.c. (“elimina i

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testimoni che non possono essere sentiti per legge”), mentre la depo-sizione potrà essere raccolta ove l’attività difensiva non sia in essere osia venuta a cessare, appunto, con la rinuncia al mandato, prima delprovvedimento di ammissione.

Nell’ipotesi in cui il mandato venga dismesso in vista della testi-monianza, e quest’ultima venga effettivamente resa, non sarà consen-tito al difensore si riassumere il mandato, permanendo la qualità diteste finché il processo non si chiude con sentenza irrevocabile (si trat-ta però di individuare i modi attraverso i quali impedire al difensoredi riassumere la difesa della parte).

Comunque, come accennato, accanto all’art. 88 c.p.c., dovrannoessere le regole deontologiche, delle quali infatti si auspica un sempremaggiore carattere vincolante, ad informare le scelte del difensore,affinchè egli non si possa trovare nella scomoda posizione di doverrivelare, ad esempio, circostanze sfavorevoli al proprio cliente o ap-prese dalla controparte in un contesto che questa poteva ritenere riser-vato.

E se si pensa che una tale soluzione è già in vigore in altri ordina-menti, come quello inglese (The Guide to the Professional Conduct ofSolicitors, London 1990), non si può pensare di abbandonarla fretto-losamente, seppure nella consapevolezza dell’inesistenza di un divietoformale di deporre a carico dell’avvocato-procuratore costituito incausa. Si potrebbe, per la verità, tentare una via intermedia, nel solcodi un riconoscimento di un più ampio diritto alla prova, quale mani-festazione essenziale della garanzia dell’azione e della difesa, e soste-nere che la deposizione dell’avvocato è ammissibile a condizione cheegli abbia preventivamente rinunciato al mandato (App. Genova, 21gennaio 1951; Trib. Napoli, 15 dicembre 1976).

– C) In quali casi il teste può astenersi dal deporre? – è ammissibile unaprova che abbia ad oggetto fatti posti in essere dal teste e che potreb-bero integrare una ipotesi di reato? – nel caso che nel corso di unadeposizione emergano fatti di reato a carico del teste, possono appli-carsi analogicamente le norme del processo penale?

Le ipotesi di astensione, come accennato, sono quelle riconosciu-te dall’art. 249 c.p.c. (v. artt. 351 e 352 c.p.p. abrogato, ora artt.200/204 c.p.p. vigente ivi richiamati).

In particolare, godono della facoltà di astensione coloro che pos-sono invocare: il segreto professionale (art. 200 c.p.p. e leggi speciali –

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ad esempio: avvocati, notai, medici, ostetriche, commercialisti, ragio-nieri ecc.), mentre hanno l’obbligo di astenersi dalla deposizione colo-ro che possono invocare il segreto d’ufficio (art. 201 c.p.p. – autoritàgiudiziaria, pubblici ufficiali ecc.) o il segreto di Stato (art. 202 c.p.p.).

Merita di essere sottolineato come tra le norme richiamate dal-l’art. 249 c.p.c. non vi sia l’art. 199 c.p.p. riguardante la facoltà diastensione dei prossimi congiunti. Sul punto, è intervenuta la CorteCostituzionale dichiarando inammissibile la questione di legittimitàcostituzionale sollevata in relazione all’art. 3 Cost., ma nel contempoauspicando l’intervento del legislatore. In effetti, il significato solidari-stico e di tutela del sentimento familiare sotteso alla norma in esamepare forse meno meritevole di protezione in sede di procedimento civi-le, anche se poi si possono verificare casi in cui il teste si può imbat-tere, come nel processo penale, nell’alternativa di mentire o di nuoce-re al congiunto.

La facoltà di invocare l’astensione è anche riconosciuta da varieconvenzioni internazionali (ad esempio, art. 11 Conv. Aja 18 maggio1970 esecut. ex legge n.745/80).

L’elencazione delle funzioni e delle professioni oggetto dellafacoltà di astensione deve considerarsi tassativa (Cass. Pen. 17 dicem-bre 1953).

Ad avviso di una giurisprudenza, peraltro assai datata, spetta algiudice avvertire il teste, comunque obbligato a comparire, dellafacoltà o dell’obbligo di astensione (Cass. Pen. 24 gennaio 1966), men-tre secondo un orientamento dottrinale (MANZINI, PISANI) un simi-le compito, non essendo previsto espressamente dalla legge, a diffe-renza di quanto accade all’art. 199 c.p.p., e dovendo far ricadere sulteste l’onere di far valere il proprio diritto a non deporre, non può esse-re imposto al giudice. Ed infatti, in accoglimento di tale indirizzo, direcente, la Corte di Cassazione ha escluso che il giudice debba neces-sariamente avvisare preventivamente il teste della facoltà di astensio-ne (Cass. n. 2058/96 in un caso riguardante un consulente del lavoro).

Il controllo sulla fondatezza della dichiarazione di astensione èaffidato al giudice che decide eventuali questioni ex art. 205 c.p.c.. Incaso di dubbio da parte del giudice, questi può disporre gli accerta-menti del caso, per il segreto di Stato l’art. 202 c.p.p. prevede poi unaparticolare procedura.

Qualora il giudice accerti l’infondatezza della dichiarazione diastensione, ordina al teste di rendere la deposizione.

La questione della tutela del teste in ipotesi di deposizionicontra se, ovverossia di dichiarazioni che potrebbero integrare un

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reato, involge una problematica assai delicata in quanto viene qui indiscussione il c.d. privilege against self incrimination o diritto al silen-zio: principio che non affonda radici abbastanza profonde nei singolisistemi nazionali, ma che è stato posto dalla Corte di Giustizia delleComunità Europee, nella sentenza 18 ottobre 1989 (causa 374/87),come punto di riferimento, sebbene attraverso la via della tutela deldiritto di difesa, della decisione, dalla quale è stata estrapolata laseguente massima: “In fase d’investigazione preliminare, la commis-sione Ce non può imporre ad un’impresa di fornire risposte chepotrebbero portarla ad ammettere l’esistenza di un’infrazione alleregole di concorrenza”.

Un tale principio, nella legislazione italiana, trova diretto riscon-tro negli artt. 62 e 63 c.p.p., ma poi non è pacificamente suscettibile diestensione nell’ambito del giudizio civile, almeno secondo quantoosservato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 136/95, con laquale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costi-tuzionale dell’art. 63 c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24Cost., nella parte in cui non comprende fra i destinatari delle dichia-razioni indizianti anche il curatore del fallimento (la Corte ha infattiescluso che le dichiarazioni destinate al curatore possano considerar-si rese nel corso del procedimento penale, non potendo certo soste-nersi che la procedura fallimentare sia preordinata alla verifica di unanotitia criminis, cosicché le dichiarazioni stesse coerentemente sfug-gono all’area di protezione offerta dalla norma oggetto della censura).

La stessa Corte, nell’escludere l’equiparazione tra dichiarazionirese nell’ambito del procedimento penale e dichiarazioni rese nell’am-bito della procedura fallimentare al curatore, ai fini della salvaguardiadel citato privilege against self incrimination, ha osservato che “l’esser-si evocato un tertium comparationis individuato sulla base della pari-ficazione, ai fini previsti dall’art. 63 c.p.p., tra autorità giudiziaria egiudice civile e, dunque, tra interrogatorio dell’imputato o dell’indaga-to ed interrogatorio formale della parte, appare una soluzione erme-neutica davvero impropria rispetto ai princìpi sia del rito civile sia delrito penale. Il riferimento, infatti, all’autorità giudiziaria, contenutonell’art. 63 c.p.p., è preordinato al solo fine di ricomprendere nellanozione di genere non soltanto il giudice penale, ma anche il p.m..Mentre non può in esse essere ricondotto il giudice civile, il quale, purove in sede di interrogatorio formale vengano ammessi dalla partefatti costituenti reato, non può certo fare ricorso al regime previstodalla norma ora denunciata, essendo, semmai, tenuto, ai sensi dell’art.331 comma 4 c.p.p. a redigere ed a trasmettere senza ritardo la denun-

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cia al p.m.; diviene infatti del tutto impercorribile l’estensibilità delregime dettato dal più volte ricordato art. 63 c.p.p., nei confronti di unatto perseguente finalità probatorie del tutto diverse da quelle proprie delprocesso penale, non essendo ricavabile da alcuna norma del rito civi-le un principio che imponga al giudice civile di sospendere l’acquisi-zione di un atto dell’istruzione probatoria in funzione di esigenzeteleologiche esclusive del processo penale”.

È ben vero che la Corte si è occupata specificatamente dell’inter-rogatorio formale della parte, ma i riferimenti generali al procedi-mento civile e all’esclusione dell’obbligo per il giudice civile di“sospendere l’acquisizione di un atto dell’istruzione probatoria” con-sentono forse di ritenere che le osservazioni possano essere esteseanche alla deposizione del teste.

La Corte di Cassazione sembra invece propensa ad assicurare,anche in sede civile, una qualche forma di tutela del c.d. diritto al si-lenzio. Infatti, nella sentenza n. 7998/90 è stato affermato che se ilteste è in dubbio tra l’ammissione o la negazione di un fatto reato chelo vede coinvolto non è da considerarsi incapace ex art. 246 c.p.c., néla deposizione può dirsi viziata o invalida. Tale situazione avrà sola-mente rilievo ai fini dell’eventuale giustificazione del rifiuto della depo-sizione, a norma dell’art. 256 c.p.c., ovvero del giudizio di attendibilitàdel teste.

In ogni modo, se da un lato sarebbe auspicabile l’introduzioneesplicita anche in procedimenti diversi da quello penale della tuteladel c.d. diritto al silenzio, sull’onda di quanto sostenuto dalla Corte diGiustizia, dall’altro non si può fare a meno di rilevare che la scelta dellegislatore del 1988 di separare sempre piu nettamente il processo civi-le da quello penale (v. ad esempio artt. 75 e 651 c.p.p.) testimonia lacoerenza del sistema attualmente in vigore. E tale coerenza è salva-guardata in concreto dal fatto che le dichiarazioni indizianti reseavanti il giudice civile potranno provocare unicamente l’avvio di unprocedimento penale attraverso la doverosa trasmissione degli atti alP.M. competente, da parte del giudice che ha raccolto le dichiarazionistesse, ma poi queste ultime, una volta valutate in sede penale, nonpotranno che scontare l’applicazione dell’art. 63 c.p.p..

Da ultimo, merita di essere segnalato che la Corte Costituzionale,con ordinanza n. 390/88, ha ritenuto infondata la questione di legitti-mità costituzionale dell’art. 246 c.p.c., in relazione all’art. 384 secondocomma c.p., nella parte in cui non prevede l’incapacità a deporre nelgiudizio civile di chi è imputato di un fatto reato su circostanze relati-ve o connesse al fatto medesimo.

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– D) Quali sono i presupposti per l’ammissione della prova de relato adistanza di parte? e della prova de relato disposta d’ufficio dal giu-dice?

La norma da analizzare e chiaramente l’art. 257 c.p.c., il qualeprevede sostanzialmente tre facoltà, esercitabili d’ufficio o ad istanzadi parte: 1) assunzione della testimonianza di persone alle quali i testigià esaminati si sono riferiti (c.d. testi di riferimento); 2) assunzionedi testi l’audizione dei quali era stata ritenuta superflua ex art. 245c.p.c. o dei quali era stata consentita la rinuncia; 3) rinnovazione del-l’esame di testi già assunti.

La disposizione rappresenta una deroga al principio dispositivo eal principio della unità della prova; perciò essa richiede una strettainterpretazione, scevra da applicazioni analogiche (Cass. n. 4071/93;Cass. n. 6515/92). In particolare, si può sostenere che la disposizionein esame costituisce l’unica ipotesi nella quale è consentita l’assunzio-ne di testi non preventivamente indicati dalle parti. Di conseguenza, laparte non può invocare l’art. 257 c.p.c. al fine di chiedere la sostitu-zione di un teste deceduto con altro che non sia stato indicato neimodi e nei termini di cui all’art. 244 c.p.c. (Cass. n. 6515/92; Cass. n.4071/93).

I presupposti di ammissibilità dei c.d. testi di riferimento, pos-sono essere individuati nel modo seguente:

1) il teste assunto deve aver riferito, almeno implicitamente, cheuna data persona è a conoscenza dei fatti di causa (Cass. n. 3624/79;Cass. n. 1257/77);

2) deve trattarsi di un soggetto ben identificato (Cass. n. 3624/79 –ma secondo un orientamento dottrinale sarebbe sufficiente che il testeassunto fornisca elementi sufficienti per l’identificazione del teste diriferimento);

3) deve essere una persona non preventivamente indicata dalleparti (Cass. n. 1257/77, la quale ha escluso che possano essere ammes-si come testi di riferimento i soggetti menzionati negli scritti istrutto-ri dalle parti senza che siano stati fatti poi rientrare nell’elenco deitesti da assumere);

4) la deposizione del c.d. teste di riferimento deve rispondere all’e-sigenza di fornire al giudice elementi per la formazione del convinci-mento, nel senso che il giudice potrà ricorrere a tale mezzo di provaqualora le risultanze istruttorie non siano sufficienti, e non invece

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quando i fatti oggetto della prova di riferimento risultino accertatialiunde, in quanto in tale ultimo caso si finirebbe per supplire allacarente conoscenza, da parte di uno dei contendenti, di tutte le perso-ne in grado di deporre sui fatti di causa;

5) l’assunzione della prova per testi non deve essersi già conclusaai sensi dell’art. 209 c.p.c., salva la facoltà del Collegio di provvedereai sensi dell’art. 279 n. 4 c.p.c.;

6) dal punto di vista contenutistico, l’esame dei testi ex art. 257primo comma c.p.c. va condotto entro i limiti del riferimento operatodal teste già assunto, e non può estendersi a fatti diversi (Cass. n.1004/64), salva la facoltà del giudice di chiedere chiarimenti ex art. 253c.p.c. (Cass. n. 2675/56);

7) la facoltà di disporre d’ufficio l’assunzione di testi di riferimen-to può essere esercitata nonostante le parti abbiano avuto la possibi-lità di indicare tempestivamente il teste (Cass. n. 9687/91; Cass. n.3978/74) e nonostante le stesse siano incorse nelle decadenze di cuiagli artt. 414 e 416 c.p.c., relativamente al rito del lavoro (Cass. n.1882/86; Cass. n. 6658/83). Infatti, la norma in esame è pacificamenteapplicabile al rito del lavoro (Cass. n. 263/97). Di conseguenza, si devegiungere alla medesima conclusione per quanto concerne le decaden-ze probatorie di cui al procedimento ordinario (art. 184 c.p.c.), anchese, come è noto, il giudice del lavoro gode di maggiori poteri officiosi(ma la novella del c.p.c., avendo garantito una maggiore incisività deipoteri direttivi del giudice nell’istruzione della causa – v. ad esempio lacentralità della posizione attribuita al giudice nella delimitazione delthema probandum e del thema decidendum ex art. 183 c.p.c., ha forseridotto le differenze tra i due procedimenti).

Quanto alle caratteristiche del potere d’ufficio del giudice previstodalla norma in commento (che trova altri esempi nel rito del lavoro enell’art. 419 c.c. in tema di interdizione-inabilitazione), va detto cheesso coincide con una facoltà discrezionale rimessa al prudenteapprezzamento del giudice stesso, discrezionalmente revocabile (Cass.n. 622/93). Il suo esercizio non è quindi censurabile in sede di legitti-mità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione (Cass. n.9687/91; Cass. n. 3946/80).

E tale potere può essere utilizzato anche in sede di appello conriguardo ai testi già assunti in primo grado (Cass. n. 2716/94), ovvia-mente entro i limiti di ammissibilità di attività istruttoria in appello(art. 345 c.p.c.). Le stesse parti interessate possono riproporre come

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motivo di gravame la mancata assunzione, da parte del giudice diprimo grado, di un teste di riferimento, purché la relativa istanza siastata reiterata in sede di conclusioni di primo grado (Cass. n. 5706/97).

È stato subito fatto osservare in dottrina che l’esercizio, da partedel giudice, dei poteri officiosi previsti dall’art. 257 c.p.c. dovrebbedeterminare l’applicazione dell’ultimo comma dell’art. 184 c.p.c.novellato, il quale consente alle parti di dedurre, entro un termineperentorio appositamente assegnato dal giudice, i mezzi di prova con-seguenti a quello ammessi d’ufficio.

Merita, inoltre, di essere segnalato che secondo un orientamentodottrinale rientrerebbero tra i testi di riferimento, come tali ammissi-bili ex art. 257 c.p.c., anche le persone sentite informalmente dal c.t.u.o dal giudice in sede di ispezione, o ancora menzionate in un docu-mento esibito o prodotto in giudizio.

Altra questione correlata con la disposizione di cui all’art. 257c.p.c. è quella afferente alla valenza delle dichiarazioni de relato resedal teste.

A tal proposito la giurisprudenza della Corte di Cassazione hatenuto ben distinto il caso della deposizione de retato actoris da quellodella deposizione nella quale vengono riferite dichiarazioni di terzi.

Nel primo caso, si va da un orientamento che esclude qualsiasi rile-vanza della deposizione del teste, salvo che essa non trovi adeguatiriscontri nelle altre risultanze istruttorie (Cass. n. 4618/96; Cass. n.269/96; Cass. n. 3636/90 – in tal caso la deposizione potrebbe contri-buire, come argomento di prova o indizio, a formare il convincimen-to del giudice), ad un orientamento maggiormente rigoroso che attri-buisce alla deposizione de relato ex latere actoris un valore nullo, nep-pure indiziario, a prescindere da eventuali riscontri oggettivi (Cass. n.43/98).

Quanto detto si riferisce alla dichiarazione resa dal teste de relatoex latere actoris di contenuto conforme alla pretesa fatta valere dallaparte. Se invece detta dichiarazione è di contenuto contrario rispettoalla posizione della parte, essa può valere come confessione stragiudi-ziale (Cass. n. 4707/78) o come semiplena probatio ai fini del deferi-mento del giuramento suppletorio (Cass. n. 4707/78).

Nell’ipotesi di deposizione de relato con riferimento a dichiarazionidi terzi, la Cassazione ha precisato, innanzitutto, che una tale deposi-zione abbisogna, comunque, di qualche riscontro, in quanto il teste, diregola, dovrebbe riferire su ciò che ha percepito direttamente (Cass. n.10603/94). In ogni caso, la deposizione de relato ha un valore probato-rio attenuato (Cass. n. 43/98).

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Per completare, seppure in modo alquanto sintetico, l’analisi del-l’art. 2157 c.p.c., va osservato che anche le facoltà del giudice, previ-ste dal secondo comma della norma in esame, di assumere testi inprecedenza ritenuti superflui od oggetto di rinuncia e di disporre la rin-novazione della testimonianza hanno carattere discrezionale e il loroesercizio è incensurabile in sede di legittimità (Cass. n. 1140/82, n.2320/95; – contra, Cass. n. 2407/81).

Con riguardo alla prima delle due facoltà, occorre osservare comenessuna preclusione possa derivare dal fatto che il giudice, su accordodelle parti, abbia dichiarato già chiusa l’assunzione della prova, giac-ché un tale provvedimento è revocabile (Cass. n. 2337/73).

La rinnovazione della deposizione, invece, risponde ad una duplicefinalità:

– quella di chiarire la precedente deposizione, ovvero rendereintelligibili eventuali espressioni o specificare alcune circostanze rife-rite in modo generico (Cass. n. 1749/65), purché tutto ciò non sconfi-ni in una nuova prova;

– quella di correggere eventuali irregolarita verificatesi nel prece-dente esame, in grado di provocare la nullità della prova (ad esempio:violazione del principio del contraddittorio in caso di prova delegata –al fine di integrare le generalità del teste o per fargli pronunziare ladichiarazione solenne di impegno a dire la verità non è invece neces-sario procedere alla rinnovazione, essendo sufficiente l’adempimentodella formalità mancante).

– E) Come può essere condotto l’esame del testimone? – le domandedevono porsi dando lettura dei capitoli o possono essere formulateliberamente nei limiti dei fatti dedotti con i capitoli? – quali sono leregole per la verbalizzazione della prova testimoniale?

L’art. 253 c.p.c. recita al primo comma: “Il giudice istruttore inter-roga il testimone sui fatti intorno ai quali è chiamato a deporre. Puòaltresì rivolgeregli, d’ufficio o su istanza di parte, tutte le domande cheritiene utili a chiarire i fatti medesimi”.

In primo luogo, l’esame va dunque condotto dal giudice alla pre-senza delle parti, senza che queste possano interrogare direttamente ilteste (art. 253 secondo comma c.p.c.).

Il teste non può servirsi di scritti preparati, ma può essere auto-rizzato ad utilizzare note o appunti per venire in soccorso alla memo-

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ria, ad esempio, in caso di nomi o cifre (cfr. art. 231 c.p.c. richiamatodall’art. 253 c.p.c. – la violazione di tale prescrizione non è però rile-vabile d’ufficio – Cass. n. 2971/67).

Come accennato, è stato osservato in dottrina come la novella delc.p.c. abbia contribuito ad una sorta di rafforzamento dei poteri diret-tivi del giudice durante l’istruzione. Sulla scorta di tale considerazio-ne, e stato invocato, fra l’altro, un utilizzo piu deciso, da parte del G.I.,dei poteri conferitigli, in tema di prova testimoniale, da norme comequella in commento o dagli artt. 252, 254, 256 e 257 c.p.c., al fine diverificare con maggiore cura l’attendibilità, la veridicità e la comple-tezza delle deposizioni, con ciò tentando di superare qualche prassigiudiziaria caratterizzata da una sorta di delega del giudice ai difen-sori per l’assunzione della prova o da una ricezione passiva delle rispo-ste del teste.

In ossequio del principio dispositivo (artt. 115 e 244 c.p.c.), stan-do alla lettera dell’art. 253 c.p.c., il giudice, nell’interrogare il teste,deve attenersi “ai fatti intorno ai quali è chiamato a deporre”.

La norma non richiede quindi che il giudice ponga necessaria-mente al teste la domanda dando pedissequa lettura dei capitoli: l’u-nico limite è rappresentato dai fatti così come dedotti nei capitoliammessi. È chiaro che quanto più è complesso ed articolato il fattodedotto nel capitolo (si pensi, ad esempio, a capitoli di prova riguar-danti circostanze che involgono descrizioni di natura tecnica), tantopiù risulterà opportuna una lettura integrale del capitolo ammesso. Alcontrario, quando il fatto dedotto è di per sé semplice, ben potrà il giu-dice parafrasare, sintetizzare o semplificare il capitolo puntando alnocciolo della questione.

Se l’esame valica questi limiti, e finisce per introdurre circostanzenon dedotte, la parte interessata ha l’onere di opporsi tempestivamen-te ed eccepire l’invalidità della prova nella prima istanza o difesa suc-cessiva all’espletamento (Cass. n. 9427/87; Cass. n. 4948/78). In difet-to, la deposizione entrerà a far parte del materiale probatorio sotto-posto al vaglio del giudicante. E tale conseguenza si verificherà anchequando la parte interessata abbia implicitamente rinunciato all’ecce-zione avendo, ad esempio, discusso egli esiti e la rilevanza delledichiarazioni rese dal teste (Cass. n. 9427/87).

Va tuttavia ricordato che al giudice spetta la facoltà di porre alteste tutte le domande utili a chiarire i fatti dedotti.

È peraltro di tutta evidenza come, spesso, il confine tra il sempli-ce chiarimento (ammesso) e la domanda su circostanze non dedotte(non ammessa) sia di difficile individuazione.

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Il chiarimento deve essere comunque richiesto nell’ambito delfatto dedotto nel capitolo, anche se parte della dottrina ha intesoestendere l’area di applicazione di tale potere del giudice al fine di con-sentire a questi una maggiore penetrazione ed un maggiore controllosulla credibilità e sulla completezza delle deposizioni. Di certo, il pote-re in questione non può essere esercitato per estendere l’indagine afatti diversi, né per sanare la genericità delle circostanze dedotte neicapitoli o altre carenze probatorie (Cass. n. 1312/90; Cass. n. 761/76).Con ogni probabilità, il giudice potrà chiedere chiarimenti su ciò cheil teste ha riferito oltre il tema specifico della prova, purché si tratti difatti comunque allegati dalle parti, ovvero di fatti secondari.

In ogni modo, come ricordato, qualora vi sia stato un travalica-mento nell’esercizio del potere di ottenere chiarimenti sulla parte inte-ressata ricade l’onere di una tempestiva contestazione (Cass. n.2401/76).

Rimane problema aperto quello relativo al fatto se parti possanoo non invocare l’applicazione dell’ultimo comma dell’art. 184 c.p.c.nell’ipotesi in cui il giudice faccia uso dei suoi poteri officiosi ex art.253 c.p.c..

Quanto alla tecnica dell’esame, mutuando dalle regole del pro-cesso penale, saranno vietate le domande suggestive e quelle che pos-sano nuocere alla sincerità della deposizione. Ciò non toglie che il giu-dice possa stimolare i ricordi del teste, soprattutto in relazione a cir-costanze decisive, ma non potrà tollerare che il teste esprima meri giu-dizi, privi di alcun appiglio o dato concreto di riferimento.

Con riguardo alle regole di verbalizzazione, occorre prendere lemosse da quanto stabilito dall’art. 207 c.p.c..

Detto che, ovviamente, le dichiarazioni del teste debbono essereriportate in prima persona e che il giudice, se lo ritiene opportuno,può far riportare a verbale la descrizione del contegno del teste, giovaaggiungere che le deposizioni debbono essere trasferite nel verbale nelmodo piu fedele possibile, usando, per quanto consentito, il linguag-gio e le espressioni utilizzati dal teste. La deposizione va dettata a ver-bale dal giudice e non dalla parte, come invece accade nel caso del-l’autorizzazione di cui all’art. 84 disp. att. c.p.c..

La mancata verbalizzazione nella forma del discorso diretto, a dif-ferenza di quanto ritenuto in tema di giuramento decisorio (Cass. n.5251/86), non produce tout court la nullità dell’atto, che va invece valu-tata sulla base del principio del raggiungimento dello scopo.

Generalmente si ritiene che il giudice possa omettere la verbaliz-

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zazione delle dichiarazioni assolutamente inconferenti o comunqueinsignificanti, ma vi sono in dottrina voci contrarie che sostengono lanecessità di una verbalizzazione integrale.

Controversa è, infine, la questione se la verbalizzazione delle ri-sposte del teste possano o meno essere limitate alla locuzione “e vero”o “non e vero”. Secondo la Corte di Cassazione n. 2961/52 una depo-sizione di tal fatta è nulla, mentre ad avviso di Corte di Cassazione n.138/51 la mera conferma del capitolo è pienamente ammissibile e noninficia la validità della testimonianza. Tale secondo orientamento tro-va giustificazione nel fatto che la legge non prevede alcuna specificasanzione per la forma di verbalizzazione in questione.

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