Purgatorio, Canto V

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Purgatorio, Canto V Argomento del Canto Dante e Virgilio lasciano le anime dei pigri e raggiungono il secondo balzo dell'Antipurgatorio . Incontro con i morti per forza . Colloquio con Iacopo del Cassero , Bonconte da Montefeltro , Pia de' Tolomei . È mezzogiorno di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300. Dante e Virgilio lasciano i pigri. Rimprovero di Virgilio (1-21) Dante e Virgilio hanno appena lasciato le anime dei pigri nel primo balzo dell'Antipurgatorio, quando una di esse si accorge che Dante proietta un'ombra e lo addita agli altri, come un uomo vivo. Dante si volta e vede le anime che continuano a indicarlo, finché il maestro gli chiede perché si attardi nell'ascesa badando alle chiacchiere di quelle anime; lo esorta a seguirlo senza ascoltare nessuno, come una torre che resta salda nonostante i venti, perché l'uomo che si perde in troppi pensieri non raggiunge l'obiettivo che si è proposto. Dante accetta il rimprovero e segue Virgilio, col viso cosparso di rossore. Incontro con le anime dei morti per forza (22-63) Intanto, lungo un ripiano roccioso trasversale alla montagna, delle anime che cantano il Miserere vengono incontro ai due poeti: quando si accorgono che Dante proietta un'ombra, emettono una esclamazione di stupore e due loro corrono incontro ai due chiedendo loro di spiegare la propria condizione. Virgilio risponde dicendo che Dante è vivo ed è in carne e ossa, e li invita a riferire il messaggio ai loro compagni in quanto ciò potrà essergli utile. Le anime corrono su per il balzo rapidissime, come stelle cadenti nel cielo notturno o lampi al calar del sole, quindi insieme agli altri penitenti raggiungono velocemente i due poeti. Virgilio raccomanda a Dante di essere breve, dato il gran numero di anime, e di limitarsi ascoltare le loro preghiere senza arrestarsi. I penitenti seguono Dante e lo esortano a rallentare un poco, invitandolo a guardarli e dire se in vita ha mai visto qualcuno di loro. Essi, spiegano, furono tutti morti per forza e peccatori fino all'ultima ora, quando si pentirono delle loro colpe e morirono in grazia di Dio. Dante li osserva uno a uno, ma non ne riconosce nessuno; tuttavia li invita a parlare e, se potrà fare qualcosa per loro, sarà ben lieto di esaudire ogni loro richiesta in nome di quella pace di cui egli stesso è in cerca. Colloquio con Iacopo del Cassero (64-84) Uno degli spiriti (Iacopo del Cassero ) dice che essi si fidano di Dante senza bisogno di giuramenti, quindi lo prega, se mai andrà nel paese posto tra la Romagna e il regno di Napoli (la Marca Anconetana), di pregare a sua volta i suoi conoscenti a Fano affinché essi preghino per abbreviare la sua permanenza nell'Antipurgatorio. Lui è originario di Fano, ma le ferite che lo hanno ucciso gli furono inferte in territorio padovano, dove credeva di essere al sicuro: il

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Analisi

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Purgatorio, Canto V

Argomento del Canto

Dante e Virgilio lasciano le anime dei pigri e raggiungono il secondo balzo dell'Antipurgatorio. Incontro con i morti per forza. Colloquio con Iacopo del Cassero, Bonconte da Montefeltro, Pia de' Tolomei.È mezzogiorno di domenica 10 aprile (o 27 marzo) del 1300.

Dante e Virgilio lasciano i pigri. Rimprovero di Virgilio (1-21)

Dante e Virgilio hanno appena lasciato le anime dei pigri nel primo balzo dell'Antipurgatorio, quando una di esse si accorge che Dante proietta un'ombra e lo addita agli altri, come un uomo vivo. Dante si volta e vede le anime che continuano a indicarlo, finché il maestro gli chiede perché si attardi nell'ascesa badando alle chiacchiere di quelle anime; lo esorta a seguirlo senza ascoltare nessuno, come una torre che resta salda nonostante i venti, perché l'uomo che si perde in troppi pensieri non raggiunge l'obiettivo che si è proposto. Dante accetta il rimprovero e segue Virgilio, col viso cosparso di rossore.

Incontro con le anime dei morti per forza (22-63)

Intanto, lungo un ripiano roccioso trasversale alla montagna, delle anime che cantano il Miserere vengono incontro ai due poeti: quando si accorgono che Dante proietta un'ombra, emettono una esclamazione di stupore e due loro corrono incontro ai due chiedendo loro di spiegare la propria condizione. Virgilio risponde dicendo che Dante è vivo ed è in carne e ossa, e li invita a riferire il messaggio ai loro compagni in quanto ciò potrà essergli utile. Le anime corrono su per il balzo rapidissime, come stelle cadenti nel cielo notturno o lampi al calar del sole, quindi insieme agli altri penitenti raggiungono velocemente i due poeti. Virgilio raccomanda a Dante di essere breve, dato il gran numero di anime, e di limitarsi ascoltare le loro preghiere senza arrestarsi.I penitenti seguono Dante e lo esortano a rallentare un poco, invitandolo a guardarli e dire se in vita ha mai visto qualcuno di loro. Essi, spiegano, furono tutti morti per forza e peccatori fino all'ultima ora, quando si pentirono delle loro colpe e morirono in grazia di Dio. Dante li osserva uno a uno, ma non ne riconosce nessuno; tuttavia li invita a parlare e, se potrà fare qualcosa per loro, sarà ben lieto di esaudire ogni loro richiesta in nome di quella pace di cui egli stesso è in cerca.

Colloquio con Iacopo del Cassero (64-84)

Uno degli spiriti (Iacopo del Cassero) dice che essi si fidano di Dante senza bisogno di giuramenti, quindi lo prega, se mai andrà nel paese posto tra la Romagna e il regno di Napoli (la Marca Anconetana), di pregare a sua volta i suoi conoscenti a Fano affinché essi preghino per abbreviare la sua permanenza nell'Antipurgatorio. Lui è originario di Fano, ma le ferite che lo hanno ucciso gli furono inferte in territorio padovano, dove credeva di essere al sicuro: il colpevole fu Azzo d'Este, adirato con lui ben al di là del lecito. Se lui fosse fuggito verso la Mira, sul Brenta, quando fu raggiunto dai suoi assassini ad Oriago, sarebbe ancora vivo; invece rimase impigliato nella palude e cadde a terra vedendo spargersi il suo sangue.

Colloquio con Bonconte da Montefeltro (85-129)

Un altro spirito prende la parola, augurando a Dante di raggiungere la sommità del monte e pregandolo di aiutarlo. Si presenta com Bonconte da Montefeltro, la cui vedova non si cura di lui sulla Terra, per cui il penitente va con la fronte bassa. Dante gli chiede quale circostanza fece sì che il suo corpo non fosse mai ritrovato dopo la sua morte nella battaglia di Campaldino: il penitente risponde che ai piedi del Casentino scorre un fiume di nome Archiano, che nasce in Appennino e sfocia in Arno. Qui Bonconte arrivò con la gola squarciata, a piedi e sanguinante, e prima di morire si pentì nominando Maria: una volta morto, la sua anima fu presa da un angelo, mentre un diavolo protestava perché, a causa del suo tardivo pentimento, non poteva portarlo all' Inferno. Il demone infierì però sul suo corpo: Bonconte spiega che nell'atmosfera si raccoglie l'umidità che si trasforma in pioggia a causa del freddo, per cui il diavolo usò il suo potere per scatenare una terribile tempesta che coprì di nebbia tutta la pianura e riversò una gran quantità d'acqua a terra. Il suolo non la poté assorbire tutta ed essa riempì i fossati confluendo poi nei fiumi, fino all'Arno; le acque dell'Archiano, con la sua corrente rapinosa, trascinarono via il corpo di Bonconte nell'Arno, sciogliendo il segno della croce che lui aveva fatto in punto di morte, quindi il suo cadavere fu seppellito sul fondale del fiume.

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Colloquio con Pia de' Tolomei (130-136)

Appena Bonconte ha terminato di parlare, prende la parola l'anima di una penitente: costei chiede a Dante, quando sarà tornato nel mondo e si sarà riposato del suo lungo cammino, di ricordarsi di lei, Pia de' Tolomei: era nata a Siena e poi morì violentemente in Maremma, come ben sa l'uomo che l'aveva chiesta in sposa e le aveva dato l'anello nuziale.

Interpretazione complessiva

Il Canto inizia coi due poeti che si allontanano dal primo balzo dell'Antipurgatorio, mentre le anime dei pigri si accorgono che Dante è vivo e iniziano a indicarlo con insistenza, inducendolo a fermarsi e a guardarli. La cosa suscita il rimprovero di Virgilio al discepolo, accusato di perdere tempo ascoltando ciò che quivi si pispiglia, invece di affrettarsi a seguirlo per raggiungere la sommità del monte: il richiamo del maestro è sembrato eccessivo ad alcuni commentatori, ma esso si inserisce nel discorso sul tempo che ha occupato buona parte del Canto IV e che è fondamentale nel secondo regno, dove le anime, incluso Dante, devono compiere un percorso che richiede impegno e fatica, per cui attardarsi oziosamente è inutile e contrario al loro dovere (si è anche pensato a un riferimento alle critiche che il poeta ricevette per la sua condotta politica, in particolare per il suo rifiuto a rientrare a Firenze nel 1315, per cui l'ammonimento di Virgilio è a non badare alle chiacchiere di gente inferiore, di mantenersi saldo nei suoi propositi sapendo di essere dalla parte della ragione). Fatto sta che Dante prova vergogna per il rimprovero, in modo simile a Inf., XXX, 130-148, e si affretta a seguire il maestro fino al secondo balzo, dove incontrano la schiera delle anime dei morti per forza.Qui la reazione dei penitenti è di stupore come quella delle altre anime già incontrate, anche se il loro atteggiamento è del tutto opposto a quello dei pigri: questi penitenti mandano subito dei «messaggeri» per chiedere notizie dei due viaggiatori, quindi tornano dai loro compagni con la notizia che Dante è vivo correndo velocissimi, come stelle cadenti che fendono il cielo notturno o lampi che squarciano il cielo estivo al tramonto. La loro concitazione segna tutto l'episodio e l'inizio del successivo, creando un forte contrasto con l'inerzia e l'immobilità di pigri: queste anime rincorrono letteralmente Dante (cui Virgilio ha raccomandato di non fermarsi e di ascoltare camminando), lo assediano, lo esortano a rallentare il passo in modo insistente (deh, perché vai? deh, perché non t'arresti?). La loro preoccupazione, come per tutte le anime dell'Antipurgatorio, è di essere ricordati ai vivi perché questi, con le loro preghiere, possono abbreviare la loro attesa, cosa che vale soprattutto per loro che essendo morti violentemente e avendo peccato fino all'ultima ora potevano essere creduti all'Inferno. Dante presenta tre di queste anime, la cui rapida successione scandisce i vari momenti della seconda parte del Canto: sono tre episodi molto diversi, per il tono e la funzione narrativa che ciascuno di essi assolve e anche per estensione, dal momento che quello di Bonconte è decisamente più ampio degli altri due che gli fanno, per così dire, da cornice.Il primo a parlare è Iacopo del Cassero, che non dice il proprio nome (la sua storia era talmente nota che l'identificazione non lasciava dubbi) e dopo aver pregato Dante di sollecitare le preghiere dei congiunti racconta la vicenda della sua uccisione. Le sue parole sono un duro atto d'accusa contro il mandante dei suoi sicari, quell'Azzo VIII d'Este già citato da Dante come uccisore del proprio padre in Inf., XII, 112 e spesso da lui esecrato come spietato tiranno; Iacopo descrive la crudezza della sua morte, che avvenne là dove credeva di essere al sicuro ( in grembo a li Antenori, nel padovano), ed esprime un certo rimpianto per il fatto di essere rimasto impacciato nella palude di Oriago dove fu ferito a morte, cosa che gli impedì di essere soccorso e, forse, di sopravvivere. Molto diverso il discorso di Bonconte da Montefeltro, che si presenta e suscita la curiosità di Dante, poiché il suo corpo non era mai stato trovato sul campo di Campaldino dove egli era caduto, nella stessa battaglia cui il poeta aveva preso parte. Il racconto di Bonconte delinea uno scenario grandioso e solenne, che riprende per contrasto (anche di toni) il racconto simile che il padre Guido aveva fatto a Dante nel Canto XXVII dell'Inferno, in quel caso credendo che le sue parole non sarebbero arrivate nel mondo. Bonconte invita invece Dante a riferire a'  vivi la verità di quanto accadde a Campaldino: la sua anima venne contesa tra un angelo e un diavolo, ma l'esito di questo contrasto era stato opposto a quello narrato da Guido, in quanto Bonconte si era pentito sinceramente e dunque la sua anima era destinata al Purgatorio. A quel punto il diavolo aveva scatenato una terribile tempesta che trascinò via il cadavere di Bonconte, seppellendolo sul fondale dell'Arno e non facendolo più ritrovare: il racconto del penitente è importante e crea un voluto contrasto con l'episodio del padre Guido, poiché quello era da tutti creduto salvo per la sua monacazione e invece è finito dannato per la non sincerità del suo pentimento, mentre Bonconte si è realmente pentito e ora è salvo, anche se la sua morte violenta e la scomparsa dal cadavere potevano far credere alla sua dannazione. La salvezza di Bonconte è l'ennesimo caso di una rivelazione inattesa che sconfessa la credenza popolare su un personaggio, meno clamoroso di quello di Manfredi o di altri, ma egualmente significativo del fatto che solo Dio può leggere la bontà del pentimento nel cuore dell'uomo e nessuno, quindi, può sapere con certezza quale sarà il destino ultraterreno di un personaggio.L'episodio si chiude con la parentesi delicatissima di Pia de' Tolomei, che prende la parola dopo la grandiosa descrizione delle potenze infernali con pochi versi di straordinaria dolcezza: la penitente è meno insistente degli altri, prega Dante di ricordarsi di lei quando sarà tornato sulla Terra ed essersi riposato de la lunga via (l'accento torna sulla fatica del cammino, che il poeta compie per purificarsi e con tutto il corpo). Gli ultimi tre versi del Canto sono come un'epigrafe funeraria, con l'indicazione del luogo di nascita e di morte della fanciulla (Siena mi fé, disfecemi Maremma, che è anche un chiasmo) e l'accusa, molto velata e in tono col personaggio, rivolta al marito di averla uccisa, senza alcuna parvenza di rancore o di biasimo. Non conosciamo la causa esatta di questo omicidio, che forse non era nota

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neppure a Dante, quindi è impossibile dire se Pia con le sue parole voglia protestare la sua innocenza, o scusare il marito per averla assassinata, o ancora esprimere il perdurare del suo amore per lui nonostante quel che ha fatto: non è escluso che qui, come in altri casi nel poema (Ugolino, ad es., sia pure in un contesto lontanissimo da questo) Dante voglia lasciare le cose nell'indeterminatezza, chiudendo il Canto con questa figura fragile e delicata che costituisce quasi una pausa al tono concitato dell'intero episodio (e che riprenderà all'inizio del seguente, con Dante che faticherà a liberarsi delle anime che lo assillano con una certa petulanza, rispetto alle quali Pia rappresenta una notevole eccezione).

Note e passi controversi

Alcuni mss. al v. 14 leggono fermo, riferito a Dante e non alla torre, ma è lezione poco probabile.Il verbo insolla (v. 18) significa «indebolisce» e deriva dall'aggettivo «sollo», debole.In forma di messaggi (v. 28) vuol dire «in qualità di messaggeri».L'espressione vapori accesi (v. 37) significa sia «stelle cadenti» sia «lampi»: fa da soggetto al verbo fender che ha come compl. ogg. rispettivamente sereno e nuvole d'agosto; sol calando ha valore di un ablativo assoluto latino e vuol dire «al calare del sole».Il v. 66 significa «purché l'impossibilità non impedisca la tua buona volontà»; nonpossa è parola composta come «noncuranza».Il paese (v. 68) che sta tra la Romagna e il regno di Napoli, governato da Carlo II d'Angiò, è la Marca Anconetana dove sorgeva Fano.L'espressione in sul quale io sedea (v. 74) vuol dire «sul quale (sangue) io, anima, avevo la mia sede» (era opinione diffusa, nella fisiologia medievale, che l'anima umana risiedesse nel sangue.Il territorio di Padova è detto in grembo a li Antenòri (v. 75) perché secondo un'antica leggenda Antenore aveva fondato la città veneta.Il braco citato al v. 82 è il fango (cfr. Inf., VIII, 50: come porci in brago).Al v. 88 Bonconte si presenta e usa due diversi tempi (fui... son), a indicare ciò che fu in vita, cioè membro della casata di Guido da Montefeltro, e ciò che continua a essere come individuo.L'Archiano (v. 95) è un affluente di sinistra dell'Arno, che vi sfocia dopo aver attraversato la pianura del Casentino e che nasce presso l'Eremo (Ermo) di Camaldoli, in un luogo boscoso presso il Falterona, sull'Appennino. Il suo nome diventa vano (v. 97) nel punto in cui sfocia nell'Arno.Ai vv. 100-102 alcuni editori moderni mettono una virgola dopo vista e legano la parola al verbo finì (prima persona singolare); in tal caso si dovrebbe leggere: «Qui persi la vista e le mie parole finirono col nome di Maria...». L'interpretazione è convincente, anche se il verbo finire nel senso di «morire» è ampiamente attestato nella lingua del Trecento.L'etterno (v. 106) è l'anima di Bonconte, mentre l'altro (v. 108)è il corpo; da notare la replicazione de l'altro altro governo.I vv. 112-113 sono stati variamente interpretati, ma il senso più probabile sembra essere questo: «quello (il demonio) unì la volontà malvagia (mal voler), che ricerca solo il male, all'intelletto...». Era opinione dei teologi che il diavolo avesse il potere di agire sugli elementi atmosferici.Il gran giogo (v. 116) non indica forse una cima in particolare, ma l'ultimo tratto dell'Alpe di Serra (detto anche «giogana»).Il fiume real (v. 122) è l'Arno, che nel Trecento era detto così come tutti i fiumi che sfociavano in mare.Il v. 129 che chiude il racconto di Bonconte (poi di sua preda mi coperse e cinse) è sembrato a molti commentatori particolarmente lapidario, tanto da essere accostato alla chiusa del racconto di Ulisse (Inf., XXVI, 142): infin che 'l mar fu sovra noi richiuso.Il verbo salsi (v. 135) è forma contratta di sallosi e significa «lo sa».Alcuni mss. leggono al v. 136 disposata, che darebbe alla frase questo senso: «colui che mi aveva sposata dopo che ero stata già inanellata», quindi in seconde nozze (di un primo matrimonio di Pia non abbiamo alcuna notizia certa); è più probabile la lezione a testo, poiché il disposare e l'inanellare erano i due atti della cerimonia religiosa, in quanto col primo si dichiarava la volontà di sposare, col secondo si poneva l'anello come segno di tale volontà.