Punto G 02

4
http://www.FaceBook.com/PartitoPerLaProtezioneDelSensoCriticoInEstinzione LA DONA, LA DONNA,- LA DONNA... E IL CINEMA? E’ un periodo di gran fermento, sul fronte femminile: le donne sono risolute. Esigono un cambiamento della propria immagine nella società, ripulendola dalla mercificazione, dall’indegna situazione di squallore morale in cui è costretta o attirata, da un’inferiorità di fatto che colpevolmente ne danneggia le virtù e ne frustra le aspirazioni. Come siamo lontani da “L’eterno femminino che sempre ci eleva” del Faust di Goethe! Ciononostante, al solito, voglio essere estrema- mente critico, e perdon- erete le provocazioni – se vi sembreranno tali. Cambiare il purtrop- po verissimo cliché dell’uomo che davanti alle poppe perde la testa e che tratta la donna come un insieme non omogeneo di seni, natiche, labbra e cosce è responsabilità dell’uomo. Come umano di sesso maschile, trovo assoluta- mente necessario risollevare il mio sesso dalla barbarie intellettuale e sessual-istintuale in cui cade in relazione alla donna. Insomma, il pro- fessore che all’esame di una ragazza discorre col suo decoltée mi imbarazza – e la trovo una problematica di genere, non un banale e sin- golare caso di favoritismo. Infatti allo stesso modo sono terribili le migliaia di casi analoghi in cui l’uomo cede all’abbrutimento. Questo per sottolineare come il problema sia bilaterale, per un animo sensibile. Ad ogni modo temo che la donna, pur con le imponenti manifestazioni e il diffuso odore di mimosa non riuscirà ad ottenere risultati ap- prezzabili su questa via a meno di una presa di consapevolezza più ampia che ha come tappa fondamentale il modello. Mi spiego meglio. “Verba docent, exempla trahunt“ dicevano i latini. Le parole insegnano, gli esempi trasci- nano. Tutti sappiamo che la donna non ha da es- ser mercificata (orrendo aggettivo molto à la page), che le sue realizzazioni personali non possono essere umiliate, che sono tutte in- dignate e via dicendo. Ma che cosa vedo se mi guardo intorno? Niente polemica, si parte dall’osservazione. Nella mia quotidianità, specie universitaria, vedo un gran numero di donne, di ragazze che invece cavalcano la realtà dei fatti - sordida onda – vivendo in maniera succube ogni as- petto della propria vita, dalla professione ai sentimenti, liete di un’esistenza deresponsabi- lizzata. Come fanno anche gli uomini, ma per motivi diversi. E ci parlo, e resto agghiacciato. Uomini e donne apprendono gli uni dalle altre come comportarsi reciprocamente, quindi come stu- pirsi, mi domando, se i miei coetanei trattano le donne come rumorose suppellettili nec- essarie a certi svaghi? Certo, mi stupisco per- ché questi miei coetanei dimostrano un intelletto profondo come un graffio, e sono costernato che le loro decisioni siano assunte collegialmente da gonadi e pene. Ma quale di queste donne che vedo vuole essere un modello? E come è possibile che l’immaginario di queste persone indugi con tanta intensa voluttà e innocenza su Colazione da Tiffany? Non scordiamoci che la Hepburn vi interpreta una puttana che fa la puttana per fare la bella vita. E’ Ruby Rubacuo- ri: e non scordiamo che le sex symbol sono, ap- punto, solo sex symbol. Ma proprio qui volevo arrivare. I modelli che ci danno i media sappiamo che sono marci fino al midollo. Qualche giorno fa dondolavo l’amaca del mio pen- siero sul perché le pubblicità per i reggiseni push-up siano fatte a misura d’uomo – e ciò a cui giungevo non mi piaceva. Ma l’arte? Nell’arte – che sia teatrale, figu- rativa, letteraria ma soprattutto cinematografica – perché non si selezionano i modelli adatti a portare avanti una nuova idea di donna, un ruolo femminile della vita concreta che non sia d’oggetto né di parodia dell’uomo? Un ruolo in cui vera- mente le masse femminili pos- sano ritrovarsi, cui possano ispirarsi per una nuova libertà, per una nuova, piena realizza- zione, e da cui gli uomini possano trarre delle conclusioni mature su come è che si debbano comportare? Vedevo il celebratissimo “Il cigno nero“. Os- car alla migliore attrice, Natalie Portman. Un film in cui la donna – ogni donna del film – è presentata come un’entità assolutamente in- stabile, incapace di vivere i propri sentimenti in maniera matura, preda di un disagio strut- turale che la porta invariabilmente a manie di controllo, psicosi gravi o promiscuità da meretricio gratuito, che gravita attorno a un personaggio maschile che abusa (non solo moralmente) di lei e di cui lei comunque deve ricercare l’approvazione. Se l’oscar di migliore attrice va a questo ruolo, butta male. A prescindere dall’attrice, che mi IL PUNTO l’orgoglio e la dignità sono animali molto diversi. Orgoglio è avere sempre ragione, dignità è ammettere le ragioni altrui quando sono migliori. Orgoglio è aspettare sempre che gli altri tornino indietro, dignità è tornare indietro quando si è sbagliato. Orgoglio è ven- dicarsi, dignità informarsi sulle ragioni che hanno spinto il nostro nemico a farci un torto, e porvi rimedio alla radice. L’orgoglio ce lo hanno anche i bambini dispettosi, la dignità solo i più grandi e forti degli eroi. Guido Giacomo Gattai http://www.FaceBook.com/GuidoGiacomoGattai

description

 

Transcript of Punto G 02

Page 1: Punto G 02

http://www.FaceBook.com/PartitoPerLaProtezioneDelSensoCriticoInEstinzione

LA DONA, LA DONNA,- LA DONNA... E IL CINEMA?

E’ un periodo di gran fermento, sul fronte femminile: le donne sono risolute. Esigono un cambiamento della propria immagine nella società, ripulendola dalla mercificazione, dall’indegna situazione di squallore morale in cui è costretta o attirata, da un’inferiorità di fatto che colpevolmente ne danneggia le virtù e ne frustra le aspirazioni.Come siamo lontani da “L’eterno femminino che sempre ci eleva” del Faust di Goethe!Ciononostante, al solito, voglio essere estrema-mente critico, e perdon-erete le provocazioni – se vi sembreranno tali.Cambiare il purtrop-po verissimo cliché dell’uomo che davanti alle poppe perde la testa e che tratta la donna come un insieme non omogeneo di seni, natiche, labbra e cosce è responsabilità dell’uomo. Come umano di sesso maschile, trovo assoluta-mente necessario risollevare il mio sesso dalla barbarie intellettuale e sessual-istintuale in cui cade in relazione alla donna. Insomma, il pro-fessore che all’esame di una ragazza discorre col suo decoltée mi imbarazza – e la trovo una problematica di genere, non un banale e sin-golare caso di favoritismo. Infatti allo stesso modo sono terribili le migliaia di casi analoghi in cui l’uomo cede all’abbrutimento.Questo per sottolineare come il problema sia bilaterale, per un animo sensibile.

Ad ogni modo temo che la donna, pur con le imponenti manifestazioni e il diffuso odore di mimosa non riuscirà ad ottenere risultati ap-prezzabili su questa via a meno di una presa di consapevolezza più ampia che ha come tappa fondamentale il modello.Mi spiego meglio.“Verba docent, exempla trahunt“ dicevano i latini. Le parole insegnano, gli esempi trasci-nano.Tutti sappiamo che la donna non ha da es-ser mercificata (orrendo aggettivo molto à la page), che le sue realizzazioni personali non

possono essere umiliate, che sono tutte in-dignate e via dicendo. Ma che cosa vedo se mi guardo intorno? Niente polemica, si parte dall’osservazione.Nella mia quotidianità, specie universitaria, vedo un gran numero di donne, di ragazze che invece cavalcano la realtà dei fatti - sordida onda – vivendo in maniera succube ogni as-petto della propria vita, dalla professione ai sentimenti, liete di un’esistenza deresponsabi-lizzata. Come fanno anche gli uomini, ma per motivi diversi. E ci parlo, e resto agghiacciato.

Uomini e donne apprendono gli uni dalle altre come comportarsi reciprocamente, quindi come stu-pirsi, mi domando, se i miei coetanei trattano le donne come rumorose suppellettili nec-essarie a certi svaghi? Certo, mi stupisco per-ché questi miei

coetanei dimostrano un intelletto profondo come un graffio, e sono costernato che le loro decisioni siano assunte collegialmente da gonadi e pene. Ma quale di queste donne che vedo vuole essere un modello? E come è possibile che l’immaginario di queste persone indugi con tanta intensa voluttà e innocenza su Colazione da Tiffany? Non scordiamoci che la Hepburn vi interpreta una puttana che fa la puttana per fare la bella vita. E’ Ruby Rubacuo-ri: e non scordiamo che le sex symbol sono, ap-punto, solo sex symbol. Ma proprio qui volevo arrivare.

I modelli che ci danno i media sappiamo che sono marci fino al midollo. Qualche giorno fa dondolavo l’amaca del mio pen-siero sul perché le pubblicità per i reggiseni push-up siano fatte a misura d’uomo – e ciò a cui giungevo non mi piaceva. Ma l’arte?Nell’arte – che sia teatrale, figu-rativa, letteraria ma soprattutto cinematografica – perché non si selezionano i modelli adatti a portare avanti una nuova idea di donna, un ruolo femminile della vita concreta che non sia d’oggetto né di parodia dell’uomo? Un ruolo in cui vera-mente le masse femminili pos-

sano ritrovarsi, cui possano ispirarsi per una nuova libertà, per una nuova, piena realizza-zione, e da cui gli uomini possano trarre delle conclusioni mature su come è che si debbano comportare?Vedevo il celebratissimo “Il cigno nero“. Os-car alla migliore attrice, Natalie Portman. Un film in cui la donna – ogni donna del film – è presentata come un’entità assolutamente in-stabile, incapace di vivere i propri sentimenti in maniera matura, preda di un disagio strut-turale che la porta invariabilmente a manie di controllo, psicosi gravi o promiscuità da meretricio gratuito, che gravita attorno a un personaggio maschile che abusa (non solo moralmente) di lei e di cui lei comunque deve ricercare l’approvazione.Se l’oscar di migliore attrice va a questo ruolo, butta male. A prescindere dall’attrice, che mi

IL PUNTOl’orgoglio e la dignità sono animali molto diversi. Orgoglio è avere sempre ragione, dignità è ammettere le ragioni altrui quando sono migliori. Orgoglio è aspettare sempre che gli altri tornino indietro, dignità è tornare indietro quando si è sbagliato. Orgoglio è ven-dicarsi, dignità informarsi sulle ragioni che hanno spinto il nostro nemico a farci un torto, e porvi rimedio alla radice. L’orgoglio ce lo hanno anche i bambini dispettosi, la dignità solo i più grandi e forti degli eroi.

Guido Giacomo Gattaihttp://www.FaceBook.com/GuidoGiacomoGattai

Page 2: Punto G 02

piace anche e che stimo.Io credo che la rivoluzione non possa prescin-dere da una selezione artistica dei modelli. Modelli da cercare e promuovere per essere a propria volta modelli, per essere esempi train-anti. La donna sensibile che voglia sensibiliz-zare non credo possa prescindere dal leggere e prestare e regalare i libri di Amado, della Al-lende.Al solito io temo molto più il sotterraneo del palese. Mentre il palese è facile disinnescarlo, e quindi le pubblicità e il bunga bunga a mio avviso non rappresentano una minaccia così concreta, il sotterraneo universalmente rite-nuto innocuo, o entrato nella cultura generale è pericolosissimo, e vero ostacolo alle affer-mazioni nuove della donna.Finché si penserà che è normale per una bella ragazza alzare un po’ di quattrini facendo la ragazza-immagine piroettando a culo scoperto perché pecunia non olet, niente cambierà. Fin-ché si penserà che le sex symbol sono simboli di femminilità a cui rifarsi, niente cambierà. Finché si penserà che dopotutto un esercizio di potere legato al sesso in certi casi è accet-tabile, niente cambierà.Uomini e donne sono indissolubilmente le-gati: la cultura maschile è specchio di quella femminile e viceversa. La responsabilità del cambiamento è di entrambi. E ciascuno deve pensare al massimo che può fare per coltivare concretamente una cultura nuova.

Giorgio Moretti

ITALIA: CHI E’? La storia d’Italia vista

dagli occhi della povera gente

2. Il pauperismo contadino.

Dovunque la condizione contadina – pur nella sua grande varietà di manifestazioni – è rias-sumibile in una parola sola: povertà, o se si ritiene che vi sia ancora un gradino più in

basso della povertà: miseria, miseria squallida e disumana. In tutta Italia, al Nord, al Centro, al Sud e anche Ol-tralpe.Esattamente il contrario di quanto una certa letteratura – che può essere definita ironicamente arcadica o pas-torale – ha affermato e descritto (o meglio, finto di descrivere, come se si trattasse di un ritratto dal vero): il buon contadino dalle scarpe grosse e dal cervello fino che si gode l’aria salubre della campagna, mangia sano, stende la mano e coglie un frutto, che ha de-sideri semplici, facili da soddisfare e, che soprattutto, se arriva alla tarda età, ha una saggezza giustamente invidi-atagli da chi vive tra i mille artifici e i mille inganni della città.Il pane che mangia il contadino auten-tico non è fatto che in piccola parte di farina di frumento. Il più delle volte vi si mescolano l’avena e l’orzo, qualche volta vi si aggiunge la paglia ed è sem-pre, regolarmente, in quantità inferiore a ciò che sarebbe necessario. Dove è

possibile si supplisce con la polenta (Lombar-dia meridionale e, soprattutto, Veneto). Il mais è una benedizione, tanto più che per sfamare un adulto ne basta una modesta quantità al giorno, di facile e rapida cottura. Il mais è in-sieme una maledizione; se non accompagnato da integratori vitaminici fa insorgere la pel-lagra (così detta, secondo alcuni, per gli in-crespamenti della pelle, simili a quelli provo-cati dalla lebbra). Per decenni le cause della malattia rimangono oscure, infine si scopre che all’origine sta, appunto, una banale avi-taminosi facile da curare attraverso semplici modifiche dell’alimentazione, ma intanto la malattia ha fatto migliaia di vittime.Analogo l’andamento della malaria. Anche qui prima di scoprire il meccanismo della sua insorgenza passano lunghi anni senza una contromisura efficace, anche se si conoscono già le virtù del chinino. Ne sono colpiti le

Maremme, l’agro pontino, il Polesine, il fer-rarese, zone sparse dell’Italia meridionale… Ogni terra ha il suo flagello.L’elenco, naturalmente, non è finito qui. La morbilità è alta ed è favorita da una plural-ità di fattori: le scarse conoscenze mediche dell’epoca, la mancanza di ogni forma di as-sistenza o di prevenzione (ammalarsi è una colpa), la trascuratezza dell’igiene, il legame dei contadini con terapie tradizionali a carat-tere magico o superstizioso… La mortalità in-fantile è molto alta dovunque e molto grave è lo sfruttamento del lavoro minorile. Ancora in tenera età il bambino viene inviato nei campi: scalzo, malvestito, malnutrito deve badare agli animali da pascolo e da cortile. Tipico è il caso dei cosiddetti gettatelli e cioè di coloro, numerosissimi, che sono rifiutati dai loro geni-tori, non in grado di allevarli, ed accolti dagli ospedali o da enti assistenziali appositi e che, a dodici anni di età all’incirca, vengono affidati a una famiglia contadina che li accoglie perché sono pur sempre braccia da lavoro, a cui as-segnare i compiti più umili.La donna, poi, è, quasi sempre, la vittima si-lenziosa di questo modello di società, l’ultimo gradino della famiglia patriarcale: lavora nei campi, lavora in casa, alleva i figli, accudisce le bestie da cortile e anche quelle da lavoro. Se poi hanno la disgrazia di avere un figlio fuori dal matrimonio vanno soggette alla riprovazi-one generale, devono nascondere il frutto della loro colpa, e prendono il nome di gravide oc-culte.Queste condizioni si protraggono nel tempo, generazione dopo generazione. Carlo Levi, in Cristo si è fermato a Eboli, descrive scene st-razianti di paesi popolati da bambini che nem-meno cacciano le mosche che si affollano at-torno ai loro occhi affetti dal tracoma, mentre le loro madri, ancora giovani, appaiono maci-lente, prive di forze, precocemente vecchie. E Levi scrive nel 1942-43. Ancora nella seconda metà del Novecento, in Sicilia, era possibile rintracciare perfino casi di bottone d’Oriente, una rara malattia della pelle.

Page 3: Punto G 02

Anche il mito della casa colonica ampia, ari-osa, salubre, razionalmente organizzata neces-sita di qualche revisione. Questo può essere vero, almeno parzialmente, per le fattorie toscane del periodo leopoldino, culminanti nelle caratteristiche colombaie, ma la regola dovunque è il tugurio, la catapecchia che os-pita più persone del dovuto. Si alloggia anche nelle caverne (tipici i sassi di Matera, destinati ad accogliere soprattutto pastori e che verran-no sfollati solo a partire dal 1952). Generalmente gli spazi sono ristretti. Spesso si dorme nelle stalle. Si dorme accanto ai propri familiari, figli, fratelli e sorelle, con danno dell’igiene e anche della moralità. La vita dei contadini viene così ridotta a quella delle bes-tie.I pastori – che rientrano, sia pure indiretta-mente, nella categoria dei contadini - debbono affrontare altri disagi non lievi, come quelli derivanti dalla transumanza (trasferimento stagionale delle greggi e anche delle mandrie di bovini dalla pianura alla montagna e vice-versa). I percorsi non possono essere coperti in un sol giorno. Quello forse più importante, in Italia, che va dal Tavoliere delle Puglie fino all’Abruzzo, attraverso il Molise, richiede stazioni di posta e luoghi di rifugio. Ma anche la transumanza dal Casentino alla Maremma (dove è in agguato la malaria), non è da meno quanto a disagi e rischi.La coltivazione dei campi è flagellata da im-prevedibili carestie che costringono il contadi-no a ridurre le sue già misere razioni di cibo e quelle dei suoi familiari. Le carestie, in organ-ismi tantoindeboliti, favoriscono l’insorgenza di nuove malattie, in gran parte a carattere epi-demico. Ovvie conseguenze negative si hanno anche quando la malattia colpisce l’animale da lavoro. La vacca non è sacra come in India, ma non è meno importante: il più delle volte la morte di un bue o di una mucca viene vissuta come un dramma a cui non si sa come mettere riparo.

Roberto G. Salvadori

MANGIARE BENEIn questa stagione farà bene fare un bel pieno di vitamine e dunque prepariamo un bel “bis” di verdure: le carote sono ricche di licopene (vitamina A), il cavolo fiore è ricco di vitamina C e la frutta secca fornirà molti minerali

CAROTE E PINOLITagliare le carote a fiammifero sottile (o a rondelle). In un tegame mettere le carote, un filo di olio, un dito di acqua, aglio (circa 1 spicchio per ogni etto di carote), sale e pepe. Coprire e lasciare cuocere a fuoco dolce fino a quando le carote saranno morbide. Pochi minuti prima di spegnere aggiungere una dose generosa di pinoli .Fare attenzione a che le carote non si attacchino. Una eventuale cot-tura più prolungata non danneggerà l’apporto vitaminico perché la vitamina A è resistente al calore.

CAVOLFIORE PASTICCIATOPulire il cavolfiore e staccare tutte le cimette. Cuocere a vapore preferibilmente in pentola a pressione, in questo caso saranno suf-ficienti 10 minuti. In una padella mettere 2 cucchiai di olio di oliva e 2 spicchi di aglio, farli colorire poi aggiungere il cavolfiore lessato, sale e pepe. Ripassare il tutto a fuoco vivo rimestando spesso. Quando il cavolo accennerà a prendere colore aggiungere olive nere denocciolate e tagliate a rondelle e fare insaporire. In questo caso è bene non esager-are con la cottura perché la vit. C si denatura con il calore.

Se vogliamo trasformare questi due piatti in un piatto unico sarà sufficiente servirli in-sieme a patate lesse cosparse di prezzemolo, sale e olio di oliva. In tavola sarà sempre presente il limone in modo che ogni commensale possa servirsene a piacere.

Anna Sardini

JOE COSPORCO: QUELLA SPORCHISSIMA

FACCENDA

Ero sulla mia vecchia Skarcaz mobil del ‘68 (1668, inten-do…) una sporca mattina di uno sporco novembre nella sporca città di Stankonia, e non mi ero neanche fatto la doccia molto bene. Vidi quello sporco bar e ricordai quello sporco barista che mi aveva servito quell’ultimo whiskey nell’ora di chiusura. A quel tempo ero invischiato in una storia davvero sporca. E neanche allora ero famoso per l’accuratezza delle mie docce.Fermai la mia sporca Skarcaz del ‘68 (un calesse a cui avevo fatto mettere il motore da un mio amico fruttivendo-lo) davanti a quello sporco bar in cui quello sporco barista mi aveva servito quell’ultimo whiskey. Già, quell’ultimo whiskey. Quando ero invischiato in quella sporca sporca faccenda… Di quello whiskey non ricordo se fosse sporco oppure no. Quando parlo di “ultimo whiskey” vuol dire che prima ne è venuta una quantità da affogare una famiglia di ippopotami. Già… O, come dice sempre il vecchio O’Dalegare, “Già…”.Entrai da quella sporca porta a vetri che aveva visto uomini

Page 4: Punto G 02

nascere e morire. E nemmeno uno che facesse il lavavetri. Si vede che essere porte non impedisce di essere sfigati…Già…Dicevo: entrai da quella sporca porta in quello sporco lo-cale, e vidi che dietro al fottuto bancone c’era sempre lo stesso grasso, vecchio, sporco barista di allora. Battei il pugno su bancone. Quello sporco bancone. Ci detti un po’ forte, il bancone si spaccò e io rimasi con il pugno incas-trato tra quelle sporche schegge di maledetto compensato. Ridevano, gli avventori. Brutti e viscidi vermi della terra. Si credono tutti dei modelli, invece nemmeno la Bburago se li prenderebbe.Il vecchio barista mi si avvicinò con passo da tricheco in secca e mi disse:- Cosa ci vuoi col conto del falegname, Joe?- Un doppio whiskey rinforzato con molto ghiaccio, poco limone, una spruzzatina di selz, un ombrellino multicolore e un piattino di plastica per il cucchiaino. - Il cucchiaino? E a che ti serve?- Non ho detto che voglio il cucchiaino. Voglio un piattino di plastica per il cucchiaino. Mi da sicurezza: so che se volessi potrei appoggiare il cucchiaino in ogni momento. Lo sai che sono fatto così, Ernie.- Tu non ci sei tutto con la testa, Joe.- Dimmi qualcosa che non so, Ernie.- Tuo padre se la faceva con i cinghiali. Usciva nel bosco la notte, li narcotizzava e se li lavorava di sederino, poi veniva a sbronzarsi qui e lo urlava a tutto il locale.- Ascolta, Ernie… “Dimmi qualcosa che non so” è un modo di dire, ok? Mi accesi una paglia e attesi il mio whiskey. Il vecchio Er-nie MacEmall. Era un pugile niente male, ma ha dovuto smettere per colpa di una sporca ernia. Tutte le volte che vinceva alzava sua moglie, e lo faceva così d’improvviso che i tre o quattro amanti che se la stavano lavorando men-tre lui era sul ring non facevano a tempo a staccarsi. Cosi Ernie tirava su anche tre o quattro quintali, e non si è mai accorto della differenza. Era troppo contento. A volte con-

tento è sinonimo di tonto, in questa sporca città. Anche adesso ci da dentro, comunque: martella i cosid-detti con questa storia a chiunque si avventuri nel suo bar. E vi giuro che vanno quasi sempre knock out al primo round. Il vecchio Ernie.Mentre cercavo di schiodare la mano dal bancone, ripensai a Donna, la mia bionda tutta platino e curve. Dio che fondo schiena. E, Dio!, che capelli. Fu per colpa di quei capelli che iniziò quella sporca storia: erano tanto platinati che una volta un marrano glieli tagliò. Lo ribeccai tre isolati più in là che cer-cava di fonderli. Che sporca storia!Mi riempì di smatafloni e rinquarti mentre il fido Book stava a guardare. Mai che abbia mosso una zampa in vita sua per darmi un aiuto, quel fi-glio di un cane. Per fortuna la rissa ci portò in strada proprio mentre il vec-chio O’Dalegare si stava gettando dal terzo piano per spappolarsi sul marciapiede. Il mariuolo si beccò il mio compare dritto sulla cocuzza.Un altro suicidio fallito per Matt, un altro caso risolto per il vecchio Joe Cosporco.Già…

Quando portai quel mascalzone davanti a Donna lei mi guardò dall’alto dei suoi tacchi e mi disse:- Non credere che questo ti permetta di invitarmi di nuovo a cena: te l’ho detto e te lo ripeto: le mie sere sono tutte impegnate, quando mi chiedi di uscire tu. E guarda come l’hai conciato, poi, questo poverino.

E si gettò a consolare il manigoldo. Che vi ho detto? Le donne farebbero di tutto, pur di attirare la mia attenzione.La guardai: stava bene anche con i capelli corti. Le detti una bella palpata al fondoschiena e andai a casa.Ci vollero giorni a curare quel comatoma.

Segui Joe ---> www.facebook.com/joecosporco