Provocazioni

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Un racconto Singolare di Arianna Petrosino

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PROVOCAZIONIARIANNA PETROSINO

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Si svegliò. O forse aprì soltanto gli occhi, non era sicura di aver dormito, la faccia le faceva così male.

Si ricordava ogni dettaglio, come se tutto le scorresse davanti agli occhi, ma continuava a non capire il perché: perché i lacrimogeni, perché gli spari, perché la carica della polizia, perché lei.

Alma neanche lo sapeva perché ci era andata alla manifestazione, il primo giorno, ma dopo tre giorni di dimostrazioni aveva colto tutto, e non se ne sarebbe andata prima della fine. Nessuno sapeva dove fosse, né l’avrebbero mai immaginato: lei, sempre così distaccata, non poteva essere la stessa ragazza con i vestiti strappati, i lividi e il labbro spaccato sotto la vernice.

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Era un corteo colorato, tutti lo erano: chi giocolava, chi suonava, chi si era trovato lì per caso e chi urlava nei megafoni. Poi, erano stati schiacciati tutti dalla carica. Pareva che tutti i celerini si fossero concentrati là, parevano pazzi, o forse lo erano, gli occhi infiammati da non si sa quale rabbia.

L’avevano buttata a terra, calpestata, picchiata.

- Manganello, manganello che rischiari ogni cervello.

Non erano bastati i limoni lanciati giù dai balconi. Sembrava la guerra, la piazza circondata dalla Celere, fumogeni che volavano, cortei di camionette, e migliaia di persone in trappola.

Non è volato neanche un sasso. Niente molotov. Nulla ha preso fuoco.

Dei black block di cui parlavano tutte le TV non c’era neanche l’ombra, niente passamontagna.

Alma non poté fare a meno di pensare ai fatti di Genova, e a tutte le differenze: da loro non era morto nessuno, non avevano sgomberato una scuola massacrando decine di persone, non era stata rotta nessuna vetrina. Ma la Celere aveva caricato lo stesso.