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i‘ Foto di Paola Carroli Periodico d’informazione culturale a cura della Biblioteca Lercari Quaderno n. 35 – Giugno 2019 Tema: LA MAGIA DELLA SCRITTURA Municipio Genova Bassa Valbisagno Biblioteca G. L. LERCARI Via S. Fruttuoso 74 16143 Genova Email: [email protected]

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Foto di Paola Carroli

Periodico d’informazione culturale a cura della Biblioteca Lercari Quaderno n. 35 – Giugno 2019

Tema: LA MAGIA DELLA SCRITTURA

Municipio Genova Bassa Valbisagno

Biblioteca G. L. LERCARI Via S. Fruttuoso 74 16143 Genova Email: [email protected]

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INDICE

Renato de Luca Prefazione 5

Clara Crovetto Limerick 6

Renato de Luca La magia della scrittura 7 Ugo Soliani Magica mattina 10

Nave pirata 12

Carlo Frittoli Il volo delle Campane 13 Giuseppe Guccione La magia della scrittura 17

Giuseppina Sorbello Parole 19

Marco Marzagalli Draghi e maghi di periferia 20 Enrica Vacca L’amicizia 24

Milena Dozzo Da Clara 26

Haiku 27 Lucia Tencaioli Parole sospese 28

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Prefazione

(di Renato de Luca)

In occasione di questo nostro ultimo componimento e per il significato del tema “La magia della scrittura,” ho voluto calarmi profondamente in quest’arte affascinante e necessaria: ho cosi riesumato in stesura di brutta, quella specie di calamo, modernizzato a pennino, di quegl’anni ‘50: pre-biro. Sì, ho voluto rievocare il graffio sulla carta di quell’arzigogolo di metallo alimentato nel calamaio, a seguire nel silenzio cadenzato dei dettati, la voce del maestro; cosi da millenni, ad iniziarsi nuovi scriba: la scrittura resta! “Verba volant, scripta manent”. Non è per il modo; vuoi la forma cuneiforme, cirillica ecc… ma l’artifizio del far conoscere ad altri ed oltre il nostro tempo, quel prodotto di meninge, singolare, dove rileggendo puoi scoprire un carattere, un umore, un’intelligenza: quella particolarità distinta, in sintesi che ci specifica. Noi in questo nostro gioco di pensiero—pensato con calma, quel: “Ti dico di me” da trovare forse in futuro, per caso; di come il nostro esistere s’è dichiarato, dal segno cuneiforme a “Smartphone.”

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CLARA CROVETTO Limerick

C’era un bel pescatore di Cefalù che non smetteva mai di dare del tu un dì magicamente scrisse un verso indirizzato agli dei dell’universo quel poetofilo maghetto di Cefalù

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RENATO DE LUCA La Magia della Scrittura

Il mio Re è un eroe, si chiama Enmerkar, io Kelil soltanto un messaggero. “Signore, gli uccelli nel cielo e stupor di natura mi ruban le frasi e tu stesso non farti torrente di voci, coi messaggi che devo ripetere, corro veloce, ma Aratta è lontana ed il suo Re Ensukesdamna pone interrogazioni su cose che non so ripetere e per strada la mia mente si perde.” “Tornerai domani prima dell’alba e con mente fresca” mi disse. Enmerkar, Re di Uruk, salì sulla terrazza del tempio in costruzione alla Dea Eanna, la città stava crescendo a dismisura e l’Eufrate le scorreva ancora uguale sulla riva sinistra, come ai tempi di suo padre, il grande Meskiaggaser, che l’aveva iniziata: il tempio alla Dea era terminato nella sua struttura murale, ma gli abbellimenti in oro, argento e gemme, quelli non li aveva bastanti, tutti quei tesori erano invece in abbondanza in quel regno vicino di Ensukesdamna: per quello mandava il suo emissario con messaggi a che s’assoggettasse a lui molto più potente. Perché spargere sangue? Ai piedi della Ziqqurat (tempio a terrazze) stavano accatastati i mattoni di risulta avanzati ed una fila di schiavi li stava trasportando ad un nuovo cantiere e però una piccola rimanenza d’argilla, ancora molle, stava in poltiglia abbandonata dai rimestatori e adesso in uso di gioco per alcuni bambini; qualcuno dava forma ad un animale, un altro ne lanciava manciate ai compagni, per poi tutti quanti bagnarsi nel fiume, ma uno, no; lui, il solitario, aveva allineato sopra una tavola delle formelle in fattura quadra e piuttosto sottili; noi

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arrivato ad una certa quantità, era tornato alla prima e stava facendole sopra dei segni. Il Re s’incuriosì e scese nel suo vagare in incognito a vedere; il ragazzetto, sui tredici anni, aveva inciso su quelle paste di mattoni, che il sole rinseccava, una serie in sequenza di figure e segni, rivelandone una rappresentazione statica del presente; nella prima, un cerchio e una capra contornata di cinque segni, un’altra con tempio e lavorazioni, poi fiume e mercato, ancora due linee affiancate con due estremità a gancio ed altre immagini. Enmerkar si pose dietro silenzioso, incuriosito. “Che fai?” chiese. Lui si spostò di lato e disse: “Vedi quelle cinque capre, corrispondono a queste righe, precedute da una loro immagine, hanno bevuto l’acqua ed il pastore le conduce al pascolo. Mio padre é l’intendente della costruzione e vuol sapere quanto materiale si consuma e quanto si produce, quindi con una di quelle verghe si misura in verticale l’altezza ed in orizzontale la larghezza della forma, mentre con la lunga contata due volte sulla sua estensione si riporta la quantità certa senza errori di quanto gli operai devono posizionare nella costruzione in un giorno, però questo non è ancora sufficiente, dice che sta producendo un modo in cui dei segni composti produrranno parole e frasi, come i rumori il suono”. Forse il ragazzo non lo aveva nemmeno guardato, tanto era preso dalle sue composizioni. Il Re dopo la visita al tempio e quelle parole al giovane riprese la strada di ritorno a palazzo; i sei militi della guardia che lo accompagnavano li teneva ad una certa distanza, come fosse una ronda a sé e per sentirsi libero; qualcosa del ragazzo lo avevano interessato ed anche turbato; ora la bella strada lastricata di roccia liscia per dono di natura continuava per un lungo tratto, fin dove era costruita la sua dimora e però, su quei suoi ultimi passi, un sentiero alberato svoltava in discesa verso

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l’Eufrate, così che mentre la testa assorta pensava, lasciò ai piedi il diritto di condurlo ed allora in sequenza si trovò seduto alla riva e lanciò un sasso, poi un altro. Il rumore del tonfo; “No! Suono” aveva detto il ragazzo. Poco più in là sul fiume era stato allargato l’emissario del lago retrostante, divenendo quindi porto della città, ad una ad una le imbarcazioni dei traffici, della pesca, del commercio ed ogni spostamento di plebi, sull’ora del tramonto gli sfilavano davanti e vi si andavano ad ormeggiare; presa una pietra appuntita, le stava segnando sulla roccia, una barca una linea, più grossa, forma e linea più lunga; avrebbe messo qualcuno a registrarne i traffici. L’indomani ne avrebbe parlato a Kelil il suo messaggero e magari fatto venire il padre ed il ragazzo ed ancora qualche altro col dono delle invenzioni, ora sapeva, ne era certo, che le parole delle feste, nelle libagioni potevano sperdersi, allargarsi nell’aria come il fumo, invece quelle delle leggi, quelle ferme che non mutano, quelle dei nomi lasciati ai posteri, la storia, quella, doveva tramandarsi. “Meskiaggaser mio padre, non sarà solo un mio ricordo, perché i segni incisi fermati nel tempo sono l’immortalità.” Iniziò così la scrittura all’incirca nel 3100 A.C. col popolo dei Sumeri, che su tavolette d’argilla chiamate “DUB” tracciarono i primi segni tramandabili. Enmerkar ebbe figlio Lugalbanda che generò Gilgamesh, da cui nacque il primo poema della storia, insieme all’amico Enkidu, sulle gesta di Utnapishtim, l’immortale eroe del diluvio universale. Il primo messaggio scritto risulta comunque quello di Enmerkar ad Ensukesdamna, Re persiano di Aratta, a cui sottrasse regno, popolo e tesori.

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UGO SOLIANI Magica mattina

S’era svegliato presto, quella mattina, Ugo. Le gambe sembravano elettrizzate e si muovevano nel letto frenetiche. Era meglio alzarsi e fare qualche cosa. Per prima, s’affacciò dal poggiolo a guardare il mare, suo amore fin da bambino, quando avrebbe voluto navigare, per visitare i mari del sud, dove immaginava vivere, esaltanti avventure, come quelle che aveva letto nei libri da ragazzi. Verso Portofino, il cielo era opalescente, come del resto, tutto attorno. Era quel paesaggio di fiaba che gli dava una carica al morale, tale da permettergli di fare qualunque cosa. Usufruendo di tale energia, andò in cucina e mise sul fuoco la moca per fare il caffè, lo bevve in una “cicchetta”, bianca dentro e nera fuori, spessa e pesante. Gli venne in mente, allora, il servizio di tazzine (non sapeva, se fossero cinesi o giapponesi) che la mamma teneva in gran considerazione. Erano leggere, di una porcellana tanto fine che sembravano trasparenti. In una di quelle avrebbe voluto bere, come quando bambino, gli facevano assaggiare, un po’ d’acqua zuccherata, macchiata con un po’ di caffè, per farlo contento, (perché la caffeina fa male). Ecco che un’alba di fiaba, la rievocazione di una tazzina e un foglio e una penna dimenticati sul tavolo che facevano ricordare i compiti fatti proprio lì su quel tavolino, hanno fatto fare capolino al fanciullo, non ancora scordato. Saltava sempre fuori, quando giocava col gatto, quando a passeggio incontrava una vetrina di giocattoli, quando scendeva le scale fingendo di saltellare, perfino quando era solo, immaginava di essere state rapito da degli alieni ai quali doveva dimostrare di essere civile, con gesti appropriati, non un animale galattico per il loro zoo. Pensando a tutto questo,

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s’era dimenticato di vestirsi, era ancora in pigiama. A ben pensarci non era in pigiama Peter Pan, quando volando dalla finestra, andava ad incontrare Capitan Uncino? Capitan Uncino il pirata? Non che fosse tanto chiara questa storia, nel suo cervello di vecchio, ma la parola PIRATA, gli piaceva e scoppiando nella sua testa, come un fuoco d’artificio, provocò tante scintille, che non sapeva quale scegliere per prima. Fra tutte le idee, scelse quella di fingersi pirata e conquistare tanti galeoni, “metafora di belle fanciulle”. Pirata? Vatti a nascondere pirata! Cosa vuoi catturare se al posto della scimitarra hai un bastone per non cadere. Il tuo galeone, è ormai in porto, non naviga più, ha le vele flosce, i cannoni arrugginiti, le polveri bagnate e la bandiera nera è sbiadita. Non pensare ad ardimentose battaglie, ma fai quello che puoi mediocremente imbastire, una poesia, che con la magia della scrittura parli della tua nave pirata in disarmo,senza farti troppo male.

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UGO SOLIANI Nave pirata

Penzola, inerte, il drappo nero, dalla cima dell’albero maestro. Vetusto vascello, con i pennoni in bando, senza vele, vorrebbe ancor prendere il largo e predare ma la tranquillità del porto e l’ancoraggio sicuro, sconsigliano arrembaggi. Il teschio, simbolo di battaglia, nascosto tra le pieghe, del vessillo afflosciato, non aizza più il filibustiere che può solo vagare col sogno, bambino occulto, alla ricerca dell’isola che non c'è. Scrutare, dall'alto della coffa, sul mare più calmo e sereno che c'é, per scorgere, ancora, un possibile galeone carico di tesori da carpire per rabboccare, almeno col pensiero, la scarsa stiva, un dì copiosa di amorevoli gioie.

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CARLO FRITTOLI Il volo delle Campane

" Papà, sono nate prima le campane o i campanili ? " Ecco il genere di domande che un genitore non vorrebbe mai sentirsi fare dal figlio. Ma in questo caso, il padre se l'era proprio cercata... Aveva portato il bambino in un paesino sperduto con una chiesetta, due campanili (uno al suo posto, di fianco alla navata, e l'altro poco più in là, forse un'antica torre civica) e lo spiazzo dove facevano bella mostra di sé tre antiche campane istoriate. Perciò si era prodigato a parlar di campane, campanari e campanili, con quel pizzico di onniscienza che ogni padre lascia trapelare verso i figli. Una domanda così era lecita, dunque, ma fu colto di sorpresa e non riuscì a dissimulare un goffo senso di ignoranza. Prese a farfugliare mezze parole, intervallate da lunghissimi puntini di sospensione, e già stava per gettare la spugna, quando " Le campane, non lo sai? " A parlare era stato un anziano signore su una panchina, uno di quei vecchietti che si incontrano nelle piazzette dei borghi come se non avessero fatto altro nella vita che stare sempre esattamente lì. " C'è una storia molto bella sulle campane: la conosci? " Al diniego del fanciullo, prese a snocciolare il suo racconto. Questa storia dimostra quanto siamo ingenui noi uomini, a pensare che le cose vadano sempre e solo nella direzione che intendiamo noi. Molti e molti anni fa si costruivano magnifiche campane ma, non esistendo ancora i campanili, si piazzavano dove capitava. I campanari erano abili, ma una campana ad altezza d'uomo non può certo farsi udire come quella posta in cima a una torre di trenta metri! Perciò ogni campana suonava per così dire in sordina, per gli abitanti di poche case.

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Allora le campane erano tantissime: alcune imponenti, altre snelle e dal suono più limpido, e i campanacci delle mucche, i campanelli di pecore e capre, i campanellini dei bimbi... non c'era una campana che non riuscisse a sentirne un'altra. Se una suonava, le altre l'ascoltavano e rispondevano; quella che a noi uomini pareva una semplice successione di suoni, diventava per loro un messaggio preciso, un linguaggio. " Il campanese? " azzardò il bimbo, incuriosito dalla storia. Sì, potremmo proprio chiamarlo il "campanese"... fatto di note, toni e semitoni, allietava il cuore delle persone e permetteva alle campane di parlarsi, scambiarsi impressioni, sentirsi vicine. Furono le campane più grandi, dal suono grave e possente, ad avviare la protesta: "Non è giusto che la nostra voce, che potrebbe librarsi nell'aria, arrivare lontano e stupire migliaia di persone, debba restare così bassa, distante dal cielo." Capisci, ragazzo, le note di una campana grande sono pesanti, fanno fatica a salire: ondeggiano potenti e decise, ma poi ricadono al suolo. Così cominciò il "passacampana". " Il passacampana? " Il passaparola delle campane! La prima lanciava il messaggio alla vicina, questa lo discuteva con lei e poi lo trasmetteva alla successiva, e così via. Ci vollero mesi, ma alla fine furono pronte. Il piano era semplice: nella prima notte di luna piena, fra la primavera e l'estate, tutte le campane sarebbero volate via insieme, sulle pendici dei monti, su su verso gli alti boschi, dove abitano gli alberi grandi... E così fu. La notte prestabilita, ognuna si librò nell'aria e insieme traversarono il cielo. Oh, se avessi visto la scena... una lunga sequenza di "U" capovolte, una processione spontanea che si stagliava contro il disco opalino della luna. Faceva una certa impressione vedere le campane più grandi, da vari quintali, volare leggiadre, circondate da una miriade di campanacci, campanelli e campanellini. Fu il viaggio più festoso di sempre, perché in volo scampanavano felici, e il suono si librava sino ai confini del cielo, rimbalzava contro la volta e ricadeva soave su tutta la terra, in una pioggia di note argentine e dorate.

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Gli uomini si svegliarono in mezzo alla notte incantata, destati da quella musica celeste. Non potevano credere ai propri occhi: chi ha lasciato libere le campane? dove staranno volando? All'alba cadde il silenzio e il sole sorgente vide i primi gruppi di persone sui sentieri che risalivano ai monti. Fu qui che avvenne il miracolo: le note che le campane avevano lanciato nel cuore della notte, posandosi dolcemente sui prati, erano sbocciate in migliaia di fiori sgargianti, tremuli e delicati. Per la prima volta dall'inizio dei tempi, il mondo vide nascere campanelle e campanule, ricordo di quel magico volo! Frattanto le campane, stremate, si erano posate sulle cime degli alberi, ma quando videro in lontananza la gente in cammino trovarono le forze per riprendere a suonare: le loro voci, partendo da così in alto, si diffusero per chilometri e gli uomini si stupivano di ascoltarle da tanto lontano. Infine le recuperarono per ricondurle ai paesi. Nel ritorno, discutendo l'accaduto, finalmente compresero che non aveva senso tenere le campane in basso, e decisero di costruire alte torri slanciate tutte per loro. Così nacquero i campanili. Il bambino non parve entusiasta della storia, e il vecchio lo sollecitò: Allora, ti è piaciuta? " Tu l'hai visto, il volo delle campane? " No di certo, è accaduto secoli fa... " E allora come fai a sapere che è vero? " E' una storia molto antica, la raccontava mio nonno, il nonno di mio nonno, e il nonno del nonno di mio nonno... " Ne raccontano di storie! Se dovessimo credere a tutto quello che dice la gente... Papà, papà, andiamo ? " Il bambino scosse la testa e allungò la mano al genitore. Si avviarono lungo il viottolo che scendeva al posteggio; camminavano leggeri, ridacchiando fra loro a voce bassa, forse commentavano ciò che avevano appena sentito, forse compativano un anziano visionario parcheggiato lì da una vita a ripetere storie impossibili.

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Il vecchio non ci rimase male, dopo tutto se l'aspettava; ripensò al bambino e un mezzo sorriso gli sbocciò sulla bocca. Poverino, non sei ancora abbastanza vecchio per scegliere di credere. Alla tua età i bambini sono scientifici, vogliono toccare le cose, credono solo a ciò che vedono. Fiabe e leggende sono un lusso che solo noi vecchi possiamo permetterci. Io, grazie al cielo, di anni ne ho contati parecchi, di cose ne ho viste abbastanza... Ora posso tranquillamente credere a quel che desidero: se una storia mi affascina, che importa se sia vera o inventata? Che senso ha il "vero", è forse un titolo di merito, aggiunge bellezza al racconto? Oggi come oggi, se Napoleone sia realmente esistito o sia un personaggio di fantasia, cambia forse qualcosa? La storia invecchia prima della leggenda, perché i bagliori sui libri di storia li tracciano i singoli, mentre i miti sono figli dei molti. E allora, piccolo amico, non pretendere la verità, non cercare conferme al tuo intorno: è dentro te stesso che devi guardare, tu solo puoi scegliere quello in cui credere. Il bello è più essenziale del vero.

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GIUSEPPE GUCCIONE La magia della scrittura

Credo che fosse il 1970. il mio amico Riccardo era convinto che la scrittura dovesse essere pervasa dallo spleen, un atteggiamento malinconico, sentimentale con umore nero e forse con un pizzico di noia, come avveniva in alcuni scrittori inglesi, Manuel con la sua aria trasognata credeva che l’ispirazione dovesse essere solo spirituale, lontana dall’attenzione che poniamo al mondo che ci circonda. Contrastava con lui Rinaldo, un po’ fanatico, trovava che le sue affermazioni erano un inganno, le aggressioni, la morte lo elettrizzavano ed erano le forze che stimolavano nella realtà la pulsione a scrivere. Francesco da buon conformista gestiva Il Cenacolo ed obbediva alle regole, chi trasgrediva andava emarginato. Infatti Antonio che conosceva la verità era destinato ad essere estromesso. Giuliano, affezionato all’amore credeva che solo la passione potesse spingere a scrivere. Carlo reputava espressiva la forma, gradevole nell’esposizione che supera i concetti. Giovanni navigava nelle allusioni e nei doppi sensi. Manuel ribadiva che scrivere e una missione come una religione personale. Rinaldo diceva che erano stupidaggini e che Manuel parlava a vanvera. Riteneva che fosse disturbato. Perché delle persone cosi diverse si riunissero restava quasi un mistero. sembrava non avessero niente in comune. Allora avveniva che Licia. la poetessa, di volta in volta, porgeva la sua ammirazione ai vari componimenti dei protagonisti del circolo ma fuori dalla riunione, con la sua amica Elda, faceva piovere critiche senza limiti mostrando che era mossa da invidia come un Giano bifronte che nasconde la sua doppiezza. Giuliano infine citava un pensiero che non sapeva se fosse veramente suo: La poesia, per ritrovare

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l’incanto di momenti in cui ritorna lo stupore di fronte alla sottile trasparenza dell’alba, al soffuso cadere delle prime ombre serali e nella poesia il riscatto da un vivere assurdo, l’uomo con la poesia non è più solo è al centro del mondo tra tutti gli altri uomini. La poesia rende generali idee e sentimenti che sono di un solo individuo e all’individuo la poesia dà la possibilità di uscire dall’isolamento in uno spazio in un tempo limitato per farsi universale. Ma era veramente farina del suo sacco?

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GIUSEPPINA SORBELLO Parole

Una parola dopo l’altra una virgola e un punto. E così ti parlo mentre attraverso ponti di carta lastricati di segni e frammenti di storie che svelano inquietudini e illusioni. Un’improvvisa lama di luce attraversa la strada d’oro e parole nuove e di speranza riaccendono i sogni. Ora le nostre voci si rincorrono sulla carta tumultuose e felici e torniamo a vivere. Maggio 2019

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MARCO MARZAGALLI Draghi e maghi di periferia (La vera storia di C.G.)

Quando qualcuno riesce a esprimere davvero bene i propri pensieri e a descrivere appieno il proprio stato d’animo, si dice che possieda un talento naturale, un dono divino. O in altre parole, così ci nasce qualunque possano essere le sue origini. Queste erano le doti che possedeva Gino, un ragazzo di un vecchio quartiere di periferia, figlio di povera gente, appartenente alla classe operaia tanto numerosa in quella parte di città. Fin da bambino, alle elementari, i suoi pensierini erano pieni di riflessioni profonde, lo diceva persino la maestra. A Natale, le sue letterine non chiedevano soltanto delle cose, dei regali (che tanto ce ne erano pochi), ma esprimevano auspici lungimiranti, toccavano il cuore e la sensibilità della gente. Capitava così che molti pendessero dalle sue labbra, metaforicamente parlando perché le sue parole verbali non erano di certo all’altezza di quelle scritte, ma tanto bastava perché tutti si aspettassero da lui i pensieri più acuti e profondi che, tradotti in ardenti espressioni letterarie, illuminavano la mente delle persone. Per taluni, questo ragazzo era assolutamente un portento. Come accade spesso per tutte le peculiarità innate, queste doti non si affievolirono col tempo. Anzi, più tempo passava, più Gino diventava bravo. Nell’adolescenza, si sa, i maschi iniziano a rapportarsi con l’altro sesso, subiscono le prime tempeste ormonali, provano i primi pruriti, cercando con ogni mezzo di conquistare una preda. Uno fra i tanti modi per far colpo su una ragazza, era

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quello di far circolare tra i banchi delle letterine in cui il mittente confessava alla sua agognata destinataria tutta la passione che nutriva per lei. Non esistevano gli smartphone, gli sms, WhatsApp o quel tipo di diavolerie con cui comunicano i giovani d’oggi. Bisognava prendere un foglio di carta e preparare una bella missiva. E chi poteva farlo meglio di Gino? Tutti i compagni di scuola si rivolsero a lui per un’adeguata consulenza letteraria. I biglietti non erano quasi mai firmati, erano accompagnati da sguardi ammiccanti, sorrisi complici o semplici gesti che dovevano suggerire la provenienza del messaggio. Certo c’era sempre il rischio che la lettera finisse in mani sbagliate, che si potesse essere presi in giro dal resto della classe e venir additati al pubblico ludibrio. Ma in fin dei conti il gioco valeva bene la candela. Le frasi di Gino erano le più brillanti espressioni d’amore che si potessero immaginare, qualcosa di simile a “il bacio è un apostrofo roseo tra le parole t’amo” (Rostand) o “c’è solo una felicità nella vita: amare ed essere amati” (George Sand) o “l’amore è vaporosa nebbiolina formata dai sospiri” (Shakespeare) o “quando tu mi guardi, quando pensi a me, io mi sento in paradiso” (Thackeray). Anche se non usava proprio le stesse parole, il concetto era lo stesso. I suoi punti di riferimento erano così alti perché nel frattempo aveva dedicato moltissimo tempo alla lettura. Perciò Rostand, Shakespeare, Thackeray o altri avrebbero potuto essergli stati d’ispirazione. Insomma si sentiva come un Cyrano, un messaggero d’amore, un cupido pronto a scoccar le sue frecce. Aveva una missione e cercava di farla al meglio. Qualcuno diceva ironicamente che era un bel ruffiano. Per tutto questo Gino aveva il suo tornaconto. Dapprima quel che esigeva in cambio erano cose spicciole, piccoli beni di

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consumo come cappuccino e brioche o krapfen alla panna o un bel cono gelato, si accontentava di poco. In seguito prese a farsi pagare in contanti stilando un vero e proprio tariffario: prezzi onesti ma ovviamente esentasse. Scriveva lettere per far innamorare ma pure per far ingelosire, producendo tresche o intrighi d’ogni sorta. Tra i vantaggi che poteva trarne, c’era inoltre la possibilità che le ragazze coinvolte finissero per scoprire il giochetto e si innamorassero di lui, il vero autore delle missive. Peccato però che il suo charme non fosse all’altezza della sua eloquenza. Si capisce adesso perché la sua vita cominciò a prendere pian piano una brutta piega. Ormai sapeva vivere solo d’espedienti. Giungendo alla maturità, fu plagiato dalle brutte compagnie, precipitò in uno stato di cose dove la legalità era marginale. E al margine della società benpensante vivevano lui e i suoi compari. I loro coetanei andavano in fabbrica, alcuni continuavano a studiare (per far ché? pensava Gino), i più fortunati trovavano un impiego stabile, figli di papà non ce n’erano proprio. A Gino non rimaneva altro che sfruttare la ben nota arte di arrangiarsi. Per far questo bastava approfittarsi della dabbenaggine altrui, ingannare, raggirare, cose che peraltro lui aveva sempre fatto. Si ricorreva al furtarello o all’appropriazione indebita. Ladri di biciclette o motorette. Sia beninteso, anche queste faccende le sapeva sbrigare con una certa classe. Era quel che si dice un ladruncolo raffinato. Lui e la sua banda avevano delle regole da rispettare: mai agire nei dintorni dov’erano conosciuti, i loro obiettivi erano altrove, nei quartieri altolocati. Si attenevano al motto “rubare ai ricchi per donare ai poveri”, dove i poveri erano loro stessi, naturalmente. Gli amici lo chiamavano l’Arsenio Lupin del quartiere, Gino era un vero e proprio drago nel suo mestiere.

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Non abbastanza però quando la polizia lo sorprese in un appartamento mentre sfogliava e leggeva dei libri. In quella casa di gente facoltosa c’era una libreria davvero ben fornita. Gino aveva trovato delle edizioni preziose, di autori che neppure conosceva. Troppo forte era stato il richiamo di quelle pagine così ben scritte. A tal punto che, mentre il resto della banda era fuggito col bottino di denaro contante e oggetti di valore, lui si era attardato per consultare quell’inestimabile tesoro di natura letteraria. Grazie al fatto che fosse ancora incensurato e in virtù di altre circostanze attenuanti, fu condannato a una pena di sei mesi da scontare nelle patrie galere. Comunque, quel periodo lo trascorse in relativa tranquillità. Di libri ne aveva quanti ne voleva. Aveva pur sempre il pallino per la scrittura. Se doveva dire qualcosa a qualcuno, gli scriveva una lettera, lunga e appassionata. I suoi racconti erano incredibili, non sembravano provenire dalle mura di un carcere ma da paesi lontani: esotici come i Caraibi, misteriosi come l’India, inesplorati come l’Africa nera, inestricabili come il Mato Grosso, paradisiaci come la Polinesia. Così, mentre leggevano quelle pagine indimenticabili, gli amici del bar sottocasa dicevano in coro che quel ragazzo era veramente un mago. Il suo nome era Cerutti Gino…

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ENRICA VACCA L’amicizia

A proposito della magia della scrittura, io vorrei fare una riflessione sull’amicizia. Quando incontriamo un amico, anche dopo anni, è come se lo avessimo lasciato un momento prima. Riprendiamo la conversazione come se fosse un dialogo interrotto, non è la prosecuzione di quella conversazione. L’argomento è diverso. Noi siamo cambiati, i nostri problemi sono cambiati. Ciononostante abbiamo l’impressione di continuare ciò che stavamo facendo. Come se non ci fosse affatto stato un intervallo, come se non fosse passato il tempo. È un fenomeno sconcertante. Non c’è nulla di simile nella nostra esperienza quotidiana. Una persona ci è nota se ci è nota la sua storia in ogni singolo momento. Per lo stesso motivo quando parliamo con un nostro conoscente, gli domandiamo che programmi ha, per esempio, per l’estate: “Dove va in vacanza?” La domanda sul futuro è il complemento di quella sul passato: “Dove siete stati quest’inverno? Come avete passato il Natale?” Se il nostro grado di confidenza è scarso e non sappiamo di cosa parlare, parleremo del tempo. Invece due amici che si incontrano anche dopo molti anni, non si chiedono niente. Non si subissano di domande per sapere che cosa hanno fatto, per ricostruire giorno dopo giorno il passato. Gli amici non si incontrano per costruire una nuova entità collettiva che li trascende. Non si devono modificare reciprocamente. Ciascuno segue la sua traiettoria vitale, il suo

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personale destino. Cerca la sua fortuna, cerca il suo amore. L’amico gli è accanto in questa ricerca, sta dalla sua parte, lo aiuta, ma non è l’oggetto della ricerca. Quando incontriamo un amico che è innamorato, noi lo comprendiamo, ci caliamo dentro la sua tensione del tempo, ma poi ne usciamo. Staccandoci dal suo punto di vista lo aiutiamo a staccarsene. Gli diamo così la possibilità di vedersi dall’esterno e di utilizzare il frammento di conoscenza che gli serve. Anche quando ci racconta la sua esperienza, l’amico non vuole dirigerci, vuol solo fornirci le informazioni che possono essere utili per risolvere il nostro problema.

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MILENA DOZZO Da Clara (cronaca di una gita a venire)

È una bella mattina di fine giugno. Il sole non è ancora alto, ma già scalda quel tanto per far desiderare una lenta immersione nell'acqua che frange in mezzo alla ghiaietta del bagnasciuga. Nella Stazione di Genova Brignole c'è un brulicare di persone, le più variegate. Nei loro movimenti, sui loro visi sudati si legge il desiderio... il desiderio di tuffarsi in quelle "fresche e dolci acque" come dice il Poeta!!! ... fresche sì ... dolci mah!? Parole, musica, poesia. Sul marciapiede di partenza del treno per Sestri Levante c'è un gruppetto di Poeti che, diretti a Zoagli, spera, oltre a rinfrescarsi il corpo, di andare a rinfrescarsi la mente per dar vita, con rime baciate e non, ad affreschi surreali, amori platonici e passionali, tristezze, nostalgie, ricordi e sogni. Il mare è là azzurro e calmo, li aspetta ma li sorprende con la sua spiaggia variopinta a coprire la ghiaietta e ad accogliere corpi lucidi di creme e sudore. Delusi i Poeti ripongono i quaderni e le matite. "Che peccato" dicono i loro sguardi. "Noi ci aspettavamo una spiaggia deserta e silenziosa; volevamo sentire il respiro del mare e vedere il volo dei gabbiani!" Un breve silenzio... poi uno dei Poeti, per l'esattezza una poetessa, dice: in questa umanità, che finalmente riposa, c'è poesia... e la matita scivola veloce sul foglio bianco.

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MILENA DOZZO Haiku

Gambe al sole Capelli spettinati Dolce quiete

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LUCIA TENCAIOLI Parole sospese

Le parole sospese, catturate dal vento, tu non le vuoi sentire nel canto triste della sera. Le mie frasi d’amore, sussurrate in tenera poesia, non le vuoi ascoltare e una musica forte le sovrasta. Ma non voglio disperderle, sospese nel sentimento, che s’annida ancora e le regalo al foglio, a queste righe, che le tengano strette nell’attesa che i tuoi sguardi ritornino a cercarle, negli arabeschi magici creati dalla scrittura per fermare il tempo.

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QUADERNI PRECEDENTI Quaderno n. 1 – La terra di Liguria (Maggio 2008) Quaderno n. 2 – Passioni ed incontri Quaderno n. 3 – Festività, tradizioni e personaggi liguri Quaderno n. 4 – Una frase che non ho detto o che ho letto Quaderno n. 5 – I quattro elementi Quaderno n. 6 – Il sogno Quaderno n. 7 – Degli affetti Quaderno n. 8 – Il viaggio Quaderno n. 9 – Il lavoro Quaderno n. 10 – Una strada, una piazza, un vicolo Quaderno n. 11 – Seguire il cuore o la ragione? Quaderno n. 12 – La bellezza Quaderno n. 13 – La fratellanza Quaderno n. 14 – Gli animali Quaderno n. 15 – Romanticismo Quaderno n. 16 – Storie in un altro tempo Quaderno n. 17 – Felicità e tristezza Quaderno n. 18 – La mia città Quaderno n. 19 – La pioggia Quaderno n. 20 – C’era una volta Quaderno n. 21 – Inverno Quaderno n. 22 – Musica Quaderno n. 23 – Il mare Quaderno n. 24 – Autunno Quaderno n. 25 – Un’immagine Quaderno n. 26 – La natura Quaderno n. 27 – Il cibo Quaderno n. 28 – Dedicato a… Quaderno n. 29 – Il silenzio Quaderno n. 30 – Insieme Quaderno n. 31 – La follia Quaderno n. 32 – L’attesa Quaderno n. 33 – Il caffè Quaderno n. 34 – La notte

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Essendo la nostra un’Associazione Culturale libera e indi-pendente, ciascun autore si assume la sola e piena responsa-bilità delle opinioni politiche, religiose e, in generale, delle posizioni etiche e sociali contenute nei propri testi.

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RINGRAZIAMENTI Un grazie sincero da parte di tutti gli scrittori di “Alba Letteraria” va allo staff della biblioteca Lercari e al Municipio Bassa Val Bisagno che hanno sostenuto e finanziato il presente opuscolo.

Gruppo culturale Alba Letteraria

http//:www.albaletteraria.beepworld.it

Per informazioni: Gruppo Culturale Alba Letteraria c/o Villa Imperiale - Biblioteca L. G. Lercari L’impaginazione del presente opuscolo è curata da: Marco Marzagalli - [email protected] Curatori del sito web: Paola Maria Carròli Marco Marzagalli - [email protected]