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n. 3, maggio-giugno 2010

uadernidel Ministero

della aluteQS

Ministro del la Salute: Ferruccio Fazio

Direttore Scientif ico : Giovanni Simonett iDirettore Responsabi le : Paolo Casolar iDirettore Editor iale: Daniela Rodorigo

Vicedirettore esecutivo: Ennio Di Paolo

Comitato di DirezioneFrancesca Basilico (con funzioni di coordinamento); Massimo Aquili (Direttore Ufficio V Direzione Generale Comunicazione e Relazioni Istituzionali);Silvio Borrello (Direttore Generale Sicurezza degli Alimenti e della Nutrizione); Massimo Casciello (Direttore Generale Ricerca Scientifica e Tecnologica);Giuseppe Celotto (Direttore Generale Personale, Organizzazione e Bilancio); Claudio De Giuli (Capo Dipartimento Prevenzione e Comunicazione);Marta Di Gennaro (Capo Dipartimento Innovazione); Gaetana Ferri (Direttore Generale Sanità Animale e del Farmaco Veterinario); Giovanni Leonardi(Direttore Generale Risorse Umane e Professioni Sanitarie); Romano Marabelli (Capo Dipartimento Sanità Pubblica Veterinaria, Nutrizione e Sicurezzadegli Alimenti); Concetta Mirisola (Segretario Generale del Consiglio Superiore di Sanità); Fabrizio Oleari (Direttore Generale Prevenzione Sanitaria);Filippo Palumbo (Capo Dipartimento Qualità); Daniela Rodorigo (Direttore Generale della Comunicazione e Relazioni Istituzionali); Giuseppe Ruocco(Direzione Generale Farmaci e Dispositivi Medici); Francesco Schiavone (Direttore Ufficio II Direzione Generale Comunicazione e Relazioni Istituzionali);Rossana Ugenti (Direttore Generale Sistema Informativo); Giuseppe Viggiano (Direttore Generale Rappresentante del Ministero presso la SISAC)

Comitato Scientif icoGiampaolo Biti (Direttore del Dipartimento di Oncologia e Radioterapia dell'Università di Firenze); Alessandro Boccanelli (Direttore del Dipartimentodell’Apparato Cardiocircolatorio dell’Azienda Ospedaliera S. Giovanni Addolorata – Roma); Lucio Capurso (Presidente del Consiglio di Indirizzo e Verificadegli Istituti Fisioterapici Ospitalieri – Roma); Francesco Cognetti (Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori ReginaElena Irccs – Roma); Alessandro Del Maschio (Direttore del Dipartimento di Radiologia delI’Ospedale San Raffaele Irccs – Milano); Vincenzo Denaro(Preside delIa Facoltà di Medicina e Chirurgia e Responsabile delI’Unità Operativa Ortopedia e Traumatologia del Policlinico Universitario Campus Biomedico – Roma); Massimo Fini (Direttore Scientifico delI’Irccs S. Raffaele Pisana – Roma); Enrico Garaci (Presidente delI’Istituto Superiore di Sanità– Roma); Enrico Gherlone (Direttore del Servizio di Odontoiatria delI’Ospedale San Raffaele Irccs – Milano); Maria Carla Gilardi (Ordinario di Bioingegneria Elettronica e Informatica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia delI’Università di Milano – Bicocca); Renato Lauro (Rettore dell’Uni-versità Tor Vergata – Roma); Gian Luigi Lenzi (Ordinario di Clinica Neurologica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia delI’Università la Sapienza –Roma); Francesco Antonio Manzoli (Direttore Scientifico delI’Istituto Ortopedico Rizzoli – Bologna); Attilio Maseri (Presidente delIa Fondazione “Peril Tuo cuore - Heart Care Foundation Onlus” per la Lotta alle Malattie Cardiovascolari – Firenze); Maria Cristina Messa (Ordinario del Dipartimento diScienze Chirurgiche presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia delI’Università di Milano – Bicocca); Sergio Ortolani (Coordinatore dell’Unità di Malattiedel Metabolismo Osseo e Reumatologia – Irccs Istituto Auxologico Italiano – Milano); Roberto Passariello (Direttore dell’Istituto di Radiologia – Uni-versità La Sapienza – Roma); Antonio Rotondo (Direttore del Dipartimento di Diagnostica per Immagini – 2a Università di Napoli); Armando Santoro(Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica ed Ematologia – Irccs Istituto Clinico Humanitas – Rozzano, Mi); Antonio Emilio Scala (Preside delIaFacoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Vita/Salute San Raffaele – Milano); Giovanni Simonetti (Direttore del Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Imaging Molecolare, Radioterapia e Radiologia Interventistica del Policlinico Universitario Tor Vergata – Roma); AlbertoZangrillo (Ordinario di Anestesiologia e Rianimazione dell’Università Vita/Salute San Raffaele e Direttore dell’Unità Operativa di Anestesia e RianimazioneCardiochirurgica dell’Ospedale San Raffaele Irccs – Milano)

Comitato di RedazioneMassimo Ausanio, Carla Capitani, Amelia Frattali, Francesca Furiozzi, Milena Maccarini, Carmela Paolillo, Alida Pitzulu, Claudia Spicola(Direzione Generale della Comunicazione e Relazioni Istituzionali del Ministero della Salute), Antonietta Pensiero (Direzione Generale Personale, Organizzazione e Bilancio del Ministero della Salute)

Quaderni del Ministero della Salute© 2010 - Testata di proprietà del Ministero della Salute A cura della Direzione Generale Comunicazione e Relazioni Istituzionali Viale Ribotta 5 - 00144 Roma - www.salute.gov.itConsulenza editoriale e grafica: Wolters Kluwer Health Italy LtdStampa: Poligrafico dello StatoRegistrato dal Tribunale di Roma - Sezione per la Stampa e l'Informazione - al n. 82/2010 del Registro con Decreto del 16 marzo 2010Pubblicazione fuori commercioTutti i diritti sono riservati, compresi quelli di traduzione in altre lingue. Nessuna parte di questa pubblicazione potrà essere riprodotta o trasmessa inqualsiasi forma o per mezzo di apparecchiature elettroniche o meccaniche, compresi fotocopiatura, registrazione o sistemi di archiviazione di informazioni,senza il permesso scritto da parte dell’Editore

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Perché nascono i Quaderni

Uniformare e fissare, nel tempo e nella memoria, i criteri di appropria-tezza del nostro Sistema salute.

È l’ambizioso progetto-obiettivo dei Quaderni del Ministero della Salute, lanuova pubblicazione bimestrale edita dal dicastero e fortemente voluta dalMinistro Ferruccio Fazio per promuovere un processo di armonizzazionenella definizione degli indirizzi guida che nascono, si sviluppano e proce-dono nelle diverse articolazioni del Ministero.I temi trattati, numero per numero, con taglio monografico, affronterannoi campi e le competenze più importanti, ove sia da ricercare e conseguire ladefinizione di standard comuni di lavoro. La novità è nel metodo, inclusivo e olistico, che addensa e unifica i diversicontributi provenienti da organi distinti e consente quindi una verificaunica del criterio, adattabile volta per volta alla communis res. La forma dun-que diventa sostanza, a beneficio di tutti e ciò che è sciolto ora coagula.Ogni monografia della nuova collana è curata e stilata da un ristretto e iden-tificato Gruppo di Lavoro, responsabile della qualità e dell’efficacia deglistudi. Garante dell’elaborazione complessiva è, insieme al Ministro, il pre-stigio dei Comitati di Direzione e Scientifico.Alla pubblicazione è affiancata anche una versione telematica integrale sfo-gliabile in rete ed edita sul portale internet del Ministero www.salute.gov.it;qui è possibile il costante approfondimento dei temi trattati grazie alla sem-plicità del sistema di ricerca e alla scaricabilità dei prodotti editoriali; traquesti spiccano le risultanze dei pubblici convegni mirati che, volta pervolta, accompagnano l’uscita delle monografie nell’incontro con le artico-lazioni territoriali del nostro qualificato Sistema salute.Non ultimo, il profilo assegnato alla Rivista, riconoscibile dall’assenza dipaternità del singolo elaborato, che testimonia la volontà di privilegiare,sempre e comunque, la sintesi di sistema.

Le ragioni di una scelta e gli obiettivi

Giovanni SimonettiDirettore Scientifico

Paolo CasolariDirettore Responsabile

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Appropriatezza diagnostico-terapeuticain oncologia

GRUPPO DI LAVOROSergio Amadori, Giampaolo Biti, Francesco Boccardo, Lucio Capurso,

Antonino Carbone, Francesco Cognetti, Alessandro Del Maschio, Francesco Di Costanzo, Cristina Messa, Fabrizio Oleari, Filippo Palumbo, Ugo Pastorino,

Paolo Pederzoli, Armando Santoro, Giovanni Simonetti, Marco Venturini

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Indice

Prefazione pag. IX

Foreword pag. XI

Sintesi dei contributi pag. XIII

1. Principi generali pag. 1

2. Neoplasie polmonari pag. 5Appendice: Diagnostica per immagini “ 23

3. Neoplasie della mammella pag. 25Appendice: Diagnostica per immagini “ 46

4. Neoplasie della prostata pag. 49Appendice: Diagnostica per immagini “ 70

5. Neoplasie del colon-retto pag. 77Appendice: Diagnostica per immagini “ 98

6. Neoplasie del pancreas pag. 101Appendice: Diagnostica per immagini “ 120

7. Linfomi pag. 123Appendice: Diagnostica per immagini “ 149

Appropriatezzadiagnostico-terapeuticain oncologia

Appropriatezza diagnostico-terapeuticain oncologia

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Prefazione

Il documento “Appropriatezza diagnostico-terapeutica in oncologia” è fina-lizzato alla definizione degli standard diagnostico-terapeutici e assistenziali

nei pazienti con patologia oncologica e oncoematologica. Sono state selezionatesoltanto alcune forme neoplastiche (mammella, polmone, colon-retto, prostata,pancreas, linfomi), che da sole costituiscono, comunque, circa i due terzi dellapatologia oncologica.

Perché tale risalto all’oncologia? I tumori costituiscono la seconda causa di mortenel nostro Paese, dopo le malattie cardiocircolatorie; nel 2010 sono previsti 250.000nuovi casi di tumore, con una prevalenza che si può stimare intorno ai due milionidi casi; inoltre, l’allungamento della vita media della popolazione comporta unprogressivo incremento dell’incidenza di tale patologia. Tutto ciò determina un ri-levante impatto in termini di costi assistenziali e numero di ricoveri ospedalieri,con la conseguente necessità di un’adeguata programmazione sanitaria.

Questo documento vuole costituire, appunto, una “riflessione” sull’utilizzo ottimalesia delle nuove metodiche diagnostiche, sia delle modalità terapeutiche innovative.Infatti, se è indubbio che negli ultimi due decenni si sia assistito a una rivoluzionenella terapia e nella prognosi dei pazienti oncologici, è anche vero che ciò ha com-portato un incremento, talvolta incontrollato, della spesa sanitaria.

Per cercare di uniformare gli standard assistenziali, si è cercato di definire criteridi appropriatezza per la diagnosi, la stadiazione, le modalità terapeutiche, l’ap-proccio per stadio, le modalità di follow-up, cercando così di dare una visioneglobale della gestione del paziente per ogni singola patologia.

L’aspetto dominante nella preparazione del documento è rappresentato dallaricerca della multidisciplinarietà, una “multidisciplinarietà vera” che coinvolgenella decisione diagnostica e terapeutica tutte le figure professionali, dal medicodi medicina generale allo specialista radiologo/medico nucleare, al patologo, alchirurgo, all’oncologo medico, al radioterapista, al terapista del dolore.

Tutto ciò in sintonia con il nuovo Piano Oncologico Nazionale, che prevede una“presa in carico” globale del paziente oncologico da parte del Servizio Sanitario

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Nazionale, associata a un utilizzo ottimale delle modalità diagnostiche e terapeu-tiche. Tale obiettivo è inoltre raggiungibile grazie a un sempre maggiore “sposta-mento” del paziente dal ricovero ospedaliero alla gestione ambulatoriale edomiciliare, obiettivo, tuttavia, che non può essere raggiunto senza una condivisionenella gestione del paziente oncologico fra specialista e medico di medicina generale.

In appendice a ciascun capitolo, dopo aver trattato gli aspetti relativi alla dia-gnosi e alla pianificazione dei trattamenti per le varie neoplasie, si sono pro-spettati alcuni elementi utili per la programmazione e l’organizzazione deiservizi. Tali elementi vanno considerati un suggerimento operativo, predispostosulla base dell’esperienza di qualificati centri clinici, con l’obiettivo di metterea disposizione dei responsabili regionali e aziendali modelli operativi e requisitiorganizzativi, anche di eccellenza, che agevolino la realizzazione dei percorsidi diagnosi e cura prospettati in una logica di rete. Ovviamente spetterà allesingole regioni valutare l’adottabilità di tali modelli e requisiti nella propriaspecifica realtà assistenziale.

È possibile ottenere questo obiettivo? Certamente sì, mediante l’utilizzo di lineeguida condivise, basate sull’appropriatezza delle indicazioni, che evitino sprechie forniscano al paziente standard diagnostici e terapeutici ottimali. È inoltrepossibile estendere questo “metodo” a tutte le patologie oncologiche ed ematon-cologiche, attraverso la creazione di una Rete di Strutture di Eccellenza, secondoil modello statunitense del Comprehensive Cancer Center. Tale Rete consen-tirà l’adeguata allocazione delle risorse, una gestione altamente specialistica deicasi complessi e delle patologie rare, una ricerca clinica sempre più competitivacon l’obiettivo di dare “migliore sanità” con “minori costi”. È una sfida che pre-suppone una corretta programmazione a livello nazionale, ovviamente d’intesacon le Regioni, sfruttando tutte le sinergie possibili.

Qual è allora la sfida attuale per gli specialisti oncologi? Le competenze dei sin-goli sono già di altissimo livello e tali sono riconosciute anche a livello interna-zionale. Si tratta solo di integrare queste competenze, facilitare le sinergiepossibili, evitare gli sprechi e creare un sistema assistenziale “virtuoso” che riescaa dare il massimo a ogni malato oncologico.

Prof. Ferruccio FazioMinistro della Salute

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Foreword

The document “Diagnostic and therapeutic appropriateness in oncology”aims to define the standards for diagnoses, therapy, assistance and care of

oncological and oncohematological patients. Just a few neoplastic diseases havebeen considered (breast, lung, colon-rectum, prostate, pancreas, lymphomas),which comprise two thirds of oncological disease.

One may ask the reason for such an emphasis on oncological disease. In ourcountry, cancer is second only to cardiovascular disease as cause of death; in2010 there is a forecast of 250,000 new cases of cancer and an estimated preva-lence of 2,000,000 of existing cases; moreover the increasing life expectancy ofthe population implies a gradual increase of the incidence of this disease. Thishas a substantial impact in terms of costs for care and of hospital admittanceand, consequently, the need for adequate health planning.

The present document aims at providing a “reflection” on the best possible useof the new diagnostic techniques and of innovative therapeutic strategies. It isindeed unquestionable that in the two last decades there has been a revolutionin the prognosis and the therapeutic approach for oncological patients. However,this has resulted in a sometimes uncontrolled increase in the health expenses.

In order to try to create regular and coherent standards of care, there has beenan effort to define the criteria of appropriateness for diagnosis, staging, thera-peutic strategy, the approach according to stage and follow-up procedure, so thata global view of patient management by each pathology can be obtained.

The main inspiration in the preparation of this document was the search for amultidisciplinary approach, a “veritable multidisciplinary approach” thatwould involve all the professional figures, i.e. general practitioners, specialistsin radiology/nuclear clinicians, pathologists, surgeons, medical oncologists, ra-diotherapists and pain therapists.

This process is in accord with the National Oncological Plan, that includes “fullmanagement” of patients by the National Health System, in combination withthe best possible use of diagnostic and therapeutic approaches. The ever increas-ing “shift” of patient care from the hospital to the surgery and to home care will

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help reach this goal. Such a goal can never be reached if the specialist and thegeneral practitioner do not share in the management of the patient.

After describing all aspects relevant to cancer, a series of considerations that werethought helpful in terms of planning and organization of all services are in-cluded at the end of each chapter. These considerations are provided merely asoperational advice, and were developed as a result of the extensive experience ofqualified centers. The considerations aim to provide people in key positions atregional and company level with global operational models of organizationalrequirements that, through a carefully orchestrated and networked pathway,will ultimately achieve excellence in the diagnosis and care of cancer patients.While it is recognized that these models provide a global approach, each regionwill be responsible for evaluating and implementing the suggested requirementsand models according to local healthcare requirements.

Is it actually possible to reach that goal? It certainly is, through shared guidelinesbased on appropriateness of indications, that will avoid waste of resources andprovide the patient with the best diagnostic and therapeutic standards of care.It is also possible to extend this “method” across all the oncological and oncohe-matological pathologies, through the creation of a Network of Centres of Excel-lence, similar to the Comprehensive Cancer Centre in the USA. This networkwill allow for the appropriate allocation of resources, a highly specialised man-agement of complex cases and rare disease and evermore competitive clinical re-search that aims to provide “the best possible health system” with “fewer costs”.It is a big challenge and one that presupposes effective planning on a nationalscale, naturally in cooperation with regional institutions while making the mostof all possible synergies.

What is, therefore, the present challenge for oncologists? The expertise of indi-viduals is excellent and they are internationally appreciated. It remains only tocombine the expertise of individuals, to facilitate possible synergies, avoid wasteand create a “virtuous” care system that will be able to provide the best careand assistance for each person affected by cancer.

Prof. Ferruccio Fazio Minister of Health

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definite con precisione, mentre sono ancora ar-gomento di discussione le indagini immuno -istochimiche, citogenetiche e molecolari. Più nel dettaglio, si affrontano il carcinoma delpolmone non a piccole cellule (NSCLC) e il car-cinoma polmonare a piccole cellule (SCLC). L’ultima parte del capitolo è dedicata alle dota-zioni strumentali e ai volumi di attività per l’ac-creditamento e l’eccellenza, in particolare perquanto riguarda la chirurgia, la terapia medica, laradioterapia e la patologia molecolare.

3. Neoplasie della mammella

Ogni anno, in Italia, sono diagnosticati circa38.000 nuovi casi di tumore della mammella ecirca 11.000 decessi per questa patologia. I tassidi incidenza sono aumentati costantemente finoagli anni Novanta, ma grazie all’impiego semprepiù diffuso dello screening si sono poi stabilizzatie successivamente è iniziato un certo decremento.Per il tumore della mammella, la classificazioneclinica e patologica attualmente in uso è quelladell’AJCC VI edizione 2003. Più nel dettaglio, si affrontano: • il trattamento degli stadi iniziali (carcinoma e

carcinoma lobulare in situ, neoplasia intraepi-teliale duttale e lobulare, carcinoma infiltranteoperabile);

• il trattamento sistemico degli stadi iniziali (car-cinoma duttale e lobulare in situ, carcinomainvasivo), in particolare chemioterapia, terapiebiologiche e ormonoterapia;

• la terapia sistemica primaria e il trattamentodella malattia localmente avanzata;

• il trattamento della malattia metastatica. L’ultima parte è dedicata al follow-up e, comenegli altri capitoli, alle dotazioni strumentali e aivolumi di attività per l’accreditamento e l’eccel-lenza.

Sintesi dei contributi

1. Principi generali

Ogni capitolo di questo volume affronta, per idiversi tipi di tumore, i seguenti aspetti: cenni diincidenza/mortalità in Italia; diagnosi; stadiazionee “risk-assessment”; trattamento degli stadi iniziali,della malattia localmente avanzata e della malattiametastatica; risposte e follow-up; elementi per laprogrammazione e l’organizzazione dei servizi. In questo capitolo, inoltre, si riportano dettaglia-tamente i partecipanti ai Gruppi di lavoro per lediverse neoplasie.

2. Neoplasie polmonari

In Italia, il carcinoma polmonare rappresenta laprima causa di morte oncologica negli uomini ela seconda nelle donne. Poiché, al momento delladiagnosi, più del 75% dei pazienti presenta giàinteressamento linfonodale loco-regionale o me-tastasi a distanza, la diagnosi precoce assumeun’importanza fondamentale. È inoltre necessarioche il carcinoma polmonare venga valutato da ungruppo interdisciplinare (pneumologo, chirurgotoracico, radioterapisti, oncologo clinico e spe-cialista di cure palliative).Dal punto di vista prognostico e per la scelta deltrattamento è fondamentale la stadiazione del tu-more, in base alla sua estensione e localizzazione,al coinvolgimento linfonodale e alla presenza dimetastasi. Ai fini della stadiazione del tumore e della dia-gnosi, le procedure da seguire per un correttocampionamento del pezzo operatorio sono state

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In questo capitolo, nella parte dedicata alla dia-gnosi si affrontano gli esami diagnostici (endo-scopia, sigmoidoscopia, colonscopia, colografia),la diagnostica per immagini relativa al colon e alretto e gli esami di follow-up postoperatorio. Sianalizzano poi nel dettaglio le classificazioni mag-giormente utilizzate per la stadiazione del carci-noma del colon-retto, cioè quella di Dukes e quellaTNM del 2010. Infine, per quanto riguarda iltrattamento, particolare attenzione è dedicata:• al trattamento degli stadi iniziali (neoplasie

coliche e rettali); • al trattamento della malattia localmente avan-

zata (neoplasia del retto e lesioni localmenteavanzate);

• al trattamento della malattia avanzata, con ri-ferimento alle Raccomandazioni e ai Livelli diEvidenza.

Il capitolo si conclude con una parte dedicata alfollow-up e alle dotazioni strumentali e ai volumidi attività per l’accreditamento e l’eccellenza.

6. Neoplasie del pancreas

Secondo il rapporto del 2006 del Registro TumoriItaliano, l’adenocarcinoma del pancreas occupal’11° posto fra le neoplasie nei maschi e il 10° po-sto nelle donne e rappresenta la 7a causa di morteper tumore fra i maschi e la 6a fra le donne.Allo stato attuale non esistono metodiche di screen -ing efficaci per la diagnosi precoce; nella primaparte del capitolo si analizzano i ruoli dell’eco-grafia, della TC, della RM e, non ultima, del-l’ago-aspirazione, accennando anche alle indaginiche non trovano più indicazione ai fini diagnostici(ERCP, PTC), a quelle di 2°-3° livello (EUS) ealla medicina nucleare (PET/TC, SRS). Nella seconda parte si affrontano:• l’anatomia patologica dei tumori del pancreas

esocrino (adenocarcinoma duttale, neoplasie

4. Neoplasie della prostata

Il carcinoma prostatico è il secondo tumore piùfrequente in Italia dopo quello del polmone; èinoltre la terza causa di morte per cancro, dopoquello del polmone e del colon-retto. La primaparte del capitolo è dedicata alla diagnosi, analiz-zando nel dettaglio i Livelli di Evidenza e le Rac-comandazioni. Si affrontano poi: • il tema della terapia in generale, tenendo conto

che il trattamento del carcinoma della prostatasi propone obiettivi diversi, in base all’esten-sione anatomica, all’aggressività della malattia,alla speranza di vita del paziente e alla presenzadi eventuali comorbilità;

• la terapia della malattia in fase iniziale, conparticolare riferimento alla vigile attesa, allachirurgia, alla radioterapia a fasci esterni, allabrachiterapia e ai trattamenti multimodali;

• il trattamento della recidiva dopo terapia pri-maria (recidiva locale di malattia, recidiva solobiochimica);

• la terapia della malattia metastatica, in parti-colare terapia con bifosfonati, radioterapia pal-liativa e terapia radiometabolica nel carcinomaprostatico in fase di ormonosensibilità e di or-monorefrattarietà.

Come altrove, l’ultima parte è dedicata al follow-up e alle dotazioni strumentali e ai volumi di at-tività per l’accreditamento e l’eccellenza.

5. Neoplasie del colon-retto

Il carcinoma del colon-retto è per frequenza la se-conda causa di morte per cancro nel mondo, dopoil tumore del polmone nell’uomo e della mam-mella nella donna. In Italia si registrano 20.457nuovi casi tra i maschi e 17.276 tra le femmine,con una media di 77-78 individui ogni 100.000abitanti.

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Sintesi dei contributi

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è pari a circa 30-35 casi/anno/100.000 abitanti,quella del LH a 2,7 casi/anno/100.000 abitanti.La diagnosi dei linfomi maligni deve essere sempredocumentata mediante biopsia linfoghiandolare;inoltre, deve basarsi su tre elementi fondamentali:appropriato trattamento dei campioni bioptici;applicazione di adeguati principi diagnostico-clas-sificativi; organizzazione retiforme.In termini di suddivisione in stadi, al momentosono internazionalmente riconosciuti, e pertantoesaminati nel dettaglio in questa sezione del capi-tolo: la classificazione di Ann Arbor/Cotswold,l’International Prognostic Score, le fasce conven-zionali di rischio del LH, l’International PrognosticIndex e il Follicular Lymphoma International Pro-gnostic Index.Un’ampia parte del capitolo è dedicata al tratta-mento dei LH, dei LNH aggressivi e dei linfomifollicolari, nonché alla radioterapia nei vari tipidi linfomi.Infine, merita attenzione il trapianto di cellulestaminali emopoietiche, che è in grado di guarireil 50% circa dei pazienti affetti da patologie on-coematologiche.Si conclude con il follow-up e sottolineando l’im-portanza della partecipazione agli studi clinici.

sieroso-cistiche, neoplasie mucinoso-cistiche;neoplasie papillari-mucinose intraduttali) e diquelli pancreatici endocrini;

• la metodologia diagnostica patologica, in par-ticolare in tema di citopatologia preoperatoriae di istochimica e immunocitochimica.

Segue poi la stadiazione del tumore, con i relativitrattamenti: chemioterapia adiuvante negli stadiiniziali; protesi duodenali e chemioterapia neo -adiuvante nella malattia localmente avanzata; che-mioterapia di prima e di seconda linea nella ma-lattia metastatica; analoghi della somatostatina,interferone e chemioterapia nei carcinomi endo-crini pancreatici metastatici.Infine, dopo una sezione dedicata alle terapie abla-tive loco-regionali e alla terapia radiometabolica,il capitolo si conclude con le parti riguardanti ilfollow-up e i requisiti per l’accreditamento e l’ec-cellenza.

7. Linfomi

Il linfoma non-Hodgkin (LNH) è più frequentenei maschi, con un rapporto di 1,4:1 tra i duesessi, mentre il linfoma di Hodgkin (LH) ha lastessa distribuzione. L’incidenza globale del LNH

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1. Principi generali

• Trattamento della malattia localmente avan-zata.

• Trattamento della malattia metastatica inclu-dente i trattamenti di prima linea e linee ulte-riori.

• Valutazione delle risposte e del follow-up.• Elementi per la programmazione e l’organiz-

zazione dei servizi.

1.1. Schema generale del documento

Il documento è strutturato con omogenea moda-lità, così come segue.• Brevi cenni di incidenza/mortalità in Italia.• Diagnosi.• Stadiazione e “risk-assessment”.• Trattamento degli stadi iniziali.

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Area di competenza Responsabilità Nome

Polmone Coordinatori Ugo PastorinoGiorgio Vittorio Scagliotti

Chirurgia Ugo PastorinoOncologia Medica Giorgio Vittorio ScagliottiDiagnostica Lorenzo BonomoPatologia molecolare Antonio Marchetti

Mammella Coordinatori Gian Marco GiuseppettiMarco Venturini

Chirurgia Alberto LuiniOncologia Medica Marco VenturiniDiagnostica Gian Marco GiuseppettiPatologia molecolare Angelo Paradiso

Prostata Coordinatori Francesco BoccardoGiovanni Muto

Chirurgia Giovanni MutoOncologia Medica Francesco BoccardoDiagnostica Guglielmo ManentiPatologia molecolare Rodolfo Montironi

Colon-retto Coordinatori Francesco Di CostanzoFrancesco Tonelli

Chirurgia Bruno GridelliFrancesco Tonelli

Oncologia Medica Francesco Di CostanzoGastroenterologia Lucio Capurso

Alberto MalesciDiagnostica Andrea LaghiPatologia molecolare Gianpaolo Tortora

Pancreas Coordinatori Antonino CarbonePaolo Pederzoli

Chirurgia Paolo PederzoliClaudio Bassi

Oncologia Medica Michele MilellaDiagnostica Roberto Pozzi MucelliPatologia molecolare Antonino Carbone

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1.2. Gruppi di lavoro

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Principi generali 1

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Area di competenza Responsabilità Nome

Linfomi Coordinatori Sergio AmadoriArmando Santoro

Oncologia/Ematologia Andrea BacigalupoMonica BalzarottiAlessandro LevisUmberto VitoloPierluigi Zinzani

Diagnostica Carlo BartolozziPatologia molecolare Stefano Pileri

Diagnostica Coordinatori Alessandro Del Maschioper immagini Luigi Gianolli

Polmone Lorenzo BonomoMammella Gian Marco GiuseppettiProstata Guglielmo ManentiColon-retto Andrea LaghiPancreas Roberto Pozzi MucelliLinfomi Carlo BartolozziImaging molecolare Emilio Bombardieri

Cristina Messa

Patologia Coordinatore Antonino Carbonemolecolare Polmone Antonio Marchetti

Mammella Angelo ParadisoProstata Rodolfo MontironiColon-retto Gianpaolo TortoraPancreas Antonino CarboneLinfomi Stefano Pileri

Radioterapia Coordinatore Giampaolo BitiPolmone Stefano MagriniMammella Paola PinnaròProstata Roberto OrecchiaColon-retto Vincenzo Valentini Pancreas Giovanni BozLinfomi Umberto Ricardi

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2. Neoplasie polmonari

logico, campagne antifumo e programmi di coun-seling per fumatori dovrebbero essere consideratiquali parti di un processo integrato assistenziale.Pur in assenza, al momento attuale, di evidenzacomprovata circa le modalità di diagnosi precoce,la ricerca clinica in questo settore dovrebbe costi-tuire, in senso lato, uno dei principali obiettividei Centri di Eccellenza.

2.2. Diagnosi

Le neoplasie polmonari rappresentano un pro-blema oncologico dominante, caratterizzato dallaridotta percentuale di pazienti guaribili. I pazientiche attraversano una fase in cui la malattia si puòconsiderare passibile di trattamento devono poterusufruire di un rapido accesso alla diagnosi e aitrattamenti integrati più efficaci. Per i pazienti conmalattia avanzata devono essere disponibili curepalliative e assistenza continua. Tradizionalmentela gestione dei pazienti con sospetto carcinomapolmonare è caratterizzata da una sequenza di ac-certamenti e visite di diversi specialisti con tempilunghi, valutazione frammentaria e scarsamentecoordinata, cui seguono spesso decisioni inappro-priate. Per tali ragioni il carcinoma polmonaredeve essere affrontato in modo multidisciplinaresin dall’esordio e, conseguentemente, ogni singolo

2.1. Incidenza e mortalità

Nel corso del XX secolo il carcinoma polmonareè divenuto uno dei principali problemi sociosani-tari dei Paesi industrializzati ed è destinato a di-ventarlo nei Paesi in via di sviluppo. Negli ultimidecenni, a causa del diffondersi anche nel sessofemminile dell’abitudine tabagica, l’incidenza dellamalattia fra le donne è andata progressivamenteaumentando, così che il rapporto d’incidenza framaschi e femmine è passato da 5:1 di circa 20anni fa all’attuale 2,5:1. In Italia muoiono di car-cinoma polmonare circa 35.000 persone l’anno(circa 27.000 uomini e 6000 donne), rappresen-tando la prima causa di morte oncologica negliuomini e la seconda nelle donne. Va sottolineatocome oltre un terzo delle nuove diagnosi di carci-noma polmonare è posto in individui di età > 70anni. L’innegabile progresso dei mezzi diagnosticinon ha sostanzialmente mutato la storia naturaledel tumore: più dei due terzi dei casi ha già inte-ressamento linfonodale loco-regionale o metastasia distanza al momento della diagnosi. La soprav-vivenza complessiva a 5 anni si attesta intorno al15% negli Stati Uniti e al 10% in Europa, re-stando sostanzialmente invariata nel corso degliultimi 15 anni. In considerazione del ruolo pre-dominante del fumo di tabacco quale fattore ezio-

n. 3, maggio-giugno 2010

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caso, indipendentemente dallo stadio iniziale, deveessere valutato con modalità interdisciplinari nel-l’ambito di un gruppo interdisciplinare di cure,che per il carcinoma polmonare prevede la presenzadi Pneumologo, Chirurgo Toracico, Radioterapista,Oncologo Clinico e Specialista di Cure Palliative.A seconda di specifiche necessità può essere richie-sta la presenza del Radiologo, del Medico Nucleare,dell’Anatomopatologo e del Genetista. È preferibileche la maggioranza di queste figure professionaliinsista fisicamente nella medesima struttura. Aifini terapeutici continua a essere considerato se-paratamente l’approccio per il carcinoma polmo-nare non a piccole cellule (80% dei carcinomi pol-monari) da quello del carcinoma polmonare a pic-cole cellule (20%). Per i pazienti anziani (> 70anni d’età) e con malattia metastatica all’esordio,benché esista ancora un’indicazione a trattamentichemioterapici a 2 farmaci, la maggior parte diessi, prevalentemente per il co-esistere di comor-bilità, riceve un trattamento monochemioterapico.Al momento della progressione clinica o della re-cidiva, i pazienti appartenenti ai primi due gruppisopraindicati abitualmente ricevono un’ulteriorelinea di chemioterapia a 2 farmaci, mentre per ipazienti con esordio clinico in stadio di malattiametastatica l’indicazione terapeutica più comuneè per una monochemioterapia con i farmaci per iquali è disponibile l’indicazione specifica.

2.3. Stadiazione e “risk assessment”

La stadiazione del cancro del polmone è utile siadal punto di vista prognostico sia per la valuta-zione e la scelta del tipo di trattamento. In accordocon la versione attualmente disponibile, la quintaedizione del UICC-AJCC Staging System (ag-giornata nel corso del 2009), estensione e diffu-sione del NSCLC (non-small cell lung cancer) ven-gono definite come segue.

Estensione e localizzazione del tumore – T• Tx: con Tx si vuole indicare la presenza di tu-

more certo ma non ancora rilevabile mediantemetodiche radiografiche e videoscopiche. Lacertezza di tumore è indicata dalla presenza dicellule maligne nell’escreato o nel liquido dilavaggio bronchiolo-alveolare (BAL).

• T0: assenza di tumore.• T1: tumore confinato all’interno del polmone

e con un diametro inferiore a 3 cm. Non coin-volge i bronchi principali.

• T2: tumore con almeno una delle seguenti ca-ratteristiche: - diametro maggiore di 3 cm; - coinvolgimento del bronco principale ma

distante più di 2 cm dalla biforcazione dellatrachea;

- invasione della pleura viscerale; - presenza di atelettasia o di polmonite ostrut-

tiva che non coinvolge l’intero polmone. • T3: tumore con almeno una delle seguenti ca-

ratteristiche: - invasione della parete toracica, diaframma,

pericardio parietale; - coinvolgimento del bronco principale a

meno di 2 cm dalla trachea ma senza coin-volgere la biforcazione bronchiale;

- atelettasia o polmonite dell’intero polmone.• T4: tumore con almeno una delle seguenti ca-

ratteristiche: - tumore di qualsiasi dimensione ma che in-

vade il mediastino, il cuore, i grandi vasi me-diastinici, la trachea, l’esofago o le vertebre;

- presenza di versamento pleurico maligno oversamento pericardico maligno;

- noduli tumorali satelliti in uno dei lobi omo-laterali.

Coinvolgimento linfonodale – N• Nx: metastasi linfonodali non rilevabili.

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• N0: assenza di linfonodi colpiti.• N1: colpiti i linfonodi subsegmentali, segmen-

tali, lobari, interlobari o ilari omolaterali.• N2: colpiti i linfonodi mediastinici omolate-

rali.• N3: colpiti i linfonodi controlaterali o i linfo-

nodi cervicali omolaterali.

Presenza di metastasi – M• Mx: metastasi a distanza non rilevabili.• M0: assenza di metastasi.• M1: presenza di metastasi a distanza.Per quanto riguarda il microcitoma (small cell lungcancer, SCLC), la stadiazione attualmente accre-ditata è la seguente: • malattia limitata (30% dei pazienti) = confi-

nata a un emitorace, con o senza coinvolgi-mento dei linfonodi mediastinici, ilari e clavi-colari omolaterali;

• malattia estesa (70% dei pazienti) = tutto ciòche va oltre (oppure neoplasia ricorrente).

Risk assessment. L’analisi degli studi di correla-zione dimostra che, ancora oggi, il principale fat-tore prognostico nel NSCLC rimane lo stadio dimalattia. A parità di stadio di malattia, i fattoriprognostici più importanti sono il performance sta-tus (PS) e la recente perdita di peso. Le due scaleutilizzate per la definizione del PS sono la scalaECOG e il metodo di Karnofsky. In particolare,dal punto di vista prognostico sembra utile suddi-videre i pazienti in due gruppi: pazienti con PS 0-1 e pazienti con PS maggiore o uguale a 2. Nelleserie di pazienti esaminate appare evidente comela sopravvivenza dei pazienti con PS pari a 2 siasignificativamente inferiore a quella dei pazienticon PS 0-1; in parte tale fenomeno sembra esseredovuto alla maggiore incidenza di tossicità del trat-tamento in questo sottogruppo di pazienti. Mentreil trattamento dei pazienti con PS 0-1 è indicato

in modo incontrovertibile, tale approccio è tuttorain fase di discussione per i pazienti con PS pari a2. L’età è storicamente un fattore prognostico im-portante, anche se le recenti analisi hanno eviden-ziato che l’impatto del trattamento sui pazienti dietà > 70 anni non sia così detrimente come si rite-neva in passato, anzi sia vantaggioso per i parametridi sopravvivenza assoluti. I pazienti che hannoperso più del 5% del loro peso corporeo nei 3-6mesi precedenti hanno una prognosi peggiore deipazienti che non hanno presentato questa sinto-matologia. Numerosi studi pubblicati negli ultimi15 anni hanno indicato che la mutazione del proto-oncogene ras, in particolare K-ras, determina unaprognosi sfavorevole negli individui con NSCLC,stadio IV. Inoltre, l’infiltrazione patologica el’estensione della resezione chirurgica possono for-nire le informazioni prognostiche più critiche, mala mutazione dell’oncogene K-ras e l’assenza diespressione del proto-oncogene H-ras p21 possonoaumentare le informazioni ottenute dall’esameistologico tradizionale.

2.4. Patologia molecolare

Criteri di diagnosi e di stadiazione istologica.Come per tutte le neoplasie è determinante unostretto rapporto tra Chirurgo, Oncologo e Anato-mopatologo, al fine di ottenere il maggior numerodi informazioni necessarie per una corretta valu-tazione prognostica e un’accurata definizione dellepotenzialità di risposta ai trattamenti successivi(radioterapia, chemioterapia, terapie a bersagliomolecolare). Le procedure da seguire per un cor-retto campionamento del pezzo operatorio ai finidella diagnosi e della stadiazione del tumore sonostate definite con accuratezza. È necessaria un’ac-curata descrizione del pezzo operatorio (peso e/odimensioni; tipo di resezione chirurgica; condizionidella pleura viscerale), delle caratteristiche del tu-

Neoplasie polmonari 2

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Nel NSCLC la più frequente mutazione riscon-trata è quella dell’oncosoppressore p53 (circa il50% dei casi), in genere più frequente nei carci-nomi squamocellulari che negli adenocarcinomi.Tali alterazioni sono presenti anche nelle aree condisplasia grave e nelle aree di carcinoma in situadiacenti al tumore, rappresentando uno dei piùprecoci indicatori di possibile trasformazione neo-plastica, a differenza di quanto avviene in altresedi. La distribuzione delle mutazioni lungo ilgene p53 non è casuale, ma è caratterizzata da di-versi hot spot di mutazione; il codone 157 è spe-cifico per il NSCLC. La perdita di eterozigosi (lossof heterozygosity, LOH) in diversi loci cromosomicicontenenti possibili geni oncosoppressori è un fe-nomeno frequente nelle neoplasie correlate alfumo di tabacco. La presenza di LOH in 3p14(regione contenente il gene FHIT) rappresentaun’alterazione relativamente precoce e specifica.L’oncogene K-ras è mutato, prevalentemente acarico del codone 12, nel 30-35% degli adeno-carcinomi. L’EGFR (epidermal growth factor re-ceptor) è espresso nella maggior parte dei carcinomisquamosi, mentre il 20-30% degli adenocarcinomiesprime elevati livelli di HER2. L’espressione diERCC1, gene coinvolto nei meccanismi di ripa-razione del DNA, è frequentemente associata auna resistenza al trattamento con cisplatino. Unaproposta, recentemente pubblicata da Azzoli, ri-guarda la valutazione delle mutazioni dell’esone19 e 21 di EGFR (con metodologia PCR), la mu-tazione di K-ras mediante sequenziamento direttodell’esone 2 (poiché il 90% di tutte le mutazioniè a carico del codone 12 e 13) e l’espressione diERCC1 mediante immunoistochimica. Anche semolto interessante appare la possibilità di definiresottogruppi di pazienti con diversa sensibilità aifarmaci mediante analisi di biologia molecolare, irisultati degli studi pubblicati e le numerose va-lutazioni in corso non consentono di identificare

more (dimensioni; localizzazione nel lobo; rela-zione con il bronco; presenza di aree emorragiche,di necrosi o di cavitazioni; presenza di invasionevascolare microscopicamente visibile; rapporto conla pleura; distanza dal margine di resezione bron-chiale e dalla pleura), dell’aspetto del parenchimapolmonare non neoplastico (enfisema, atelettasiaecc.) e del numero e aspetto dei linfonodi ilari re-pertati. Il campionamento del pezzo per gli esamiistologici dovrebbe prevedere 3 prelievi sul tumore,3 prelievi sul parenchima polmonare non neopla-stico, tutta la circonferenza del margine di resezionebronchiale, tutti i linfonodi ilari e mediastiniciprelevati sul pezzo operatorio o inviati (e contras-segnati in maniera chiara) dal chirurgo. La classi-ficazione dei tumori del polmone attualmente inuso è quella WHO 2004. La diagnosi e classifica-zione dei tumori si basa su criteri morfologici (pre-parato istologico colorato con ematossilina ed eo-sina), istochimici (PAS per adenocarcinomi scar-samente differenziati) e immunoistochimici (cro-mogranina, sinaptofisina e NCAM/CD56 per ladifferenziazione neuroendocrina; p63 per la diffe-renziazione delle cellule basali; TTF-1 e citoche-ratina 7 per la conferma della primitività polmo-nare; Mib-1/Ki-67 per la valutazione dell’attivitàproliferativa). La scelta dei reagenti più appropriativaria a seconda del caso e si effettua dopo unaprima valutazione morfologica. La stadiazione pa-tologica pTNM viene effettuata utilizzando i criteriillustrati nello AJCC Cancer Staging Manual(2002). Non esistono marcatori tumorali utilizza-bili nella pratica clinica, anche se alcuni (SCC)sono stati proposti nel follow-up dei pazienti ope-rati per alcuni tipi di NSCLC.

Indagini immunoistochimiche, citogenetiche emolecolari e rilevanza per la prognosi e la sceltadi terapie mirate. È un argomento in diveniresul quale non vi è ancora unanimità di consenso.

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2Neoplasie polmonari

status e comorbilità contano molto più del datoanagrafico e le attuali tecniche anestesiologiche echirurgiche permettono di eseguire un interventodi resezione polmonare al di sopra dei 75 annid’età con un profilo di rischio estremamente con-tenuto. Infarto miocardico recente (meno di 6mesi), scompenso cardiaco o aritmia grave e pre-gresso ictus cerebrale controindicano generalmentel’intervento chirurgico, mentre una cardiopatiaischemica ben controllata sul piano sintomaticoe con una buona frazione di eiezione costituiscesolamente un fattore di rischio relativo. Le terapieprolungate con farmaci anticoagulanti o steroideirichiedono un trattamento specifico, allo scopodi prevenire possibili complicanze postoperatorie.Prima di procedere all’intervento, il chirurgo deveaccertare se il paziente sia in grado di tollerareanche un’asportazione totale del polmone, qualorale circostanze intraoperatorie lo richiedano, valu-tando sia l’entità del rischio postoperatorio im-mediato sia la qualità di vita attesa a 6 mesi di di-stanza. Spirometria ed emogasanalisi rappresen-tano il primo livello, sufficiente se i valori funzio-nali sono prossimi a quelli normali (FEV1 > 60%del predetto). Nei pazienti con limitata riserva re-spiratoria, particolarmente se si prevede una pneu-monectomia, la scintigrafia polmonare perfusio-nale consente di misurare la percentuale di perfu-sione di ciascun polmone e stimare la FEV1 post -operatoria predetta. Un utile complemento dellaspirometria, nei pazienti con funzionalità respi-ratoria marginale, è il test di diffusione alveolo-capillare (DLCO), che esprime in maniera piùaccurata la capacità di scambio dei gas e può evi-denziare un’interstiziopatia o fibrosi polmonarelatente, non altrimenti diagnosticabile.

Tecniche di anestesia. I requisiti minimi di ane-stesia generale considerati necessari per garantireun livello adeguato di efficacia e morbilità in chi-

con certezza le metodologie migliori e, conse-guentemente, i relativi comportamenti terapeuticimirati. Nel SCLC, un’alterazione della famigliadegli oncogeni myc (amplificazione genica o al-terazioni trascrizionali) è stata descritta in circaun quinto dei casi. Anche le alterazioni di p53,più frequenti che nei NSCLC, rappresentano unelemento caratterizzante di queste neoplasie e con-feriscono diversi gradi di resistenza ai trattamenti.Nel SCLC sono state descritte con elevata fre-quenza numerose altre alterazioni genomiche (on-cosoppressore RB, KIT, MMP), senza che, tutta-via, si possa definire con certezza un loro ruolonella valutazione prognostica e terapeutica.

2.5. Carcinomi del polmone non a piccole cellule (NSCLC)

2.5.1. Il ruolo della chirurgia

Benché sia concordemente riconosciuto che la chi-rurgia rappresenti il mezzo più efficace per ottenereuna guarigione definitiva del carcinoma bronco-polmonare, i pazienti candidabili a chirurgia conintento curativo rappresentano a tutt’oggi una li-mitata minoranza. Con criteri di selezione e rischioperioperatorio ottimali, nel gruppo dei pazienti sot-toposti a resezione completa (stadio I-IIIA), la pro-babilità di guarigione dovrebbe oscillare tra il 40%e il 50%, che applicata alla frazione di casi resecabilisi traduce in una sopravvivenza globale a 5 anni del12-14%. Utilizzando in maniera ottimale le tecnichedi stadiazione oggi disponibili, la frequenza di tora-cotomie esplorative non deve superare il 5%.

Valutazione funzionale. L’esame funzionale delpaziente è un elemento cardine nella scelta dellaterapia ottimale. Nel forte fumatore, tale bilancioè spesso complicato dalla presenza di una comor-bilità cardiovascolare e/o polmonare. Performance

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dicazione elettiva nei pazienti con versamentopleurico e/o pericardico, particolarmente in casodi negatività citologica della puntura esplorativae per eseguire una pleurodesi chimica. Queste tec-niche di stadiazione chirurgica sono state progres-sivamente sostituite dall’agobiopsia transbron-chiale e transesofagea ecoguidata, ma restano es-senziali per decidere la resecabilità in caso di so-spetta infiltrazione degli organi mediastinici,prima o dopo la terapia d’induzione.

Approccio chirurgico curativo. La toracotomiapostero-laterale rappresenta ancora l’approcciostandard per la resezione polmonare anatomica,nella maggior parte dei reparti di chirurgia tora-cica. Tuttavia, nell’ultimo decennio si sono affer-mate tecniche più conservative dell’integrità ana-tomo-funzionale del torace, come la toracotomialaterale minima con conservazione muscolare ola VATS. Non esistono, tuttavia, studi randomiz-zati che dimostrino un significativo impatto del-l’approccio conservativo sulla mortalità e morbi-lità, a parità di estensione del tumore e della rese-zione polmonare.

Esame intraoperatorio e linfoadenectomia. Neltrattamento del carcinoma polmonare non vi èin generale indicazione per resezioni incompletecon malattia residua macroscopica, impropria-mente definite palliative in quanto peggioranoquasi sempre la qualità di vita. Pertanto, prima diprocedere alla resezione polmonare il chirurgodeve accertarsi che il tumore primitivo e le even-tuali localizzazioni linfonodali siano resecabili conmargini adeguati di radicalità. Anche se il ruoloterapeutico della linfoadenectomia mediastinicasistematica è in corso di valutazione, attraverso lostudio randomizzato dell’American College of Sur-geons è stato dimostrato che l’accurata stadiazioneintraoperatoria permette di fornire al paziente una

rurgia toracica sono gradualmente aumentati nelcorso di questo decennio. Per eseguire in condi-zione di sicurezza un intervento di media diffi-coltà, come una lobectomia polmonare, si consi-dera oggi indispensabile un monitoraggio conti-nuo dei parametri cardiovascolari mediante cate-terismo venoso centrale e arterioso periferico. Laventilazione monopolmonare è ottenibile con unavarietà di dispositivi, che si adattano a ogni con-dizione anatomica. Il broncoscopio sottile a fibreottiche è divenuto un ausilio indispensabile percontrollare il posizionamento del tubo ed even-tualmente facilitare la pulizia del bronco durantel’intervento. Per un controllo del dolore più se-lettivo ed efficace, sia durante sia dopo l’inter-vento, è generalmente consigliabile posizionareun catetere peridurale in sede toracica o lombare.L’anestesia peridurale consente di ridurre gli effettisistemici dell’infusione di morfina o derivati, conun eccellente controllo del dolore toracotomicodurante le prime 72 ore.

Stadiazione chirurgica. In caso di sospette ade-nopatie mediastiniche alla TC (diametro > 1-1,5cm) e positività PET, è sempre indicato un esamebioptico, per confermare lo stadio N2 o escluderela presenza di metastasi in pazienti altrimenti ope-rabili. La mediastinoscopia cervicale rimane unesame endoscopico semplice e affidabile, per lestazioni linfonodali pre- e paratracheali e carenali.È opportuno che il prelievo sia effettuato a livellodi 2-3 stazioni linfonodali distinte: paratrachealealta e bassa, sottocarenale (R o L 2-4-7), com-prendendo naturalmente le adenopatie sospettealla TC. Per le adenopatie della finestra aortica (L5-6) è preferibile un accesso anteriore parasternale,o la toracoscopia video-assistita (video-assisted tho-racoscopic surgery, VATS). La VATS è la via piùdiretta al mediastino inferiore (paraesofageo, re-trocrurale, legamento polmonare) e trova un’in-

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2Neoplasie polmonari

a resezione e ricostruzione dell’arteria polmonare.In caso di piccole lesioni periferiche (T1-N0), lasegmentectomia tipica può essere un’operazionealtrettanto adeguata quanto la lobectomia. Lapneumonectomia deve essere riservata a neoplasiepiù estese localmente, non suscettibili di tratta-mento conservativo. Quando il tumore polmonareinvade la parete toracica o il mediastino, ma nonvi sono metastasi linfonodali, mediante la rese-zione chirurgica radicale si può ottenere una gua-rigione definitiva e i limiti di resecabilità anato-mica sono oggi molto più ampi. Infatti, oggi èpossibile far fronte alla gran parte dei problemi didemolizione e ricostruzione della parete toracicae delle strutture mediastiniche. Il riscontro in-traoperatorio di adenopatie sospette deve sempreessere confortato dall’esame patologico estempo-raneo, per escludere un’iperplasia reattiva o unaforma granulomatosa. In presenza di metastasilinfonodali mediastiniche, la resezione polmonareè indicata, purché i margini della dissezione lin-fonodale non siano interessati dalla malattia.

Complicanze della chirurgia. La mortalità post -operatoria globale (entro 30 giorni dall’intervento)per carcinoma polmonare varia tra il 4% e l’8%;è inferiore all’1% per le resezioni sublobari, paria circa il 2-4% per le lobectomie e al 4-7% per lepneumonectomie. I problemi più frequenti doporesezione polmonare sono rappresentati dal doloretoracotomico, che richiede terapia analgesica mag-giore durante i primi 2-3 giorni e tende talvoltaalla cronicizzazione, e dalle difficoltà di espetto-razione, che richiedono una fisioterapia intensivaeventualmente associata a manovre di broncoa-spirazione. L’empiema pleurico si osserva oggi inmeno del 5% dei resecati, con o senza fistola bron-copleurica. È più frequente dopo pneumonecto-mia destra, dove può richiedere complesse mano-vre di riparazione chirurgica. La fistola bronco-

prognosi realistica e di utilizzare al meglio le tera-pie complementari disponibili. La dissezione lin-fonodale dovrebbe comprendere per i tumori delpolmone destro le stazioni R2, 4, 7, 9 e per ilpolmone sinistro le stazioni L5, 6, 7, 9, oltre allestazioni ilari specifiche (10-13). Per facilitare ilcompito del patologo e ottenere un referto beninterpretabile, il chirurgo deve eseguire personal-mente la mappatura dei linfonodi e inviare sepa-ratamente le diverse stazioni. Il nuovo sistema diclassificazione TNM proposto dalla IASLC (In-ternational Association for the Study of Lung Can-cer), e formalmente approvato dalla UICC-AJCC(International Union against Cancer/American JointCommittee on Cancer) nel corso del 2009, fornisceuna guida più efficace per caratterizzare l’esten-sione anatomica della malattia, proponendo unanuova definizione dei parametri T e M e del lororaggruppamento in stadi.

Modalità di resezione e ricostruzione. La lo-bectomia radicale, con dissezione dei linfonodiilo-mediastinici, rappresenta oggi l’intervento dielezione per tutte le neoplasie confinate in un sololobo, o con interessamento marginale e perifericodel lobo adiacente, senza metastasi macroscopicheai linfonodi ilari. Il sacrificio funzionale dopo lo-bectomia è proporzionale al numero di segmenti,essendo massimo per la lobectomia inferiore de-stra, anche a causa del rapporto ventilazione/per-fusione. La lobectomia può risultare adeguata an-che in caso di interessamento dei linfonodi ilari,purché la resezione comprenda tutte le adenopatiee le strutture ilari siano libere da tumore a livellodel margine di sezione. Quando il tumore o unametastasi linfonodale si estende alla porzione pros-simale del bronco lobare (meno di 1 cm dall’ori-gine), la lobectomia può essere ancora possibilecon una resezione a manicotto del bronco (sleeveresection) e anastomosi bronchiale, associate o meno

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assente o limitato; pneumonectomia nelle neoplasiecentrali di grandi dimensioni o in presenza di me-tastasi linfonodali estese; segmentectomia tipicain pazienti selezionati con tumore periferico e di-minuita riserva respiratoria. In un importante stu-dio randomizzato, Ginsberg e Rubinstein hannodimostrato che le resezioni sublobari nei piccolitumori periferici (pT1N0) sono gravate da un’ele-vata frequenza di recidive locali e da una sopravvi-venza a lungo termine significativamente minore,mentre la mortalità perioperatoria e la funzionalitàrespiratoria a 6 mesi sono sovrapponibili a quelledella lobectomia. Pertanto, la resezione sublobarenon anatomica deve essere considerata una sceltadi compromesso in pazienti con grave insufficienzarespiratoria, tumori multipli sincroni e/o pregresseresezioni polmonari maggiori. Qualora la chirurgianon sia attuabile, la radioterapia rappresenta unvalido trattamento alternativo.

Chirurgia dello stadio IIB (T3N0). I tumori cheinteressano la pleura parietale, la muscolatura in-tercostale o le coste sono generalmente suscettibilidi resezione completa. L’exeresi radicale (margineminimo di tessuto sano superiore a 2 cm) conferi-sce una buona probabilità di guarigione (fino al50% a 5 anni), anche se la sopravvivenza dipendedal grado di estensione nelle parti molli, mentrenon si osservano lungo-sopravviventi dopo rese-zione incompleta. Nelle neoplasie dell’apice pol-monare che infiltrano la prima costa, il gangliostellato e il plesso brachiale (solco superiore, Pan-coast), la resezione è indicata in assenza di metastasilinfonodali mediastiniche e deve comprendere, ol-tre a polmone e parete, tutte le strutture coinvolte(simpatico, radice C8-D1). Talvolta può essere ne-cessario resecare l’arteria succlavia e sostituirla conuna protesi. Studi non controllati indicano un po-tenziale beneficio del trattamento combinato dichemioradioterapia preoperatoria, ma la probabi-

pleurica è oggi un’evenienza rara, se non eccezio-nale, laddove si utilizzino delle tecniche di suturabronchiale adeguate. Comune è invece la perditaaerea dovuta a una comunicazione pleuro-paren-chimale. L’aritmia cardiaca, e in particolare la fi-brillazione atriale, si osserva con maggiore fre-quenza nei pazienti anziani o dopo pneumonec-tomia. L’infarto miocardico e l’ictus cerebralesono relativamente rari e si verificano nell’1-2%dei pazienti. L’embolia polmonare è ormai unevento assai raro se viene sistematicamente appli-cata la profilassi eparinica.

2.5.2. Malattia “early stage”

Terapia medica e strategia generale. La chirurgiarappresenta il trattamento elettivo nel carcinomapolmonare in stadio I, II e IIIA minimo. Gli stadiIIIA non-minimo, IIIB e IV sono il più delle voltenon resecabili; la chirurgia può trovare occasio-nalmente indicazione solo in casi selezionati. L’op-portunità di terapie complementari postchirurgi-che (terapie adiuvanti) trova ragione nel limitatosuccesso a lungo termine della sola chirurgia neglistadi iniziali (sopravvivenza a 5 anni del 70%nello stadio I e del 40% nello stadio II) e nell’ele-vato numero di recidive, prevalentemente extra-toraciche, entro i primi 2 anni dall’intervento.L’impiego della chemioterapia adiuvante conte-nente cisplatino (3-4 cicli) migliora la sopravvi-venza a 5 anni del 5% e trova indicazione neglistadi II-III ma non nello stadio I. Analogamentealla chemioterapia adiuvante, quella neoadiuvante(ovvero cicli di chemioterapia che precedono l’in-tervento chirurgico) migliora la sopravvivenza.

Chirurgia dello stadio I-IIA (T1-2N0-1). Neipazienti con tumore intrapolmonare, la chirurgiatrova un’indicazione assoluta: lobectomia per i tu-mori intralobari, con interessamento linfonodale

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ottenuto una sopravvivenza a 5 anni del 10% e 27%.Entrambe le serie hanno osservato che i pazienti contumori T1N0 avevano una migliore prognosi, con so-pravvivenza del 60% e 32%, rispettivamente. Anche ipazienti con stadio II inoperabile e sufficiente riservapolmonare sono candidabili al trattamento radiantecon intento curativo. Nei pazienti con eccellente per-formance status, la sopravvivenza attesa a 3 anni èpari al 20% se la radioterapia può essere portata a ter-mine con intento curativo. Nella più grande serie re-trospettiva, 152 pazienti con NSCLC medicalmenteinoperabile, che sono stati trattati con RT definitiva, lasopravvivenza globale a 5 anni è stata del 10%, manei 44 pazienti con tumori T1 la sopravvivenza liberada malattia è stata del 60%. Questo studio retrospettivoha dimostrato anche che la migliore sopravvivenzalibera da malattia era ottenuta con dosi superiori a 60Gy” [Physician Data Query (PDQ®), ultima modifica1.8.2008]. Su questo punto vi è dunque uniformitàdi indirizzi e tale indicazione può essere consideratadel tutto appropriata, con un livello di evidenza II(consenso unanime degli esperti in assenza di studirandomizzati) secondo la scala del National Com-prehensive Cancer Network© (NCCN). Le linee guidadel NCCN considerano opportuna anche l’associa-zione della chemioterapia alla radioterapia (radio-chemioterapia concomitante) in altri sottogruppi se-lezionati di pazienti in questa categoria. Si tratta deipazienti in stadio clinico I e II operati e con positivitàlinfonodale mediastinica o positività dei margini diresezione dimostrata dall’esame istologico. L’indi-cazione è più controversa per i casi senza positivitàmarginale e le linee guida del PDQ reputano op-portuno l’arruolamento di pazienti con queste ca-ratteristiche in studi clinici. Si veda in merito anchela discussione dello stesso argomento per i casi instadio clinico III. Le linee guida del PDQ rimandanoanche a requisiti per la realizzazione del trattamentoradioterapico. “Radiation therapy should consist of ap-proximately 60 Gy delivered with megavoltage equip-

lità di guarigione rimane correlata alla possibilitàdi ottenere un’exeresi completa e la sopravvivenzaa 5 anni è nell’ordine del 30-40%.

Radioterapia. Nei NSCLC la chirurgia rappresentala principale arma terapeutica e anche la radioterapiapuò essere impiegata con intento radicale, nei casiinoperabili per motivi medici o per estensione dellamalattia. Tuttavia, i risultati della chirurgia da sola edella radioterapia da sola, impiegate con intento ra-dicale, sono lungi dall’essere soddisfacenti. La che-mioterapia da sola ha un ruolo esclusivamente pal-liativo, pertanto sono stati sviluppati schemi di trat-tamento combinato radiochemioterapico progressi-vamente più efficienti, destinati sia ai pazienti ino-perabili sia alla combinazione con la chirurgia. Laradioterapia da sola o in combinazione con la che-mioterapia può infatti essere anche indicata in fasepre- e postoperatoria. In queste forme l’indicazionealla radioterapia è limitata ai casi non operabili permotivi medici e a casi selezionati dopo chirurgia. Lelinee guida del National Comprehensive Cancer Net-work© (v.2.2009) stabiliscono chiaramente che: “Ifdetermined medically inoperable by thoracic surgeon,clinical stage I and II patients should receive potentiallycurative RT as their local approach”. Dello stesso te-nore le indicazioni del Physician Data Query del National Cancer Institute/U.S. National Institutes of Health (http://www.cancer.gov/): “I pazienti con sta-dio I inoperabile e sufficiente riserva polmonare possonoessere candidati al trattamento radiante con intentocurativo. In un lavoro su pazienti al di sopra dei 70anni con lesioni resecabili minori di 4 cm, medicalmenteinoperabili o che rifiutavano l’intervento, la sopravvi-venza a 5 anni dopo terapia radiante con intento cu-rativo è risultata simile a quella di un controllo storicorappresentato da pazienti della stessa età che erano statiresecati con intento curativo. Nelle due più grandi serieretrospettive di radioterapia, i pazienti con malattiainoperabile trattati con radioterapia definitiva hanno

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funzionalità respiratoria, parametri dosimetrici ra-dioterapici in termini di predizione di tossicitàpolmonare ed esofagea) e una completa discus-sione con il paziente stesso circa i benefici e letossicità delle possibili opzioni terapeutiche.

Radioterapia. Il ruolo della radioterapia cometrattamento radicale in queste forme è assai im-portante. La frazione di casi operabili è infattimolto minore, rispetto ai malati in stadio clinicoI-II; nei casi inoperabili, la radioterapia rappresentail cardine del trattamento. Come indicato dalle li-nee guida del PDQ: “Patients with clinical stageIIIA N2 disease have a 5-year survival rate of 10%to 15% overall; however, patients with bulky medi-astinal involvement (i.e., visible on chest radiograph)have a 5-year survival rate of 2% to 5%. Dependingon clinical circumstances, the principal forms of treat-ment that are considered for patients with stage IIIANSCLC are radiation therapy, chemotherapy, surgery,and combinations of these modalities. Although mostpatients do not achieve a complete response to radia-tion therapy, a reproducible long-term survival benefitin 5% to 10% of patients treated with standard frac-tionation to 60 Gy occurs, and significant palliationoften results. Patients with excellent performancestatus (PS) and those who require a thoracotomy toprove that a surgically unresectable tumor is presentare most likely to benefit from radiation therapy”. Iltrattamento chemioradioterapico (specie conco-mitante), quando fattibile, migliora i risultati ri-spetto alla sola radioterapia. Ancora il PDQ: “Theaddition of chemotherapy to radiation therapy hasbeen reported to improve survival in prospective clin-ical studies, including the RTOG-8808 and ECOG-4588 trials, for example, that have used modern cis-platin-based chemotherapy regimens. A meta-analysisof patient data from 11 randomized clinical trialsshowed that cisplatin-based combinations plus radi-ation therapy resulted in a 10% reduction in the risk

ment to the midplane of the known tumor volumeusing conventional fractionation. A boost to the conedown field of the primary tumor is frequently used toenhance local control. Careful treatment planning withprecise definition of target volume and avoidance ofcritical normal structures to the extent possible is neededfor optimal results; this requires the use of a simulator”.Le già citate linee guida del NCCN ripetono, nellasostanza, queste raccomandazioni e suggerisconol’impiego della TC e di avvalersi di Treatment Plan-ning Systems (TPS) adeguati per produrre piani ditrattamento 3D conformazionali.

2.5.3. Malattia localmente avanzata

Terapia medica e strategia generale. Nei pazientiin stadio IIIA con interessamento linfonodale me-diastinico, un breve periodo di chemioterapia(con/senza radioterapia) preoperatoria (terapia neo -adiuvante o di induzione) consente la regressionedell’impegno adenopatico nel 50-70% dei casi,una percentuale superiore di casi successivamentesottoposti a resezione radicale, resezioni chirurgi-che meno estese e un miglioramento della soprav-vivenza a lungo termine. Tuttavia, l’attuale evi-denza clinica indica che per la maggior parte deipazienti in questo stadio clinico di malattia il trat-tamento elettivo sia la chemioterapia associata aradioterapia. I pazienti con malattia localmenteavanzata inoperabile (stadio IIIB) con buon PS(scala ECOG 0-1) e con minima perdita di peso(meno del 5% nei 3 mesi precedenti la diagnosidi neoplasia polmonare) e assenza di versamentopleurico o metastasi sopraclaveari beneficiano diuna sopravvivenza superiore se sottoposti a untrattamento combinato chemioradioterapico evanno accuratamente valutati per questo tipo diapproccio terapeutico. Sono raccomandate un’ac-curata analisi del paziente (condizioni generali,estensione della malattia nell’ambito del III stadio,

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siderato appropriato solo sulla base della valuta-zione caso per caso, da parte dell’Oncologo Ra-dioterapista, dei rischi competitivi di recidiva localee di metastasi a distanza; in ogni caso deve essereconsiderata individualmente la tossicità del tratta-mento. Analoghe considerazioni valgono per i casicon positività marginale.

Chirurgia dello stadio IIIA (T1-3N2). Circa il15-20% dei pazienti con linfonodi di aspetto nor-male alla TC e PET senza evidenza di captazionelinfonodale presenta metastasi linfonodali media-stiniche se sottoposti a linfoadenectomia sistema-tica. La percentuale è inferiore ma sempre rilevante(10-15%) nei pazienti con T1N0 clinico. Moltidi questi casi presentano una diffusione limitata(singola stazione, metastasi embolica) e la resezioneradicale si associa a una sopravvivenza a 5 annidel 20-25%. Nei pazienti con N2 clinico, la chi-rurgia primaria ottiene raramente un’exeresi ma-croscopicamente completa, e nelle serie retrospet-tive la sopravvivenza a 5 anni è ben al di sotto del10%, vale a dire simile se non peggiore a quelladella radioterapia. Il trattamento di induzione conchemioterapia per 2-3 cicli (± radioterapia) è oggila scelta più razionale e conveniente per ridurre lamalattia visibile e identificare i casi in cui la che-miosensibilità locale possa predire una maggioreefficacia della resezione chirurgica. L’interessamento della carena per estensione di-retta del tumore primitivo, senza metastasi me-diastiniche, è un evento eccezionale e in casi benselezionati la pneumonectomia con resezione tra-cheale può essere tecnicamente fattibile e conve-niente. Le probabilità di guarigione chirurgicasono nell’ordine del 20-25%, ma la mortalità pe-rioperatoria è elevata (10-15%).

Chirurgia dello stadio IIIB (T4N0). La resezionedella vena cava superiore, con eventuale sostitu-

of death compared with radiation therapy alone”.Dati non dissimili valgono per i casi in categoriaIIIB, con l’evidente diversità che la stragrandemaggioranza di questi pazienti non riconosceun’indicazione chirurgica. Pertanto, è possibile af-fermare, ancora in accordo con le linee guida delPDQ, che “…Patients with stage IIIB NSCLC donot benefit from surgery alone and are best managedby initial chemotherapy, chemotherapy plus radiationtherapy, or radiation therapy alone, depending onthe sites of tumor involvement and the performancestatus (PS) of the patient. Most patients with excellentPS are candidates for combined modality therapy...”.Per quanto riguarda i pazienti operabili o poten-zialmente operabili (come già ripetuto più volte,una minoranza), un esiguo numero di studi ran-domizzati ha poi evidenziato l’efficacia della ra-dioterapia associata alla chemioterapia come trat-tamento preoperatorio. Per quanto si tratti di ca-sistiche selezionate, i risultati sono incoraggianti el’indicazione può considerarsi appropriata su baseindividuale e dopo attenta valutazione dell’Onco-logo Radioterapista. Per quanto vi sia evidenza dilivello I che la radioterapia postoperatoria riducel’incidenza di recidive mediastiniche in pazientiin stadio III operati, a oggi non vi è evidenza diun miglioramento significativo della sopravvivenza.Tuttavia, lo studio retrospettivo di Lally et al. suoltre 7000 casi ha evidenziato un vantaggio di so-pravvivenza per i pazienti in categoria N2 trattaticon radioterapia postoperatoria. Ciò determinadifformità di indicazioni nelle linee guida inter-nazionali. Quelle del NCCN, per esempio, sug-geriscono l’impiego della radioterapia postopera-toria nei casi N2 sia che la categoria T inizialefosse T1 o 2 sia T3; il contrario vale per le indica-zioni del PDQ-NCI, che consigliano l’impiegodella radioterapia postoperatoria soltanto nel con-testo di studi clinici controllati. Il trattamento po-stoperatorio di questi casi può dunque essere con-

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un’exeresi completa sia ottenibile, è ragionevoleprocedere alla resezione polmonare.

2.5.4. Malattia avanzata

Per i pazienti con carcinoma polmonare in stadioIV le opzioni terapeutiche includono la chemio-terapia o la terapia di supporto, comprensiva dellaradioterapia a intento palliativo. Per questi pazientiil trattamento sistemico offre la possibilità di con-trollare la sintomatologia correlata al tumore, mi-gliorare la sopravvivenza e la qualità di vita. Nellostadio IV il trattamento chemioterapico va riser-vato a pazienti ambulatoriali, senza considerevolecalo ponderale e in buone condizioni generali. Lachemioterapia prevede l’impiego di derivati delplatino (cisplatino o carboplatino) in combinazionecon uno dei seguenti farmaci: gemcitabina, vino-relbina, taxani (paclitaxel o docetaxel) o pemetre-xed (limitatamente all’istologia non squamosa).Pazienti con tumori recenti con mutazioni a caricodel gene del recettore dell’EGF (epidermal growthfactor) possono avvalersi di un trattamento coninibitori della tirosinchinasi associata al recettoredell’EGF con una migliore efficacia sul tempo allaprogressione. Esistono sufficienti evidenze che l’im-piego di bevacizumab [un anticorpo monoclonalecontro il VEGF (vascular endothelial growth factor)]allorché aggiunto alla chemioterapia migliora iltempo alla progressione e, con alcune combina-zioni chemioterapiche, anche la sopravvivenza. Ladurata ottimale del trattamento è di 4-6 cicli. Laterapia di seconda linea ha un ruolo crescente siaper la palliazione sia per la sopravvivenza.

Trattamento di seconda linea. La maggior partedei pazienti tende a recidivare dopo la terapia diprima linea; la ripresa di malattia è solitamente ac-compagnata dalla presenza di sintomi con un’aspet-tativa di vita limitata. I fattori predittivi di risposta

zione protesica, è un intervento efficace nei tumoriche infiltrano direttamente il mediastino e può es-sere eseguita senza circolazione extracorporea, conuna mortalità e morbilità limitate. Questa chirur-gia, in combinazione con un trattamento medicodi induzione, deve essere valutata in pazienti ade-guatamente selezionati per stadio e comorbilità. Iprogressi nel campo della chirurgia della colonnaoffrono nuove possibilità di intervento nei tumoriche infiltrano marginalmente il corpo vertebrale,che oggi è possibile affrontare con un intento cu-rativo. Si tratta tuttavia di una procedura com-plessa, che richiede la presenza simultanea del Neu-rochirurgo e del Chirurgo Ortopedico, e d’indi-cazione eccezionale. La resezione dell’atrio sinistroper estensione diretta del tumore alla confluenzadelle vene polmonari non è un evento eccezionalenel corso di una pneumonectomia intrapericardicae non comporta problemi di carattere tecnico.Analoghe considerazioni valgono per la resezionetangenziale dell’esofago o dell’avventizia dell’aorta.L’infiltrazione massiva del miocardio, dell’esofagoo dell’aorta costituiscono, invece, una controindi-cazione formale all’intervento, così come la pre-senza di un versamento citologicamente positivo,anche se di limitata estensione. Con un esame ci-tologico negativo, è imperativo procedere a esplo-razione toracoscopica e biopsie pleuriche multiple,prima di un’eventuale toracotomia.

Chirurgia dei noduli satelliti. Il riscontro in-traoperatorio di noduli satelliti, nello stesso loboin cui ha sede il tumore primario o in un altrolobo, e che si confermano dello stesso tipo istolo-gico all’esame estemporaneo, pone ovvi problemidi interpretazione (metastasi o malattia multifo-cale) e di scelta terapeutica. Nella prossima ver-sione del TNM, questi tumori sono retrocessi distadio a T3 (stesso lobo) o T4 (altro lobo ipsilate-rale). Da un punto di vista pratico, laddove

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anni, allorché sia attesa la comparsa della maggiorparte delle recidive, successivamente a cadenze se-mestrali.

Chirurgia dello stadio IV (metastasi solitarie).Il cervello è una sede frequente di recidiva doporesezione polmonare e talvolta la malattia si pre-senta con una metastasi solitaria. Nei casi di me-tastasi cerebrale unica, il trattamento con RT ste-reotassica, gamma-knife o craniotomia, seguitoda chemioterapia sistemica e resezione chirurgicapolmonare (se sincrone), può consentire una so-pravvivenza a 5 anni compresa tra il 10% e il20%. La sopravvivenza non appare influenzatadall’intervallo libero. Per le metastasi uniche in altre sedi (es. surrene),sono riportati casi aneddotici di lungo-sopravvi-venti dopo metastasectomia, ma non vi sono ele-menti sufficienti a suffragare il ruolo terapeuticodi questa procedura.

2.5.5. Follow-up

Una visita con esame radiologico standard edesami ematochimici è consigliata a distanza di 30giorni dall’intervento per una valutazione degliesiti chirurgici. Non sono disponibili dati EBM(evidence-based medicine) sul follow-up ottimalenei pazienti operati radicalmente e che non ne-cessitano di ulteriori trattamenti. Lo standard con-siste in una visita ambulatoriale con TC del toraceogni 4 mesi nei primi 2 anni, ogni 6 mesi nel-l’anno successivo e annualmente dopo 3 anni dal-l’intervento chirurgico, per un possibile nuovotumore primitivo (10-20% dei casi). Esami ag-giuntivi come la PET/TC o la broncoscopia pos-sono essere prescritti in presenza di sintomi osegni sospetti per recidiva locale o metastasi a di-stanza, o per valutare una nuova lesione polmo-nare, ma non rientrano nel follow-up di routine.

al trattamento di seconda linea sono legati al tempodi comparsa della recidiva rispetto al termine deltrattamento di prima linea, alla risposta al tratta-mento precedente e al tipo di terapia utilizzata du-rante la fase di induzione. La maggioranza dei pa-zienti in questa fase riceve un trattamento mono-chemioterapico secondo le specifiche indicazioni.Il numero medio di trattamenti è di 3-4 cicli. Laterapia radiante svolge un ruolo di pura palliazioneperaltro tuttavia estremamente importante nel con-trollo delle metastasi cerebrali, delle sindromi me-diastiniche da ostruzione della cava superiore, dellemetastasi ossee e in particolare delle compressionimidollari da metastasi vertebrali.

Valutazione delle risposte e follow-up. Nellamaggior parte dei casi il medico effettua un con-trollo TC dopo 2-4 cicli di chemioterapia peridentificare i casi stabili o in progressione, e per iquali il trattamento andrebbe interrotto, e quelliche hanno risposto al trattamento, per i quali puòritenersi valido continuarlo. Il programma di fol-low-up deve necessariamente tenere conto dellastoria naturale della neoplasia (tempo di raddop-piamento, sede e modalità di ripresa, rischio diripresa, tossicità tardive, beneficio della diagnosiprecoce) e va contenuto al minimo in rapporto alvantaggio ottenibile dal paziente. Con l’esclusionedei pazienti che afferiscono a studi clinici con-trollati ove la cadenza del follow-up è fissata dalprotocollo di studio, occorre precisare che, per ilcarcinoma polmonare, non esistono evidenze cli-niche a supporto della necessità di un follow-upparticolarmente intenso, soprattutto alla luce dellescarse possibilità terapeutiche in caso di recidiva,con la sola esclusione del microcitoma in recidivatardiva (intervallo libero di almeno 3 mesi daltermine della terapia primaria). Pazienti sottopostia terapia primaria potrebbero essere sottoposti acontrolli di follow-up trimestrali per i primi 2

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chemioterapia di induzione. Nei casi eccezionalioperati senza diagnosi preoperatoria per un piccolotumore periferico (T1N0), è consigliabile un trat-tamento di chemioterapia adiuvante, anche se al-cune casistiche retrospettive mostrano una soprav-vivenza a 5 anni del 40% con sola chirurgia.

Radioterapia. La combinazione chemioradiotera-pica è lo strumento fondamentale per la gestionedella minoranza dei casi con malattia limitata pas-sibili di trattamento radicale. Per questi pazienti èstata recentemente sottolineata l’opportunità di unaprecoce associazione della radioterapia alla chemio-terapia. Il SCLC è altamente radiosensibile e, neicasi con “limited disease”, la radioterapia a livellotoracico migliora significativamente la sopravvivenzarispetto alla sola chemioterapia. Nei pazienti re-sponsivi alla chemioradioterapia, l’irradiazione pa-nencefalica migliora ulteriormente la prognosi. In-fatti, secondo il già citato PDQ-NCI: “Combinedmodality treatment with chemotherapy and thoracicradiation therapy (TRT) is the standard treatment forpatients with limited-stage disease (LD) small cell lungcancer (SCLC)”. Il trattamento radioterapico deveessere iniziato, se possibile, non oltre l’inizio delterzo ciclo di chemioterapia (inizio precoce) sullabase di dati che supportano un livello di evidenza I.Nei pazienti con “extensive disease”, l’unico possibile(e controverso) ruolo della radioterapia nel contestodi un trattamento radicale è quello dell’irradiazionepanencefalica nei pazienti con risposta completa.

2.7. Elementi per la programmazione e l’organizzazione dei servizi

2.7.1. Chirurgia

Volumi di attività per accreditamento ed eccel-lenza. Nella letteratura internazionale esiste unasufficiente evidenza che i risultati globali della terapia

2.6. Carcinoma polmonare a piccole cellule(SCLC)

Terapia medica e strategia generale. La poliche-mioterapia è il cardine terapeutico sia per la ma-lattia estesa sia per quella limitata. In pazienti concarcinoma polmonare a piccole cellule in stadiodi malattia limitata la radioterapia toracica migliorail controllo locale e la sopravvivenza complessiva eva incorporata in una strategia terapeutica combi-nata. Nell’applicare questo principio terapeuticodevono essere tenuti in considerazione il volumetumorale e la sede della lesione, nonché la funzio-nalità polmonare del paziente. Le combinazionichemioterapiche più frequentemente utilizzate pre-vedono l’impiego di ciclofosfamide-adriamicina-vincristina (o etoposide) oppure l’associazione cis -platino-etoposide. Queste due combinazioni sonoegualmente attive in termini di sopravvivenza, madotate di profili di tossicità differenti. Comune-mente negli studi clinici si somministrano 6 cicli.Non esiste evidenza per raccomandare uno speci-fico numero di cicli di terapia. Non c’è evidenza afavore di una qualsivoglia terapia di mantenimentoin grado di migliorare la sopravvivenza. La terapiaradiante può svolgere un ruolo palliativo, peraltroestremamente importante, nel controllo delle me-tastasi cerebrali, delle sindromi da compressionedella cava superiore, nelle metastasi ossee e nellecompressioni midollari da metastasi vertebrali. Neipazienti con malattia limitata ed estesa in rispostadopo terapia di induzione è indicato il trattamentoradioterapico encefalico profilattico da effettuarsicomunque al termine del trattamento di induzione.

La chirurgia nel SCLC. La chirurgia ha uno scarsoimpatto sul trattamento del microcitoma e menodel 5% dei casi è operabile all’esordio. L’indicazioneall’intervento chirurgico si basa sullo stadio TNM,come nelle forme non a piccole cellule, ma dopo

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broncologia, anatomia-patologica, laboratorio di fi-siopatologia respiratoria) che consentano di formu-lare una diagnosi di natura e di candidare il pazienteal più appropriato trattamento. Sono indispensabiliadeguati locali per la somministrazione della che-mioterapia che consentano il rispetto della privacydei pazienti. Si suggerisce una dotazione minima di4 sedie per chemioterapia per l’accreditamento e di8-10 per raggiungere l’eccellenza. Un minimo di 2camere visita per l’accreditamento e di 4 per conse-guire l’eccellenza. Devono necessariamente sussistereun minimo di 3-4 posti letto di appoggio qualorasi renda necessaria l’ospedalizzazione dei pazienti.Per conseguire la dimensione di eccellenza devononecessariamente insistere nella stessa struttura tuttele figure professionali richieste per il gruppo inter-disciplinare di cure. È richiesta la comprovata ese-cuzione di una riunione del gruppo interdisciplinareogni 2 settimane per l’accreditamento e settimanaleper raggiungere l’eccellenza. Per l’accreditamento eper la qualificazione di eccellenza è indispensabileuna farmacia oncologica centralizzata per la prepa-razione dei farmaci oncologici. Occorre disporre disistemi di controllo di qualità per la prescrizionedei farmaci al fine di minimizzare l’errore prescrit-tivo. L’esistenza di infermieri di ricerca, di data ma-nager e di psicologi è considerata criterio irrinun-ciabile per raggiungere l’eccellenza. Per conseguireuna dimensione di eccellenza deve essere comprovatal’esistenza di dotazioni tecnologiche di laboratorioche consentano l’adesione a studi clinici che richie-dono l’utilizzo di analisi molecolari.

Volumi di attività per accreditamento ed eccel-lenza. Si ritiene che per l’accreditamento delle strut-ture dedicate alla somministrazione della chemio-terapia per le neoplasie toraciche sia richiesto unvolume minimo di 8 nuovi pazienti/mese, mentreper raggiungere una dimensione di eccellenza si ri-chiede un numero di 15-20 nuovi pazienti/mese.

chirurgica (mortalità, morbilità e sopravvivenza alungo termine) in ogni struttura siano legati al nu-mero di interventi eseguiti annualmente e che ilvolume di attività possa rappresentare un parametroindiretto di eccellenza. In particolare, per quantoriguarda la chirurgia dei tumori polmonari, i datidel più affidabile registro americano (SurveillanceEpidemiology and End Results, SEER) mostrano chenei Centri che eseguono più di 66 resezioni per tu-more polmonare ogni anno, rispetto a quelli che neeseguono meno di 15, si osserva una drastica ridu-zione della mortalità (3% vs 6%) e della morbilità(20% vs 44%) e un netto miglioramento della so-pravvivenza globale a 5 anni (44% vs 33%).Gli standard di qualità per la chirurgia toracicasono stati approvati nel 2001 dalla EACTS (TheEuropean Association for Cardio-Thoracic Surgery)e dalla ESTS (European Society of Thoracic Surgeons)e individuano i seguenti parametri di attività:• il numero minimo di procedure maggiori, quali

lobectomie e pneumonectomie, è stimato in100-200 casi l’anno per l’accreditamento e in250-350 casi l’anno per raggiungere la dimen-sione di eccellenza clinica;

• il livello minimo di attività per un ChirurgoToracico senior è di 150 interventi per anno eper un Chirurgo in formazione di 50-100 in-terventi per anno;

• la disponibilità di risorse per l’assistenza e il mo-nitoraggio postoperatorio deve essere pari a 1letto di Terapia Intensiva e a 1-2 letti di TerapiaSemi-Intensiva, ogni 300 interventi l’anno.

2.7.2. Terapia medica

Dotazioni delle unità cliniche per accreditamentoed eccellenza. Sono indispensabili adeguati localidi attesa a seconda dei volumi di attività. Ai finidell’iter diagnostico le strutture da accreditare de-vono disporre necessariamente dei servizi (radiologia,

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lesioni in stadio clinico I-II di diametro non supe-riore a 3-4 cm, senza interessamento linfonodale.È altresì molto controversa (e in ogni caso limitataa casi estremamente selezionati) l’utilità di pianidi trattamento IMRT (intensity-modulated radia-tion therapy). Non vi è ancora evidenza della supe-riorità in termini di outcome di piani basati sullacoregistrazione di immagini TC e PET/TC. L’uti-lizzo di queste tecniche è quindi non appropriatoal di fuori di studi clinici. Pertanto, la disponibilitàdi tutte queste metodiche non può essere conside-rata un requisito per l’accreditamento. L’impiegodi metodiche di “gating” respiratorio o comunquedi “breathing control” non può essere realizzatoin tutti i pazienti e il suo impatto sull’outcome nonè dimostrato. Analogamente, una valutazione intermini di outcome e di EBM dell’impiego di tec-niche di IGRT (image guid ed radiation therapy)non è ancora disponibile; la possibilità di utilizzaretali tecniche non può essere considerata un requi-sito per l’accreditamento strumentale. Tuttavia, lelinee guida del NCCN suggeriscono il loro im-piego “quando fattibile”. Dal punto di vista del-l’expertise e delle necessità organizzative, è neces-sario che l’Oncologo Radioterapista sia consultatonella fase di programmazione terapeutica iniziale,dal momento che il trattamento radioterapico deveessere definito in base alle condizioni cliniche delpaziente, all’estensione della malattia, in rapportoalla potenziale tossicità del trattamento radiotera-pico, che a sua volta varia in rapporto all’associa-zione o meno con la chemioterapia e la chirurgiae a seconda del tipo di trattamento chirurgico ochemioterapico eventualmente adottato. È altresìindispensabile che l’Oncologo Radioterapista abbiauna conoscenza operativa degli schemi chemiote-rapici impiegati nell’associazione con la radiotera-pia, della cui corretta attuazione è responsabile. Èinfine indispensabile che l’Oncologo Radiotera-pista abbia a disposizione uno spazio clinico (day

Per conseguire l’eccellenza si ritiene che il volumeminimo di espressione di secondi pareri sia da va-lutare nell’ordine di 20/mese. Per l’eccellenza è ri-chiesta la comprovata partecipazione a studi cliniciin un numero minimo di 8-10/anno, con un ar-ruolamento di un minimo di 80-100 pazienti/anno.È altresì da richiedere alle Strutture di Eccellenzaun numero minimo di uno studio clinico promossodalla singola Struttura ogni 3 anni.

2.7.3. Radioterapia

Dotazioni e volumi di attività per accredita-mento ed eccellenza. Dal punto di vista della do-tazione strutturale, è altamente auspicabile (anchese non strettamente indispensabile, v. infra) che ilCentro di Radioterapia che esegue trattamenti perle neoplasie del polmone disponga al suo internodi un ambiente clinico (day hospital, reparto didegenza) presso il quale effettuare trattamenti che-mioterapici concomitanti alla radioterapia, quandonecessari, e per le necessità di assistenza di questimalati, spesso in condizioni generali compromesse.È indispensabile che disponga di un adeguato am-biente, inclusi servizi (per il paziente e il personale)per l’effettuazione del trattamento radioterapico.La dotazione strumentale necessaria per l’accredi-tamento include le attrezzature per la realizzazionedi trattamenti 3D conformati (immagini TC daTC simulatore o trasferite da una normale TC im-piegata per diagnostica, TPS con potenzialità ade-guata per produrre piani conformati 3D, accele-ratore lineare). Viceversa, in base all’EBM e ai ri-sultati pubblicati, in queste forme l’impiego di ap-parecchiature come Cyberknife™, Tomothe-rapy™ o della radioterapia stereotassica “body”(stereotactic body radiotherapy, SBRT) non è ap-propriato, al di fuori di studi clinici (in merito èin corso lo studio del Radiation Therapy OncologyGroup 0236) e comunque limitatamente alle (rare)

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2Neoplasie polmonari

congelatore –20 °C e –80 °C, frigo +4 °C/–20 °C,forni ventilati, centrifughe, termociclatori, bilance,cappa chimica, pH-metro, agitatore rotante, piastrariscaldante, sequenziatore automatico. La strategiapiù efficace per garantire la qualità della prestazioneè l’obbligatorietà dell’adesione a un programma dicontrollo di qualità esterno, attraverso il quale vengaverificata periodicamente la capacità operativa tec-nica e interpretativa, per verificare periodicamentela capacità operativa in immunoistochimica e inbiologia molecolare del Centro.

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hospital, reparto di degenza, v. prima) presso ilquale seguire questi pazienti, quando le necessitàdella loro assistenza lo richiedano; è altamente au-spicabile che questo spazio si trovi nel contestodel Centro di Radioterapia (v. prima), per motividi evidente opportunità clinico-organizzativa. Dalpunto di vista dei livelli di attività necessari perl’accreditamento, essi sono meglio espressi in rap-porto all’insieme della patologia neoplastica pol-monare trattata, ben sapendo che la percentualedi trattamenti con finalità radicale sul totale deicasi trattati, con la conseguente richiesta di unamaggiore complessità delle procedure terapeuticheda adottare, è relativamente ridotta (circa il 30%).Per quanto tutti i Centri di Radioterapia siano ingrado di trattare questa patologia, purché dispon-gano della dotazione strutturale e strumentaleprima delineata, si ritiene che per l’accreditamentodi eccellenza sia necessario che un Centro trattioltre 90 casi di neoplasia polmonare l’anno. Ciòcorrisponde a un minimo di circa 25-30 pazientil’anno trattati con finalità radicale (radioterapiaesclusiva o pre/postoperatoria).

2.7.4. Patologia molecolare

Dotazioni e volumi di attività per accreditamentoed eccellenza. La struttura deve disporre di un la-boratorio di istopatologia e di un laboratorio dibiologia molecolare attrezzato per estrazione, con-servazione, amplificazione e sequenziamento di acidinucleici. Per quanto riguarda i volumi di attività,oggi è difficile stabilire valori soglia in modo atten-dibile, anche se un volume di valutazioni di biologiamolecolare di almeno 350 esami l’anno sembra in-dispensabile per garantire efficacia ed efficienza diattività. Le attrezzature necessarie per un laboratoriodi biologia molecolare sono numerose e specifiche.Si possono citare, a titolo esemplificativo, HeatBlock, microdissettore laser, cappa sterile per PCR,

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Ministero della Salute

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2Neoplasie polmonari

Sospetto clinico di neoplasia polmonare (es. sintomo emoftoe)

Caratterizzazionedi nodulo polmonare solitario (NPS)

Stadiazionepretrattamento

Rx del torace (2 proiezioni)

TC del torace

Rx del torace (2 proiezioni)

TC del torace con mdc ev

PET/TC

TC del cranio, del torace e dell’addome superiore con mdc ev

PET/TC

Indicata

Indicata

Indicata

Indicata

Indicata

Indicata

Indicata

Il quadro Rx è diverso a seconda della sede della neoplasiapolmonare1) Endobronchiale: atelettasia parziale o completa di un lobo

o dell’intero polmone2) Intraparenchimale: nodulo (< 3 cm) o massa (> 3 cm)3) Rx negativa pur in presenza di cellule neoplastiche

nell’escreato bronchiale

Più sensibile dell’Rx nell’identificazione di lesioni di piccoledimensioni (in corso di validazione l’utilità della TC come mezzodi screening)

Utile solo in presenza di nodulo interamente calcifico

La TC è più sensibile e accurata. Esame impiegato per determinare:1) le caratteristiche morfologiche2) la densità (calcio, grasso ed enhancement contrastografico)3) la velocità di crescita del noduloUn valore di enhancement > 30 UH a 1, 2, 3, 4 min dall’iniziodell’infusione ev di mdc come riferimento per la diagnosi dimalignità della lesione ha elevati valori di sensibilità, specificità,accuratezza (98%, 58%, 77%) e un elevato VPN

Elevata accuratezza diagnostica nella caratterizzazione di noduli maligni > 1 cm, che presentano accumulo di FDGsuperiore all’attività vascolare nel mediastino

T: accurata nel valutare l’infiltrazione di:- parete toracica- diaframma- mediastinoN: bassa sensibilità nella stadiazione linfonodale, parametrodimensionale (linfonodi con asse corto > 1 cm). Può essereutilizzata come “atlante anatomico” per le metodiche di diagnostica invasiva per la localizzazione linfonodale ai fini di eventuali procedure biopticheM: utile per localizzazioni extratoraciche craniche e addominali(surrenaliche)

Elevata accuratezza diagnostica in particolare nella valutazionedi metastasi linfonodali (N) e a distanza (M). I casi di captazione patologica a livello linfonodale mediastinico (N2-N3) devono essere sottoposti a stadiazione invasiva perelevati falsi positivi caratteristici della metodica

Procedure diagnostiche per le neoplasie polmonari

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Appendice: Diagnostica per immagini

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(segue)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Valutazionedella rispostaal trattamentoCT/RT

Follow-up

Definizione dei volumi del trattamentoradioterapico

Metodiche invasiveEUS, EBUS, TBNA,mediastinoscopia

RM

TC del cranio, del torace e dell’addome superiore con mdc ev

PET/TC

TC del cranio, del torace e dell’addome superiore con mdc ev

PET/TC

PET/TC

Indicate in specifichecircostanze

Indicata in specifichecircostanze

Indicata

Indicata

Indicata

Indicata in specifichecircostanze

Indicata

Elevato grado di accuratezza diagnostica nella stadiazionemediastinica. Tali metodiche possono essere omesse in pazienticon stadio clinico I e PET/TC negativa a livello mediastinico.Sono indicate in caso di:1) tumore a localizzazione centrale2) tumore a localizzazione centrale con coinvolgimento

linfonodale N1 in PET/TC3) carcinoma bronchioalveolare4) linfonodi con asse corto > 16 mm in TC

Non presenta vantaggi rispetto alla TC. Può essere utile nella valutazione del tumore dell’apice polmonare e nei pazienti con documentata importante reazione allergica al mdc iodato

La valutazione della risposta si basa su variazioni dimensionalidella lesione parenchimale e dei linfonodi. Accuratezza limitataper la difficoltà a differenziare il tessuto neoplastico da alterazioni postattiniche

Elevata sensibilità nell’identificazione di residuo di malattiametabolicamente attivo a livello del T e del N. Per eventuali falsi positivi correlati a flogosi reattive l’indagine va eseguita non prima di 60 giorni dalla fine del trattamento. Elevato VPN

Il ricorso all’indagine è indicato in caso di sospetto clinico di ripresa di malattia o per variazioni del piano di trattamento

Utile nel sospetto di recidiva di malattia e per risolvere casidubbi

Uso della PET/TC come guida al trattamento radioterapico.Definizione del volume biologico (biologic target volume, BTV)

In ottemperanza al D.Lgs 187/00, la scelta dell’esame da effettuare deve essere fatta considerando metodiche e tecniche idonee a ottenere il maggior bene-ficio clinico con il minimo detrimento individuale e della collettività. Devono quindi essere privilegiate quelle tecniche e metodiche che comportano, a paritàdi obiettivo diagnostico, una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.

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3. Neoplasie della mammella

matica è di minore rilievo, in quanto nel nostroPaese sembra che non più del 10-15% abbia fattouso di terapia ormonale sostitutiva, percentualelargamente inferiore agli Stati Uniti (circa del40%). La mortalità per tumore della mammellaha mostrato dapprima un incremento parallelo aquello dell’incidenza e successivamente, a partiredagli anni Novanta, si ha una marcata riduzionelegata sia all’anticipazione diagnostica sia all’uti-lizzo di terapie locali e sistemiche di maggiore ef-ficacia e di ampia diffusione.

3.2. Stadiazione e “risk assessment”

La classificazione clinica e patologica attualmentein uso è quella dell’AJCC (American Joint Com-mittee on Cancer) VI edizione del 2003. È strut-turata come segue.

Tumore primitivo – T• Tx: tumore primitivo non definibile.• T0: tumore primitivo non evidenziabile.• Tis: carcinoma in situ: carcinoma intraduttale,

o carcinoma lobulare in situ, o malattia diPaget del capezzolo senza che sia evidenziabileil tumore (la malattia di Paget associata a tu-more viene classificata secondo la dimensionedel tumore).

3.1. Incidenza e mortalità

Il tumore della mammella è la neoplasia più fre-quente nel sesso femminile e costituisce attual-mente quasi il 30% di tutte le diagnosi tumorali.Ogni anno in Italia sono diagnosticati circa38.000 nuovi casi e circa 11.000 decessi. L’inci-denza è in diretto rapporto con l’età e raggiungeil picco, di circa 300 casi ogni 100.000 donnel’anno, intorno ai 60 anni. Al di sopra di questaetà il tasso rimane relativamente stabile. I tassi diincidenza sono stati in costante aumento sino allefine degli anni Novanta, poi si sono stabilizzatied è iniziato un certo decremento. Ciò è da attri-buire probabilmente all’utilizzo sempre più diffusodegli screening. Negli Stati Uniti, una significativariduzione dell’incidenza del tumore della mam-mella è stata osservata nel 2003 nelle donne dietà ≥ 50 anni e prevalentemente dei tumori or-monoresponsivi. Tra le varie ipotesi quella più ac-creditata è che tale riduzione sia da correlare a undrastico calo delle prescrizioni della terapia or-monale sostitutiva dopo la pubblicazione dei ri-sultati di un ampio studio (Women’s Health Ini-tiative) che aveva evidenziato un’aumentata inci-denza di tumori della mammella e di cardiopatiaischemica con l’impiego di una terapia ormonalecontenente estro-progestinici. In Italia la proble-

n. 3, maggio-giugno 2010

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• T1: tumore della dimensione massima fino a2 cm- T1mic: microinvasione della dimensione

massima di 0,1 cm*;- T1a: tumore della dimensione compresa fra

0,1 e 0,5 cm;- T1b: tumore della dimensione compresa fra

0,5 e 1 cm;- T1c: tumore della dimensione compresa fra

1 e 2 cm.• T2: tumore superiore a 2 cm ma non più di 5

cm nella dimensione massima.• T3: tumore superiore a 5 cm nella dimensione

massima.• T4: tumore di qualsiasi dimensione con esten-

sione diretta alla parete toracica o alla cute.Nota: la parete toracica include le coste, i mu-scoli intercostali e il muscolo dentato anteriore,ma non i muscoli pettorali. - T4a: estensione alla parete toracica;- T4b: edema (inclusa la pelle a buccia d’aran-

cia) o ulcerazione della cute della mammellao noduli satelliti della cute situati nella me-desima mammella;

- T4c: presenza contemporanea delle caratte-ristiche di 4a e 4b;

- T4d: carcinoma infiammatorio#.

Linfonodi regionali – N• Nx: linfonodi regionali non valutabili (es. se

precedentemente asportati).• N0: linfonodi regionali liberi da metastasi.

• N1: metastasi in linfonodi ascellari omolateralimobili.

• N2: metastasi in linfonodi ascellari omolateralifissi tra di loro o ad altre strutture.

• N3: metastasi nei linfonodi mammari interniomolaterali.

• pNx: i linfonodi regionali non possono esseredefiniti (non sono stati prelevati per essere esa-minati o sono stati rimossi).

• pN0: assenza di metastasi nei linfonodi regio-nali.

• pN1: metastasi in linfonodi ascellari omolate-rali- pN1a: solo micrometastasi (non superiori a

0,2 cm);- pN1b: metastasi in linfonodi (qualcuna su-

periore a 0,2 cm);- pN1bi: metastasi in 1-3 linfonodi delle di-

mensioni massime comprese fra 0,2 e 2,0 cm,- pN1bii: metastasi in 4 o più linfonodi

delle dimensioni massime comprese fra 0,2e 2,0 cm,

- pN1biii: estensione oltre la capsula di unametastasi linfonodale inferiore a 2,0 cmnella dimensione massima;

- pN1biv: metastasi in un linfonodo delladimensione massima compresa di 2,0 cmo più.

• pN2: metastasi in linfonodi ascellari omolate-rali fissi tra di loro o ad altre strutture.

• pN3: metastasi in linfonodi mammari interniomolaterali.

* Microinvasione è l’estensione di cellule neoplastiche oltre la membrana basale nei tessuti adiacenti senza focolai maggiori di0,1 cm nella dimensione massima. Quando vi sono multipli focolai microinvasivi, la classificazione è basata sulle dimensionidi quello maggiore (non viene utilizzata la somma dei diversi focolai). La presenza di focolai multipli deve essere annotata,come accade per i carcinomi multipli di maggiori dimensioni.

# Il carcinoma infiammatorio della mammella è caratterizzato da un diffuso indurimento infiammatorio della cute con bordoerisipelatoide, di solito senza una massa sottostante palpabile. Se la biopsia della cute è negativa e non vi è un cancroprimitivo localizzato misurabile, quando la diagnosi clinica è di carcinoma infiammatorio (T4d), nello staging patologico lacategoria T va indicata come pTX. Avvallamento della cute, retrazione del capezzolo o altre modificazioni cutanee, fatta ec-cezione per quelle di T4b e T4d, possono esservi nei T1, T2 o T3 senza modificarne la classificazione.

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Metastasi a distanza – M• Mx: metastasi a distanza non accertabili.• M0: metastasi a distanza assenti.• M1: metastasi a distanza presenti.Le categorie M1 e pM1 possono essere ulterior-mente definite:- Polmonari PUL- Midollo osseo MAR- Ossee OSS- Pleura PLE- Epatiche HEP- Peritoneo PER- Cerebrali BRA- Surrene ADR- Linfonodali LYM- Cute SKI- Altre OTH

Raggruppamento in stadi (Tabella 3.1)Si distingue dalla precedente edizione del 1997nei seguenti punti:• le micrometastasi vengono distinte dalle cellule

tumorali isolate in base alle dimensioni e al-l’evidenza istologica di malignità;

• sono stati introdotti simboli specifici per se-gnalare l’impiego della biopsia del linfonodosentinella e delle tecniche di indagine immuno-istochimica e molecolare;

• la classificazione principale dello stato ascellaresi basa sul numero dei linfonodi ascellari me-tastatici rilevati con l’esame istologico standardcon ematossilina-eosina (metodo preferito) omediante immunoistochimica;

• è stata introdotta la categoria N3 per la classi-ficazione delle metastasi linfonodali infracla-vicolari;

• la presenza di metastasi linfonodali sopracla-vicolari è stata riclassificata N3, anziché M1;

• riclassificazione delle metastasi ai linfonodimammari interni precedentemente assegnatetutte alla categoria N3.

La scelta del programma per il carcinoma dellamammella dipende da una serie di fattori progno-stici. Quelli comunemente presi in considerazionecome consolidati per l’uso clinico includono: esten-sione del tumore (dimensioni e coinvolgimento deilinfonodi ascellari), grading istologico, tipo istolo-gico, stato dei recettori ormonali, età della paziente.L’impiego dei marker tumorali nella prevenzione,screening, trattamento e follow-up del carcinomamammario ha visto recentemente un aggiornamentodi linee guida e raccomandazioni da parte dell’Ame-rican Society of Clinical Oncology (ASCO). Sonostate individuate 13 categorie di marcatori e traquesti quelli di utilità clinica per i quali l’uso clinicoè raccomandato sono: CA 15.3, CEA, CA 27.29,recettori ormonali, HER2, UPA/PAI1. L’amplifi-cazione del gene HER2/neu e la sovraespressionedella proteina corrispondente sono presenti in circail 20-30% dei tumori mammari: la rilevanza chehanno assunto queste indagini ha portato all’elabo-razione di precise linee guida relativamente ai criteriper la definizione della sovraespressione della pro-teina e al metodo dell’ibridizzazione a fluorescenza

27

3Neoplasie della mammella

Tabella 3.1 Raggruppamento in stadi

Stadio 0 Tis N0 M0Stadio I T1* N0 M0Stadio IIA T0 N1 M0

T1* N1# M0T2 N0 M0

Stadio IIB T2 N1 M0T3 N0 M0

Stadio IIIA T0 N2 M0T1* N2 M0T2 N2 M0T3 N1, N2 M0

Stadio IIIB T4 Ogni N M0Ogni T N3 M0

Stadio IV Ogni T Ogni N M1

* T1 comprende T1mic.# La prognosi nei pazienti con pN1a è simile a quella dei pazienti con

pN0.

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fase precoce necessita ancora di ulteriore definizionerelativamente alla sensibilità, specificità e riprodu-cibilità sia qualitativa sia quantitativa delle metodi-che utilizzate. La recente disponibilità di una tecnicaaffidabile come quella Cell Search potrà consentirel’implementazione di progetti di ricerca che valutinoprospettivamente questo fattore prognostico in rap-porto ai trattamenti adiuvanti, contribuendo inoltrea fornire una valutazione e una stima dei marker diresistenza o sensibilità ai regimi chemioterapici efavorendo, quindi, una migliore comprensione deglieventi molecolari precoci del processo di metasta-tizzazione. Un ulteriore interesse sul piano pretta-mente clinico deriva dalla dimostrazione che le ca-ratteristiche di maggiore aggressività legate all’am-plificazione di HER2 sono mediate da questa sot-topopolazione.

3.3. Trattamento locale degli stadi iniziali (Figura 3.1)

Carcinoma in situ (DCIS), neoplasia intraepi-teliale duttale (DIN). La terapia chirurgica si basasulla resezione parziale o sulla quadrantectomiaquando l’estensione della malattia sia entro i limitianatomici di una chirurgia conservativa. L’inter-vento chirurgico è seguito da radioterapia in pre-senza di esame istologico che mostri la presenza difattori biologici di alto rischio di recidiva della neo-plasia. Nella maggior parte dei casi il carcinoma insitu (ductal carcinoma in situ, DCIS) non è palpa-bile. L’intervento per le lesioni non palpabili (mi-crocalcificazioni, addensamenti ecografici o mam-mografici) si avvale di metodiche di centratura: filometallico a uncino, traccia di carbone, ROLL (ra-dioguided occult lesion localization, localizzazioneradioguidata con macroaggregati di albumina legatia tecnezio radioattivo); la ROLL è attualmente lapiù attendibile per sensibilità, accuratezza e garanziadi margini liberi da malattia. In alcuni casi l’area

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in situ (fluorescent in situ hybridization, FISH) perla valutazione dell’amplificazione genica. La positi-vità di HER2/neu è associata a fattori prognosticisfavorevoli (età, negatività dei recettori ormonali,grado istologico) ed è indipendentemente associataa una prognosi peggiore in assenza di terapia contrastuzumab. La sovraespressione dell’HER2/neu èriconosciuta come un fattore prognostico consoli-dato oltre che predittivo di risposta a trastuzumab everosimilmente predittivo di resistenza a tamoxifene.La disponibilità di tecniche idonee all’esplorazionedella genetica delle cellule neoplastiche ha portatoallo sviluppo di mezzi utili per la definizione pro-gnostica, basati sulla conoscenza di geni coinvoltinei vari processi di progressione della cellula neo-plastica. Tutti i geni e i loro prodotti coinvolti neiprocessi di invasione, migrazione e metastatizza-zione, possono rappresentare potenziali fattori pro-gnostici. Una prima strategia è stata caratterizzatadall’analisi combinata di geni di cui è noto il coin-volgimento nel processo di crescita neoplastica, por-tando allo sviluppo dell’Oncotype; una secondastrategia è consistita nello studio su varie casistichedi un ampio numero di geni per poi validare, attra-verso algoritmi matematici, un complesso di genicorrelato con la prognosi sfavorevole e ciò ha portatoallo sviluppo di Mammaprint. La disponibilità dellatecnologia del micro-array, basata sull’ibridizzazionedi catene di DNA con loro copie complementari dicDNA fluorescente o sequenze gnomiche prove-nienti da tessuto, permette il confronto dell’espres-sione di tutti i geni in tessuti normali e tumori di-versi; tutto questo analizzando l’intensità della fluo-rescenza nel micro-array chip. Una delle più inte-ressanti applicazioni della tecnologia dei micro-arrayè consistita nella possibilità di classificare i casi dicarcinoma mammario su base molecolare, cioè aseconda dei differenti profili di espressione genica.La presenza di cellule tumorali circolanti (CTC)nel sangue di donne con carcinoma mammario in

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mastectomia è riservata a casi estesi con sospetto difocolai di malattia invasiva, oppure casi particolaridi alto rischio personale con evidenza di focolai diLIN alla microbiopsia. La biopsia del linfonodosentinella non è indicata. La radioterapia non è in-dicata se la diagnosi istologica è LIN pura.

Carcinoma microinvasivo (pT1mic). La terapiachirurgica si basa su resezione parziale o quadran-tectomia quando l’estensione della malattia sia entroi limiti anatomici di una chirurgia conservativa.L’intervento chirurgico conservativo è seguito daradioterapia; può essere eseguita radioterapia in-traoperatoria nell’ambito di studi clinici controllati.Quando il carcinoma microinvasivo non è palpa-bile, l’intervento è eseguito con una centratura: filometallico a uncino, traccia di carbone, ROLL (lo-calizzazione radioguidata con macroaggregati di al-bumina legati a tecnezio radioattivo); la ROLL è lapiù attendibile per sensibilità, accuratezza e garanziadi margini liberi da malattia. In alcuni casi l’areada operare viene indicata sulla cute con un repere(disegno) durante mammografia oppure ecografiamammaria. La mastectomia è riservata ai carcinomi

da operare viene indicata sulla cute con un repere(disegno) durante mammografia oppure ecografiamammaria. La mastectomia è riservata ai DCISestesi oltre un quadrante mammario e alle situazioninelle quali la quadrantectomia esiti in un risultatocosmetico scarso; può essere effettuata con una tec-nica sottocutanea o con una tecnica nipple-sparing,cioè con il risparmio del capezzolo se il tessuto re-troareolare è libero da DCIS a un esame istologicointraoperatorio. La ricostruzione mammaria è dagarantire sempre. La biopsia del linfonodo sentinellanon è indicata in caso di DCIS; può essere eseguitaquando l’estensione o le caratteristiche radiologichefanno pensare a microinfiltrazione.

Carcinoma lobulare in situ (LCIS), neoplasiaintraepiteliale lobulare (LIN). Non è noto se laneoplasia intraepiteliale lobulare (lobular intraepi-thelial neoplasia, LIN) sia una lesione realmentepremaligna oppure un marcatore di rischio più altodi successivo carcinoma. La chirurgia è conservativanella maggior parte dei casi: resezione parziale (ra-dioguidata, principalmente con ROLL quando nonvi siano lesioni palpabili) a scopo diagnostico. La

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Neoplasie della mammella 3

Figura 3.1 Flow-chart per il trattamento locale degli stadi iniziali.

Mammografia bilaterale, ecografia mammariabilaterale ± RM mammaria

Valutazione per terapia sistemica

Chirurgia conservativa, biopsia del linfonodo sentinella e/o dissezione ascellare

+ Radioterapia

Chirurgia conservativa,biopsia del linfonodo sentinella

e/o dissezione ascellare

Mastectomia totaleo nipple-sparing + biopsia

del linfonodo sentinellae/o dissezione ascellare

+ ricostruzione

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estesi oltre un quadrante, alla malattia multicentricao multifocale ampia e a tutte le situazioni nellequali la quadrantectomia esiti in un risultato co-smetico scarso. La mastectomia è totale con biopsiadel linfonodo sentinella e/o dissezione ascellare (seindicata), ma può essere effettuata con una tecnicanipple-sparing, cioè con il risparmio del capezzolose il tessuto retroareolare si presenta libero da neo-plasia in un esame istologico intraoperatorio. Laricostruzione mammaria è da garantire. La biopsiadel linfonodo sentinella va eseguita in tutti i casi.La tecnica che si preferisce è basata sul traccianteradioattivo legato a nanocolloidi di albuminaumana iniettati in prossimità del tumore (sottocuteoppure area peritumorale); in alcuni Centri vieneutilizzato il colorante blu, accettabile ma meno pre-ciso. In presenza di adenopatie ascellari sospette,di linfonodi ascellari visualizzati in ecografia ed esa-minati con agoaspirato positivo per CTM o di lin-fonodo sentinella positivo per metastasi, si eseguela dissezione linfonodale ascellare totale dei tre livellidi Berg. In caso di presenza, nel linfonodo senti-nella, di cellule tumorali isolate (isolated tumourcells, ITC) non si esegue la dissezione linfonodalecompleta, perché la situazione è paragonabile a unanegatività del linfonodo sentinella; nel caso di mi-crometastasi inferiori ai 2 mm si può discutere l’in-clusione in uno studio randomizzato che eviti ladissezione ascellare a favore di controlli regolari. Incaso di tumore ai quadranti interni o quadrantecentrale della mammella si può eseguire, in aggiuntaalla biopsia del linfonodo sentinella ascellare, labiopsia del linfonodo sentinella nella catena mam-maria interna, iniettando il tracciante in sede pro-fonda peritumorale.

Carcinoma infiltrante operabile (Figura 3.2). Laterapia si basa su resezione parziale o quadrantec-tomia quando l’estensione della malattia, anche semultifocale, sia entro i limiti anatomici di una

chirurgia conservativa. Il rapporto tra il volumemammario e l’ampiezza dell’intervento deve esserefavorevole all’asportazione completa della neoplasiacon un risultato cosmetico accettabile. L’interventochirurgico conservativo è seguito da radioterapia;può essere eseguita radioterapia intraoperatorianell’ambito di studi clinici controllati.La mastectomia è riservata a carcinomi estesi oltreun quadrante, multicentrici, multifocali estesi o consospetto radiologico o ecografico di multicentricità,e a tutte le situazioni nelle quali la quadrantectomiaesiti in un risultato cosmetico scarso. Si adotta latecnica della mastectomia totale con biopsia del lin-fonodo sentinella e/o dissezione ascellare se neces-saria (mastectomia radicale modificata). La rico-struzione mammaria è il completamento della ma-stectomia, da garantire sempre. La biopsia del lin-fonodo sentinella va eseguita in tutti i casi. La tecnicache si preferisce è basata sul tracciante radioattivolegato a microaggregati di albumina umana iniettatiin prossimità del tumore (sottocute oppure area pe-ritumorale); in alcuni Centri viene utilizzato il co-lorante blu, accettabile ma meno preciso. In presenzadi adenopatie ascellari sospette, linfonodi ascellariesaminati con agoaspirato positivo per CTM o lin-fonodo sentinella positivo per metastasi, si eseguela dissezione ascellare totale dei tre livelli di Berg. Incaso di presenza nel linfonodo sentinella di ITCnon si esegue la dissezione linfonodale ascellarecompleta, perché la situazione è paragonabile a unanegatività del linfonodo sentinella; nel caso di mi-crometastasi inferiori ai 2 mm si può discutere l’in-clusione della paziente in uno studio randomizzatoche eviti la dissezione ascellare a favore di controlliregolari. In caso di tumore ai quadranti interni oquadrante centrale della mammella si può eseguire,in aggiunta alla biopsia del linfonodo sentinellaascellare, la biopsia del linfonodo sentinella nellacatena mammaria interna, iniettando il tracciantein sede profonda peritumorale.

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3.4. Trattamento sistemico degli stadi iniziali

Carcinoma duttale in situ (DCIS). Uno studiorandomizzato ha dimostrato che dopo trattamentochirurgico conservativo il trattamento combinatodi radioterapia e tamoxifene è superiore all’una oall’altra delle terapie applicate singolarmente, intermini di sopravvivenza libera da malattia. Nonsono state rilevate però differenze in termini disopravvivenza globale. L’impiego di tamoxifenedopo i trattamenti locali può rappresentare un’op-zione terapeutica per le pazienti con DCIS e re-cettori ormonali positivi ed è proponibile per quellea rischio più elevato in assenza di controindicazionial suo utilizzo (valutandone il bilancio tra beneficiattesi e potenziali rischi di effetti collaterali).

Carcinoma lobulare in situ (LCIS). Il tratta-mento può essere il solo controllo nel tempo, op-pure si può attuare una “chemioprevenzione” dopodiscussione con la paziente. Questo principalmentesulla base di due studi clinici (NSABP-P1 e STAR)che segnalano come 5 anni di tamoxifene abbianodeterminato una riduzione significativa del rischiodi sviluppare un tumore della mammella invasivopari al 56% nelle donne con LCIS (NSABP); lostudio STAR ha inoltre indicato che nelle donnein postmenopausa raloxifene dimostra un’efficaciasovrapponibile a quella di tamoxifene nel ridurreil rischio di tumori invasivi nelle donne con LCIS.

Carcinoma invasivo. Per impostare un tratta-mento sistemico postoperatorio (terapia adiuvante)

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Neoplasie della mammella 3

Figura 3.2 Flow-chart per il trattamento del carcinoma infiltrante operabile.

Mammografia bilateraleEcografia mammaria bilaterale

± RM mammaria

Agoaspirato o microbiopsia

In base a: - localizzazione, multifocalità e dimensioni della neoplasia - dimensioni delle mammelle - preferenze della paziente e/o controindicazioni a RT

Chirurgia conservativa della mammellaBiopsia del linfonodo sentinella

Radioterapia su mammella residua(50 Gy frazionati in 5 settimane + boost di 10-20 Gy) Radioterapia post-mastectomia

Linfonodo sentinella negativoNo dissezione ascellare

Linfonodo sentinella positivoDissezione ascellare completa

Mastectomia + ricostruzione +biopsia del linfonodo sentinella

± dissezione ascellare

Se:- 4 o più linfonodi positivi- tumore primitivo avanzato(T > 5 cm o invasione cute e/o muscolo)

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di alcuni marcatori biologici all’immunoistochi-mica (ER, PgR, HER2). La Figura 3.3 delinea iltrattamento, rispettivamente, nei tumori con re-cettori ormonali negativi (< 10% di cellule positiveall’immunoistochimica) e in quelli positivi (≥ 10%di cellule positive all’immunoistochimica). Un’ul-teriore suddivisione viene fatta in base alla sovra -espressione e/o amplificazione dell’HER2.

Chemioterapia. La chemioterapia adiuvante ri-duce significativamente il rischio di ripresa e mortenelle pazienti con tumore della mammella opera-bile indipendentemente dall’età, dallo stato linfo-nodale, dallo stato recettoriale e dallo stato meno-pausale, anche se il beneficio assoluto è propor-zionale al rischio di ripresa della malattia e dimi-nuisce con l’aumentare dell’età. La polichemiote-rapia è superiore alla monochemioterapia. In ge-nerale la chemioterapia deve essere iniziata entro4-5 settimane dall’intervento chirurgico, anche senon c’è accordo unanime sul timing ottimale. La

adeguato per il tumore della mammella invasivo ènecessario prendere in considerazione numerosifattori prognostici e predittivi e un’adeguata di-scussione con la paziente sulle finalità del tratta-mento e sulle preferenze della paziente stessa. Ènecessario fare un’attenta valutazione dei parametribiologici, ma altrettanto anche un’attenta valuta-zione del rischio di ripresa della malattia, dei be-nefici attesi dal trattamento, degli effetti collateralie delle comorbilità. Per la definizione del rischioci si basa ancora sui fattori prognostici “standard”e anche su strumenti validati basati su modellicomputerizzati e disponibili online quale (es. “ad-juvant! Online”), che possono aiutare nella defi-nizione del rischio del singolo paziente. Risultatirecenti provenienti dai profili genetici indicanoche il tumore della mammella è una malattia ete-rogenea con almeno quattro distinti sottogruppimolecolari, ognuno con distinti profili di prognosie risposta ai trattamenti. Nella pratica clinica, perora questi gruppi sono surrogati con la valutazione

Figura 3.3 Flow-chart per il trattamento dei tumori con recettori ormonali negativi.

Trattamento loco-regionale

Valutazione dello stato dei recettori ormonali (ER e PgR)Valutazione dello stato HER2

ER e/o PgR positivo

Chemioterapia + trastuzumabChemioterapia

ER e PgR negativi e HER2 negativo ER e PgR negativi e HER2 positivo

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e dallo stato dell’HER2. È difficile trarre da questistudi conclusioni definitive, ma si può tentare didare alcuni suggerimenti: i regimi sequenziali sonoefficaci quanto i regimi concomitanti, anche seprobabilmente sono più maneggevoli da sommi-nistrare, non richiedendo in genere importantiterapie di supporto. Nei regimi sequenziali il mi-glior modo di somministrare paclitaxel è la sche-dula settimanale (80-100 mg/m2), mentre doce-taxel (100 mg/m2) andrebbe somministrato ognitre settimane. Incrementare le dosi di taxani e/oantracicline oltre lo standard non ha portato be-nefici. La durata del trattamento deve essere dialmeno 6 cicli sia nei regimi sequenziali sia neiconcomitanti. Quattro cicli sono da ritenere sub -ottimali. Basandosi su queste considerazioni, lascelta del regime contenente taxani va valutata al-l’interno dei 21 studi a disposizione, cercando diutilizzare al meglio i criteri di inclusione per lascelta del singolo regime per il singolo paziente.Di seguito sono indicati tre schemi a titolo pura-mente indicativo:• A/E C (adriamicina 60 mg/m2/epirubicina 90

mg/m2; ciclofosfamide 600 mg/m2 ogni 21giorni) per 4 cicli seguiti da taxolo 80 mg/m2

ogni 7 giorni per 12 settimane consecutive;• TAC (taxotere 75 mg/m2; adriamicina 50

mg/m2; ciclofosfamide 500 mg/m2 ogni 21giorni) per 6 cicli con il supporto del G-CSFcome profilassi primaria (per rischio di neu-tropenia febbrile > 20%);

• FEC (fluorouracile 600 mg/m2; epirubicina90-100 mg/m2; ciclofosfamide 600 mg/m2

ogni 21 giorni) per 3 cicli seguiti da taxotere100 mg/m2 ogni 21 giorni per 3 cicli.

Terapie biologiche. Trastuzumab è un anticorpomonoclonale ricombinante umanizzato con specifi-cità per il dominio extracellulare dell’HER2. L’ag-giunta di trastuzumab alla chemioterapia adiuvante

durata di 6-8 cicli di terapia è considerata lo stan-dard. Al momento attuale una chemioterapia“dose-dense” non trova indicazione al di fuori distudi clinici, anche se analisi per sottogruppi sem-brano indicare una maggiore efficacia della terapia“dose-dense” nelle pazienti con recettori ormonalinegativi e nelle pazienti HER2 positive. I regimicontenenti antracicline con due farmaci (AC oEC) non sono superiori al regime ciclofosfamide,metotrexato e fluorouracile (CMF). Al contrario,i regimi a tre farmaci sono superiori al CMF, anchese il beneficio assoluto è correlato al rischio di ri-presa della malattia, ovvero aumenta con l’aumen-tare del rischio di ricaduta. I regimi contenentiantracicline più frequentemente utilizzati sono:• A o E →CMF (adriamicina 75 mg/m2 o epiru-

bicina 100 mg/m2 ev ogni 21 giorni per 4 cicli→ ciclofosfamide 600 mg/m2 ev; metotrexato40 mg/m2 ev; fluorouracile 600 mg/m2 ev ogni21 giorni per 8 cicli) oppure CMF classico x 4;

• CAF (ciclofosfamide 100 mg/m2/die per osgiorni 1-14; adriamicina 30 mg/m2 ev giorni1, 8; fluorouracile 600 mg/m2 ev giorni 1, 8ogni 28 giorni) per 6 cicli;

• CEF (ciclofosfamide 75 mg/m2/die per osgiorni 1-14; epirubicina 60 mg/m2 giorni 1,8; fluorouracile 500 mg/m2 ev giorni 1, 8 ogni28 giorni) per 6 cicli;

• FEC (fluorouracile 500-600 mg/m2; epirubi-cina 90-100 mg/m2; ciclofosfamide 500-600mg/m2 ogni 21 giorni) per 6 cicli.

Diversi studi randomizzati (al momento almeno21) hanno valutato il ruolo dei taxani (paclitaxele docetaxel) in sequenza o in combinazione conle antracicline in confronto con regimi non con-tenenti taxani. Sono state trattate circa 36.000donne ed eseguite almeno tre metanalisi, che sug-geriscono un vantaggio dei regimi contenenti ta-xani, indipendentemente dall’età, dallo stato lin-fonodale, dall’espressione dei recettori ormonali

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quelle in postmenopausa. La somministrazione ditamoxifene per più di 5 anni è da ritenersi nonstandard. Nelle donne in premenopausa può essereindicata l’associazione con analogo del LHRH (lu-teinizing hormone-releasing hormone). Tamoxifene,se indicato in combinazione alla chemioterapia,va iniziato al termine di quest’ultima. Tamoxifeneviene metabolizzato dal sistema enzimatico cito-cromo P450 con liberazione dei metaboliti attivi.Studi di farmacogenomica hanno evidenziato cheil polimorfismo del gene CYP2D6 alterando ilmetabolismo del farmaco si assocerebbe a una suaridotta efficacia. I dati non sono ancora conclusivie sono necessari ulteriori studi prima che i testpossano essere utilizzati per la scelta della terapiaormonale. In ogni caso, gli antidepressivi SSRI(selective serotonin reuptake inhibitors), impiegatianche per il trattamento delle vampate di calorenelle pazienti che assumono tamoxifene, possonointerferire con il metabolismo del farmaco attra-verso l’inibizione del CYP2D6, pertanto non do-vrebbero essere utilizzati in queste pazienti. Unicaeccezione sembrerebbe essere la venlafaxina. Gliinibitori dell’aromatasi sono i farmaci di primascelta nelle donne in postmenopausa da soli per 5anni o in sequenza a tamoxifene dopo 2-3 anni eper 5 anni complessivi o nelle pazienti che hannocompletato i 5 anni di terapia con tamoxifene peraltri 5 anni, soprattutto se a elevato rischio di ri-presa. Tuttavia, quest’ultimo gruppo di pazienti èormai in esaurimento, perché, salvo rarissime ec-cezioni, l’impiego di tamoxifene per 5 anni non èpiù indicato nelle donne in postmenopausa. Ovenon vi siano controindicazioni elettive, la scelta diun inibitore per 5 anni, al di fuori di studi clinici,è da ritenersi il trattamento di scelta. Le sequenze(inibitore seguito da tamoxifene, o tamoxifene se-guito da inibitore) sono da riservare a studi clinici,o a situazioni cliniche particolari. Il valore del re-cettore per il progesterone non modifica sostan-

nelle pazienti HER2 positive (IHC 3+ o FISH/CISHamplificati) determina un sicuro beneficio in terminidi rischio di recidiva e in alcuni studi di morte.Questi risultati provengono da oltre 13.000 pazientitrattate all’interno di studi clinici randomizzati. Èabbastanza probabile che il miglior modo di som-ministrare trastuzumab sia in contemporaneità, par-ziale o totale, con la chemioterapia, che la duratastandard sia per ora 1 anno e che la somministrazionesettimanale o trisettimanale fornisca lo stesso risul-tato. Tuttavia, allo stato attuale non è però ancorapossibile definire la migliore modalità di sommini-strazione del farmaco (con o senza un regime conte-nente antracicline) e la durata ottimale (uno o dueanni oppure una durata inferiore). Per quanto ri-guarda la cardiotossicità, bisogna sicuramente atten-dere un più lungo follow-up di questi studi per va-lutare il grado di reversibilità ed è necessario un ade-guato monitoraggio prima, durante e dopo la terapiacon trastuzumab.

Ormonoterapia. Indicata in tutte le pazienti contumori ormonoresponsivi indipendentementedallo stato linfonodale, dall’età, dallo stato meno-pausale e dall’utilizzo o meno della chemioterapia.Nessuna indicazione nei tumori con recettori or-monali negativi. La definizione di recettori ormo-nali negativi è da intendersi < 10% all’immuno -istochimica. Tuttavia, le pazienti con recettori or-monali tra 1% e 9%, per quanto abbiano scarsapossibilità di rispondere all’ormonoterapia, po-trebbero comunque parzialmente beneficiarne ela sua attuazione va sempre presa in considerazione.Tamoxifene rappresenta ancora il trattamento stan-dard per le donne in premenopausa, mentre perquelle in postmenopausa deve, nel caso se ne ri-tenga opportuno l’impiego, essere necessariamenteintegrato con l’uso degli inibitori dell’aromatasi.Dose: 20 mg al giorno. Durata del trattamento: 5anni, nelle donne in premenopausa; 2-3 anni in

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risultati e va utilizzato in casi selezionati. L’asso-ciazione di tamoxifene e analogo del LHRH sem-bra preferibile, sia per i dati di efficacia disponibilinella malattia metastatica, sia per la riduzione deglieffetti di tamoxifene sulle ovaie. I risultati di alcunistudi randomizzati indicano che l’ablazione ovaricaassociata a tamoxifene, nelle pazienti endocrino-responsive in premenopausa, potrebbe essere equi-valente alla chemioterapia prevalentemente con ilregime CMF (un solo studio ha utilizzato un re-gime contenente antracicline). Tuttavia, mancanostudi di confronto tra lo standard terapeutico (che-mioterapia + ormonoterapia o tamoxifene da solo)e l’ablazione ovarica + tamoxifene. La scelta dellasola endocrinoterapia o della chemioterapia asso-ciata all’endocrinoterapia va effettuata tenendoconto di quanto già esplicitato nel paragrafo dellachemioterapia. La metanalisi di Oxford global-mente non indica alcun beneficio dall’aggiuntadell’ablazione ovarica dopo la chemioterapia. Tut-tavia, altri studi segnalano un possibile vantaggionelle donne con età < 40 anni o in quelle che nonvanno in amenorrea. Recentemente sono stati pre-sentati i risultati preliminari di uno studio austriaco(ABCSG-12) in cui donne in premenopausa contumori ormonoresponsivi in stadi I-II sono staterandomizzate a ricevere goserelin e tamoxifene ogoserelin e anastrozolo per 3 anni ± acido zoledro-nico ogni 6 mesi in entrambi i bracci. A un fol-low-up di 60 mesi non si sono evidenziate diffe-renze tra i due bracci di ormonoterapia (lo studionon aveva però il potere statistico sufficiente a evi-denziare differenze), mentre l’aggiunta dell’acidozoledronico ha determinato un miglioramento si-gnificativo della sopravvivenza libera da malattia edella sopravvivenza libera da ripresa senza comparsadi effetti collaterali importanti. Questi risultati ne-cessitano di essere confermati da altri studi rando-mizzati e a un follow-up più lungo e non modifi-cano l’attuale pratica clinica che non prevede in

zialmente la scelta, mentre una positività dell’-HER2 segnala una generale bassa endocrino-re-sponsività, più vera in particolare per tamoxifene.Gli effetti collaterali degli inibitori dell’aromatasisono soprattutto a carico del sistema osteoschele-trico con artro-mialgie, osteoporosi e rischio difratture. La comparsa di artralgie è stata riportatacome la causa più frequente di sospensione deltrattamento. Per la prevenzione dell’osteoporosi edi eventuali fratture da inibitori dell’aromatasisono state stilate delle raccomandazioni che ten-gono in considerazione il T-score basale e altri fat-tori di rischio. Una recente metanalisi dei 6 studipiù ampi di ormonoterapia adiuvante con inibitoridell’aromatasi ha evidenziato un’aumentata inci-denza di ipercolesterolemia con gli inibitori del-l’aromatasi rispetto a tamoxifene e un aumentodegli eventi cardiovascolari, ma con una differenzanon statisticamente significativa. Non si sono in-vece evidenziate differenze quando gli inibitori ve-nivano confrontati con il placebo, verosimilmenteper un effetto positivo di tamoxifene sui lipidi.Per le donne in premenopausa che sviluppanoamenorrea o con la chemioterapia o con tamoxi-fene gli inibitori dell’aromatasi possono determi-nare una ripresa del ciclo mestruale anche dopomolti mesi di amenorrea. Pertanto, il loro impiegoda soli è sconsigliato nelle donne di età < 40 anni,mentre in quelle di età > 40 anni se si decide diiniziare un inibitore dell’aromatasi è necessario ef-fettuare un monitoraggio seriato dei livelli di estra-diolo e gonadotropine almeno ogni due mesi, al-lertando la paziente del rischio di un’ovulazione. Analoghi del LHRH o misure locali (solo in casiparticolari: ovariectomia chirurgica o radiotera-pica). Durata del trattamento con analoghi delLHRH: almeno 2-3 anni; nelle pazienti ad altorischio si può valutare di continuare la terapia conanalogo del LHRH per complessivi 5 anni. L’im-piego del LHRH da solo non sembra dare buoni

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frontato la chemioterapia preoperatoria con la che-mioterapia adiuvante convenzionale utilizzando lostesso regime nei due bracci. Sono stati anche inclusistudi in cui una terapia neoadiuvante era seguitadopo l’intervento chirurgico da una terapia adiu-vante con lo stesso regime. Il rischio delle recidiveloco-regionali (22%) è stato significativamente piùelevato con il trattamento neoadiuvante, anche sequesto aumento si è osservato soprattutto neglistudi in cui la radioterapia era utilizzata come unicaterapia locale ed è compatibile con la bassa percen-tuale di pCR ottenuta indipendentemente dal re-gime chemioterapico utilizzato. La percentuale diinterventi conservativi è stata estremamente variabiletra i diversi studi, anche se in cinque era significati-vamente più elevata nel braccio della chemioterapiaprimaria. A tutt’oggi il regime chemioterapico ot-timale non è noto, anche se la percentuale di rispostepatologiche complete più elevate è stata osservatacon regimi contenenti antracicline e taxani. Unametanalisi basata sui dati della letteratura ha incluso7 studi randomizzati che hanno confrontato regimi

premenopausa né l’utilizzo degli inibitori dell’aro-matasi né quello dell’acido zoledronico.

3.5. Terapia sistemica primaria e trattamentodella malattia localmente avanzata

L’uso della chemioterapia preoperatoria nei tu-mori operabili può essere consigliato nelle pazientiche desiderano una chirurgia di tipo conservativoma che non sono candidabili d’emblée a questotipo di intervento per le dimensioni della neoplasia(Figura 3.4). La percentuale di risposte cliniche risulta pari al60-90%, con una percentuale di risposte clinichecomplete oscillante tra il 6% e il 65%, e la possibilitàdi effettuare un intervento conservativo nei casicandidati alla mastectomia è pari al 20-30%. Lapercentuale di risposte patologiche complete, chesembrerebbe correlarsi a un miglioramento dellasopravvivenza, oscilla tra il 10% e il 30%. È statapubblicata una metanalisi di 9 studi randomizzatie pubblicati su riviste internazionali che hanno con-

Figura 3.4 Flow-chart per il trattamento della malattia localmente avanzata.

Diagnosi istologica o citologica (biopsia o agoaspirato)

Tumore operabile (stadi I, II, IIIA)

Chemioterapia preoperatoria

Tumorectomia + linfonodo sentinellao dissezione ascellare

Mastectomia totale con linfonodo sentinellao dissezione ascellare

Se SD o PD o intervento conservativonon possibile Se RP o RC

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3.6. Trattamento della malattia metastatica

Solo il 7% circa dei tumori della mammella si pre-senta all’esordio come malattia metastatica. Lamaggior parte dei casi viene diagnosticata in pa-zienti con pregressa storia di neoplasia mammariagià trattata. Dopo aver documentato una ripresadella malattia è opportuno eseguire una ristadia-zione, che va effettuata con esame obiettivo, esamiematobiochimici, Rx del torace, ecografia dell’ad-dome, scintigrafia ossea, se necessario TC del toraceo TC o RM dell’addome e se possibile una biopsiadi una delle lesioni per la caratterizzazione biolo-gica, soprattutto se non disponibile sul tumoreprimitivo. Una PET/TC può essere utilizzata anchese al momento i dati sono ancora limitati. In basealle caratteristiche cliniche della malattia le pazientivengono suddivise come pazienti con malattia in-dolente o come pazienti con malattia aggressiva.Nella definizione di malattia indolente e malattiaaggressiva rimane fondamentale il giudizio clinicoe si può fare riferimento ai seguenti parametri: • malattia indolente: lunga sopravvivenza libera

da malattia (disease-free survival, DFS), prece-dente risposta a ormonoterapia, età > 35 anni,metastasi ossee e/o ai tessuti molli, numero li-mitato di lesioni metastatiche;

• malattia aggressiva: breve DFS, no risposta aormonoterapia, età < 35 anni, metastasi visce-rali, presenza di numerose lesioni, malattia for-temente sintomatica.

La scelta della terapia sistemica verrà effettuatatenendo conto di queste caratteristiche, dei duefattori predittivi validati e cioè lo stato recettorialeormonale e l’aumentata espressione di HER2 edelle preferenze della paziente. È importante ri-cordare che il trattamento della malattia metasta-tica è essenzialmente palliativo con poche pazientilungo-sopravviventi (2-3%), quindi gli obiettivisono il prolungamento della sopravvivenza e il

contenenti antracicline con regimi contenenti an-tracicline e taxani in associazione o in sequenza.L’aggiunta dei taxani ha aumentato la percentualedi pCR e di interventi conservativi. La durata otti-male della chemioterapia primaria non è nota, maalmeno 6 cicli di terapia sono in genere necessariper raggiungere il massimo della risposta. Nelle pa-zienti con tumori che presentano un’aumentataespressione di HER2, la somministrazione contem-poranea di trastuzumab alla chemioterapia conte-nente antracicline e taxani determina percentualidi risposte patologiche complete nell’ordine del 40-60%, e sono da ritenersi lo standard terapeuticoattuale. Va attuata un’attenta valutazione della fun-zione cardiaca. L’ormonoterapia primaria è statavalutata nelle pazienti in postmenopausa con tumoriormonoresponsivi e non suscettibili di interventiconservativi. Gli inibitori dell’aromatasi hanno unamaggiore percentuale di risposte obiettive e di in-terventi conservativi rispetto a tamoxifene. Tuttavia,la percentuale di risposte complete patologiche ri-mane molto bassa e, a parte casi particolari, non èda considerarsi uno standard terapeutico. Mancanostudi sulla durata dell’ormonoterapia, ma è proba-bile che una volta iniziata vada continuata per unlungo periodo (almeno 6 mesi). Il posizionamentodi un marcatore radio-opaco nella sede del tumoredurante chemioterapia neoadiuvante per le pazienticandidate a chirurgia conservativa è associato a unmiglior controllo locale e dovrebbe essere parte in-tegrante dell’iter diagnostico-terapeutico di questepazienti. I successivi trattamenti radioterapico e or-monale sono identici a quelli delle pazienti trattatecon terapia adiuvante. Il trattamento ormonale e iltrattamento con trastuzumab devono essere effet-tuati sulla base dei fattori biologici valutati sullabiopsia iniziale, poiché tali fattori possono variaredopo chemioterapia neoadiuvante. Anche la radio-terapia deve essere effettuata sulla base delle carat-teristiche iniziali del tumore.

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Ministero della Salute

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bicina e docetaxel); A/ET (doxorubicina/epi-rubina e paclitaxel);

• pazienti pretrattate con antracicline:- docetaxel/capecitabina o paclitaxel/gemcitabina

(questi ultimi due regimi sono approvati per lepazienti pretrattate con antracicline), CMF;

• pazienti pretrattate con antracicline e/o taxani:- capecitabina, vinorelbina, gemcitabina, do-

xorubicine liposomiali.I regimi di combinazione sono da preferire in pre-senza di una malattia aggressiva allorché sia neces-saria una rapida riduzione della massa tumorale,mentre una monochemioterapia può rappresentareil trattamento di scelta nella malattia indolente,nelle pazienti anziane (> 70 anni d’età), nelle pa-zienti con riserva midollare ridotta a causa di me-tastasi ossee multiple e/o pregressa radioterapia pal-liativa o nei casi in cui sia necessario limitare gli ef-fetti collaterali (es. comorbilità). La durata ottimaledel trattamento chemioterapico non è nota, so-prattutto con i “nuovi” agenti chemioterapici, perla comparsa di effetti collaterali. L’obiettivo è otte-

miglioramento dei sintomi, che devono però esserebilanciati con il mantenimento di un’adeguataqualità di vita e con una tossicità accettabile. LeFigure 3.5 e 3.6 indicano il possibile atteggiamentoin pre- e postmenopausa, ove vi sia l’indicazionea un’ormonoterapia di prima linea.

Chemioterapia. Quando vi è l’indicazione allachemioterapia (malattia non più ormonorespon-siva, malattia con recettori ormonali negativi, ma-lattia aggressiva con metastasi viscerali multiple o“life threatening”, pazienti giovani con metastasiviscerali) la scelta può cadere su una polichemio-terapia o su una monochemioterapia. La poliche-mioterapia è più attiva della monochemioterapia,anche se un aumento delle risposte obiettive de-termina raramente un beneficio in sopravvivenza,che viene influenzata dai trattamenti messi in attoalla progressione. I regimi vanno scelti anche inbase al precedente trattamento adiuvante: • pazienti non pretrattate con antracicline:

- CAF/FAC, FEC, A/ED (doxorubicina/epiru-

Figura 3.5 Flow-chart di terapia sistemica in paziente in premenopausa.

No Tamoxifene LHRH Tamoxifene + LHRH

Prima linea Tamoxifene +

LHRH

Prima linea Inibitori aromatasi +

LHRH

Prima linea Tamoxifene +

LHRH

Prima linea Inibitori aromatasi +

LHRH

Terza linea MAP/megestrolo

acetato

Terza linea MAP/megestrolo

acetato

Seconda linea Inibitori aromatasi +

LHRH

Seconda linea MAP/megestrolo

acetato

Seconda linea Inibitori aromatasi +

LHRH

Seconda linea MAP/megestrolo

acetato

Ormonoterapia adiuvante

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Neoplasie della mammella 3

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peutica nel decorso della malattia. Trastuzumab incombinazione con anastrozolo è superiore ad ana-strozolo da solo. Il trattamento con trastuzumab an-drebbe sospeso alla progressione della malattia, madati recenti sembrano indicare l’utilità di continuarloin combinazione con altri agenti chemioterapici al-meno in pazienti selezionate in base alla precedenterisposta al trattamento. Sono consigliabili il moni-toraggio della frazione d’eiezione del ventricolo si-nistro con MUGA o ecocardiogramma ogni 3 mesie un controllo TC o RM dell’encefalo in condizionibasali e periodicamente, vista l’elevata incidenza inqueste pazienti di metastasi cerebrali.

Lapatinib. È una piccola molecola che inibisce inmaniera reversibile l’attività tirosino-chinasica del-l’EGFR e dell’HER2. Il farmaco ha il vantaggiodella somministrazione orale. È indicato nelle pa-zienti HER2 positive. È il farmaco di scelta, in com-binazione con capecitabina, a progressione dopotrastuzumab. Lapatinib in combinazione con letro-

nere una risposta il più possibile duratura, mante-nendo, però, una qualità di vita accettabile.

Terapie biologicheTrastuzumab. Sono candidate a terapia con trastu-zumab le pazienti con tumore HER2 3+ all’immu-noistochimica o con amplificazione del gene (positivicon la metodica FISH o CISH); i tumori HER2 2+devono essere ritestati con la metodica FISH o CISH.Somministrazione settimanale alla dose di 2 mg/kgdopo una dose di carico di 4 mg/kg. Possibile unasomministrazione trisettimanale. Efficacia superiorese associato alla chemioterapia. Le combinazioni piùutilizzate: paclitaxel settimanale, docetaxel trisetti-manale, vinorelbina, capecitabina, derivati del pla-tino. Le associazioni di sali di platino, taxani e tra-stuzumab non portano aumenti di sopravvivenza. Iltrattamento con trastuzumab andrebbe iniziato ilpiù precocemente possibile, ma se non utilizzatocome terapia di prima linea dovrebbe comunque es-sere preso in considerazione come alternativa tera-

Figura 3.6 Flow-chart di terapia sistemica in paziente in postmenopausa.

Inibitori aromatasiTamoxifene

Seconda linea Tamoxifene o fulvestrant

Terza linea MAP/megestrolo

acetato

Seconda linea MAP/megestrolo

acetato

Seconda linea MAP/megestrolo acetato

o fulvestrant

Prima linea Inibitori aromatasi

Evidenza IA

Prima linea Tamoxifene o fulvestrant

Evidenza IIA

Prima linea Inibitori aromatasi

Evidenza IA

Ormonoterapia adiuvante

NO

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Ministero della Salute

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DEXA è consigliabile per le pazienti in postmeno-pausa in trattamento con inibitori dell’aromatasi.La Figura 3.7 dà un’indicazione generale delle tem-pistiche di follow-up.

3.8. Elementi per la programmazione e l’organizzazione dei servizi

L’Unità Clinica di Senologia, che è unità di tipofunzionale, nel rispetto della multidisciplinarietàe della qualificazione che in primis la definiscono,è composta da un gruppo di professionisti benindividuati (cosiddetto “Core Team”) accreditaticome specialisti nel campo del tumore della mam-mella in funzione di:• comprovata esperienza in materia di patologia

mammaria; • numero di casi trattati per anno e tempo de-

dicato all’assistenza per questa patologia;• regolare partecipazione a incontri interdisci-

plinari dedicati alla pianificazione diagnostico-terapeutica dei singoli casi clinici;

• regolare aggiornamento professionale specificoe partecipazione ai programmi di Assicurazionedi Qualità.

Professionisti componenti il Core TeamA. Coordinatore, nominato tra i professionisti

componenti il Core Team. B. Chirurghi dedicati, con formazione specifica e

che effettuino personalmente non meno di 50nuovi interventi l’anno per tale patologia.

C. Radiologi con comprovata esperienza nel campodella patologia mammaria, dell’imaging a essa as-sociato e delle procedure ecografiche e stereotas-siche di localizzazione e prelievo bioptico (numerominimo di mammografie refertate ≥ 1000/anno).

D. Medici Nucleari con esperienza di tecniche diLNS, ROLL e PET/TC.

E. Patologo responsabile con formazione specifica

zolo è superiore a letrozolo da solo. Merita segnala-zione il riscontro di ridotta incidenza di metastasicerebrali nelle pazienti trattate con lapatinib, a ri-prova che il farmaco può attraversare la barrieraemato-encefalica e ridurre quindi il rischio di me-tastasi cerebrali.

Bevacizumab. Bevacizumab è un anticorpo mo-noclonale umanizzato contro il VEGF (vascularendothelial growth factor) che inibisce l’angiogenesidei tumori. In combinazione con paclitaxel o do-cetaxel si è dimostrato superiore ai due farmaci uti-lizzati singolarmente, senza però che questo si tra-ducesse in un aumento della sopravvivenza globale.Non vi è un criterio, come per lapatinib o trastu-zumab, per selezionare le pazienti da trattare.

3.7. Follow-up

Allo stato attuale non esiste un’evidenza che l’ese-cuzione di routine di alcuni esami (esame emocro-mocitometrico e profilo biochimico, Rx del torace,scintigrafia ossea, ecografia epatica, marcatori tu-morali) possa portare a reali benefici nella gestionedel tumore della mammella. Tali conclusioni si ba-sano sulle linee guida dell’ASCO, la cui revisione èstata recentemente pubblicata. L’osservazione chealcuni sottogruppi ristretti di pazienti con carci-noma mammario metastatico possono essere guariti(pazienti con localizzazioni singole) può spingereverso un follow-up più intensivo allo scopo di dia-gnosticare la malattia metastatica in una fase il piùprecoce possibile. Non vi sono però dati a sostegnodi questo atteggiamento. Neppure è noto se l’uti-lizzo di metodiche diagnostiche più avanzate possaportare a dei benefici (TC, RM, PET/TC). Per lepazienti asintomatiche in trattamento con tamoxi-fene è consigliabile una semplice visita ginecologicaannuale senza alcun esame strumentale. Una valu-tazione basale della densità ossea con metodica

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Neoplasie della mammella 3

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vranno essere disponibili per le sessioni perio-diche di Audit Clinico.

M.Amministrativo per il supporto segretariale.In particolare, per l’accreditamento dei Professionistidi cui ai punti A-J, come specialisti nell’ambito dellapatologia mammaria (così da soddisfare gli standardrichiesti ai componenti di un’Unità Clinica di Se-nologia), verranno seguiti i criteri indicati nel do-cumento a cura della EUSOMA (European Societyof Breast Cancer Specialists): “Guidelines on the stan-dards for the train ing of specialised health professionalsdealing with breast cancer”.

Professionisti che affiancano il Core Team mache non ne fanno parte (cosiddetti Consulenti)• Chirurgo Plastico con specifica esperienza nella

chirurgia ricostruttiva del seno. • Fisiatra con particolare esperienza in tema di

linfedema.

nella diagnosi istologica e citologica delle le-sioni mammarie.

F. Oncologo Medico con specifica esperienza nelcampo dei tumori mammari.

G. Radioterapista Oncologo con specifica espe-rienza nel campo dei tumori mammari.

H. Fisico Medico.I. Tecnici di Radiologia dedicati con specifica

formazione ed esperienza nel campo della dia-gnostica strumentale senologica.

J. Infermiere Professionali dedicate con forma-zione professionale specifica anche nell’areadella comunicazione.

K. Psicologo con specifica formazione nel campodelle problematiche personali, familiari e socialiriferibili a donne affette da tumore della mam-mella.

L. Data Manager responsabile della raccolta edell’analisi di tutti i dati clinici. Tali dati do-

Figura 3.7 Flow-chart delle tempistiche di follow-up.

Ogni 3-6 mesi Ogni 6-12 mesi Ogni anno Successivamente ogni anno

1°-3° anno 4°-5° anno Dopo 5° anno

Follow-up

Trattamenti sistemici

Trattamenti loco-regionali

Prima MX: 9-12 mesi dopo RT

Visita clinica Mammografia

Linfonodi ascellari negativi

Linfonodi ascellari positivi

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- Sistemi di immobilizzazione personalizzati.- TC-Simulatore.- Stazione di contornamento per la definizione

dei volumi di interesse e per la fusione di im-magini multimodali (TC ± RM ± PET ecc.).

- Rete di trasferimento immagini tra TC e Si-stema di Pianificazione del Trattamento (TPS).

- Sistema di elaborazione tridimensionale delpiano di terapia completo di modulo di pia-nificazione inversa (IMRT) e di sistemi perla validazione dosimetrica dei trattamenti.

- Due Acceleratori Lineari dotati di: collimatoremultilamellare, dispositivo elettronico per l’ac-quisizione di immagini digitali del fascio difotoni e di sistema di verifica e controllo.

Organizzazione dell’Ambulatorio di Prime Vi-site di donne sintomatiche• Frequenza: ≥ 1 a settimana (in una Breast Unit

il cui volume critico è di 150 nuovi casi/annoil numero di nuove visite attese è pari a1500/anno o 30/settimana).

• Tempi di attesa: non superiori a 10 giorni la-vorativi dal momento della richiesta.

• Presenze: Chirurgo, Radiologo, Tecnico di ra-diologia, Patologo, Infermiere professionale.

• Obiettivo: Triplo test in un’unica seduta.• Comunicazione della diagnosi: entro 5 giorni

lavorativi. I tempi di attesa prima dell’intervento chirurgiconon dovranno essere superiori a tre settimane.

Requisiti per conseguire una dimensione di ec-cellenza Tutti i requisiti elencati sono necessari per rico-noscere a una Unità Clinica di Senologia (UCS)la dimensione di eccellenza.

Requisiti relativi alla composizione dell’UCS • Per i professionisti che costituiscono il Core

• Anestesista con specifica formazione nel settoredelle metodologie atte a contrastare il dolore.

• Genetista/Consulente Genetico.• Chirurgo Ortopedico con esperienza nell’am-

bito degli interventi sulle metastasi ossee.• Neurochirurgo.L’Unità Clinica dovrà produrre percorsi diagno-stico-terapeutici scritti per la gestione della ma-lattia in tutti i suoi stadi. Periodicamente tali pro-tocolli dovranno essere ridiscussi e, ove necessario,collegialmente modificati. Il Core Team dovràavere incontri settimanali multidisciplinari per ladiscussione di tutti i casi clinici e incontri periodicidi Audit Clinico. A tal fine andranno identificatidegli indicatori di processo, di risultato e di qualitàdel servizio. L’attività di ricerca e l’attività didattica sono partefondamentale della funzione dell’Unità Clinica eil loro monitoraggio sarà oggetto di analisi nel-l’ambito delle riunioni di Audit clinico.

Volume critico. All’Unità Clinica di Senologia,per mantenere gli elevati standard che la defini-scono e per giustificarne l’impegno economico,dovranno afferire almeno 150 nuovi casi di tumoredella mammella ogni anno, di cui l’Unità stessadovrà gestire diagnosi, terapie e follow-up.

Requisiti tecnologici• Radiodiagnostica

- Mammografi digitali con dispositivi dedicatiper eseguire approfondimenti diagnosticimirati.

- Ecografi dedicati con sonde lineari o anulariad alta frequenza.

- Apparecchiature per i prelievi bioptici vuoto-assistiti (vacuum assisted breast biopsy, VABB).

- RM con campo magnetico di almeno 1,5 Te gradienti di campo di almeno 20 mT/m.

• Radioterapia

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Neoplasie della mammella 3

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Requisiti di attività (volume critico)La documentata afferenza a ogni UCS di almeno400 nuovi casi di carcinoma mammario/anno(tutti gli stadi).

Requisiti organizzativiPresenza, nella stessa struttura nella quale operal’UCS, di un ambulatorio di counseling geneticoper le donne ad alto rischio eredo-familiare di car-cinoma mammario, aperto almeno una volta ogni10-14 giorni con la presenza di un Oncologo Medico, di un Genetista e di uno Psicologo espertoin queste problematiche.

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Team dell’UCS deve essere documentato ilpossesso di competenze riconosciute nell’am-bito della diagnosi e del trattamento del carci-noma mammario. È quindi necessario che sia documentabile,complessivamente, per i componenti del CoreTeam:- un’attività scientifica, con pubblicazione di

almeno 5 lavori su riviste scientifiche con Im-pact Factor superiore a 1, negli ultimi 5 anni(sia come primo autore sia come co-autore);

- un coinvolgimento, negli ultimi 3 anni, in al-meno 10 studi clinici in GCP (Good Cli n icalPractice) in ambito mammario.

Deve essere documentabile per ogni parteci-pante del Core Team:- la partecipazione ad almeno due congressi/

corsi/convegni regionali/nazionali specificisul carcinoma mammario/anno;

- la partecipazione ad almeno un congresso/corso/convegno internazionale/anno in on-cologia.

• Per tutti i componenti del Core Team deve es-sere documentata una formazione in modalitàdi comunicazione.

• I Consulenti del Core Team devono far partedella stessa struttura sanitaria nella quale operal’UCS alla quale afferiscono.

Requisiti tecnologici/strutturaliDisponibilità di apparecchiature per i prelievi peril VABB e la RM, con campo magnetico di al-meno 1,5 T e gradienti di campo di almeno 20mT/m, per lo studio mammario, nella strutturasanitaria nella quale opera l’UCS.Presenza, nella struttura ove opera l’UCS, di unLaboratorio di Biologia Molecolare:- per la valutazione del gene BRCA1-2;- per studi di ricerca traslazionale nel carcinoma

mammario.

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Ministero della Salute

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Ministero della Salute

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Sospetto clinico di carcinoma (tumefazione,retr/ispescute/cap, Pagetecc.)

Sospetto clinico di carcinoma in portatrice diprotesi mammaria

Dolore/tensionegeneralizzato/a ciclico/a e non

Flogosi acuta

Secrezione

Mammografia

Ecografia

RM

Linfoscintigrafia

ROLL

Mammografia

Ecografia

RM

MN

Mammografia

Ecografia

Ecografia

Mammografia

MammografiaGalattografia

Ecografia

Indicata

Indicata

Indagine specialistica

Indagini specialistiche

Vedi sospetto clinico di carcinoma

Non indicata in fase iniziale

Non indicata di routine

Indicata

Indagine specialistica

Indicata in particolari circostanze

Non indicata

MX indagine di elezione e preliminare a qualsiasi proceduradiagnostico-terapeutica. Da associare a US nel contesto della tripletta diagnostica (clin, imaging, prelievo). MX appropriata nella valutazione iniziale di donne con età > 35 anni. In donne di età < 35 anni l’US è l’esame di prima scelta (sempre nel contesto della tripletta diagnostica).Per quanto concerne RM e MN, il loro utilizzo è da riservare a definiti e rari casi non risolti dalla tripletta diagnostica (cfr documenti SIRM e AIMN)

La linfoscintigrafia prevede una diagnosi accertata di neoplasiamammaria. La procedura può essere associata a ROLL nel casoin cui la lesione non sia palpabile

La ROLL consente una exeresi della lesione accertata con notevole risparmio del parenchima sano. Nel caso di neoplasia certa si associa alla linfoscintigrafia mammaria

Particolare validità della RM con mdc per valutazioneparenchima e protesi

Valutazione clinica/anamnestica del singolo caso; eventualeassociazione a MX

In assenza di sospetto clinico nessuna evidenza di utilità

Utile per valutazione/presenza di eventuali ascessi, drenaggio e follow-up

Nel sospetto di carcinoma

Nessuna indagine per secrezione innocua (pluriorifizialebilaterale, lattescente ecc.). Secrezione sospetta esamecitologico, MX ed eventuale galattografia. Nessuna evidenzaclinica di utilità US

Procedure diagnostiche per le neoplasie della mammella

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Appendice: Diagnostica per immagini

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Neoplasie della mammella 3

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(segue)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Stadiazione

Follow-up di carcinoma

Mammografia

Ecografia

Rx del torace

Scintigrafia ossea

TC

RM

PET/TC

MammografiaEcografiaRM

Scintigrafia ossea

PET/TC

Indicate

Indicata in particolari circostanze (multifocalità e multicentricità)

Da valutare(consenso clinico)

Indicate

Indicata

Indicata

La stadiazione si esegue con MX e US; indicata la RM solo per problemi specificiScintigrafia ossea, TC, Rx. US epatica solo per metastasi a distanza, comunque decisione multidisciplinare. MX e US in controlli annuali: RM a chiarimento di specifici problemi

Metodica che consente la valutazione delle metastasi a distanza (parametro M) e dell’interessamento linfonodale di malattia (fatta eccezione per le micrometastasi)

Consente di valutare la pregressione temporale delle lesionischeletriche ed eventuale loro variazione in relazioneall’impiego di farmaci e/o trattamenti radioterapici mirati

La tecnica trova largo impiego nella valutazione della pazientenel corso di trattamenti chemioterapici (valutazione precocedella risposta al trattamento), nella ricerca di malattia in presenza di rialzo dei marcatori con indagini strumentalinegative o dubbie, dopo RT nella diagnosi differenziale fra recidiva e fibrosi e nella caratterizzazione di lesionievidenziate da altre tecniche

In ottemperanza al D.Lgs 187/00, la scelta dell’esame da effettuare deve essere fatta considerando metodiche e tecniche idonee a ottenere il maggior bene-ficio clinico con il minimo detrimento individuale e della collettività. Devono quindi essere privilegiate quelle tecniche e metodiche che comportano, a paritàdi obiettivo diagnostico, una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.

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Tabella 4.1 Livelli di Evidenza (prova)

I Prove ottenute da più studi clinici controllati randomizzatie/o da revisioni sistemiche di studi randomizzati

II Prove ottenute da un solo studio randomizzato di disegnoadeguato

III Prove ottenute da studi retrospettivi caso-controllo o lorometanalisi

IV Prove ottenute da studi di casistiche (“serie di casi”) senzagruppo di controllo

V Prove basate sull’opinione di esperti autorevoli o di comitati di esperti come indicato in linee guida o Consensus Conference, o basate su opinioni dei membridel gruppo di lavoro responsabile di queste linee guida

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4. Neoplasie della prostata

4.2. Diagnosi

La diagnosi di carcinoma prostatico si basa essen-zialmente sulle seguenti indagini:• esplorazione rettale;• dosaggio dell’antigene prostatico (prostate-spe-

cific antigen, PSA);• tecniche di immagine (ecografia transrettale,

TC, RM);• agobiopsia prostatica.La definizione dei Livelli di Evidenza e della Forzadelle Raccomandazioni adottate in questo docu-mento è in accordo con quanto riportato nelleTabelle 4.1 e 4.2.

4.1. Incidenza e mortalità

Il carcinoma prostatico (CaP) è il secondo tumorepiù frequente in Italia, dopo quello del polmone. Èinoltre la terza causa di morte per cancro, dopo ilpolmone e il colon-retto. Le stime elaborate per il2005 (Fonte: stime MIAMOD, ISS, Roma) evi-denziano 44.000 nuovi casi incidenti e 9200 morti,a fronte di 177.500 casi prevalenti. Anche nel nostroPaese i tassi di incidenza risultano in notevole in-cremento, verosimilmente in relazione all’uso op-portunistico del PSA come test di screening. I tassidi incidenza e di mortalità aumentano esponenzial-mente con il crescere dell’età come per nessun altrotumore maligno. L’età in effetti rappresenta il prin-cipale fattore di rischio. L’incidenza, inoltre, varia inrelazione all’area di residenza: sopra la media europea(55 casi per 100.000 abitanti) si ritrovano le regionidel Nord-Est, Nord-Ovest e l’Emilia Romagna; inparticolare, per il Nord-Est si registrano tassi d’inci-denza ben superiori alla media (circa 70 casi per100.000). Sotto la media si collocano, a parte qualcheeccezione, le regioni del Centro e quelle meridionali,con tassi tra i più bassi al mondo (fino a 16 casi per100.000 abitanti). A fronte di un’altissima variabilitàdell’incidenza, i tassi di mortalità sono alquanto piùomogenei, con una mortalità stimata nel nostroPaese di 18 casi per 100.000 abitanti.

n. 3, maggio-giugno 2010

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Tabella 4.2 Forza delle Raccomandazioni

A L’esecuzione di quella particolare procedura terapeuticao test diagnostico è fortemente raccomandata. Indicauna particolare raccomandazione sostenuta da provescientifiche di buona qualità, anche se nonnecessariamente di tipo I o II

B Si nutrono dei dubbi sul fatto che quella particolareprocedura o intervento debba essere sempreraccomandata, ma si ritiene che la sua esecuzione debbaessere attentamente considerata

C Esiste una sostanziale incertezza a favore o contro laraccomandazione di eseguire la procedura o l’intervento

D La procedura non è raccomandataE Si sconsiglia fortemente l’esecuzione della procedura

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selezionati di soggetti ad alto rischio (es. gli uominicon familiarità positiva per CaP). In ogni caso, gliindividui che richiedono di essere sottoposti al testdevono essere correttamente informati sui rischi disotto- e, soprattutto, sopradiagnosi e sull’attualecontraddittorietà dei risultati degli studi disponibilia oggi. Il PSA viene generalmente valutato con ri-ferimento a un valore soglia positivo/negativo cal-colato sulla base della distribuzione dei livelli siericidel marcatore nei soggetti asintomatici. Il valoresoglia più utilizzato è pari a 4 ng/ml, ma tale valoredeve essere considerato puramente di riferimento,poiché è caratterizzato da un basso valore predittivo,sia positivo sia negativo, a causa di svariati fattori,tra cui l’età del paziente (il PSA tende ad aumentarenei soggetti anziani) e la sovrapposizione fra soggetticon neoplasia confinata all’organo e soggetti conipertrofia prostatica, che presentano spesso valoricompresi fra 4 e 10 ng/ml. Per migliorare la sensi-bilità del test esiste la possibilità di misurare il tassodi incremento annuale del PSA (PSA velocity),quando ovviamente siano disponibili due o più va-lori di riferimento, ovvero di impiegare livelli sogliapiù bassi per gli uomini più giovani (aggiustamentoper fascia d’età). Per migliorare invece la specificitàdel test, oltre al già menzionato aggiustamento delvalore soglia per fascia d’età (attraverso la defini-zione di valori soglia più elevati per i pazienti piùanziani), viene fatto comunemente ricorso all’im-piego del rapporto PSA libero, ovvero non legatoalle proteine plasmatiche, su PSA totale (PSA F/T),che tende a essere più elevato nei pazienti con iper-trofia prostatica benigna. Dal punto di vista praticoè opportuno attenersi ad alcune indicazioni:• per il monitoraggio di un singolo individuo, è

raccomandabile effettuare i dosaggi semprenello stesso laboratorio ed è comunque consi-gliabile ripetere il dosaggio del PSA prima diporre indicazione alla biopsia (A);

• il laboratorio dovrebbe sempre indicare quale

L’esplorazione rettale, da sola, ha una bassa accura-tezza diagnostica (II); non è in grado di anticiparela diagnosi (II) né tantomeno possiede un’accura-tezza sufficiente a definire l’estensione locale (IV);peraltro la combinazione con il dosaggio del PSAaumenta sensibilmente il valore predittivo positivodi questa manovra (IV). Per queste ragioni è op-portuno evitare di porre l’indicazione alla biopsiaprostatica solo sulla base dell’esplorazione rettale(E). Il PSA, una glicoproteina prodotta pressochéesclusivamente dalla ghiandola prostatica per evitarela gelificazione del liquido seminale, può essere con-siderato l’unico marcatore da utilizzare routinaria-mente nei pazienti con patologia prostatica. In fasediagnostica ha un ruolo importante nel porre l’in-dicazione alla biopsia prostatica, che rimane a oggil’unico metodo raccomandabile per arrivare alladiagnosi di CaP (A). Non vi è ancora evidenza diefficacia (in termini di riduzione della mortalità)dello screen ing mediante dosaggio del PSA di sog-getti asintomatici, anche se un recente studio con-dotto in 8 Paesi europei ha evidenziato una modestariduzione della mortalità, motivo per cui non esiste,a oggi, l’indicazione a raccomandare su base siste-matica tale test, né quale provvedimento sanitariodi “popolazione” né come raccomandazione di tipoindividuale-opportunistico (E), se non in gruppi

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4Neoplasie della prostata

dei valori sierici del PSA. La contemporaneità ditali evenienze aumenta la probabilità di riscontrareuna neoplasia. L’indicazione all’esecuzione di unabiopsia prostatica va attentamente considerataquando la diagnosi porti a un trattamento che mi-gliora la quantità o qualità di vita e quando sia pre-sente una delle seguenti condizioni cliniche:• PSA totale > 10 ng/ml (A);• PSA totale > 4,0 ng/ml: per valori di PSA totale

tra 4 e 10 ng/ml (“zona grigia”) l’applicazionedel rapporto PSA F/T può migliorare la sele-zione dei pazienti candidati a biopsia (B);

• PSA totale tra 2,5 e 4 ng/ml: l’indicazione èdebole, ma consigliata nei casi con familiaritàper carcinoma prostatico (almeno 1 familiaredi primo grado con CaP, età < 60 anni), repertorettale patologico, PSA ratio particolarmentebassa (< 10%) [IIA];

• reperto rettale anormale (IIIA). Dal punto di vista pratico è opportuno attenersiad alcune indicazioni:• per la biopsia transrettale dovrebbe sempre es-

sere utilizzata la profilassi antibiotica (con chi-nolonici), che va iniziata 12 ore prima dellaprocedura e proseguita per 2 o 3 giorni (A);

• la biopsia transrettale dovrebbe essere eseguitain anestesia locale mediante infiltrazione dianestetico (A);

• il numero di biopsie raccomandato varia da10 a 14 (il numero di biopsie è correlato conil grado di positività di valore predittivo posi-tivo del test) ed è sempre necessario campio-nare le porzioni più laterali della zona perifericadella ghiandola (B);

• i frustoli agobioptici dovrebbero essere di al-meno 10 millimetri di lunghezza (A), in quantoesiste una correlazione tra lunghezza del frustoloagobioptico misurato sul preparato istologico ela detection rate (valore predittivo positivo) [IV];

• i frammenti devono essere identificati per lato

metodo viene utilizzato e quando il metodoviene eventualmente cambiato (A);

• il dosaggio dovrebbe essere effettuato solo inlaboratori che partecipino a programmi di con-trollo di qualità interlaboratorio (A);

• gli intervalli di riferimento per il rapporto PSAlibero/PSA totale dovrebbero sempre tenereconto del metodo utilizzato per il dosaggio delPSA libero (A).

L’ecografia transrettale non è consigliabile per ladiagnosi e la stadiazione del CaP (D): è stimabile,infatti, che soltanto il 60% dei tumori è visibile, inrelazione alla loro ecogenicità (ipoecogeni), ma taletecnica risulta indispensabile per effettuare corret-tamente le biopsie prostatiche, quando indicate (A).Anche TC e RM hanno scarsa utilità ai fini dia-gnostici (D). La TC non è in grado di distinguerefra la ghiandola prostatica periferica (sede di neo-plasia nel 70% dei casi) e la zona transizionale (dallaquale ha spesso origine l’ipertrofia prostatica beni-gna). Per quanto riguarda la RM, benché a ogginon si possa darne un’indicazione all’utilizzo in fasediagnostica, va sottolineato il crescente interesse de-rivante dalla possibilità di coniugare uno studiomorfologico di RM con una valutazione metabolica(spettroscopia), al fine di ottenere una definizionedel metabolismo tumorale (concentrazione relativadi citrato, colina, creatina, poliamine) e della loca-lizzazione del tumore nel contesto della ghiandolaperiferica, aumentando l’accuratezza nell’identifi-cazione dell’estensione extra-capsulare. Tali approcci,tuttavia, devono essere considerati ancora investi-gazionali. Come già sottolineato in precedenza, lacertezza diagnostica di neoplasia prostatica vieneraggiunta solo con la biopsia prostatica. L’indica-zione alla biopsia prostatica può derivare dal riscon-tro di una consistenza anomala della ghiandola al-l’esplorazione rettale e/o dal rilievo di aree sospette(per lo più sotto forma di nodulo o di placca ipoe-cogena) all’ecografia transrettale e/o da un’elevazione

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di partenza indispensabile per stabilire quale sia lamigliore strategia terapeutica, ottenere informazioniriguardo alla prognosi e confrontare i risultati dellevarie opzioni terapeutiche. La stratificazione dei pa-zienti attraverso l’impiego di classi di rischio o algo-ritmi predittivi è fortemente consigliata (A). La de-terminazione del PSA sierico non presenta sufficienteattendibilità ai fini della stadiazione, anche se esisteuna correlazione tra livelli di PSA ed estensione deltumore (III). I livelli di PSA sierico, infatti, sonocorrelati con il rischio di estensione extracapsulare,di invasione delle vescichette seminali e di malattiametastatica linfonodale o a distanza. Per quanto ri-guarda la stadiazione locale del tumore (categoriaT), l’esplorazione rettale presenta una bassa sensibilità(III). L’utilizzo della biopsia prostatica, pur avendovalore pressoché esclusivamente diagnostico, puòcontribuire alla stadiazione. Le biopsie consentono,infatti, di ottenere informazioni utili sull’estensionedella neoplasia, seguendo la regola che quanto piùelevato è il numero di biopsie positive, o la percen-tuale di neoplasia evidenziabile in ogni singolo cam-pione bioptico, tanto più alta è la probabilità diestensione extraprostatica della neoplasia (III).Per quanto riguarda le tecniche di immagine sipuò affermare che:• l’impiego dell’ecografia prostatica transrettale

(transrectal ultrasound, TRUS) nella stadiazionedel carcinoma prostatico è di scarsa utilità (D):non è infatti superiore all’esplorazione rettalenella definizione della malattia organo-confi-nata, né è raccomandata nella differenziazionetra stadio T2 e T3;

• la TC, non permettendo l’identificazione delprofilo capsulare, non ha un ruolo significativonella valutazione dell’estensione locale di ma-lattia (D), ma consente di identificare, benchécon i limiti di una stima esclusivamente di-mensionale (criterio diagnostico dimensionale:1 cm asse corto per linfonodi ovali; 0,8 cm

e per sede (A) e per ogni inclusione dovrebberoessere effettuate sezioni istologiche a tre diversilivelli con l’allestimento di tre vetrini, utiliz-zando il primo e il terzo per la colorazione rou-tinaria e conservando quello intermedio pereventuali indagini immunoistochimiche (A);

• nel referto istopatologico di agobiopsie pro-statiche dovrebbe essere segnalata la presenzadi neoplasia prostatica intraepiteliale di altogrado (high-grade prostatic intraepithelial neo-plasia, HGPIN), così come di lesioni ghian-dolari atipiche, sospette ma non diagnosticheper adenocarcinoma (atipical small acinar pro-liferation, ASAP) [A];

• nel referto con la diagnosi di adenocarcinomadevono essere riportati lo score di Gleason (A),la quantità (% rispetto all’intero frustolo) deltessuto neoplastico (A), l’infiltrazione localecome estensione extraprostatica e la presenzadi infiltrazione perineurale (C): tali aspetti, in-fatti, si correlano significativamente con stadioe grado patologico e con la prognosi.

È infine consigliato ripetere la biopsia (con unelevato numero di prelievi, generalmente superiorerispetto alla prima, e comprendendo anche la zonadi transizione) nei seguenti casi:• se la prima biopsia è stata eseguita con un nu-

mero insufficiente di prelievi (≤ 6) [B];• in presenza di lesioni atipiche e sospette ma

non diagnostiche per adenocarcinoma (ASAP,entro 3 mesi) o di neoplasia prostatica intrae-piteliale ad alto grado (HGPIN) alla primabiopsia (dopo 6-12 mesi) [B];

• per valori di PSA costantemente superiori a10 ng/ml (B).

4.3. Stadiazione e “risk assessment”

Una corretta stadiazione, cioè una definizione precisadell’estensione della malattia, rappresenta il punto

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Neoplasie della prostata 4

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asse corto per linfonodi rotondeggianti), l’even-tuale interessamento dei linfonodi regionali eiuxtaregionali (specificità 93-96%) [C];

• la RM, eseguita con bobina endorettale o contecnica phased array, può essere utile nella de-finizione della categoria T nei pazienti a rischiodi estensione extracapsulare o di invasione dellevescicole seminali (B). Se ne sottolinea l’utilitànello staging locale (sequenze T2 pesate e stu-dio dinamico con mdc) dei pazienti a rischiomedio-elevato per l’identificazione preopera-toria dell’estensione extracapsulare, ovverodell’interessamento delle vescicole seminali (in-formazioni utili alla pianificazione della chi-rurgia nerve-sparing); peraltro, la capacità diidentificare l’interessamento dei linfonodi re-gionali è sovrapponibile alla TC (C);

• la scintigrafia ossea con tecnezio difosfonato rap-presenta la metodica diagnostica più accurataper la ricerca delle metastasi scheletriche (A). Inconsiderazione del grado di probabilità di pre-senza di metastasi già alla diagnosi, andrebbe ri-servata ai pazienti con livelli di PSA > 10 ng/mlo Gleason score 8-10 (pazienti ad alto rischio).Nei pazienti con PSA < 10 ng/ml andrebbe ef-fettuata soltanto in presenza di sintomi o di segnidi alterazione del metabolismo osseo (livelli au-mentati di fosfatasi alcalina, soprattutto dellafrazione ossea). Nei pazienti a basso rischio (PSA< 10 ng/ml, Gleason score ≤ 6, neoplasia intra-capsulare) può essere evitata (IIIB);

• i dati disponibili a oggi non consentono ancoradi inserire la PET/TC, con Colina, nell’algo-ritmo diagnostico o stadiativo, se non in posi-zione complementare rispetto alle altre tecnichedi indagine (IIIC).

Alla luce della sostanziale inaffidabilità di ciascunatecnica di immagine quando applicata singolar-mente, al fine di ottenere una stadiazione suffi-cientemente attendibile numerosi ricercatori

hanno analizzato vari parametri mediante analisistatistiche multivariate. Tali variabili sono fonda-mentalmente rappresentate da: stadio clinico(come desunto dall’ecografia transrettale e/o dalletecniche di immagine), livello attuale del PSA,score di Gleason bioptico, numero di biopsie po-sitive e percentuale di neoplasia presente in ognisingolo campione bioptico. Ne sono scaturitischemi di probabilità, o normogrammi, per lapredizione della diffusione extraprostatica del tu-more. Le tabelle elaborate allo scopo da Partin etal. costituiscono un modello per predire lo stadiopatologico, che raggiunge un valore predittivo po-sitivo di poco superiore al 70%. Allo stato attualedelle conoscenze e alla luce delle importanti limi-tazioni ai fini della stadiazione, delle metodichedi immagine, i normogrammi rappresentano unutile ausilio, consentendo di identificare i pazienticon elevata probabilità di estensione extracapsu-lare, di invasione delle vescicole seminali e di in-vasione linfonodale (A) [Figura 4.1].

Classificazione TNM clinica del carcinoma pro-statico (UICC2002)L’estensione e le localizzazioni del tumore vengonoindicate secondo la classificazione TNM precedutadalla lettera c (clinical).

Tumore primitivo – T• Tx: il tumore primitivo non può essere definito.• T0: non evidenza del tumore primitivo.• T1: tumore clinicamente non apprezzabile,

non palpabile né visibile con la diagnosticaper immagini.- T1a: tumore scoperto casualmente nel 5%

o meno del tessuto asportato in seguito aTURP/adenomectomia.

- T1b: tumore scoperto casualmente in piùdel 5% del tessuto asportato in seguito aTURP/adenomectomia.

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Nota: Un tumore scoperto in uno o entrambi i lobi mediante agobiopsia, ma non palpabile o visibile mediante la diagnosticaper immagini, è classificabile come T1c.* L’invasione dell’apice prostatico non è classificata come T3 ma come T2.

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- T3b: tumore che invade la/e vescichetta/eseminale/i.

• T4: il tumore è fisso o invade strutture adia-centi oltre alle vescichette seminali: collo dellavescica, sfintere esterno, retto, muscoli elevatorie/o parete pelvica.

Linfonodi – N• Nx: i linfonodi regionali non sono stati valu-

tati.• N0: non metastasi nei linfonodi regionali.• N1: metastasi in linfonodo/i regionale/i.

- T1c: tumore diagnosticato mediante ago-biopsia (a causa del PSA elevato).

• T2: tumore limitato alla prostata.- T2a: tumore che interessa la metà o meno

di un lobo.- T2b: tumore che interessa più della metà di

un lobo ma non entrambi i lobi.- T2c: tumore che interessa entrambi i lobi.

• T3: tumore che si estende al di fuori della pro-stata*.- T3a: estensione extraprostatica.

Figura 4.1 Algoritmo stadiativo per classi di rischio.

Pazienti a basso rischio

Pazienti a rischio intermedio

Nessun esame strumentale di stadiazione (B)

RMN T.R. o RMN pelvi phased array: se negativa STOP (B), se dubbia o positiva RM addome superiore (C)

Scintigrafia ossea se ALP ↑ o in presenza di sintomi (C)

(tutte le caratteristiche sottoelencate)

(una qualunque delle caratteristiche sottoelencate)

• PSA < 10 ng/ml• Gleason score ≤ 6• T1 T2a• < 3 biopsie positive

• PSA 10-20 ng/ml• Gleason score = 7• T2b T3a• ≥ 3 biopsie positive

(una qualunque delle caratteristiche sottoelencate)• PSA > 20 ng/ml• Gleason score 8-10• T3b

Pazienti ad alto rischio

TC/RM addome Scintigrafia ossea (A)

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Neoplasie della prostata 4

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dabili a terapie loco-regionali con fini di radicalità,bisogna ricordare che ancora oggi la scelta tera-peutica non può basarsi sui risultati di studi pro-spettici controllati e che pertanto la scelta dellediverse opzioni terapeutiche (prostatectomia radi-cale, radioterapia con fasci esterni, brachiterapia)deve basarsi fondamentalmente sulle preferenzedel paziente (considerando anche le diverse sequelelegate ai singoli trattamenti), sullo skill professio-nale dell’equipe dei medici chiamata a erogare iltrattamento e sulle facilities di tipo tecnico (valu-tazione indispensabile nel caso di trattamenti comela radioterapia esterna o la brachiterapia) e sullerisorse disponibili. I pazienti con malattia extra-capsulare non possono aspirare, se non in propor-zione limitata, alla guarigione. Ciò non toglie chein questi pazienti non si debba comunque perse-guire un controllo adeguato della malattia a livellolocale e che l’impiego di trattamenti multimodali,basati sulla combinazione dei trattamenti locali(di solito radioterapia a fasci esterni) con l’endo-crinoterapia, possa comunque ridurre significati-vamente la recidività della malattia a livello localee distante e prolungare la sopravvivenza di questipazienti. Nei pazienti con malattia metastatica lapalliazione rimane l’obiettivo più concretamenteperseguibile, soprattutto nei pazienti sintomatici.In questi pazienti esistono attualmente diverse op-zioni di terapia ormonale e, in quelli con malattiaormonorefrattaria, di chemioterapia che, unita-mente alle varie forme di terapia antalgica, alla te-rapia radiometabolica e alla terapia con difosfonati,possono avere un impatto significativo sulla qualitàdella vita e, talvolta, sulla speranza di vita.

4.5. Terapia della malattia in fase iniziale

Vigile attesa (VA). La VA non può essere propostain maniera indiscriminata a pazienti con malattiainiziale (E), ma può essere presa in considerazione

Metastasi a distanza – M• Mx: la presenza di metastasi a distanza non

può essere accertata.• M0: non evidenza clinica di metastasi a distanza.• M1: evidenza clinica di metastasi a distanza.

- M1a: metastasi in linfonodo/i extraregio-nale/i.

- M1b: metastasi ossee.- M1c: metastasi in altre sedi, in presenza o

meno di metastasi ossee.

4.4. Considerazioni terapeutiche generali

Il trattamento del carcinoma della prostata si pro-pone obiettivi diversi, a seconda dell’estensioneanatomica e dell’aggressività della malattia, ma an-che della speranza di vita del paziente e della pre-senza di situazioni di comorbilità che possono co-stituire un rischio di morte superiore a quello rap-presentato dalla stessa neoplasia prostatica. Nonbisogna tralasciare, infatti, il fatto che una percen-tuale non trascurabile (circa il 40%) dei pazienticui viene diagnosticata una neoplasia prostatica èdestinata a morire “con” e non “per” la proprianeoplasia prostatica anche in presenza di malattialocalmente avanzata o metastatica (III). Nei pa-zienti con malattia apparentemente confinata allaprostata, l’obiettivo del trattamento è la guarigione,anche se per questi pazienti vale tutt’oggi l’assiomache non tutti i pazienti con malattia localizzata inrealtà necessitano di un trattamento curativo eche, per contro, la guarigione è un obiettivo reali-stico solo per una percentuale limitata di questipazienti. Questo può giustificare ancora oggi lascelta di una politica di attenta sorveglianza (wat-chful waiting) nei pazienti a basso rischio e conuna speranza di vita relativamente breve a causadell’età o di comorbilità significative (B). Perquanto riguarda tutti gli altri pazienti con malattiaapparentemente intraprostatica e pertanto candi-

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• non esistono dati per consigliare la preserva-zione del collo vescicale in corso di prostatec-tomia radicale al fine di migliorare la conti-nenza e ridurre il rischio di stenosi (C), mentreè consigliabile preservare la maggior lunghezzapossibile del moncone uretrale al fine di con-servare la continenza (A);

• può essere presa in considerazione la preserva-zione dell’apice e delle vescicole seminali permigliorare la continenza precoce, ma esclusi-vamente nei pazienti a basso rischio (B);

• rispetto alla prostatectomia radicale retropubicale tecniche laparoscopiche e robotiche offronovantaggi sovrapponibili in termini di risultatifunzionali e oncologici a breve termine (nega-tività dei margini chirurgici) [II].

La prostatectomia radicale è considerata un inter-vento di chirurgia maggiore e come tale non scevroda complicanze. Il tasso di mortalità perioperatoriaè intorno all’1%, mentre la mortalità operatoria èinferiore allo 0,2%. Le complicanze dell’interventodi prostatectomia radicale si possono suddividerein tre gruppi: intraoperatorie, postoperatorie pre-coci (fino a 30 giorni dopo l’intervento chirurgico),postoperatorie tardive (oltre i 30 giorni). Global-mente la frequenza di tali complicanze varia dal7,5% al 18,5%. L’emorragia intraoperatoria si ve-rifica in meno del 10% dei casi e la quantità disangue perso non supera in media i 500-800 ml.La perforazione della parete rettale viene riportatanello 0,1-0,2% dei casi, mentre le lesioni ureteralihanno un’incidenza variabile dallo 0,1% all’1%.Tra le complicanze postoperatorie precoci vannosegnalate quelle tromboemboliche (0,7-2,6%),quelle cardiovascolari di tipo ischemico (0,4-1,4%),le infezioni della ferita (0,9-1,3%), la linforrea e/oil linfocele (0,6-2%). La stenosi dell’anastomosivescico-uretrale viene riportata in una percentualevariabile tra lo 0,6% e il 10% dei casi. Per ciò cheriguarda il problema dell’incontinenza urinaria,

nei pazienti con CaP in fase iniziale (neoplasiaintraprostatica: T1, T2), con aspettativa di vita < 10 anni e caratteristiche di malattia che si asso-ciano a un basso rischio di progressione: neoplasiacon score di Gleason ≤ 6 e bassi livelli di PSA (≤ 10 ng/ml) [III].

Chirurgia. Con il termine di prostatectomia radi-cale (RP) s’intende l’intervento chirurgico che pre-vede l’asportazione in blocco di prostata e vescicoleseminali e la successiva anastomosi vescico-uretrale.Può essere preceduta da una linfoadenectomia pel-vica i cui limiti di dissezione sono dati dal marginemediale dell’arteria iliaca esterna lateralmente, dallaparete vescicale medialmente, dalla biforcazionedell’arteria iliaca comune cranialmente e dalla fossaotturatoria inferiormente. Va sottolineato come aoggi non vi siano elementi sufficienti nello stabilirein quali pazienti la linfoadenectomia possa essereevitata (C). In alcuni Centri viene comunque evitatala linfoadenectomia nei pazienti N0, che i nomo-grammi indicano a rischio molto basso di positivitàdei linfonodi pelvici. Sono descritte tre modalitàdi accesso chirurgico alla prostata: retropubica (acielo aperto o laparoscopica), perineale, transcoc-cigea. La tecnica retropubica è quella più utilizzata.La prostatectomia radicale è indicata nei tumori abasso rischio in pazienti con aspettativa di vita su-periore a 10 anni (A), mentre nel cT3, e più in ge-nerale per le classi di rischio intermedio/alto, deveessere preso in considerazione un trattamento mul-timodale con radioterapia e terapia endocrina (A).Dal punto di vista pratico è opportuno attenersiad alcune indicazioni:• la chirurgia nerve-sparing è sconsigliabile nei

pazienti con malattia a rischio intermedio/altoo con particolari caratteristiche alla diagnosi(percentuale di malattia presente > 20% persingolo frustolo o > 1/3 sul totale dei frustolio estensione all’apice della malattia) [D];

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chirurgia nerve-sparing. La probabilità di recuperodi una funzione erettile soddisfacente è in funzionedel tipo di intervento (nerve-sparing mono- o bi-laterale), dell’età del paziente, della presenza di co-morbilità (diabete), dell’eventuale necessità di ra-dioterapia postoperatoria.

Radioterapia a fasci esterni e brachiterapia(Tabella 4.3). Il trattamento radioterapico radicalemediante radioterapia a fasci esterni (external beam

l’approccio anatomico sviluppato da Walsh nel-l’asportazione radicale della prostata ha consentitodi ridurre l’incidenza dell’incontinenza urinariapostoperatoria. Nelle casistiche disponibili sulleprostatectomie radicali, l’incidenza dell’inconti-nenza totale varia dallo 0% al 12,5%. Infine, esistein letteratura una notevole variabilità dei dati ri-guardanti il recupero della potenza dopo interventodi prostatectomia radicale. Vengono infatti ripor-tate percentuali variabili dal 10% al 75% dopo

Tabella 4.3 Algoritmo radioterapico

TERAPIA RADIANTE DEFINITIVAIndicazioni T1, T2a

• RT esterna conformazionale (A)• Brachiterapia (per volumi prostatici > 15-20 mg e < 60 mg, no precedente TURP) [A]T2b, T2c, T3, T4• RT esterna conformazionale associata a ormonoterapia nei tumori con score di Gleason > 7 e/o T3/T4 (IA)

Volumi T1, T2: Prostata + vescichette seminali(A seconda dell’estensione di malattia, dello score di Gleason e del PSA)Esistono diversi normogrammi per la definizione del rischio di invasione delle vescichette e sono egualmente giustificabili più scelte tecnicheT3, T4: Prostata + vescichette seminali + pelvi nei pazienti con rischio di metastasi linfonodale > 15%

Dosi T1, T2 (favorevoli): ≥ 70 GyT2 (sfavorevoli), T3, T4: ≥ 74 Gy (per dosi superiori a 76 Gy si consiglia la tecnica IMRT)

Frazionamento 2 Gy/fr

RADIOTERAPIA POSTOPERATORIAIndicazioni pT3a alto rischio (score di Gleason > 7; PSA > 10 ng/ml), pT3b, margini positivi:

RT esterna conformazionale (IIB)Volumi Loggia prostaticaDosi Almeno 66 GyFrazionamento 2 Gy/fr

RADIOTERAPIA DI SALVATAGGIOIndicazioni PSA dosabile dopo chirurgia radicale

PSA in ascesa dopo chirurgia radicale se PSA dt > 12 mesi e/o Gleason patologico ≤ 7 e/o PSA preoperatorio < 10 ng/mlRT esterna (IIIB)• Recidiva a livello della loggia (unica localizzazione alle indagini di immagine)RT esterna (IIIC)

Volumi Loggia prostaticaDosi Almeno 66 Gy (+ sovradosaggio, almeno 4 Gy, su sede di malattia evidente)Frazionamento 2 Gy/fr

RADIOTERAPIA PALLIATIVAIndicazioni Metastasi ossee: RT esterna oppure RT metabolica (eventualmente associata a RT esterna)Dosi/Frazionamento 30 Gy/10 fr oppure 16 Gy/2 sulle sedi sintomatiche

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Centri italiani) riduce significativamente il tassodi complicanze, anche nei pazienti trattati condosi > 70 Gy. Le complicanze tardive compaiono6 mesi o oltre il termine della radioterapia. Lastenosi uretrale si manifesta nell’1,5% dei pazientitrattati con radioterapia 3D conformazionale, mapuò raggiungere il 4% nei pazienti precedente-mente sottoposti a TURP (transurethral resectionof the prostate) [III]. La funzione erettile decrescegradualmente negli anni successivi al trattamentoradiante: il tasso di impotenza varia dal 15% a 20mesi al 47% a 60 mesi. La brachiterapia (BT)con impianto permanente offre risultati cliniciconfrontabili con altri tipi di trattamento loco-regionale per le forme a basso rischio (IVA). I pa-zienti con sintomi ostruttivi [international prostatesymptom score (IPSS) > 15, flusso massimo < 15ml/s], con prostata voluminosa (> 55 cc) o conesiti di TURP non sono candidati ideali per laBT (IVD). Gli isotopi attualmente impiegati perl’impianto permanente sono I125 e Pd103 e ladose raccomandata è rispettivamente di 145 e 125Gy. Non vi sono attualmente indicazioni per l’im-piego preferenziale di uno dei due isotopi e delloro assemblaggio (strand o semi liberi) [II].

Trattamenti multimodali. Sono riservati di solitoai pazienti con neoplasie T3/T4 candidati a ra-dioterapia esterna e ai pazienti pN1 dopo chirurgiaradicale.Dai risultati degli studi controllati possono esseretratte le seguenti indicazioni:• è ragionevole considerare un trattamento adiu-

vante con analoghi del LHRH (vedi oltre),della durata superiore ai 2 anni, nei pazienticon neoplasie T3-T4 e comunque a prognosipiù sfavorevole candidati a RT definitiva (IIA);

• il trattamento adiuvante con antiandrogenipuri (in particolare con bicalutamide 150, vedioltre) può essere una valida opzione terapeutica

radiotherapy, RTE) può essere utilizzato in tutti ipazienti affetti da tumore prostatico in stadio daI a III (IIIB). La radioterapia convenzionale con-sente di ottenere tassi di controllo locale fra l’85%e il 96% nei pazienti in stadio T1b-T2 e fra il58% e il 65% nei tumori T3. In generale, nei pa-zienti con neoplasie intracapsulari (T2) i risultatia lungo termine sono sovrapponibili a quelli ot-tenibili con la chirurgia radicale. È stato dimo-strato il vantaggio di alte dosi di radioterapia nellacura del tumore prostatico localizzato, soprattuttoin alcuni sottogruppi di pazienti. Il raggiungi-mento di questa dose escalation è ottenibile me-diante tecniche conformazionali tridimensionali(3D RT) o con modulazione d’intensità (inten-sity-modulated radiation therapy, IMRT). La ra-dioterapia conformazionale 3D è attualmente con-siderata lo standard di riferimento nel trattamentoradiante del cancro prostatico localizzato e local-mente avanzato (T1-T3). L’IMRT fornisce un’ul-teriore possibilità di incrementare la dose totaledi irradiazione sul volume bersaglio, riducendo latossicità locale. A oggi non è dimostrato un van-taggio in termini di sopravvivenza e ricaduta dimalattia mediante l’utilizzo di questa tecnica, masolo una riduzione degli effetti collaterali acuti.Peraltro l’IMRT permette l’irradiazione dei lin-fonodi pelvici e della prostata senza aumentare ladose agli organi confinanti. Questa tecnica è per-tanto da preferirsi quando il volume di tratta-mento deve interessare anche le stazioni linfono-dali. Al riguardo viene consigliata l’irradiazioneprofilattica dei linfonodi pelvici nei pazienti conrischio di compromissione dei linfonodi > 15%(secondo l’algoritmo predittivo di Roach) [C]. Laradioterapia radicale del cancro prostatico puòcausare cistite e proctite acuta, per lo più reversi-bili; cistite e proctite cronica sono osservate menofrequentemente. L’impiego della radioterapia con-formazionale (oggi praticata routinariamente nei

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pazienti è ipotizzabile una progressione solamentea livello locale: peraltro non è provato un vantag-gio di tale approccio in termini di sopravvivenza.Anche se i risultati sono ancora limitati, è possibileavviare pazienti selezionati a prostatectomia radi-cale o brachiterapia di salvataggio ovvero ad altremetodiche come il trattamento con HI-FU (IIIC).Va infine sottolineata la crescente importanza dellaPET/TC con Colina nella ristadiazione dei pa-zienti con sospetta recidiva locale di malattia dopoterapia primaria, purché i valori di PSA siano ≥ 1ng/ml (IIIC). Valori inferiori possono infatti esserecausa di falsi negativi.

Recidiva solo biochimica. Un problema semprepiù frequente è rappresentato dai pazienti che pre-sentano esclusivamente una progressione biochimicadopo terapia loco-regionale. Per definire la recidivabiochimica dopo chirurgia è consigliabile utilizzareun valore di PSA > 0,4 ng/ml, in incremento (A).Dopo radioterapia definitiva, si raccomanda di se-guire nel tempo i pazienti per valutare adeguata-mente la cinetica del PSA, che può essere consideratocome unico parametro per definire il fallimento deltrattamento radioterapico stesso (A). È infatti ne-cessario escludere che l’innalzamento del PSA siatemporaneo e causato da quelle fluttuazioni (PSAbunching) che si riscontrano in almeno il 30% deipazienti. Per definire una progressione di malattiadopo radioterapia definitiva si raccomanda di uti-lizzare i nuovi criteri ASTRO, secondo i quali la re-cidiva viene definita da valori di PSA > 2 ng/ml so-pra il nadir (A). Dopo la diagnosi di recidiva bio-chimica, alcuni parametri sono orientativi circa lapossibile sede di ricaduta (locale vs sistemica): i piùimportanti sono il tempo intercorso tra la risalitadel PSA e il trattamento loco-regionale, la PSA ve-locity e/o il PSA doubling time, lo stadio istopato-logico e il Gleason score alla diagnosi. Questi pazientinon necessitano obbligatoriamente di un tratta-

nelle neoplasie extracapsulari (T3-T4) doporadioterapia definitiva, nei pazienti che desi-derino evitare gli effetti collaterali associati allacastrazione farmacologica (IIB);

• è legittimo considerare il trattamento adiuvantecon castrazione farmacologica (vedi sotto) intutti i pazienti con linfonodi positivi dopoprostatectomia radicale (IIA);

• l’impiego di una terapia neoadiuvante primadella chirurgia radicale è sconsigliabile (IE);

• prima della radioterapia definitiva può essereproposto, specie nei pazienti cT2-T3 congrosso volume, un trattamento ormonale neoadiuvante (IIB);

• l’irradiazione della loggia prostatica a scopoadiuvante è raccomandata nei pazienti con sta-dio patologico pT3N0M0 o con margini po-sitivi dopo chirurgia (IIB).

4.6. Trattamento della recidiva dopo terapiaprimaria

La scelta dell’ulteriore trattamento a progressionedi malattia dipende da svariati fattori: il tipo ditrattamento precedentemente adottato, la sededella recidiva, la presenza di patologie concomi-tanti e, non ultimo, il personale punto di vistadel paziente condizionano, infatti, la successivastrategia terapeutica.

Recidiva locale di malattia. I pazienti che mo-strano esclusivamente una ricaduta a livello localedopo chirurgia radicale (RP) possono beneficiaredi un trattamento radioterapico sulla loggia pro-statica (IIB). In questi casi è peraltro consigliabileoffrire la radioterapia “di salvataggio” (SRT) pervalori di PSA ≤ 1 ng/ml (B). I pazienti con rica-duta locale dopo radioterapia, invece, sono in ge-nere avviati a un trattamento ormonoterapico si-stemico, considerando che solo nel 10% di tali

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mento immediato, anche perché non esistono an-cora studi prospettici randomizzati che dimostrinocon sicurezza che il trattamento immediato sia ingrado di migliorare la speranza di vita. Tuttavia, al-cuni studi retrospettivi dimostrano che il tratta-mento ormonale è in grado di prolungare il tempodi comparsa delle metastasi e forse la sopravvivenza.Pertanto, è accettabile avviare i pazienti con sola re-cidiva biochimica a ormonoterapia sistemica, consi-derando che comunque la maggior parte di essi ri-fiuta un atteggiamento di tipo attendistico (IIIC).Fanno eccezione i pazienti con recidiva/persistenzabiochimica esclusiva dopo chirurgia con neoplasieprimitive ben differenziate (Gleason score ≤ 7), livelliiniziali di PSA ≤ 10 ng/ml e soprattutto con un au-mento molto lento dei livelli di PSA dopo chirurgia(tempo di raddoppiamento del PSA > 12 mesi),che dovrebbero essere avviati a radioterapia dellaloggia prostatica (SRT) [IIB].

4.7. Terapia della malattia metastatica

Carcinoma prostatico in fase di ormonosensibi-lità. In virtù dell’elevata ormonodipendenza delleneoplasie prostatiche, la riduzione dei livelli circo-lanti di testosterone (deprivazione androgenica),ottenibile mediante differenti manipolazioni or-monali, rappresenta il trattamento di scelta nei pa-zienti con malattia metastatica e trova spazio anchenella terapia di quei pazienti con malattia più limi-tata non candidabili a trattamento locale con in-tento curativo [l’ormonoterapia esclusiva viene in-fatti talora proposta come trattamento alternativorispetto alla radioterapia ai pazienti con malattialocale (T2-4), ma con speranza di vita < 10 anni oaffetti da comorbilità importanti, che non con-sentono loro di essere sottoposti a trattamentiloco-regionali con fini di radicalità (IIIB)]. L’or-chiectomia bilaterale, che riduce permanente-mente i livelli circolanti di testosterone a meno

di 50 ng/dl, rappresenta tutt’oggi il metodo piùrapido ed economico per conseguire tale obiettivo.Il testosterone circolante può essere mantenuto alivelli minimi anche mediante l’impiego di diversifarmaci in grado di determinare, con differentimeccanismi d’azione, una castrazione medica: gliestrogeni (dietilstilbestrolo, DES), gli analoghiagonisti del LHRH (buserelin, goserelin, leupro-lide e triptorelina) e gli antagonisti del LHRH (aoggi non disponibili in Italia) si sono dimostratiugualmente efficaci a questo riguardo (I). La ca-strazione ottenibile con tali farmaci è, almeno inparte, reversibile, consente di evitare un traumachirurgico ed è psicologicamente meglio accettatadal paziente; alla luce di tali aspetti, che fortementehanno ridotto il numero delle orchiectomie, e delfatto che l’impiego degli estrogeni, specie se a dosielevate (5 mg/dl), è gravato da importanti effetticollaterali di tipo cardiovascolare e tromboembo-lico, che ne sconsigliano l’utilizzo, si può affermareche il trattamento di deprivazione androgenicacon analogo del LHRH è il trattamento di primascelta del CaP metastatico (A). La castrazione, co-munque ottenuta, è un trattamento in genere bentollerato, tuttavia non scevro da effetti iatrogenilegati alla deprivazione androgenica (vampate dicalore, perdita della potenza e della libido, ridu-zione della massa muscolare, osteoporosi, anemiz-zazione) che possono ripercuotersi non solo sullostato di salute generale del paziente, ma anchesulla sua qualità di vita. Va peraltro sottolineatocome sia stata recentemente dimostrata l’associa-zione fra trattamento con analoghi del LHRH eaumentato rischio di malattia coronarica (16%),infarto del miocardio (11%), morte cardiaca im-provvisa (16%) e diabete mellito (44%) [V]. Talicomorbilità possono frequentemente complicareil decorso della cosiddetta “sindrome metabolica”(incremento dei livelli ematici di colesterolo LDLe trigliceridi, bassi livelli di colesterolo HDL, iper-

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strazione medica o chirurgica. Ciò ha costituito ilrazionale per l’impiego combinato degli antian-drogeni con la castrazione medica o chirurgica,così da ottenere un blocco androgenico totale(BAT), in grado di ottenere virtualmente effettisuperiori rispetto all’impiego della sola soppres-sione androgenica. Nel confronto con la sola te-rapia androgeno-soppressiva (castrazione farma-cologica o chirurgica), tale beneficio (stimabile inun miglioramento della sopravvivenza globale a5 anni tra il 2% e il 3%) è significativo nei pazientisottoposti al BAT mediante antiandrogeni nonsteroidei (IA). L’impiego del BAT può inoltre es-sere preferibile in alcune situazioni cliniche, qualiil trattamento di pazienti fortemente sintomaticio nei quali si possano prevedere effetti detrimentaliderivanti dal fenomeno del flare-up, per l’indubbiarapidità della risposta osservabile, specie in terminisoggettivi (A). Nell’ambito delle terapie ormonaliva infine sottolineato il crescente interesse versola possibilità di somministrare tali trattamenti inmodo intermittente. Tale approccio offre il po-tenziale vantaggio di ridurre l’incidenza degli ef-fetti associati alla deprivazione androgenica e diritardare lo sviluppo della fase di androgeno-resi-stenza. Tuttavia, non esistono a oggi dati in gradodi dimostrare che questo approccio sia più efficacedell’approccio tradizionale, basato sulla soppres-sione continuativa della funzione gonadica e i ri-sultati di non inferiorità ottenuti in alcuni studinon sono sufficienti per supportare l’utilizzo rou-tinario della terapia intermittente (IIC). I risultatia oggi disponibili non consentono tra l’altro distabilire il valore soglia di PSA più appropriatoper la riassunzione del trattamento, essendo evi-dente che più basso è il valore prefissato, più breveè intuitivamente l’intervallo libero dal trattamentosoppressivo e minore, pertanto, la possibilità dirisoluzione parziale o completa dei sintomi pro-vocati dalla soppresione androgenica.

tensione arteriosa e ridotta tolleranza glucidica),la cui incidenza è inoltre risultata aumentata neipazienti sottoposti a trattamenti androgeno-sop-pressivi. La castrazione medica con analoghi delLHRH può anche indurre, nella fase iniziale deltrattamento, un peggioramento dei sintomi acausa di un iniziale transitorio incremento dei li-velli di testosterone che, stimolando la crescitatumorale, possono precipitare fenomeni di com-pressione midollare o di ostruzione delle vie uri-narie, oppure determinare un peggioramento deldolore legato alla presenza di metastasi ossee (fe-nomeno del flare-up). Il flare-up può essere evitatomediante l’impiego concomitante di antiandro-geni, in grado di antagonizzare l’azione degli an-drogeni a livello recettoriale periferico (IA). Gliantiandrogeni sono stati impiegati anche comesingola terapia in pazienti con CaP avanzato. Lamonoterapia consente di preservare la funzionegonadica, prevenendo gli effetti legati alla sua sop-pressione, e di determinare una migliore qualitàdi vita, benché si associ allo sviluppo di gineco-mastia nel 50% circa dei casi e di mastalgia nel10-40%. L’impiego della monoterapia con an-tiandrogeni non steroidei (quali bicalutamide eflutamide) può essere proposto per alcuni sotto-gruppi di pazienti, quali quelli con malattia limi-tata o poco aggressiva, o i pazienti non candidabilia trattamento loco-regionale definitivo per l’età ola presenza di comorbilità che desiderino evitaregli effetti legati alla deprivazione androgenica (IB).L’impiego degli antiandrogeni steroidei come ilciproterone acetato è gravato dagli stessi effetticollaterali generati dagli estrogeni e causa comun-que abolizione della libido e impotenza sessuale.Non trova pertanto alcun razionale. Gli antian-drogeni sono in grado di antagonizzare, a livellotumorale, l’azione degli androgeni, non solo diorigine testicolare ma anche di origine surrenalica,i cui livelli non vengono soppressi in corso di ca-

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Figura 4.2 Algoritmo terapeutico nel carcinoma ormonorefrattario.

Osservazione

Chemioterapia

Terapia di supporto: trattamento del dolore osseo/prevenzione degli eventi scheletrici

Ormonoterapia di seconda linea

Nei pazienti asintomatici in sola progressione biochimica (C)

Nei pazienti responsivi alla terapia ormonale di prima linea (B)

Nei pazienti non responsivi alla terapia ormonale di prima e seconda linea (A)

Nei pazienti con metastasi ossee

• 1a linea con LHRH�aggiungi antiandrogeno• 1a linea con antiandrogeno�+/ passa ad analogo del LHRH • 1a linea con BAT�sospendi antiandrogeno (withdrawal response)�

• Bifosfonati• Terapia radiometabolica• Radioterapia a fasci esterni

• taxotere + prednisone• mitoxantrone + prednisone• estramustine fosfato (altri chemioterapici)

soprattutto nei pazienti sintomatici (A)come seconda linea

nei pazienti asintomatici/oligosintomatici, con malattia limitata, “unfit” per trattamenti chemioterapici più aggressivi (C)

se P (progressione) dopo iniziale risposta � • corticosteroidi• progestinici• ketoconazolo (non in autorizzazione in Italia)• altro antiandrogeno puro (es. flutamide)

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risposta del PSA nel 14-75%, che non si accom-pagna tuttavia, se non eccezionalmente, a una ri-sposta obiettiva. La terapia ormonale di secondalinea comprende la possibilità di introdurre nelregime di trattamento un antiandrogeno, se il pa-ziente era in trattamento con soli analoghi delLHRH, oppure la sospensione dell’antiandrogeno,se il paziente era in blocco androgenico totale (wi-

Carcinoma prostatico in fase di ormonorefrat-tarietà – trattamenti chemioterapici (Figura4.2). È bene precisare che carcinoma della prostata“androgeno-indipendente” non significa necessa-riamente anche “ormono-indipendente”. Infatti,alcuni pazienti che progrediscono all’ablazione an-drogenica possono trarre un certo beneficio dauna seconda linea di terapia ormonale, con una

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combinazione rispettivamente con la combina-zione estramustine + docetaxel oppure con quelladocetaxel (schedula settimanale o trisettimanale)+ prednisone, dimostrando la superiorità dei re-gimi contenenti docetaxel e la loro capacità dimodificare favorevolmente la speranza di vita (I).Alla luce di questi risultati (e nello specifico diquelli ottenuti con la schedula trisettimanale) edella maggiore tossicità dei regimi contenenti estra-mustine fosfato, il trattamento con docetaxel eprednisone è diventato l’opzione di scelta nei pa-zienti ormonorefrattari metastatici e sintomatici(IIA). Studi prospettici sono tutt’ora in corso perchiarire quale possa essere la migliore sequenza diutilizzo di docetaxel rispetto agli altri farmaci di-sponibili, soprattutto nei pazienti con malattia li-mitata o asintomatici, e la possibilità di utilizzarevantaggiosamente schedule a intermittenza. I ri-sultati di analisi per lo più retrospettive dimo-strano, comunque, la parziale non-cross resistenzadei trattamenti attualmente disponibili e, in par-ticolare, tra docetaxel e mitoxantrone e, pertanto,giustificano la possibilità di impiegare questi far-maci in sequenza a seconda dell’evolutività dellamalattia, della presenza o meno di sintomi distur-banti e della prevedibile resistenza del paziente aitrattamenti più aggressivi (IVB). Differenti classidi agenti citotossici sono state sperimentate negliultimi anni, inclusi nuovi platino-derivati (satra-platino), farmaci ad azione inibente i microtubuliquali gli epotiloni (ixabepilone e patupilone) enuovi taxanidi (XRP-6258). Tuttavia, i risultati aoggi disponibili sono insoddisfacenti o non ancoramaturi, pertanto l’utilizzo di tali molecole è scon-sigliabile al di fuori di studi clinici controllati (E).Come per molti altri tumori solidi, anche per ilCaP sono attualmente in fase di sperimentazionenumerosi/e altri farmaci o sostanze ancora inve-stigazionali (antiangiogenetici, talidomide, inibi-tori delle tirosinchinasi, anticorpi monoclonali,

thdrawal response) [B]. Basse dosi di corticosteroidipossono essere considerate quale opzione di trat-tamento a scopo palliativo (B). La somministra-zione di ketoconazolo potrebbe essere un’opzioneterapeutica per differire l’inizio della chemioterapianella malattia ormonorefrattaria (C). Gli estrogeninon sono invece proponibili per gli effetti collate-rali e l’attività non superiore agli antiandrogeninon steroidei (E). I criteri di scelta per l’impiegodelle differenti manipolazioni ormonali di secondalinea a oggi disponibili sono il diverso profilo far-macologico e la diversa incidenza di effetti colla-terali, nonché le condizioni cliniche del pazientee lo stato di avanzamento della malattia (A). Lachemiosensibilità del carcinoma prostatico è rite-nuta in genere piuttosto scarsa. Diversi fattori pro-gnostici possono condizionare differentemente larisposta alla chemioterapia e, quindi, la sopravvi-venza di questi pazienti. Tra questi sono importantil’età, la durata della malattia, la precedente rispostaalla terapia ormonale, la presenza o meno di doloreosseo, il performance status, la presenza di localiz-zazioni viscerali, i livelli circolanti di LDH, letransaminasi e la fosfatasi alcalina, lo stato nutri-zionale, la presenza di infiltrazione massiva delmidollo osseo (IVB). Nell’ambito dei farmaci attivisi annoverano: estramustina fosfato, antraciclinee mitoxantrone, ciclofosfamide, carboplatino, eto-poside, alcaloidi della vinca e taxani. È stata di-mostrata, nei pazienti sintomatici, la netta supe-riorità della combinazione di mitoxantrone e cor-ticosteroidi (prednisone o idrocortisone) rispettoallo steroide da solo nel controllare il dolore, mi-gliorare la qualità di vita e ridurre i livelli di PSA,pur essendo la sopravvivenza dei gruppi a con-fronto comparabile (IIA). Per molti anni, pertanto,tale combinazione è stata ritenuta il trattamentostandard dei pazienti ormonorefrattari sintomatici.Dal 2005, tuttavia, sono disponibili i risultati deglistudi randomizzati che hanno confrontato tale

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denza di necrosi mandibolare o dell’osso mascel-lare, è raccomandabile un’attenta valutazione delrischio (associato inoltre a comorbilità come dia-bete, terapie corticosteroidee protratte, dannoosteopenico da chemioterapia e androgeno-sop-pressione) e dei benefici attesi alla luce, inoltre,di un’attenta valutazione odontostomatologicavolta all’identificazione precoce e alla bonifica disituazioni (granulomi, carie, lesioni da protesi) ilcui trattamento in corso di terapia con questi far-maci può risultare determinante per l’insorgenzadi questa temibile complicanza (A).

Radioterapia palliativa e terapia radiometa-bolica. La radioterapia (con fasci esterni o radio-metabolica) è uno strumento importante nellagestione del paziente con CaP metastatico all’osso,nel controllo dei sintomi delle metastasi osseestesse e nella prevenzione di complicanze a essecorrelate. Per quanto riguarda la radioterapia afasci esterni, possono essere utilizzati con sicurezzaschemi di trattamento ipofrazionati (che cioè sud-dividono la dose totale in un numero limitato difrazioni), che hanno il vantaggio di ridurre gli ac-cessi in ospedale o la durata del ricovero (A). L’in-dicazione a tale trattamento è essenzialmente laprevenzione di complicanze scheletriche legatealla presenza di metastasi ossee e la palliazione deldolore (A). I radioisotopi si sono dimostrati effi-caci nel ridurre il dolore da metastasi ossee di tipoosteoblastico. Il tasso di risposta varia dal 40% al95% secondo le casistiche e il miglioramento in-comincia da 1 a 4 settimane dall’inizio del tratta-mento con una durata, in media, di alcuni mesi.Il miglioramento così indotto si associa abitual-mente alla riduzione significativa del consumo dianalgesici. Secondo le linee guida della EuropeanAssociation of Nuclear Medicine del 2002, il trat-tamento con radiofarmaci è indicato nel doloreosseo dovuto a metastasi scheletriche plurime,

vaccini, antagonisti dei recettori dell’endoteline,inibitori delle metalloproteasi), che per lo più ven-gono testati in combinazione con docetaxel. I ri-sultati clinici sono tuttavia ancora inconclusivi eanche in questo caso l’utilizzo di tali molecole èsconsigliato al di fuori di studi clinici rigorosa-mente controllati (E).

Terapia con bifosfonati. Il tessuto osseo è sedepredominante di localizzazione secondaria da CaP.Poiché la maggior parte dei pazienti con carci-noma prostatico avanzato presenta lesioni osseecome unica sede di disseminazione sistemica dimalattia, il trattamento specifico delle metastasiossee, avente come scopo il controllo del dolore ela prevenzione delle complicanze scheletriche, ri-veste in questa patologia una particolare impor-tanza. I bifosfonati sono analoghi del pirofosfatoin grado di inibire l’attività osteoclastica attraversosvariati meccanismi. Nell’ambito dei bisfosfonatiattualmente disponibili in commercio, l’acido zo-ledronico è il più potente. È stato dimostrato chela sua aggiunta al trattamento antineoplastico con-venzionale si associa a una riduzione statistica-mente significativa della probabilità di insorgenzadi complicanze scheletriche, a una riduzione delnumero complessivo di complicanze scheletrichee a un prolungamento di circa 5 mesi della me-diana del tempo all’insorgenza del primo eventoscheletrico (II). La dose raccomandata è 4 mg ininfusione endovenosa della durata di 15 minutiogni 28 giorni. In Italia e in Europa l’acido zole-dronico è in indicazione nella terapia del CaPcome prevenzione di complicanze scheletriche neipazienti con lesioni ossee secondarie. La sommi-nistrazione di acido zoledronico non risulta co-munque scevra da effetti collaterali; in particolaresono stati documentati e pubblicati i dati sullatossicità renale e sull’aumentato rischio di osteo-necrosi mandibolare. Onde minimizzare l’inci-

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PSA dopo chirurgia radicale. Dopo chirurgiaradicale, il PSA misurato con metodi standard(non ultrasensibili) deve scendere a valori < 0,2ng/ml e il PSA misurato con metodi ultrasensibilideve scendere a livelli “indosabili”. L’emivita delPSA (circa 3 giorni) suggerisce che una valutazionedella radicalità dell’atto chirurgico sia già possibilea 30 giorni dall’intervento. Il minimo livello diPSA misurabile dipende dal metodo di misura edal criterio decisionale adottato. Qualora si ri-scontrino livelli dosabili di PSA dopo prostatec-tomia radicale, è raccomandabile considerare levariazioni nel tempo del biomarcatore in prelieviseriati; se livelli minimi dosabili rimangono stabili,è possibile che non si tratti di malattia residua,ma di un rilascio da parte di tessuto prostatico re-siduo o di tessuti extraprostatici. Per contro, se ilivelli mostrano una tendenza verso l’incremento,è ipotizzabile la presenza di malattia residua.

PSA dopo radioterapia. Il dosaggio del PSAdopo la radioterapia ha un ruolo meno definitoche dopo la chirurgia, in quanto il tessuto prosta-tico, neoplastico e non, rimane in sede durante edopo il trattamento radioterapico. Le variazionidel PSA sono quindi legate allo stato di vitalità edi funzionalità del tessuto irradiato. Tuttavia, dairisultati riportati in letteratura si possono trarrele seguenti indicazioni:• il raggiungimento al nadir di un valore di PSA

< 1,0 ng/ml riflette la “radicalità” del trattamentoed è associato a una prognosi migliore (IV);

• la riduzione dei livelli di PSA richiede untempo piuttosto lungo: infatti, il nadir deveessere atteso tra 6 e 12 mesi dalla fine della te-rapia. Un tempo prolungato di raggiungimentodel nadir è di solito caratteristico delle neoplasiepiù differenziate ed è un indice prognosticofavorevole (III);

• il criterio più valido per “identificare” la reci-

ipercaptanti a livello scintigrafico (A). La terapiaradiometabolica può indurre mielotossicità senzasignificative differenze tra i diversi radionuclidi(III). Le controindicazioni sono rappresentate davalori di emoglobina (Hb) < 9,0 g/dl, globulibianchi (WBC) < 4000/dl, piastrine (PLT) <100.000/dl, clearance della creatinina < 30ml/min. Inoltre, i radionuclidi non devono esseresomministrati in caso di compressione midollareo in presenza di fratture patologiche (E).

4.8. Follow-up Anche se non c’è consenso unanime sul tipo esulla periodicità degli esami da eseguire nei pa-zienti con CaP, non vi è dubbio che sia opportunauna valutazione periodica dello stato di malattia.Nei pazienti operati e in quelli trattati con radio-terapia con fini di radicalità, lo scopo del follow-up è fondamentalmente identificare l’eventualeripresa di malattia a livello locale o a distanza.L’identificazione precoce di un’eventuale recidivabiochimica dopo prostatectomia e l’avvio a ra-dioterapia di salvataggio dei pazienti con minorecarico tumorale (PSA < 1 ng/ml) e caratteristichedi crescita lenta (PSAdt > 12 mesi) può infatticonsentire a questi pazienti di guarire (IVB). Neipazienti con malattia avanzata in trattamento conterapia ormonale, il follow-up ha lo scopo di va-lutare la risposta alla terapia e il decorso della ma-lattia. In tutti i casi, inoltre, il follow-up del pa-ziente ha lo scopo di valutare l’incidenza e di con-trollare, se possibile, l’evoluzione degli effetti col-laterali indotti dai vari tipi di trattamento. A pre-scindere dall’esame clinico, che rimane l’esame dibase in tutti i pazienti, sia in quelli sottoposti aprostatectomia o a radioterapia con fini di radi-calità, sia in quelli con malattia avanzata, è oggiproponibile modulare l’esecuzione degli esamistrumentali sulla base dei livelli di PSA.

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4.9. Elementi per la programmazione e l’organizzazione dei servizi

Per poter conseguire una dimensione di eccellenzauna struttura dovrebbe soddisfare i seguenti para-metri.• Coesistenza di una Struttura Complessa di Uro-

logia, Oncologia Medica e Radioterapia (anchese interaziendali).

• Disponibilità di una Diagnostica Radiologica,oltre che tradizionale, anche dotata di RM conbobina endorettale o phased array. NB La di-sponibilità della PET/TC con Colina è auspi-cabile, ma al momento non costituisce requi-sito indispensabile, visto il ruolo ancora limi-tato di questa tecnica di imaging qualora sipossa disporre delle tecniche più tradizionalidi medicina nucleare.

• Disponibilità di un Centro di Anatomia Pato-logica particolarmente dedicato alla diagnosticadel CaP, che segua i criteri delle linee guidainternazionali.

• Disponibilità di una Terapia di RianimazioneIntensiva.

• Disponibilità per l’Unità Urologica delle se-guenti dotazioni: un’apparecchiatura di uro-dinamica; un ecografo con sonda convex ad-dominale, lineare per parti molli e transrettalemultiplanare; un servizio o modulo di riabili-tazione andrologica; un servizio o modulo diriabilitazione per l’incontinenza urinaria.

• Disponibilità per l’Unità di Radioterapia diapparecchiature rispondenti alla necessità dieffettuare una terapia conformazionale secondole diverse modalità, garantendo che il sistemaimpiegato mantenga nel tempo le sue caratte-ristiche di qualità e sicurezza. In accordo conla definizione di terapia conformazionale, alfine di fornire un elenco di quanto deve esseredisponibile e che possa essere inteso come do-

diva biochimica è la progressione del PSA di 2ng/ml rispetto al nadir post-radioterapico (A).

PSA in corso di terapia ormonale. Numerosedimostrazioni sperimentali indicano che la depri-vazione androgenica può inibire il PSA in modoindipendente rispetto al blocco della crescita cel-lulare. Queste informazioni, indubbiamente rile-vanti dal punto di vista conoscitivo, hanno peral-tro un’influenza non critica sull’utilizzo clinicodel marcatore. Infatti, il PSA rimane un ottimoindicatore di risposta alla terapia o di progressione.Pur non essendo disponibili ancora algoritmi d’in-terpretazione standardizzati, si può concordare suiseguenti punti:• se il PSA rientra nell’intervallo di normalità

(< 4 ng/ml), la durata della risposta è maggiore(III);

• la rapidità della riduzione dei valori di PSA èun indice prognostico favorevole (III);

• la progressione è altamente improbabile finchéil PSA rimane ai valori di nadir raggiunti conla terapia (III);

• nei pazienti con PSA stabilmente ai livelli dinadir la scintigrafia ossea e gli altri esami stru-mentali (compresa la PET/TC con Colina)sono superflui (essendo molto poco probabile,anche se non impossibile, che la progressionedi malattia avvenga senza un concomitanterialzo anche del PSA) [B];

• devono essere considerate ancora di tipo spe-rimentale tecniche quali l’immunoscintigrafiacon 111-indio capromab pendetite [anticorpomonoclonale marcato per antigene di mem-brana prostatico (prostate specific membrane an-tigen, PSMA), per quanto abbiano mostratopromettenti risultati nel restaging dei pazientiaffetti da CaP, per la capacità di identificare lapresenza di metastasi a distanza indipenden-temente dai valori di PSA.

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• Documentata effettuazione da parte dell’UOdi Urologia di almeno 60 prostatectomie ra-dicali l’anno.

• Documentata effettuazione da parte dell’UOdi Radioterapia Oncologica di almeno 100trattamenti dedicati alla patologia prostatica(trattamenti esclusivi e complementari) l’anno.

• Documentata accoglienza da parte dell’UO diOncologia Medica di almeno 100 nuovi affettida neoplasia prostatica (tutti gli stadi) peranno, erogare almeno 500 prestazioni diagno-stiche e di follow-up in regime ambulatoriale,500 prestazioni (accessi) in regime di day ho-spital ed effettuare almeno 50 ricoveri a ciclocontinuo per pazienti affetti da questa neopla-sia. Infine, dovrebbe dimostrare di essere coin-volta in almeno 3 sperimentazioni clinichecontrollate.

• Per le UUOO di Urologia documentato rag-giungimento dei seguenti parametri: eseguirealmeno 300 biopsie della prostata l’anno conun detection rate bioptico superiore al 30%;avere una percentuale di margini positivi po-stchirurgici inferiore al 30%; prelevare almeno10 linfonodi in corso di linfoadenectomia; lapercentuale di interventi dichiarati nerve-spa-ring deve essere superiore al 30%; la percen-tuale di incontinenza urinaria definita comesociale (1 pad/die) deve essere inferiore al 10%.

• Per le UUOO di Radioterapia Oncologicadocumentato raggiungimento dei seguenti pa-rametri verificati su base annua: l’incidenzacomplessiva delle complicanze acute clinica-mente più rilevanti (cistite e proctite acuta digrado 3 e 4) non deve superare il 5%; la tos-sicità rettale tardiva di grado 2 o più non devesuperare il 10% per dosi fra i 64,8 Gy e i 75,6Gy; per le stesse dosi la tossicità urinaria tar-diva di grado 2 o più non deve superare il10%; l’incidenza di stenosi uretrale non deve

tazione essenziale per l’effettuazione appro-priata di trattamenti di terapia conformazio-nale, si rimanda al rapporto ISTISAN 04-34sull’“Indicazione per l’assicurazione di qualitànella radioterapia conformazionale”, che rece-pisce tutti gli standard necessari. Pertanto, ladotazione tecnologica di minima che identificaun Centro che effettua terapia conformazionalepuò essere desunta dal rapporto sopra citato.

• Disponibilità per l’Unità Oncologica di am-bulatori di visita attrezzati per l’assistenza e lacura del malato oncologico; un day hospitaldedicato alla somministrazione di trattamentichemioterapici infusionali, terapia con bifo-sfonati anche per via endovenosa, terapie disupporto; una degenza di oncologia medicacon posti letto riservati alla gestione del malatooncologico, con la possibilità di ricovero im-mediato in caso di emergenza oncologica; unservizio o modulo di terapia antalgica; un ser-vizio o modulo di riabilitazione oncologica. Sisottolinea, peraltro, la necessità di un personalenon solo medico ma anche infermieristico qua-lificato e preparato alla somministrazione deisuddetti trattamenti e alla gestione del rischioclinico da essi stessi derivante (cfr. rischio distravaso di farmaci chemioterapici, reazioni al-lergiche agli stessi ecc.).

• Presenza di documenti formali per regolamen-tare la stretta collaborazione fra tutte le strutturecoinvolte nella diagnosi, nel trattamento e nellariabilitazione del paziente affetto da neoplasiaprostatica, prevedendo la possibilità di creareun team multidisciplinare (“Disease Manage-ment Team” per il carcinoma prostatico) dedi-cato alla gestione e alla programmazione tera-peutica dei pazienti afferenti al Centro stesso emeritevoli di una valutazione multispecialistica.

• Documentata afferenza di almeno 200 nuovipazienti l’anno.

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La qualità del trattamento oncologico può esserevalutata tramite differenti parametri, essendo iltrattamento stesso per sua natura vario e com-plesso, e difficilmente inquadrabile in un’unicatipologia di prestazione come avviene per quellochirurgico e radiante. Poiché ancora oggi i dueterzi dei pazienti affetti da neoplasia prostaticahanno un’età superiore ai 65 anni, è indice diqualità l’adozione sistematica di protocolli di Va-lutazione Geriatrica Multidimensionale (VGM)per i pazienti di età superiore ai 70 anni. Al di làdella qualità percepita dal paziente, solo parzial-mente desumibile attraverso appositi questionaridi valutazione, che comunque devono costituireun aiuto prezioso nella certificazione della qualitàdel Centro, e tralasciando la già citata necessitàdi preparazione e qualifica del personale anchedi tipo infermieristico deputato alla gestione diquesti pazienti, giova qui ricordare soltanto unodei differenti indicatori di qualità, quale quellodelle liste di attesa nella tempistica delle presta-zioni erogate: queste dovrebbero essere tali danon superare i 10 giorni lavorativi per una primavisita ambulatoriale, i 15 giorni per l’attivazionedi un trattamento in regime di day hospital, i15 giorni per l’accesso in reparto, in caso di ri-covero ordinario.La struttura deve poter dimostrare un’attivitàscientifica di pubblicazioni sul cancro della pro-stata certificata su riviste peer reviewed. In questocaso l’accreditamento deve essere previsto su unarco di tempo tri- o quinquennale utilizzando icriteri di normalizzazione dell’IF (impact factor)adottati dal Ministero della Salute per l’Accredi-tamento degli IRCCS.

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CaP neoplasiasolida più comunenel sesso maschilein Europa(incidenza 55 casi/100.000);seconda causa di morte dopo il tumore delpolmone

Esplorazionerettale positiva(VPP 5-30% -Livello di Evidenza2a – operatore-dipendente –identifica lesionidel mantelloperiferico ≥ 0,2 mlcon una specificitàdel 18%)

PSA (serin proteasidella classe delleKallicreine prodottaquasiesclusivamentedalle celluleepitelialiprostatiche –marker organo-specifico nontumore-specificoaumenta in caso diIPB) > 4 ng/ml(treshold peridentificare tumorinon palpabiliclinicamentesignificativi T1c)con alterazione delrapporto PSAlibero/totale

Ecografiatransrettale

Il 60% dei tumoriè visibile inrelazione alla loroecogenicità(ipoecogeni)

Pazienti di età > 45anni con aspettativa di vita di almeno 10anni (EAU guidelinesupdate marzo 2009)

Indicata per biopsiadiagnostica

Rapporto PSAlibero/totale• < 0,10 biopsiapositiva nel 56% deipazienti;• > 0,25 biopsiapositiva nell’8% deipazienti

Gleason score(grado da 1 a 5) e Gleason Sum(somma dei patterndi crescitaneoplastica piùcomuni in termini di volume nel campionebioptico ≥ 5%) con valori compresitra 2 (forma menoaggressiva) e 10(forma piùaggressiva)

Attualmente nessuna evidenza scientifica dell’efficacia del CaPscreeening: due ampi studi [PLCO (Prostate, Lung, Colorectal,Ovary) negli USA ed ERSPC (European Randomized Screening for Prostate Cancer) in Europa] con endpoint l’impatto dello screening sulla mortalità hanno fornito dati contraddittori

L’ecografia con sonda endorettale ha indicazione esclusiva nella guida della biopsia randomizzata (10 prelievi raccomandatidal British Prostate Testing for Cancer and Treatment Study) ed eventuale integrazione della stessa in aree ritenuteecograficamente sospette) estesa alle ghiandole seminali (stadio > T2a con PSA > 10 ng/ml)

Procedure diagnostiche per le neoplasie della prostata

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Appendice: Diagnostica per immagini

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(segue)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Rischio di CaPrapportato ai valoridi PSA (ng/ml)• 0-0,5 6,6%• 0,6-1 10,1%• 1,1-2 17,0%• 2,1-3 23,9%• 3,1-4 26,9%

StadiazioneSistema distadiazione TNMdella UICC(InternationalUnion AgainstCancer); distinguemalattia locale damalattia avanzata

N stagingLocalizzazionemalattialinfonodale

Follow-upLinee guida ASTRO(American Societyfor TherapeuticRadiology andOncology)

Rischio di recidivaneoplastica dopoterapia: 27-53% a10 anni dopoterapia iniziale; 16-35% a 5 annidopo terapia diseconda linea

TC

RM con bobinaendorettaleassociata abobina disuperficie (1,5T)

PET/TC con Colina

Ecografiatransrettale

TC

RM

Ecografiatransrettale

Non indicata

Indicata nellapianificazione dellabiopsia in casiselezionati

Non indicata

Non indicata

Indicata

Indicata

Non indicata

Non distingue ghiandola prostatica periferica (sede neoplasia 70%dei casi) da transizionale e adenomioma centrale

Non distingue prostata normale da infiammazione e/o tumore

Elevata caratterizzazione tessutale

MDC (gadolinio-DTPA): precoce e intenso potenziamento deltumore rispetto al tessuto sano

Spettroscopia: valutazione metabolica dei pattern organo-tropici

Non distingue prostata normale da infiammazione e/o tumore

TC maggiore accuratezza nell’identificazione di linfonodimetastatici (specificità 93-96%)

Criterio diagnostico dimensionale: 1 cm asse corto per linfonodiovali; 0,8 cm asse corto per linfonodi rotondeggianti

Guida alla biopsia diagnostica a livello della loggia prostatica e dell’anastomosi vescico-uretrale (biopsia random VPP 54%;biopsia ecoguidata VPP 80%)

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(segue)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Recidivabiochimica precedela malattiaclinicamentemanifesta di 6-48mesi

Esami di primalinea:• dosaggio PSA(non aumenta pertumoriindifferenziati →prognosisfavorevole)• esplorazionerettale (scarsaaffidabilità dopotrattamenticurativi, es.radioterapia VPP5,5%)

Fallimento deltrattamento:progressione PSA(fallimentobiochimico)

Tempo diraddioppamentoPSA (DoublingTime):• 13 mesi perrecidiva locale• 3 mesi permetastasi adistanza (valore dimediana)• post-prostatectomia(PSA non rilevabileper 3 settimanedopoprostatectomiaradicale efficace):due dosaggiconsecutivi del PSA≥ 0,4 ng/ml

RM con bobinaendorettale

Scintigrafia ossea

TC total body

Indicata

Indicata in pazienticon sintomatologiaossea anche per PSAnon dosabile(metastasi da CaPnon differenziato)

VPP ≤ 5% con PSA< 40 ng/ml

Indicata per pazientisintomatici

Altamente sensibile e specifica nell’identificazione della recidivaneoplastica (VPP 81% per PSA alla diagnosi di recidiva biochimica≥ 2 ng/ml)

Scintigrafia ossea + TC total body → valore diagnostico aggiuntoper PSA > 20 ng/ml con PSA velocità > 20 ng/ml/anno

Non indicate per PSA < 20 ng/ml; PSA velocità < 20 ng/ml/anno

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(segue)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

• post-radioterapia:aumento di 2 ng/ml in tre dosaggisuccessivi del PSA nadir(valore minimo) =PSA < 0,5 ng/ml(prognosifavorevole) ~ 3 anni• post-HIFU/crioterapia:aumento di 1 ng/ml con biopsia loggiaprostatica+++

StadiazioneSistema di stadiazione TNMdella UICC(InternationalUnion AgainstCancer)→distingue malattia locale da malattiaavanzata

M stagingLocalizzazionemetastasi a distanza

Scheletro assileinteressatonell’85% dei pazienti con exitus per CaP

PSA pretrattamento> 100 ng/ml PPV100%Fosfatasi alcalina(FA) aumentata →accuratezzametastasi ossee del 70%

PET/TC con Colina

Scintigrafia osseacon tecneziodifosfonato

TC total body con mdc

Indicata

Indicata(non indicata perPSA < 20 ng/ml;malattia localizzata;Gleason Score ≤ 6)

Indicata

Nel paziente prostatectomizzato con incremento del PSA, tale tecnica è in grado di identificare, mediante l’esecuzione di un singolo esame, sia una recidiva locale, sia un coinvolgimentometastatico linfonodale e/o scheletrico. Utile associare studiomorfologico pelvico per evitare false negatività in sede di recidivalocale

Metodica più sensibile nell’identificazione delle metastasi ossee

Identificazione di metastasi a distanza (linfonodi, polmone, fegato,cervello, cute)

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Ministero della Salute

(segue)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Associazione PSA+ FA →accuratezza del 98%

StadiazioneSistema distadiazione TNMdella UICC(InternationalUnion AgainstCancer) →distingue malattialocale da malattiaavanzata

T stagingStadio tumoralelocaleintracapsulare (T1,T2), extracapsulare(T3, T4)

Esplorazionerettale sottostimal’estensioneneoplastica (VPP < 50%)

Estensioneextraprostaticastrettamentecorrelata al rischiodi recidiva:presenza di tumoreoltre i confini dellacapsula prostatica(carcinoma estesoal tessuto adiposoperi-prostatico, alplessoneurovascolare,alla prostataanteriore) =FOCALE o NONFOCALE(ESTENSIVO) serispettivamenteminore o maggioredi 1 high power

Ecografiatransrettale

TC

RM morfologicacon valutazionemetabolica(spettroscopia)

Non indicata

Il 60 % dei tumori èvisibile in relazionealla loro ecogenicità(ipoecogeni)

Non indicata

Indicata

Spettroscopia:definizione del metabolismotumorale(concentrazionerelativa di citrato,colina, creatina,poliamine),localizzazione del tumore nelcontesto dellaghiandola perifericaaumentandol’accuratezzanell’identificazionedell’estensioneextracapsulare

Non è superiore all’eplorazione rettale nella diagnosi della malattia organo-confinata: non raccomandata nella differenziazione tra stadio T2 e T3

Non permette l’identificazione del profilo capsulare

Caratterizzazione spaziale dell’anatomia prostatica emodificazioni molecolari del tessuto prostatico se interpretata da radiologi dedicati

Staging locale (sequenze T2 pesate e studio dinamico con mdc)nei gruppi con rischio medio-elevato per l’identificazionepreoperatoria dell’estensione extracapsulare ovverointeressamento delle vescicole seminali → fondamentale nella chirurgia nerve-sparing

Aggressività del tumore: correlazione tra pattern metabolico e Gleason Score patologico

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Neoplasie della prostata 4

(segue)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

field oppure 1 mmnella valutazioneistopatologica dellaprostatectomiaradicalePSA aumenta conl’avanzare dellostadio: nessunarelazione diretta trail valore di PSAsierico e lo stadioclinico epatologico; lacombinazione diPSA – GleasonScore – biopsia –stadio T clinicoaiuta a prevederelo stadiopatologico

In ottemperanza al D.Lgs 187/00, la scelta dell’esame da effettuare deve essere fatta considerando metodiche e tecniche idonee a ottenere il maggior bene-ficio clinico con il minimo detrimento individuale e della collettività. Devono quindi essere privilegiate quelle tecniche e metodiche che comportano, a paritàdi obiettivo diagnostico, una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.

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5.1. Incidenza e mortalità

Il carcinoma del colon-retto (CCR) è per fre-quenza la seconda causa di morte per cancro nelmondo (1 milione di nuovi casi), dopo il tumoredel polmone nell’uomo e della mammella nelladonna. In Italia si registrano 20.457 nuovi casi tra i maschie 17.276 tra le femmine, in media 77-78 individuiogni 100.000 abitanti. In 9 casi su 10 colpiscedopo i 50 anni d’età. Il tasso d’incidenza per imaschi è 64,2 (il 4° in Europa) e per le donne52,5 (il 9° – tra i più bassi – in Europa) su100.000 abitanti. I tassi di incidenza e mortalitàpiù elevati si registrano nell’Italia centro-setten-trionale, quelli più bassi nel meridione e nelleisole. Negli ultimi 15 anni, in Italia, come in granparte dell’Europa, si è assistito a una diminuzionedell’incidenza di oltre il 20%. Le cause alla base della genesi del carcinoma delcolon-retto non sono note, anche se sono chiarialcuni meccanismi eziopatogenetici. Esistono al-cune sindromi genetiche familiari che sono allabase di un certo numero di carcinomi del colon-retto nell’adulto. Le principali sono la sindromedi Lynch o cancro colorettale ereditario non asso-ciato a poliposi (hereditary non-polyposis colorectalcancer, HNPCC) e la poliposi adenomatosa fa-

miliare (familial adenomatous polyposis, FAP), chesi trasmettono in maniera autosomica dominante.La FAP è responsabile dell’1% di tutti i tumoridel colon, con una frequenza nella popolazionedi 1/10.000. I fattori ambientali sembrano esseretuttavia preponderanti. L’evidenza dell’elevata in-cidenza nelle società industrializzate occidentalidepone per fattori legati principalmente allo stiledi vita e alla dieta ricca di grassi animali (es. carnerossa). La maggior parte dei carcinomi colorettali si svi-luppa a partire da lesioni inizialmente benigne, ipolipi adenomatosi. La storia familiare di tumoriintestinali, colite ulcerosa o morbo di Crohn ediabete aumenta il rischio di tumore del colon-retto. Programmi organizzati di screening per ilCCR sono raccomandati nella popolazione gene-rale a partire dai 50 anni di età. L’età di iniziodella sorveglianza attiva può essere minore persoggetti con poliposi a elevato rischio familiare.

5.2. Diagnosi

La tempestività della diagnosi clinica definitivadi CCR, come capacità sia di “anticipazione” (dia-gnosi precoce) sia di “riduzione dei tempi di ac-cesso”, minimizzando il ritardo dell’intervento te-rapeutico efficace, fa parte degli aspetti tecnico-

5. Neoplasie del colon-retto

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Ministero della Saluten. 3, maggio-giugno 2010

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Ministero della Salute

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- massa rettale evidenziabile all’esplorazionerettale o massa addominale palpabile;

• migliorare le procedure di accesso alla visitaspecialistica e alle indagini di primo livello (co-lonscopia, colografia ecc.) per la diagnosi diCCR.

5.2.1. Esami diagnostici

Endoscopia. L’endoscopia ha lo scopo di:• ridurre l’incidenza di CCR, attraverso la ri-

mozione di lesioni preinvasive (polipi adeno-matosi);

• diagnosticare e tipizzare, attraverso l’istologia,il cancro.

La sensibilità degli esami endoscopici per le neo-plasie presenti nei segmenti colici esaminati è con-siderata molto elevata, più del 90% per le lesioni≥ 10 mm. Gli indicatori più condivisi sono: • la completezza del referto, • l’utilizzo della sedazione,• la registrazione delle complicanze, • la soddisfazione del paziente, • la percentuale di esami impossibili per ineffi-

cace preparazione intestinale, • la percentuale di raggiungimento del fondo

cecale. Al fine di ridurre il “disagio” legato alla procedurain sé, è generalmente adottata una sedazione co-sciente per via endovenosa, in modo tale che i pa-zienti possano interagire con l’operatore, in caso difastidio o di dolore, e cooperare alla procedura senzapoi conservarne il ricordo. Sebbene alcuni Centricontinuino a eseguire un dosaggio preliminare deimarcatori virali (HBV, HCV e HIV), le attuali tec-niche di disinfezione degli strumenti, se corretta-mente eseguite, consentono un’assoluta tranquillità.

Sigmoidoscopia. Viene utilizzato un fibroscopioflessibile della lunghezza di 60 cm, che permette

organizzativi evidenziati dal Piano Sanitario Na-zionale (PSN) 1998-2000 e dal D.L. 229/99 perla patologia neoplastica. La prognosi del CCRmigliora in modo drammatico se la neoplasiaviene riconosciuta e trattata in uno stadio precoce,mentre se la neoplasia è avanzata qualunque trat-tamento è statisticamente inefficace in termini disopravvivenza. Gran parte del ritardo diagnosticocorrisponde al tempo intercorso fra prima visita ediagnosi. Il National Health System inglese ponecome obiettivo “che tutti i pazienti che presentanosintomatologia di sospetta natura neoplastica pos-sano poter accedere alla visita specialistica entro enon oltre le due settimane dal primo contattocon i servizi e avere una diagnosi definitiva entroe non oltre un mese”. Appare necessario:• migliorare il rapporto fra il medico di famiglia

e gli specialisti mediante contatti personalizzatie riunioni di gruppo, per puntualizzare i sin-tomi di allarme. Un’attenta e motivata anam-nesi e la valutazione di esami di laboratorio dibase, di per sé, sono in grado di indirizzare si-gnificativamente il medico di famiglia verso ilsospetto di CCR. I sintomi di allarme [“redflags” del National Health Service (NHS)] perl’identificazione dei casi “sospetti”, che do-vrebbero pilotare l’accesso alla visita speciali-stica, sono i seguenti: - emorragia rettale persistente senza sintomi

anali in pazienti di età > 65 anni e nessunaevidenza di patologia anale benigna,

- emorragia rettale e/o cambiamento delle abi-tudini intestinali per almeno 6 settimane,

- modifiche recenti nelle abitudini intestinalicon feci poco formate e/o aumento della fre-quenza della defecazione, persistente per piùdi 6 settimane,

- anemia sideropenica con Hb < 10 g/dl senzacausa evidente,

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5Neoplasie del colon-retto

complicanze è più elevata quando viene eseguitauna polipectomia. La colonscopia diagnostica deveessere eseguita entro 7 giorni in caso di diagnosinota di neoplasia del retto-sigma ottenuta conesplorazione rettale o rettoscopia da confermarecon istologia, mentre in caso di alterazioni al-l’ECO/TC/RM (es. ispessimento di parete o le-sioni secondarie epatiche di natura da determi-nare) o del riscontro di sangue occulto positivo,in particolare se associato a dimagramento e alte-razioni dell’alvo, può essere eseguita entro 60giorni.

Colonscopia virtuale (colografia). Questo tipodi indagine prevede una preparazione intestinalesimile a quella che si effettua per la colonscopiaconvenzionale (CC), mentre non è necessaria lasedazione, pertanto tutti i pazienti possono esseresottoposti all’indagine. Uno studio recentementepubblicato ha confermato che nella diagnosi diCCR in adulti asintomatici le colografia è riuscitaa identificare il 90% di lesioni > 10 mm in dia-metro. Le caratteristiche peculiari della “colon-scopia virtuale” (CV) sono:• rapidità di esecuzione: l’indagine viene effet-

tuata in 5 minuti; la ricostruzione in “post-processing” viene effettuata dall’operatore permezzo di un sistema di “navigazione” endolu-minale e l’intera documentazione viene com-pletata in un lasso di tempo di 15-20 minuti;

• assenza di invasività: è soltanto necessaria l’in-sufflazione di gas per distendere il colon.

5.3. Stadiazione e “risk assessment”

Stadiazione TNM

Le classificazioni più utilizzate per la stadiazionedel carcinoma del colon-retto sono quella di Du-kes e quella TNM [International Union Against

la visualizzazione del retto e del sigma; può essereanche utilizzato un colonscopio di 130 cm, limi-tando l’esame al raggiungimento del giunto sigma-discendente. Performance: in relazione all’areaesplorata; è uguale a quella della colonscopia. Ven-gono identificati quasi tutti i cancri e i polipi > 10 mm e il 70-85% dei piccoli polipi. Repertifalsamente positivi sono rari, ma molti polipi sonoiperplastici oppure flogistici e quindi senza rischiodi degenerazione. Quando nel retto-sigma ven-gono identificati adenomi o carcinomi, il pazienteviene sottoposto a colonscopia e ha circa una pos-sibilità su tre di avere ulteriori adenomi nel colonprossimale.

Colonscopia. È l’unica metodica che permetteun’esplorazione completa e affidabile di tutto ilcolon, essendo allo stesso tempo diagnostica e te-rapeutica, poiché consente di rimuovere agevol-mente i polipi adenomatosi. Performance: elevataspecificità e sensibilità, che sono nettamente su-periori a tutte le altre metodiche attualmente di-sponibili. Il cieco viene raggiunto nell’80-95%degli esami e la profondità di inserzione dipendeprincipalmente dall’esperienza dell’endoscopistae dall’accuratezza della preparazione. Gli endo-scopisti che hanno eseguito meno di 300 esamiraggiungono il cieco nel 76% dei casi, quelli conpiù 500 esami nell’82,5%. Se una colonscopianon viene completata, potrebbe essere necessarioripetere l’esame o far eseguire, dove disponibile,una colografia-TC. La colonscopia può essere complicata da perfora-zione, emorragia, depressione respiratoria dovutaalla sedazione, aritmie, dolore addominale transi-torio e infezioni nosocomiali. I dati di 6 studiprospettici indicano che circa 1 soggetto su 1000avrà una perforazione, 3/1000 avranno un san-guinamento maggiore e 1-3/1000 potranno mo-rire come esito della procedura. La frequenza di

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Cancer (UICC) e American Joint Committee onCancer (AJCC)]. L’ultima revisione TNM (2010)ha introdotto alcuni cambiamenti. Il sistemaTNM stadia i carcinomi in base alla profonditàdi invasione del tumore primario, l’assenza o lapresenza di metastasi linfonodali regionali e l’as-senza o la presenza di metastasi a distanza. Levarie categorie risultanti dalle combinazioni di Te N sono raggruppate in stadi da I a IV. La classi-ficazione cTNM è basata sulle informazioni ac-quisite prima del trattamento chirurgico e quellapTNM clinica si basa sulle informazioni ottenutedurante l’intervento chirurgico e l’esame istopa-tologico del campione. Molte ulteriori informa-zioni fanno parte della stadiazione TNM, comela lettera R che definisce la presenza di carcinomaresiduo dopo il trattamento, la G il grading isto-logico, la L l’invasione linfatica e la V l’invasionevenosa. È importante ricordare che minimo dodicilinfonodi devono essere esaminati per la correttavalutazione della categoria N. Un nodulo che mi-sura 3 o più cm di diametro nel tessuto adiposoperirettale o pericolico, anche senza evidenza isto-logica di residuo linfonodale nel nodulo, è classi-ficato come metastasi linfonodale regionale.

Tumore primitivo – T• Tx: tumore primitivo non definito.• T0: assenza di segni di tumore.• Tis: carcinoma in situ: intraepiteliale o inva-

sione della lamina propria*.

• T1: invasione della sottomucosa.• T2: invasione della muscolare propria.• T3: invasione attraverso la muscolare fino ai

tessuti pericolici o perirettali.• T4a: invasione fino alla superficie del peritoneo

viscerale**.• T4b: invasione diretta o adesione ad altri or-

gani o strutture***.I linfonodi regionali sono quelli pericolici e peri-rettali e quelli situati lungo le arterie ileo-colica,colica destra, colica media, colica sinistra mesen-terica inferiore e rettale (emorroidaria) superiore.

Linfonodi regionali – N• Nx: i linfonodi regionali non possono essere

definiti.• N0: assenza di metastasi linfonodali regionali.• N1: metastasi in 1-3 linfonodi regionali.

- N1a: metastasi in 1 dei linfonodi regionali.- N1b: metastasi in 2-3 linfonodi regionali.- N1c: depositi tumorali nella sottosierosa, nel

mesentere o nei tessuti pericolici o perirettalinon peritonealizzati senza metastasi nei lin-fonodi regionali.

• N2: metastasi in 4 o più linfonodi regionali.- N2a: Metastasi in 4-6 linfonodi regionali.- N2b: Metastasi in 7 o più linfonodi regionali.

I linfonodi regionali sono quelli pericolici e peri-rettali e quelli situati lungo le arterie ileo-colica,colica destra, colica media, colica sinistra mesen-terica inferiore e rettale (emorroidaria) superiore.

* Tis include neoplasie confinate entro la membrana basale (intraepiteliale) o la lamina propria (intramucosale) senzaestensione attraverso la muscolaris mucosae fino alla sottomucosa.

** T4 include i casi di invasione di altri organi o altri segmenti del colon-retto come risultato di un’estensione direttaattraverso la sierosa confermati all'esame microscopico o, per i tumori a localizzazione retroperitoneale o extraperitoneale,dell'invasione di altri organi o strutture diretta attraverso la muscolare propria.

*** Un tumore aderente grossolanamente ad altri organi o strutture è classificato cT4b. Tuttavia, se non c'è evidenzamicroscopica di cellularità maligna nella sede di adesione, la classificazione dovrebbe essere pT1-4a in base alla profonditàdi invasione di parete. Le classificazioni Ve L sono utilizzate per identificare la presenza o l'assenza di invasione vascolareo linfatica, mentre il fattore PN sito-specifico dovrebbe essere usato per invasione perineurale.

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Metastasi a distanza – M • M0: metastasi a distanza assenti.• M1: metastasi a distanza presenti.

- M1a: metastasi confinate a un organo o sito(es. fegato, polmone, ovaio, linfonodi non re-gionali).

- M1b: metastasi in più di un organo/sito operitoneali.

La stadiazione viene dunque compiuta seguendoquanto riportato nella Tabella 5.1 e nella Figura 5.1.

Classificazione di Astler-CollerLa prima classificazione in stadi del carcinomadel colon-retto è quella di Dukes. L’originale clas-sificazione di Dukes è stata descritta per il carci-noma del retto, ma può essere applicata anche alcarcinoma del colon. Si suddivide in: stadio A:tumori che non si estendono al di là della musco-lare propria; stadio B: tumori che si estendonoattraverso la parete nella subsierosa e/o sierose, onei tessuti extrarettali; stadio C: qualsiasi infiltra-zione, ma con linfonodi metastatici. Lo stadio C

è stato successivamente suddiviso in C1, quandosolo i nodi perirettali sono positivi e C2 quando inodi al punto di legatura dei vasi mesenterici(chiamati nodi apicali) sono coinvolti. Lo stadioD è stato aggiunto ancora più tardi e definisce lamalattia metastastatica. La classificazione di Astler-Coller (Figura 5.2) è stata proposta nel 1954 e haportato un po’ di confusione, perché è spessomale interpretata in relazione a quella precedentedi Dukes (1932). L’originale classificazione diAstler-Coller aveva cinque fasi: A neoplasia limi-tata alla mucosa; B1 coinvolgimento della mu-

Tabella 5.1 Stadiazione TNM del carcinoma del colon-retto con percentuali di sopravvivenza a 5 anni per stadio (Fonte:SEER Program, da Gunderson LL et al. J Clin Oncol, 2010)

Stadio T N M Sopravvivenza Dukes Aster-Collera 5 anni (SEER)

0 Tis N0 M0 - - -I T1 N0 M0 78,7% A A

T2 N0 M0 74,3% A B1IIA T3 N0 M0 66,7% B B2IIB T4a N0 M0 60,6% B B2IIC T4b N0 M0 45,7% B B3IIIA T1-T2 N1-N1c M0 67,2% C C1

T1 N2a M0 64,7% C C1IIIB T3-T4a N1/N1c M0 58,2% C C2

T2-T3 N2a M0 42,8% C C1/C2T1-T2 N2b M0 51,8% C C1

IIIC T4a N2a M0 32,5% C C2T3-T4a N2b M0 17,5% C C2

T4b N1-N2 M0 12,9% C C3IVA Ogni T Ogni N M1a - D DIVB Ogni T Ogni N M1b - D D

Figura 5.1 Classificazione T per i tumori del colon-retto(elaborata da Cancer Staging Manual AJCC,7a edizione).

Tis T1 T3T2 T4a T4b

Mucosa

Lamina propriaMuscolare mucosa

Sottomucosa

Muscolare propria

SottosierosaSierosa

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Si stima che il rischio di sviluppare un tumore delcolon aumenti di 2-3 volte nei parenti di primogrado di una persona affetta da cancro o da polipidel grosso intestino. Anche il fumo di sigaretta el’utilizzo di alcolici sembrano correlare con un au-mentato rischio di sviluppare questo tipo di neo-plasia, mentre effetto protettivo sembra essere svoltoda una corretta attività fisica. I fattori di tipo gene-tico sono responsabili del 15-30% dei casi di tu-more del colon-retto, mentre il 5% si verifica insoggetti affetti da patologie quali la sindrome diLynch [carcinosi ereditaria del colon-retto su basenon poliposica (hereditary non-polyposis colorectalcancer, HNPCC], l’adenomatosi poliposa familiare(familial adenomatous polyposis, FAP) e la sua va-riante attenuata (attenuated familial adenomatouspolyposis, AFAP), la sindrome di Gardner e quelladi Turcot e la poliposi MUTYH-associata. La sin-drome di Lynch è responsabile di circa il 3% ditutti i casi di carcinoma del colon-retto; è causatada una mutazione a carico di geni implicati nelmismatch repair (MMR). I soggetti portatori diuna mutazione a carico dei geni MMR hanno unrischio di sviluppare un tumore del colon-retto chepuò arrivare all’80%, oltre ad altri tipi di neoplasie,come il tumore dell’endometrio. La FAP è inveceresponsabile di circa l’1% dei casi di carcinoma co-lorettale. Numerosi studi stanno analizzando diversiparametri biologici potenzialmente utili per valutareil rischio di malattia e pianificare il trattamentodei tumori del colon-retto. A oggi nessuno è ingrado di svolgere un ruolo nella valutazione del ri-schio, mentre alcuni sono impiegati per deciderela strategia terapeutica. Il più importante è l’onco-gene K-ras, la cui mutazione, presente in circa il40% dei tumori colorettali, preclude la rispostaalla terapia con anticorpi anti-EGFR. Un altro è ilcomplesso DNA mismatch repair (MMR), difettivonel 12% dei pazienti con neoplasie del colon-retto,che preclude la risposta al trattamento con 5-FU.

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sculare propria, senza oltrepassarla; B2 penetra lamusculare propria fino alla sierosa, C1 e C2 sonocontropartite di B1 e B2 con metastasi linfonodali.Da allora, dopo le modifiche sono stati aggiuntialtri tre stadi: B3 rappresenta coinvolgimento dellestrutture adiacenti, C3 è B3 con metastasi linfo-nodali e D significa presenza di metastasi a di-stanza. Attualmente, la classificazione di Astler-Coller è poco utilizzata.

“Risk assessment”Il tumore del colon-retto è una patologia a genesimultifattoriale ed eziologia complessa. I fattori dirischio sono di tipo alimentare, ambientale e gene-tico. Numerosi studi dimostrano che una dieta adalto contenuto di calorie, ricca di grassi animali epovera di fibre, è associata a un aumento dei tumoriintestinali; viceversa, diete ricche di fibre sembranosvolgere un ruolo protettivo. Altri fattori di rischiosono rappresentati dall’età (l’incidenza è 10 voltesuperiore tra le persone di età compresa tra i 60 e i64 anni rispetto a coloro che hanno 40-44 anni),dalle malattie infiammatorie croniche intestinalicome la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn,da una precedente storia clinica di polipi del colono di un tumore del colon-retto. Polipi e carcinomiche non rientrano tra le sindromi ereditarie vengonodefiniti “sporadici”, sebbene anche in questo casosembra vi sia una certa predisposizione familiare.

Figura 5.2 Classificazione di Astler-Coller (B3 e C3, in-filtrazione di organi adiacenti e D, stadio me-tastatico, non evidenziabili nello schema).

A B1 B2 C1 C2

Mucosa

Lamina propriaMuscolare mucosa

Sottomucosa

Muscolare propria

SottosierosaSierosa

Linfonodi regionali

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stochimica o PCR-trascrittasi inversa o tecnologiacon fluorescenza ottica). Procedure innovativecome la dissezione endoscopica submucosa (en-doscopic submucosal dissection, ESD) e la polipec-tomia laparoscopica assistita conferiscono la pos-sibilità di garantire una resezione con margini li-beri di una piccola lesione primaria senza opera-zione convenzionale. • Cancro del colon: T1 (invasione della sola

submucosa)- Escissione locale (ESD o polipectomia lapa-

roscopica assistita).- Resezione colica localizzata.

• Cancro del colon: T2 (invasione della mu-scolare propria)- Resezione radicale, spesso resezione colica

segmentaria ed escissione mesenterica “enbloc” dei linfonodi.

ColectomiaLinfoadenectomia• Linfonodi all’ascella dei vasi nutritizi dovreb-

bero essere identificati per l’esame istopatolo-gico.

• Linfonodi al di fuori dell’ambito resettivo con-siderati sospetti dovrebbero essere escissi.

• Linfonodi positivi non escissi indicano una re-sezione incompleta (R2).

• Sono considerati necessari minimo 12 linfo-nodi per un corretto esame istopatologico, cosìda stabilire chiaramente un eventuale stadioII del cancro del colon.

Laparoscopia• Chirurghi con esperienza.• No malattia che sconfini nel retto, o local-

mente avanzata, o metastatica, o ostruzioneintestinale, o perforazione per cancro.

• Considerare la marcatura endoscopica preo-peratoria del cancro.

Diverse nuove tecnologie, incluse la PET/TC connuovi traccianti e l’ecografia con mezzi di contrasto,sono allo studio per valutare l’efficacia di trattamenticon farmaci antiangiogenetici. Infine, studi su DNAcircolante e con microarray sono in corso per defi-nire parametri biologici e “gene signature” specifi-che per diversi stadi del tumore del colon-retto alfine di stratificare meglio i pazienti e programmareil trattamento.

5.4. Trattamento degli stadi iniziali

La prognosi del CCR è correlata allo stadio dimalattia; la profondità dell’invasione è un’impor-tante componente del sistema di stadiazione. Tu-mori entro la parete intestinale (T1 e T2) sonousualmente considerati “early cancers” e comun-que, dal momento che il tumore invade la mu-scularis mucosae e giunge alla sottomucosa oppureai piani più profondi, le metastasi ai linfonodi oagli organi distanti sono più frequenti.

Neoplasie coliche. A oggi è d’obbligo assicurarsiche tutte le disseminazioni nodali siano determi-nate in modo che ogni paziente non abbia untrattamento subottimale. Tale principio è decisivoin quei casi con early CCR, visto che approssi-mativamente il 10% dei tumori T1 ha metastasilinfonodali. Le caratteristiche fenotipiche iden-tificate negli esami istopatologici devono conti-nuare ad avere un ruolo chiave nella definizionedel tumore primario nel CCR; approcci recentiche non sono ancora pratica clinica standard, mache potrebbero migliorare la prognosi del CCR,includono studi genotipici sul carcinoma prima-rio, analisi di fattori istopatologici addizionali(recettori per fattore di crescita epidermico, statomutazionale di K-ras) e stadiazione linfonodaleavanzata (ultrastadiazione dei linfonodi mesen-terici per micrometastasi utilizzando immunoi-

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lativamente nuova non ha ottenuto molta popo-larità a causa del costoso equipaggiamento, dellascarsa familiarità con il setup e per la complessitàdel sistema operativo della TEM stessa. Il sistemaradiante endocavitario per contatto (endocavitarycontact radiation therapy, ECR) è un trattamentomini-invasivo i cui risultati sono comparabili coni rilievi di radicalità oncologica di altre terapie lo-cali per le neoplasie rettali T1 e T2 stadiate conERUS. In ogni modo, in analogia ad altre terapielocali, i risultati oncologici dopo ECR sono peg-giori di quelli della terapia chirurgica radicale. Acausa della possibilità di non ricorrere all’anestesiagenerale, l’ECR è un’attraente opzione per i pa-zienti fragili. I dati clinici che comparano la chi-rurgia radicale agli approcci locali per early CCRsono eterogenei a causa della selezione dei pazienti,dei disegni degli studi e riguardo l’uso di terapiaadiuvante e/o neo adiuvante. I tassi di recidivasono elevati nei pazienti sottoposti a escissionelocale, che dovrebbe essere riservata a neoplasie abasso rischio e in quei pazienti che accettino unaprobabilità aumentata di recidiva neoplastica e disottoporsi a un periodo prolungato postoperatoriodi sorveglianza oncologica; in questi casi un ruoloimportante è giocato dalla chirurgia di “salvatag-gio”. Per i pazienti con tumore rettale T1, la sele-zione per l’escissione locale è consigliata per lesionipiccole, di basso grado, distali e senza evidenza diinvasione linfovascolare. Dunque, la decisione ri-guardo l’escissione locale versus la resezione stan-dard in questa popolazione di pazienti richiedeun’analisi individualizzata dei rischi e dei benefici.Per i pazienti con neoplasie T2, la selezione perl’escissione locale è estremamente ristretta dai fat-tori e dagli indicatori di rischio correlati ai pazientie al tumore.• Cancro distale del retto: T1

- Escissione locale. - Resezione radicale, spesso una APR.

Hereditary non-polyposis colorectal cancer (HNPCC)e malattie infiammatorie croniche dell’intestino(MICI)• Considerare colectomie più estese per i pazienti

con storia familiare di CCR o di giovane età(< 50 anni).

Neoplasie rettali. La gestione delle neoplasie ret-tali è divenuta progressivamente articolata ed èstata migliorata dalle informazioni disponibili conl’ecografia endorettale preoperatoria (preoperativeendorectal ultrasonography, ERUS). L’accuratezzadell’ecografia nel determinare la profondità del-l’invasione tumorale attraverso la stratificazioneparietale del retto varia dal 60% al 93%. Attual-mente, si possono annoverare tre opzioni curativemaggiori: escissione locale, chirurgia addominalecon preservazione sfinteriale (sphincter-saving) eresezione abdomino-perineale (abdominoperinealresection, APR). I candidati ideali per la terapialocale che preservi l’anatomia e la funzionalitàdello sfintere anale includono quei pazienti affettida piccole lesioni T1 (invasione soltanto dellasubmucosa) e lesioni T2 (invasione della musco-lare propria). Probabilmente i pazienti con lesioniT2 non dovrebbero essere sottoposti alla sola pro-cedura chirurgica: la recidiva locale è infatti ele-vata. Vi sono tre approcci differenti per l’escissionelocale del cancro rettale: transanale, transcoccigealee trans-sfinterica. Quest’ultima è risultata associataa incontinenza fecale secondaria a disfunzionesfinteriale, e ciò ha fatto ridurre di molto il nu-mero di esecuzioni di tali procedure. Recente-mente, una nuova tecnica, la microchirurgia en-doscopica transanale (transanal endoscopic micro-surgery, TEM), rappresenta un’opzione mini-in-vasiva per l’escissione locale capace di aggredirelesioni rettali prossimali non accessibili per viatransanale, trans-sfinterica, o transcoccigeale. Incontrasto ai risultati favorevoli, questa tecnica re-

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ritoneale (normalmente fino a 11-12 cm dal mar-gine anale), presenta delle peculiarità che lo di-stinguono nettamente dal carcinoma del colon,mentre l’approccio al carcinoma del retto alto nonsi differenzia sostanzialmente da quello del sigma.La chirurgia del carcinoma del retto medio-bassopresenta delle difficoltà tecniche, al punto che inalcuni Paesi europei e nord-americani essa vienedemandata a Centri specialistici. I cardini di que-sta chirurgia, al momento attuale, riguardano:l’escissione totale del mesoretto, nota come totalmesorectal excision (TME), nei limiti del possibilela conservazione dell’innervazione simpatica e pa-rasimpatica, detta anche nerve-sparing technique,il margine di sezione distale alla neoplasia liberoda neoplasia. I principali interventi chirurgici peril carcinoma del retto medio-basso sono: la rese-zione anteriore bassa del retto, la resezione delretto con anastomosi coloanale, l’amputazione ad-domino-perineale (intervento di Miles) e l’escis-sione locale. La valutazione istologica del pezzooperatorio deve fornire dei criteri diagnostici mi-nimi (da riportare sempre nel referto): istotipo,grado di differenziazione, livello di infiltrazionedella parete ed eventuale infiltrazione della sierosae del grasso periviscerale, distanza dei margini diresezione prossimale, distale, numero di linfonodiesaminati e numero di linfonodi metastatici, pre-senza/assenza di invasione vascolare e/o linfatica.In particolare, nei tumori del retto deve essere in-dicata anche l’integrità della fascia mesorettale ela distanza del margine di resezione radiale dallaneoplasia espressa in mm. Nei pazienti trattaticon terapia neoadiuvante dovrebbe essere riportatoil grado di regressione tumorale (tumour regressiongrade, TRG). Nel caso dei tumori del retto deveessere sempre eseguita una stadiazione integrataprima di qualsiasi procedura terapeutica, escluseovviamente le situazioni di emergenza per occlu-sioni e sanguinamenti.

- La radio(chemio)terapia postoperatoria nonè generalmente indicata.

• Cancro distale del retto: T2- Escissione locale con terapia adiuvante preo-

peratoria o postoperatoria.- Resezione radicale senza terapia adiuvante,

spesso una APR.• Cancro medio del retto: T1

- Escissione locale (es. TEM).- Resezione radicale, usualmente una resezione

anteriore bassa con anastomosi ultra-bassa.Eventualmente confezionamento di una di-versione enterostomale temporanea prossimale.

- La radio(chemio)terapia postoperatoria nonè generalmente indicata.

• Cancro medio del retto: T2- Escissione locale (es. TEM) con terapia adiu-

vante sia preoperatoria sia postoperatoria.- Resezione radicale similare a quella per un

cancro T1.• Cancro prossimale del retto: T1 e T2

- Resezione radicale, usualmente una resezioneanteriore bassa.

Principi di tecnica chirurgica• Escissione transanale. Criteri: < 30% della cir-

conferenza enterica, diametro massimo < 3 cm,margini liberi (> 0,3 cm), mobile (non fisso aipiani profondi), entro gli 8 cm dalla rima anale,T1, T2, assenza di invasione linfovascolare o pe-rineurale, ben differenziato, adeguata identifi-cazione rettale.

• Resezione transaddominale. Resezione ad-domino-perineale o resezione anteriore bassao anastomosi coloanale utilizzando l’escissionemesorettale totale, affinché si riduca il tasso dimargini radiali positivi e si esegua una com-pleta mobilizzazione rettale.

Dal punto di vista diagnostico e terapeutico, ilcarcinoma del retto medio e basso, cioè extrape-

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guente riduzione degli interventi di resezione ad-domino-perineale, soprattutto nei pazienti con le-sioni del retto basso non candidabili a escissionelocale. Si consiglia la valutazione della rispostadella neoplasia dopo il trattamento preoperatorioradiochemioterapico, al fine di pianificare in ma-niera appropriata il successivo intervento chirur-gico. Gli esami di imaging dovranno essere glistessi condotti per la stadiazione iniziale di T e N.Nei casi di risposta clinica completa è possibileavviare i pazienti a studi di conservazione dell’or-gano, che prevedono l’escissione locale della cica-trice residua o la sola osservazione. Fra il terminedel trattamento chemioradiante e la chirurgia de-vono intercorrere non meno di 4 settimane e nonpiù di 8-10 settimane. Nei pazienti sottoposti atrattamento radiochemioterapico preoperatoriopuò essere valutato l’impiego di un trattamentoadiuvante dopo l’intervento di resezione, anche senon ci sono sicure evidenze di un beneficio dellachemioterapia basata su 5-FU. Si raccomanda l’in-troduzione dei pazienti in studi clinici. I pazientiin stadio II e III che per sottostadiazione inizialenon avessero effettuato trattamento preoperatoriosono candidati a radiochemioterapia adiuvante (ir-radiazione con 45-50 Gy associata a schemi dichemioterapia basati sul 5-FU).

Stadio II-III [T3-4 (resecabile), T1-2N1-2, M0]• Cancro del retto distale e medio cT3, CRM–,

N0- Radioterapia preoperatoria (5 Gy x 5 giorni)

seguita da chirurgia immediata.- Radiochemioterapia (45-50 Gy + 5-FU in

infusione o capecitabina) seguita dopo 8-10settimane da chirurgia.

- In caso di risposte maggiori dopo tratta-mento radiochemioterapico, la conservazioned’organo (escissione locale, wait and see) puòessere praticata all’interno di studi clinici.

5.5. Trattamento delle lesioni localmenteavanzate

Comprendono neoplasie che alla stadiazione cli-nica vanno al di fuori della parete rettale o checoinvolgono i linfonodi regionali, senza infiltrareorgani pelvici a tal punto da impedire una rese-zione chirurgica radicale [T3-4 (resecabile), T1-2N1-2, M0].La radioterapia preoperatoria è raccomandata neipazienti con carcinoma del retto extraperitonealelocalmente avanzato. Due modalità di trattamentopreoperatorio sono utilizzate: • una prevede la sola radioterapia per 5 giorni

precedenti la chirurgia con dosi singole elevate(5 Gy);

• l’altra la combinazione di radioterapia per circa5-6 settimane con dosi convenzionali (1,8-2 Gy)con 5-FU in infusione continua.

Nei casi con coinvolgimento della fascia mesoret-tale (CRM+) o cT4, un sovradosaggio sul T haevidenziato percentuali elevate (> 80%) di reseca-biltà R0 in studi di fase II di radiochemioterapiapreoperatoria. Un ruolo può avere l’impiego dicapecitabina in sostituzione dell’infusione di 5-FU in pazienti con controindicazioni al posizio-namento di cateteri venosi centrali (CVC). I trat-tamenti polichemioterapici associati alla radiote-rapia devono, allo stato attuale, essere limitati aprotocolli di ricerca, in assenza di studi randomiz-zati che ne dimostrino la superiorità rispetto al-l’impiego del solo 5-FU/folato. Non vi è evidenzadi differenze nella riduzione dell’incidenza di reci-dive locali tra un regime ipofrazionato seguito dachirurgia immediata e un regime radiochemiote-rapico seguito da chirurgia posticipata. La radio-chemioterapia preoperatoria è in grado di deter-minare down-staging della neoplasia rettale, conla completa negativizzazione del pezzo operatorioin percentuali variabili dal 10% al 25%, e conse-

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• Cancro del retto prossimale- Il trattamento preoperatorio radio(chemio)te-

rapico va eseguito nelle modalità preceden-temente indicate quando il polo inferioredella lesione arriva al terzo medio o la lesionesia CRM+ posteriormente o cT4 (per infil-trazione di organi pelvici, ma non per infil-trazione del tenue, nel qual caso occorre in-tervenire immediatamente chirurgicamente).

Lesioni non resecabili Comprendono neoplasie che alla stadiazione cli-nica infiltrano organi pelvici non consentendouna resezione chirurgica radicale [T4 (non rese-cabile), M0]. Il trattamento radiochemioterapicoè raccomandato, seguito da chirurgia allargataall’organo pelvico infiltrato alla diagnosi, da ese-guire preferibilmente anche quando si è di frontea una riduzione della neoplasia rispetto alla suaestensione precedente il trattamento radioche-mioterapico.

Stadio III [T4 (non resecabile), M0]• Radiochemioterapia (45-50 Gy sulla pelvi, con

sovradosaggio fino a 55 Gy di dose totale sulT, + 5-FU in infusione o capecitabina) seguitadopo 8-10 settimane da chirurgia.

• In caso di risposte maggiori dopo trattamentoradiochemioterapico, l’organo infiltrato primadel trattamento neoadiuvante va comunquerimosso.

• La chemioterapia adiuvante deve essere som-ministrata.

5.6. Trattamento medico della malattia del colon operato

La prescrizione della chemioterapia adiuvante ècondizionata dalla stadiazione della malattia e dallapresenza di fattori prognostici anatomopatologici

• Cancro del retto distale e medio cT3, N+- Radiochemioterapia (45-50 Gy + 5-FU in

infusione o capecitabina) seguita dopo 8-10settimane da chirurgia.

- In caso di risposte maggiori dopo tratta-mento radiochemioterapico, la conservazioned’organo (escissione locale, wait and see) puòessere praticata all’interno di studi clinici.

- La chemioterapia adiuvante può essere valu-tata. Si raccomanda l’introduzione dei pa-zienti in studi clinici.

• Cancro del retto distale e medio cT3 CRM+o cT4 resecabile- Radiochemioterapia (45-50 Gy sulla pelvi,

con possibile sovradosaggio fino a 55 Gy didose totale sul T, + 5-FU in infusione o ca-pecitabina) seguita dopo 8-10 settimane dachirurgia.

- In caso di risposte maggiori dopo tratta-mento radiochemioterapico, la conservazioned’organo (escissione locale, wait and see) puòessere praticata all’interno di studi clinici.

- La chemioterapia adiuvante può essere valu-tata. Si raccomanda l’introduzione dei pa-zienti in studi clinici.

• Cancro del retto distale e medio pT3-4 opN+- Questa situazione è giustificata solo per sot-

tostadiazione diagnostica, perché altrimentiil trattamento radio(chemio)terapico deveprecedere la chirurgia.

- Radiochemioterapia secondo la successione:chemioterapia 2 mesi (5-FU/folato), radio-chemioterapia (45-50 Gy + 5-FU in infu-sione o capecitabina), 2 mesi (5-FU/folato).

- Particolare attenzione va posta alla valuta-zione della presenza di anse intestinali nelloscavo pelvico postoperatorio, condizione checontroindicherebbe il trattamento radiote-rapico.

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che si ottiene con la chemioterapia adiuvante nelII stadio è stimato essere del 2-4%. I decessi cor-relati al trattamento sono approssimativamentel’1%. Nello studio MOSAIC i pazienti con stadioII non hanno ottenuto alcun incremento dellaDFS e dell’OS. Le linee guida dell’American Societyof Clinical Oncology (ASCO) non raccomandanol’utilizzo della chemioterapia adiuvante per pazienticon carcinoma del colon in stadio II. Il gruppo diesperti enfatizza come il processo decisionale tera-peutico nello stadio II del carcinoma del colondebba comprendere la scelta consapevole del pa-ziente e la responsabilità da parte dei chirurghi edegli oncologi medici di fornire una corretta in-formazione in modo che il paziente possa decidereconsapevolmente. Tuttavia, i pazienti con carci-noma del colon in stadio II con interessamentolinfonodale incerto (numero di linfonodi analizzati< 12), forme T4, perforazione o istologia scarsa-mente differenziata, possono essere consideraticandidati alla chemioterapia adiuvante. Le lineeguida ASCO hanno analizzato l’attuale ruolo deimarker molecolari predittivi/prognostici e hannoconcluso che non ci sono studi prospettici che di-mostrano l’utilità clinica di queste indagini bio-molecolari per selezionare i pazienti. Il 75% deipazienti con carcinoma del colon ha un’età supe-riore a 65 anni. Gli studi clinici tendono ad avereuna bassa percentuale di questi pazienti, pertantoi dati sono poco rappresentativi. Gli studi disegnatiad hoc sono molto pochi e spesso non conclusivi.Nei pazienti con età superiore a 75 anni la deci-sione di trattare con terapia adiuvante deve tenereconto delle comorbilità, del performance status (PS)e dei fattori di rischio. La decisione di trattare deveessere presa analizzando tutti questi fattori casoper caso. I pazienti in questa fascia d’età devonoessere valutati utilizzando le scale geriatriche perdeterminare in modo preciso le comorbilità e pren-dere decisioni in modo ponderato.

e molecolari. La stadiazione patologica TNM del-l’American Joint Committee on Cancer rappresentail fattore più importante per determinare la pro-gnosi a 5 anni dei pazienti sottoposti a chirurgiaradicale. Altri fattori patologici e clinici sono statiproposti per individuare i pazienti a diverso rischio:grading, invasione linfovascolare, invasione peri-neurale, ostruzione e perforazione del colon, elevatilivelli preoperatori del CEA.. Tra i fattori progno-stici biomolecolari, la p53, la DCC e la delezione18q e l’instabilità dei microsatelliti (MSI) sonostate valutate senza una chiara evidenza predittiva.La timidilato sintetasi (TS) e la diidropirimidin-deidrogenasi (DPD) sono risultate importanticome fattori predittivi di risposta al trattamento etossicità alle fluoropirimidine. Esistono poi altrifattori molecolari, come l’espressione di EGFR(epidermal growth factor receptor) e l’assetto muta-zionale di K-ras che possono predire il beneficiodel trattamento con anticorpi anti-EGFR nellamalattia avanzata, ma che non trovano riscontronella scelta della terapia adiuvante. Attualmente12 o più linfonodi esaminati sono ritenuti il cut-off per considerare un paziente correttamente sta-diato. In caso di un numero più basso, il pazientedeve essere considerato come soggetto linfonodi-positivo e di conseguenza trattato con terapia adiu-vante. L’impiego della chemioterapia sistemicanello stadio I non trova evidenza in letteratura.Nello stadio III la chemioterapia adiuvante costi-tuisce uno standard. Recentemente, i risultati pro-venienti dallo studio MOSAIC e dallo studioNSABP C07 hanno definito la combinazione di5-FU in combinazione con acido folinico e oxali-platino (FOLFOX e FLOX) quale trattamentostandard in questo gruppo di pazienti linfonodi-positivi. Il ruolo della chemioterapia adiuvantenello stadio II del carcinoma del colon rimanecontroverso. Il beneficio assoluto in termini di so-pravvivenza globale (overall survival, OS) a 5 anni

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cancro del colon-retto: irinotecan e oxaliplatino.Le combinazioni FOLFOX e FOLFIRI o con ca-pecitabina in sostituzione del 5-FU sono risultateequivalenti in prima linea in termini di PFS e OS,con un differente spettro di tossicità. FOLFOX eFOLFIRI sono superiori in termini di outcome ri-spetto a 5-FU e AF (Livello di Evidenza I).In seconda linea la somministrazione del FOLFOXdopo FOLFIRI sembra invece la sequenza mi-gliore. La fluoropirimidina orale capecitabina puòessere utilizzata in sostituzione del 5-FU con ri-sultati sovrapponibili, ma con aspetti diversi ditossicità (sindrome mano-piede, diarrea, muco-site). Nel trattamento del cancro del colon-rettosono stati recentemente introdotti tre anticorpimonoclonali: bevacizumab, diretto contro ilVEGF (vascular endotelial growth factor), cetuxi-mab e panitumab contro l’EGFR. Bevacizumabin combinazione con irinotecan e 5-FU (IFL) hadimostrato un vantaggio statisticamente signifi-cativo in prima linea in termini di PFS e OS, conuna tossicità maggiore (proteinuria, eventi vascolariarteriosi, perforazione e sanguinamenti) rispettoalla sola capecitabina, anche se le percentuali diincidenza di eventi avversi sono basse. L’attivitàdella combinazione capecitabina e bevacizumabin prima e seconda linea è stata confermata daaltri studi e da studi di fase IV (studi BRITE eBEAT). Cetuximab (anti-EGFR) ha dimostratodi essere efficace in pazienti pretrattati resistenti airinotecan e per tale motivo può attualmente essereimpiegato in terapia di seconda linea, in presenzadi positività del recettore EGFR sul tessuto tu-morale. È oggi discutibile la reale utilità di taledeterminazione, poiché non esiste una correlazionetra espressione di EGFR e risposta al trattamento.Recentemente è stato dimostrato che lo stato mu-tazionale dell’oncogene K-ras predice il risultatodel trattamento con cetuximab e panitumumab.Infatti, solo se K-ras non è mutato (WT) i due

5.7. Trattamento della malattia avanzata

Circa il 20% dei pazienti con carcinoma colo-ret-tale presenta malattia metastatica alla diagnosi e il35% dei pazienti trattati con intento curativo svi-lupperà malattia avanzata. La terapia dei malaticon CCR avanzato deve essere concepita comeuna strategia globale e non più come semplicelinea di trattamento (continuum care). In questalogica va collocata la chirurgia, quando possibile,e periodi di sospensione della terapia medica o dimantenimento con farmaci biologici. Questa stra-tegia deve essere governata dai risultati scientifici,dall’esperienza e dagli obiettivi che si vogliono rag-giungere nelle varie fasi della malattia. La terapiamedica, mediante l’utilizzo della chemioterapia edei farmaci biologici, risulta efficace nel prolungareOS, sopravvivenza libera da progressione (progres-sion-free survival, PFS) e qualità di vità (quality oflife, QoL) dei pazienti con tumore avanzato o me-tastatico. Attualmente l’OS oscilla intorno a 20-25 mesi. Questo risultato si correla con il numerodi farmaci somministrati nel corso della malattia,infatti pazienti che hanno ricevuto i tre farmaciattivi hanno la migliore sopravvivenza. Il tratta-mento chemioterapico iniziato nel paziente asin-tomatico risulta più efficace in termini sia di so-pravvivenza sia di qualità della vita (Livello di Evi-denza I), rispetto al paziente già sintomatico almomento della diagnosi. Per molti decenni il 5-FU ha rappresentato il farmaco di scelta da soloo in combinazione con acido folinico (AF). Unametanalisi ha dimostrato un aumento della per-centuale di risposte obiettive e della sopravvivenzacon la combinazione 5-FU e AF rispetto al 5-FUin bolo. La schedula di somministrazione [bolo vsinfusione continua (IC)] determina la diversa tos-sicità (Livello di Evidenza I). Recentemente sonostati introdotti due farmaci molto attivi in combi-nazione con 5-FU o fluoropirimidine orali nel

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chirurgia. Nei pazienti con grave compromissionedel PS, anziani oltre i 75 anni d’età o affetti daaltre patologie gravi concomitanti può essere con-siderato l’impiego di una monochemioterapia.Tuttavia, i regimi di associazione FOLFOX e FOL-FIRI possono essere impiegati nel paziente anzianocon buon PS, con un attento monitoraggio delleeventuali tossicità (Livello di Evidenza I). Al mo-mento attuale è preferibile iniziare il trattamentocon l’associazione 5-FU o capecitabina più oxali-platino o irinotecan in tutti i pazienti in assenzadi controindicazioni, limitando la monoterapia apazienti con malattia a scarsa aggressività che nonabbiano possibilità di un successivo approccio chi-rurgico recettivo, oppure a pazienti in scadutecondizioni generali. Capecitabina può essere im-piegata (analogamente al soggetto non anziano)in sostituzione del 5-FU in presenza di controin-dicazioni al posizionamento di CVC. In prima li-nea bevacizumab in combinazione con capecita-bina può essere considerato di prima scelta in pa-zienti che non hanno controindicazioni. Vannoesclusi da tale trattamento pazienti con iperten-sione non controllata, diatesi emorragica e rischidi perforazione e/o emorragia. L’impiego di anti-VEGF nel paziente ultrasettantenne deve esserevalutato con attenzione, per il potenziale maggiorerischio di tromboembolia, mentre l’impiego di ce-tuximab sembra sovrapponibile, per efficacia etossicità, a quanto evidenziato nei pazienti piùgiovani. Allo stato attuale sono sconsigliate com-binazioni di più farmaci biologici. I pazienti inprogressione dopo una prima linea dovrebbero es-sere sottoposti a un trattamento di seconda lineatutte le volte che le condizioni lo consentono. Ladisponibilità di diversi farmaci efficaci e la dimo-strazione che la sopravvivenza è correlata al numerodi chemioterapici impiegati nel corso della storiadella malattia giustificano l’impiego della chemio-terapia anche in linee successive (terza, quarta),

anticorpi anti-EGFR hanno un impatto sia sullapercentuale di risposta sia su PFS e OS. L’AgenziaEuropea per i Medicinali (EMEA) ha recente-mente ampliato l’indicazione dei due farmaci al-l’associazione con qualunque chemioterapia e inqualunque linea di malattia, a condizione che siescluda la presenza di una mutazione di K-ras.Panitumumab ha dimostrato efficacia sulla so-pravvivenza (sia PFS sia OS) nei pazienti già trat-tati con più linee di chemioterapia rispetto allasola terapia di supporto (BSC) e attualmente sicolloca in terza linea in monochemioterapia o incaso di reazioni avverse a cetuximab. Altro puntoimportante del trattamento del cancro del colon-retto avanzato è rappresentato dai pazienti chepresentano metastasi resecabili, per i quali è ne-cessaria un’immediata valutazione multidiscipli-nare. I pazienti giudicati operabili vanno avviatidirettamente alla chirurgia. Uno studio ha valutatola possibilità di un trattamento pre- e postopera-torio con un incremento della PFS a 3 anni. Tut-tavia, la prima scelta sembra ancora la più accre-ditata. Diverso è il caso di pazienti che non sonoimmediatamente operabili, ma che lo possono di-venire con una riduzione volumetrica significativadelle metastasi dopo un trattamento farmacologicopreoperatorio. I risultati in casistiche selezionatesono molto interessanti: 20-40% di pazienti pre-cedentemente giudicati inoperabili, dopo 3-6 ciclidi chemioterapia preoperatoria, hanno ricevutouna chirurgia R0. L’OS e la PFS a 3 e 5 annisono molto simili a quelle dei pazienti immedia-tamente eleggibili per la chirurgia. Un regime atre farmaci FOLFOXIRI (5-FU/acido folinico in-fusionale, oxaliplatino, irinotecan), che è risultatosignificativamente superiore in termini di attività,tempo a progressione e OS rispetto al regime adue farmaci FOLFIRI, ha dimostrato, in relazioneall’elevata percentuale di R0, di ottenere un’ottimaresecabilità in pazienti prima non suscettibili di

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QoL, rispetto a quella eseguita alla comparsa disintomi (Livello di Evidenza I) [Tabella 5.2].

5.7.2. Valutazione della risposta al trattamento

Nella malattia avanzata la risposta al trattamentofarmacologico viene valutata tramite i parametricodificati dai criteri RECIST (Response EvaluationCriteria in Solid Tumors) utilizzando l’esame cli-nico e la diagnostica per immagini. Le lesioni mi-surabili (dimensioni > 10 mm alla TC in caso dilesioni viscerali) vengono identificate come lesionitarget. Tutte le altre lesioni sono identificate comelesioni non target. I criteri RECIST codificano 4tipi di risposta al trattamento, come riportato ol-tre. La risposta globale al trattamento è definitacome la migliore risposta dall’inizio del tratta-mento fino a progressione o recidiva di malattia.

Valutazione delle lesioni target• Risposta completa (complete response, CR):

nei pazienti in buone condizioni generali. Recentistudi fanno ipotizzare, nei pazienti con malattia alenta evolutività, la possibilità di impiegare unastrategia terapeutica che preveda delle pause neltrattamento, allo scopo di ridurre la tossicità e mi-gliorare la QoL. Per quanto concerne la chemio-terapia loco-regionale, non vi è attualmente evi-denza di una sua maggiore efficacia rispetto allaterapia sistemica (Livello di Evidenza I), sia perchél’impatto sulla sopravvivenza risulta essere margi-nale, sia per le complicanze connesse a cateteri in-trarteriosi e pompe infusionali. I risultati dell’iper-termia con chemioterapia intraoperatoria sono daconsiderare ancora sperimentali e devono essereottenuti in Centri altamente qualificati e con espe-rienza.

5.7.1. Raccomandazioni e Livelli di Evidenza

La terapia medica effettuata in fase asintomaticarisulta più efficace in termini di sopravvivenza e

Tabella 5.2 Raccomandazioni e Livelli di Evidenza per la terapia del carcinoma del colon-retto

Raccomandazione Livello di Evidenza

A Le associazioni di 5-FU (preferibilmente somministrato per via infusionale) e AF con oxaliplatino (FOLFOX) o iri-notecan (FOLFIRI) sono da impiegare in tutti i pazienti in condizioni di essere trattati con una polichemioterapia;in alternativa il farmaco di scelta è il 5-FU, preferibilmente somministrato in infusione continua e associato ad AF.Non esiste differenza tra l’impiego in prima linea di una combinazione rispetto all’altra. Le fluoropirimidine orali(capecitabina, UFT) possono sostituire la monoterapia con 5-FU + AF (Livello di Evidenza I)

B Allo stato attuale l’impiego di capecitabina in combinazione con oxaliplatino (CAPOX) può sostituire i regimi in-fusionali, mentre la sua associazione con irinotecan (CAPIRI) deve essere impiegata, con attenzione agli effetticollaterali, soltanto nei pazienti in cui esistano controindicazioni all’impiego di regimi infusionali con 5-FU (Livellodi Evidenza II)

B L’associazione di bevacizumab (anti-VEGF) alla chemioterapia con 5-FU o capecitabina e irinotecan o oxaliplatinonei pazienti non pretrattati è superiore in termini di sopravvivenza rispetto alla sola chemioterapia e può essereconsiderata di prima scelta in pazienti senza controindicazioni. Bevacizumab in associazione alla chemioterapiapuò essere impiegato in seconda linea nei pazienti che non lo abbiano impiegato in prima linea (Livello diEvidenza II)

A Nei pazienti in buone condizioni generali, che sono in progressione di malattia dopo un precedente trattamentochemioterapico, deve essere sempre preso in considerazione un trattamento di seconda linea (Livello di Evidenza I)

B I regimi di associazione 5-FU-oxaliplatino (FOLFOX) e 5-FU-irinotecan (FOLFIRI) possono essere utilizzati nelpaziente anziano ultrasettantenne dopo una valutazione multidimensionale che possa selezionare i soggetti conbuon performance status e con un attento monitoraggio delle eventuali tossicità (Livello di Evidenza II)

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5.8. Follow-up

Un programma di follow-up viene correntementeapplicato nei pazienti con CCR, ma non vi sonoinequivocabili evidenze dell’efficacia di un regimeparticolarmente intensivo in termini di aumentodi sopravvivenza, proporzione di pazienti ri-ope-rati con intento curativo, QoL, anche se l’ormaiconsolidato trattamento combinato chemiochi-rurgico dei pazienti oligometastatici favorisce so-pravvivenze prolungate, tali da giustificare unFUP intensivo. Le principali finalità del follow-up sono: favorire una diagnosi di recidiva/meta-stasi in fase precoce, sorvegliare sull’insorgenza dineoplasie metacrone, offrire supporto psicologicoai pazienti (rassicurazione), in parte contrastato,tuttavia, dall’effetto opposto di ansia dell’esame;consentire l’audit (controllo di qualità) delle te-rapie effettuate. Gli obiettivi di un programma difollow-up sono rappresentati da:• identificazione precoce, in fase asintomatica,

di recidive locali e/o di metastasi a distanza,nonché di tumori primitivi metacroni;

• benefici in termini di sopravvivenza libera damalattia;

• buona QoL e compliance della popolazionesottoposta a follow-up;

• accettabile rapporto costi-benefici.Nelle Tabelle 5.3, 5.4, 5.5 e 5.6 sono riportati glialgoritmi relativi agli esami consigliati per il fol-low-up dei pazienti con CCR: le indicazioni ri-portate sono basate sulle linee guida delle princi-

scomparsa di tutte le lesioni target.• Risposta parziale (partial response, PR): ridu-

zione di almeno il 30% della somma dei mag-giori diametri, prendendo come riferimentola somma basale dei maggiori diametri.

• Malattia stabile (stable disease, SD): riduzioneinsufficiente per essere qualificata come PR oincremento insufficiente per essere qualificatocome PD, prendendo come riferimento lasomma basale dei maggiori diametri.

• Malattia in progressione (progression disease, PD):incremento di almeno il 20% nella somma deimaggiori diametri delle lesioni target, prendendocome riferimento la più piccola somma dei mag-giori diametri registrata dall’inizio del tratta-mento, o comparsa di una o più lesioni nuove.

Valutazione delle lesioni non target• Risposta completa (CR): scomparsa di tutte le

lesioni non target e normalizzazione del markertumorale.

• Risposta incompleta/Malattia stabile (SD): per-sistenza di una o più lesioni non target e/o li-velli anormali di marcatore tumorale.

• Malattia in progressione (PD): comparsa diuna o più nuove lesioni e/o sicura progressionedelle lesioni non target esistenti.

Valutazione della migliore risposta obiettivaLa migliore risposta obiettiva è la migliore rispostaregistrata dall’inizio del trattamento fino alla pro-gressione/recidiva di malattia.

Tabella 5.3 Follow-up dopo polipectomia: follow-up con sola colonscopia

Anni 1 2 3 4 5 Anni successivi al 5°

Adenoma singolo XAdenomi multipli X X A 8 anni, poi ogni 5 anni se negativePolipo maligno X X A 8 anni, poi ogni 5 anni se negative

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Tabella 5.4 Carcinoma del colon o del retto intraperitoneale (stadi T1-T2, N0)

Primo anno 2°-5° annoMesi 1 3 6 9 12 6 12

Anamnesi ed esame clinico X X X X

Ematochimici X X X X

Marker (CEA, Ca19.9) X X X X X

Ecografia epatica e/o TC dell’addome X X X X

Colonscopia X X Al terzo anno

N.B. La colonscopia va ripetuta dopo il terzo anno ogni 3 anni.

Tabella 5.5 Carcinoma del colon o del retto intraperitoneale (stadi T3-T4, N0/qualsiasi T, N+)

Primi 2 anni 3° anno 4°-5° annoMesi 1 3 6 9 12 6 12 6 12

Anamnesi ed esame clinico X X X X X X X X X

Ematochimici X X X X X X X X

Marker (CEA, Ca19.9) X X X X X X X X

Ecografia epatica X X X

TC dell’addome (+ pelvi se cancro del retto) X X

TC del torace X X

Colonscopia Al primo anno X

Sigmoidoscopia nel cancro del retto X X

N.B. La colonscopia va ripetuta dopo il terzo anno ogni 3 anni.

Tabella 5.6 Carcinoma del retto extraperitoneale

1° anno 2° anno 3° annoMesi 1 3 6 9 12 3 6 9 12 6 12

Anamnesi ed esame clinico X X X X X X X X X X X

Marker (CEA, Ca19.9) X X X X X X X X X X X

Rettoscopia X X X X X X

Ecografia epatica e/o TC X X X X X X

Colonscopia X X

Rx/TC del torace X X X

N.B. La colonscopia va ripetuta dopo il terzo anno ogni 3 anni.

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terapeutica dei singoli casi clinici;• regolare aggiornamento professionale specifico

e partecipazione ai programmi di assicurazionedi qualità.

Professionisti componenti il Core Team• Coordinatore Clinico, cui compete la respon-

sabilità organizzativa del Core Team. • Chirurghi dedicati, con formazione specifica

e che effettuino personalmente non meno di50 nuovi interventi l’anno per tale patologia.

• Radiologi con comprovata esperienza nel campodell’imaging (ecografia, TC, RM) addominale(numero minimo di TC dell’addome refertate≥ 500 l’anno).

• Patologo responsabile, con formazione specificanella diagnosi istologica e citologica dei tumoridel colon-retto.

• Oncologo Medico con specifica esperienza nelcampo dei tumori del colon-retto.

• Radioterapista Oncologo (staff composto daalmeno due unità, titolare e sostituto, in con-siderazione delle eventuali sostituzioni) conspecifica esperienza nel campo dei tumori delretto.

• Tecnici di Radiologia dedicati, con specificaformazione ed esperienza nel campo della dia-gnostica strumentale radiologica.

• Infermiere Professionali dedicate, con forma-zione professionale specifica anche nell’areadella comunicazione.

• Psicologo con specifica formazione nel campodelle problematiche personali, familiari e socialiriferibili a pazienti con cancro del colon-retto,in particolare i soggetti colostomizzati.

• Data Manager responsabile della raccolta edell’analisi di tutti i dati clinici. Tali dati do-vranno essere disponibili per le sessioni perio-diche di Audit Clinico.

• Amministrativo per il supporto segretariale.

pali società scientifiche [Associazione Italiana diOncologia Medica (AIOM), European Society forMedical Oncology (ESMO), ASCO].In queste neoplasie, l’esigenza di coordinamentotra specialisti è particolarmente rilevante per il ca-rattere multidisciplinare dell’iter terapeutico dimolti casi. Si pone quindi la necessità della costi-tuzione di un gruppo interdisciplinare al qualefar afferire i pazienti per la diagnosi e il tratta-mento. È consigliata, laddove possibile, la crea-zione di tale gruppo con lo scopo di pianificare everbalizzare le decisioni diagnostico-terapeutichedi ogni singolo paziente. In assenza di qualcunadelle figure coinvolte nella pianificazione terapeu-tica, dovrebbe essere creata una consulenza siste-matica con strutture dove tali competenze sonodisponibili. La qualità del trattamento miglioracon l’aumentare del numero di pazienti gestiti.Un gruppo interdisciplinare ottimale dovrebbetrattare almeno 50 casi l’anno. Strutture con casi-stiche inferiori dovrebbero avere un rapporto dicollaborazione sistematica con strutture di riferi-mento.

5.9 Elementi per la programmazione e l’organizzazione dei servizi

Il gruppo multidisciplinare (Core Team) della pa-tologia neoplastica del colon-retto è composto daun gruppo di professionisti di diverse specialità(Oncologi Medici, Radioterapisti, Gastroentero-logi, Chirurghi, Anatomopatologi, Endoscopistie Radiologi) accreditati come esperti della materiain funzione di:• comprovata esperienza in materia di patologia

colorettale;• numero di casi trattati per anno e tempo de-

dicato all’assistenza per questa patologia;• regolare partecipazione a incontri interdisci-

plinari dedicati alla pianificazione diagnostico-

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Neoplasie del colon-retto 5

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cale, che sono invece assolutamente neces-sarie per la valutazione del retto.

Requisiti tecnologici per l’eccellenza• Diagnostica per immagini

- Ecografo con sonda convex addominale etransrettale multiplanare.

- Ecoendoscopio.- TC spirale multistrato (minimo 16 strati).- RM con campo magnetico di almeno 1,5 T,

gradienti di campo di almeno 20 mT/m,bobine phased array.

- PET/TC. • Radioterapia

- Sistemi per favorire la riproducibilità del trat-tamento e la protezione degli organi sani.

- TC-simulatore.- Stazione di contornamento per la definizione

dei volumi di interesse con possibilità di fu-sione di immagini multimodali (TC ± RM± PET ecc.) e di elaborazione del piano ditrattamento dosimetrico in grado di gestirecome minimo tecniche 3D.

- Rete di trasferimento immagini tra TC, sistemadi pianificazione del trattamento (treatmentplanning system, TPS), unità di trattamento epostazioni di consultazione immagini.

- Due acceleratori lineari dotati di: collimatoremultilamellare, dispositivo elettronico perl’acquisizione di immagini digitali del fasciodi fotoni e di sistema di verifica e controllodell’impostazione dei trattamenti.

- Attrezzature di planning e di trattamento ingrado di consentire trattamenti ultraconfor-mati [intensity modulated radiation therapy(IMRT), stereotassi] o di radioterapia intrao-peratoria (intraoperative radiation therapy,IORT) per fronteggiare situazioni di parti-colare estensione di malattia primitiva o dimalattia ricorrente nella pelvi, che possano

Professionisti che affiancano il Core Team mache non ne fanno parte (cosiddetti Consulenti)• Infermiere esperto nella gestione delle colo-

stomie.• Terapista del dolore.• Un Genetista/Consulente Genetico.Il Core Team dovrà produrre percorsi diagno-stico-terapeutici scritti per la gestione della ma-lattia in tutti i suoi stadi. Periodicamente tali pro-tocolli dovranno essere ridiscussi e, ove necessario,collegialmente modificati. Il Core Team dovràriunirsi in incontri settimanali multidisciplinariper la discussione di tutti i casi clinici e in incontriperiodici di Audit Clinico. A tal fine andrannoidentificati degli indicatori di processo, di risultatoe di qualità del servizio. L’attività di ricerca e l’attività didattica sono partefondamentale della funzione dell’Unità Clinica eil loro monitoraggio sarà oggetto di analisi nel-l’ambito delle riunioni di Audit Clinico.

Volume criticoIl Core Team della patologia del colon-retto, permantenere gli elevati standard che la definisconoe per giustificarne l’impegno economico, dovràprendere in cura almeno 100 nuovi casi di tumoredel colon-retto ogni anno e dovrà gestire diagnosi,terapie e follow-up.

Requisiti tecnologici di base• Diagnostica per immagini

- Ecografo con sonda convex addominale etransrettale multiplanare*.

- TC spirale multistrato (minimo 4 strati).- RM con campo magnetico di almeno 1,5 T,

gradienti di campo di almeno 20 mT/m,bobine phased array*.

- Per la diagnostica dei tumori del colon nonè necessario avere a disposizione l’ecografiatransrettale né la RM per la stadiazione lo-

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necessitare di tali tecnologie per un ottimaletrattamento.

Organizzazione dell’Ambulatorio di Prime Vi-site e della visita di comunicazione del percorsodiagnostico-terapeutico, pazienti sintomatici• Frequenza: ≥ 1 a settimana. • Tempi di attesa: non superiori a 10 giorni la-

vorativi dal momento della richiesta.• Presenze: Chirurgo, Radiologo, Oncologo Me-

dico, Radioterapista, Infermiere professionale. • Obiettivo: valutazione clinica e pianificazione

dell’iter diagnostico e nuovo appuntamentoper diagnosi conclusiva e terapia indicata.

• Comunicazione della diagnosi: entro 15 giornilavorativi.

I tempi di attesa prima dell’intervento chirurgico oprima dell’inizio del trattamento radiante preopera-torio non dovranno essere superiori a 3-4 settimane.

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Neoplasie del colon-retto 5

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Diagnosi

Stadiazione

Endoscopia (sigmoidoscopia, colonscopia)

TC multistrato

Clisma a doppiocontrasto

Ecografia

TC multistrato

RM

PET/TC

Indicata

Indicata

Indaginespecialistica

Non indicata

Indicata

Indaginespecialistica

Indicata

Metodica di scelta. Consente l’identificazione e la caratterizzazione bioptica

TC multistrato intesa come colonscopia virtuale

Da effettuarsi in caso di colonscopia incompleta o noneffettuabile e in caso di indisponibilità della colonscopia virtuale

L’ecografia è in grado di studiare il parenchima epatico con accuratezza inferiore a metodiche quali la TC multistrato e la RM. In generale la specificità è alta, ma la sensibilità è bassa. Inaccurata per la valutazione dei linfonodi addominali

È l’indagine di prima scelta per la stadiazione locale e a distanza del cancro del colon. Consente di identificare sitimetastatici a livello linfonodale ed epatico. Permette di effettuare simultaneamente uno studio del torace, qualoraclinicamente indicato

Consente la caratterizzazione di eventuali metastasi epatiche. Da utilizzarsi in caso di lesione epatica dubbia alla TC multistrato

Metodica che consente la valutazione delle metastasi a distanza (parametro M) e l’interessamento linfonodale di malattia (parametro N). La metodica trova una limitazionenelle forme istologiche di tipo mucinoso

Procedure diagnostiche per le neoplasie del colon

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Diagnosivedi sopra (colon)

Stadiazione T Ecografia Indicata Tecnica endocavitaria (sonda transrettale o ecoendoscopia). Èl’indagine di primo livello e la metodica più accurata per lastadiazione dei tumori superficiali (T1/T2). Scarsa accuratezzaper la stadiazione dei tumori invasivi (T3/T4) e per lavalutazione del margine di resezione circonferenziale. Noneseguibile nel caso di tumori stenosanti il lume. Difficoltosavalutazione dei tumori del retto alto

Procedure diagnostiche per le neoplasie del retto

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Appendice: Diagnostica per immagini

In ottemperanza al D.Lgs 187/00, la scelta dell’esame da effettuare deve essere fatta considerando metodiche e tecniche idonee a ottenere il maggior bene-ficio clinico con il minimo detrimento individuale e della collettività. Devono quindi essere privilegiate quelle tecniche e metodiche che comportano, a paritàdi obiettivo diagnostico, una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.

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(segue)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Stadiazione N/M

Valutazionedella rispostaalla terapia(RT/RT+CHT)

RM

TC multistrato

Ecografia

TC multistrato

RM

Scintigrafia ossea

PET/TC

Ecografia

TC multistrato

RM

PET/TC

Indicata

Non indicata

Non indicata

Indicata

Indaginespecialistica

Indicata

Indicata

Non indicata

Non indicata

Non indicata

Indicata

Lo studio con bobina endocavitaria ha accuratezza diagnostica,vantaggi e svantaggi analoghi alla metodica ecografica. Il gold standarda oggi è lo studio utilizzando bobine “phased-array”. È la metodica piùaccurata nel caso di tumore con infiltrazione extraparietale per lavalutazione del margine di resezione circonferenziale. Può stratificare ilrischio dei pazienti a seconda della profondità di infiltrazione del tessutoadiposo mesorettale (T3a-d). Prima alternativa all’ecografia nel caso diimpossibilità a eseguire tale esame

Può essere utilizzata per la stadiazione locale soltanto nel caso ditumori del retto alto. Risoluzione di contrasto insufficiente per i tumoridel retto medio-basso

L’ecografia è in grado di studiare il parenchima epatico conaccuratezza inferiore a metodiche quali la TC multistrato e la RM. Ingenerale la specificità è alta, ma la sensibilità è bassa. Inaccurata per lavalutazione dei linfonodi addominali

Ai fini della valutazione del parametro N tutte le indagini radiologichea oggi disponibili presentano limitazioni, essendo la diagnosi basata sucriteri dimensionali. La TC multistrato consente una rapida e accuratavalutazione di metastasi a distanza (epatiche), anche polmonari nelcaso di tumori del retto basso

Consente la valutazione di eventuali metastasi epatiche. Da utilizzarsiin caso di lesione epatica dubbia alla TC multistrato

Tecnica che evidenzia precocemente le lesioni scheletriche

Tecnica che consente la valutazione delle metastasi a distanza(parametro M) e l’interessamento linfonodale di malattia (parametroN). La metodica trova una limitazione nelle forme istologiche di tipomucinoso

Ecografia transrettale/ecoendoscopia. Valutazione del volume tumorale.Accuratezza limitata per l’impossibilità a differenziare la fibrosi dallapersistenza microscopica di malattia

Valutazione del volume tumorale. Accuratezza limitata perl’impossibilità a differenziare la fibrosi dalla persistenza microscopicadi malattia

Valutazione del volume tumorale. Accuratezza limitata perl’impossibilità a differenziare la fibrosi dalla persistenza microscopicadi malattia

Indagine di prima scelta in grado di discriminare con buonaaccuratezza tra pazienti responder e non-responder

In ottemperanza al D.Lgs 187/00, la scelta dell’esame da effettuare deve essere fatta considerando metodiche e tecniche idonee a ottenere il maggior bene-ficio clinico con il minimo detrimento individuale e della collettività. Devono quindi essere privilegiate quelle tecniche e metodiche che comportano, a paritàdi obiettivo diagnostico, una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.

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Ministero della Salute

Ecografia

TC multistrato

RM

Scintigrafia ossea

PET/TC

Non indicata

Indicata

Indaginespecialistica

Indicata

Indicata

Ricerca di eventuali metastasi epatiche1° anno: 6 e 12 mesi2°-5° anno: una volta l’anno

Utile per la valutazione di recidiva anastomotica (se a estensione extraluminale)e per l’identificazione di eventuali metastasi epatiche e/o extraepatiche.1° anno: 6 e 12 mesi2°-5° anno: una volta l’anno

Consente la caratterizzazione di eventuali metastasi epatiche. Da utilizzarsi in caso di lesione epatica dubbia all’ecografia e/o alla TC multistrato

Consente di valutare la progressione temporale delle lesioni scheletrichee l’eventuale loro variazione in relazione all’impiego di farmaci e/o trattamenti

radioterapici mirati

La metodica trova vasto impiego nella valutazione dei pazienti nel corso di trattamenti chemioterapici (valutazione precoce alla Chtp), nel rialzo dei marcatori in presenza di indagini strumentali negative o dubbie, dopo radioterapia nella diagnosi differenziale fra recidiva e fibrosi e nella caratterizzazione di lesioni sospette evidenziate da altre metodiche

Esami di follow-up postoperatorio

Indagine Raccomandazione Commento

In ottemperanza al D.Lgs 187/00, la scelta dell’esame da effettuare deve essere fatta considerando metodiche e tecniche idonee a ottenere il maggior bene-ficio clinico con il minimo detrimento individuale e della collettività. Devono quindi essere privilegiate quelle tecniche e metodiche che comportano, a paritàdi obiettivo diagnostico, una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.

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6. Neoplasie del pancreas

Non ci sono studi epidemiologici che indichinola reale incidenza delle neoplasie cistiche, le qualirappresentano un’entità di sempre maggiore ri-scontro grazie al diffondersi delle metodiche diimaging.

6.2. Diagnosi

La diagnosi di tumore pancreatico è, nella maggiorparte dei casi, tardiva e ciò giustifica il tasso di re-secabilità di circa il 20%, maggiore per le neoplasiedella testa che si presentano con un sintomo pre-coce come l’ittero, minore per quelle del corpo-coda che si presentano con dolori addominali,calo ponderale e/o insorgenza di diabete mellito.Allo stato attuale non esistono metodiche discreen ing efficaci per la diagnosi precoce del tu-more pancreatico. Nel sospetto clinico di tumoredel pancreas si dovranno ottenere come esamediagnostico di primo livello l’ecografia addominalee il dosaggio del marcatore sierico CA 19/9, cheha una sensibilità e specificità di circa l’80%. Lacromogranina A (CgA) è un marker generico peri tumori endocrini, i cui livelli sembrano correlarecon le dimensioni della massa tumorale. I quesitiper il radiologo comprendono l’identificazione,la caratterizzazione (o diagnosi differenziale) e lastadiazione, quest’ultima orientata a definire la

6.1. Incidenza e mortalità

Dal Registro Tumori Italiano (rapporto 2006),l’adenocarcinoma del pancreas occupa l’11° postofra le neoplasie diagnosticate nei maschi (2,2%del totale) e il 10° posto fra le donne (2,8%) erappresenta la 7a causa di morte per tumore fra imaschi (4,6% del totale) e la 6a fra le donne(6,6%). Dai dati risultano 17,2 casi /100.000 fragli uomini e 16,9 fra le donne, con una stima perl’Italia di 8283 nuovi casi l’anno. Il rischio diavere un tumore del pancreas nel corso della vitaè di 9,9‰ fra i maschi e di 6,3‰ fra le donne,con un rischio di morire per il tumore di 8,9‰ e5,5‰ rispettivamente. La sopravvivenza relativadei pazienti con tumore del pancreas è del 22% a1 anno, del 7% a 3 anni e del 5% a 5 anni. Il tu-more del pancreas mostra un’incidenza in crescitasia nei maschi sia nelle femmine. I tumori endo-crini pancreatici sono neoplasie rare, con un’inci-denza di 1/100.000 abitanti/anno anche se i datiautoptici variano dallo 0,8% al 10%, suggerendoche queste lesioni siano più frequenti di quantoosservato. Le neoplasie endocrine si dividono infunzionanti e non funzionanti. La più frequentetra le neoplasie funzionanti è l’insulinoma, chenel 90% dei casi è benigno; tra i non funzionantisi stima che circa il 50% sia maligno.

n. 3, maggio-giugno 2010

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scopico, in caso di breve spettanza di vita conprotesi in plastica, negli altri casi con protesiespansibili. In situazioni con possibile lunga so-pravvivenza (neoplasie cistiche o endocrine) vaconsiderata la possibilità di un drenaggio chirur-gico palliativo per la maggiore durata che questopuò offrire.

Colangiografia percutanea (PTC). In analogiaalla ERCP, la PTC (percutaneous transhepatic cho-langiography) non trova applicazione diagnostica,bensì solo di tipo interventistico, con l’introdu-zione per via percutanea transepatica di cateteri eprotesi biliari per il trattamento palliativo dellestenosi neoplastiche e in caso di fallimento del-l’ERCP nel drenaggio biliare.

Ruolo dell’ecoendoscopia (EUS). L’EUS (endo-scopic ultrasound) è un’indagine di 2°-3° livello,complementare alle altre metodiche di imaging,in grado di:• integrare il processo diagnostico in caso di ima-

ging precedente negativo/dubbio in presenzadi sospetto clinico di malattia;

• evidenziare/definire lesioni pancreatiche di pic-cole dimensioni (< 2 cm);

• contribuire all’inquadramento diagnosticodelle lesioni cistiche del pancreas;

• studiare con accuratezza la regione ampollare;• con l’esecuzione di una biopsia/citologia eco-

endo-guidata (EUS-FNA) → tipizzazione ci-tologica delle lesioni solide e, quando necessa-rio, possibilità di acquisire dati biochimici nellelesioni cistiche.

Rispetto alla biopsia percutanea, la EUS-FNA of-fre i seguenti vantaggi:• possibilità di individuare (e quindi di campio-

nare) lesioni di dimensioni < 1 cm;• possibilità di accedere a lesioni non campio-

nabili, per sede, con altre tecniche;

resecabilità o meno della massa tumorale e quindila definizione del coinvolgimento vascolare, degliorgani vicini e delle metastasi locali e a distanza.Il protocollo diagnostico prevede l’utilizzo del-l’ecografia e della TC. La RM può intervenire inalcuni casi, per la diagnosi differenziale in parti-colare nel caso di tumori cistici. Va inoltre sotto-lineato il ruolo dell’ago-aspirazione, nella maggiorparte dei casi sotto guida ecografica, per la diagnosicito-istologica e, in casi complessi, ai fini delladiagnosi differenziale.

Colangiowirsungrafia per via endoscopica(ERCP). Questa indagine non trova più indica-zione ai fini diagnostici, essendo oggi sostituitadalla colangiowirsungrafia RM. L’ERCP (endo-scopic retrograde cholangiopancreatography) puòcomunque essere indicata in casi selezionati ecomplessi nei quali le indagini precedenti nonsiano pervenute a una conclusione diagnostica,come nel caso di patologia della papilla e/o delduodeno, potendo consentire in questi casi unprelievo bioptico mirato. L’indicazione all’im-piego dell’ERCP nel cancro del pancreas è inoltrerappresentata dal drenaggio dell’ittero. Una re-cente (2009) metanalisi della Cochrane Collabo-ration ha confrontato i risultati della chirurgia edell’ERCP nel trattamento palliativo dell’ittero.Nessuna differenza è stata osservata in termini disuccesso tecnico, successo terapeutico e soprav-vivenza. Il drenaggio endoscopico con protesi inplastica comporta un rischio di complicanze si-gnificativamente minore (odds ratio 0,60), macon un maggior rischio di recidiva dell’itteroprima della morte. L’utilizzo di protesi espansibilinon migliora il successo tecnico, ma prolunga ladurata di pervietà della protesi. Gli autori con-cludono che tutti i pazienti con ittero ostruttivosecondario a carcinoma pancreatico non resecabiledovrebbero essere sottoposti a drenaggio endo-

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6Neoplasie del pancreas

ratinico caratteristico, cioè CK 7, 8, 18 e 19. Piùdel 50% dei carcinomi duttali esprime inoltre laCK 4, ma è solitamente negativo per la CK 20.Mutazioni puntiformi di K-ras e inattivazione deigeni oncosoppressori p16, TP53 e DPC4 sonotra le più frequenti alterazioni genetiche riscon-trate.

Neoplasie sieroso-cistiche del pancreas. Sono neo-plasie epiteliali cistiche composte da cellule epitelialitipo duttulare, ricche in glicogeno, che produconoun fluido sieroso. Sono tumori benigni.

Neoplasie mucinoso-cistiche del pancreas. Sononeoplasie epiteliali cistiche che si sviluppano quasiesclusivamente nelle donne, non mostrano colle-gamento con il sistema duttale pancreatico e sonocomposte di epitelio colonnare, mucina-produ-cente, con stroma di sostegno tipo ovarico. I tu-mori possono essere classificati come adenoma,borderline (malignità low-grade) e carcinoma noninfiltrante o infiltrante.

Neoplasie papillari-mucinose intraduttali delpancreas (IPMT). Sono neoplasie papillari in-traduttali che producono mucina e si sviluppanonel dotto pancreatico principale o in una sua ra-mificazione maggiore. La componente epitelialepapillare, il grado di secrezione della mucina, ladilatazione cistica del dotto e l’invasività possonovariare. Le IPMT che producono mucina sonodivise in lesioni benigne, borderline e malignenon invasive o invasive.

6.3.2. Tumori pancreatici endocrini

Nella maggior parte dei casi, i tumori endocrinipancreatici sono ben differenziati e mostrano varipattern istologici: solido, trabecolare, ghiandolare,tubuloacinare o pseudorosettiforme. Carcinomi

• profilo di sicurezza estremamente elevato (ri-schio di complicanze maggiori < 1%);

• riduzione significativa del rischio di “seeding”tumorale (2% vs 16% della FNA TC-guidata).

Medicina nucleare. La PET/TC con FDG trovaindicazione in casi selezionati nella stadiazione enel follow-up dell’adenocarcinoma duttale.L’espressione di recettori per la somatostatina daparte dei tumori neuroendocrini ha portato allosviluppo di analoghi radiomarcati utilizzati perl’imaging scintigrafico planare e SPECT. La ca-pacità della scintigrafia con recettori della soma-tostatina (somatostatine receptor scintigraphy, SRS)di individuare le lesioni è correlata alla presenza ealla densità di recettori del tipo hsst2 nella neo-plasia, oltre che ai limiti di definizione spazialelegati alle tecnologie utilizzate. Il tasso di detezionedel primitivo varia quindi da meno del 50% pergli insulinomi al 60-70% per i gastrinomi e al90% per le lesioni non funzionati. Il tasso di falsipositivi è per lo più inferiore al 5%. La SRS rap-presenta invece l’imaging di scelta per evidenziaremetastasi in tutti i tipi di lesione, con una sensi-bilità del 61-96%. Inoltre, la dimostrazione dipositività all’SSTR predice la risposta alla terapiacon analoghi della somatostatina. La PET/TCmediante l’utilizzo di 68-Ga-DOTATOC per vi-sualizzare i recettori della somatostatina è metodicapromettente.

6.3. Anatomia patologica

6.3.1. Tumori del pancreas esocrino

Adenocarcinoma duttale del pancreas. L’ade-nocarcinoma duttale è il tipo più frequente. Pro-babilmente origina dalle cellule epiteliali duttalipancreatiche, alle quali è fenotipicamente simile;produce mucina ed esprime un pattern citoche-

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del gene della proteina (PGP) 9.5]. La presenza dicromogranine immunoreattive indica la presenzadi granuli secretori, cioè di un certo grado di dif-ferenziazione delle cellule tumorali. In casi menogranulati, la colorazione per la cromogranina è ge-neralmente meno intensa ed estesa, malgrado laforte colorazione diffusa per la sinaptofisina. I tu-mori endocrini pancreatici contengono, inoltre,le citocheratine 8, 18 e 19 e spesso anche i neuro-filamenti. La caratterizzazione immunocitochimicain corso di esame citologico e quella immunoisto-chimica su tessuto tumorale dopo intervento chi-rurgico sono irrinunciabili per la diagnosi patolo-gica dei principali tumori del pancreas esocrinoed endocrino. Il pannello anticorpale minimo ne-cessario per una diagnosi corretta di adenocarci-noma duttale comprende l’insieme delle citoche-ratine 4, 7, 8, 18, 19, 20. Una caratterizzazioneprecisa di un tumore endocrino necessita di unpannello anticorpale minimo che comprenda l’in-sieme dei marcatori neuroendocrini generici (si-naptofisina, PGP 9.5, CD56 e MAP18), e dellamatrice dei granuli secretori (cromogranine). In-dispensabile, inoltre, la valutazione percentualedell’indice replicativo (Ki 67).

6.4. Stadiazione e “risk assessment”

La stadiazione mediante le tecniche di diagnosticaper immagini è volta a definire la resecabilità deltumore pancreatico (Tabelle 6.1, 6.2, 6.3 e Figura6.1). A tal fine vanno definiti:• la presenza di segni di invasione extrapancrea-

tica nel tessuto adiposo peripancreatico;• l’invasione di organi adiacenti;• l’occlusione, la stenosi ed enhancement semi-

circolare dei vasi maggiori (tripode celiaco, ar-teria epatica, arteria mesenterica superiore,vena porta e vena mesenterica superiore);

• le metastasi epatiche;

endocrini poco differenziati sono rari. Queste neo-plasie altamente aggressive sono, a prima vista,difficilmente riconoscibili come tumori endocrinie richiedono l’esame immunoistochimico per ri-velare il loro fenotipo endocrino. Le caratteristichecitomorfologiche dei tumori endocrini pancreaticisono le stesse per i tumori “funzionanti” e i tumori“non funzionanti”.

6.3.3. Metodologia diagnostica patologica

Citopatologia preoperatoria. La biopsia con agosottile (fine needle aspiration biopsy, FNAB) è unmetodo utile per lo studio dei tumori pancreaticie delle loro metastasi. La FNAB può essere effet-tuata per via percutanea, endoscopica o intraope-ratoria.

Istochimica e immunocitochimica. Alcuni mar-catori sono utili nel separare gli adenocarcinomiduttali del pancreas dagli istotipi non duttali o daaltri adenocarcinomi extrapancreatici del tratto ga-stroenterico. Gli adenocarcinomi duttali pricipal-mente colorano per le mucine acide solfonate, mafocalmente anche per le mucine neutre. Immu-noistochimicamente, la maggior parte degli ade-nocarcinomi duttali esprime MUC1, MUC3 eMUC5/6 (ma non MUC2), CA 19/9, Du-Pan 2,Span-1, CA 125 e TAG72. Poiché i pattern usualicheratinici delle neoplasie pancreatiche del tiponon duttale (cioè carcinoma a cellule acinari e tu-mori endocrini – CK 8, 18 e 19) e dei carcinomidell’intestino (cioè CK 8, 18, 19 e 20) differisconoda quelli degli adenocarcinomi duttali (CK 4, 7,8, 18 e 19), è possibile distinguere questi tumorifra di loro in base al profilo citocheratinico. I tu-mori endocrini pancreatici possono essere chiara-mente identificati utilizzando anticorpi verso mar-catori comuni contro tutte o la maggior parte dellecellule neuroendocrine [sinaptofisina, il prodotto

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Neoplasie del pancreas 6

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Tabella 6.1 Stadiazione dei tumori esocrini del pancreas (UICC)

Primary tumor (T)Tx Primary tumor camiot be assessedT0 No evidence of primary tumourT1 Tumour limited to the pancreas

T1a Tumour ≤ 2 cm T1b Tumour > 2 cm

T2 Tumour extends directly to the duodenum, bile ducts, or peripancreatic fissues

T3 Tumour extends directly to the stomach, spleen, colon or large vessels

Regional Iymph nodes (N) Nx Regional Iymph nodes cannot be assessedN0 No regional lymph node metastasisN1 Regional lymph node metastasis

Distant metastasis (M)Mx Presence of distant metastasis cannot be assessedM1 Distant metastasisM0 No distant metastasis

Tabella 6.2 Raggruppamento in stadi (UICC)

Stadio I T1 N0 M0Stadio II T2 N0 M0Stadio III T3 N0 M0Stadio IV Ogni T N1 M0

Tabella 6.3 Raggruppamento TNM modificato

Stadio I T1 N0 M0Stadio II T2 N0 M0

T1-2 N1 M0Stadio III T1-2 N2 M0

T3 N0-2 M0Stadio IV T1-3 N3 M0

T1-3 N0-3 M1

T (come UICC); N1, involvement of peripancreatic lymph nodes; N2, in-volvement of secondary group of lymph nodes; N3, involvement oftertiary group of lymph nodes.

Figura 6.1 Stadiazione dei tumori esocrini del pancreas.

Neoplasie della testa del pancreasStazioni linfonodali

I livello

II livello

III livello

Neoplasie pancreatiche corpo-caudaliStazioni linfonodali

I livello

II livello

III livello

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plinari, includenti la chemioradioterapia; la ma-lattia resecabile borderline e localmente avanzatanon metastatica è definita come segue.Tumore borderline resecabile• Adesione unilaterale o bilaterale alla vena me-

senterica superiore o alla vena porta.• Meno di 180 gradi di adesione alla vena me-

senterica superiore.• Adesione o incarceramento dell’arteria epatica,

se ricostruibile.• Occlusione della vena mesenterica superiore

per un segmento molto breve e ricostruibile.Tumore non resecabile non metastatico• Adesione o incarceramento superiore di 180

gradi della vena mesenterica superiore o delplesso celiaco.

• Occlusione di vena mesenterica superiore ovena porta non ricostruibile.

• Invasione aortica.• Metastasi a linfonodi extraregionali.L’approccio chirurgico è generalmente laparoto-mico, benché la tecnica laparoscopica si sia dimo-strata fattibile; tuttavia si deve in ogni caso garantirela radicalità oncologica e in particolare il raggiun-gimento dello stato R0 con l’adeguata linfoade-nectomia compartimentale a scopo di corretta sta-diazione. La laparoscopia diagnostica (LD) è in-dicata in casi selezionati qualora lo studio preope-ratorio non abbia definitivamente chiarito la sta-diazione. In particolare la LD è indicata quando,nonostante l’assenza di evidenti metastasi o inva-sioni vascolari, vi siano valori elevati di CA 19/9in assenza di ittero o colestasi, oppure per tumoridel corpo-coda con dimensioni superiori a 4 cm.Se durante l’esplorazione chirurgica si evidenzianometastasi a distanza (fegato o peritoneo), la rese-zione va abbandonata in caso di adenocarcinomaduttale (anche per metastasi singole apparente-mente resecabili), mentre va perseguita in caso dicarcinomi endocrini ben differenziati qualora sia

• i segni di carcinomatosi peritoneale;• le metastasi a distanza.La stadiazione si avvale sia dell’ecografia sia dellaTC. La RM può dare risultati simili a quelli dellaTC, ma la sua risoluzione spaziale è attualmenteancora inferiore a quella della TC. L’ecografia puòevidenziare, anche grazie al contributo del Doppler,l’infiltrazione vascolare e le metastasi epatiche.L’EUS è complementare alla TC nella stadiazioneloco-regionale dei tumori pancreatici e in particolarenel definire la resecabilità chirurgica della malattia.L’accuratezza dell’EUS per i parametri T è dell’80-95%, per il parametro N è del 65-80%. In caso disospetta lesione pancreatica non definibile alla TC,imaging dubbio e/o con dati contrastanti, l’EUSappare indispensabile per individuare la lesione, ti-pizzarla morfologicamente, studiarla e allo stessotempo, ove necessario, tipizzarla citologicamentemediante FNA; per converso, la FNA può essereutile per documentare l’assenza di malignità nei casiin cui la probabilità pre-test di malignità sia bassa.

6.5. Trattamento degli stadi iniziali

I pazienti con neoplasie solide giudicate resecabili(vedi paragrafo 6.2), dopo valutazione del rischiooperatorio (criteri ASA), sono candidati a inter-vento demolitivo a intento radicale. Le eccezionia questa regola sono rappresentate dai pazientiarruolati in RCT sul ruolo della chemioradiote-rapia neoadiuvante e dai pazienti affetti da neo-plasie endocrine non funzionanti con dimensioniinferiori ai 2 cm asintomatiche (incidentalomi)con più di 75 anni d’età e/o importanti comorbi-lità. L’indicazione all’intervento resettivo rendeinutile la tipizzazione preoperatoria se non in casodi dubbio diagnostico. I pazienti con malattia re-secabile borderline e con malattia localmente avan-zata, non metastatica, sono oggi candidati all’in-clusione in protocolli di trattamento multidisci-

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corso di resezioni pancreatiche per neoplasia è sem-pre indispensabile la collaborazione dell’Anato-mopatologo per la valutazione intraoperatoria delletrance di resezione e di eventuali localizzazioni extrapancreatiche sospette.

Chemioterapia adiuvante. L’approccio ottimalealla terapia adiuvante dell’adenocarcinoma pancrea-tico radicalmente operato (R0) rimane oggetto diaccesa discussione. Studi clinici controllati suppor-tano l’utilizzo di una chemioterapia adiuvante con5-FU o gemcitabina e metanalisi recenti indicanoche tale approccio riduce complessivamente il rischiodi morte di circa il 25%, rispetto alla sola chirurgia.Più controversi, nonché gravati da maggiori incer-tezze metodologiche derivanti dalla rapida evolu-zione delle tecniche radioterapiche nel corso degliultimi 20 anni, i dati riguardanti il beneficio dellaradiochemioterapia adiuvante (prevalentemente ef-fettuata con schemi chemioterapici contenenti 5-FU). Allo stato attuale andrebbe privilegiata l’in-clusione dei pazienti radicalmente operati per ade-nocarcinoma pancreatico in studi clinici controllati.Al di fuori degli studi clinici, l’utilizzo di una che-mioterapia adiuvante con 5-FU o gemcitabina inmonoterapia da istituire entro 6-8 settimane dal-l’intervento per una durata di circa 6 mesi appareappropriato e supportato dalle evidenze disponibili,mentre approcci radiochemioterapici concomitantiandrebbero riservati a pazienti sottoposti a resezionenon radicale (R1) nel contesto di studi clinici con-dotti in Centri a elevata specializzazione. Per i pa-zienti sottoposti a resezione palliativa (R2) si rinviaal trattamento della malattia localmente avanzata.Il trattamento radiante dovrà essere programmatocon TC simulatore e pianificato in 3D. Qualora leimmagini TC non siano adeguate per la definizionedel GTV (gross tumour volume) e PTV (planningtarget volume) è proposta l’integrazione diagnosticacon PET. Il volume d’irradiazione dovrà essere pia-

possibile rimuovere radicalmente il tumore primi-tivo e almeno il 90% delle metastasi. Se durantel’esplorazione si evidenzia un’invasione dell’assemesenterico-portale, in assenza di metastasi a di-stanza (confermata dall’ecografia intraoperatoria),si può perseguire la demolizione del tumore conla resezione vascolare qualora tale procedura rag-giunga la radicalità macroscopica; viceversa, ciò ècontroindicato se prevede un residuo macroscopicodi malattia (R2). L’invasione dell’arteria mesente-rica superiore rappresenta un criterio di esclusionedall’intento demolitivo anche qualora vi siano lecompetenze per una resezione arteriosa e sostitu-zione protesica. L’infiltrazione del tripode celiacodi per sé non rappresenta una controindicazioneassoluta all’intervento demolitivo, essendo possibilela demolizione in blocco del tripode celiaco e delcorpo-coda del pancreas. Anche la diffusione deltumore agli organi vicini non rappresenta di persé una controindicazione assoluta all’atto demoli-tivo qualora sia possibile raggiungere una radicalitàmacroscopica. Le resezioni multiviscerali, tuttavia,espongono il paziente a un maggior rischio dicomplicanze postoperatorie e vanno pertanto ri-servate a casi selezionati. Le neoplasie cistiche delpancreas sono nella maggior parte dei casi tumoribenigni, benché le forme mucinose e i tumori in-traduttali papillari mucosecernenti (intraductal pa-pillary-mucinous tumor, IPMT) possano essere ma-ligni o precursori di forme maligne. È pertantoindicata la resezione in base ai criteri di rischiostabiliti su: coinvolgimento del dotto pancreaticoprincipale, diametro maggiore di 3 cm, presenzadi gettoni solidi all’interno delle cisti, aumentodel CA 19/9 sierico e nei casi sintomatici. Altreneoplasie pancreatiche più rare come i carcinomiacinari, le metastasi e i pancreatoblastomi rappre-sentano un’indicazione alla resezione dopo ade-guata stadiazione, ma per la loro peculiarità e raritàandrebbero riferite a Centri di Eccellenza. Nel

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cuzione di un duplice bypass chirurgico. Durantetale procedura è indispensabile ottenere la tipiz-zazione della neoplasia mediante FNA o biopsiadel tumore o di eventuali metastasi. Dopo la ri-soluzione di eventuali sintomi ostruttivi il pazienteviene inviato agli oncologi e radioterapisti per ini-ziare quanto prima la terapia medica specifica.Qualora dopo i cicli concordati la nuova rivalu-tazione radiologica e laboratoristica deponga peruna risposta parziale o completa, il Chirurgo de-cide per l’eventuale laparotomia esplorativa.

Le protesi duodenali. Circa il 15% dei pazienticon cancro del pancreas va incontro a una sinto-matologia da ostruito svuotamento gastrico. Ilsuo trattamento è usualmente chirurgico, ma allaluce dei dati a oggi disponibili appare ragionevolesuggerire il trattamento endoscopico per pazienticon malattia avanzata e il trattamento chirurgicoper pazienti con maggiore spettanza di vita.

Chemioterapia di induzione (neoadiuvante) nelleforme resecabili o borderline. Al momento attualenon esistono evidenze cliniche che supportino l’uti-lizzo di approcci chemioterapici e/o chemioradio-terapici preoperatori nell’adenocarcinoma pancrea-tico resecabile o resecabile borderline nella praticaclinica corrente e al di fuori di studi clinici control-lati. Dati provenienti da studi monoistituzionali difase I/II indicano la fattibilità di associazioni che-mioradioterapiche includenti prevalentemente 5-FU o gemcitabina e suggeriscono che, in pazientiselezionati, tale approccio possa recuperare a unaresecabilità radicale alcuni pazienti inizialmente ri-tenuti inoperabili o resecabili borderline. Tuttavia,la mancanza di studi prospettici randomizzati e laconseguente assenza di consenso sugli schemi otti-mali di terapia da utilizzare spingono a considerarequesto tipo di approccio ancora sperimentale e sug-geriscono che tali pazienti andrebbero trattati solo

nificato sulla TC preoperatoria e sulle clip metalliche(qualora posizionate) e dovrà includere il letto tu-morale e i linfonodi regionali. La dose erogata dovràessere compresa tra i 45 e i 54 Gy alla frazione gior-naliera di 1,8-2 Gy calcolata sul GTV. Sul PTV ladose erogata non dovrà essere inferiore a 45 Gy inaccordo con l’International Council for RadiationUnits (ICRU). Per il trattamento dovrà essere uti-lizzato un acceleratore lineare con energia non infe-riore a 6 MV. È consigliato, qualora disponibile,l’utilizzo di apparecchiature che permettano la ra-dioterapia secondo la tecnica IMRT o l’utilizzo ditomoterapia. La chemioterapia adiuvante non èun’opzione terapeutica nei pazienti con tumore en-docrino o cistico del pancreas.

6.6. Trattamento della malattia localmenteavanzata

Qualora la stadiazione preoperatoria dimostri lapresenza di invasione vascolare dell’asse mesente-rico-portale e/o dell’arteria mesenterica superioree/o del tripode celiaco e/o dell’arteria epatica siraccomanda l’esecuzione di chemioradioterapiacon intento di down-staging. In questi pazienti,benché l’intervento resettivo possa talvolta esseretecnicamente possibile, il rischio di una ripresa dimalattia precoce induce a un atteggiamento piùprudente con esclusione dei casi arruolati in RCTdi comparazione tra chemioradioterapia neoadiu-vante e intervento resettivo con resezione vascolarequale primo atto terapeutico. Compito del clinicoè risolvere gli eventuali sintomi ostruttivi presentialla diagnosi. L’ittero va affrontato in prima bat-tuta per via endoscopica con il posizionamentodi uno stent biliare durante ERCP e, solo in casodi fallimento di questa metodica, mediante ap-proccio trans-parieto-epatico (percutaneous tran-sheptic biliary drainage, PTBD). L’eventuale oc-clusione digestiva alta richiede, al contrario, l’ese-

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ristadiazione clinico-strumentale di malattia e, neipazienti non progressivi, da una radiochemioterapiaconcomitante; tale approccio, supportato da diverseesperienze di fase II, avrebbe il duplice vantaggiodi escludere dal trattamento concomitante i pazientirefrattari che presentano una progressione a distanzadurante la fase chemioterapica e, potenzialmente,di ridurre il volume bersaglio nei pazienti che vannoincontro a una risposta obiettiva. La rivalutazionepost-chemioterapia e post-trattamento concomi-tante andrebbe condotta da un team multidiscipli-nare composto da Chirurgo, Radioterapista e On-cologo Medico e dovrebbe considerare, a ogni pas-saggio, la possibilità di procedere a un’eventualechirurgia radicale. Questo approccio andrebbe ri-stretto a Centri di Eccellenza con specifica esperienzanel campo e, preferibilmente, nell’ambito di studiclinici controllati.Allo stato attuale delle conoscenze per la chemio-radioterapia definitiva dell’adenocarcinoma pan-creatico localmente avanzato non resecabile, la ra-dioterapia viene raccomandata a dosi da 50 a 60Gy, erogate alla dose giornaliera di 1,8-2,0 Gy.Per la pianificazione del trattamento è auspicabilel’utilizzo di TC simulatore e trattamento 3D com-prendente il tumore primario e i linfonodi regio-nali. Per quanto riguarda i carcinomi endocrinilocalmente avanzati l’opzione sarà la terapia ra-diometabolica nei casi Octreoscan positivi e lachemioterapia sistemica in quelli negativi, con in-tento di down-staging.

6.7. Trattamento della malattia metastatica

Il trattamento della malattia metastatica ha unoscopo essenzialmente palliativo e la pianificazionedella strategia terapeutica richiede un’attenta con-siderazione delle condizioni generali del pazientee del rapporto rischio (di tossicità)/beneficio (pal-liazione dei sintomi, prolungamento della soprav-

nell’ambito di studi clinici condotti in Centri diEccellenza, caratterizzati dalla presenza di team mul-tidisciplinari composti da Chirurgo, Radioterapistae Oncologo Medico. In mancanza di evidenze cli-niche anche l’utilizzo di una radioterapia intraope-ratoria (intraoperative radiation therapy, IORT) èda effettuarsi solo in Centri di Eccellenza ed esclu-sivamente nell’ambito di studi clinici controllati.La IORT sarà erogata con elettroni a energia noninferiore a 6 MeV, in seduta unica, con apparecchiodedicato posizionato nella sala operatoria o con ac-celeratore convenzionale e trasporto del paziente.La dose della seduta sarà decisa nell’ambito di unostudio clinico controllato, ma auspicabile entro unrange variabile da 10 a 30 Gy. La seduta di IORTsarà erogata sul letto tumorale dopo la resezionedella malattia e prima dell’esecuzione delle anasto-mosi necessarie per la ricostruzione. Qualora il teammultidisciplinare e il protocollo di studio ponganotale indicazione, la IORT potrà essere erogata anchesulla malattia in sede prima della resezione. L’evi-denza oggi disponibile da metanalisi degli studirandomizzati condotti nella malattia localmenteavanzata dimostra che: 1) la chemioradioterapiaconcomitante con schemi contenenti 5-FU migliorala sopravvivenza globale rispetto alla sola radiotera-pia, con una riduzione del 31% del rischio di morte;2) la chemioradioterapia concomitante seguita dachemioterapia non migliora significativamente lasopravvivenza rispetto alla sola chemioterapia. Per-tanto, nella malattia localmente avanzata sia la che-mioradioterapia concomitante (con 5-FU o gem-citabina) sia la chemioterapia esclusiva (vedi “Trat-tamento della malattia metastatica”) sono scelte te-rapeutiche appropriate e, sulla carta, equivalenti.Un’ulteriore alternativa è rappresentata dalla possi-bilità di utilizzare una chemioterapia d’induzione(gemcitabina in monoterapia o associata a derivatidel platino; vedi trattamento della malattia meta-statica) per una durata di 2-4 mesi, seguita da una

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Ministero della Salute

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analisi di sottogruppi, del miglioramento della so-pravvivenza libera da progressione e della maggioreincidenza di risposte obiettive, l’utilizzo di asso-ciazioni a due farmaci contenenti gemcitabina eun derivato del platino (cisplatino o oxaliplatino)può essere considerato tra le opzioni terapeuticheda riservare, comunque, a pazienti giovani e inbuone condizioni generali (ECOG PS 0-1). Al-l’estremo opposto dello spettro clinico, la terapiadi supporto esclusiva rappresenta altresì un’opzioneterapeutica per pazienti con performance status se-condo ECOG ≥ 3 e/o comorbilità particolarmenterilevanti. Tra le opzioni terapeutiche ritenute ap-propriate come trattamento di prima linea, va in-fine citata l’associazione di gemcitabina (schedulaclassica) ed erlotinib (100 mg/die per os), che hadimostrato, in uno studio clinico controllato, unvantaggio statisticamente significativo, ancorchéminimo, in termini di sopravvivenza globale ri-spetto alla sola gemcitabina. Per le forme cistichedegenerate in senso francamente maligno e meta-statiche può essere applicato lo stesso algoritmoterapeutico utilizzato per l’adenocarcinoma duttale.In considerazione della limitata efficacia dei trat-tamenti oggi disponibili, la possibilità di inclusionein studi clinici andrebbe sempre considerata comeun’opzione prioritaria nei pazienti con adenocar-cinoma pancreatico in fase metastatica.

Chemioterapia di seconda linea. Circa il 50%dei pazienti progressivi dopo un trattamento diprima linea contenente gemcitabina presenta con-dizioni cliniche generali tali da rendere proponibileuna chemioterapia di seconda linea. Lo schemadi riferimento, in questo contesto, è rappresentatodall’associazione di 5-FU infusionale, acido foli-nico e oxaliplatino, sulla base dei risultati di unostudio di fase III randomizzato (CONKO-003)che ne ha documentato la superiorità, in terminidi sopravvivenza globale e libera da progressione,

vivenza), nonché l’integrazione di trattamenti an-tineoplastici specifici con appropriate terapie disupporto/palliative/complementari volte al man-tenimento dello stato nutrizionale e al controllodella sintomatologia dolorosa, dell’ittero e del-l’occlusione digestiva alta. Nella malattia meta-statica, gli unici due fattori prognostici riprodu-cibili e validati sono le condizioni generali del pa-ziente (performance status secondo la scala ECOGo Karnofsky) e i livelli basali di CA 19/9 sierico.

Chemioterapia di prima linea. Recenti metanalisidi studi randomizzati condotti nella malattia me-tastatica indicano che: 1) la chemioterapia di primalinea migliora la sopravvivenza (e in alcuni studila qualità di vita e l’incidenza/severità dei sintomilegati alla malattia) rispetto alla sola terapia di sup-porto; 2) nel trattamento di prima linea, la poli-chemioterapia non migliora la sopravvivenza ri-spetto all’utilizzo di agenti singoli (5-FU o gemci-tabina). L’agente di scelta, come trattamento diprima linea, è la gemcitabina, somministrata subase settimanale alla dose di 1000 mg/m2 in infu-sione ev di 30 min (o, in alternativa, alla dose di1000-1500 mg/m2, in infusione ev prolungata aldose-rate fisso di 10 mg/m2/min), sulla base di unpiccolo studio randomizzato che ne ha documen-tato la superiorità in termini di beneficio clinico esopravvivenza globale, rispetto al 5-FU in bolosettimanale. Tale trattamento presenta un rapportorischio/beneficio favorevole anche in pazienti incondizioni generali non ottimali (ECOG PS ≤ 3),rappresenta a tutt’oggi lo schema terapeutico diriferimento come braccio di controllo per gli studiclinici controllati ed è uno standard ampiamentee internazionalmente condiviso. L’utilizzo dischemi polichemioterapici come trattamento diprima linea andrebbe ristretto all’ambito di studiclinici controllati. Tuttavia, in considerazione dellariduzione di mortalità a 6 mesi emersa da alcune

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more endocrino pancreatico con basso indice diproliferazione quando il trattamento chirurgiconon possa essere considerato. Nel caso di docu-mentata progressione di malattia, una rispostaparziale o completa si riscontra in circa il 10%dei pazienti, mentre la stabilizzazione si evidenzianel 24-75%.Nei tumori funzionanti, gli analoghi della soma-tostatina sono un trattamento efficace per il con-trollo dei sintomi oltre che potenzialmente utilisulla crescita tumorale, in particolare per le neo-plasie endocrine funzionanti rare come VIPomi eglucagonomi.La tollerabilità della somatostatina andrebbe te-stata iniziando il trattamento con analoghi a brevedurata d’azione (es. octreotide 100 μg sc 2-3 volteal giorno). Successivamente possono essere intro-dotte formulazioni a lunga durata d’azione comelanreotide SR im, lanreotide autogel sc o sando-statina LAR im (ogni 4 settimane). L’efficacia dilanreotide e di octreotide è comparabile. L’attivitàantiproliferativa (SOM230) di nuovi analoghi èallo studio. Fattori predittivi negativi di rispostasono dati da comparsa di metastasi o progressionedi malattia nei primi 6 mesi di osservazione.

Interferone. In ragione dei suoi importanti effetticollaterali l’interferone viene normalmente utiliz-zato in seconda linea per il controllo dei sintomidelle neoplasie funzionanti a basso indice prolife-rative (> 2-3%) ed è di rado indicato per i tumoriendocrini pancreatici non funzionanti. La doseabituale di IFN-alfa2b è di 3-5 milioni di unità3-5 volte la settimana sottocute.

Chemioterapia. La chemioterapia è indicata cometrattamento medico nei pazienti in progressionedi malattia dopo che la bioterapia ha fallito, neipazienti in cui questa non è applicabile o nei pa-zienti con malattia extraepatica.

rispetto al solo 5-FU infusionale/acido folinico.Tuttavia, sulla base di numerosi studi di fase IInon controllati che suggeriscono un’attività para-gonabile in seconda linea, la combinazione di ca-pecitabina e oxaliplatino e la monochemioterapiacon fluoropirimidine possono essere considerateopzioni terapeutiche appropriate, soprattutto inconsiderazione delle condizioni cliniche del pa-ziente e della pregressa esposizione a derivati delplatino nel contesto del trattamento di prima li-nea. Come nel caso del trattamento di prima linea,la possibilità di inclusione in studi clinici andrebbesempre considerata come un’opzione prioritarianei pazienti con adenocarcinoma pancreatico infase metastatica e progressivi dopo una prima lineachemioterapica. Non esistono a oggi evidenze chesupportino l’utilizzo di trattamenti specifici in li-nee successive alla seconda al di fuori di studi cli-nici controllati.

6.8. Trattamento dei carcinomi endocrini pancreatici metastatici

Data la relativa rarità di questa patologia si racco-manda di indirizzare i pazienti ai Centri di Eccel-lenza. In assenza di malattia extraepatica la rese-zione sincrona del tumore primitivo e delle me-tastasi epatiche va presa in considerazione.

Analoghi della somatostatina. La somatostatina èun ormone con azione prevalentemente inibitoriasui tessuti target. La maggior parte dei suoi effettibenefici deriva dall’azione inibitoria sulla secrezionedi ormoni e neurotrasmettitori anche se è in gradodi agire come inibitore di alcuni fattori di crescita ein vitro risulta indurre l’apoptosi di cellule tumorali. Nei tumori non funzionanti, gli analoghi dellasomatostatina mirano alla stabilizzazione dellamalattia e andrebbero iniziati come trattamentomedico di prima linea nei pazienti affetti da tu-

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condo i criteri dimensionali che caratterizzano isistemi WHO e RECIST) non è significativa-mente predittivo della sopravvivenza del pazientee non rappresenta, pertanto, un obiettivo di par-ticolare rilevanza clinica. Inoltre, soprattutto perquel che riguarda la localizzazione primitiva pan-creatica, la determinazione della risposta obiettivapuò essere resa particolarmente difficoltosa, senon futile, dall’intensa reazione desmoplastica deltessuto circostante. Numerosi studi supportano,in alternativa, l’utilizzo delle variazioni nei livellidi CA 19/9 sierico e, in misura minore, la deter-minazione del beneficio clinico, come marcatorisurrogati di risposta e come fattori predittivi disopravvivenza. Pertanto, in fasi di malattia avan-zata e al di fuori di studi clinici controllati, l’uti-lizzo intensivo e frequente di metodiche di ima-ging non è ritenuto utile/consigliabile e l’anda-mento del trattamento può essere monitorato ef-ficacemente attraverso un’accurata e frequente va-lutazione clinica e la determinazione seriata deilivelli sierici di CA 19/9.

6.12. Follow-up

Adenocarcinomi. Il follow-up dei tumori pan-creatici concerne sia i casi operati (con chirurgiaresettiva o palliativa) sia i pazienti trattati conchemio- o radioterapia. L’ecografia è utile per lesue caratteristiche di disponibilità, ripetibilità eperché consente una prima valutazione a livellolocale e a distanza (metastasi epatiche). Essa per-mette, inoltre, una valutazione della dilatazionedelle vie biliari. La TC consente una più precisa euna più obiettiva valutazione sia locale che a di-stanza. La PET/TC è in grado di aggiungere al-l’informazione morfologica della TC anchel’aspetto metabolico e, per queste motivazioni,può essere di maggiore utilità nei casi sottoposti atrattamento radiochemioterapico.

6.9. Terapie ablative loco-regionali

I trattamenti loco-regionali comprendono meto-diche non chirurgiche interventistiche che hannol’obiettivo di indurre una citoriduzione della massatumorale epatica. Le metodiche più frequente-mente utilizzate sono:• chemioembolizzazione (transarterial chemo-em-

bolization, TACE): l’embolizzazione selettiva diarterie periferiche induce un’ischemia tempora-nea ma completa. La procedura può essere com-binata a chemioterapia locale (5-FU, doxorubi-cina e mitomicina C) ed eseguita ripetutamente;

• radiofrequenza (radio-frequency thermal abla-tion, RFTA): il trattamento è solitamente li-mitato a pazienti con meno di 8-10 lesioni edi diametro inferiore a 4 cm. In base alla sedee al diametro della lesione la RFTA può esserecondotta per via laparoscopica o percutanea.Tale procedura ha soppiantato la crioterapianella maggior parte dei Centri.

6.10. Terapia radiometabolica

Analoghi della somatostatina radiomarcati conradionuclide beta-emittente (es. 90Y o 177Lu)possono essere utilizzati nel trattamento dei tu-mori endocrini non resecabili localmente avanzatie metastatici previa conferma di un’adeguata den-sità recettoriale alla scintigrafia con ocreotide mar-cato. I risultati risentono del tipo di neoplasia sot-toposta a trattamento, delle dosi e degli schemiutilizzati, dell’intensità di uptake degli analoghiin relazione alla diversa densità recettoriale.

6.11. Valutazioni delle risposte

A differenza di numerose altre condizioni neo-plastiche, nell’adenocarcinoma pancreatico meta-statico l’ottenimento di una risposta obiettiva (se-

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tologia pancreatica comprendente: Chirurghi, Ra-diologi, Oncologi-Radioterapisti, Anatomopato-logi, Intensivisti, Gastroenterologi-Endoscopisti,Diabetologi. L’ospedale dovrà essere dotato di TCmultislice, RM, Terapia Intensiva, Diagnostica in-traoperatoria intesa sia come radiologica (ecografiae Rx scopia) sia come patologica (valutazione in-traoperatoria delle trance con esami al congelatore),Servizio di Endoscopia Digestiva e di RadiologiaInterventistica disponibili per 24 ore e 365 giornil’anno per la gestione delle urgenze. I Centri can-didati all’eccellenza dovranno inoltre disporre diuna banca di tessuto neoplastico e dei liquidi bio-logici dei pazienti affetti da neoplasie pancreatiche,di un team multidisciplinare per la ricerca di base,fase indispensabile per scoprire nuove linee dia-gnostiche e terapeutiche per il carcinoma pancrea-tico. Per quanto riguarda i volumi di attività, èstato chiaramente dimostrato che essi determinanol’esito favorevole o meno per i pazienti con diffe-renze sostanziali anche di mortalità. Sulla base deidati pubblicati in letteratura, si individua in almeno30 duodenocefalopancreatectomie (DCP) e al-meno 30 resezioni distali (DP) o enucleazioni dipancreas l’anno il livello minimo per ottenere l’ac-creditamento e in 100 DCP e 100 DP o enuclea-zioni per anno per ottenere l’eccellenza.Una struttura di Anatomia Patologica per poteressere certificata in questa patologia deve esseredotata di: • 1 Unità di Citologia che abbia un’esperienza

sufficiente nell’applicazione di tecniche immu-nocitochimiche e che applichi pannelli anticor-pali comprendenti gli anticorpi già citati comeessenziali per la diagnosi di istotipo (CK 4, 7,8, 18, 19, 20, MUC 1, MUC 3, MUC 5/6,marcatori neuroendocrini generici). Gli stessipannelli saranno applicati durante l’esame isto-logico del tumore analizzato su pezzo operatorio;

• 1 Diagnostica intraoperatoria per la conferma

Tumori endocrini. Nel corso del follow-up le me-todiche di imaging utili per monitorare le lesionisono: ecografia, TC/RM e scintigrafia con ocreotidemarcato quando positiva alla diagnosi. Vanno inol-tre monitorati la cromogranina A, l’NSE e i mar-catori positivi alla diagnosi. Nel caso delle lesioninon funzionanti, data la mancanza di dati certi alungo termine si consiglia un follow-up ogni 12mesi non solo per neoplasie ad atteggiamento bio-logico incerto, ma anche per le neoplasie classificatecome benigne, limitandosi in tal caso a dosaggioCgA ed ecografia. I pazienti con carcinoma bendifferenziato andrebbero invece controllati ogni 6mesi, mentre le neoplasie scarsamente differenziateogni 2-3 mesi. Per i tumori funzionanti rari e per igastrinomi, data l’alta incidenza di metastasi, il fol-low-up proposto è a 3-6 mesi.

6.13. Elementi per la programmazione e l’organizzazione dei servizi

Dotazioni tecnologiche, expertise e volumi diattivitàLa chirurgia pancreatica rappresenta un settorespecialistico di particolare impegno tecnico sia perla peculiare anatomia sia per l’insita fisiologia dellaghiandola pancreatica. La resezione di pancreasespone infatti il paziente a un rischio di mortalitàe morbilità ancora molto elevato e correlato es-senzialmente con complicanze quali, tipicamente,la fistola pancreatica. Per tale motivo è necessarioche chi affronta queste procedure complesse abbiaun’adeguata e specifica formazione, che nel nostroPaese, in assenza di fellowship specifiche, non èpossibile certificare. Si dovrà ricorrere alle analisidei volumi e ai risultati ottenuti nei diversi Centriper stabilire i criteri per l’accreditamento e il con-ferimento di eccellenza agli ospedali che ne farannorichiesta. Essi dovranno avere a loro disposizioneun team multidisciplinare che si occupi della pa-

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(a) la taglia (la massa) del tumore (tumori conun diametro maggiore di 2 cm hanno un rischioaumentato di comportamento maligno, mentrequelli maggiori di 3 cm sono usualmente mali-gni), (b) la differenziazione istologica e il proba-bile comportamento biologico del tumore, (c)il/i fenotipo/i delle varie cellule tumorali e, senecessario e fattibile, (d) l’analisi genetica mole-colare del tumore. A questo proposito si cita chele basi molecolari dell’adenocarcinoma duttalecomprendono diverse alterazioni genetiche, al-cune delle quali sono particolarmente frequenti:mutazione puntiforme di K-ras, amplificazionedi HER2, perdita di eterozigosi e mutazione in-tragenica di TP53, metilazione di diverse mole-cole e overespressione di alcuni microRNA;

• dispositivi per studi di biologia molecolare (realtime PCR, sequenziatori, dispositivi per ibri-dizzazione in situ) per l’analisi di tali alterazionigenetiche devono essere disponibili per il labo-ratorio di Anatomia Patologica, eventualmenteanche come “facilities” a cui accedere.

Occorre inoltre che l’Anatomopatologo abbiaun’esperienza consolidata in tecniche genetico-molecolari e in quelle di immunoistochimica conorientamento ormonale. È oggi indispensabile poter fruire di una banca ditessuti congelati idoneamente attrezzata. Il volume di attività necessario per ottenere il ri-conoscimento di una dimensione di eccellenza èdi circa 200 resezioni per anno.

Strumentazioni necessarie e volumi di attività rac-comandati per Servizi di Endoscopia DigestivaIn un Centro che esegua attività diagnostica diecoendoscopia, ERCP e posizionamento di pro-tesi, la dotazione strumentale minima disponibiledeve comprendere:• 1 videoecoendoscopio diagnostico radiale;• 1 videoecoendoscopio operativo settoriale;

neoplastica, quando necessaria, durante l’in-tervento chirurgico o per la valutazione deimargini di resezione chirurgica o per rispon-dere in genere a eventuali quesiti le cui rispostepossono modificare l’atto operatorio;

• 1 Unità di Surgical Pathology che applichi cri-teri di campionamento standard e di referta-zione protocollata. Questa deve includere:- la dimensione del tumore,- i suoi rapporti con le strutture intrapancrea-

tiche ed extrapancreatiche, compresi i mar-gini di resezione,

- l’istotipo,- il grading morfologico,- il numero di linfonodi isolati (come minimo

10),- il profilo immunofenotipico della cellularità

neoplastica;• un volume di attività di almeno 50 resezioni

per anno.

Per riconoscere una dimensione di eccellenza inquesta patologia occorre che la struttura di Ana-tomia Patologica disponga di:• una funzione di immunoistochimica, possibil-

mente automatizzata per assicurare la ripro-ducibilità;

• pannelli anticorpali più ampi, che comprendanoper gli adenocarcinomi duttali anticorpi anti-fattori di crescita e di adesione ed enzimi e per itumori endocrini anticorpi anti-marcatori or-monali specifici, utili nella caratterizzazione deitipi cellulari tumorali. In particolare, si ricordache per i tumori endocrini la classificazionemorfo-funzionale definitiva di un tumore en-docrino del pancreas dovrebbe prendere in con-siderazione: oltre alla sindrome clinica indottada, o associata con, un tumore e alla determina-zione della concentrazione ematica degli ormoni,per identificare gli ormoni secreti dal tumore,

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multidisciplinari che comprendano Gastroente-rologia/Endoscopia Interventistica, Chirurgia Spe-cialistica, Radioterapia e Oncologia Medica. Inol-tre, la possibilità di valutare e trattare i pazientinell’ambito di studi clinici controllati rappresenta,anche in contesti di alta specializzazione, un ele-mento discriminante per la valutazione di eccel-lenza.Il trattamento della malattia avanzata, d’altrocanto, si avvale essenzialmente dell’esperienzadell’Oncologo Medico direttamente coinvolto nellagestione del paziente (almeno 20 pazienti/anno),della standardizzazione delle procedure (linee guidainterne, algoritmi di trattamento codificati, pro-tocolli di trattamento aderenti agli standard inter-nazionali) e della disponibilità di figure professio-nali di supporto alla gestione integrata del paziente(palliativista/terapista del dolore, gastroentero-logo/nutrizionista, psicologo, personale infermie-ristico dedicato ecc.). La possibilità di valutare etrattare i pazienti nell’ambito di studi clinici con-trollati rappresenta un elemento discriminante perla valutazione di eccellenza.

Criteri per l’accreditamento/valutazione del-l’eccellenza di strutture di Radioterapia coin-volte nel trattamento dei tumori pancreaticiI Centri impegnati nel trattamento radiante del-l’adenocarcinoma pancreatico dovranno essere do-tati di TC-Simulatore per la pianificazione di Ra-dioterapia Conformazionale 3D. I controlli diqualità dovranno permettere l’esame dei piani dicura e i dati dosimetrici di ogni trattamento ra-diante eseguito. I piani di cura dovranno esseredefiniti sul tumore (gross tumor volume, GTV),sul tumore clinicamente definibile (clinic targetvolume, CTV) e sul volume pianificato come ber-saglio (planning target volume, PTV). La dose do-vrà essere stabilita entro il range considerato stan-dard (da 50 a 60 Gy, in frazioni giornaliere di

• 2 duodenoscopi a visione laterale a largo canale;• 2 videogastroscopi a largo canale.Devono inoltre essere ovviamente disponibili i re-lativi accessori endoscopici (incluso un adeguatonumero di protesi) e materiali di consumo.Va considerato con attenzione, inoltre, il problemadella formazione/competenza degli operatori e dellivello di esperienza del Centro nel suo complesso. Il numero di procedure necessario per acquisire lanecessaria competenza non è definito da un corpodi evidenze di letteratura, ma, basandosi sul pareredi esperti, sulle esperienze dei programmi di train -ing e su alcune linee guida. Si può ritenere che lasoglia minima di competenza per prevedere un’au-tonomia operativa possa essere di circa 150 proce-dure sia per l’ERCP sia per l’EUS.Una volta raggiunta la competenza si può stimareche per ogni operatore sia preferibile mantenereun volume di attività annuo di circa 100 procedureper l’ERCP e di 200 per l’ecoendoscopia. Poichéper mantenere la continuità è necessaria la forma-zione di almeno 2 operatori, si può dedurre che ivolumi minimi di attività di un Centro dovrebberoessere di circa 200 procedure per l’ERCP e di 400procedure per l’EUS. Ovviamente tali numerihanno valore indicativo, in quanto molte sono levariabili che possono influire sull’acquisizione esul mantenimento della competenza.

Criteri per l’accreditamento/valutazione dell’ec-cellenza di strutture di Oncologia Medica coin-volte nel trattamento dei tumori pancreaticiLa complessità e la multidisciplinarietà richiestadai trattamenti integrati dell’adenocarcinoma pan-creatico resecabile, borderline e localmente avan-zato pur in assenza di standard terapeutici chiara-mente definiti e condivisi in questo “setting” dimalattia rendono sconsigliabile il trattamento diforme potenzialmente curabili al di fuori di Centriad alta specializzazione ove siano disponibili teams

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Figura 6.2 Sospetto diagnostico di adenocarcinoma pancreatico.

Sospetto diagnostico di adenocarcinoma pancreatico

- Valutazione clinica: presenza di ittero ostruttivo, calo ponderale, dolore addominale, recente insorgenza di diabete mellito o peggioramento di diabete pre-esistente- Esami diagnostici di primo livello: ecografia dell’addome (con mezzo di contrasto) e dosaggio del CA 19/9 sierico- Esami diagnostici di stadiazione: TAC addome con mezzo di contrasto, eventuale RM con colangiowirsung-RM, eventuale ecoendoscopia

MALATTIA LOCALIZZATA MALATTIA METASTATICA

Progressione

Seconda linea chemioterapica

RIVALUTAZIONE COLLEGIALEChirurgia radicale + chemioterapia

o chemioradioterapia adiuvante

Follow -up: ECO,

TAC/RM, CA 19/9

ProgressioneNon resecabile in assenza di metastasi

PROSEGUE TRATTAMENTO

Resecabile radicalmente

MALATTIA LOCALMENTE AVANZATA

CHEMIOTERAPIA SISTEMICA e/o RADIOCHEMIOTERAPIA

CHEMIOTERAPIA PALLIATIVA

Conferma isto/citologica

RIVALUTAZIONE COLLEGIALE

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100% del volume; per il midollo spinale la doseda non superare dovrà essere di 45 Gy. Il tratta-mento dovrà essere erogato con Acceleratore Li-neare con energia non inferiore a 6 MV. È auspi-cabile lo sviluppo di tecnologie avanzate quali Ac-celeratore Lineare con tecnologia IMRT, Tomo-terapia e Stereotassi.

6.14. Flow-charts (Figure 6.2 e 6.3)

1,8-2,0 Gy). La dimensione del PTV dovrà esseresempre in relazione alla dose erogata agli organisani adiacenti. Ogni trattamento sarà accettabilequando l’irradiazione al PTV sarà in accordo conle direttive dell’International Council for RadiationUnits (ICRU) 50. La dose ai tessuti sani adiacentinon dovrà superare: per i reni 50 Gy al 33%, 30Gy al 67% e 23 Gy al 100% del volume; per ilfegato 50 Gy al 33%, 35 Gy al 67% e 30 Gy al

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Neoplasie del pancreas 6

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Figura 6.3 Neoplasie cistiche del pancreas: algoritmo diagnostico/terapeutico

Paziente asintomatico

RM con CWRM

Tumore cistico sieroso

Tumore cistico

mucinoso

IPMN

Tumore solido pseudo-papillare

Diagnosi clinico-laboratoristico-

radiologica (Eco, Eco con mdc)

di tumore cistico

Paziente sintomatico

Intervento

Intervento

Diametro < 3 cm

assenza di caratteri

sospetti

Sorveglianza ogni 6 mesi

CEA > 200verosimile tumore cistico mucinoso

CEA < 200verosimile tumore

cistico sieroso

Diametro > 3 cm

presenza di caratteri

sospetti

Diametro > 3 cm priva

di caratteri sospetti

Ecoendoscopia con dosaggio

CEA intracistico

Intervento

Intervento

Intervento

Sorveglianza fino a 4 cm

Intervento

Tumore endocrino

cistico

Diagnosi preoperatoria

dubbia

Dosaggio markerOctreoscan

Intervento

Periferico

Centrale/misto

Intervento

Sorveglianza (RM con CWRM;

marker)

Diametro < 3 cmassenza di noduli

Pareti sottili CA 19/9 nei limiti

Diametro > 3 cmpresenza di noduli

Pareti spesse Aumento del CA 19/9

Diametro > 4 cm

Diametro < 4 cm

Intervento

Sorveglianza annualeRM con marker CWRM

Incremento diametro

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Neoplasie del pancreas 6

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Ministero della Salute

120

Diagnosi

Stadiazione

Ecografia

TC

RM e CWRM

ERCP

PTC

Ecoendoscopia

Ecografia

TC

Indicata

Indicata

Indaginespecialistica

Indaginespecialistica

Indaginespecialistica

Indaginespecialistica

Indicata

Indicata

Prima indagine nel caso di sospetto clinico (es. ittero, doloreaddominale). È in grado di visualizzare la massa pancreatica,anche se di piccole dimensioni (< 2 cm) con buona sensibilità.Evidenzia la dilatazione delle vie biliari e/o del dottopancreatico principale. Può fornire elementi utili ai fini della diagnosi differenziale con le formazioni espansiverelativamente più rare, quali i tumori cistici, i tumorineuroendocrini e le “mass forming pancreatitis”

È dotata di elevata sensibilità, anche per masse di piccoledimensioni. Evidenzia la dilatazione delle vie biliari e/o del dotto pancreatico principale. Fornisce utili elementi per la diagnosi differenziale con le formazioni espansive rare,quali i tumori cistici, i tumori neuroendocrini e le “mass forming pancreatitis”

Presenta sensibilità simile a quella della TC. Ottimalevisualizzazione delle vie biliari e del dotto pancreaticoprincipale con CWRM. Utile nella diagnosi differenziale,soprattutto nel caso di tumori cistici

Indicata in casi selezionati e complessi nei quali le indaginiprecedenti non siano pervenute a una conclusione diagnostica(patologia della papilla e/o del duodeno, potendo consentire in questi casi un prelievo bioptico mirato). La ERCP trova la sua indicazione fondamentale nelle procedure interventistichee in particolare nell’applicazione di protesi biliari in caso di itteroostruttivo

Non trova applicazione diagnostica, ma solo di tipointerventistico con l’introduzione per via percutaneatransepatica di cateteri e protesi biliari per il trattamentopalliativo delle stenosi neoplastiche

Utile soprattutto per la diagnosi differenziale (tumori della papilla)

Può evidenziare metastasi epatiche e segni di infiltrazionevascolare (Color Doppler)

È l’indagine più accurata. Valuta la presenza di segni di invasioneextrapancreatica nel tessuto adiposo peripancreatico, l’invasionedi organi adiacenti, l’occlusione, la stenosi, l’incarceramentodei vasi maggiori (tripode celiaco, arteria epatica, arteriamesenterica superiore, vena porta e vena mesenterica superiore),le metastasi epatiche e a distanza, i segni di carcinomatosiperitoneale

Procedure diagnostiche per le neoplasie del pancreas

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Appendice: Diagnostica per immagini

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121

Neoplasie del pancreas 6

(segue)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Follow-up

RM

Ecoendoscopia

PET/TC

Ecografia

TC

RM

PET/TC

Indaginespecialistica

Indaginespecialistica

Indaginespecialistica

Indicata

Indicata

Indaginespecialistica

Indaginespecialistica

Normalmente non necessaria. Può essere effettuata solo se il quadro TC non è conclusivo

Normalmente non necessaria. Può essere effettuata in casi dubbi

Normalmente non necessaria. Può essere effettuata in caso di imaging morfologico dubbio e non risolutivo

Utile per una prima valutazione “locale” e “a distanza” (fegato).Precisa lo stato delle vie biliari

Consente una valutazione più obiettiva della situazione localedopo intervento chirurgico e/o chemioradioterapico. Consentela valutazione di eventuali metastasi epatiche e a distanza

Normalmente non necessaria. Può essere effettuata solo se il quadro TC non è conclusivo

Consente una valutazione precoce della risposta al trattamentochemioterapico. Consente la ricerca di localizzazioni di malattia in caso di aumento dei marcatori tumorali (CA 19/9, CEA) con imaging negativo o dubbio e non risolutivo. Consente la definizione del volume di tessuto metabolicamente attivo in previsione di trattamenti radioterapici conformazionali

In ottemperanza al D.Lgs 187/00, la scelta dell’esame da effettuare deve essere fatta considerando metodiche e tecniche idonee a ottenere il maggior bene-ficio clinico con il minimo detrimento individuale e della collettività. Devono quindi essere privilegiate quelle tecniche e metodiche che comportano, a paritàdi obiettivo diagnostico, una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.

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7. Linfomi

razioni profuse notturne; calo ponderale su-periore al 10% in un tempo inferiore ai 6 mesi;prurito sine materia];

• linfoadenopatia persistente (oltre 4 settimane)di dimensioni superiori a 1,5 cm in assenza dicause locali che ne giustifichino lo sviluppo;

• incremento volumetrico di una o più linfoa-denopatie nello spazio di poche settimane;

• comparsa di nuove linfoadenopatie;• alterazioni dei parametri di laboratorio (ane-

mia, linfocitosi, aumento del valore della lat-ticodeidrogenasi (LDH) sierica e/o della velo-cità di eritrosedimentazione (VES);

• impegno delle strutture adenopatiche profondetoraciche e/o addominali alla TC.

In alcuni casi, in funzione di un esordio linfono-dale particolare o in presenza di sospetta localiz-zazione extralinfonodale, la diagnosi viene postaattraverso l’ausilio di:• biopsia ecoguidata o laparoscopia se presenti

esclusivamente linfonodi addominali profondi;• biopsia in corso di broncoscopia per un so-

spetto linfoma primitivo polmonare;• biopsia in corso di esofagoduodenoscopia

(EGDS) per un sospetto di linfoma gastrico;• biopsia mediastinica transparietale o media-

stinostomia per un sospetto di linfoma me-diastinico.

7.1. Incidenza e mortalità

Il linfoma non-Hodgkin (LNH) è più frequente neisoggetti maschi, con un rapporto di 1,4:1 tra i duesessi. L’età mediana di insorgenza è compresa tra i50 e i 60 anni, ma l’incidenza aumenta con l’au-mentare dell’età. L’incidenza globale è stimata incirca 30-35 casi/anno/100.000 abitanti e recentistudi epidemiologici hanno mostrato un incrementodel 50% negli ultimi 15 anni. Il tasso di mortalità èdi circa l’11% per i maschi e del 7% per le femmine.Al contrario, il linfoma di Hodgkin (LH) ha la stessadistribuzione nei due sessi; la fascia d’età più inte-ressata è quella fra i 15 e 30 anni, con un secondopicco nella sesta decade di vita. L’incidenza del LHè di circa 2,7 casi/anno/100.000 abitanti. Nello stessoperiodo il tasso di mortalità è stato dello 0,4‰ peri maschi e del 3‰ per le femmine, con un trend inprogressiva discesa rispetto ai due lustri precedenti.

7.2. Diagnosi

Nei linfomi maligni la diagnosi deve essere sempreistologicamente documentata sulla base di unabiopsia linfoghiandolare. Indicazioni per eseguirela biopsia linfoghiandolare sono:• presenza di sintomi sistemici [febbricola/febbre

serotina (in assenza di infezioni in atto); sudo-

n. 3, maggio-giugno 2010

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todiagnostica/Divisione Italiana dell’InternationalAcademy of Pathology (SIAPEC/IAP) all’indirizzowww.siapec.it. In tale documento, scaturito dalconsenso fra i Gruppi che in Italia si occupano tra-dizionalmente di Ematopatologia, vengono definitele modalità ottimali di campionamento, fissazione,processazione, taglio e colorazione del materialebiologico in base al tipo di biopsia praticata. Unelemento sul quale esiste pieno consenso a livellonazionale e internazionale è l’assoluta inadeguatezzadell’agoaspirato a supportare un adeguato approcciodiagnostico.

Principi diagnostico-classificativi. La REAL Clas-sification ha introdotto il concetto secondo il qualei linfomi corrispondono a distinte entità patologi-che, la cui diagnosi richiede l’interpolazione deiseguenti fattori: morfologia, profilo fenotipico, ca-ratteristiche molecolari, citogenetica e informazionicliniche. Tale assunto è stato fatto proprio dal-l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che lo hacodificato nella WHO Classification of Tumours ofthe Haematopoietic and Lymphoid Tissues. In parti-colare, nell’attuale versione della classificazionesono compresi tutti i più recenti criteri (morfolo-gici, immunofenotipici e molecolari) necessari perla diagnosi dei linfomi, la definizione dei fattoridi rischio, l’identificazione di bersagli terapeuticie il monitoraggio della malattia.

Organizzazione retiforme e Centri di riferi-mento. Considerazioni che sono di ordine econo-mico e di esperienza professionale hanno portatomolti Paesi europei (quali la Germania e la Francia)all’istituzione di Centri di riferimento per lo studiodei linfomi. Il primo di questi fu il Lymphome Pro-gramm in Germania, seguito a breve dai networkin Francia dello GELA e del GOELAMS. La mis-sione di ciascuna Struttura di Anatomia Patologicapresente sul territorio nazionale deve consistere, in-

7.3. Anatomia patologica e biologia molecolare

La diagnostica dei tumori del tessuto linfatico,distinti per ragioni storiche e di presentazione cli-nica nei LH e nei LNH, trova alla propria basetre elementi fondamentali: l’appropriato tratta-mento del materiale bioptico, l’applicazione diadeguati e attuali principi classificativi e l’istitu-zione di una rete, con punti di riferimento in ana-logia con quanto avviene in altri Paesi europei.

Trattamento dei campioni bioptici. Costituisceun passo di importanza essenziale, anche in fun-zione di assicurare al paziente la più alta probabilitàdi guarigione e governare la spesa farmaceutica. In-fatti, mentre la certezza diagnostica condiziona daun lato sia la scelta terapeutica che il giudizio pro-gnostico, dall’altro l’utilizzazione – destinata a di-venire sempre più frequente – di farmaci “intelli-genti” richiede la preventiva identificazione del ber-saglio contro il quale questi sono diretti. Esiste,inoltre, una chiara tendenza allo sviluppo di tecni-che farmaco-genomiche capaci di consentire unavera “tailored therapy”, cioè la somministrazionedei farmaci sulla base delle caratteristiche patobio-logiche del processo del quale il singolo malato èportatore, con le conseguenti ricadute in terminidi efficacia terapeutica e di appropriatezza dellaspesa. L’approccio che soddisfi le esigenze di cuisopra impone l’ottimale gestione della biopsia ema-topatologica al fine di assicurare l’adeguata conser-vazione, sia dei dettagli citologici che delle caratte-ristiche molecolari [per indagini immunoistochi-miche, di ibridazione in situ (in situ hybridization,ISH), di biologia molecolare convenzionale, pro-teomiche, genomiche ecc.]. Linee guida molto pre-cise per il trattamento dei vari tessuti interessati daun linfoma sono state fornite dal Gruppo Italianodi Ematopatologia (GIE) e sono reperibili sul sitodella Società Italiana di Anatomia Patologica e Ci-

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7Linfomi

• biopsia osteo-midollare monolaterale dalla cre-sta iliaca posteriore;

• Rx standard del torace;• ecografia addominale;• TC collo-torace-addome-pelvi con mezzo di

contrasto. RM in caso di intolleranza al mezzodi contrasto;

• PET/TC total body;• esame completo dell’anello di Waldeyer com-

prensivo di indagine fibroscopica.Procedure su indicazione clinica:• TC/RM cerebrale, scintigrafia scheletrica, eco-

grafia testicolare, studio radiologico e/o endo-scopico del tratto gastroenterico, esame citolo-gico chimico-fisico del liquido cefalo-rachidiano(da eseguire sempre nei pazienti con documen-tata localizzazione del linfoma a livello del si-stema nervoso centrale, del testicolo, delle re-gioni paravertebrali/vertebrali, con localizza-zione dei seni paranasali e, inoltre, nelle seguentiistologie: linfoma a cellule T, linfoma di Burkitt,linfoma linfoblastico, linfoma mantellare, lin-foma primitivo del mediastino). Tutte questeindagini sono specifiche per la presenza di de-terminate localizzazioni extranodali.

Le indagini suddette permettono l’identificazionedello stadio di malattia come definito dalla classi-ficazione di Ann Arbor/Cotswold (Tabella 7.1).In termini di suddivisione in stadi e fattori di ri-schio (“risk assessment”) al momento gli score in-ternazionalmente riconosciuti sono:• classificazione di Ann Arbor/Cotswold, messa a

punto per il LH ma utilizzata anche per i LNH;• International Prognostic Score (IPS) per il LH

(Tabella 7.2);• fasce convenzionali di rischio del LH (Tabella 7.3); • International Prognostic Index (IPI) per i linfomi

aggressivi (Tabella 7.4);• Follicular Lymphoma International Prognostic Index

(FLIPI) per i linfomi follicolari (Tabella 7.5).

nanzitutto, nella gestione ottimale del materialebioptico. È tuttavia impensabile che ciascuna diqueste sia provvista delle risorse e dell’esperienzaper far fronte alla completa diagnostica dei linfomimaligni. Infatti, il Servizio che diagnostica dai 20ai 50 casi di Emolinfopatologia l’anno non può es-sere confrontabile in questi ambiti con Unità Ope-rative Specialistiche che raccolgono fino a 10.000casi nell’arco di 12 mesi. Le indagini di più elevatolivello (immunoistochimiche con marcatori alta-mente selettivi, di ISH, di FISH, di biologia mole-colare, di proteomica e di genomica), in conside-razione dei costi degli strumenti e dei reagenti,nonché del livello di formazione del personale aesse destinate, richiedono necessariamente la con-centrazione in Strutture di riferimento che garan-tiscano l’assoluto standard qualitativo e il ritornodegli investimenti in termini di economia di scala.

7.4. Stadiazione e “risk assessment”

Stadiazione. Nel momento in cui si ha una dia-gnosi istopatologica di LNH o di LH si avvianole procedure di stadiazione del linfoma (vedi Ap-pendice). Questa fase di mappatura è molto im-portante per due motivi:• è fondamentale conoscere l’esatta diffusione

del linfoma e quindi la taglia tumorale per de-finire un approccio terapeutico ben definito eritagliato per ogni singolo paziente;

• avere un dato basale per confrontarlo con lavalutazione intermedia e finale per determinarein maniera precisa il tipo di risposta ottenuta.

Procedure obbligatorie:• esame obiettivo;• esami di laboratorio: emogramma con formula,

VES, LDH, protidemia con elettroforesi, immu-nodiffusione (in caso di componente monoclo-nale, immunofissazione sierica), funzione epaticae renale, uricemia, glicemia, HBV, HCV, HIV;

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Tabella 7.1 Classificazione in stadi secondo AnnArbor/Cotswold

STADIO I: Interessamento di una singola regione linfonodaleoppure interessamento limitato di un singolo organo o sede ex-tranodale (IE)STADIO II: Interessamento di due o più sedi regioni linfonodalidalla stessa parte del diaframma, oppure interessamento limitatodi un organo o sede extralinfonodale e di una o più sedi linfono-dali dalla stessa parte del diaframma (IIE). Il numero di regionilinfonodali coinvolte può essere indicato con un suffisso (es: II3).STADIO III: Interessamento di più regioni linfonodali da entrambele parti del diaframma eventualmente associate a interessamentodi una sede o organo extralinfonodale (IIIE), della milza (IIIS), odi entrambi (IIISE)III1: con coinvolgimento della milza, dei linfonodi celiaci o dell’ilosplenico o periportaliIII2: con coinvolgimento dei linfonodi para-aortici, iliaci o me-senterici STADIO IV: Interessamento diffuso o disseminato di uno o piùorgani extralinfonodali la cui compromissione supera quella de-signata come “E” (v. sotto), con o senza interessamento di unao più regioni linfonodali

Necessario definire le sedi di coinvolgimento addominale conalmeno due metodiche di imaging

Suffissi aggiuntivi “B” Presenza di segni sistemici di accompagnamento (febbre,

sudorazioni notturne, calo ponderale > 10% del peso abi-tuale negli ultimi sei mesi non altrimenti spiegabile)

“A” Assenza dei segni sistemici sopra elencati “E” Singola struttura extralinfonodale contigua a una sede lin-

fonodale nota “X” Malattia bulky: massa mediastinica con diametro massimo

> 1/3 del diametro toracico valutato a livello di T5-T6, e/osingola adenopatia/conglomerato linfonodale con diametrosuperiore a 10 cm

Tabella 7.2 Indice prognostico internazionale per LHin stadio avanzato (IPS)

N. fattori % FFP a 5 anni % OS 5 anni

0 84 ± 4 89 ± 21 77 ± 3 90 ± 22 67 ± 2 81 ± 23 60 ± 3 78 ± 34 51 ± 4 61 ± 4≥ 5 42 ± 5 56 ± 5

oppure per gruppi

N. fattori % FFP a 5 anni % OS 5 anni

0-3 70 ± 2 83 ± 1≥ 4 47 ± 2 59 ± 2

FFP, freedom from progression; OS, overall survival.

Fattori di rischio: 1) albumina sierica < 4 g/dl, 2) emoglobina < 10,5 g/dl, 3) sesso maschile,4) stadio IV, 5) età ≥ 45 anni, 6) leucociti ≥ 15.000/mm3, 7) linfociti < 600/ mm3.

Tabella 7.3 Fasce convenzionali di rischio nel LH (criteri EORTC/GELA)

Stadi precoci (IA e IIA)

Stadi avanzati (IB, IIB, III, IV)

Favorevoli

Sfavorevoli

Score IPS ≤ 2verso Score ≥ 3

Assenza di tutte le seguentivariabili: ≥ 4 aree linfonodalicoinvolte; ≥ 50 anni; VES ≥ 50; localizzazioni bulkyPresenza di una o più dellevariabili sopra indicateVedi Tabella 7.2

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Tabella 7.4 Indice prognostico internazionale per LNH aggressivi (IPI)

IPI

Gruppo di rischio N. fattori % RFS 5 anni % OS 5 anni

Basso 0-1 70 73Basso-Intermedio 2 50 51Intermedio-Alto 3 49 43Alto 4-5 40 26

Fattori di rischio: 1) età > 60 anni, 2) incremento LDH, 3) performance status > 2, 4) Stadio Ann Arbor III-IV, 5) coinvolgimento > 1 sede extranodale.

IPI aggiustato per età (aaIPI), per pazienti di età < 60 anni

Gruppo di rischio N. fattori % RFS 5 anni % OS 5 anni

Basso 0-1 73 77Intermedio 2 66 51Alto 3 22 30

Fattori di rischio: 1) incremento LDH, 2) performance status > 2, 3) Stadio Ann Arbor III-IV.

IPI applicato a pazienti trattati con chemioterapia e immunoterapia (“revised IPI”, R-IPI)

Gruppo di rischio N. fattori % RFS 5 anni % OS 5 anni

Basso 0 94 94Intermedio 1-2 80 79Alto ≥ 3 53 55

Fattori di rischio: 1) età > 60 anni, 2) incremento LDH, 3) performance status > 2, 4) Stadio Ann Arbor III-IV, 5) coinvolgimento > 1 sede extranodale.

RFS, relapse free survival; OS, overall survival.

Tabella 7.5 Indice prognostico internazionale per i linfomi follicolari (FLIPI)

Gruppo di rischio N. fattori % OS 5 anni % OS 10 anni Rischio relativo

Basso 0-1 91 71 1Intermedio 2 78 51 2,3Alto ≥ 3 53 36 4,3

Fattori di rischio: 1) età > 60 anni, 2) Stadio Ann Arbor III-IV, 3) Emoglobina < 12 g/dl, 4) coinvolgimento > 4 sedi linfonodali, 5) incremento LDH.

OS, overall survival.

Linfomi 7

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Tabella 7.6 Terapia del linfoma di Hodgkin

Gruppi di pazienti Terapia

Stadi precoci (IA e IIA) favorevoliStadi precoci (IA e IIA) sfavorevoliStadi avanzati (IB, IIB, III, IV)

Anziani (> 70 anni)

Terapia di seconda linea (salvataggio)

3-4 cicli ABVD + RT involved field 30 Gy4-6 cicli ABVD + RT involved field 30 Gy 6-8 cicli ABVD ± RT sulle aree bulky• Evitare l’associazione di RT involved field sistematica post-chemioterapia• Non fragili in stadio precoce: 2-4 ABVD + RT involved field 30 Gy • Non fragili in stadio avanzato: 6 ABVD • Fragili: schemi a intensità ridotta e/o radioterapia palliativa• Debulking con chemioterapie che consentano reclutamento e congelamento di cellule

staminali periferiche (DHAP, IGEV, ICE, HDS ecc.) seguito da successivo autotrapianto• I pazienti non responsivi alla chemioterapia di debulking possono beneficiare di un

doppio autotrapianto o di un trapianto allogenico

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dioterapia a campi estesi. Ciò vale anche per glistadi precoci favorevoli. Una strategia combinatadi chemioterapia e radioterapia è quindi consideratalo standard delle forme sia favorevoli che sfavorevoli.In associazione a 4 cicli di chemioterapia ABVD oABVD-like, una radioterapia extended field non ènecessaria ed è sufficiente una radioterapia involvedfield a 30 Gy. I risultati non ancora consolidati deltrial HD11 del gruppo cooperativo tedesco orien-tano a pensare che, in associazione a 2 o 4 ABVD,dosi di radioterapia anche di soli 20 Gy siano suf-ficienti. Un’ulteriore riduzione dei campi di radio-terapia dall’involved field all’involved nodal irradia-tion è attualmente in fase di indagine da parte distudi internazionali. Nelle forme favorevoli non èal momento dimostrata l’equivalente efficacia dischemi chemioterapici meno aggressivi dell’ABVD,pur essendo in corso un importante studio delgruppo cooperativo tedesco sull’argomento. Nelleforme sfavorevoli non è dimostrato che strategiechemioterapiche più aggressive di 4 ABVD, qualiper esempio 4 BEACOPP oppure 2 BEACOPP +2 ABVD, siano superiori, come emerge da datipreliminari del gruppo cooperativo tedesco (trialsHD11 e HD14). Il tentativo di abolire la radiote-rapia, incrementando il numero di cicli chemiote-rapici ad almeno 6, ha prodotto risultati contra-

7.5. Terapia del linfoma di Hodgkin (Tabella 7.6)

L’uso combinato di chemioterapia e radioterapiapermette oggi di raggiungere percentuali di gua-rigione superiori all’80%, con variazioni sulla basedello stadio iniziale. L’alto tasso di guarigioni im-pone grande attenzione nell’evitare effetti colla-terali a distanza. Per quanto riguarda la chemio-terapia sono da valutare, oltre al rischio di leuce-mie secondarie e sterilità indotte dagli alchilanti,anche altre tossicità d’organo come quella pol-monare della bleomicina o quella cardiaca delleantracicline. D’altro canto, il ruolo della radiote-rapia, che è stata per decenni il cardine del tratta-mento, è ora in fase di ridimensionamento per leseguenti evidenze: a) maggior numero di recidivenegli stadi precoci dopo trattamento con radiote-rapia da sola, con teorica necessità di stadiazionepatologica (laparosplenectomia); b) presunto in-cremento a distanza di neoplasie secondarie interritorio irradiato. La miglior strategia terapeuticaè perciò quella che per ogni situazione combinaentità e dosi di chemioterapia e radioterapia nellaforma più efficace, ma meno tossica possibile.

Stadi localizzati (IA e IIA). L’associazione di che-mioterapia e radioterapia è superiore alla sola ra-

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Pazienti anziani. I soggetti con più di 70 annihanno una prognosi peggiore per la difficoltà aessere trattati in modo adeguato e ottenere unaremissione completa. I pazienti che entrano in re-missione hanno tuttavia un relapse free survivalsimile a quello dei giovani e la guarigione non èimpossibile. Chemioterapie più intense del-l’ABVD sono inaccettabili. Gli schemi di che-mioterapia a intensità ridotta rispetto all’ABVDsono ben tollerati, ma producono risultati inferioriin termini di efficacia. I pazienti giudicati “fit” sipossono avvalere della stessa chemioterapia ABVDutilizzata per i giovani, mentre per quelli consi-derati fragili possono essere utili cicli a ridotta in-tensità e/o radioterapia palliativa.

Terapia di seconda linea. La resistenza alla terapiadi prima linea e la recidiva entro i primi 12 mesicostituiscono un pessimo fattore prognostico. Lachemioterapia di salvataggio convenzionale offrein questi casi risultati deludenti e un approccio conchemioterapia ad alte dosi con supporto di cellulestaminali autologhe è da preferire. La chemioterapiaconvenzionale senza autotrapianto dovrebbe perciòessere riservata a pochi casi selezionati, recidivatidopo sola radioterapia o molto tardi. L’approcciosuggerito è una chemioterapia di debulking conschemi che contengano farmaci non cross-resistenti(citarabina o ifosfamide in particolare) e che con-sentano il reclutamento e il congelamento di cellulestaminali periferiche (es. DHAP, IGEV, ICE, altedosi sequenziali ecc.). A questa fase iniziale si faquindi seguire una terapia ad alte dosi seguita dareinfusione delle cellule staminali autologhe prece-dentemente raccolte e congelate (lo schema di con-dizionamento più in uso è il BEAM). I pazientiche non raggiungono la negatività PET dopo lachemioterapia iniziale di debulking e prima del-l’autotrapianto hanno la prognosi peggiore e po-trebbero beneficiare di un doppio autotrapianto o

stanti in differenti studi, la maggior parte dei qualitende però a confermare un vantaggio in terminidi relapse free survival della terapia combinata ri-spetto alla chemioterapia da sola. Sulla base diquanto espresso, le strategie consigliate dalle prin-cipali linee guida internazionali sono: • stadi precoci favorevoli: 2 o 4 cicli ABVD se-

guiti da radioterapia involved field a 30 Gy; • stadi precoci sfavorevoli: 4 o 6 cicli ABVD se-

guiti da radioterapia involved field a 30 Gy.

Stadi avanzati (IIB, III, IV). La prognosi deglistadi avanzati è meno favorevole e più del 20% dicasi non risponde o recidiva dopo la terapia diprima linea con ABVD, che costituisce da annil’approccio chemioterapico standard, in numerodi 6-8 cicli seguiti da radioterapia sulle aree a ri-sposta incompleta e/o inizialmente bulky. Il BEA-COPP intensificato si dimostra superiore in ter-mini di remissioni e freedom from progression ri-spetto al COPP-ABVD e all’ABVD, ma è gravatoda maggiore tossicità e la sua capacità di otteneremiglioramenti complessivi di sopravvivenza è dub-bia. Due studi randomizzati del GELA e del-l’EORTC dimostrano che l’utilizzo sistematicodella radioterapia involved field dopo 6 o 8 ciclidi chemioterapia non migliora i risultati ed è per-ciò da evitare nei pazienti in risposta completa altermine della chemioterapia. Più controversa è lanecessità di irradiare le aree bulky iniziali, anchese i risultati, per il momento preliminari, dellostudio tedesco HD12 sembrano suggerire la pos-sibilità di risparmiare questo tipo di irradiazione.La recente valorizzazione del ruolo prognosticodella negatività PET dopo 2 soli cicli di chemio-terapia suggerisce l’utilità di una modulazionedella terapia sulla base della PET precoce, maquesta strategia dovrebbe per il momento esserelimitata a studi clinici controllati e non far giàparte della strategia convenzionale.

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con sclerosi, del linfoma mantellare, del linfomadi Burkitt, del linfoma linfoblastico e del linfomaa cellule T periferiche non altrimenti specificato.Il ruolo della radioterapia e quello del trapiantodelle cellule staminali saranno trattati nell’ambitodi capitoli specifici. Per quanto riguarda la suddi-visone terapeutica del linfoma diffuso a grandicellule (“risk assessement”), attualmente vienestratificata in funzione di due importanti para-metri: l’età (< o ≥ 60 anni) e l’indice prognosticointernazionale (IPI). Vengono pertanto identificati3 grandi gruppi terapeutici:• pazienti con età < 60 anni e IPI 0-1;• pazienti con età < 60 anni e IPI ≥ 2;• pazienti con età ≥ 60 anni.

Terapia degli stadi localizzati e avanzati abasso rischio (età < 60 anni e IPI 0-1). Stadiiniziali I-II senza malattia bulky: lo standard diriferimento consiste nella chemioimmunoterapiaR-CHOP per 3-4 cicli somministrati ogni 21 oogni 14 giorni. In pazienti cardiopatici con fra-zione di eiezione ridotta all’ecocardiogramma (< 50%), l’adriamicina può essere sostituita conderivati antraciclinici meno cardiotossici (mito-xantrone, doxorubicina liposomiale), oppureomessa in base all’entità della cardiopatia. Il nu-mero di cicli è di 3 o 4, seguiti da radioterapiasulle sedi di malattia (si veda il paragrafo 7.8).L’eventuale omissione della radioterapia in basealla risposta PET non è attualmente da conside-rarsi convenzionale al di fuori di uno studio clinicocontrollato. Stadi I–II con malattia bulky e stadi III-IV senza altrifattori di rischio secondo IPI: lo standard di riferimentoconsiste nella chemioimmunoterapia R-CHOP per6 cicli somministrati ogni 21 o ogni 14 giorni, seguitida radioterapia sulle sedi originariamente bulky.L’eventuale omissione della radioterapia in base allarisposta PET non è attualmente da considerarsi con-

di un primo autotrapianto seguito, se esiste un do-natore HLA compatibile, da un trapianto allogenicoa condizionamento ridotto. La radioterapia puòavere un ruolo solo a scopo palliativo o in caso dimalattia residua linfonodale isolata dopo l’autotra-pianto. Il trattamento di salvataggio è quindi dagestire all’interno o in collaborazione con struttureaccreditate per attività trapiantologica.

7.6. Terapia dei linfomi non-Hodgkin aggressivi

Come premessa è importante ricordare come nel-l’ambito dei linfomi aggressivi, in termini di po-lichemioterapia antiblastica, il regime più comu-nemente utilizzato sia lo schema CHOP (ciclofo-sfamide, adriamicina, vincristina e prednisone);per particolari istotipi – il linfoma primitivo delmediastino con sclerosi, il linfoma di Burkitt e illinfoma linfoblastico – sono stati codificati deiregimi di polichemioterapia specifici. Dalla finedegli anni Novanta la terapia dei linfomi non-Hodgkin a cellule B esprimenti l’antigene CD20è stata significativamente migliorata grazie all’in-troduzione dell’anticorpo monoclonale anti-CD20 (rituximab). Rituximab agisce principal-mente attraverso la lisi cellulare mediata dal com-plemento e l’induzione dell’apoptosi dei linfocitiB. Negli studi clinici condotti sull’utilizzo di ri-tuximab è stata dimostrata un’elevata efficaciadell’anticorpo utilizzato in monoterapia e un ef-fetto sinergico se associato alla chemioterapia. At-tualmente, quindi, nella maggior parte dei linfomia cellule B la prima linea terapeutica si avvale diquella che è stata definita chemioimmunoterapia,ovvero chemioterapia e anticorpo monoclonaleanti-CD20 in associazione. Verranno presentati idiversi trattamenti chemio-immunoterapeutici peril linfoma diffuso a grandi cellule, che rappresental’istotipo più frequente, e, inoltre, le procedureterapeutiche del linfoma primitivo del mediastino

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• ruolo dell’utilizzo delle alte dosi con rescue dicellule staminali come terapia di consolida-mento. Sulla base di queste considerazioni è at-tualmente in corso, sotto l’egida dell’Inter-gruppo Italiano Linfomi, uno studio randomiz-zato di fase III (protocollo “DLCL 04”) di con-fronto tra consolidamento con terapia ad altedosi e rescue autologo dopo terapia “dose dense”verso la sola terapia “dose dense” (RCHOP-14)somministrata a due diversi livelli di dose (R-CHOP standard o R-MegaCHOP).

Terapia di seconda linea. Lo standard di riferi-mento consiste in una fase di induzione con regimechemioterapico contenente farmaci non cross-re-sistenti (es. DHAP, DHAOX, ICE) con quelli uti-lizzati in prima linea, per 3-4 cicli. Nel corso dellafase di induzione vengono effettuate la mobilizza-zione, la raccolta e la criopreservazione delle cellulestaminali e, successivamente nei pazienti responsivi,si esegue il consolidamento ad alte dosi con sup-porto di cellule staminali autologhe, preferibil-mente periferiche. Si veda il paragrafo 7.9 per lemodalità di mobilizzazione e raccolta delle cellulestaminali. I pazienti non avviabili alle alte dosi percomorbilità, età o mancata mobilizzazione/inade-guata dose di cellule staminali ricevono la sola che-mioterapia a dosi standard con un rischio signifi-cativamente più elevato di recidiva. In considera-zione della ridotta mortalità da procedura auto-trapiantologica e dell’assenza di valide alternativeterapeutiche a potenziale curativo, il trattamentoad alte dosi può essere oggi proposto ai pazientifino ad almeno 65 anni d’età.

Approccio al paziente anziano. L’aaIPI è appli-cabile ai pazienti di età superiore ai 60 anni. Inrealtà, oggi il paziente è considerato anzianoquando ha un’età > 65 o anche > 70 anni. L’etàdi per sé non è da considerarsi un fattore progno-

venzionale al di fuori di uno studio clinico controllato(si veda il paragrafo 7.8).

Linfomi primitivi del mediastino. Si tratta di unsottogruppo di linfomi diffusi a grandi cellule bencaratterizzato dal punto di vista clinico-terapeuticoe biologico-molecolare. Nella maggior parte deicasi fanno parte, dal punto di vista dello “scoringsystem”, del secondo gruppo appena trattato, pre-sentando frequentemente malattia bulky mediasti-nica e/o incremento di LDH (IPI 1). Il trattamentoprevede l’utilizzo di una chemioterapia “dose-dense” associata a rituximab, seguita da radioterapiamediastinica (si veda il paragrafo 7.8). Il regimechemioterapico di riferimento è storicamente rap-presentato da MACOP-B per 12 settimane, che inpassato ha fornito risultati migliori rispetto aCHOP o analoghi verosimilmente per la maggioreintensità di dose di adriamicina e ciclofosfamide(riciclate ogni 2 settimane). Con l’avvento del re-gime CHOP “dose-dense” somministrato ogni 14giorni, è verosimile che R-CHOP-14 fornisca ri-sultati paragonabili a R-MACOP-B.

Terapia degli stadi avanzati a rischio interme-dio-alto (età < 60 anni e IPI ≥ 2). La primalinea terapeutica per questo sottogruppo di pa-zienti è lo schema R-CHOP per 6-8 cicli. In ter-mini di intervallo di riciclo (tra un ciclo e il suc-cessivo) l’intervallo di 14 giorni sembra poter darei migliori risultati in termini di “dose intensity”rispetto ai canonici 21 giorni; quindi lo schemada utilizzare è R-CHOP-14 (cioè riciclo ogni 14giorni). Le problematiche per quanto riguarda ilmiglior approccio sono comunque almeno due:• utilizzo di un ciclo standard R-CHOP-14 o

quello di un ciclo CHOP con dosi superioridei singoli chemioterapici (adriamicina e ci-clofosfamide) e quindi potenziato (Mega-CHOP-14);

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nelle casistiche più recenti. Il trattamento devenecessariamente essere intensivo e prevedere l’uti-lizzo di ARA-C a dosi intermedio-alte, di rituxi-mab e di una fase ad alte dosi con supporto dicellule staminali autologhe, oltre al monitoraggiodella malattia residua minima (bcl-1, prodottodella traslocazione 11;14) tramite PCR. Al mo-mento dell’eventuale recidiva sono da prenderein considerazione il trapianto allogenico a condi-zionamento ridotto per i pazienti candidabili e inuovi farmaci ad azione biologica, in particolarebortezomib e lenalidomide. La complessità deltrattamento, la necessità della fase ad alte dosi e ilmonitoraggio della malattia residua minima ren-dono indispensabile la gestione del paziente conlinfoma mantellare in Centri specialistici con ade-guate strutture dedicate.

Terapia del linfoma di Burkitt e del linfomalinfoblastico. Pur rari alle nostre latitudini (non> 4% di tutti i linfomi), sono molto ben caratte-rizzati dal punto di vista biologico, clinico e tera-peutico. La loro aggressività clinica impone un ap-proccio urgente al paziente, analogo a quello delleleucemie acute. All’esordio è indispensabile la va-lutazione del liquido cefalorachidiano e l’inizio deltrattamento in tempi molto rapidi. Indispensabilela gestione del paziente in Centri specialistici di ri-ferimento. Il trattamento deve comprendere le ra-chicentesi terapeutiche con metotrexato e/o ARA-C e steroidi, con frequenza dipendente dalla pre-senza o meno di malattia a livello meningeo. Perl’elevato rischio di sindrome da lisi tumorale dachemioterapia, è preferibile somministrare farmacia basso dosaggio nelle prime fasi del trattamento(ciclofosfamide, vincristina e prednisone), oltre al-l’applicazione degli usuali protocolli di iperidrata-zione, alcalinizzazione ed eventuale terapia antiu-ricemica/uricosurica. I protocolli di trattamentoutilizzati nel linfoma di Burkitt includono: il pro-

stico negativo, purché siano soddisfatti i critericlinici di idoneità al trattamento, volti a definirela fragilità del paziente anziano. Per pianificare iltrattamento non è sufficiente tenere solamenteconto dell’età anagrafica del paziente, ma anchedelle comorbilità e di sistemi più complessi di va-lutazione della fragilità dell’anziano: questi fattorinell’insieme danno luogo alla cosiddetta CGA(Comprehensive Geriatric Assessement), che assegnai pazienti alle categorie “fit” o “frail”. Lo standardterapeutico di riferimento è CHOP + rituximab.Alcuni studi hanno dimostrato come R-CHOP-14 possa dare risultati ancora più soddisfacentianche se, chiaramente, quest’ultimo protocollopuò aumentare la tossicità nel paziente anziano.Il paziente tra i 61 e i 70 anni con il massimo delpunteggio secondo CGA può essere avviato almedesimo trattamento del giovane, compreso ilconsolidamento ad alte dosi per casi ad alto ri-schio. Tra i 70 e gli 80 anni d’età, a parte le altedosi, può essere applicato il medesimo criterio,mentre al di sopra degli 80 anni è mandatoriauna riduzione delle dosi dei farmaci indipenden-temente dalla “fitness” del paziente.

Terapia dei linfomi mantellari. Costituiscononon più del 6-7% di tutti i linfomi e fino a pochianni fa erano considerati tra i sottogruppi a pro-gnosi più infausta. Pertanto – nonostante l’isto-logia “a piccoli linfociti”– sono di fatto da consi-derarsi clinicamente aggressivi. Più spesso si pre-sentano in stadio avanzato con una particolaretendenza alle localizzazioni al tratto gastroenterico,al midollo osseo, al sangue periferico e al sistemanervoso centrale per la variante cosiddetta “bla-stoide”. Attualmente la prognosi di un linfomamantellare nel giovane (< 65 anni) ha possibilitàdi guarigione significativamente migliori rispettoal passato, con sopravvivenza libera da progres-sione fino al 70-80% a due anni dalla diagnosi

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care segni e sintomi quali dolore, linfedema, sensodi ingombro addominale, dispepsia ecc. Il coin-volgimento mediastinico è raro, come quello diorgani extranodali, a eccezione del midollo osseo,che è coinvolto in più del 50% dei casi. Con le te-rapie in uso oggi la sopravvivenza mediana è ap-prossimativamente di 8-10 anni. Le differenti stra-tegie terapeutiche utilizzate fino alla metà deglianni Novanta non hanno influenzato significati-vamente l’aspettativa di vita di tali pazienti. L’in-troduzione degli anticorpi monoclonali anti-CD20, dopo la metà degli anni Novanta, ha pro-fondamente cambiato la prognosi dei linfomi fol-licolari. Negli ultimi anni è stato definito un si-stema prognostico specifico per i linfomi follicolarichiamato FLIPI. Il FLIPI identifica 5 semplici eindipendenti fattori di rischio: numero di sedi no-dali > 4, LDH > norma, età > 60, stadio III-IV edemoglobina < 12 g/dl. Tali fattori permettono diseparare tre gruppi di pazienti con differente pro-babilità di sopravvivenza. Il FLIPI è di rapida e fa-cile applicazione per il clinico ed è diventato es-senziale per un corretto inquadramento progno-stico del paziente e la sua definizione va consideratacome essenziale per l’inquadramento diagnosticodi un paziente con linfoma follicolare.

Indicazioni a iniziare la terapia. Numerosi studihanno evidenziato che ritardare l’inizio del tratta-mento nei pazienti con linfoma follicolare in stadioavanzato, con malattia asintomatica e stabile, noninfluenza la loro sopravvivenza. Questo atteggia-mento di “watch and wait” è ancora oggi validoed è necessario valutare il paziente e iniziare la te-rapia solo in presenza di almeno uno dei seguenticriteri di malattia attiva, secondo linee guida dellaSocietà Italiana di Ematologia (SIE): • sintomi sistemici B;• malattia extranodale;• citopenia conseguente a infiltrazione midollare;

tocollo Magrath, originariamente applicato nell’etàpediatrica (schema CODOX-M +/- in alternanzacon schema IVAC), oppure lo schema Hyper-CVAD. Per il trattamento dei linfomi linfoblastici,si fa oggi riferimento ai regimi utilizzati nella leu-cemia linfoblastica acuta.

Terapia dei linfomi a cellule T periferiche. Rap-presentano il 15% circa di tutti i linfomi non-Hodgkin nel mondo occidentale e storicamentesono legati a una prognosi più infausta rispetto ailinfomi B. L’approccio terapeutico è analogo aquello per i linfomi a cellule B, prevedendo loschema CHOP come cardine del trattamento ini-ziale. Sono attualmente in corso protocolli checonfrontano lo schema CHOP con lo stessoschema associato all’anticorpo monoclonale anti-CD52 (alemtuzumab). Gli stadi avanzati dei lin-fomi a cellule T, indipendentemente dall’indiceprognostico, vengono avviati a un consolidamentoad alte dosi in prima linea dopo induzione conCHOP o analoghi. Alla recidiva, il trapianto al-logenico a condizionamento ridotto rappresentapressoché l’unica chance di guarigione, tanto chese ne sta studiando l’indicazione in prima linea.Tra i farmaci attivi nei linfomi a cellule T perife-riche va tenuta in considerazione la gemcitabina,che potrebbe far parte in un futuro non lontanodei protocolli di prima linea.

7.7. Terapia dei linfomi follicolari

Il linfoma follicolare rappresenta approssimativa-mente il 20-25% di tutti i LNH e generalmenteinteressa la 5a e 6a decade di età. La presentazioneclinica di tali pazienti è con adenopatie diffuse dipiccole o medie dimensioni, spesso misconosciutedal paziente perché asintomatico. Talvolta, invece,la lenta crescita delle adenopatie in aree quali re-troperitoneo, mesentere e fosse iliache può provo-

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di ottenere elevati tassi di risposta (83-94%), dicui molte complete (60-70%), e una discreta per-centuale di remissioni molecolari (40-60%), consopravvivenza a 5 anni pari al 70-80%. La sceltaterapeutica va adattata alle caratteristiche del pa-ziente e della malattia. È opportuno considerareschemi ad azione più rapida (CHOP, FND) neipazienti con malattia più estesa o grosse massetumorali o più giovani, e schemi meno tossici neipazienti più anziani o con controindicazioni aspecifici chemioterapici (adriamicina). L’incidenzadi ricaduta dopo tali chemioterapie standard in-dica che, dopo tali terapie, residua una malattiaminima responsabile della ricaduta stessa. È pos-sibile che l’eradicazione di tale malattia minimaresidua possa determinare una più lunga duratadella risposta e quindi della sopravvivenza. Èquindi ragionevole puntare alla scomparsa dellamalattia anche a livello molecolare. L’anticorpomonoclonale anti-CD20, rituximab, ha dimo-strato un’elevata attività antitumorale in mono-terapia nei linfomi indolenti ricaduti/resistenti.Quattro ampi studi randomizzati hanno dimo-strato in modo inequivocabile che l’associazionedi rituximab con chemioterapia è significativa-mente più efficace della chemioterapia da sola siain termini di risposta che di progression-free survivale soprattutto sopravvivenza globale. Tale vantaggioè stato riscontrato con ogni schema di chemiote-rapia usato (CVP, CHOP, CHVP+IFN, MCP)come riassunto nella Tabella 7.7.Una recente metanalisi, che include studi nei lin-fomi sia follicolari sia mantellari, ha stimato cheil vantaggio dell’aggiunta di rituximab alla che-mioterapia porti a una significativa riduzione delrischio (hazard risk) per il controllo della malattia(0,62) e per la mortalità (0,65). Il trattamento diprima linea di scelta è quindi rituximab (8 dosi)associato a qualunque schema di chemioterapia.Un confronto tra i diversi schemi di chemioterapia

• interessamento splenico o splenomegalia;• leucemizzazione;• effusione sierosa;• VES > 20 mm/h;• LDH > valore normale;• massa nodale o extranodale > 7 cm;• 3 o più sedi nodali, ognuna delle quali con

diametro > 3 cm;• sindrome compressiva causata da masse ade-

nopatiche (ureterale, orbitale, gastrointestinale,mediastinica).

Questo atteggiamento deve essere attentamentediscusso e condiviso con il paziente. Considerandoil possibile disagio e l’incertezza per il paziente dirimanere in una situazione con una neoplasia nontrattata anche se asintomatica, è possibile che siail medico sia il paziente possano preferire di ini-ziare un trattamento a tossicità limitata.

Terapia degli stadi localizzati (I-II). Il 10-15%dei pazienti con linfoma follicolare è in stadio lo-calizzato. L’usuale terapia per questi pazienti è lasola radioterapia involved field a 30-36 Gy, se fat-tibile in un unico campo, che permette un con-trollo locale in più del 95% dei casi con una so-pravvivenza a 5 anni e 10 anni tra il 60% e l’80%.L’aggiunta della chemioterapia non pare miglio-rare la prognosi in tali situazioni.

Terapia degli stadi avanzati. Al momento nonè possibile identificare uno schema terapeuticonettamente più efficace di altri. La monoterapiacon un agente alchilante, la polichemioterapia cono senza antraciclinici (CVP o CHOP) determinanouna risposta globale del 60-70% con risposte com-plete nel 30% dei casi e sopravvivenza medianariportata tra 4,5 e 9 anni. La fludarabina si è di-mostrata particolarmente efficace nella terapia deilinfomi follicolari. L’associazione di fludarabinacon mitoxantrone e desametasone (FND) consente

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Tabella 7.7 Studi randomizzati in pazienti con linfoma follicolare in stadio avanzato con chemioterapia ± rituximab

Studio Trattamento, Età Mediana FU Mediana ORR, % CR, % TTP/ TTF/ EFS OS,%n. pazienti (anni) (mesi) Mediana (mesi)

Marcus et al. CVP, 159 52 53 57 10 15 772006 R-CVP, 162 81 41 34 83

p < 0,0001 p = 0,0290Hiddemann et al. CHOP-IFN, 205 55 18 90 17 31 902005 R-CHOP-IFN, 223 96 20 NR 95

p < 0,001 p = 0,016Herold et al. MCP-IFN, 96 59 47 75 25 29 742006 R-MCP-IFN, 105 92 50 NR 87

p < 0,0001 p = 0,0096Salles et al. CHVP-IFN, 183 61 60 73 63 35 842006 R-CHVP-IFN, 175 84 79 NR 91

p < 0,0001 p = 0,029

CR, complete response; EFS, event-free survival; FU, follow-up; ORR, objective response rate; OS overall survival; TTF, time to treatment failure; TTP, timeto progression.

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Approccio al paziente anziano. Nel linfoma folli-colare l’età avanzata rappresenta un fattore progno-stico sfavorevole e i pazienti anziani sono spessoesclusi da programmi di terapia intensiva o con in-tento curativo. I pazienti anziani mal si adattano alunghi programmi terapeutici o a ricoveri ospeda-lieri. Un programma specificatamente designato perloro deve contemporaneamente essere efficace, pocotossico e possibilmente di breve durata. Una possi-bilità terapeutica è sicuramente rappresentata dallasola immunoterapia sia con rituximab sia con ra-dioimmunoconiugati (all’interno di uno studio cli-nico). Tuttavia è pensabile che entrambi gli anticorpipossano avere maggiore efficacia quando la malattiasia stata ridotta con una breve fase di chemioterapiapoco tossica. Un approccio razionale può essere unabreve chemioimmunoterapia con schemi adatti al-l’età avanzata (R-FND, R-CVP) con numero dicicli non elevato (3-4), seguiti da un consolidamentocon immunoterapia o radioimmunoterapia.

Terapia di seconda linea. La terapia di secondalinea nei pazienti con linfoma follicolare non re-

nell’era di rituximab è attualmente in corso in unostudio randomizzato dell’Intergruppo Italiano Lin-fomi (FOLL05: R-CVP vs R-CHOP vs R-FN).Numerosi dati, sia dopo chemioimmunoterapiasia dopo terapia ad alte dosi con autotrapianto,indicano che i pazienti che raggiungono la re-missione molecolare (scomparsa del riarrangia-mento BCL2) tendono ad avere una durata dellarisposta più lunga. È quindi pensabile migliorarela qualità della risposta in termini di incrementosia della risposta clinica completa sia della rispostamolecolare. Questo può portare a remissioni com-plete più durature. Un miglioramento della qua-lità della risposta è ottenibile, per esempio, conla radioimmunoterapia dopo chemioterapia ochemioimmunoterapia come recentemente di-mostrato dal FIT trial (chemioterapia ± rituximabseguito da zevalin vs osservazione). Oppure, con-siderato il beneficio del mantenimento con ritu-ximab nei pazienti in ricaduta, è possibile chetale effetto positivo si abbia anche dopo terapiadi prima linea se verrà dimostrato dagli studi incorso (PRIMA Trial).

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piegati da soli o in associazione con rituximab ochemioterapia. Queste terapie devono essere con-dotte solo all’interno di studi clinici controllatied è opportuno riferire i pazienti ai Centri checonducono tali studi.Nella Tabella 7.8 è riassunta la terapia del linfomafollicolare.

7.8. Radioterapia

La radioterapia continua a rivestire uno specificoe importante ruolo nella cura della maggior partedei disordini linfoproliferativi. Con il netto mi-glioramento dei risultati clinici in termini di per-centuali di guarigione, gli obiettivi terapeutici inoncoematologia si sono sempre più focalizzati sugliaspetti relativi alla tossicità tardiva dei trattamenti:l’obiettivo attuale del ricorso alla radioterapia nellacura dei linfomi maligni è la sua migliore integra-zione possibile con i trattamenti sistemici (che-mioterapia, immunoterapia), nell’intento di sfrut-tare i benefici terapeutici delle radiazioni ionizzanti,minimizzando l’impatto in termini di potenzialemorbilità iatrogena. Questi obiettivi sono oggipossibili grazie ai dati disponibili in letteratura chedocumentano analoga efficacia terapeutica anchecon irradiazioni condotte su volumi meno estesi econ dosi inferiori (riduzione dei volumi e delledosi di radioterapia) e grazie al notevole progressotecnologico della radioterapia, in termini di pia-nificazione (imaging morfologico e funzionale, fu-sione di immagini pre- e post-chemioterapia, cal-colo della dose tridimensionale) e somministra-zione “balisticamente” sempre più precisa delladose (radioterapia a modulazione di intensità, ra-dioterapia guidata dalle immagini). La radioterapiaoncoematologica presenta una serie di specificitàdel tutto peculiari rispetto alla radioterapia dei tu-mori solidi, quali per esempio: età dei pazienti,probabilità generalmente elevate di guarigione con

sponsivi (più raramente) o ricaduti (più frequen-temente) è molto variegata. Si possono fare alcuneconsiderazioni. Anche se il paziente è già stato trattato con ritu-ximab, vi è sempre una sensibilità ad anticorpianti-CD20 anche in ricaduta che devono essereparte della terapia di seconda linea. Nei pazienti giovani (< 65 anni), in buone condi-zioni generali e senza comorbilità, la prima sceltaterapeutica è la chemioterapia ad alte dosi con ri-tuximab seguita da autotrapianto di cellule sta-minali (vedi paragrafo 7.9). In pazienti resistentio a elevato rischio di recidiva, il condizionamentochemioterapico può essere potenziato dall’ag-giunta di radioimmunoconiugati con schemi tipoZ-BEAM che potrebbero ottenere risultati supe-riori. Tali procedure devono però essere eseguitein centri specializzati e con esperienza sia di auto-trapianto sia di radioimmunoterapia.In pazienti anziani o con comorbilità o recidivalimitata, un’efficace opzione di seconda linea è laradioimmunoterapia con 90Y-ibritumomab tiu-xetan che, come agente singolo, è in grado di ot-tenere una risposta globale nel 73-83% e una re-missione completa del 15-51%.In alternativa, o prima della radioimmunoterapia,è possibile ottenere una seconda risposta impie-gando schemi di rituximab-chemioterapia conschemi non impiegati in prima linea.Nei pazienti responsivi alla terapia di secondalinea è indicata una terapia con rituximab di man-tenimento: una dose ogni tre mesi per due anni.L’elevata sensibilità dei linfomi follicolari all’im-munoterapia o altre terapie biologiche offre lapossibilità di terapie con nuovi anticorpi mono-clonali o farmaci antiangiogenetici o inibitori delproteosoma anche in recidiva avanzata o per pa-zienti non candidabili a terapia ad alte dosi.Esempi di tali nuove terapie sono: galiximab, ofa-tumonab, lenalidomide, bortezomib, GA-101 im-

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Tabella 7.8 Terapia del linfoma follicolare

Gruppi di pazienti Terapia

Stadi localizzati (I e II limitato) qualunque etàStadi avanzati asintomatici (II avanzato, III, IV)qualunque età(Assenza dei criteri di trattamento SIE) Stadi avanzati con almeno un criterio di trattamento SIE < 65 anni

Anziani (> 65 anni)

Terapia di seconda linea (salvataggio) giovani < 65 anni

Terapia di seconda linea (salvataggio) anziani > 65 anni, comorbilità o recidiva limitata

Terapia di mantenimento (Nei pazienti in recidiva responsivi a una seconda chemioimmunoterapia)Recidiva avanzata

Radioterapia involved field 30-36 GySolo osservazione e stretto monitoraggio

• Rituximab-CHOP x 6 + 2 Rituximab• Rituximab-CVP x 8• Rituximab-FN(D) x 6 cicli + 2 Rituximab• Rituximab (8 dosi)-chemioterapia più breve (CVP; FN)• Rituximab agente singolo x 8 dosi• Debulking con chemioterapie che consentano reclutamento e congelamento

di cellule staminali periferiche associate a rituximab (R-DHAP, R-ICE, R-HDSecc.) seguito da successivo autotrapianto

• I pazienti resistenti o ad alto rischio possono beneficiare dell’aggiunta della radioimmunoterapia al regime di condizionamento

• Radioimmunoterapia con 90Y-ibritumomab tiuxetan• Rituximab-chemioterapia (schema differente da quello usato in prima linea)• Terapie con nuovi farmaci all’interno di studi clinici controllati (galiximab,

ofatumonab, lenalidomide, bortezomib, GA-101 ecc.). Riferire il paziente a Centri coinvolti in tali studi

• Rituximab una dose ogni tre mesi per due anni (8 dosi totali)

• Terapie con nuovi farmaci all’interno di studi clinici controllati (galiximab,ofatumonab, lenalidomide, bortezomib, GA-101 ecc.). Riferire il paziente a Centri coinvolti in tali studi

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di assistenza clinica nell’ambito della radioterapiadei linfomi, è indispensabile che ogni Centro abbiai seguenti requisiti:• collaborazione clinica con uno o più Centri

ematologici, con possibilità di valutare i pa-zienti in modo multidisciplinare a partire dalladiagnosi e dalla stadiazione; tale collaborazionedovrebbe garantire, pur considerando i datiepidemiologici di incidenza, minimi volumidi attività radioterapica ematologica, tali danon far considerare “occasionale” l’irradiazionedi un paziente affetto da linfoma;

• collaborazione con Servizi di Radiologia e Me-dicina Nucleare, compresa la possibilità di ese-guire esami morfologici e/o funzionali con fi-nalità di planning radioterapico;

• adeguata dotazione tecnologica, sia in termini

conseguente lunga aspettativa di vita, rischi di tos-sicità tardive particolari quali secondi tumori. Inol-tre, vari e differenti aspetti legati ai dati epidemio-logici di incidenza, all’eterogeneità di caratterizza-zione anatomopatologica e di presentazione clinicapropria dei diversi disordini linfoproliferativi, allepeculiarità di storia naturale, alla spiccata chemio-sensibilità e radiosensibilità proprie di tali patolo-gie, pongono problematiche cliniche assistenzialimolto particolari. In ragione delle varie conside-razioni, i volumi di attività ematologica delle ra-dioterapie presenti sul territorio nazionale sonosempre stati mediamente piuttosto limitati, conuna sorta di “spontanea” tendenza alla concentra-zione dei pazienti in poche radioterapie di “riferi-mento”. Indipendentemente da queste valutazioni,è scontato ribadire che, per avere il miglior livello

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la combinazione di una breve chemioterapia(VBM) con RT-IF 36 Gy non causi, rispetto allaradioterapia esclusiva extended field, un eccesso dimorti per tossicità iatrogena.Una più recente evoluzione, ancora del tutto spe-rimentale, del concetto di involved field è rap-presentata dall’approccio “involved nodal” RT,che comporta un’ulteriore riduzione dei campi diradioterapia, fino ad arrivare all’irradiazione deisoli linfonodi interessati all’esordio, e non dellaregione linfonodale interessata.Relativamente alle dosi, lo standard attuale in as-sociazione alla chemioterapia è rappresentato da30 Gy somministrati in frazioni da 1,8-2 Gy, purcon dati iniziali (follow-up ancora limitato deglistudi tedeschi HD10 e HD11) che dimostrerebberoanaloga efficacia terapeutica anche di soli 20 Gy.Per quanto riguarda gli stadi avanzati, due studi ran-domizzati dimostrano che l’utilizzo sistematico dellaradioterapia involved field dopo 6 o 8 cicli di che-mioterapia non migliora i risultati ed è perciò daevitare nei pazienti in risposta completa al terminedella chemioterapia. Più controversa continua a esserela necessità di irradiare le aree bulky iniziali, anchese i risultati, per il momento preliminari, dello studiotedesco HD12 sembrerebbero suggerire la possibilitàdi risparmiare questo tipo di irradiazione. Al riguardoesistono anche molti problemi relativi alla definizionespesso non omogenea tra i vari studi della definizionedi “bulky” (5 cm, 7,5 cm, 10 cm). La recente valorizzazione del ruolo prognosticodella negatività PET dopo 2 soli cicli di chemio-terapia suggerisce l’utilità di una modulazionedella terapia sulla base della PET precoce; questastrategia dovrebbe per il momento essere limitataa studi clinici controllati e non far già parte dellastrategia convenzionale. Standard attuale negli stadi avanzati del LH:• evitare l’associazione di RT involved field si-

stematica post-chemioterapia;

di software (fusione di immagini, 4D-TC per ilgating respiratorio, radioterapia 3D-conforma-zionale, IMRT) sia di hardware per planning esomministrazione del trattamento (IMRT,IGRT, radioterapia “adaptive”); al riguardo, siritiene quanto mai opportuno sottolineare cheanche le dosi relativamente basse utilizzate inoncoematologia (30-36 Gy) debbano richiederenecessariamente la stessa accuratezza tecnologicautilizzata per la somministrazione di dosi moltopiù elevate (più del doppio) nella cura di diversitumori solidi epiteliali.

Linfoma di Hodgkin. L’uso combinato di che-mioterapia e radioterapia permette oggi di rag-giungere percentuali di guarigione superioriall’80%, con variazioni sulla base dello stadio ini-ziale. Le strategie consigliate dalle principali lineeguida internazionali sono: • stadi precoci favorevoli: 2 o 4 cicli ABVD se-

guiti da radioterapia involved field (RT-IF),con dose totale di 30 Gy;

• stadi precoci sfavorevoli: 4 o 6 cicli ABVD se-guiti da radioterapia involved field (RT-IF),con dose totale di 30 Gy.

Il concetto di involved fields (IF), che ha totalmentesostituito lo storico approccio cosiddetto “extendedfields” (Mantellina, Y rovesciata) garantendo minortossicità a parità di tassi di cura, fa riferimento al-l’irradiazione delle sole sedi linfonodali interessateall’esordio, con l’inclusione, generalmente, dellastazione linfonodale contigua non interessata; inquesto senso l’IF sarebbe forse più correttamentedefinibile come “Regional Field”. Pur con questaestensione all’immediata regione non clinicamentecoinvolta, la RT-IF comporta certamente una si-gnificativa riduzione dei volumi irradiati rispettoai campi estesi classici, con notevole risparmio deitessuti sani; un recente aggiornamento a lungo ter-mine di uno studio di Stanford ha dimostrato come

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consolidamento post-chemioterapia è attualmentediscusso e appare limitato, in assenza di dati chene possano sostenere un impiego routinario. Incasi selezionati di persistenza localizzata di malat-tia, la radioterapia potrebbe avere un ruolo im-portante nell’eventuale conversione in RC. Perquanto riguarda il consolidamento della risposta(RC al termine della chemioimmunoterapia), ri-mane ancora da chiarire il reale contributo del-l’irradiazione delle lesioni inizialmente bulky; alriguardo, l’indicazione al trattamento è spessocondizionata nel singolo caso da considerazionirelative al rapporto rischio-beneficio (sede, età,pattern di risposta).

Linfomi follicolari. Stadi localizzati (I-II) a bassorischio (FLIPI 0-1): il trattamento standard è rap-presentato dalla radioterapia involved fields (RT-IF), con dosi di 30-36 Gy in frazionamento con-venzionale. Tale trattamento è in grado di otteneretassi di controllo locale vicini al 95%, con tossicitàmodesta tenendo presente le più frequenti sedi dicoinvolgimento linfonodale (stazioni superficialilaterocervicali, ascellari, inguino-crurali).Stadi localizzati (I-II) ad alto rischio (FLIPI > 2):chemioimmunoterapia (3-4 cicli) seguita da RT-IF, con dosi di 30 Gy in frazionamento conven-zionale.Stadi avanzati: non vi sono evidenze a sostegnodi un ruolo della radioterapia in tale setting, anchelimitatamente a un eventuale contributo comeconsolidamento post-chemioterapia su eventualilocalizzazioni bulky.

7.9. Trapianto di cellule staminali emopoietiche

Il trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche(CSE) è una procedura a elevato contenuto tec-nologico, assistenziale e organizzativo, che prevedel’interazione tra figure professionali molto diverse

• 6-8 cicli ABVD ± RT sulle aree bulky (irra-diazione del bulky dopo 6 ABVD con dosi di20-30 Gy);

• RT-IF delle aree linfonodali nei pazienti in RPal termine del programma chemioterapico (30-36 Gy).

Linfomi diffusi a grandi cellule. Stadi iniziali I-IIsenza malattia bulky: lo standard di riferimentoconsiste nella chemioimmunoterapia R-CHOPper 3-4 cicli somministrati ogni 14-21 giorni, se-guiti da radioterapia sulle sedi di malattia, condose di 36 Gy in frazionamento convenzionale. La tecnica radioterapica è basata sul concetto deicampi involved field, con contornamento dellesedi di malattia sulle immagini TC o PET/TCacquisite in posizione di trattamento.L’eventuale omissione della radioterapia in basealla risposta PET non è attualmente da conside-rarsi convenzionale al di fuori di uno studio clinicocontrollato.Stadi I-II con malattia bulky: lo standard di riferi-mento consiste nella chemioimmunoterapia R-CHOP per 6 cicli somministrati ogni 14-21giorni, seguiti da radioterapia IF sulle sedi originalidi malattia (bulky), con dosi totali di 36 Gy infrazionamento convenzionale. L’eventuale omis-sione della radioterapia in base alla risposta PETnon è attualmente da considerarsi convenzionaleal di fuori di uno studio clinico controllato. Stadi iniziali a localizzazione extranodale: per i lin-fomi aggressivi extranodali valgono le stesse con-siderazioni dei DLCL nodali, in termini di RT-IFcon dose di 36 Gy in frazionamento convenzionale,al termine di un programma di chemioimmuno-terapia (R-CHOP x 3-4 cicli), ovviamente conspecificità cliniche e tecniche differenti in rapportoalle diverse possibili presentazioni (orbita, Walde-yer, primitivi del mediastino, stomaco).Stadi avanzati: il ruolo della radioterapia quale

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Cellule Emopoietiche), SIE (Società Italiana diEmatologia) e SIMTI (Società Italiana di Medi-cina Trasfusionale e Immunoematologia). Questodocumento stabilisce che:• le regioni identificano le strutture autorizzate

alle procedure di trapianto di CSE;• tali strutture devono rispondere a requisiti sta-

biliti dal CNT/GITMO in accordo con nor-mativa Europea (EBMT/JACIE);

• le strutture devono essere parte della rete na-zionale GITMO;

• le procedure di trapianto di CSE non possonoessere eseguite al di fuori delle strutture auto-rizzate;

• l’idoneità delle strutture è sottoposta a visiteispettive, organizzate dal CNT/GITMO e da-gli organismi europei (EBMT/JACIE).

Trapianto di CSE autologhe. Si intende per tra-pianto autologo una procedura composta di duefasi distinte: nella prima fase vengono raccolteCSE dal paziente stesso, mentre nella seconda faseil paziente viene sottoposto a chemioterapia adalte dosi (cosiddette dosi massimali) seguita dal-l’infusione delle CSE precedentemente raccolte.Le CSE autologhe possono essere ottenute sia dalmidollo osseo (espianto in sala operatoria) sia dalsangue periferico dopo stimolazione con fattoridi crescita (G-CSF). Attualmente la quasi totalitàdelle raccolte viene eseguita da sangue periferico(CSP, o cellule staminali periferiche). La raccoltadi CSP può avvenire con soli fattori di crescita,ovvero con chemioterapia (tipicamente ciclofo-sfamide o citarabina ad alte dosi) seguita da fattoridi crescita. Nei linfomi, oggetto della presentetrattazione, la mobilizzazione di CSP avviene disolito con la combinazione chemioterapia/fattoridi crescita: la chemioterapia può essere molto di-versa e include ciclofosfamide ad alte dosi (CY 2-7 g/m2), citarabina ad alte dosi (ARA-C 1,5-2

e può solo essere inserito in un grande Ospedale.Il trapianto di CSE è in grado di guarire il 50%circa dei pazienti affetti da patologie oncoemato-logiche. L’attività di trapianto di CSE deve esseredefinita e regolata all’interno di un Programmadi Trapianto, che si articola in tre componenti:A) l’Unità Clinica; B) il Centro di Raccolta e C)il Laboratorio di Processazione delle CSE. Questetre componenti devono essere localizzate all’in-terno di strutture di degenza e di laboratorio lo-calizzate di norma nella stessa area metropolitana.Tale vincolo non si applica ad alcune componenti,quali la criopreservazione del sangue placentare oparticolari protocolli di manipolazione cellulare.Il programma di trapianto prevede un Direttoredi Programma e un Responsabile tecnico-opera-tivo per ognuna delle tre componenti. Il Direttoredi Programma deve essere specialista in una delleseguenti discipline: Ematologia, Oncologia Me-dica, Pediatria e Immunologia; deve documentarela propria attività trapiantologica svolta nel corsodegli ultimi 10 anni e deve supportare la propriacompetenza con adeguate pubblicazioni scienti-fiche. Il Direttore del Programma è responsabiledella gestione medica e amministrativa, nonchédel coordinamento delle tre unità del programmaaffinché esse operino secondo protocolli approvatie validati, con esecuzione degli opportuni controllidi qualità delle procedure e delle attività e conl’adozione di comuni programmi di formazionecontinua. Il regolare coordinamento dell’attivitàdelle tre componenti deve essere documentato.La normativa che regola i programmi trapianti inItalia è contenuta nell’Accordo Stato Regioni pub-blicato sulla Gazzetta Ufficiale 30 settembre 2003.Questo prevede un accreditamento regionale al-l’attività trapianto, in accordo con il Centro Na-zionale Trapianto (CNT), il GITMO (GruppoItaliano di Midollo Osseo) e le altre organizzazioniGRACE (Gruppo Raccolta e Amplificazione delle

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rigetto e malattia trapianto contro ospite: la mor-talità legata al trapianto (cosiddetta TRM o tran-splant related mortality) varia dal 5% al 50%.

7.9.1. Linfomi indolenti: trapianto autologoin prima linea

Era pre-rituximab. Tre studi prospettici rando-mizzati (GELA, GOELAMS, GLGS) hanno con-frontato il trapianto autologo alla chemioterapiaconvenzionale (CHOP) in prima linea per linfomiindolenti ad alto rischio. Lo studio GELF94 hadimostrato un aumento della sopravvivenza del12% a 7 anni in 192 linfomi follicolari trattaticon CHOP seguito da un trapianto autologo,confrontati con 209 pazienti trattati con CHVPe interferone. Gli studi GOELAMS e GLGS nonhanno confermato il vantaggio in sopravvivenza.

Era rituximab. Uno studio prospettico italiano(GITMO/IIL) ha confrontato CHOP-rituximab(R-CHOP) verso alte dosi sequenziali + rituximabe trapianto autologo (R-HDS). La remissione mo-lecolare è stata ottenuta rispettivamente in 40% vs80% (R-CHOP vs R-HDS). La sopravvivenza li-bera da eventi (EFS) a 4 anni è stata rispettivamentedel 28% vs 61%, senza differenza in sopravvivenzaglobale. Nelle linee guida SIE/SIES/GITMO, iltrapianto autologo viene consigliato in prima lineaper la terapia di linfomi indolenti, nel contesto distudi clinici controllati. Vi è tuttavia evidenza che,nei pazienti ad alto rischio, la sopravvivenza liberada malattia sia più elevata con trapianto autologorispetto alla chemioterapia convenzionale, senzatuttavia differenze di sopravvivenza globale. Un pa-ziente giovane (< 65 anni di età) che non ottieneuna remissione completa dopo terapia di prima li-nea, deve essere considerato per mobilizzazione diCSP: infatti il successo della raccolta di CSP di-penderà dal numero di cicli di chemioterapia ese-

g/m2 ogni 12 ore per 2-5 giorni), o combinazionidi farmaci (IGEV, IEV, DHAP). La chemioterapiaha il duplice scopo di ridurre la malattia (se il pa-ziente non è in remissione completa) e di mobi-lizzare CSP. Le CSP raccolte vengono criopreser-vate in azoto liquido. Il paziente è quindi prontoper la preparazione al trapianto (condizionamento)che ha lo scopo di ridurre (eliminare?) la malattiaresidua. Il condizionamento al trapianto di CSEautologhe può impiegare la radioterapia totalecorporea (TBI) e/o la chemioterapia: le dosi im-piegate sia per la radioterapia che per la chemio-terapia sono così elevate da non consentire (soli-tamente) il recupero spontaneo dell’ematopoiesi,se non con la reinfusione di CSE. Nei linfomi laTBI viene impiegata più raramente che nel passatoe il regime più diffuso è noto con l’acronimoBEAM (BCNU, etoposide, ARA-C e melphalan).Le complicanze sono prevalentemente infettive otossiche e la mortalità legata alla procedura variadal 2% al 15%.

Trapianto di CSE allogeniche. Si intende pertrapianto allogenico di CSE una procedura checomporta (a) la selezione del paziente e di un do-natore sano, (b) la preparazione del paziente conchemio/radioterapia, (c) l’infusione di CSE allo-geniche e (d) la profilassi delle complicanze im-munologiche post-trapianto. Il donatore può essereconsanguineo o non consanguineo. Le CSE pos-sono essere ottenute da diverse sorgenti quali mi-dollo osseo, sangue periferico e cordone ombelicale.Il trapianto allogenico di CSE comporta un’im-munosoppressione post-trapianto del paziente, so-litamente farmacologica, che dura da qualche mesefino a molti anni. Il 90% circa dei pazienti so-spende ogni terapia immunosoppressiva post-tra-pianto entro il primo anno. Le complicazioni sonomolto più frequenti che dopo trapianto autologoe includono complicazioni immunologiche quali

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che può durare a lungo termine. Il gruppo italianoGITMO ha recentemente pubblicato il risultatodi uno studio prospettico di trapianto allogenicocon regime a intensità ridotta (cosiddetto RIC)nei linfomi. Il regime consta di una combinazionedi tiotepa, ciclofosfamide e fludarabina: in parti-colare, la sopravvivenza dei linfomi indolenti (fol-licolari) risultava superiore al 75%, con una TRMglobale del 10% circa. L’impiego di regimi RICha consentito di innalzare l’età dei pazienti candi-dabili al trapianto, anche in considerazione dell’etàmedia dei pazienti con linfomi follicolari.

Linfomi aggressivi. Trapianto autologo in primalinea: alcuni studi prospettici hanno suggerito cheil trapianto di CSE autologhe sia superiore allachemioterapia convenzionale nei linfomi aggressiviin prima linea. Tuttavia, due metanalisi di 11studi randomizzati hanno evidenziato sopravvi-venza non dissimile con le due strategie. La rac-comandazione SIE/SIES/GITMO è che un pa-ziente con linfoma aggressivo, tipicamente un lin-foma diffuso a grandi cellule, possa essere arruolatoin un programma di alte dosi con trapianto auto-logo nel contesto di uno studio clinico, ma chequesta strategia non possa ancora essere conside-rata convenzionale.

Linfomi aggressivi. Trapianto autologo dopo recidiva:lo studio PARMA rappresenta un punto di riferi-mento nella storia del trapianto autologo nei lin-fomi: è stato il primo studio prospettico randomiz-zato a dimostrare che nei pazienti con linfomi ag-gressivi, e con malattia chemiosensibile (che quindiavevano ottenuto una very good partial remission), iltrapianto di CSE autologhe aumentava significati-vamente la sopravvivenza, rispetto alla chemioterapiaconvenzionale (53% vs 32%). Questo studio è statoconfermato da molti studi di fase II. Le linee guidaSIE/SIES/GITMO raccomandano, pertanto, alte

guiti. Dopo la mobilizzazione, il paziente dovrebbeessere sottoposto a trapianto autologo. L’evidenzache il trapianto autologo è utile in questi pazienti èstata classificata come di grado B nelle linee guidaSIE/SIES/GITMO.

Linfomi indolenti. Trapianto autologo dopo reci-diva: il trapianto di CSE autologhe si è dimostratosuperiore alla chemioterapia, nei pazienti con lin-fomi indolenti recidivati, in 6 studi retrospettivicontrollati e in uno studio (EBMT/CUP) pro-spettico randomizzato. Quest’ultimo ha dimostratouna riduzione delle recidive di quasi il 50% conun miglioramento sia in termini di DFS sia di so-pravvivenza. In casistiche consistenti la sopravvi-venza a 10 anni per pazienti sottoposti a trapiantodi CSE autologhe è del 60% circa, con una so-pravvivenza libera da malattia del 35% circa. Sullabase di questi risultati, il trapianto autologo è di-ventato la terapia standard nei linfomi a bassogrado recidivati, quando classificati come ad altorischio, e specialmente nei pazienti sotto 65 annidi età. Viene raccomandato (evidenza grado B)dalle linee guida SIE/SIES/GITMO.

Linfomi indolenti. Trapianto allogenico: il tra-pianto di CSE allogeniche non è indicato cometerapia di prima linea nei linfomi indolenti, anchese ad alto rischio e con malattia avanzata. Il tra-pianto di CSE allogeniche può essere un’opzioneterapeutica nei pazienti con linfomi indolenti re-cidivati o che non rispondono a chemioterapiaconvenzionale. Questo trova supporto in un ele-vato numero di studi retrospettivi. La mortalitàlegata al trapianto è del 20% circa ed è più altanei pazienti chemioresistenti. I fattori predittivi dirisultato sono una età giovane (sotto 40 anni), lamalattia chemiosensibile e una buona condizioneclinica. Nei pazienti vivi a 2 anni dopo trapiantoallogenico è frequente la remissione molecolare

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rapia convenzionale in LH refrattari o recidivati.Il primo è del British National Lymphoma (BNLI)group e il secondo dello European Blood and Mar-row Transplantation (EBMT) group. Nello studioBNLI i pazienti sono stati trattati con dosi con-venzionali di carmustine, etoposide, citarabina emelfalan (mini-Beam) oppure con alte dosi deglistessi farmaci (BEAM) seguite da infusione di cel-lule staminali emopoietiche autologhe: la soprav-vivenza attuariale libera da malattia a 3 anni erasignificativamente superiore nei pazienti trattaticon BEAM + trapianto autologo (53% vs 10%).Nello studio EBMT, i pazienti sono stati rando-mizzati per ricevere 4 cicli di mini-Beam+desame-tasone (dexa-mini-Beam) o 2 cicli di dexa-mini-Beam seguito da BEAM e trapianto autologo; lasopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) era più alta nel gruppo BEAM(55% vs 34%). La riduzione della mortalità corre-lata al trapianto autologo dal 10-15% all’attuale4-5% ha contribuito a stabilire che le alte dosi dichemioterapia (BEAM) seguite da trapianto au-tologo sono la terapia standard per LH refrattari oricaduti. I pazienti dovrebbero essere avviati a que-sta procedura non appena si verificano le condi-zioni suddette (refrattarietà alla prima linea o re-cidiva), ove età inferiore a 65 anni e in assenza dicomorbilità tali da aumentare il rischio di mortalitàtrapiantologica. È utile portare il paziente al tra-pianto con malattia minima, con due o tre cicli dichemioterapia intensiva. Le raccomandazioniSIE/SIES/GITMO sono per una terapia con altedosi di chemioterapia e trapianto di CSE autolo-ghe, per pazienti recidivati o refrattari (grado A).La terapia di debulking deve contenere farmacinon cross-resistenti (IGEV, DHAP, ICE).

Linfoma di Hodgkin. Trapianto allogenico: il tra-pianto di CSE allogeniche non è indicato nellaterapia di prima linea del LH. Il trapianto di CSE

dosi di chemioterapia, seguite da trapianto di CSEautologhe nei pazienti con linfomi ad alto grado,recidivati e chemiosensibili (raccomandazione digrado A). Nei pazienti in prima recidiva il trapiantodi CSE autologhe è indicato dopo reinduzione cono senza rituximab (grado B).

Linfomi aggressivi. Trapianto allogenico: il tra-pianto allogenico non è una terapia di prima lineanei linfomi ad alto grado, anche se avanzati. Il tra-pianto allogenico può essere considerato nei pa-zienti recidivati o non rispondenti alla prima linea,nei pazienti non eleggibili per il trapianto di CSEautologhe (mancata mobilizzazione di CSP) e inpazienti recidivati dopo trapianto di CSE autolo-ghe. Queste indicazioni riguardano pazienti di etàinferiore ai 65 anni, nei quali il trapianto allogenicopuò produrre sopravvivenza a lungo termine nel-l’ordine del 20-40%. Il regime di condizionamentopuò essere mieloablativo (ciclofosfamide e TBI) oa ridotta intensità (RIC). Negli ultimi anni prevalela tendenza a impiegare regimi RIC, con l’obiettivodi ridurre la TRM. Va comunque detto che vi èun effetto età anche con regimi RIC: il rischio diTRM è più alto nei pazienti con età superiore a50 anni. Le raccomandazioni SIE/SIES/GITMOsuggeriscono l’impiego sia di donatori famigliaricompatibili, sia non consanguinei compatibili(grado D). Suggeriscono, inoltre, di impiegare re-gimi RIC. Un regime mieloablativo può essereimpiegato nei pazienti giovani (sotto 50 anni)[Raccomandazione di grado D].

Linfoma di Hodgkin. Trapianto autologo: il tra-pianto autologo viene considerato un’importanteopzione terapeutica nei pazienti che non ottengonouna remissione completa con terapia di prima linea(refrattari) o nei pazienti recidivati: 2 studi rando-mizzati hanno confrontato il trapianto autologodopo chemioterapia ad alte dosi verso chemiote-

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Valutazione della risposta molecolare nei linfomifollicolari. Nei pazienti che hanno un “probe” in-formativo alla diagnosi (presenza del riarrangia-mento BCL2 a livello midollare) e che hanno rag-giunto la remissione completa clinica, è opportunocontrollare la risposta molecolare a livello midollare,dato il suo significato prognostico.

Valutazione della risposta precoce in corso diterapia. La valutazione precoce con PET dopo2-3 cicli è consigliabile solo nel LH, dato il suosicuro significato prognostico. In tutti gli altri casiè da riservare agli studi clinici.

Definizione della risposta. La risposta viene de-finita per tutti i linfomi sulla base dei criteri vali-dati internazionalmente.

7.11. Follow-up

I criteri di follow-up possono variare tra gli studiclinici (usualmente più rigorosi) e la normale praticaclinica. I pazienti in risposta dovrebbero ricevere:• controllo clinico e laboratoristico almeno ogni

3 mesi nei primi 24 mesi, poi ogni 6 mesi finoa 5 anni;

• al di fuori degli studi clinici gli esami di “ima-ging” non sono codificati, se non in presenzadi segni clinici, sintomi o alterazioni laborato-ristiche sospetti per recidiva. Può essere utileun controllo TC torace e addome ogni sei mesinei primi 24 mesi;

• la PET/TC di follow-up non è consigliata, aldi fuori di uno studio clinico, data la possibilitàelevata di falsi positivi.

7.12. Partecipazione agli studi clinici

La partecipazione agli studi clinici va incoraggiata.Sia gli studi promossi da aziende farmaceutiche

allogeniche rappresenta invece un’opzione tera-peutica per pazienti recidivati dopo una o due li-nee di terapia e non eleggibili per trapianto auto-logo, o in pazienti recidivati dopo trapianto diCSE autologhe. I risultati del trapianto di CSEallogeniche dipendono dalle condizioni clinichedel paziente e dalla chemiosensibilità della malat-tia, come evidenziato da un recente studio EBMT:pazienti in buone condizioni cliniche e chemio-sensibili hanno un’EFS del 40% a 5 anni controun’EFS del 10% per gli altri. Anche nel LH l’im-piego dei regimi RIC ha ridotto la TRM in modosignificativo (studio Europeo EBMT) e ha con-sentito un aumento dell’EFS del 10%.

7.10. Valutazione della risposta

La valutazione della risposta si basa su criteri so-stanzialmente analoghi in tutti i tipi di linfoma,tranne alcuni parametri specifici per i linfomi fol-licolari. Dopo 1 o 2 mesi dal termine del trattamento èindispensabile definire la risposta del paziente.Questo implica un “restaging” che consiste in: • ripetizione degli esami ematochimici inclu-

denti, oltre a quelli standard, LDH, beta-2microglobulina, dosaggio Ig;

• TC torace e addome, biopsia osteomidollarese positiva alla diagnosi;

• PET/TC total body, obbligatoria nei LH e neilinfomi aggressivi (linfomi PET avidi) anchese non eseguita alla diagnosi. Nei linfomi fol-licolari, benché frequentemente PET avidi,tale esame è opzionale e può essere interpretatocorrettamente solo se positivo alla diagnosi.Nei linfomi indolenti non follicolari la PET èda riservare a studi clinici;

• ripetizione di ogni altra indagine strumentale(EGDScopia, colonscopia, RM encefalo, ra-chide ecc.) positiva alla diagnosi.

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logici sui LH e sui LNH. L’attività di trapianto ècoordinata dal Gruppo Italiano di Trapianto diMidollo Osseo (GITMO, www.gitmo.net).

7.13. Elementi per la programmazione e l’organizzazione dei servizi

Per conseguire una dimensione di eccellenza perla diagnosi e la terapia dei linfomi maligni, unaStruttura Oncoematologica dovrebbe soddisfarei seguenti parametri.• Caratteristiche della Struttura:

- Unità di Degenza Oncoematologica;- Unità di DH/Ambulatorio Oncoematolo-

gico;- Unità di Trapianto di CSE;- disponibilità in sede di una Unità di Anato-

mia Patologica;- disponibilità in sede di una Unità di Radio-

logia (diagnostica e interventistica) e di Me-dicina Nucleare;

- disponibilità in sede di una Unità di Radio-terapia;

- disponibilità in sede di Unità Chirurgiche edi Servizi di Endoscopia per l’esecuzione dibiopsie diagnostiche.

• Volumi di attività:- almeno 50 nuovi pazienti con linfoma per

anno;- almeno 1000 prestazioni diagnostiche/fol-

low-up in regime ambulatoriale per anno;- almeno 500 accessi in regime di day hospital

per anno;- tempistica delle prestazioni erogate:

- < 5 giorni lavorativi per prima visita ambu-latoriale;

- < 7 giorni lavorativi per inizio trattamentoin regime di day hospital;

- < 10 giorni lavorativi per ricovero ordinarionel reparto degenza.

(studi profit), ma soprattutto quelli di ricerca cli-nica spontanea (no profit) hanno l’obiettivo diindividuare strategie terapeutiche sempre più ef-ficaci e/o sempre meno tossiche. I vantaggi dellapartecipazione a uno studio clinico sono nume-rosi:• i pazienti inclusi in uno studio vengono indi-

rizzati a programmi di cura ottimali ideati nonda un singolo specialista, ma da un gruppo dipiù specialisti, dedicati alla terapia dei linfomi;

• la terapia proposta è analizzata, valutata e ap-provata da un Comitato etico nell’interesse delpaziente, valutandone la sua fondatezza scien-tifica;

• i pazienti possono avere il vantaggio di accederea farmaci non ancora in commercio e poten-zialmente efficaci;

• i pazienti beneficiano di controlli clinici e dilaboratorio ancora più rigorosi e frequenti diquanto imposto dal rispetto delle linee guidaconvenzionali (conduzione in good clinicalpractice);

• il controllo degli effetti collaterali di una terapiaè più rigoroso (obbligo di segnalazione di qua-lunque evento avverso ecc.);

• adesione del paziente alla terapia in modo piùconsapevole e informato (consenso informato,informazioni più adeguate);

• il Centro è inserito in un network di Centridedicati alla terapia dei linfomi con utile scam-bio di esperienze che accrescono la sua com-petenza;

• i dati e i risultati relativi alle terapie vengonoraccolti, monitorati e analizzati, determinandoun arricchimento delle conoscenze sulla terapiadei linfomi.

In Italia gli studi clinici no profit per la terapia deilinfomi vengono proposti e coordinati dall’Inter-gruppo Italiano Linfomi (IIL, www.iilinf.it), cheattualmente coordina numerosi studi clinici e bio-

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Diagnosi

Stadiazione

Follow-up

US

TC

PET/TC

TC

US

RM

PET/TC

RX torace

TC

Indicata

Indicata

Indagine specialistica

Indicata

Indicata in particolari circostanze

Indicata in particolari circostanze

Indicata

Indicatain particolari circostanze

Indicata

La diagnosi viene posta sulla base di una biopsia escissionaledel linfonodoL’indagine può comunque documentare elementi suggestivi per linfopatiaPuò essere utile nella scelta della sede della biopsiaparticolarmente a livello cervicalePuò rilevare una patologia d’organo particolarmente a livello di organi superficiali

La diagnosi viene posta sulla base di una biopsia escissionaledel linfonodoL’indagine può comunque documentare elementi suggestivi per linfopatia Può essere utile nella scelta della sede della biopsiaparticolarmente in sede mediastinica e addominalePuò rilevare una patologia d’organo particolarmente a livello di organi profondi

La diagnosi viene posta sulla base di una biopsia escissionaledel linfonodoL’indagine può evidenziare focolai occulti su cui è possibileeffettuare la biopsia con minori difficoltà tecniche

Lo studio TC del collo, torace-mediastino, addome e pelvi,rientra nella normale procedura di stadiazione al momentodella diagnosi

US possono essere utili nella valutazione di strutture a sedesuperficiale

È utile nella valutazione dell’interessamento del sistemanervoso centrale e del midollo osseo

Utile nella valutazione complessiva di malattia. Particolarmenteutile ai fini di costituire riferimento per i successivi restaging e follow-up

È utile nella valutazione di una risposta immediata al trattamento in caso di localizzazioni mediastiniche

La valutazione della risposta si basa su elementi dimensionalidelle lesioni documentate al momento della stadiazioneIl ricorso all’indagine durante il follow-up è sulla base della presentazione clinica e del sospetto di ripresa di malattia

Procedure diagnostiche per i linfomi

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

Appendice: Diagnostica per immagini

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Ministero della Salute

(segue)

Situazione clinica Indagine Raccomandazione Commento

RM

PET/TC

Indicata in particolari circostanze

Indicata

È utile nella valutazione della risposta nell’interessamento del sistema nervoso centrale e del midollo osseoUtile nel valutare l’attività di malattia in masse residue

Utile nella valutazione precoce della risposta al trattamentochemioterapico e quindi nell’individuare precocemente pazientida indirizzare a schemi chemioterapici alternativiUtile nel valutare la vitalità tumorale a livello di masse residue.Consente la definizione del volume di tessuto metabolicamenteattivo in previsione di trattamenti radioterapici conformazionali.Come metodica di restaging consente di individuare le recidivedi malattia in presenza di segni o sintomi sospetti per ripresa di malattia. Nei LNH indolenti consente l’identificazione di sedidi sospetta trasformazione istologica e serve da guida per l’eventuale biopsia

In ottemperanza al D.Lgs 187/00, la scelta dell’esame da effettuare deve essere fatta considerando metodiche e tecniche idonee a ottenere il maggior bene-ficio clinico con il minimo detrimento individuale e della collettività. Devono quindi essere privilegiate quelle tecniche e metodiche che comportano, a paritàdi obiettivo diagnostico, una minore esposizione alle radiazioni ionizzanti.

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