Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34 - Fioriti Editore · 2015-07-15 · cliniche (Gabbard 2000,...

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SOTTOMESSO GENNAIO 2015, ACCETTATO FEBBRAIO 2015 26 © Giovanni Fioriti Editore s.r.l. Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34, 1, 26-41 PSICOANALISI E PSICOTERAPIA: CONCETTI A ELEVATA OBSOLESCENZA Antonio Nettuno Il grande errore compiuto da certi medici nel curare gli esseri umani è quello di scindere la cura dell’anima dalla cura del corpo. Platone, Carmide, V sec. A.C. Premessa Lo scopo di questo lavoro è proporre una riflessione critica sul concetto e sul significato esplicito di psicoterapia e psicoanalisi, analizzando anche alcuni aspetti semantici e pragmatici di tali termini. Il perché di tale necessità può essere declinato in questo modo : le definizioni di psicoterapia o di psicoanalisi, con il loro prefisso «psico», appaiono usurati e inadeguati a definire nella sua globalità gli avvenimenti “fisici” e psichici che si originano nel campo dell’interazione clinica tra il terapeuta e paziente. In altre parole, i termini psicoanalisi e psicoterapia, anche nelle sue varianti di "psicoterapia cognitiva" o sistemica, grazie alle recenti scoperte scientifiche e cliniche (Gabbard 2000, Kandel 2001) hanno perso quella carica esplicativa e connotativa della complessa fenomenologia clinica, definita all’origine “talking cure” (Freud 1895). Ci preme sottolineare inoltre, per ragioni di chiarezza espositiva, che non riteniamo sinonimi psicoanalisi e psicoterapia. Quest'ultima, infatti, ha infinite varianti, quali bioenergetica, corporea, biofeedback etc.. Noi infatti, dopo una breve trattazione semantica e lessicale dei termini psicoterapia e psicoanalisi focalizzeremo l'attenzione critica soprattutto su quella “strana conversazione” (Symington 2013) carica di emotività, che avviene tra paziente e terapeuta. Si analizzeranno pertanto inizialmente, in modo sintetico, le antinomie, i “paradossi” logici, semantici e pragmatici dell'utilizzo del termine psicoterapia nei differenti contesti di intervento in cui si realizzano i trattamenti terapeutici, con o senza i farmaci (Migone 2013). Quindi, per ricapitolare, il nostro obiettivo è analizzare sotto differenti vertici osservativi, come talvolta i termini psicoanalisi e psicoterapia possano risultare inappropriati a concettualizzare tutte le molteplici trasformazioni che si verificano all'interno della diade paziente terapeuta. Aspetti pragmatici e semantici Allo scopo di proporre le nostre riflessioni critiche, descritte nella premessa, passiamo a definire il significato di pragmatica e di semantica. Per pragmatica si intende la parte della semiotica che studia le relazioni tra i segni e il contesto

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SOTTOMESSO GENNAIO 2015, ACCETTATO FEBBRAIO 2015

26 © Giovanni Fioriti Editore s.r.l.

Psichiatria e Psicoterapia (2015) 34, 1, 26-41

PSICOANALISI E PSICOTERAPIA: CONCETTI A ELEVATA OBSOLESCENZA

Antonio Nettuno

Il grande errore compiuto da certi medici nel curaregli esseri umani è quello di scindere la cura dell’anima

dalla cura del corpo. Platone, Carmide, V sec. A.C.

Premessa

Lo scopo di questo lavoro è proporre una rifl essione critica sul concetto e sul signifi cato esplicito di psicoterapia e psicoanalisi, analizzando anche alcuni aspetti semantici e pragmatici di tali termini. Il perché di tale necessità può essere declinato in questo modo : le defi nizioni di psicoterapia o di psicoanalisi, con il loro prefi sso «psico», appaiono usurati e inadeguati a defi nire nella sua globalità gli avvenimenti “fi sici” e psichici che si originano nel campo dell’interazione clinica tra il terapeuta e paziente. In altre parole, i termini psicoanalisi e psicoterapia, anche nelle sue varianti di "psicoterapia cognitiva" o sistemica, grazie alle recenti scoperte scientifi che e cliniche (Gabbard 2000, Kandel 2001) hanno perso quella carica esplicativa e connotativa della complessa fenomenologia clinica, defi nita all’origine “talking cure” (Freud 1895). Ci preme sottolineare inoltre, per ragioni di chiarezza espositiva, che non riteniamo sinonimi psicoanalisi e psicoterapia. Quest'ultima, infatti, ha infi nite varianti, quali bioenergetica, corporea, biofeedback etc.. Noi infatti, dopo una breve trattazione semantica e lessicale dei termini psicoterapia e psicoanalisi focalizzeremo l'attenzione critica soprattutto su quella “strana conversazione” (Symington 2013) carica di emotività, che avviene tra paziente e terapeuta. Si analizzeranno pertanto inizialmente, in modo sintetico, le antinomie, i “paradossi” logici, semantici e pragmatici dell'utilizzo del termine psicoterapia nei differenti contesti di intervento in cui si realizzano i trattamenti terapeutici, con o senza i farmaci (Migone 2013). Quindi, per ricapitolare, il nostro obiettivo è analizzare sotto differenti vertici osservativi, come talvolta i termini psicoanalisi e psicoterapia possano risultare inappropriati a concettualizzare tutte le molteplici trasformazioni che si verifi cano all'interno della diade paziente terapeuta.

Aspetti pragmatici e semantici

Allo scopo di proporre le nostre rifl essioni critiche, descritte nella premessa, passiamo a defi nire il signifi cato di pragmatica e di semantica.

Per pragmatica si intende la parte della semiotica che studia le relazioni tra i segni e il contesto

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sociale e comunicativo del loro uso (Devoto-Oli 2010). In questo caso, per "contesto" si intende la "situazione", cioè l'insieme dei fattori extralinguistici (sociale, ambientale e psicologico) che influenzano gli atti linguistici nel setting di cura. La semantica che in questa sede prenderemo in considerazione è quella che in filosofia, è parte della logica diretta a determinare i limiti del linguaggio corretto e rigoroso, mediante l'analisi dei simboli linguistici d'uso comune (Devoto-Oli 2010). Migone (ibidem 2013), infatti, col termine psicoterapia (semantica) definisce una serie di pratiche terapeutiche in cui viene privilegiato l'uso della parola e non l'uso dei farmaci. Questa definizione, continua Migone, «non risolve i risvolti epistemologici perché anche le terapie corporee vengono considerate "psicoterapie", come anche il bio-feedback, una tecnica che richiede una determinata strumentazione» (p. 374) che, a nostro parere, modifica anche gli aspetti pragmatici dell'interazione paziente terapeuta. I terapeuti che utilizzano il bio-feedback, infatti, usano una macchina, in cui si fa leva su meccanismi non solo non verbali, ma neanche consapevoli, basati su autoregolazioni neurologiche all'interno di un contesto molto differente dal setting analitico o psicoterapeutico considerato "classico".

Pertanto, come premesso, nel nostro lavoro si analizzerà se sia ancora plausibile continuare ad usare il termine psicoterapia per definire una pratica clinica proteiforme intrisa, di biologia e psicologia, di carne e linguaggio (Cimatti e Lucchetti 2013). Noi, parafrasando la scrittrice Paola Mastrocola (2014), siamo consapevoli che il termine psicoterapia è soltanto una parola. Dietro a questo termine, in realtà, c'è una pratica clinica ultrasecolare e aspetti di continuità disciplinare che vanno salvaguardati e anche innovati. La tradizione disciplinare è tuttavia importante, se diventa un trampolino di lancio per nuovi pensieri, studi e ricerche. Può essere pericolosa, invece, se obbliga alla riproduzione di qualcosa di già pensato e detto. Noi siamo consapevoli che le parole, i concetti creano immagini, sensazioni, colori. Cambiano non le cose, ma la percezione delle cose. Il nostro obiettivo è quindi cercare di percepire e allargare il campo analitico, osservandolo da una prospettiva biopsichica e sociale. Questa nostra posizione implica che la mente umana sia in corpore (embodied) in un corpo fenomenologico e sia strutturata dinamicamente dalle nostre esperienze, sia in senso filogenetico come specie, sia in senso ontogenetico come individui, tramite stimoli interni ed esterni offerti dall'ambiente e dalla società in cui si è situati (emebedded). Uno degli assunti fondamentali della linguistica è, che ogni percezione ed espressione linguistica è connessa alla nostra biologia. La mente, in questa prospettiva, è influenzata, e persino condizionata, dalla lingua parlata e da come è usata: la lingua che si usa condiziona, infatti, il modo di percepire, ma anche di interagire, con il mondo. Il modo in cui si rappresenta il mondo intorno a sé, infatti, è condizionato dall'interazione di processi linguistici e non-linguistici, e i modi di pensare di comunità socio-linguistiche diverse sono più eterogenee di quanto si pensasse (Evola 2012).

La prospettiva biopsicosociale e l'uso dei termini psicoanalisi e psicoterapia

Noi siamo consapevoli che il corpo è da sempre presente nella Psicoanalisi. Freud era un medico e un neurologo. Freud stesso, nel suo progetto di una psicologia scientifica (1895), scriveva a Fliess e ad altri colleghi della necessità nel futuro, per la psicoanalisi, di trovare dei punti di contatto con la biologia. Nello stesso tempo, Freud ha sempre sostenuto che nella

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vita psichica dell'individuo l'altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico e in questa accezione più ampia la psicologia individuale è nello stesso tempo psicologia sociale (Freud 1921).

Nella disamina della fallibilità del concetto di psicoterapia si utilizzerà il metodo argomentativo. Le nostre critiche,inoltre, partono dal presupposto e dalla consapevolezza che la Psicoanalisi non è un corpus dottrinario cristallizzato, ma un apparato teorico e clinico, vivente di costante elaborazione della condizione umana in continuo mutamento e trasformazione.

Ci preme, tuttavia, sottolineare subito che il nostro argomentare non ha alcuna pretesa di originalità, perché da molti anni sono in atto diversi cambiamenti terminologici nel nostro campo di studio: pensiamo al termine neuropsicoanalisi introdotto da M. Solms e K. Kaplan Solms (2001).

L’ intervento psicoterapico o psicoanalitico nella sua koinonia corporea, affettiva e cognitiva (Corrao 1998) ha effetti, infatti, sulla fisica e sulla chimica del cervello (Costa 2009). Una recente ricerca svizzera, per esempio, ha mostrato per la prima volta in vivo, che la psicoterapia non solo riduce i sintomi della PTSD (Post Traumatic Stress Disorder) ma agisce in modo benefico sulle rotture dei filamenti del DNA originate dalle esperienze stressanti (Morath et al. 2014).

Un articolo sull'autorevole rivista Nature del 2014 firmato da Holmes, Craske, Graybiel (pp. 207-209) invita a migliorare la comunicazione e il lavoro interdisciplinare tra neuroscienziati e i clinical scientists per superare tale gap nel campo della salute mentale. Tanto per fare delle esemplificazioni cliniche sull'utilità del connubio tra neuroscienze e psicoterapia, osserviamo come la stessa fenomenologia del sonno e del sogno, può trovare una nuova chiave di lettura nella descrizione e decifrazione degli aspetti vividi del sogno. Per esempio, durante la fase onirica, si verifica sia la riduzione funzionale propria dei lobi frontali, sia il dissolversi della censura, e si assiste quindi alla possibile liberazione di pulsioni sessuali e/o aggressive. Inoltre, l'inattività del cervelletto nel sogno, spiega come il movimento mentale possa verificarsi a corpo immobile o quasi. Oppure la stessa idea di rimozione di un ricordo sgradevole può essere letta anche come danneggiamento dell'ippocampo (responsabile della memoria esperienziale), in seguito alla sovrapproduzione di ormoni steroidei in situazioni stressanti (Modeo 2014). Coniugare, pertanto, gli studi e le ricerche delle neuroscienze con l'attività clinica ci può consentire di osservare l'interazione paziente-terapeuta con una maggiore profondità di campo. Questa contaminazione, tuttavia, non deve avvenire in modo confusivo, scotomizzando i differenti contesti e i diversi approcci metodologici dei due domini disciplinari. In altri termini, partiamo dal presupposto che la conoscenza neuroscientifica non può essere rigidamente traslata e utilizzata ipso facto nella cura della sofferenza mentale, ma certamente non può nel contempo essere ritenuta poco significativa e, ancora più grave, ignorata da un terapeuta che si occupa di salute mentale.

Il contributo delle neuroscienze e campo analitico

Lingiardi (2014b) ha affermato che la psicoanalisi moderna considera il materiale onirico come un laboratorio in cui si forma il pensiero. In questa prospettiva si apre la possibilità di uno scambio fecondo tra le ricerche neuro-scientifiche e le ipotesi della psicoanalisi. Soprattutto, secondo lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi, «non c'é più incomunicabilità tra le diverse discipline perché entrambe considerano il cervello e mente la stessa cosa» (p. 31). Le

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ricerche dei neuroscienziati, infatti, hanno dimostrato quello che una volta poteva solo essere immaginato, cioè che la psicoterapia non è soltanto un efficace trattamento psicologico, ma produce un alterazione dell’espressione dei geni che producono mutamenti strutturali nel cervello e, più precisamente, dei cambiamenti nell’attività funzionale di alcune aree del cervello (Kandel 1998, 1999; Siegel 1999). Queste ricerche, pertanto, estendono la possibilità di dialogo tra le neuroscienze e la psicoanalisi o la psicoterapia: gli studi di imaging sulla psicoterapia, i modelli animali ed umani della relazione tra geni ed ambiente, gli studi genetici sulla personalità e le ricerche sulla memoria, stanno aprendo nuovi filoni di studio, adatti ad una migliore comprensione delle caratteristiche biologiche della psicoterapia. Il giornalista scientifico Emily Anthesis (2014) ha riassunto in questo modo la ricerca futura dei terapeuti cognitivo comportamentali: «In practice, clinicians hoping to tailor treat ments may need to consider many factors, including a person’s marital status, brain activ ity and genetics; a small body of research indi cates that people with certain genetic sequences are more likely than others to respond to CBT» (p. 3). Queste considerazioni molto pregnanti dei colleghi cognitivo comportamentali, che hanno un background teorico e clinico differente dai terapeuti dinamici, sono tuttavia interessanti perchè sottolineano che lavorare meglio con i pazienti, significa tenere in debito conto sia le loro caratteristiche genetiche, sia l'aspetto specifico dei loro circuiti cerebrali e il contesto socio- relazionale in cui sono immersi.

In consonanza con Merciai (2012), noi riteniamo la cura analitica una terapia biologica a tutti gli effetti, la quale non può continuare ad essere denominata semplicemente psico-terapia o analisi quando è, invece, cura di un paziente o di un gruppo di pazienti che spesso esprimono una necessità di «incarnazione», di «embodiment», di integrazione psiche-soma attraverso il cambiamento di stati mentali e fisici. Diverse ricerche, per esempio, hanno mostrato che l' empatia in psicoterapia non è un concetto filosofico ma la creazione di una complessa similar brain network tra il paziente e terapeuta che, in un processo di “morfogenesi”, modifica la psicobiologia di entrambi i componenti della coppia e facilita la guarigione del paziente (Riess 2010, Marci et al. 2007).

Nello spazio analitico, l'empatia si sviluppa soprattutto quando il terapeuta è intuitivamente attento sia all'uso delle parole sia alla sincronizzazione, sul piano corporeo, dei bisogni primari del paziente. Con quest'ultimo, infatti, il terapeuta è attento, in modo olistico, sia alla ricca oscurità della parola espressa verbalmente in campo analitico, sia alla lettura semiotica dei suoi atteggiamenti non verbali, quali il tono della voce, la mimica facciale e le posture corporee, oltre a considerare debitamente il proprio controtransfert somatico (Meares 2005, Schore J. e Schore A. 2008). Lo stesso Freud ha sempre magnificato l'attento lavoro di osservazione corporea dei pazienti. Così si esprime a proposito della sua celebre paziente Dora: «Chi ha occhi per vedere e orecchi per intendere si convince che ai mortali non è possibile celare nessun segreto. Chi tace con le labbra chiacchiera con la punta delle dita, si tradisce attraverso tutti i suoi pori» (1901, p. 364). Come ha rilevato con molta pertinenza Civitarese (2014), se l'analisi ha bisogno di ritagliarsi un campo di osservazione il più possibile circoscritto privilegiando la parola, poiché il linguaggio è più vicino al polo dell'astrazione, si rischia però di rinunciare almeno in parte alle emozioni del corpo. Da quando gli esseri umani hanno acquisito la capacità di pensare ai propri pensieri, cioè con lo sviluppo della mente, bisogna porre attenzione a non scindere

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questa dal corpo. Per una semplice osservazione, perché tra i due (corpo e mente) esiste un rapporto di reciproca e ricorsiva generatività (ibidem 2014). Analogamente siamo consapevoli che il solo cambiamento emotivo non è sufficiente a produrre una trasformazione analitica, poichè il legame con il linguaggio è il responsabile della riappropriazione di senso, in mancanza della quale il campo relazionale dell'analisi può diventare il luogo di «trasformazioni inverse»: desimbolizzazioni, allucinazioni e azioni (Riolo 2007).

Problematiche epistemologiche

Giunti a questo punto, tuttavia, ribadiamo che il nostro obiettivo, in questa disamina critica del concetto di psicoterapia, non è quello di proporre la sua abolizione, ma introdurre dei dubbi sulla sua pertinenza a definire una pratica clinica in tutte le sue polimorfiche sfaccettature sinestetiche, esperienziali e trasformative. Noi proponiamo una sorta di cambiamento epistemico nel campo della definizione dell' aver cura del paziente (Mortari 2015) attraverso le "parole", analogamente a quanto avvenuto nel campo della fisica, dove fino al XIX secolo si riteneva che gli atomi fossero unità indivisibili della materia, come si evince dall'etimo della parola stessa. Quando si scoprì che gli atomi avevano una struttura composita fatta da protoni, neutroni, elettroni,quark,etc.. lo stesso significato di atomo cambiò leggermente per tener conto di queste nuove scoperte scientifiche che comportarono successivamente la nascita della meccanica quantistica e la fisica nucleare. Anche le scienze psicologiche mutatis mutandis dovrebbero tendere a fornire descrizioni della realtà, e quindi della pratica clinica, quanto più precise e pertinenti. Nella nostra attualità, in cui le neuroscienze e la psicologia scientifica producono evidenze concrete e non discutibili, è necessario, a nostro parere, rivedere come clinici, se i nostri concetti possono rimandare a vecchi paradigmi pre-scientifici, decostruendone l'eventuale carica regressiva. Il noto intellettuale e scrittore Corrado Augias (2014) nel suo primo romanzo e resoconto psicoanalitico Il lato oscuro del cuore, fa dire alla sua eroina Clara, alter ego dello scrittore e dottoranda in psicoanalisi e psicoterapeuta agli esordi, qual è l'oggetto del suo studio con queste parole: «Ricostruisco e racconto il momento di passaggio dalla medicina alla psicologia, dall'esame del corpo alla ricerca dell'anima, o meglio della mente. Dalle patologie dell'organismo a quelle della coscienza» (p. 81). La vicenda ancorché romanzesca di Clara, che si svolge negli anni '80 e '90, può essere esemplificativa di come un famoso e colto intellettuale, come per una sorta di legge del contrappasso, scotomizzi il ruolo del corpo nel teatro analitico; un corpo, quello femminile, fin troppo esibito nel teatro anatomico della Salpȇtrière dell'800 diretto da Charcot, che tanta influenza intellettuale ha avuto sulle elaborazioni teoriche di Freud (Ellenberger 1976). Starobinski (2013), nel suo libro L'inchiostro della malinconia, scrive che, accanto al medico, nella cura del paziente malinconico, nell'antichità e nel medioevo, interveniva il filosofo con la consolazione e l'esortazione morale a offrire una psicoterapia (ossia una therapéia della psiche), «una cura dell'anima». Dimenticandosi dell' esortazione di Ippocrate Iatros philosophos isotheos, «il medico che si fa filosofo diventa pari a un dio» nel De decenti habitu. Si tratta quindi di un medico che combina entrambe le funzioni, sia quella medica che filosofica, e che non scinde la cura dell'anima da quella del corpo. Le ricerche attuali delle neuroscienze ribaltano i «vecchi dualismi» cartesiani di corpo e anima (Damasio 1994), offrendo differenti

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vertici di osservazione, e la possibilità di «confutare» e falsificare vecchie congetture. Del resto, parafrasando Cartesio, per rinnovare qualcosa bisogna distruggere ogni certezza. Adesso, grazie alle ricerche dei neuroscienziati (Eagleman 2011), sappiamo che il cervello funziona in gran parte in modo inconscio. Un inconscio, cioè, che sta sotto lo stato di coscienza, capace di elaborare un enorme numero di dati in modo statistico, per cercare soluzioni più probabili fra innumerevoli funzioni che accadono continuamente fra cervello, corpo, mondo esterno ed altri individui (Dehaene 2014, Costa 2014). Ci preme sottolineare che le nostre osservazioni non vogliono mettere in discussione la fecondità gnoseologica del concetto di anima, elaborata nella psicologia archetipica di Hillman (2009) in cui l'anima, collegata al mondo, ha la medesima sostanza del corpo. Nel cervello non c'è niente di simile ad un teatro cartesiano, cioé un centro in cui tutto converge, ma c'è invece una forte decentralizzazione: le funzioni mentali superiori, in primo luogo la coscienza, sono il risultato della coordinazione dell'attività distribuita in molte aree cerebrali. Il nostro stesso io, non rappresenta una speciale identità sostanziale, ma un centro di «gravità narrativa», il punto di «equilibrio» e tensione verso cui converge la molteplicità di storie, reali e fittizie, che noi e gli altri raccontiamo su noi stessi (Dennet 2013, Consoli 2014). Quello che contestiamo, come scritto nella citazione in esergo di Platone, è la scissione, ancorché terminologica, di quello che avviene realmente nel processo terapeutico. Noi sappiamo che, per usare una metafora, in fisica quantistica, a livello subatomico, lo stesso fenomeno può essere rilevato sotto forma di onde o particelle a seconda dello strumento e delle modalità di osservazione utilizzate (Solano 2009; De Toffoli 2007, 2014). Gli esseri umani, invece, si muovono soprattutto a livello delle leggi della meccanica classica. Qual è, pertanto, lo statuto epistemico del concetto di psicoterapia nella sua complessa relazione costitutiva? Il compito della scienza è quello di stabilire le regole generali che determinino la connessione reciproca fra gli oggetti e gli eventi nello spazio e nel tempo (Einstein 1950). A questo punto possiamo chiederci, per entrare in medias res, quale sia la connessione dei termini psicoterapia e psicoanalisi e l'effettivo scambio tra i due oggetti (paziente e terapeuta) all'interno dello spazio analitico, sia negli aspetti sincronici che in quelli diacronici. Lo scambio e la connessione terapeutica si verifica tutto nella psiche dei due componenti, cosi come il prefisso «psico» di psicoanalisi e psicoterapia lascia intendere? E allora qual è il ruolo del corpo nel teatro analitico? In realtà porre l'attenzione al corpo in primis è necessario, come discuteremo con maggiore estensione in seguito, per indagare e sostare nell'area non verbale della relazione paziente e analista con i suoi fenomeni di fusione, identificazione e risvolti somatici (Bonfiglio 2014).

Gli aspetti definitori dei termini psicoterapia e psicoanalisi

Psicoterapia o psicoanalisi sono pertanto, a tutt’oggi, dei termini realistici alla definizione di una pratica clinica impastata inestricabilmente di fisicità, di biologia e psicologia, di dolore materiale e di desolazione interiore? Come auspicato da Cono Aldo Barnà (2009) i concetti di plasticità neuronale e di variabilità individuale, rimandano ad una concezione del cervello meno basata su un rigido meccanicismo, quindi a un’immagine dell’uomo meno riduzionista. Bisogna perciò ampliare la ricerca e il confronto con termini nuovi, sia sotto l'aspetto semantico che terminologico, per concepire una nuova epistemologia in grado di avvicinarsi

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agli aspetti più complessi del nostro «oggetto». Il nostro obiettivo, infatti, non è certo quello di demolire il concetto di psicoterapia o di psicoanalisi, ma cercare di acquisire nuovi modi di pensare all’ «essenza» della nostra pratica clinica. Un interrogarsi in modo analogo alle riflessioni sulla «essenza» della natura umana di Gould (Rossi 2012), che nel concetto di essenza umana riusciva a far confluire e dialogare sia problemi genetici, embriologici e fisiologici, sia gli aspetti culturali, linguistici, psicologici ed estetici. L'obiettivo è di espandere il nostro pensiero su quello che realmente avviene nello spazio analitico, negli aspetti linguistici, gestuali, corporei e combinatori dell'interazione terapeutica. L’immagine che meglio corrisponde agli aspetti combinatori del processo analitico, in analogia al concetto di relazione o processo duale creativo o maturativo o evolutivo, è quello delle torri Petronas di Kuala Lumpur, dove a uno scambio senso/motorio in portineria (a base corporea) fa seguito un su e giù per livelli più astratti e mentali, fino a quando entrambi i membri della coppia raggiungono un livello (psicobiologico) simile. Un'altra analogia a carattere metaforico e architettonico sugli aspetti combinatori dell'analisi, può essere immaginata riferendosi a due persone o ad un gruppo composti da livelli sovrapposti intercomunicanti a tutti i piani, come se ci fossero scale in salita e in discesa separate ma che si incontrano nei pianerottoli di ogni piano, e poi anche in aggiunta scale separate parallele per alcuni piani; ad esempio le vie dedicate ai diversi sensi (Mario Pigazzini 2014) quali udito, olfatto, vista. La nostra idea di lavoro analitico si basa su una visione sistemica biopsichica e sociale del vasto fenomeno della comunicazione intersoggettiva, e si indirizza verso la ricerca di un livello intermedio tra quello alto del comportamento e quello di base dei meccanismi neurobiologici. Noi partiamo dall'assunto che la specie umana, sul piano fenomenologico, si presenti come una vasta rete di relazioni in cui ogni nodo individuale è legato agli altri attraverso scambi comunicativi, in primo luogo corporei e imitativi e poi verbali, razionali e simbolici (Longo 2014). In una lettera del Maggio 1871 Arthur Rimbaud osservava: J'est un autre, intendendo dire che l'«io» si sviluppa grazie all'interazione con l'«altro».

Il lavoro analitico

Gli strumenti efficaci dell’analista nel lavoro analitico sono, infatti, come sottolineato da Borgogno e Merciai (1998), la sua pancia, il suo cuore e la sua testa. È il corpo dell'analista nella sua interezza il principale strumento terapeutico. «L’analisi – scrive Bion (1996) (p. 283) – (…) è un’esperienza emotiva unica, riconoscibilmente connessa ad un essere umano reale e non ad un conglomerato di meccanismi psicopatologici» (p. 283). Se l’analisi o la psicoterapia, vuole ricomporre al suo interno quella dispotica dicotomia, per usare una espressione del filosofo Nelson Goodman (1988) tra l’artistico-emotivo e scientifico cognitivo, deve evitare il rischio di vivere all’interno dei suoi concetti fondamentali quella scissione mente-corpo che pretende di ricomporre nei suoi pazienti. Gli stessi psicoterapeuti, per far questa svolta nominalistica ed epistemica, devono apprendere dalla filosofia analitica (Lewis 1999) che «nomina sunt substantia rerum», mettendo in discussione la definizione stessa di psicoterapia o psicoanalisi Come ci hanno insegnato gli antichi, i nomina possono diventare nel corso del tempo numina.

Entrando in medias res nella pratica della psicoterapia o dell‘analisi possiamo affermare che la sua specifica dinamica interattiva polimorfica repetita iuvant, si dispiega non solo attraverso

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mezzi psichici ma coinvolge molteplici livelli psichici compresi quei livelli che includono il corpo come mezzo di comunicazione di stati affettivi non ancora accessibili al linguaggio verbale (Bastianini 2009)1. Il Premio Musatti nel 2014 è stato assegnato al neuroscienziato Gallese dalla SPI nel suo XVII Congresso a Milano nel 2014, per le sue ricerche sui neuroni specchio perché questi studi consentono di comprendere come il processo di riconoscimento dell'oggetto come soggetto indipendente, dotato di una realtà psichica, passi non solo per la via della mentalizzazione e della rappresentazione simbolica, ma anche attraverso accessi mimetici preriflessivi, molto più diretti e automatici, la cui mediazione è corporea (Lingiardi 2014a). Siamo, inoltre, consapevoli che «dentro» ciascuno di noi esistono efficientissimi programmi o processi, impressi nei nostri circuiti neurali forgiati dalla selezione. Il nostro corpo dispone quindi di un dispositivo extra-corticale ed autonomo di assoluta efficacia, del tutto inconscio e legato allo sviluppo filogenetico, che possiamo denominare «inconscio corporeo», il quale ha necessità di integrarsi e di bilanciarsi con il giovane inconscio mentale (Pigazzini 2014), soggetto ad errori e traumatismi vari nel corso dell'ontogenesi individuale, quali angosce insostenibili, difficoltà ad elaborare lutti e separazioni.

Verso una nuova concettualizzazione dell'attività clinica

Noi sosteniamo che il lavoro analitico è uno psychobiological somatic process che si dispiega in modo efficace non solo tramite i contenuti mentali espressi verbalmente nel corso dell'interazione clinica, ma sopratutto quando le reazioni corporee di entrambi i componenti della diade (paziente-terapeuta) sono prese seriamente in considerazione nel campo analitico. A questo proposito nel setting analitico, secondo le intuizioni di Riolo (1978): «Il tentativo di ri-comporre un simile iato comporta lo sviluppo di una capacità della mente di funzionare come recettore di messaggi sensorio-motori diversi da quelli che siamo soliti adoperare nella comunicazione verbale: al di là delle informazioni macroscopiche e quindi ingannevoli fornite dal linguaggio v’è la necessità di fare esperienza dei fatti psichici attraverso un contatto che deve essere effettivo e impressivo tanto quanto può esserlo un atto fisico. La gamma dei fenomeni comunicabili attraverso il linguaggio verbale è estremamente povera, limitata agli aspetti filogeneticamente più recenti, quelli legati alla parola; è inoltre soggetta all’ossificazione e all’usura, alla corruzione e al fraintendimento» (Riolo 1978). Queste considerazioni di Riolo, coniugate con gli studi neuroscientifici, ci consentono di mostrare l'importanza, nella relazione terapeutica, delle capacità ricettive e preverbali dell'analista di essere in «connessione somatica» con il paziente per «sentire» (Marinelli 2000) i suoi traumi e le sue agonie primitive, quando le «parole» possono essere ingannevoli o inadeguate (Stern 2011). Come è stato osservato, per esempio, nella cura dei pazienti gravemente traumatizzati, la comunicazione verbale e l'interpretazione del terapeuta non sono sufficienti per curare gli stati dissociativi, che implicano alterazioni neurobiologiche a carico dell'emisfero destro e possono accadere in seduta (Mucci 2014, Lingiardi 2014c). Nella seduta con questi pazienti gravi, il terapeuta esperto farà affidamento sullo sviluppo della sua dimensione ricettiva non verbale, legata alla comunicazione tra cervello e cervello (Trevarthen 1979). Le ricerche delle neuroscienze indicano che l'intuizione, la sintonia emotiva

1 Vedi Trauma (Liotti), DPTS (Disturbo Post Traumatico da Stress), EMDR, Sensory-Motor Therapy

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e la creatività sono tutte funzioni di pertinenza dell'emisfero destro (Allman et al. 2005; Grabner, Neubauer 2007; Jung-Beeman et al. 2004; Beeman 1998). La questione fondamentale nel trattamento terapeutico è come riusciamo a «digerire» e trasformare in seduta le cose «grezze», incistate e non elaborate che implicitamente ci fa sentire il paziente sul piano corporeo e che non sono sempre simbolizzate con le parole (Bucci 2002). Il lavoro del terapeuta, infatti, non è precipuamente cognizione disincarnata e astratta dei problemi dell'analizzando, quanto un gioco di sintonizzazione basato fondamentalmente su una sincronica e ritmica oscillazione proiettiva-introiettiva dei loro sistemi cerebrali (Sasso 2014, Galatzer-Levy 2009); di identificazione e disidentificazione, di immedesimazione corporea, comprensione esperienziale (conscia e inconscia) dei suoi vissuti dolorosi e conflittuali. In accordo con Sander (2002) noi intendiamo il processo terapeutico come un processo che apporta trasformazioni evolutive nell'organizzazione della coscienza, cioè dei mutamenti nella consapevolezza di sé stessi. Si tratta in altri termini di un cambiamento che permette di raggiungere una nuova e più inclusiva coerenza e «libertà» relativa riguardo a se stessi all'interno del proprio ambiente vitale. Ferro (2014) nel libro dal titolo evocativo «Le viscere della mente», osserva che nella situazione analitica si fanno molte più cose di quelle che sappiamo di fare e riconoscere, e dare un nome a queste cose è il fine della ricerca psicoanalitica (p. 45). Nel campo clinico Ferro (2014), infatti, pur considerando problematica la costruzione del «ponte» tra mente e corpo, sostiene che la frequente immersione nella «piscina sogno» in analisi produce effetti sul corpo. «In quest’ottica, ammette Ferro (Ibidem...), vi è tutto un percorso trasformativo che va da protosensorialità a simbolizzazione, da evacuazione a sogno (p. 75)». Queste osservazioni empirico-metaforiche di Ferro (2014) ci danno la strutturura immaginativa per sottolineare il forte parallelismo linguistico e concettuale tra la titolazione del suo lavoro, (Le viscere della mente), e le attuali ricerche sulle neuroscienze, che hanno mostrato come in tutti gli esseri umani, all'interno dell'insula, è situato un sistema di neuroni specchio implicati nella comprensione delle emozioni altrui, tramite una risposta visceromotoria. Questo sistema, attraverso la replicazione interna ed inconscia delle azioni e delle emozioni altrui, consente una comprensione implicita di cosa gli altri provano o fanno e in che modo, offrendo elementi utilizzati dall'interprete per elaborare teorie sulla causa (Il perché e il come ) delle azioni o delle emozioni altrui. Si tratta in altre parole della teoria della simulazione incarnata. Percepire attraverso i sensi uno stimolo emozionale, come l'espressione di angoscia sul volto di qualcuno attiva, nel corpo dell'osservatore, risposte immediate che simulano quell'emozione a livello visceromotorio e che possono arrivare all'attenzione cosciente ed essere riconosciute oppure no (Gazzaniga 2013, Rizzolati 2014). A questo proposito ci pare opportuno citare Michel De Montaigne (1970 tr. it.) che osserva: «La vista delle angosce altrui mi angoscia materialmente, e la mia sensazione ha spesso fatto propria la sensazione di un terzo. Uno che tossisce di continuo mi irrita i polmoni e la gola» (p. 125). A un livello filogeneticamente più antico, si riscontrano simili capacità di «empatia incarnata», cosi come sopradescritto, nel mondo animale, legata alla consapevolezza e alla sensibilità verso i bisogni degli altri, l'attaccamento reciproco nei canidi, elefanti, roditori, e persino corvidi. Si tratta di comportamenti favoriti in origine dalle cure parentali, probabilmente già nelle prime fasi di diversificazione dei rettili, e poi evolutisi in forma di riconoscimento dei visi dei propri conspecifici, di compassione verso chi sta male, di immedesimazione nella condizione altrui (Pievani 2014).

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Risvolti epistemologici e ricerche etologiche

Nella sua interessante riflessione filosofica Merleau-Ponty (1945) mette in luce che l’io non potrà mai prescindere dal contesto ambientale e dalla contingenza di una certa situazione di vita. Per esempio soggetto e oggetto non possono essere distinti. Non si danno come enti positivi, pure presenze a sé, ma si plasmano vicendevolmente in un incessante fluido di sensazioni regolato dalla «porosità della carne» (Civitarese 2013). Il fisico ed epistemologo Rovelli (2014a), sostiene che il punto unificante sembra essere il fatto che la trama del mondo non viene dagli oggetti, ma dalle relazioni fra gli oggetti, e dai processi. L’idea di «oggetto», di «sostanza», cosi cara alla metafisica occidentale, si sta sciogliendo in diversi rivoli, messa in questione da discipline che vanno dalla fisica alle scienze che studiano il cervello, dalla filosofia della scienza alla biologia. Quanto è specificamente umano, inoltre, non rappresenta la nostra separazione della natura, è la nostra natura. È una delle forme che la natura ha preso sul nostro pianeta, nel gioco infinito delle sue combinazioni, dell'influenzarsi e scambiarsi correlazioni tra le sue parti (Rovelli 2014b). Queste interessanti considerazioni di Rovelli ci stimolano a comprendere lo «specifico umano» in un'ottica multidisciplinare e naturalistica. Un brillante e geniale allievo di Freud, Ferenczi (1924) scrive: «A poco a poco giunsi alla convinzione che l’introduzione in psicologia di nozioni tratte dalla biologia e, viceversa, di nozioni di psicologia nell’ambito proprio delle scienze naturali, è un fatto inevitabile e forse fecondo (…) qualsiasi fenomeno fisico e fisiologico richiede anche, in ultima analisi, una spiegazione metafisica (dunque psicologica) e che ogni fenomeno psicologico richiede una spiegazione metapsicologica (dunque fisica)» Vol. III: 231-2. Sul piano epistemologico, pertanto, Ferenczi, già nel lontano 1924, ci invita a osservare i fatti clinici in modo binoculare, coniugando differenti vertici di sapere in una sorta di cross-fertilization. La necessità del meticciato tra le scienze, prefigurato da Ferenczi nella nostra contemporaneità, si declina non solo in campo psicologico, ma anche negli studi biologici ed etologici (Nettuno 2006, 2011, 2013) che cercano di coniugare differenti saperi. Nei nostri geni, osserva il genetista Barbujani (2014), sono iscritte le nostre potenzialità e sono tante; quali poi svilupperemo dipende da noi. I responsabili delle nostre scelte siamo noi, non l’animale da cui ci siamo evoluti, anche se rimane indispensabile lo studio dell’etologia umana e animale per conoscere noi stessi, la nostra ontogenesi e filogenesi a partire da quella dei primati (Dunbar 2012, Maestripieri 2013) senza per questo considerare salvifica la funzione né della biologia né dell’etologia (Alleva 2007, 2014). Rispetto a quest'ultimo aspetto ribadiamo l’importanza dei neuroni specchio, scoperti da Rizzolatti (2006) nei macachi, e le sue attuali ricadute nella pratica clinica in tema di intersoggettività (Ammaniti e Gallese 2014). Queste scoperte neuroscientifiche ci possono permettere di conoscere meglio il perché nell'interazione paziente-terapeuta. Soprattutto nel vis à vis o nella terapia di gruppo, può verificarsi che le strutture cerebrali dei partecipanti si mettono in risonanza automatica e inconsapevole, senza l'intervento di rappresentazioni mentali o pronunciamenti di parole. Questi studi, pertanto, ci consentono di conoscere come dare un senso alle cose che avvengono intorno all'area extralinguistica del campo analitico duale o gruppale e che difficilmente avremmo saputo con l'analisi dei sogni classica o l'introspezione. Gli studi etologici, inoltre, ci hanno resi consapevoli che non tutti i ragionamenti hanno una forma di tipo linguistico. Lo abbiamo appreso dal comportamento di soluzione di animali intelligenti

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come i corvi e gli elefanti (Churchland 2013). Charles Darwin (1871) era solito annotare che gli animali possono avere i loro affetti: paura e dolore e forse dispiacere per i loro morti e rispetto. È grazie a Darwin se la storia scientifica della mente è stata considerata come una componente della natura (Legrenzi 2002). Più precisamente del corpo e del cervello (Barnà 2009) in quanto «gli stati della mente sono creati all’interno degli stati psicobiologici del cervello e del corpo» (Porges et al. 1994). E dunque siamo esseri di natura (Ambrosiano e Gaburri 2013) legati in un’unica rete: la rete dei viventi. Parafrasando Edgar Morin (2007), gli esseri umani sono fatti al 100% di natura e al 100% di cultura. L’uomo nonostante le sue pretese di differenziarsi dagli altri animali, non può collocarsi al di fuori della natura. Bowlby (1957), negli anni cinquanta del secolo scorso, aveva individuato, grazie ai suoi studi etologici2, nei primi mesi dell’infante umano, una predisposizione biologica a creare un legame con la figura materna. Il nostro cervello è stato progettato per offuscare la separazione che separa il sé dall’altro (Frans de Waal 2013). Le strutture incorporate della relazione mente corpo emergono nell’incontro con l’altro; un altro che ci rimanda un’immagine del sé attraverso le emozioni legate,al toccare, al sostenere, al guardare (Aron e Anderson 2004) che oltrepassano e ampliano il canale verbale .

Conclusioni

In conclusione, con questo lavoro si è cercato di mostrare come il concetto di psicoterapia o di psicoanalisi è da ripensare sia sul piano lessicale che su quello semantico alla luce delle recenti ricerche neuro scientifiche, etologiche, filosofiche e cliniche perché può risultare inadeguato, fallibile e per certi versi fuorviante a definire una pratica clinica, multiforme, eteroclita, sfaccettata e complessa intrisa di biologia e psicologia. Per questo il lavoro clinico di analisti, medici e psicologi, non può più essere individuato e nominato soltanto come cura delle parole o cura della psiche, che il prefisso «psico» del termine psicoterapia o psicoanalisi evocano con il suo alone semantico, poiché si tratta di una esperienza trasformativa di fatti psichici e fisici, che si avvale sia del linguaggio verbale sia del linguaggio implicito del corpo come mezzo di comunicazione : come abbiamo discusso infatti, l'interazione terapeutica produce indiscutibili benefici al paziente perfino a livello del suo DNA. Si tratta di utilizzare un metodo terapeutico che, sul piano fenomenologico, consente ad un sé corporeo sofferente, quello del paziente, di «appoggiarsi temporaneamente» ad un altro sé corporeo (quello del terapeuta), per ricevere aiuto e accettare la vulnerabilità e l'interdipendenza degli esseri umani come risorse fondamentali della vita. Noi, infatti, siamo presenti al mondo tramite il corpo. I nostri pensieri, le parole e i sentimenti non si esprimono se non tramite i nostri corpi. Lo stesso lavoro analitico duale o gruppale, può essere concettualizzato come una sorta di esperienza composita polisensoriale di tipo biopsicosociale, che provoca cambiamenti bio-psichici nei corpi, sia dell'analizzando sia nel terapeuta. Per dirla con altre parole la «guarigione» del paziente, si raggiunge soltanto se accade qualcosa di analogo anche nel terapeuta (Symington 2013). Si è sottolineato, infatti, come il lavoro di analisi è un «processo somatico psicobiologico e sociale» che modifica la psicofisiologia del paziente e del terapeuta; innescando trasformazioni evolutive nell'organizzazione cerebrale, cioè dei mutamenti psicofisiologici nell'analizzando. Mutamenti che coinvolgono il corpo del

2 Sistemi motivazionali interpersonali

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soggetto nella sua interezza con tutte le sue connessioni relative al suo mondo interno ed esterno. Occorre, pertanto, esplorare la possibilità di utilizzare anche nuovi termini, accanto a quelli di psicoanalisi o psicoterapia, per definire e arricchire di nuovi concetti una pratica clinica ormai secolare alla luce delle nuove acquisizioni teoriche, cliniche e scientifiche.

Riassunto

Parole chiave: psicoanalisi, psicoterapia, revisione concettuale, corporeità, etologia, metodo argomentativo

Il presente lavoro propone una riflessione rispetto al concetto e al significato esplicito di psicoanalisi e psicoterapia. Attraverso il metodo argomentativo si analizza la plausibilità dell'utilizzo odierno di tali termini che rischiano di essere riduttivi nel definire la complessità dei fenomeni che avvengono all'interno dell'interazione clinica tra paziente e terapeuta. In particolare vengono esaminate le ricerche neuroscientifiche, etologiche, filosofiche e cliniche volte a sostenere la necessità di una svolta epistemica e nominalistica in una pratica clinica intrisa di corporeità.

PSyCHOANALySIS AND PSyCHOTHERAPy: CONCEPTS WITH HIGH OBSOLESCENCE

Abstract

Key words: psychoanalysis, psychotherapy, conceptual revision, corporeality, ethology, argumentative method

The present work suggest a consideration about the concept and the relevance of psychoanalysis and psychotherapy. Through argumentative method, this article examines the plausibility of the current use of these terms that risk to be restrictive to define the complexity of characteristics that occur during clinic relationship beetween patient and psychotherapist. This work analyzes neuroscientific, ethological, philosophical and clinical research, that support the necessity of epistemic and nominalistic change in the clinical practice, full of corporeality.

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CorrispondenzaAntonio Nettuno, Responsabile U.O. Gestione Attività Socio-Sanitaria ASL Monza e Brianza distretto di Seregno; Psicoterapeuta Via XXIV Maggio 820854, Vedano al Lambro (MB)E-mail: [email protected]