PS20

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PS20 Primo capitolo

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Stavo cercando uno sconosciuto. Non ero una frequentatrice abituale di quel loca-le, l'Aqua, benché ci fossi stata un paio di volte. Era stato ristrutturato di recente per competere con i nuovi bar e ristoranti di classe che erano spuntati come funghi nel centro di Harrisburg. Il tema tro-picale dell'allestimento e i grandi acquari erano ori-ginali, ma l'Aqua era troppo isolato rispetto alla zona mondana per diventare un locale di tendenza. Il suo vantaggio rispetto ad altri posti più alla mo-da, però, era l'albergo adiacente. Per questo motivo era piuttosto noto tra i giovani single della Pennsyl-vania centrale. E io ero giovane e single non per ca-so, ma perché volevo esserlo. Per me l'Aqua era come una vasca per i pesci, dove i pesci abboccavano all'amo, eccome! Mi guardai intorno e mi diressi verso il bancone del bar, passando tra i tavolini sistemati molto vicini uno all'altro. Il locale era pieno di gente che non conoscevo. Tra tutti quei volti estranei, uno era lì per me. Sarebbe stato il mio sconosciuto. Non lo avevo ancora visto, ma c'era tempo. Mi sedetti al bancone. Una sensazione di vaga eccita-zione accompagnò il movimento che mi fece strofi-nare la fodera di seta della gonna sulla parte alta delle cosce, nude sopra le calze. Mentre dimenavo

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leggermente i fianchi per sistemarmi in equilibrio sullo sgabello, le culottes di impalpabile pizzo mi sfregarono l'inguine, provocandomi un delizioso fremito. Ordinai una birra e il barista mi porse una bottiglia con un cenno. Rispetto ad altre frequentatrici dell'Aqua, ero vestita con sobrietà. Indossavo una gonna nera al ginocchio e una camicetta di seta avvitata, che valorizzava il seno. In quel mare di zeppe da bat-tona, jeans a vita bassa e top che scoprivano l'om-belico, generose porzioni di pelle ornate da piercing e tatuaggi, sicuramente mi si notava, proprio come volevo. Ero un pesce esotico, ma non un pesce fuor d'ac-qua... Bevvi un sorso di birra e continuai a scrutare i volti che mi circondavano. Chi sarebbe stato?, mi chiedevo mentre perlustravo la sala. Con chi sarei salita in camera quella sera? Quanto ancora avrei dovuto aspettare? Scoprii che non avrei dovuto rassegnarmi a una lunga attesa. Quando mi ero seduta, non c'era nessuno accanto a me, però, un attimo dopo, lo sga-bello vicino al mio venne occupato da uno scono-sciuto. Purtroppo era quello sbagliato. Quel tizio era biondo e aveva i due incisivi anteriori spaziati. Non era male, ma neppure quello che volevo io. Pur-troppo, non sembrava aver capito che era il caso di smammare. «Posso offrirti da bere, bellezza?» attaccò, dando prova di grande originalità nelle tecniche di approc-cio. O forse aveva solo visto troppi film di gangster in gessato nero. «No, grazie, sto aspettando il mio ragazzo.»

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Anche questa frase era un classico, ma perché lambiccarsi il cervello per replicare a una simile banalità? «Non c'è nessun ragazzo» disse lui con incrolla-bile certezza. «Dai, che prendi da bere?» E va bene, era più perspicace di un celenterato, bisognava riconoscerlo. Però era anche più tenace di una sanguisuga. «Ho già da bere, vedi?» gli dimostrai, sollevando la birra e parlando con il tono che si usa solitamente per convincere un bambino dell'asilo a non fare capricci. «Va bene, allora ti lascio in pace...» sospirò lui. «Ma solo dopo che avrai bevuto qualcosa con me!» aggiunse con enfasi. Si mise a sghignazzare come se avesse fatto una battuta da piegarsi in due dal ridere e si batté una mano su una coscia. «Avanti, che cosa posso offrirti?» mi incalzò. A quel punto avevo voglia di spaccargli la bottiglia di birra in testa. Sarebbe stato l'unico pretesto possibile per comprarmene un'altra. «Ci stai provando con la mia ragazza?» disse una voce calda. Io e l'idiota ci voltammo e rimanemmo entrambi a bocca aperta, anche se per motivi diversi: lui per la sorpresa per essere stato smentito dai fatti, io per la meraviglia e la contentezza. L'uomo che era intervenuto in mio soccorso era bruno e aveva gli occhi azzurri come quello che aspettavo. Aveva anche altri particolari intriganti che aumentavano il suo fascino, come l'orecchino discreto ma trasgressivo, i jeans stinti che gli fa-sciavano i fianchi e il giubbotto di pelle nera da duro con sotto una maglietta bianca, in perfetto stile James Dean. Ero seduta su uno sgabello alto, eppure

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lo vedevo imponente, perciò calcolai che era circa un metro e novanta di virilità allo stato puro. Bene, molto bene, pensai. Il mio sconosciuto fece un cenno noncurante, come se l'uomo che mi importunava fosse un gra-nello di polvere sulla sua manica e lui lo stesse spazzolando via. «Vai, su» gli disse con un pizzico di condiscendenza. L'altro, bisogna dire a suo discapito, non tentò di opporre resistenza né di giustificare in qualche modo il suo comportamento. «Scusa, amico. Non puoi biasimarmi se ci ho provato, no?» mormorò, sorridendo mentre scendeva dallo sgabello. Il mio sconosciuto si voltò verso di me e mi scrutò da capo a piedi, puntandomi addosso i suoi pene-tranti occhi azzurri. «No, direi proprio di no» rispo-se, pensoso. Si sedette al posto del biondo, ordinò una Guin-ness e mi porse la mano appena l'altro si fu allon-tanato. «Ciao, mi chiamo Sam» si presentò. «Se fai una battuta del tipo Ciao, zio Sam, ti ributto in pasto a quell'imbranato.» Sam. Il nome gli stava bene. Semplice, di un'es-senzialità molto mascolina, come lui. «Piacere, Grace» dissi, stringendogli la mano. «Che cosa bevi?» Girai la bottiglia per fargli vedere l'etichetta e lui fece una smorfia di disgusto. «Una bionda leggera, bleah! Prendi anche tu una Guinness.» «Non ho ancora finito questa» protestai, ma con un sorriso che mi ero guardata bene dall'elargire al biondino. «Dai, Grace. Non puoi paragonarla con una Guin-ness, che è una birra da veri uomini!» «Ti sembro un vero uomo?» Lui mi fissò sfacciatamente la scollatura, come se

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stesse soppesando la domanda. «Non mi pare, ma dovrei controllare meglio.» «Questa è buona come tentativo!» Risi. «Comunque, se proprio vuoi, ti ordino un'altra birretta da femminucce» sospirò lui, facendo un cenno al barista. «Non posso, grazie. Sono reperibile.» «Sei medico?» «No.» Sam bevve un sorso di birra scura, in attesa che gli dessi maggiori informazioni sulla mia profes-sione, ma io rimasi in silenzio. Lui schioccò le labbra in segno di approvazione e bevve ancora. Anch'io bevvi un sorso, chiedendomi come avrebbe impo-stato il nostro incontro. Speravo che non fosse troppo prosaico e che fingesse almeno di sedurmi prima di portarmi di sopra. «Ne deduco che non sei venuta qui per ubria-carti» commentò, girando verso di me lo sgabello in modo che le nostre ginocchia si toccassero. «No.» «Ah, quindi...» Fece una pausa, come se stesse riflettendo e facendo delle deduzioni. Dovetti con-venire che era bravo, molto convincente. «Poniamo che un tizio ti offra da bere...» «Sì?» «Poniamo che lo faccia prima di sapere che non sei qui per bere.» «Poniamo pure» ripetei io con un sorriso, stando al gioco. Lui mi fissò intensamente. «Perciò la domanda è questa. Il tizio in questione avrebbe già toppato oppure tu gli daresti la possibilità di rimediare?» «Dipenderebbe» risposi, enigmatica. Lui sorrise, sornione. «Da che cosa?» «Se il tizio fosse carino o no.»

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Sam si girò di lato, offrendomi un profilo, poi l'altro, infine mi guardò dritto negli occhi. «Che ne dici di me?» Lo guardai con attenzione. Aveva capelli color liquirizia tagliati abbastanza corti, ma spettinati, con delle ciocche irte sulla sommità del capo e altre che gli sfioravano le orecchie e la nuca. La bocca era sollevata da un lato in un abbozzo di sorriso ironico, il naso era leggermente affilato, ma stava bene con il resto dei lineamenti. Le sopracciglia arcuate come ali nere gli incorniciavano gli occhi di un azzurro intenso. «Sì» mormorai, sporgendomi un po' verso di lui. «Sei abbastanza carino.» «Evvai!» Sam fece un gesto di trionfo con il pu-gno chiuso che gli attirò gli sguardi degli avventori più vicini. «Allora ha ragione la mia mamma che dice sempre che sono bellino!» «La mamma ha sempre ragione» sentenziai io in tono solenne. In realtà, non era carino. Affascinante sì, interes-sante, anche sexy, ma non bellino. Comunque non si stava rivelando affatto come me lo aspettavo, ma in fondo era proprio quello un buon motivo per in-contrare uno sconosciuto. «Tu, invece, sei molto carina» mi sussurrò all'o-recchio. Non perdeva tempo, pensai. Le sue labbra mi sfiorarono un punto sensibilis-simo del collo, proprio sotto il lobo. Già eccitata per l'incontro casuale che stavamo inscenando, mi ac-corsi che il mio corpo aveva reagito istantaneamente a quel contatto. I capezzoli si inturgidirono premen-do contro il pizzo leggero, e il loro contorno diven-ne visibile sotto la camicetta. Avvertii un fremito al basso ventre e strinsi forte le cosce.

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Anch'io mi piegai verso di lui. Aveva una vaga fragranza di sapone; sapeva di buono e mi faceva venire voglia di leccarlo. «Grazie» risposi, tirandomi indietro. Lui mi sorrise; io accavallai le gambe e vidi che seguiva il mio movimento con lo sguardo. Fissò il bordo della gonna che, sollevandosi, rivelò per un istante una porzione di coscia. Con uno sguardo di apprezzamento, si passò la lingua sul labbro inferio-re, poi mi guardò negli occhi. «Ho una camera qui, sai? Però immagino che tu non sia il tipo di ragazza che va in camera con un tizio appena conosciuto, anche se è carino da mori-re. Giusto?» «Veramente potrei essere proprio quel tipo di ra-gazza» sussurrai con voce roca. Sam pagò il conto, poi mi prese la mano per aiu-tarmi a scendere dallo sgabello e a mantenere l'equi-librio. Anche con dieci centimetri di tacchi, dovevo sollevare il viso per guardarlo in faccia. Continuando a tenermi per mano come se non volesse farsi sfuggire la preda, si fece largo con si-curezza tra i clienti che nel frattempo avevano inva-so il locale. Nessuno avrebbe potuto intuire che ci eravamo appena conosciuti, che eravamo due estranei. Nes-suno sapeva che stavo per andare in una camera d'albergo con uno sconosciuto, ma io sì, e quel pen-siero mi accelerò i battiti del cuore mentre ci avvi-cinavamo all'ascensore. L'interno dell'ascensore aveva le pareti a specchio e i nostri volti si riflettevano un po' sfocati per le luci soffuse. Lo vidi mettermi una mano sul collo prima ancora di sentire il suo tocco, come se stessi guardando un film. Arrivati alla porta della sua stanza, Sam tirò fuori

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dalla tasca la chiave, che era una scheda magnetica. La infilò nella fessura, ma la fece scorrere tre volte senza che il led luminoso diventasse verde. Mi ac-corsi che era agitato e il suo nervosismo lo rese più umano e mi intenerì. «Non riesco ad aprire» borbottò, dandomi la scheda. Nel prenderla, gli toccai la mano e lui mi strinse il polso e mi sospinse contro la porta ancora chiusa, premendosi contro di me. La sua bocca trovò la mia e quando la sua mano mi sfiorò la gamba, la sollevai per permettergli di sorreggerla più agevolmente sotto il ginocchio. Mentre appoggiavo il polpaccio contro la parte posteriore delle sue cosce, lui infilò le dita sotto la mia gonna e risalì lungo la calza fino a trovare la pelle nuda. Continuando a tenermi stretto il polso con l'altra mano, mi sollevò il braccio sopra la testa, bloc-candomi contro la porta con tutto il corpo. Mi diede il nostro primo bacio in corridoio, senza lentezza né dolcezza o esitazione. Mi accarezzò la lingua con la sua, mentre la fibbia della sua cintura mi premeva contro lo stomaco, fredda attraverso la camicetta. Si staccò da me e mi liberò il polso. «Apri» mi sussurrò. Ebbi appena il tempo di infilare la scheda nella fessura, che aveva ripreso a baciarmi. Entrammo nella stanza ancora uniti. Due passi, e Sam chiuse la porta con un calcio. Si staccò e mi fissò con uno sguardo intenso. «È questo quello che vuoi?» Trovai abbastanza fiato per rispondere solo un roco sì. Lui fece un cenno di assenso, si tolse il giubbotto e lo buttò a terra, quindi mi baciò ancora, con foga, mentre mi trascinava verso il letto. Ne sentii il bor-do contro le gambe e mi fermai.

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«Aspetta» disse, poi scostò il copriletto con uno strattone e lo buttò a terra senza tanti complimenti. Mi sorrise, con gli occhi velati dal desiderio e le guance arrossate. Mi agguantò di nuovo e io lo ab-bracciai, passandogli le braccia intorno al collo. Mi prese alla vita e ci buttammo insieme sul letto, dove finimmo distesi ridendo, in un groviglio di braccia e gambe. In orizzontale, potevo baciarlo senza sollevare la testa perché non era più troppo alto per me. Gli assaggiai la pelle alla gola, strofinai le labbra contro il velo di barba che cominciava a spuntargli sul viso, mentre lui sollevava la gonna e mi accarezzava le cosce. Quando sfiorò con la punta delle dita il bordo delle culottes, trasalii e trattenni il fiato per un istante. Lui si staccò e mi fissò con un sorriso divertito e un'espressione che non riuscii a decifrare. Sorreg-gendosi la testa con una mano, continuò a muovere l'altra sul mio corpo verso l'alto. Steso su un fianco, con le gambe intrecciate alle mie, trasudava sicurez-za di sé. Per alcuni mostrarsi a proprio agio in certe circostanze era una posa, in lui sembrava una quali-tà innata. Mentre lo scrutavo, si impadronì della mia bocca per un altro bacio che mi stordì. I suoi movimenti mi parvero perfettamente calibrati per essere spon-tanei ma non goffi, appassionati ma non aggressivi. Nonostante mi avesse fatto mettere supina, teneva tutto il peso su un fianco, senza schiacciarmi. Muo-veva la mano sulla mia coscia, come se volesse farmi abituare al suo tocco, allontanandosi verso il ginocchio e avvicinandosi all'inguine senza mai toccarmi proprio lì. Non stava andando come mi sarei aspettata, ma d'altronde non era proprio ciò che volevo, essere sorpresa?

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Mi baciò con trasporto, poi con dolcezza, mi mor-dicchiò, mi leccò le labbra, giocò con la mia lingua, e per tutto il tempo la sua mano era sempre dove l'avrei voluta, ma senza mai arrivare alla meta. «Sam?» bisbigliai infine, fremente di impazienza. «Sì, Grace?» «Mi stai tormentando.» Sam sorrise. «Davvero?» «Sì» confermai, strattonandogli la cintura. La mano si spostò. «Posso farmi perdonare?» Slacciai la fibbia. «Forse.» Finalmente mi toccò, strappandomi un'esclama-zione soffocata. Mi baciò il collo e mi morse con de-licatezza. L'esclamazione si trasformò in un gemito, mentre continuava a toccarmi. Mi succhiò il collo; sapevo che mi avrebbe lasciato il segno, ma in quel momento non mi importava. Gli accarezzai la nuca, stringendomi a lui, offrendogli la gola come una vit-tima sacrificale. Giocherellai con le ciocche morbide dei suoi capelli, sussurrando il suo nome. Mi leccò il collo, poi tolse la mano che aveva tra le mie cosce per slacciarmi i bottoni della camicetta, ne scostò i lembi e si tirò su appoggiandosi a un gomi-to per contemplare il mio seno. Percorse con la pun-ta di un dito il contorno del reggiseno, poi si ab-bassò per baciarmi dove mi aveva accarezzato, tra pizzo e pelle. Si mise a sedere e si tolse la maglietta, quindi si sbottonò i jeans, mentre io lo guardavo avidamente, godendomi lo spettacolo. Scalciai via le scarpe e gli passai un piede sulla patta, come per saggiare la consistenza della sua erezione. «Non ti spogli?» lo incalzai. «Sì.» «Adesso, intendo. Subito.» Lui rise. «Non essere impaziente.»

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«Sei timido?» «Forse un pochino.» Non gli credevo neanche un po'. Da quando avevo posato lo sguardo su di lui per la prima volta, non si era comportato da timidone neanche per un istante. La finzione mi eccitò ancora di più. «Magari posso spogliarmi prima io, giusto per metterti a tuo agio» gli suggerii, maliziosa. Il suo sorriso compiaciuto mi fece sciogliere. «Buona idea.» Mi alzai e feci un passo indietro, contemplando il suo torace nudo, liscio e muscoloso, con il contorno degli addominali definito, ma senza esagerazione. Indugiai nel togliermi la camicetta e la buttai sulla sedia accanto al letto. Avevo scelto quella gonna perché era comoda da sfilare, ma ero così agitata che annaspai con la cerniera prima di abbassarla. Feci scivolare la gonna a terra dimenando i fianchi, poi mi offrii al suo sguardo in reggiseno e culottes di pizzo come la giarrettiera, e calze con la riga. La sua espressione mi ripagava di ogni minuto che avevo impiegato a prepararmi con cura. Ero convinta che non avrei mai vinto un concorso di bellezza. Avevo troppe curve in punti del mio corpo che avrei voluto piatti e meno curve in altri punti che avrei desiderato più procaci. Benché fossi sicura di non essere ben proporzionata, avevo imparato che non era ciò che contava veramente, almeno per la maggior parte degli uomini. Lo sguardo di Sam me lo confermava. Mi fissava quasi inebetito, con le pupille dilatate che avevano invaso quasi del tutto l'azzurro, come se volesse mangiarmi con gli occhi. Si umettò le labbra con la punta della lingua. «Wow!» sussurrò. Era un complimento più eloquente che galante,

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ma lo apprezzai per la sua spontanea sincerità. «Grazie.» Gli sorrisi. «E ora tocca a te, Sam.» «Mi piace come pronunci il mio nome. Dimmelo ancora.» «Sam...» Il suo sorriso contento era dolce e sexy al tempo stesso. Mi avvicinai per aiutarlo. Afferrai i jeans sui fianchi e li tirai verso il basso, fino alle caviglie. Lui sollevò un piede e poi l'altro, e io glieli sfilai, quindi mi rialzai, facendo scorrere le mani sulle sue gambe lunghissime. Non gli guardai l'inguine neanche per un istante. Per tutto il tempo, tenni gli occhi puntati sul suo volto. Non per timidezza; avevo visto una buona dose di erezioni fasciate in biancheria di cotone di varie fogge. Era la sua espressione a trattenermi, ma c'è sempre un momento in cui deve cadere l'ultima barriera tra i corpi, lasciandoci tutti nudi, inermi. Mi prese per le braccia e mi attirò a sé. Ci sten-demmo di nuovo sul letto e stavolta lui mi coprì con il suo corpo. Tuttavia non mi sentivo soffocata, ma piuttosto avvolta, circondata dal suo calore. Avrei dovuto avvertire un vago senso di timore, sentirmi in trappola, invece lui mi distraeva con la sua bocca e con le mani che finivano di spogliarmi, lasciandomi addosso solo calze e reggicalze. Ero troppo impegnata a togliergli i boxer, non pensavo ad altro che alla sensazione della sua nudità, al ca-lore del suo pene quando infine lo circondai con la mano. Sam emise un lieve gemito quando lo accarezzai e poggiò il viso contro il mio collo, poi scivolò verso il basso per baciarmi il seno. La sua lingua mi sfiorava la pelle e mi stuzzicava i capezzoli con piccoli tocchi provocanti. Si spostò più in giù, sul rilievo delle costole e sul lieve declivio del mio ventre. Mi prese

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la sporgenza dell'anca tra le labbra per un istante e succhiò leggermente, poi si spinse fino all'interno della coscia. Chiusi gli occhi e mi abbandonai al piacere che mi invase quando sentii il suo respiro caldo sui riccioli del pube. Mi irrigidii, in attesa, come facevo sempre nel momento che precedeva il primo tocco di lingua sui punti più sensibili della mia carne. Sam forse inter-pretò la mia tensione come imbarazzo e si staccò, risalendo lungo il mio corpo. Si sporse dal bordo del letto per afferrare i jeans e, armeggiando un pochi-no, estrasse un profilattico dalla tasca. Il suo movi-mento lo portò con il torace a portata di lingua e io non mi feci sfuggire l'occasione di dargli un'assag-giatina. Passai la punta della lingua intorno a un suo capezzolo e lo sentii rabbrividire. Mi passò la confezione e si stese sul letto con le braccia piegate sotto la testa, sul cuscino. Ormai non c'era più spazio per la timidezza da parte di nes-suno di noi due. Non avrebbe avuto alcun senso. Ammirai il suo fisico asciutto e lungo, che sem-brava non finire mai. Dovetti ammettere che era costruito come se fosse stato progettato da un archi-tetto che aveva calcolato le proporzioni con accura-tezza per far sì che ogni parte fosse armonica con il resto. Gambe, braccia, fianchi, ventre, collo, spalle e mani erano come tessere di un puzzle disposte in un incastro perfetto a formare una figura equilibrata. Vestito, sembrava leggermente allampanato, ma nudo dava un'impressione di grande armonia di insieme. Si accorse che lo scrutavo e la sua bocca si incurvò nell'abbozzo di un sorriso ironico che avevo ormai imparato a riconoscere come il suo marchio di fabbrica. Era un sorriso indecifrabile, non spavaldo né superiore, o sarcastico, come se quello che suc-

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cedeva lo divertisse e lo sorprendesse al tempo stesso. Mi inginocchiai accanto alla sua coscia e acca-rezzai la sua erezione. Lui spinse i fianchi verso l'al-to per incoraggiarmi e tolse un braccio da sotto la testa per infilare la mano tra le mie cosce. Mi accarezzò, e stavolta fui io ad avere un brivido. Io muovevo la mano ritmicamente, lui mi stro-finava nei punti giusti; un minuto dopo eravamo entrambi ansanti ed ebbri di desiderio. Fece scorrere un dito lungo le pieghe della mia intimità, sentendo quanto fossi bagnata, quanto fossi pronta per lui. Mi infilò un dito dentro e io sussultai per il piacere improvviso che mi invase, perdendo il ritmo. «Prendimi ora...» sussurrai con voce gutturale. Feci una pausa, poi aggiunsi: «Sam». Stavolta, quando sorrise, non ebbi difficoltà a riconoscere il significato della sua espressione. Gli misi il profilattico e, qualche secondo dopo, mi piaz-zai sopra di lui e lo feci scivolare dentro di me. Sam mi afferrò per i fianchi e io mi sporsi in avanti, pog-giando le mani sulle sue spalle. Guardandoci negli occhi, cominciammo a muo-verci. Lui mi diede un ritmo lento e regolare, gui-dandomi per i fianchi, poi appoggiò la mano contro il mio pube per stimolarmi di più, accarezzandomi allo stesso tempo. Dalle mie labbra uscì una sfilza di sillabe senza senso, a metà tra una preghiera e un'incitazione. Ma non dimenticai di pronunciare il suo nome. Gli orgasmi sono come onde; non ce ne sono mai due uguali. Arrivano piano, scorrendo addosso, poi si alzano all'improvviso, impetuosi, e infine si in-frangono con grande fragore, travolgendo tutte le sensazioni. Quello che provai con Sam mi travolse con tanta rapidità da cogliermi di sorpresa. Il

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piacere mi trafisse acuto, con un picco netto e intenso, immediato, mentre mi muovevo su di lui. Sam scostò la mano per darmi tregua esattamente quando ne avevo bisogno, ma, un istante dopo, riprese ad accarezzarmi con quel movimento irre-golare che mi proiettò di nuovo verso le vette dell'e-stasi. Il secondo orgasmo seguì il primo senza darmi il tempo di riprendere fiato. Mi sentii invadere da un calore languido che mi trasformò tutti gli arti in duttile cera calda. Misi la mano su quella di Sam per impedirgli di muoverla. Non so quanto mancasse anche a lui per arrivare al piacere, però, quando riaprii gli occhi, lui li aveva chiusi. Mi afferrò di nuovo i fianchi e si spinse verso di me con slancio maggiore, sbattendomi su di lui con impeto. L'improvvisa fitta di desiderio che pro-vai vedendo il suo viso distorto dal piacere mi sor-prese quanto l'intensità dell'orgasmo di prima. «Sam...» bisbigliai. «Sam...» Fu allora che venne con un grido soffocato, strin-gendomi tanto forte da lasciarmi dei lividi sui fian-chi, con una smorfia. Si sporse verso l'alto, poi ri-cadde sul cuscino ed emise un lungo sospiro. Un attimo dopo riaprì gli occhi e mi sorrise. Con i capelli scompigliati e l'espressione soddisfatta e tra-sognata, sembrava più giovane. Mi accarezzò i ca-pelli e li strattonò delicatamente per avvicinarmi il viso al suo e baciarmi. Infine ci staccammo e ci de-dicammo alle incombenze prosaiche che seguono l'amplesso. Mentre aspettavo il mio turno di andare in bagno, sentii squillare il cellulare nella mia bor-setta. Ero troppo languida e appagata per alzarmi e ri-spondere, pur sapendo che avrei dovuto, perché avrebbe potuto trattarsi di un'emergenza. Però Sam era tornato dal bagno, per cui mi alzai, presi il

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cellulare e lo guardai. Non squillava più. Già che c'ero, raccolsi i vestiti e la borsetta e andai a rivestirmi e a darmi una sistemata. Mi tolsi calze e reggicalze che infilai in borsa, poi mi rivestii, mi rinfrescai il trucco e mi pettinai. Nel frattempo sentii il bip che mi avvisava dell'arrivo di un messaggio e controllai il display del cellulare. Qualcuno mi ave-va lasciato un messaggio nella casella di segreteria telefonica. Uscii dal bagno e trovai Sam sul letto. Si era ri-messo i boxer, ma non si era rivestito. «Ehi» sussurrò come saluto. «È stato molto bello» dissi. «Ora, però, devo an-dare.» «Ti accompagno alla macchina» si offrì lui, alzan-dosi mentre mi mettevo le scarpe. «No, non disturbarti, non c'è bisogno» lo rassi-curai. «Sicura?» insistette lui, perplesso. «Davvero.» Ci sorridemmo, poi lui mi accompagnò alla porta, dove ci baciammo con maggiore imbarazzo di quando eravamo entrati. «Buonanotte» mormorai. «E grazie.» Lui batté le palpebre sconcertato, e non sorrise. «Prego» rispose, esitante, come se non fosse sicuro che fosse la cosa giusta da dire. Era proprio carino. Gli diedi un buffetto su una guancia. «Mi è pia-ciuto tantissimo.» Lui batté di nuovo le palpebre e si accigliò, quindi fece un cenno di assenso. Lo salutai, poi mi avviai verso l'ascensore e Sam chiuse la porta. Arrivata alla macchina, ricordai di controllare la casella di segreteria telefonica, mi misi al volante, mi allacciai la cintura di sicurezza, digitai le quattro

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cifre del codice PIN e ascoltai il messaggio, aspet-tandomi di sentire la voce di mia sorella, o magari di Mo, la mia migliore amica. «Salve, ehm, sono Jack» disse una voce maschile che non riconobbi. «Questo è un messaggio per la signorina Underfire. Avevamo appuntamento sta-sera» disse in tono incerto. Provai un improvviso attacco di nausea. Under-fire era il nome che avevo dato all'agenzia, per pro-teggere il mio anonimato. «Sono qui all'Aqua, come d'accordo, ma lei non c'è» continuò la voce. «Ci dev'essere stato un disgui-do, suppongo. Colpa mia, sono arrivato un po' in ritardo. Mi dispiace. Mi richiami se vuole fissare un altro appuntamento. Grazie.» Un clic, e il messaggio terminò. La metallica voce femminile della casella mi diede istruzioni su come cancellare il messaggio. Chiusi il telefono e lo rimisi in borsa, poi mi ag-grappai forte al volante. Aspettai per qualche se-condo con il fiato sospeso, non sapendo se piangere o ridere. Alla fine, invece, girai la chiave nell'ac-censione e tornai a casa. Mi ero organizzata perché volevo andare a letto con uno sconosciuto? Bene, era esattamente quello che avevo fatto.

ESCLUSIVO:

ritorna il 29 ottobre

con 2 romanzi intensi e passionali

delle autrici più amate e apprezzate.

PreParati a una lettura... incandescente!

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