PUNCH - Marco Locatelli

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PUNCH di Marco Locatelli Dimenticatevi le storie d’amore tra umani ed esseri sbrilluccicanti: se volete davvero sapere qualcosa di vampiri leggetevi un po’ di saggistica al riguardo, magari fatevi una maratona di episodi di Buffy e recuperate dal vostro parroco un mezzo litro di acqua santa. Non si sa mai. La mia ragazza, prima di trasformarsi, era ossessionata dai vampiri; ne andava letteralmente pazza. Ricordo bene quanto fosse strano per me sbaciucchiarci nella sua camera da letto, circondati da pareti color rosso sangue e osservati dagli occhi indiscreti di un cartonato in dimensioni reali di Edward Cullen. Viola mi piaceva. Non la amavo, ma mi piaceva molto. E passavo diverso tempo a chiedermi se, nell’eventualità di un possibile trasferimento dopo il college, avrebbe tenuto tutte quelle cianfrusaglie e quei libri vampireschi sull’amore possessivo ma paradossalmente incondizionato. Sotto sotto, speravo che questa mania le passasse, e in fretta. Ma non accadde. Viola diventò un vampiro. PS: i vampiri non si trasformano in pipistrelli. La notte di Halloween fu la goccia che fece traboccare il vaso, la mano che mi spinse dal ‘certo che dovresti proprio smetterla con i vampiri’ allo ‘stai lontana da me, brutto mostro senza cuore’. Questo perché durante la festa organizzata dalla confraternita venni a conoscenza della nuova natura della mia fidanzata, natura sulla quale avevo già passato

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Il racconto di Marco Locatelli per lo Speciale Paranormal October del blog letterario Sangue d'inchiostro!

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Dimenticatevi le storie d’amore tra umani ed esseri sbrilluccicanti: se volete davvero sapere qualcosa di vampiri leggetevi un po’ di saggistica al riguardo, magari fatevi una maratona di episodi di Buffy e recuperate dal vostro parroco un mezzo litro di acqua santa. Non si sa mai. La mia ragazza, prima di trasformarsi, era ossessionata dai vampiri; ne andava letteralmente pazza. Ricordo bene quanto fosse strano per me sbaciucchiarci nella sua camera da letto, circondati da pareti color rosso sangue e osservati dagli occhi indiscreti di un cartonato in dimensioni reali di Edward Cullen. Viola mi piaceva. Non la amavo, ma mi piaceva molto. E passavo diverso tempo a chiedermi se, nell’eventualità di un possibile trasferimento dopo il college, avrebbe tenuto tutte quelle cianfrusaglie e quei libri vampireschi sull’amore possessivo ma paradossalmente incondizionato. Sotto sotto, speravo che questa mania le passasse, e in fretta. Ma non accadde. Viola diventò un vampiro. PS: i vampiri non si trasformano in pipistrelli. La notte di Halloween fu la goccia che fece traboccare il vaso, la mano che mi spinse dal ‘certo che dovresti proprio smetterla con i vampiri’ allo ‘stai lontana da me, brutto mostro senza cuore’. Questo perché durante la festa organizzata dalla confraternita venni a conoscenza della nuova natura della mia fidanzata, natura sulla quale avevo già passato

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tempo a speculare, ma che non mi aspettavo categoricamente di poter conoscere. Entrai nella casa della confraternita poco dopo l’orario ufficiale di inizio festa; questo perché non avevo intenzione di spendere troppo tempo là dentro con quel genere di persone, e perché avevo passato la serata a coltivare hobby genuini e soprattutto più interessanti di una normale festa di Halloween. Alla fine mi ero presentato per non fare un torto a Duke, che avrebbe ‘suonato’ con la sua ‘band’, e per compiacere la mia ragazza, che non vedeva l’ora di mostrarmi il suo vestito. Indovina come mi vestirò. La mia svogliatezza, comunque, mi aveva portato a recarmi alla casa vestito in jeans e felpa. Nella hall fui accolto da un paio di ragazze vestite da conigliette, o meglio, mezze nude con delle orecchie finte in testa. Una di loro reggeva un vassoio di biscotti; ne approfittai e ne ingoiai uno prima di attraversare un lungo corridoio accompagnato da finestre con le imposte rigorosamente chiuse, e recarmi nella sala grande. La stanza era già piena di studenti di entrambi i sessi, vestiti da fantasmi, zombie, vampiri (sigh), lupi mannari e assassini più o meno noti. Generalmente, le ragazze preferivano girare per la casa in mutande e reggiseno, più un cappello da strega o qualche cianfrusaglia inutile a definire il concetto di ‘travestimento’. L’unica persona di sesso femminile dalle gambe coperte era una ragazza in disparte che si teneva una borsa in feltro stretta tra le braccia, seduta vicino alla ciotola del punch. La riconobbi non solo dal volto parecchio caratteristico, incorniciato da capelli lunghi, neri e crespi, ma

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dall’abbigliamento. Se nel campus c’era una ragazza capace di andare in giro vestita durante la notte di Halloween, quella era lei. Dorkina. In verità il suo nome era Dorothy, ma tutti la prendevano in giro, e… insomma. Non avrei mai avuto la faccia tosta di deriderla, semplicemente per osmosi avevo iniziato a chiamarla anche io così. La salutai con un cenno della mano, e lei rispose a modo suo, aggiustandosi gli occhiali dalla montatura spessa sul naso e sgranando gli occhi in sorpresa, infine alzando la mano timidamente. Era carina, nella sua goffaggine. Distolsi lo sguardo da Dorkina e cercai tra la folla Duke, che come per magia mi si piazzò davanti al naso. «Hey man, tra poco iniziamo a suonare! Tu stai qua a sentirci, vero? Eh?» chiese, sovraeccitato. Ignorai totalmente la sua domanda, cosciente del fatto che sì, purtroppo sarei rimasto a sentirlo suonare. «Duke, hai visto Viola?» «No…» disse, guardandosi intorno «Però ho incontrato due bionde da sballo! Una continuava a chiamarmi Dick, credo» Sbuffai, gli posai una mano sulla spalla per qualche secondo e lo abbandonai tra la folla con uno sguardo da ‘tranquillo, tra poco torno, tu fai il bravo cane che quando arrivo ti do un biscotto’. Mi recai di nuovo nella hall, ed infine uscii fuori. Se Viola non era ancora arrivata, pensai, avrei potuto aspettarla all’esterno. In caso contrario, non vedendomi dentro, avrebbe potuto pensare la stessa cosa di me, quindi prima o poi ci saremmo dovuti per forza trovare.

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Mi sedetti sulle scalinate sotto al portico della casa e mi misi ad ammirare il campus. Attorno alla casa era tutto buio, ma qualche lampione rischiarava le strade ciottolate e qualche spazio d’erba. Avevo visto il campus talmente tante volte da potermi sentire al sicuro, anche di notte, anche assieme a un sacco di studenti ubriachi, eccitati e sudati. Per un attimo pensai che nessuno avrebbe mai potuto togliermi questa sicurezza. Finché non vidi i lampioni spegnersi uno ad uno ed una figura farsi spazio tra le ombre. Non la riconobbi subito, anzi, ci misi un po’ a distinguerne le fattezze. Gambe longilinee nude, un vestitino nero ed una borsetta; in più, dei capelli castani mossi nell’aria, nonostante non ci fosse vento. Oh no, pensai, oh no, oh no, oh no. Non può essere lei. E invece. Appena mi vide Viola mi stampò un bacio in bocca, senza darmi il tempo di dire qualcosa, qualsiasi cosa. Cercai di liberarmi per dirle che no, ero stanco e non era in vena, e che mi sarebbe piaciuto entrare a vedere Duke suonare (solo per compassione, in verità). Ma lei non staccò le labbra dalle mie per minuti interi, e nel momento in cui tentai di ritirarmi lei mi spinse contro il portone. «Nggh… Mhh! Viola, calmati!» urlai, ribellandomi alla sua presa. «Oh, gamberetto» disse. E fu in quel momento che notai qualcosa di strano, di davvero strano, più strano dei lampioni che si spegnevano in sincrono con i suoi passi e più strano della sua libido improvvisa.

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I suoi occhi erano gialli. E non dico dorati, ambrati o qualsiasi cosa di romantico e paranormale. Gialli. Gialli tipo impermeabile. Giallo limone. Giallo yellow-pecora. «Questa è una serata speciale» sussurrò. E in quel momento presi la situazione per le corna. «Tu stai male» E la mia fidanzata per i polsi. La trascinai all’interno della casa, guidandola fino alla sala grande. Duke stava suonando con la sua band, ma non mi preoccupai di prestargli attenzione. «Dove mi stai portando?» Chiese Viola con fare indignato, non opponendo però alcuna resistenza. «Tu stai male,» dissi «Quel colore degli occhi non è assolutamente normale e sto seriamente pensando che tu abbia preso qualche sostanza. Ora andiamo da Dorkina che sicuramente ci degnerà attenzione» a differenza di questi energumeni intenti a ballare come se non ci fosse un domani, pensai. «Ma gamberetto, ancora non capisci?» chiese. Mi fermai per un attimo tra la folla, che sembrò danzare ancora più freneticamente mentre fissai con intensità gli occhi gialli della mia ragazza. Nessuna scena in slow-motion. Niente pathos. Solo una frase che non avrei mai voluto sentire. «Sono una vampira» Aprii la bocca in segno di sorpresa. Notai solo in quel momento un segno sul collo di Viola. Precisamente, un’incisione fatta senza ombra di dubbio da un paio di canini. Barcollai. Non poteva essere vero. Sarebbe potuto essere uno scherzo di Halloween, ma ero sicuro che non fosse così. Viola

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non era mai stata la tipa da scherzi, Viola era la classica persona che dice quello che pensa e che sa. Viola non usa metafore. Inciampai e caddi sul pavimento bagnato ed appiccicaticcio. Sentii delle mani posarsi sulle mie spalle in una morsa fredda e decisa, dunque mi alzai e corsi senza nemmeno aprire gli occhi. Poi mi fermai a vomitare. Tra l’euforia generale degli studenti e la musica indecente della band di Duke, vomitai. Vomitai nella ciotola del punch. Vidi Dorkina sgranare gli occhi. Volevo dirle qualcosa, ma cosa? Hey, Dorothy, sto male. Ma tipo, tanto. Non pensare che io sia un ubriacone, sto male perché il pensiero che la mia fidanzata si sia appena trasformata in vampiro mi dà la nausea. Tra l’altro, devo essere pure stupido, perché non ho prove che la mia fidanzata sia davvero un vampiro. Non ho prove che la mia fidanzata sia un vampiro. Non ho prove che la mia fidanzata sia un vampiro. Detto fatto. Sentii un colpo violento alla nuca e caddi rovinosamente a terra. Aprii gli occhi al suono continuo dello sbattere di denti di qualcuno. Mi ritrovavo in una stanza buia e angusta, sdraiato su un letto matrimoniale. Ci misi un po’ ad adattarmi all’oscurità, ma dopo qualche secondo riuscii a riconoscere i contorni della persona che mi stava di fronte, legata ad una sedia ed impaurita. Tatatatatata. Era Duke. «Duke!» urlai. Lui alzò la testa, si guardò intorno e si mise a mugugnare, sempre sbattendo i denti con violenza. Mi alzai dal letto velocemente e corsi a liberarlo dalla fune.

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«Duke, ma che diamine…» mi fermai. Sapevo già la risposta alla mia domanda. C’era sangue dappertutto. Sulla corda, sui vestiti del mio migliore amico, per terra. Trattenni un ultimo conato di vomito ed aiutai Duke a liberarsi. Notai dei segni sul suo collo. «Duke, lei ti ha…» «È impazzita, man»

Tatatatatatatata. «Lo so» dissi. Feci per alzarlo, fino a quando non sentii la porta della stanza aprirsi e vidi un figura stagliarsi controluce. «Dick, sta’ zitto. Gamberetto, oggi è il nostro momento» disse. Viola. Duke si risedette prendendo in mano la corda indicando quasi di voler tornar legato. Io tentai di non cadere a terra e non perdere i sensi. Viola accese la luce e si avvicinò me. Era coperta di sangue ovunque. Sulle braccia, sulle gambe nude e sul volto, attorno alla bocca. Rabbrividii. «Dick è quasi vampiro» disse «Non sei contento? Ora manchi solo tu e potremo stare tutti assieme» Volevo urlare. Volevo gridare aiuto. E spaccarle la faccia. «Saremo una famiglia» sussurrò, avvicinandosi a me, l’odore del sangue sul suo viso facentesi sempre più acre «Saremo casa. E noi vampiri troviamo sempre una strada verso casa» Tatatatatatata. Duke era letteralmente pietrificato. «Dick?» urlò lei «Dick, ci sei?» Il mio migliore amico si alzò dalla sedia e si sfogò in un pianto disperato. Enormi lacrime gli rigavano il viso che,

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nonostante la barbetta, era quello di un bambino impaurito e solo. Mi venne quasi voglia di abbracciarlo. Viola invece ebbe un’altra idea. Girò la testa di qualche grado in tono interrogativo, poi si avvicinò a Duke e lo fissò da pochissimi centimetri di distanza. «Perché piangi?» Tatatatatatatata. «Non vuoi essere parte di una famiglia?» Duke non rispose. E Viola gli spaccò di netto il collo con una mossa delle mani. Il suo corpo si accasciò a terra, ed io lasciai andare un gridolino. Non poteva essere vero. Era davvero impazzita. Feci l’unica cosa sensata. Corsi. Senza chiedermi quanto tempo ci avrebbe messo a prendermi (poco) o quanto doloroso sarebbe stato il suo morso (tanto), uscii dalla stanza e cercai una via di fuga. O qualcuno con cui correre. Scivolai sul pavimento più volte, anch’esso imbrattato di sangue. Feci poco caso ai corpi che giacevano per terra nei corridoi. Stanno solo dormendo, mi ripetevo, sono sbronzissimi e stanno dormendo. Scesi una rampa di scale trovandomi nella sala grande. Non sentivo passi dietro di me. E se sono pazzo? E se mi sto immaginando tutto? Tentai di non farmi più domande. Ci provai con tutto me stesso, nonostante continuassero a saltarmi in testa ad ogni passo. E corsi verso l’uscita, attraversando il lungo corridoio illuminato dai primi spiragli di aurora. Luce. Luce!

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Mi voltai per vedere dove fosse la mia ragazza, e la vidi in avanzata verso di me. Camminava lenta, ma con passo estremamente sicuro ed un sorriso sinistro sulle labbra. Ce l’avrei potuta fare. Sarei potuto scappare. Arrivai al portone principale, e posai la mia mano sinistra sopra la maniglia. Mi voltai una seconda, volta, trovandomi la faccia di Viola davanti alla mia, il suo alito sul mio viso, l’odore di sangue che mi pizzicava il naso. «Perché mi fai questo?» chiese «Perché non possiamo stare insieme per sempre?» Perché non esiste il per sempre, pensai. Non con un vampiro.

E aprii la porta. Per uno scarso secondo rimase accecata dalla luce, e ciò mi diede il tempo necessario per uscire. Per lasciare quel mostro in quel luogo che ormai era diventato un macello. Non sarebbe stato per sempre, ma per qualche ora, per qualche benedettissima ora di luce, sarei stato salvo.

Mi chiusi la porta alle spalle, cosciente del fatto che il peggio doveva ancora arrivare. Decisi di recarmi verso il parcheggio del dormitorio, prendere la macchina e guidare fino a casa. Dai miei genitori. Ma un pensiero si insinuò nella mia mente e mi fece congelare.

Noi vampiri, aveva detto Viola, troviamo sempre una strada verso casa.