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AMICA AMICA V O C E Pubblicazione Trimestrale delle Piccole Figlie di S. Giuseppe Verona - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2, DCB VERONA Amica Voce N. 3 - Settembre-Dicembre 2017 In questo numero: ED È DI NUOVO NATALE pag 3 VIVERE IN MODO STRAORDINARIO pag 14 L'ESSENZIALE DIPENDE DA NOI pag 18

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AmicaVoce N. 3 - Settembre-Dicembre 2017

In questo numero:

ED È DI NUOVO NATALE pag 3

VIVERE IN MODO STRAORDINARIO pag 14

L'ESSENZIALE DIPENDE DA NOI pag 18

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Pubblicazione trimestrale delle Piccole Figlie di S. Giuseppe37128 Verona Via Don Baldo 7Tel. 045 8348608www.piccolefigliesangiuseppe.it

Direttore Responsabiledon Guido TodeschiniDirettoreSr. Antonietta CorazzaProgetto grafico ed impaginazioneGmGraphics (vr)StampaEdizioni Stimmgraf Srl (vr)Diffusione editorialeNuova Zai snc (vr)Aut. Pref. di Verona n. 3055 Gab. 251145

Ed è di nuovo Natale 3

Nello specchio della carità 4

Il latte interreligioso 6

Il perdono risolleva l’uomo... 8

Il "DUE" nella storia della Georgia 10

Vivere in modo straordinario le cose ordinarie! 14

Celebrare la storia per celebrare la vita 15

Le Piccole Figlie ad Annone Veneto 17

L’essenziale dipende da noi 18

Dio ama la terra 20

N. 3 - Settembre-Dicembre 2017

In questo numero...

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Madre Elisa Baù

Alle volte siamo tentati di domandare a noi stessi: a che cosa serve ripetere le stesse cose, ricordare le stesse date, per-

correre le stesse strade di sempre? Questo non rende monotona la vita? Quale novità può na-sconderci un volto, una storia, un sentiero che conosciamo già così bene?Sono domande che forse portiamo dentro noi stessi, magari inconsciamente, quando parliamo di tradizioni, di memorie legate al passato che toccano anche l’ambito religioso come quando ci riferiamo al Natale. Ma il ricordare non fa anche rinnovare, riportare alla luce qualcosa che forse è passato inosservato in un altro momento? Noi non siamo mai gli stessi, anche un attimo dopo, il presente già passa, qualcosa in noi cambia e si modifica. In un mondo frenetico come il nostro, dove le persone spesso sono travolte nella ricerca inces-sante di nuove sensazioni, nel voler scoprire nuo-vi “paradisi” di felicità… dove tutto si vuol tocca-re, divorare rapidamente soddisfacendo il palato e i sensi, non è facile fermarsi e pensare che possa esistere qualcosa di nuovo, di diverso che non pos-siamo stringere in mano e che va oltre il nostro piccolo orizzonte. Sembra proprio che pensare, usare questa capacità così squisitamente umana sia faticoso…non va di moda, richiede silenzio… si preferisce lasciarsi andare nell’onda del rumore e della superficialità.Forse per questo è quasi impossibile, per certe persone, sospendere “la corsa” e concedersi una

pausa per guar-dare al di là delle luci sma-glianti, dei pac-chi dono, dei vestiti di marca, dei cenoni …per pensare al significato pro-fondo del Na-tale di Gesù. Il Natale però suscita un incanto unico che non si esaurisce in uno sguardo fugace delle immagini e dei simboli natalizi; visto in profondità, esso ema-na un’energia che tocca dentro, modifica il cuore di chi non è semplice spettatore, ma si lascia coin-volgere divenendo “attore”, partecipe di questo grande avvenimento che si fa vivo in lui. La Chiesa che ci è Madre, ogni anno ci invita a risvegliarci, a rimetterci in cammino come pel-legrini dal cuore umile, aperto allo stupore, sui sentieri della speranza, in vigilante attesa di Colui che continua a venire per “fare nuove tutte le cose” (Ap 21,5).Nel tempo di attesa, Avvento, ci disponiamo a fare un percorso di Fede che ci conduce, passo, passo, sull’esempio dei tre Testimoni - Isaia, Gio-vanni Battista e Maria - ad assumere le attitudini indispensabili per fare spazio, per poter accogliere il Dio Bambino che viene a rinascere in noi.Ed è di nuovo Natale, quel Natale che si fa visi-bile nella carne di ogni fratello del “piccolo, grande Bambino” che attende da me, da ciascuno di noi, accoglienza, amore e speranza.

Facciamo nostre le parole di Padre Turoldo, scam-biandoci gli Auguri più veri di Buon Natale “con la speranza che questo sia un nuovo Natale: che finalmente la Parola prenda carne, e cioè si realizzi nella vita quotidiana. Perché Natale o è incarnazio-ne del Verbo di Dio nella nostra realtà individuale e storica, o non è Natale”. ■

Ed è di nuovo Natale

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Il 19 marzo 2016 papa Francesco ha consegnato a tutti i cristiani l’Esortazio-

ne Apostolica sull’amore nella famiglia intitolata Amoris lae-titia, cioè la letizia dell’amore. Questo testo è stato preceduto da ben due sinodi dei vescovi dedicati alla famiglia, il primo nell’ottobre 2014 e il secondo nell’ottobre 2015. La lunghez-

za del percorso, la ricchezza del-le discussioni e dei contributi, che si sono intrecciati in questi due anni, motivano la grande ampiezza del testo composto di nove capitoli per un totale di 325 paragrafi. Se da una par-te la corposità del documento

tano gli altri capitoli. L’amore nel matrimonio (4) e l’amore che diventa fecondo (5) sono i due capitoli centrali nei quali il Papa delinea la visione di fon-do che dovrebbe stare davan-ti ai nostri occhi e nei nostri cuori per guardare l’esperienza della famiglia con lo sguardo di Gesù. Papa Francesco sceglie i versetti centrali dell’elogio del-la carità che San Paolo scrive nella Prima Lettera ai Corinzi (1Cor 13, 4-7) per offrire una ricchissima meditazione sull’a-more. Tutti gli aggettivi e le qualità che San Paolo utilizza per parlare dell’amore cristia-no, cioè l’agàpe o carità, ven-gono commentati dal Papa. Prima di tutti i singoli aspetti e le numerose problematiche è importante ripartire dal cuore di ciò che è in gioco e, in que-sto senso, il capitolo quarto rappresenta veramente un testo di grande respiro, di profonda sapienza, di forte incoraggia-mento e realismo. Qual è la sorgente della famiglia? Qual è il punto di riferimento per la pastorale familiare, per guarda-re e affrontare le tante sfuma-ture e difficoltà di questa espe-rienza fondamentale della vita? La risposta e proposta di papa Francesco è: la carità.

papale potrebbe scoraggiare il lettore medio, dall’altra lo stile di papa Bergoglio è un ottimo stimolo per dedicare un po’ di tempo alla lettura e riflessione a partire da questo stimolante scritto. Propongo uno sguardo iniziale, un semplice colpo d’occhio al vasto panorama che si dispiega davanti a noi aprendo Amoris

laetitia. La prospettiva nella quale collocarci è quella indica-ta immediatamente dal titolo: la gioia dell’amore. Sono infat-ti i capitoli 4 e 5 a costituire il nocciolo della proposta e a po-ter essere considerati la vedetta o il fulcro attorno al quale ruo-

Nello specchio della caritàUno sguardo all’esortazione Amoris laetitia di papa Francesco

Don Giulio Osto

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Mettendo al centro il capitolo quarto possiamo guardarci at-torno e collocare tutti gli altri percorsi che vengono illumi-nati dalla riscoperta dell’amo-re cristiano. Il primo capitolo è una passeggiata nella casa di ogni famiglia che viene visitata seguendo alcuni testi biblici. Il secondo capitolo vuole attra-versare le tante sfide che oggi le famiglie vivono nel mondo. Il terzo capitolo riprende alla luce dell’amore il significato del sa-cramento del matrimonio e del legame tra la famiglia e la chie-sa. Il capitolo quinto continua la meditazione centrale sull’a-more con uno sguardo più ap-profondito sulla dimensione della fecondità. I quattro capi-toli conclusivi esplorano quat-tro ambiti più pratici e operati-vi: la pastorale, l’educazione, la fragilità, la spiritualità.

Le riflessioni, le tematiche e le questioni sono veramente mol-tissime e si intrecciano tutte tra loro. Amoris laetitia è una grande bussola per le comunità cristiane che sono chiamate a lasciarsi provocare dalle parole

Le famiglie di ogni tempo e luogo saranno sempre attraver-sate da gioie e fatiche, angosce e speranze, ma queste parole del Papa ci aiutano a collocare tutto davanti allo specchio del-la carità, l’unico autentico nel quale guardare durante il cam-mino della nostra vita. Infatti san Paolo alla conclu-sione del suo bellissimo elogio della carità ci ricorda proprio in questo modo il dinamismo del nostro vivere: «Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia …» (1Cor 13,12). ■

del Papa che vogliono rinvigo-rire e dare coraggio e speranza. Tra le tante possibili sottoline-ature ne offro solo due di gene-rali. La prima riguarda lo stile del testo che è molto realistico e comprensibile, alla portata di tutti quasi sempre. La seconda sottolineatura è una ricchezza enorme di sapienza e cono-scenza dell’esistenza umana che si può incontrare in tante espressioni che nascono dall’e-sperienza e dalla fede che sono delle vere perle preziose disse-minate qua e là con abbondan-za lungo tutto il testo. A cia-scuno la curiosità e il sapore di scoprirle e custodirle.

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Buon Natale e Buon Anno 2018 a tutti gli amici di Voce Amica

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Quest’anno ricordiamo il cinquantesimo anni-versario dell’inizio della

Guerra dei sei giorni che si svol-se dal 5 al 10 giugno 1967. Quei giorni furono un momento chiave del conflitto tra Israele e Palesti-na, che ha lasciato in eredità ferite profonde in tutto il Medio Orien-te. Israele riportò una schiacciante vittoria sui suoi più diretti vicini, Egitto, Siria, Giordania, soste-nuti dall’intero mondo arabo e dall’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Alla fine di quel conflitto lo Stato ebraico aveva più che raddoppiato la sua estensione territoriale, con-quistando il Sinai egiziano, Gaza, le Alture del Golan, la Cisgiorda-nia e soprattutto Gerusalemme est, dal 1949 in mano giordana. Per gli arabi fu “Naksah”, la scon-fitta. Tale occupazione ha frenato per cinquant’anni fino ad oggi la soluzione ‘due popoli due Stati’, oggi negata nei fatti.Lasciando da parte la questione politica di una terra che mantie-ne ancora oggi aperte tutte le sue ferite, vogliamo dare voce a un racconto di vita che è più forte di ogni conflitto e che, normalmen-te, non trova spazio nella cronaca che ha la pretesa di informarci. Sono comportamenti che accado-no nella normalità dei giorni, tra persone che sulle tensioni ufficiali fanno prevalere l’umanità e sulla mano perdente che ferisce fanno vincere la mano tesa che aiuta. I piccoli gesti nascosti e taciuti, che la gente semplice condivide, contengono spesso un potenziale di liberazione che sfugge all’osser-vatore politico e che invece sono

monoteiste (ebrei, cristiani e mu-sulmani) capita che un venerdì, sulla strada n. 60, la storica arteria che attraversa i Territori della Ci-sgiordania, un’auto con a bordo una coppia di genitori palestinesi, con un bambino piccolo, vada a schiantarsi contro un autobus. Il padre muore sul colpo, la madre è ferita in modo grave, il piccoli-no Yamen Abu Ramila è miraco-losamente ferito solo lievemente. La madre e il piccolo sono tra-sportati d’urgenza all’ospedale di Hadassah, la grande clinica israe-liana di Gerusalemme, come del resto è normale in questi casi. C’è però un grosso problema: a causa dell’incidente la madre ha perso conoscenza per il trauma cranico e il figlio di pochi mesi, non anco-ra svezzato, rifiuta categoricamen-te di prendere il latte artificiale che gli viene dato con il biberon.L’infermiera Ula, al quotidiano israeliano Yedioth Ahronot, ha raccontato: «La zia mi ha riferi-

raccolti da chi apre il suo occhio oltre le macerie, oltre le discrimi-nazioni, oltre le sensibilità religio-se diverse. È il caso di un racconto di vita di un’infermiera israeliana che ha al-lattato un piccolo palestinese. Si tratta di una storia che racconta il volto meno esplorato di quella gente, il volto di un’umanità che è più forte dell’odio e delle ideo-logie e sa indicare anche nei con-flitti più intricati l’unica strada percorribile per la pace. Questo racconto ha per protagonista una famiglia palestinese di Hebron, il luogo della tomba di Abramo, il patriarca comune per ebrei e musulmani, ma anche uno tra i luoghi dove oggi il conflitto è più duro, teatro di forti dissidi. Que-sta Tomba è luogo di devozione anche per i musulmani che lo chiamano “Santuario di Abramo” o “Moschea di Abramo”. Ebbene, proprio a Hebron in que-sta città contesa dalle tre religioni

Il latte interreligiosoDon Sergio Gaburro

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to che il piccolo Yamen è sempre stato allattato solo al seno della madre fin dalla nascita e non ha mai bevuto dal biberon. Hanno chiesto se qualcuno avesse potuto allattarlo e le ho detto che avrei potuto farlo io». Dopo svariati tentativi con il biberon caduti nel vuoto, l’infermiera ebrea israelia-na Ula Ostrowski-Zak, ha reagi-to con il gesto più semplice del mondo. Lo ha attaccato al suo seno, sfamandolo di volta in volta fino a placarne i pianti. Ula con-tinua il suo racconto dicendo: «Le zie sono rimaste sorprese. Non ri-uscivano a credere che una madre ebrea potesse accettare di allattare un bambino palestinese che non conosceva. Mi hanno portato in braccio, mi hanno baciato, non smettevano mai di abbracciar-mi». Una madre è una madre! Le chiacchere e le tensioni dei gover-nanti sembrano davvero impo-tenti di fronte all’umana bellezza che istintivamente attira al petto la fragilità di un bambino! Anche lei madre, non ha mai pen-sato di fare qualcosa fuori dall’or-dinario, né tantomeno di nutrire la parte contraria al suo popolo, con buona pace per i predicato-ri della morte il cui scopo nella vita è terrorizzare gli altri. Ma non è tutto: l’infermiera non si è fermata qui, perché poi tramite la sezione israeliana Leche Legue (l’organizzazione che promuove l’allattamento al seno) ha cerca-to di stabilire un contatto con le donne del territorio disposte a far

come segno di ringraziamento. A questo proposito il libro del Deuteronomio recita: «Celebrerai la festa delle Settimane per il Si-gnore, tuo Dio, offrendo secondo la tua generosità e nella misura in cui il Signore, tuo Dio, ti avrà benedetto» (16,10). Non sappia-mo se l’infermiera Ula fosse una donna religiosa, ma è comunque significativo poter leggere questo gesto di generosità a partire dalla prospettiva biblica. E considerar-lo anche una primizia di quella pace di cui tanto quella Terra, così contesa, resta assetata.Qualcuno può dire: «Troppa poesia, il conflitto è ben altro». In realtà occorre imparare a sor-prenderci di questi piccoli gesti più forti di ogni barriera: da una parte come dall’altra della barrica-ta. Sono i frammenti di vita che provengono dalle persone sempli-ci, le quali anche nella durezza del conflitto continuano a nutrire la pace con il latte dal sapore anche interreligioso. ■

da balie al bambino. E ci è riu-scita. Il piccolo Yamen ha potu-to contare sul calore e le cure di tante madri, un pezzo di umanità di cui non dobbiamo dimentica-re l’esistenza, fosse anche solo per senso di giustizia e amor di verità. Un dettaglio che potrebbe sfug-gire: osservando gli orari in cui tutto questo è successo ci si ren-de conto che tutta questa storia è avvenuta a Gerusalemme du-rante lo Shabbat (il Sabato, festa del riposo). Una donna ebrea, dunque, ha vissuto questo gior-no, che per l’ebreo è ben più di un semplice riposo, nutrendo un piccolo bimbo palestinese. Per di più quello appena trascorso era lo Shabbat giunto subito dopo la celebrazione di Shavuot, (la Festa delle sette settimane dopo la Pa-squa ebraica – Pesach), che nella cultura biblica è la festa della do-nazione delle primizie al Tempio

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Afferma Delumeau: «Il perdono è liberazio-ne, ri-creazione. Non

si parlerà mai a sufficienza della necessità del perdono. Esso ridà gioia e libertà a coloro che erano schiacciati dal peso della propria colpevolezza.Perdonare non significa né di-menticare un errore, né consen-tirlo, ma è un gesto di fiducia verso un essere umano, è dire «sì» al nostro fratello.E’ la fede comunitaria, ecclesiale che porta l’uomo paralizzato da Gesù, il quale, a sua volta, non dice: «Ti perdono», ma «i tuoi peccati sono perdonati». Un’e-spressione questa che rinvia a Colui che è la sorgente di qualsi-asi perdono: il Padre. Allo stesso modo, sulla croce, non dirà: «Io li perdono!» ma «Padre, perdo-nali».La risposta di Gesù supera lar-gamente l’aspettativa immediata degli uomini. Ci sono diversi li-velli di paralisi: quella del corpo, ma anche quella dello spirito, del cuore e dell’anima. Comin-cia quindi pronunciando una parola che libera in profondità. La guarigione fisica non sarà che un segno di una guarigione più radicale, di cui Dio solo ha il po-tere. Inoltre, compiendo questo gesto di perdono, Gesù è ben co-sciente di rivelare la sua identità

speranza, una rinascita che apre un nuovo avvenire per l’uomo. Perdonare è dire all’uomo che è paralizzato nel suo passato: «Al-zati e cammina!».Perdonare non è rifiutare di vedere la realtà umana a volte drammatica, ma scegliere quello sguardo di speranza che Gesù ha rivolto a Maria Maddalena, Zac-cheo e Pietro. Sguardo che non è pia cecità: «Tutto è bello, tutti sono buoni!», ma è il rifiuto di identificare l’uomo con il male che ha commesso.Gesù non accetta mai compro-messi con quel male che chiama sempre per nome e che combatte fino a morire per causa sua, ma vuol far trionfare la vita. E’ per questo che solo colui che è «abi-tato» dallo Spirito di Cristo può osar credere che, dietro il volto tenebroso dell’assassino, esista ancora un altro volto luminoso, un «riflesso» di Dio, suo Creato-re.Solo la fede può ancora sperare che anche l’offensore riconosce-rà un giorno questa «immagine di Dio» che nulla può cancellare del tutto, che la rispetterà in se stesso e negli altri.Scrive Xavier De Chalendar: «Perdonare non significa negare il male o la sofferenza causata o ricevuta, non significa dimenti-care o cancellare il passato; Gesù

divina.Il perdono è considerato lo spe-cifico del Dio dell’Alleanza a tal punto da far gridare allo scanda-lo quando dice: «Ti sono rimessi i tuoi peccati».Queste parole hanno l’effetto di una bomba!Per gli scribi, testimoni della scena, Gesù ha appena proferito una vera e propria bestemmia, si è fatto Dio! La posta in gioco nel dibattito è importante.L’atteggiamento di Gesù pro-voca stupore o lode. Pone delle domande, ieri come oggi. Chi è quest’uomo che arriva fino a compiere dei gesti riservati solo a Dio? E’ l’interrogativo pro-fondo della fede. Per credere al perdono, l’uomo deve accogliere questa imprevedibile irruzione di Dio nel nostro mondo ferito e spesso bloccato dal peccato. Credere al perdono è credere alla possibilità di un mondo nuovo inaugurato nella persona stessa di Cristo.

Il perdono dischiude un avvenire possibile

«Ti ordino, alzati!». In questa scena è già il Cristo pasquale ve-nuto a risollevare l’uomo. Attra-verso di lui, Dio fa grazia, risu-scita, suscita nuovamente la vita. Il perdono è sempre un atto di

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Il perdono risolleva l’uomo e gli dischiude un nuovo avvenire (Mc. 2,5-11)

P. Giuliano Franzan

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risorto porta i segni della croce. Perdonare non significa tentare di far quadrare il passato, ma si-gnifica preparare l’avvenire. Per-donare non è cosa da poco, ma significa partecipare veramente alla creazione, alla risurrezione».Prigioniero per vent’anni a Cuba, Jorge Valls affermava che il perdono era per lui «la prima pietra sulla quale si doveva co-struire l’avvenire, al di là dell’in-ferno. E bisogna posare questa pietra senza sapere ciò che l’altro ne farà! Perdonare è donare to-talmente, andare fino all’estremo del dono».

Il perdono è un atto creativo

Quale gesto è più creativo, più liberante di qualcuno che perdo-na? Perdonare è dire al prossimo: «Tu esisti!», «Tu vali più del tuo errore o del tuo stesso crimine!». Che fiducia nell’uomo, che fede nell’avvenire bisogna avere per uscire dal cerchio infernale della colpevolezza o della vendetta in cui tutti girano in tondo!Le parole «fede» e «fiducia» pro-vengono dalla stessa radice latina. Avere fiducia vuol dire credere nel progresso, nella conversione sempre possibile degli altri. Uno dei pericoli più temibili in fatto di relazioni umane è di inchioda-re gli altri nel loro passato.L’uomo è, invece, per natura, un essere incompiuto che non smet-te mai di rivelarsi a se stesso e agli altri, di crescere. L’uomo, però, non cresce e non progredisce se non davanti a coloro che hanno fiducia in lui, che credono in lui. Questo vale per il bambino a scuola, ma è altrettanto vero per l’adulto nel suo luogo di lavoro o nella sua vita di relazione. La

dei due, di solito l’offeso, abbia «l’idea inaudita» - che non può nascere nel cuore dell’uomo sen-za una «grazia» - di cominciare ad amare per primo, di comin-ciare ad amare qualcuno che non l’ama! Tutto ciò non è molto «ragionevole», ma il perdono ap-partiene alla categoria degli atti gratuiti. «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rom. 5,20), scrive San Paolo. Quando Adamo, a causa del peccato, ha rotto la relazione con il suo Creatore, è stato Dio a fare il primo passo: «Adamo…dove sei?».«Beati i misericordiosi!» Più fe-lici ancora quelli che sanno per-donare. Il perdono è considerato da Gesù come una beatitudine in quanto fa partecipare, in certo modo, all’essere stesso di Dio.Con questo gesto si assomiglia un po’ di più a Dio, si crea ve-ramente qualcosa di nuovo, si fa esistere sulla terra qualcosa di as-solutamente inatteso.«Se amate quelli che vi amano…..i pagani non fanno forse altret-tanto?».Fate qualcosa di nuovo, dice Gesù, inventate come il vostro Padre celeste. Siate misericordio-si. Siate creatori! ■

fiducia è la dimensione dinamica dell’amore. L’uomo non smette mai di nascere, di uscire dalla sua crisalide di terra ed è proprio il calore dell’amore l’elemento essenziale per questa crescita. I nostri fratelli si attendono spes-so che li amiamo per divenire migliori; e noi ci aspettiamo che siano migliori per poterli amare!L’amore resta il dinamismo pro-fondo che rivela all’uomo il suo vero volto. Non si perdona per-ché altrimenti la vita non sareb-be più vivibile, ma si perdona perché si sente agire su di sé la misteriosa spinta dello Spirito di Dio la cui «più grande gloria è l’uomo vivente». Ma che cos’è un vivente se non una promessa d’avvenire, una storia possibile, aperta a qualsiasi ulteriore fecon-dità, a dispetto di una certa steri-lità provvisoria?Per Dio, ogni uomo conserva un avvenire, se almeno un poco ci crede, e finchè tutti l’aiuteranno a crederlo malgrado l’offesa su-bita. «Il rovescio del peccato è la fede», diceva Kierkegaard.La sola via d’uscita, la sola via dinamica possibile è il perdono, che è una vera liberazione, una nuova partenza. Perché tutto ciò accada, però, bisogna che uno

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A raccapezzarci nella storia della Georgia ci aiuta il numero DUE,

sistema bizzarro di mia inven-zione.

1) geograficamente: vi è una Ge-orgia orientale e una occidentale.

a) Georgia orientale.Era chiamata dagli antichi, e poi da Roma,"Iberia o Iveria" e comprendeva l'antico regno di Cartalia o Kartaly o Kartly (IV/V sec. a. C.): viene detta "Iberia Caucasica" o Orientale per distinguerla dalla penisola Iberica (Spagna e Portogallo).Era alleata dei Romani, di cui ac-cettò la "protezione imperiale".A Kartly è legato sia il nome del popolo georgiano - "Kartvele-bi", sia quello della loro lingua, "Sakartvelo" (ena), lingua non indoeuropea, la cui scrittura fu creata dal re Farnavas sul finire del IV sec. a. C..

N.B. Qui sorge Mtskhe-ta, già capitale del Re-gno di Georgia fra il III e il V secolo d. C.. E' la città dove i georgiani si convertirono al cristianesimo nel 327 ed è sede della chiesa ortodossa e apostolica georgia-na. All'inizio del VI sec. città capitale divenne Tbilisi, più di-

se lo sia anche da un punto di vista geografico: per lo più viene posta nel Continente europeo anche nel caso che si consideri una sua parte come Asia.

2) storicamente:

I - RICOMPOSIZIONE, COME REGNO.Nata divisa, la Georgia, sempre in lotta con nemici interni ed esterni (fra questi le orde mon-gole, prima di Gengis Khan, poi di Timur-Leng/Tamerlano e le irruzioni dei Persiani), ma sem-pre fiduciosa nella sua ricompo-sizione (lo ricorda anche il saluto quotidiano d'incontro "gamar-gioba" = vittoria), la raggiunse. E in questa fase storica possiamo distinguere "due età":

a) "Età d'oro": secc. X-XIII. Il movimento di unificazione della Ge-orgia iniziò nel X seco-lo con il re Davit' III e Bagrat III (1008-1014), ma fu portata a compi-mento da Davit IV (n. 1073, inizio e fine re-gno 1089- 1125), detto "Armashenebeli", cioè

l'Edificatore, sia in senso reale (ad es., la costruzione del cele-bre monastero di Gelat'i presso Kutaisi, dotato di un'accademia detta "la seconda Atene"), sia

fendibile, fondata nel V sec. da Vakhtang I Gorgasali: è ancor oggi la capitale con gli storici ba-gni d'acqua tiepida da cui pren-de nome, con una quindicina di università (tra cui "il Saba") e un vasto tessuto urbano che ospita circa 1.300.000 abitanti. E' la sede del Governo.

b) Georgia occidentale.Già occupata da Farnavas, era detta Colchide (localmente Egrisi). Per i legami che aveva con l'Armenia, fu conquistata dai Romani sotto Gneo Pom-peo Magno (65 a. C.) e divenne "provincia romana".N.B.: la Georgia odierna.La Georgia odierna è uno Stato sulle rive del Mar Nero, risultan-te dall'unione delle due George suelencate, con una superficie di

69.700 kmq. e una popolazione di 4.350.000 con capitale Tbilisi (1.300.000 ab.).Dal punto di vista culturale è un Paese europeo, più controverso

Il "DUE" nella storia della Georgia

P. Luigi Mantovani

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in un senso più ampio, ri-prendendo Tbilisi ai Turchi (1122), inseguendoli fino in Armenia e liberando la capi-tale locale, Ani (1123)Religioso in vita (soleva dire ai suoi che "con l'aiuto del-la Santa Croce anche un piccolo esercito può vincere in pochi istanti l'orgogliosa mol-titudine degli infedeli"), morì santamente (confessando le sue colpe come il santo re della Bib-bia) nell'agosto del 1125 e volle essere sepolto nel monastero di Gelati con una semplice pietra tombale posta per terra all'in-gresso.Gli successe la regina Tamar Mepe, a capo di uno Stato che si estendeva dal Mar Nero al Mar Caspio e dal Caucaso fino all'e-stremo limite dell'Asia Minore, compresa l'Armenia; fondò an-che lo Stato di Trebisonda e ri-mase famosa pure per aver scon-fitto a Bassiani il più potente tra i Turchi Selgiuchidi, il sultano Rum: vittoria significativa, per-ché con essa la Georgia ricevette l'investitura di "difensore della Cristianità in Oriente".E' l'apogeo del regno di Geor-gia sotto tutti gli aspetti, socia-li, economici e culturali: oltre a quanto suddetto, si ricordino la Cattedrale di Sveticxoveli a

Mcxheta, il tempio di Bagrati a Kutaisi, il già citato monastero di Gelati e la celebre città rupestre di Vardzia. Nel campo letterario spicca il genio culturale di Shota Rustaveli, autore del "Cavaliere dalla pelle di pantera", capola-voro della letteratura mondiale, ispirato alla regina Tamar, acco-stato (pur su piani diversi: amo-re-purificazione dell'anima) alla Divina Commedia di Dante. Questa grande regina, clemente, tollerante verso le minoranze re-ligiose, morì nel 1212. ed è con-siderata santa.

N.B. Segue l'irruzione delle orde mongole di Gengis-Khan e di Tamerlano (sec. XIII); poi è la volta della caduta di Costanti-nopoli per opera dei Turchi nel 1453. E così cadde l'Impero di Trebison-da e all'inizio del sec. XVI la Georgia si divise in tre Regni.

b) "Età d'argento": secc. XVII-

XVIII con Vaxhtang V e soprattutto Vaxhtang VI, grande uomo di cultura, af-fiancato dal Catholicos An-ton e, per le questioni poli-tiche (ricerche di appoggi in occidente), da Sulxhan Saba Orbeliani (1703), divenuto

cattolico solo due anni prima, nel 1701. Questi, coltissimo, merita di essere ricordato anche per la compilazione del grande Dizionario georgiano di 50.000 lemmi, fatta in trent'anni di la-voro. Morì a Mosca: in esilio? [Breve biografia di Sulkhan-Saba Orbeliani.Nacque a Tanzia, vicino a Bolni-si (nella bassa Kartli) il 4 novem-bre 1658. A quarant'anni di età (1698) lasciò la famiglia, diede le sue terre ai fratelli e si fece mo-naco nel monastero di Giovanni Battista a David Garedzha nella Georgia Orientale, assumendo il nome di Saba. Nel 1701 si con-vertì al cattolicesimo ed entrò nell'Ordine di S. Basilio. Il re Vakhtang VI lo chiamò a corte come consigliere poco dopo la sua ascesa al trono (1703) e gli permise di realizzare la prima Casa Editrice georgia-na. Poi, poiché la Georgia era pressata dagli Ottomani, fu in-viato in Francia da Luigi XIV e

La Cattedrale di Svetitskoveli

Veduta di Tbilisi

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Telavi 1720 - 1798; sepolto tra i grandi a Mtskheta). Questi, benché ostacolato, prese la de-cisione di firmare un accordo di mutuo aiuto col vicino Impe-ro Russo (interessato perché in guerra con in Turchi): accordo "Erekle II - Caterina II", ricor-dato come "trattato/accordo di Georgievsck". II - OPPRESSIONE.Vi furono due regimi russi op-pressori:

a) Regime russo imperiale.Quando nel 1795 Agha Moha-med di Persia invase la Georgia e rase al suolo Tbilisi, l'armata russa non si mosse; piombò in-vece sul Paese (che da solo era pur riuscito a respingere i Persia-ni, ma era rimasto molto inde-bolito) annettendoselo, in parte il 16 febbraio 1801, interamente nei decenni successivi.Ciò ebbe ripercussione anche sotto l'aspetto religioso: a co-minciare dall'espulsione di tutti i missionari (cioè i sacerdoti stra-nieri) nel 1849. E sarebbe stata la fine dei messaggeri del vangelo, se un sacerdote di Akhaltsikhe, padre Harichishvili, non avesse avuto l'dea di dar vita in Istam-

a Roma dal Pontefice Clemente XI per stringere alleanze. Il viag-gio durò due anni ed è immor-talato nel Diario scritto da Saba stesso. Politicamente fu un falli-mento.Dopo il ritorno dall'Europa, cercò di diffondere il cattolicesi-mo in Georgia, venendo perciò osteggiato e perseguitato dalla Chiesa ortodossa.Morì a Mosca il 26 gennaio 1724: in esilio, secondo alcuni; come inviato per predisporre una visita di Vakhtang VI, se-condo altri.Ci ha lasciato molte opere, la pri-ma delle quali s'intitola "La sag-gezza della menzogna" (1686): 110 favole tratte dal repertorio dei cantastorie e dalla tradizione georgiana. Va ricordato soprat-tutto il grande Dizionario della lingua georgiana, summenzio-nato].Il destino della Georgia si decise con il re Erekle II, re del Kart'li-kaxheti, grande stratega, a tal punto che Federico II di Prussia ebbe a dire: "Io in occidente, in oriente l'invincibile Erekle" (con 24 figli). E' noto anche con il nome Eraclio II e Irakly o con il soprannome di "il piccolo ca-cheziano" (perché di Caxhezia:

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bul a un seminario (con mona-stero e santuario dedicato alla Madonna di Lourdes), dove ve-nivano preparati i futuri ministri del clero georgiani, liberi quindi di soggiornare poi in patria e di esercitare il ministero sacerdota-le. E ci furono altre restrizioni, anche quella linguistica.

b) Regime russo bolscevico o sovietico.E' il regime sorto il 30 dicembre 1922 sulle ceneri dell'Impero zarista. Rimase tristemente fa-moso per le deportazioni (più di 100.000 georgiani) operate da Stalin, nativo di Gori-Georgia (nativi della Georgia sono pure Shevardnaze, Beria e, forse, Pu-tin via madre biologica). Anche la Chiesa georgiana fu persegui-tata, perché considerata rocca-forte del nazionalismo, e molti dei suoi membri furono messi a morte.

III - RICOMPOSIZIONE COME REPUBBLICA.Anche come Repubblica la Ge-orgia conosce due fasi:

a) la Repubblica del 1918. Essa sorse il 26 maggio 1918 e fu riconosciuta repubblica so-cial-democratica indipendente dai Paesi membri della S. d. N. e dalla Russia sovietica. Ma ebbe vita breve: il 25 febbraio 1921 fu invasa dall'armata rossa.

b) la Repubblica indipendente del 1991.In seguito all'apertura operata da Gorbacev, il 9 aprile 1991 la Georgia proclamò la sua indi-

Papa Francesco con il Patriarca ortodosso Elia II

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pendenza: la popolazione la votò con il 99% dei suffragi.L'apertura verso l'Occidente che la Georgia ebbe nel passato, si manifesta ancor più oggi: essa è soggetto di diritto internaziona-le, membro del Consiglio d'Eu-ropa e dell'O.N.U.

IV - PRESENZA CATTOLICA RELIGIOSA.a) nella Georgia imperiale.Premessa sulla cristianizzazione della Georgia.

La Georgia, evangelizzata dall'a-postolo Andrea nel I secolo [e, secondo un'altra tradizione, anche dagli apostoli Simone il Cananeo (sepolto a Sokumi) e Mattia (sepolto in Guria, zona sulle sponde del Mar Nero che confina con l'Imereti)], divenne ufficialmente cristiana (secon-da dopo l'Armenia) nel 327 in seguito alla predicazione della giovane cappadoce santa Nino nel Regno d'Iberia, parte orien-tale del Paese, governato dal re Mirian III e dalla regina Nana. Qui, a Bodbe, la santa finì i suoi giorni ed è sepolta. Oggi la sal-ma, custodita in un tempio sa-cro, è vigilata da un monastero femminile ed è meta di continui pellegrinaggi.La Georgia occi-dentale accolse il cristianesimo più lentamente: esso divenne religione di Stato solo nel 523.La cristianità georgiana fu in-fluenzata dall'Impero bizantino: dapprima sottoposta alla giuri-sdizione della Sede Apostolica di Antiochia, divenne autocefa-la nel 466. Tra il VI e IX secolo subì profonde trasformazioni

culturali grazie al fiorire del mo-nachesimo (famoso il monastero Iverion del monte Athos, dove furono tradotte molte opere dal greco al georgiano).Al Grande Scisma del 1054 la Georgia aderì solo in seguito, specialmente dopo le Crociate.

Il legame della Georgia con Roma perdurò a lungo. Per questo, e forse per motivi con-tingenti, nel corso dei secoli si rivolse ad essa per aiuti. Così, dietro invito dei suoi regnanti, vi giunsero numerosi operatori cattolici appartenenti a vari Isti-tuti.

In due ondate:I - Francescani e Domenicani nei secc. XIII-XV (che diedero alla Georgia cattolica ben 15 ve-scovi); II - Dopo un vuoto del sec. XVI (che doveva essere il secolo dei Gesuiti, ma uno dei due inviati perì durante il viaggio, e la mis-sione andò a monte), nei secc. XVII-XVIII giunsero in sequela Teatini (a uno di essi, il palermi-tano Francesco Maria Maggio, si deve la prima grammatica ge-

orgiana - 1643 - approntata con l'ausilio di scritti di suoi confra-telli) e Cappuccini (espulsi nel 1849). b) Nella Georgia repubblicana attuale.Alla rinascita della Georgia come nazione indipendente occorreva ridare vita anche allo spirito reli-gioso, che era stato soffocato in ogni maniera durante il regime sovietico. E questo, sia a chi pro-fessava la religione ortodossa, sia ai cattolici.Qui non possiamo parlare solo di numero "due": tanto era stato cancellato il divino, che occorre-vano molti per riattizzarlo.E vennero, cattolici e georgiani, sacerdoti e suore da vari Paesi, principalmente dalla Polonia e dall'Italia (l'italiano p. Giuseppe Pasotto, stimmatino, è l'attuale vescovo).Il numero "due" compare in modo del tutto singolare nelle visite di due Papi, le prime della storia: quella di papa Giovan-ni Paolo II, il 9 novembre del 1999; e quella dell'attuale papa, papa Francesco, il 29/30 settem-bre 2016. ■

Papa Francesco nella cattedrale di Tbilisi

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Domenica 22 Otto-bre 2017, giornata Missionaria mondia-

le. Per la Famiglia Baldiana è questo un giorno speciale. La incontriamo riunita nella co-munità “Nostra Signora Apa-recida”, della Parrocchia Sacro Cuore di Gesù - Riacho das Pe-dra – Contagem – MG Brasile. La Chiesa è adornata a festa, tutto è pronto per la Celebra-zione Eucaristica delle ore 9.00 e alcune coppie di sposi appar-tenenti alla famiglia sopra ci-tata entrano in processione in direzione dell’altare, assieme al Celebrante Padre Moisés Perei-ra Lopes e all’equipe liturgica. Si respirava un’aria non solo di rendimento di grazie come av-viene in ogni Celebrazione, ma anche di profonda gioia e di se-reno impegno.L’impegno che i membri della famiglia Baldiana si prepara-vano ad assumere aveva alle spalle un lungo cammino: un cammino in salita, con gli oc-chi fissi a Dio riservando a Lui il primo posto nella loro vita, a Gesù Cristo modello di ogni cristiano, alla Vergine Maria, Madre sempre in aiuto alla fragilità umana e, come sposo,

gli di Dio con il Sacramento del Battesimo, la meditazione e la pratica delle Sacre Sritture e dei Documenti della Chiesa, l’esempio e la spiritualità del Beato Giuseppe Baldo, uomo profondamente appassionato del Signore e dei fratelli, ave-vano formato le loro menti, riscaldato i loro cuori tanto da vivere come coppie e come genitori in continuo rapporto di amore, di quell’amore che cresce nella comprensione, nel perdono, nella fedeltà e soprat-tutto nel fare in modo straordi-nario le cose ordinarie di ogni giorno in famiglia, nel mondo del lavoro, nella società e nella collaborazione a livello pasto-rale in parrocchia.Dopo l’omelia, i membri del-la famiglia baldiana sono invi-

sposa, figli e genitori, sempre in sacrifício gratuitamente do-nato, sempre fiduciosi nella speranza, sempre perseveranti nel coraggio di ricominciare, di continuare, coscienti di non es-sere arrivati, ma che ogni gior-no il fare piccoli ma continui passi, esige sforzo e fatica insie-me, però, ad una meritata gioia del dovere compiuto. Il ricordo costante di essere fi-

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"Dio sempre per fine,Gesù Cristo sempre

per modello,la Vergine sempre in aiuto.

Io sempre in sacrifíciosempre speranzasempre coraggio."(Beato Giuseppe Baldo)

Vivere in modo straordinario le cose ordinarie!

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E’ una luminosa mattina di fine agosto e tutto è pronto per celebrare la

festa degli anniversari di profes-sione religiosa. La chiesa è vesti-ta a festa e le note dell’organo già invadono l’aria con la loro melodia, profumata di nuovo e di antico, proprio come le pagi-ne di Vangelo che la liturgia e la vita ci propongono di continuo. Le festeggiate, loro pure vestite a festa per l’occasione, non na-scondono una certa emozione. Chi festeggia i settantacinque anni fino a chi ne ricorda dieci dalla prima professione, tutte si apprestano a celebrare un mo-mento di vita e di grazia. Cele-brare una ricorrenza giubilare significa celebrare la vita con le sue luci e le sue ombre, facendo memoria dei momenti di riusci-ta ma anche di quelli che, quali pennellate birichine, hanno la-sciato un segno meno luminoso nell’insieme della tela. Ma cele-

brare significa soprattutto fare memoria, “ricordare con il cuo-re” l’amore ricevuto e donato, le speranze e i sogni coltivati, le fatiche e le delusioni, le sconfit-te non meno che le riuscite. Sì perché la vita si può paragonare anche ad un mosaico composto da tessere luminose e grigie o co-munque variamente colorate. Mentre la processione entra in chiesa per l’inizio della celebra-zione, vengo presa da un pensie-ro che per qualche momento mi estranea dalla realtà e mi sembra di trovarmi in una pinacoteca dove, preziose opere d’arte mo-strano tutta la loro bellezza, sen-za pretese, ma semplicemente per la gioia di chi ha la ventura di poterle ammirare. Vedo ambienti inondati di luce soffusa e, a seconda delle ope-re che lì sono esposte, persone attente ed interessate a non la-sciarsi sfuggire l’insieme delle realizzazioni artistiche, compre-

Celebrare la storia per celebrare la vita

Sr. Licia Rebonato

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tati ad uscire dai loro banchi per avvicinarsi al presbiterio. In piedi, con gioia e serenità, davanti a molti fratelli parte-cipanti all’Eucaristia, si impe-gnano a:- vivere alla presenza di Dio nel quotidiano, seguendo l’esem-pio della Famiglia di Nazareth, - essere dei veri testimoni, fa-cendo esperienza di famiglia come Chiesa domestica e san-tuario di vita, vivendo in modo straordinario le cose ordinarie,- coltivare la spiritualitá e vi-vere i principi orientativi della “Famiglia Baldiana”,- vivere in comunione con il ca-risma e la missione della Con-gregazione delle Piccole Figlie di San Giuseppe, collaborando con le sue iniziative missionarie.L’assemblea risponde commos-sa, con un forte applauso. Il Celebrante chiede al Signore della vita, a San Giuseppe e al Beato Giuseppe Baldo, l’aiuto, la benedizione e la protezione necessaria perchè l’impegno sia vissuto nella pratica in famiglia e nella missione specifica di cia-scun membro.Con profonda riconoscenza ringraziamo il Signore per l’im-pegno della famiglia baldiana: l’ esempio di queste coppie possa illuminare altre coppie e dire alla società odierna che è anco-ra possibile formare famiglie se-condo il piano di Dio e vivere il quotidiano della vita con gioia, facendo “in modo straordinario le cose ordinarie”. ■ Sorelle della comunità di

Riacho das Pedras

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se le sfumature. Mi pongo di fronte ad ogni Sorella con l’in-teresse e l’amore di un cultore d’arte e guardo la bellezza, più o meno evidente ma sicuramente presente in ciascuna. Vite offer-te al servizio delle tante persone passate nella storia di ciascuna, concentrati di bellezza troppo spesso guardata con troppa su-perficialità, armonia di opere buone non sempre considerate o passate sotto silenzio. Ognuna di noi è uscita dalle mani del più esperto dei Pitto-ri, dello Sculture più geniale e capace, dell’Artista più innamo-rato delle sue realizzazioni. “Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra so-miglianza….E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò… Dio vide quanto ave-va fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno” (Gn 1,26-27,31).Celebrare un momento di vita significa ricordare le nostre ori-gini, riappropriarsi delle proprie radici, rivisitare percorsi, scelte e cammini ed intonare, dal pro-fondo del cuore, il canto delle salite: “Quale gioia, quando mi dissero: “Andremo alla casa del Signore”. E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusa-lemme!... Per i miei fratelli e i

poveri e con quella bellezza, ca-rica di sorpresa, che ci ha subi-to riempito di gioia. A Fatima “avverti che il Divino si è come concentrato e s’è svelato in un modo più accessibile e senti il bisogno, il desiderio di andare ad incontrarlo”. È davvero difficile tradurre in linguaggio verbale una espe-rienza che è passata attraverso lo spirito, ma è possibile affermare che qui, a Fatima, senti la pre-senza della Madre, ti senti avvol-to da una carezza che può venire soltanto da chi ama. Pellegrine sulle strade della mi-sericordia. Penso si possa defini-re così il nostro pellegrinaggio giubilare. Ci siamo sentite chia-mate dalla Vergine del Rosario ad incontrarLa in questo luogo, carico della Sua presenza di Ma-dre premurosa e attenta. È interessante sottolineare che la prima parola che la Vergine San-ta ha detto, sia a Lourdes come a Fatima, è stata un invito. “Vuoi farmi il favore di venire qui?”, ha detto a Bernardette come ai tre Pastorelli. Quello della Madre non è mai un comando quanto piuttosto un invito. Ella si chi-na a chiedere il favore di lasciar-si amare. Precisamente come fa il Signore Gesù che offre il suo amore ma mai si impone alla li-bertà della persona. Fatima ti coinvolge anche at-traverso la figura dei tre “pasto-rinhos”, bimbi poveri ma felici, capaci di pregare, giocare e lavo-rare con la freschezza e la spon-taneità che contrassegna i picco-li. Visitare i luoghi in cui Lucia, Giacinta e Francesco sono nati e cresciuti ti colpisce per l’austera povertà dell’ambiente ma an-che e soprattutto pensando che,

miei amici io dirò: “Su di te sia pace!”. Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene” (Salmo 121).Dieci, venti, cinquanta o set-tant’anni di cammino sono trat-ti significativi di vita, “tempo opportuno” per poter conside-rare gli interventi di Dio nella nostra vita, per scoprire i tanti kairos con cui il Signore ci ha sorpreso con la sua tenerezza e il suo amore. Celebrare significa godere delle grandi opere che Dio ha fatto in noi e attraverso di noi e, senza falsa umiltà, guardare a ciò che abbiamo seminato nei solchi della nostra esistenza e nella vita delle tante persone incontrate. Allora celebrare significa gode-re insieme perché il canto sia più armonioso e completo e la vita continui a fiorire e a portare frutto. Le giornate celebrative, vissu-te insieme, sono state arricchi-te da altri avvenimenti quali la visita ai luoghi natali di Papa Giovanni XXIII, alla Madonna di Caravaggio e il pellegrinag-gio giubilare a Fatima, la terra di Maria che proprio cento anni fa, in questo luogo, ha lasciato il profumo della sua presenza ma-terna. Fatima ci ha accolto con la di-sponibilità e la semplicità dei

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Sorelle del 50° di Professione Religiosa

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Le Piccole Figlie di San Giuseppe (PFSG) sono una congregazione fem-

minile di Suore, di donne che Dio ha consacrato a sé affidando loro un Carisma di particolare attenzione verso i più bisogno-si. Le PFSG sono fondate da un semplice Prete di campagna, don Giuseppe Baldo, nel 1894 a Ronco all’Adige-Verona. Don Baldo, mosso dalla compassione verso le necessità dei suoi par-rocchiani, dedicò la sua vita alla cura pastorale in varie dimensio-ni per la promozione umana. Le Parole di Gesù, “Ho compassio-ne di questa folla” diventarono per il Pastore di campagna una guida per un dedicarsi carisma-tico alla formazione e all’edu-cazione umana e cristiana della sua gente, dal più piccolo al più anziano: l’accoglienza degli an-ziani, degli ammalati, dei poveri e della gioventù diventò quindi il suo stile di vita. Egli diceva, “Miei poveri.., io spero di aiutar-vi perché vi amo. Dove non ar-riverà la mano, giungerà il cuo-

re”. Questa presenza carismatica è cresciuta attraverso il servizio missionario delle suore fino ad estendersi in altre parti del mon-do. Oggi troviamo tra le PFSG la bellezza dell’“arcobaleno” dell’interculturalità e intergene-razionalità. E’ un segno forte del tempo che dice al nostro mondo ecclesiale e sociale che è possibile costruire ‘ponti’ tra il “noi” co-nosciuto e il “voi” ancora scono-sciuto.Le donne chiamate a seguire da vicino questa scia tracciata da don Baldo, tra cui le Suore di Annone, dedicano la loro vita nel testimoniare la presenza viva e attiva di Dio in mezzo alla sua gente, dovunque il mandato dell’obbedienza le ponga. Co-scienti che “la vita religiosa è un dono dello Spirito alla Chiesa”, le PFSG mettono in luce l’iden-tità della loro presenza collabo-rando nel servizio pastorale con i Pastori ordinati e valorizzando la condivisione dell’esperienza cristiana con i laici, secondo la capacità e i doni di ciascuna. La

Le Piccole Figlie ad Annone Veneto

proprio in questi luoghi la San-ta Vergine ha voluto mostrarsi per consegnare, all’innocenza di tre bambini, il suo messaggio di conversione e di misericordia destinato al mondo. Il pellegrinaggio a Fatima e la celebrazione comunitaria dei nostri anniversari di Professione religiosa, sono stati certamente i doni più belli che il Signore ha voluto riservarci, tramite la bon-tà di madre Elisa che, anche da queste pagine, vogliamo ringra-ziare. Con una preghiera, fiorita dal cuore di un figlio alla Madre, concludo questo breve “memo-riale” e consegno ad ogni Sorella che celebra, ogni giorno, la gioia di essere consacrata al Signore, il ricordo di momenti indimen-ticabili, segnati dalla letizia di stare insieme e di condividere la vita, con le sue sfide e speranze, attese e fragilità, ma cariche del-la consapevolezza che, come af-ferma sant’ Ambrogio, “nessuno dona di più di chi non tiene nul-la per sé”, e che l’incontro con il Mistero è possibile solo dove c’è un cuore che ama ed è disposto a donare tutto.“Vergine Maria, Regina del Ro-sario di Fatima, mi rivolgo a Te, come figlio alla Madre, a Te che aiuti proprio là dove non arriva nessuno, dove non esiste merito, dove semplicemente c’è da ama-re. Poiché Tu sei il cuore umano di Dio intessuto della tenerezza di donna, di sposa e di madre, lim-pida e generosa come intatta sor-gente, continua ad esserci Madre e a sostenere il nostro cammino di pellegrini dell’Assoluto. ■

Annone Veneto: Scuola dell’Infanzia…

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Al termine di una con-ferenza, l’oratore ha illustrato il messag-

gio del suo intervento con un significativo aneddoto: “C’era una volta, sulla piazza di una città, un sapiente che risponde-va alle più disparate domande. Un giorno, ai curiosi che sta-vano ad ascoltare, si mescolò un pastore sceso dai monti con l’intenzione di svergognare in pubblico il ‘cantastorie’. Il pa-store, preso in pugno un uccel-lino, lo nascose e, presentan-dosi al saggio, disse: ‘In questo pugno tengo un uccellino: sai dirmi se è vivo oppure morto?’ Se il saggio avesse risposto ‘E’

vivo!’, egli avrebbe stretto il pugno e ucciso l’uccellino. Se invece avesse detto ‘E’ morto’, avrebbe aperto il pugno e l’uc-cellino avrebbe preso il volo. Ma il sapiente, dopo un attimo di riflessione, rispose: ‘L’uccelli-no che tieni in mano è come tu lo vuoi: se lo vuoi vivo è vivo, se lo vuoi morto è morto!’”. Nei giorni che hanno fatto se-guito a quell’incontro formati-vo, mi sono sorpreso più volte a ripensare a quell’aneddoto e soprattutto alle parole con le quali l’oratore ne chiarì il mes-saggio: “Così è della nostra fe-licità e del nostro destino perso-nale e professionale. Sono nelle

L’essenziale dipende da noi

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Cos'è, dunque, l'uomo?È un essere che decide sempre ciò che è”.(Victor Frankl)

Angelo Brusco

gioia e la generosità gratuita ca-ratterizzano le PFSG in questo servizio apostolico; “La gioia del Signore è la nostra forza”. Per-ciò, noi PFSG siamo chiamate a “Ricercare la solidarietà con gli altri viandanti ...” (T. Bello) e quindi essere portatrici de1l’a-more di Cristo Risorto in mezzo ai nostri fratelli. Oggi, come sempre, noi suore ci dedichiamo nel “promuovere l’avvenire di Dio nel presente del mondo” lasciando che ogni per-sona con la quale ci incontria-mo, viva la propria avventura di cristiano con maggiore respon-sabilità. Consapevoli dell’am-monimento di don Baldo: “L’o-pera dell’educatore”, quindi del far crescere la vita, “è opera al-tissima e divina”, cerchiamo di testimoniare con la realtà del nostro esistere che la vita cristia-na è un dono da accogliere con gioia. Questo si realizza, come lo faceva anche don Baldo, soprat-tutto nell’ambito familiare, con particolare attenzione ai genito-ri, angeli e maestri di famiglia. Poi si rivolge ad ogni altro com-ponente della famiglia.Il mondo giovanile pieno di aspettative che si apre al futuro, non nascondendo la pesantezza della vita, riserva un posto privi-legiato di accoglienza e di ascolto nel nostro carisma. Vorremmo aiutare i nostri giovani e ragaz-zi a dare voce e nome ai desideri

profondi che li abitano. Carissi-mi giovani, non abbiate paura di mostrarvi così come siete nella vostra grandezza e nella vostra debolezza. Così Dio vi vuole e vi ama. Venite dalle PFSG e lì tro-verete “una spalla” su cui poggia-re il capo nella vostra stanchezza, cioè troverete una compagna di viaggio.Noi PFSG di Annone, diciamo

come ha detto il nostro caro Fondatore nel giorno successivo al suo ingresso nella Parrocchia di Ronco, “Siamo le vostre Suo-re. Dunque tutte per voi”. Con l’aiuto di Dio, di don Baldo e della preghiera della comunità, possiamo vivere l’oggi della fede con entusiasmo. ■

Sr. Dantilla, Sr. Agnes e Sr. Veronica

…Chiesa di San Vitale

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nostre mani. Molto dipende da circostanze esterne, ma l’essen-ziale dipende da noi”. In quelle affermazioni, non certo nuove, ho avvertito il desiderio di approfondire la ri-flessione sull’importanza della responsabilità personale nel-la gestione della propria vita. Etimologicamente, infatti, il termine responsabilità indica l’abilità a rispondere appro-priatamente alle situazioni in cui l’individuo si trova coinvol-to, operando scelte che orienta-no il suo percorso esistenziale. Evitando di perdermi in consi-derazioni filosofiche, ho lascia-to che la mia fantasia mi condu-cesse a rivisitare la mappa della mia vita passata per rivedere l’intreccio delle strade che mi hanno condotto fino al punto in cui mi trovo ora. Nell’opera-re questo flashback sono stato guidato da una domanda, sug-gerita dall’aneddoto riportato sopra e che costituisce un ri-chiamo alla mia responsabilità: cosa ne hai fatto della vita che ti è stata posta tra le mani: l’hai fatta fiorire o l’hai soffocata? Anche se ho raggiunto una sta-gione dell’esistenza in cui un tale interrogativo non mi crea disagio, non ho trovato facile formulare delle risposte. Per ovviare a questa difficoltà sono ricorso a due affermazioni usa-te da San Paolo nel fare un bi-lancio della propria vita (2Tm 4, 6-7): “Ho combattuto la buona battaglia; ho conservato la fede”. “Ho combattuto la buona bat-taglia”. Con queste parole, in-

tendo mettere in luce, da una parte la lotta da me sostenuta per crescere sia dal punto di vi-sta fisico che da quello emoti-vo, sociale e spirituale e, dall’al-tra, il carattere positivo di tale lotta. Considero la mia batta-glia buona perché essa è stata condotta per raggiungere un ideale che, con il passare degli anni, si è chiarito progressiva-mente, mostrando tutta la sua bellezza e, insieme, le sue im-pegnative esigenze. Tale ideale ha un nome: amore. Amore come lo ha definito e vissuto Gesù. Un ideale che è di tutti, ma che il Signore mi ha chia-mato a realizzare seguendo un cammino particolare, quello della vita religiosa e del sacer-dozio. Guardando al passato, mi rendo conto che la mia vita è fiorita nella misura in cui ho saputo ricevere e dare amore con autenticità. Tutto ciò che ha fatto da cornice si attenua e svanisce nel nulla.Pur riconoscendo il cammino compiuto, non ignoro i nume-

rosi limiti che hanno rallentato il mio impegno – crisi, passi falsi, dubbi… Tali limiti, molte volte hanno ferito non solo il mio cuore, ma anche quello di altre persone. In quei momenti era facile addossare sugli altri o sulle istituzioni la responsabili-tà dei miei disagi. L’esperienza della mia fragilità non ha, però, offuscato la bellezza dell’ideale al quale ho consacrato la mia vita. Rendendomi umile mi ha fatto apprezzare maggiormente la preziosità dell’aiuto ricevu-to dal Signore e da quanti mi hanno fatto oggetto del loro paziente amore. Per questo posso, con molta umiltà, fare mia anche l’altra frase di San Paolo: “Ho conservato la fede”, intendendo con questa parola non solo l’adesione, carica di affetto, al Signore, ma anche la fiducia nelle risorse positive presenti nel cuore di ogni esse-re umano. ■

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Autunno: tempo di spogliazione, di puri-ficazione, di silenzio,

tempo di riposo. La natura si va gradualmente trasformando e i vividi colori dell’estate cedono il posto ai tenui colori della stagio-ne autunnale: cadono le foglie, i grappoli, già turgidi di mosto, vengono recisi dalle viti e gli uc-celli migrano in cerca di terre più calde ed accoglienti. Le luci si at-tenuano e il sole, anche in pieno giorno, sembra fare economia di splendore per potercelo restitui-re, più luminoso che mai, nella prossima primavera. Tutto è più ovattato e raccolto e anche lo spi-rito, così spesso invaso da suoni, rumori e colori sembra prendere le distanze per cercare un tempo di quiete, di respiro, di sollievo. La terra, ripulita dopo gli ultimi raccolti, si dispone a lasciarsi an-cora ferire, per accogliere la se-

cogliere la lezione che ci viene dalla vita vissuta. Meditando sulla vita spesso si viene colti da un sentimento di limite, di sco-ramento, soprattutto quando, in età matura ci sovviene il richia-mo del Salmista e la sua lettura, piuttosto pessimista, della realtà: “La vita è come un soffio, come ombra che passa, gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti ma sono tutti fatica, dolore, passano presto e noi ci dileguiamo ” (Cfr Salmo 89). Papa Francesco, con il suo tono persuasivo e profondamen-te credente ci invita a pensare con parresia e ci esorta: “Non arrenderti alla notte: ricorda che il primo nemico da sottomettere non è fuori di te: è dentro. Per-tanto, non concedere spazio ai pensieri amari, oscuri. Questo mondo è il primo miracolo che Dio ha fatto, e Dio ha messo nel-le nostre mani la grazia di nuovi prodigi. Fede e speranza proce-dono insieme. Credi all’esistenza delle verità più alte e più belle. Confida in Dio Creatore, nello Spirito Santo che muove tutto verso il bene, nell’abbraccio di Cristo che attende ogni uomo alla fine della sua esistenza; cre-di, Lui ti aspetta. Il mondo cam-mina grazie allo sguardo di tanti uomini che hanno aperto brecce, che hanno costruito ponti, che hanno sognato e creduto; anche

mente che, dopo una stagione di apparente inutilità e di silenzio, si riposa per ridonare vita e spe-ranza ai campi, ora ovattati dalla nebbia. Dio ama la terra, anche quando è nuda, e vi depone un bacio per fecondarla. Dio ama la nostra terra, la nostra autentici-tà, ed è sempre disposto a depor-re un bacio sulla nostra povertà per ridonarci motivi di speranza e di vita. Come la terra produce frutto quando si lascia ferire dall’ara-tro, anche la nostra vita diven-ta feconda nella misura in cui si lascia ferire, toccare, interrogare dalla realtà, anche quella del do-lore. Ecco la preziosa lezione che ci viene dal silenzio, pensoso ed eloquente, dell’autunno. Ogni stagione ha il suo incanto e il suo messaggio ma occorre essere liberi interiormente per

Dio ama la terra e vi depone un bacio per farla fiorire

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Sr. Licia Rebonato

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quando intorno a sé sentivano parole di derisione. Non pensa-re mai che la lotta che conduci quaggiù sia del tutto inutile. Alla fine dell’esistenza non ci aspetta il naufragio: in noi palpita un seme di assoluto. Dio non delu-de mai. Tutto nasce per fiorire in un’eterna primavera. Anche Dio ci ha fatto per fiorire. Ricordo quel dialogo, quando la quercia ha chiesto al mandorlo: “Parla-mi di Dio”. E il mandorlo fiorì”. Pagina bellissima, coinvolgente e profondamente vera. Dio ci ha fatto per fiorire. Sposto lo sguardo dalla natura alle persone e vedo sfilare da-vanti a me, una numerosa teo-ria di testimoni, di gente vissuta all’insegna della semplicità, della dignitosa povertà, della ricer-ca costante di verità assolute, le sole in grado di donare allo spiri-to pace e desiderio di cammino. Rivedo volti familiari di Sorelle che, vissute fino ad età avanzata o comunque sperimentate nella vita, ci lasciano un ricordo di donne di speranza, capaci di cre-dere nel Dio che non delude mai e che, donandoci la sua Parola, ci fa fiorire. Ecco alcuni brevi profili di So-relle che ci hanno da poco lascia-to.

* * *

Suor Michelita - Elvira Min-carini “donna sobria e abitual-mente di poche parole, era dota-ta di un forte spirito di sacrificio e di tenace volontà. La ricordia-mo sempre attiva e silenziosa, molto laboriosa, amante della natura, del giardino e dei fiori”, così la ricorda Madre Elisa. E Suor Michelita era proprio

stre sorelle ci incontriamo con un’altra figura a noi tutte carissi-ma, quella di Suor Clementina- Gabriella Bellotto. Sappiamo che tutte le stelle del cielo sono uniche e importanti ma alcune hanno in loro stesse un compito, una missione: essere stelle che indicano il cammino. È il caso della stella cometa, della stella polare o di Venere che si vede soltanto quando è più lontana dal Sole e si mostra come “stella della sera” o “stella della matti-no” a seconda della sua lonta-nanza dal sole. Anche nell’universo della nostra famiglia religiosa tutte siamo stelle importanti che popolano il suo cielo di bellezza ma alcu-ne hanno il compito di guida che traducono con discrezione ma anche con la consapevolezza della loro responsabilità di essere luce per tutte. Credo non sia esagerato attri-buire a Suor Clementina questa missione di testimone di auten-ticità e di amore, sempre aperto a Dio e a tutte le persone. Donna di grande fede e di pro-fonde convinzioni, ella è sempre

così, silenziosa e schiva ma sem-pre pronta a donare sollievo e consiglio. Bastava uno sguardo o una piccola richiesta perché lei rispondesse con gentilezza e premura, ma sempre con discre-zione, senza farsi accorgere. I vent’anni trascorsi nella casa di riposo di Sant’Onofrio a Vasto- Chieti hanno lasciato in tutti un ricordo indelebile di questa piccola donna laboriosa e te-nace, mai stanca di amare e di donare. Figlia della terra abruz-zese, definita dallo scrittore Pri-mo Levi "forte e gentile", Suor Michelita portava anche nel suo modo di porsi l’umile fierezza di questa regione. Suor Michelita ha incarnato la piccolezza e la compassione evangelica propria del nostro carisma attraverso una vita donata. Non ha prete-so ricompense o riconoscimen-ti perché, come scrive Tagore ” L’albero da frutto e non si sente creditore: la sua vita è donare”.

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Continuando a guardare alle no-

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Suor Michelita Mincarini Elviran. a Gissi (Chieti)

il 01-05-1926m. a Casa Betania (Vr)

il 26-08-2017

Suor Clementina Bellotto Gabriellan. a Castelnuovo (Vr)

il 17-03-1940m. a Veronail 21-09-2017

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stata guardata e vista come una persona di riferimento, sia come religiosa, che nella scuola o nel suo lungo servizio alla Congre-gazione come Economa genera-le. Di carattere deciso ha sapu-to tradurre in “dolce fermezza”, sull’esempio del Beato Fondato-re, ogni sua scelta, sia nei con-fronti dell’obbedienza come e soprattutto nei confronti di Dio. Amante della bellezza ha mante-nuto sempre un cuore capace di stupore e ha saputo donare que-sta sua trasparenza dell’anima sia in comunità che alle tante persone che l’hanno conosciu-ta, apprezzata ed amata. Donna di preghiera e di ascolto sapeva entrare nelle “cose di Dio” con profonda semplicità, metten-do volentieri in comune le sue “scoperte” frutto di un’anima innamorata della vita e della sua vocazione. Provata nel fisico da vari proble-mi di salute non ha mai ceduto di fronte alla prova ma proprio come la terra nuda, si e lasciata ferire convinta della fecondità del seme. Da ben quattordici anni praticava la dialisi ed ella considerava ogni nuova giornata un miracolo, un nuovo dono di Dio. Viveva ogni sua fatica “te-nendo fisso lo sguardo fisso su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2). Ecco una testimonianza diretta raccolta dai suoi scritti: “Evento dialisi! Duro l’impatto, sconvol-gente la proposta. Lo Spirito ir-rompe e fa memoria: “Alzatevi, andiamo”. Il respiro orante illu-mina il cammino. Il dono della fortezza rianima la vita, all’attesa dei medici rispondo: “comin-ciamo”. So, Signore, che tu sei sempre con me. Con Te tutto è

consacrata con gioia e passione per il servizio apostolico. Educa-trice e madre ha preparato molti bimbi alla vita e tanti genitori ad essere davvero padri e ma-dri per i loro figli. Per vari anni responsabile della comunità re-ligiosa è stata per le sorelle una guida sicura e premurosa. Suor Gabriella ha vissuto la sua mis-sione apostolica con dedizione, senza complessi di inferiorità, ed è passata da un servizio all’altro senza sentirsi sminuita da ruoli di secondo piano. Per chi ama veramente non ci sono servizi umili o importanti ma ogni possibilità di donarsi diventa servizio d’amore. Questa è stata la convinzione profonda di suor Gabriella che è passata dalla direzione della scuola ma-terna, alla responsabilità di varie comunità, al servizio di sorella portinaia senza sentire per que-sto di essere meno considerata o meno Suora. Ha fatto tutto con amore e in tutto è stata testimo-ne di servizio e di gioia.

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possibile”. Ora la cara sorella riposa nel camposanto di Ronco all’Adige, seminata nella nuda terra, come da sua volontà. Ho assistito in si-lenzio, con tanta commozione al momento in cui la sua bara veni-va coperta dalla terra. L’addetto alla sepoltura sembrava accarez-zare la bara ogni volta che, con la pala meccanica, poneva terra fresca nel sepolcro. Terminata questa operazione mi sono av-vicinata e ho ringraziato questo uomo per la cura e la tenerezza con cui ha compiuto il pietoso adempimento. Lui mi ha guar-dato sorpreso, con un mite sor-riso, quasi a volermi confermare che quella sepoltura era già una risurrezione perché “se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).Grazie, cara suor Clementina, per ciò che sei stata e sei per tut-te noi: una stella che indica il cammino verso la santità.

* * *

Mentre Madre Elisa stava an-nunciando alla comunità, riuni-ta in Chiesa per la celebrazione eucaristica, il sereno trapasso di suor Clementina, avvenuto la sera precedente, arriva la notizia che un’altra sorella è passata da questa terra d’esilio alla patria beata. Suor Gabriella – Idelma Ros-signoli, all’età di 96 anni e 68 di professione religiosa, ha com-piuto il corso della sua lunga e feconda vita terrena. Donna laboriosa, intraprendente e co-raggiosa ha vissuto la sua vita

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Suor Gabriella Rossignoli Idelman. a Salizzole (Vr)

il 17-02-1921m. a Casa Betania (Vr)

il 22-09-2017

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Parenti defuntiFratello di: Suor Gabriella RossignoliSuor Geltrude Verzini

Sorella di: Suor Marianna LaiSuor Maura CeccarelloSuor Laura PadoanelloSuor Norberta Vanzo

Il giornale sta per essere dato alle stampe quando si apprende dell’improvviso trapasso di Suor Gianalberta – Rita Calzavara. Ci è caro ricordare questa Sorella che ha esercitato per tanti anni il suo apostolato di carità accanto agli ammalati e, quale buona sa-maritana, ha tradotto nella vita il mandato di Gesù, il quale, ri-chiesto da un dottore della Leg-ge, indica nell’amore verso Dio e verso il prossimo il biglietto da visita per ottenere la vita eterna. Su insistenza dello stesso scriba, Gesù propone l’esempio di un uomo samaritano che, presosi cura di un malcapitato incappa-to nei briganti, dimostra in con-creto cosa significhi amare. Gesù conclude la parabola con un mandato preciso: “Va e fa anche tu lo stesso” (Cfr Lc 10,25-37). Durante la sua lunga giornata terrena Suor Gianalberta ha cu-rato tante ferite e lenito sofferen-ze fisiche e morali, meritandosi la benevolenza di tante perso-ne che hanno apprezzato la sua gentilezza, la sua bontà d’animo e la sua comprensione. Di ca-

rattere piuttosto schivo ella non ha mai cercato posti di primo piano ma con discrezione sape-va arrivare proprio là dove c’era un bisogno da considerare. Pur nella sua fragilità fisica ella non ha avuto paura di lasciarsi ferire dall’aratro della sofferenza, sua e di tanti fratelli, e allora il seme ha potuto cadere abbondante e fecondo sulla terra del suo cuore consacrato. Donna di preghiera e capace di intimità Suor Gianalberta è una stella che risplende di quella luce riflessa di cui Dio stesso è la fon-te inesauribile. A noi, ancora pellegrini sulla terra, rimane il compito di guar-dare a Dio attraverso l’incanto della natura e delle sue creature e di saper stare in silenzio davanti al Sole per diventare ogni giorno

Suor Gianalberta Calzavara Rita

n. a S. Maria di Sala (Ve)il 19-04-1923

m. a Casa Betania (Vr)il 25-10-2017

di più stelle che indicano il cam-mino e che “brillano di gioia per Colui che le ha create” (Baruch 3,34). ■

Se mi ami non piangere!Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sentoin questi orizzonti senza fine, e in questa luce che tutto investe e penetra, tu non piangeresti se mi ami.Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevolial confronto. Mi è rimasto l’affetto per te:una tenerezza che non ho mai conosciuto.Sono felice di averti incontrato nel tempo,anche se tutto era allora così fugace e limitato.Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,è gioia pura e senza tramonto.Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi, tu pensami così!Nelle tue battaglie, nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,pensa a questa meravigliosa casa, dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme, nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.Non piangere più, se veramente mi ami!

Sant'Agostino

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"L’Eterno, l’Infinito, è Dio con noi: non è lontano, non dobbiamo

cercarlo nelle orbite celesti; è vicino, si è fatto uomo

e non si staccherà mai dalla nostra umanità,

che ha fatto sua".

Papa Francesco