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PROVINCIA TRIDENTINA DI S. VIGILIO O.F.M. Il Signore dette a me di incominciare… Schede di riflessione per la formulazione del Progetto di Vita Personale

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PROVINCIA TRIDENTINA DI S. VIGILIO O.F.M.

Il Signore dette a me di incominciare…

Schede di riflessione per la formulazione del

Progetto di Vita Personale

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I testi sono stati elaborati da fr. Francesco Patton OFM con la collaborazione di fr. Giovanni Patton OFM

un ringraziamento anche a fr. Pietro, fr. Ivan e a Sr. Maria Emmanuela per i loro suggerimenti.

Le immagini sono tratte dalla Tavola Bardi (sec XIII) originariamente collocata nella chiesa di S. Croce a Firenze

CURIA PROVINCIALE OFM TRENTO - 2011

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Presentazione

1. Le schede offrono un ricco schema per la preparazione del Progetto di Vita Personale (PVP). La prima delle quattro schede è un aiuto per rileggere la propria storia vocazionale. Le successive schede prendono in considerazione le dimensioni fondamentali della nostra vocazione, cercando di offrire uno strumento ed un aiuto a realizzare la proposizione n. 13 del nostro Piano Provinciale 2011, che rivolge ad “ogni frate nella sua fraternità”, l’invito a prendersi cura della propria vocazione cercando di attualizzarne le dimensioni fondamentali nel contesto in cui ci troviamo a vivere, qui ed oggi.

2. Nell’elaborazione del Progetto di Vita Personale è bene ricordare che il PVP: � Ha un carattere personale ma non è l’elenco dei propri

desideri, impegni, attività, hobby… � Copre l’arco temporale di un ciclo di vita. � È dato dallo sforzo personale e serio di discernimento per

rispondere alla propria vocazione, attualizzando questa risposta dentro una fraternità concreta.

� Presenta: – una lettura della propria persona, una descrizione

della propria situazione e un racconto della propria vocazione,

– alla luce della fede e tenendo conto delle dimensioni fondamentali della nostra vocazione,

– obiettivi, scelte e attenzioni personali per approfondire nel contesto concreto in cui vivo le dimensioni della mia vocazione.

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� Indica con chi verificherò la qualità del PVP (es. il padre spirituale).

� Prevede dei tempi di attuazione, di verifica e di integrazione.

3. Metodologia suggerita:� è bene iniziare sempre con un tempo di preghiera

prolungata allo Spirito e terminare restituendo tutto al Signore attraverso una preghiera di ringraziamento per quel che ci ha fatto scoprire;

� il passo successivo è quello della lettura personale della scheda e annotazione delle proprie riflessioni;

� la riflessione personale va poi sempre condivisa con il proprio padre spirituale, il fratello che ci accompagna in questo cammino di scoperta o un fratello col quale si ha maggiore confidenza e familiarità;

� c’è infine bisogno di una verifica periodica delle linee di impegno identificate nel PVP, magari in occasione dell’anniversario della propria Professione o della festa dell’approvazione della Regola.

4. Annotazioni integrative per il contenuto:� All’interno del percorso non esiste una scheda sulla

minorità, che è il tratto qualificante il nostro essere frati, essa è una dimensione trasversale che attraverso tutto il percorso, per cui in ogni scheda si troverà anche una domanda che invita a riflettere su come poter vivere questa dimensione in ogni ambito della nostra vita.

� Sarebbe di gran frutto, durante il percorso di elaborazione del Progetto di Vita Personale anche rileggere le Costituzioni generali (CCGG), specialmente quei passi che corrispondo all’ambito proposto nelle singole schede.

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Per una lettura riconoscente della mia vocazione

Lo scopo di questa prima riflessione è quello di riuscire a elaborare una lettura di fede, riconoscente e grata, della propria vita e vocazione.

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1. La testimonianza di Francesco e Chiara d’Assisi

Il “ricordo” di Francesco Test 1-23. FF 110-121

1 Il Signore dette a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi 2 e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. 3 E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo. 4 E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: 5 Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo. 6 Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. 7 E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.

8 E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. 9 E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. 10 E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri. 11 E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi. 12 E i santissimi nomi e le parole di lui scritte, dovunque le troverò in luoghi indecenti, voglio raccoglierle, e prego che siano raccolte e collocate in luogo decoroso.

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13 E tutti i teologi e quelli che amministrano le santissime parole divine, dobbiamo onorarli e venerarli come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita (Cfr. Gv 6,64). 14 E dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. 15 Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò. 16 E quelli che venivano per intraprendere questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere (Tb 1,3), ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. 17

E non volevamo avere di più. 18 Noi chierici dicevamo l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster, e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. 19

Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti. 20 Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà. 21 Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio. 22 Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l'elemosina di porta in porta. 23 Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: «Il Signore ti dia la pace!».

Il “ricordo” di Chiara Test 1-4 FF 2823

Nel nome del Signore. Amen. Tra gli altri benefici, che abbiamo ricevuto ed ogni giorno riceviamo dal nostro Donatore, il Padre delle misericordie, per i quali siamo molto tenute a rendere a Lui glorioso vive azioni di grazie, grande è quello della nostra vocazione. E quanto più essa è grande e perfetta, tanto

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maggiormente siamo a lui obbligate. Perciò l'Apostolo ammonisce: «Conosci bene la tua vocazione».

2. Spunti di approfondimento

Coltivare una memoria riconoscente è un’operazione fondamentale nel cammino vocazionale, perché permette di attualizzare ogni giorno la riposta dentro una linea di continuità che unifica la vita e la fa diventare storia di salvezza. Nel fare memoria occorre saper cogliere in modo riconoscente: � il dono ricevuto e l’origine del dono, � le situazioni e gli incontri attraverso i quali il dono si è

manifestato ed è diventato percepibile, � le scoperte fondamentali fatte nel corso di questi anni e

interpretate come dono del Signore, � le resistenze e gli ostacoli a percepire ed accogliere il dono, � le conversioni, i cambiamenti interiori (amarezza/dolcezza) che

l’accoglienza del dono ha causato, � il senso del dono che è nello stare con Gesù (“stavamo

volentieri”) e nel lasciarsi mandare con la scoperta di una missione specifica (“Il Signore mi rivelò che dicessi…”),

� ciò che ha permesso al dono di “stabilizzarsi”, di diventare situazione permanente, habitus personale, risposta, vita “nellapenitenza” cioè nella continuità della conversione.

3. Un esercizio personale

A partire dalla lettura del Testamento di san Francesco e di santa Chiara, abituati a fare memoria riconoscente e grata della tua vocazione: 1) Scrivi la storia della tua chiamata, il tuo “testamento”:

� iniziando dal momento in cui hai ricevuto dal Signore il dono di poter incominciare e raccontando in modo riconoscente i vari passaggi che finora il Signore ti ha dato la grazia di fare.

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� Prova a vedere attraverso quali situazioni e incontri personali il Signore ti ha condotto a maturare il desiderio di dedicarti a Lui. Cerca di identificare, in modo particolare, i tuoi “lebbrosi”, cioè gli aspetti sui quali sei chiamato a vincere la paura di perdere la vita e la preoccupazione per la tua persona.

� Cerca di identificare quali sono stati gli inviti a conversione e i cambiamenti di gusto che si sono progressivamente compiuti in te (dall’amaro al dolce e dal dolce all’amaro), la situazione dalle quale sei uscito e quella in cui sei entrato. Prova a vedere come questo cammino si è sviluppato e ha da continuare oggi come cammino di “penitenza-conversione”.

� Prova a identificare i doni che il Signore ti ha fatto nel corso di questi anni di consacrazione, ciò che ti ha “rivelato”, vale a dire ciò che ti ha fatto scoprire su di Lui, su di te e sui fratelli. Ciò che ti ha fatto scoprire come nucleo profondo della tua “vocazione” come nucleo centrale della tua “missione”.

� Consegna tutto ciò al Signore nella preghiera personale. 2) Racconta a un confratello col quale sei maggiormente in

confidenza (o al padre spirituale) la tua storia vocazionale, almeno nei passaggi più significativi.

3) Se la fraternità è d’accordo si possono condividere i tratti salienti della propria storia vocazionale con gli altri frati, in un momento di condivisione orante, magari all’inizio della stesura del Progetto di Vita Fraterna, così da far crescere la conoscenza reciproca in fraternità.

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Nella Chiesa col cuore rivolto al Signore

Lo scopo di questa riflessione è di aiutarmi a vivere la vocazione con senso ecclesiale, a partire dal saper coniugare la dimensione orante personale con quella liturgica ed ecclesiale.

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1. L’esperienza e la proposta di Francesco

E il Signore mi dette tale fede nelle chiese Test 4-10 FF 111-113

E il Signore mi dette tale fede nelle chiese che io così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.

2. Spunti di approfondimento

Il Testamento (FF 110ss.) procede per nuclei collegati tra loro da una logica associativa che prende le mosse dall’esperienza storica di Francesco. Prendiamo in considerazione due di questi nuclei, che possono essere illuminati da altri testi degli scritti (i testi eucaristici) e delle biografie (i testi che narrano gli inizi dell’esperienza di Francesco e i suoi incontri con sacerdoti, Vescovi, Papa). 1) La fede nelle chiese a motivo della presenza e del rimando a

Gesù Cristo: � Lo spunto che muove il ricordo di Francesco è dato dal suo

iniziale sostare in preghiera nelle chiese.

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� In questa esperienza san Francesco riceve il dono di una particolare fede nella presenza eucaristico-salvifica del Signore che rimarrà costante nel suo pensiero (FF 223).

� La fede di Francesco si traduce nella preghiera che dapprima è solo sua, viene trasmessa ai primi frati (FF 1441) e utilizziamo ancora oggi.

2) La fiducia nei sacerdoti a motivo del loro ministero, che rinvia alla Chiesa e a Gesù Cristo: � Dalla presenza Eucaristica, per associazione, Francesco passa

al ricordo dei sacerdoti che a tale presenza sono collegati per il ministero. Il primo sacerdote che ha inciso positivamente su Francesco è probabilmente il povero sacerdote di S. Damiano (FF 1422).

� La fiducia nei sacerdoti è legata a tre aspetti particolari, che sono alternativamente condizione per tale fiducia e motivazione di tale fiducia: • Vivono secondo la forma della santa Chiesa romana = non

sono eretici e vivono la comunione ecclesiale; • A motivo del loro ordine = c’è di mezzo un ministero voluto

da Cristo e affidato alla Chiesa e trasmesso attraverso la Chiesa;

• In essi discerno il Figlio di Dio… corporalmente = riesco a distinguere tra ciò che essi sono in termini di fragilità umana e ciò che in essi e per mezzo loro il Signore stesso compie sul piano del mistero della salvezza.

Questi tre aspetti sintetizzano nella figura del sacerdote e nel suo ministero l’azione del Cristo e l’azione della Chiesa, l’azione del Cristo che si realizza nell’azione della Chiesa, passando attraverso la sua storicità e la concretezza dei suoi ministri. Fondamentale è il verbo discernere.

3) Come frati minori noi ci inseriamo dentro questa stessa linea di esperienza orante, eucaristica ed ecclesiale che ha bisogno di essere scoperta, coltivata, vissuta.

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3. Un esercizio personale

� Nella mia vita di fede da frate minore, quale posto occupa il “sostare nelle chiese” per cogliervi la presenza salvifica del Signore?

� Come vivo la dimensione della preghiera “ecclesiale” tanto liturgica, quanto popolare? Quali sono i punti fermi della mia preghiera: personale, in fraternità ed ecclesiale? Quali sono gli aspetti che dovrei coltivare con più intensità?

� Come vivo il senso dell’appartenenza ecclesiale? Quali difficoltà esperimento? In che grado un certo soggettivismo relativizza la mia adesione alla Tradizione ecclesiale? Come esprimo il carisma fraterno nella Chiesa e a servizio della Chiesa?

� In che misura ho maturato la capacità di discernere la presenza salvifica di Gesù Cristo nella realtà ecclesiale concreta di cui Egli si serve? Provo a verificare questo aspetto anche in rapporto ai ministri presenti nella fraternità e a come io stesso vivo il ministero al quale sono chiamato.

� Quali passi sono chiamato a fare per far crescere la mia vocazione dentro un profondo senso ecclesiale?

� Cosa significa e come puoi far tuo l’atteggiamento della minorità sia nell’ambito della preghiera sia nell’ambito dell’inserimento e del servizio nella Chiesa?

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Una Parola che chiede di incarnarsi in me

Lo scopo di questa riflessione è quello di riflettere sulla chiamata a vivere il Vangelo e a lasciarsi costantemente orientare dalle “profumate parole del Signore che sono spirito e vita”.

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1. L’esperienza e la proposta di Francesco

1.1. Il ricordo di una scoperta E dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò. Test 14-15 FF 116

1.2. Il Vangelo come Regola di vita La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità. Rb I,1 FF 75

1.3. Un dono da custodire E guardiamoci bene dalla malizia e dall’astuzia di Satana, il quale vuole che l’uomo non abbia la sua mente e il cuore rivolti al Signore Dio; e, girandogli intorno, desidera distogliere il cuore dell’uomo con il pretesto di una ricompensa o di un aiuto, e soffocare la parola e i precetti del Signore dalla memoria, e vuole accecare il cuore dell’uomo attraverso gli affari e le preoccupazioni di questo mondo, e abitarvi, così come dice il Signore: «Quando lo spirito immondo è uscito da un uomo, va per luoghi aridi e senz’acqua in cerca di riposo; e poiché non lo trova, dice: Tornerò nella mia casa da cui sono uscito. E quando vi arriva, la trova vuota, spazzata e adorna. Allora va e prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui, poi entrano e vi abitano, sicché l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima». Perciò , tutti noi frati, custodiamo attentamente noi stessi, perché, sotto pretesto di qualche ricompensa o di opera da fare o di un aiuto, non ci avvenga di perdere o di distogliere la nostra mente e il cuore dal Signore. E sempre costruiamo in noi un’abitazione e una dimora permanente a lui, che e` il Signore Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo… Rnb XXII,19-25.41 FF 59-61

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2. Spunti di approfondimento

1) Approfondendo gli scritti di san Francesco (specie Rnb XXII FF 58-60; Rnb XVII FF 49; Rb X FF 104; Amm I FF 143; Amm VII FF 156; Amm XVI FF 165) possiamo scoprire qual è il percorso attraverso il quale il Vangelo ha trasformato la sua vita, diventando la sua “forma di vita”. Questo stesso percorso può esserci utile per riscoprire anche noi nel Vangelo la nostra “forma di vita”.

2) Nella lunga citazione della parabola del seme, che si trova nel capitolo XXII della Regola non bollata (FF 58-60), Francesco fa una esortazione a noi frati nella quale il rapporto con la Parola di Dio occupa un posto centrale. Attraverso la Parabola viene messo in luce che l’ascolto ha vari momenti e vari livelli, nessuno dei quali può essere saltato o scavalcato. Sono livelli che hanno a che fare con la progressiva adesione, da parte nostra, alla Parola di vocazione che il Divino Seminatore ha deposto in noi. � C’è anzitutto un disporsi all’ascolto e un ascoltare fisico,

senza il quale il seme non può attecchire, e questo ascolto fisico richiede attenzione e silenzio, richiede la comprensione delle parole e del loro significato, ma anche la memorizzazione della Parola ascoltata. C’è sicuramente, nella nostra storia vocazionale, una Parola o una pagina biblico-evangelica nella quale ci siamo identificati, che abbiamo sentito risuonare con forza e che ci ha poi orientati nel cammino di risposta.

� C’è un secondo livello che è dato dall’interiorizzazioneattraverso la meditazione delle parole ascoltate ed il loro richiamarle alla memoria. È a questo livello che la Parola mette radici in noi. C’è, a questo secondo livello, un approfondimento-interiorizzazione dell’adesione alla Parola di vocazione che deve passare attraverso “persecuzione” e “tribolazione”, cioè

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attraverso il superamento di difficoltà esterne ed interne alla nostra persona, per portare a un’adesione profonda e non superficiale.

� C’è un terzo livello che è quello del permettere alla vocazione non solo di germogliare e radicarsi, ma anche di crescere e maturare. Perché ciò avvenga risulta indispensabile saper evitare l’insidia dei rovi cioè l’attrattiva di valori alternativi rispetto a quelli che permettono alla Parola di vocazione radicatasi in noi di germogliare e crescere: “le cure di questo mondo e la seduzione delle ricchezze e gli altri affetti disordinati entrano nel loro animo e soffocano la parola” e così “col pretesto di ricompensa, di opera da fare e di un aiuto” ci avviene “di perdere o di distogliere la nostra mente e il cuore dal Signore” (FF 58-60). Anche nella nostra storia vocazionale diventa importante riconoscere quali preoccupazioni di questo mondo, quali attaccamenti a persone, beni, ruoli, servizi, situazioni, quali affetti disordinati ci impediscono di rimanere costantemente con il cuore rivolto al Signore, cioè di maturare e crescere nella nostra risposta alla Parola di vocazione.

� L’approdo di questo percorso di coltivazione del terreno del cuore e di adesione alla Parola di vocazione è quello dell’ascolto obbediente attraverso il quale si manifestano e maturano poi i frutti della vocazione che sono frutti di bene a servizio del Regno di Dio e della Chiesa, come pure frutti di bene personale, che mi fanno sperimentare un’esistenza lieta, impegnata e ricca di senso.

3) L’ accoglienza della Parola di vocazione riscalda il cuore e lo fa traboccare di gratitudine, motivando la persona a vivere la stessa vita come un canto di lode a Dio, una liturgia esistenziale, una restituzione (Rnb XVII FF 49; Amm VII FF 156). La parabola del seme è la parabola della vocazione, quella parola unica e originale che riguarda la nostra esistenza e che il divino seminatore ha posto dentro di noi!

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3. Un esercizio personale

1) In un clima di raccoglimento e di riflessione, prova a: � Richiamare alla memoria una Parola o una pagina biblico-

evangelica nella quale ti sei identificato, che hai sentito risuonare con forza e che ti ha poi orientato nel cammino di risposta.

� Richiamare alla memoria la “persecuzione” e la “tribolazione” (cioè le difficoltà esterne ed interne alla tua persona) attraverso le quali sei dovuto passare o stai passando, per arrivare a un’adesione vocazionale profonda e non superficiale.

� Riconoscere quali preoccupazioni di questo mondo, quali attaccamenti a persone, beni, ruoli, servizi, situazioni, quali affetti disordinati ti impediscono di rimanere costantemente con il cuore rivolto al Signore, cioè di maturare e crescere nella risposta alla Parola di vocazione. Quali sono i rovipresenti nella tua storia vocazionale e nel tuo presente?

� Scoprire quali frutti di vita evangelica ti sembra di aver maturato nel corso di questi anni di vita da Frate Minore?

2) Trasforma la tua riflessione in una preghiera di lode al Signore e in un proposito di impegno personale attraverso il quale confermi la tua adesione alla sua Parola di vocazione.

3) Ritagliati del tempo per leggere in clima di preghiera la Regola che hai professato. Essa contiene il midollo del Vangelo, cioè il progetto evangelico di vita che ti è stato proposto e che hai accolto.

4) Chiediti anche come svolgi l’esercizio quotidiano di ascolto personale della parola del Vangelo. Quali passi puoi fare in questa direzione? Come ti aiuta la fraternità e che cosa le chiedi/proponi in questo ambito?

5) Cosa significa e come puoi far tuo l’atteggiamento della minorità di fronte alla Parola di Dio?

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Imparare la comunione

Lo scopo di questa riflessione è di aiutarmi a scoprire che i fratelli mi sono donati da un Dio che è Padre e mi invita a maturare un atteggiamento di accoglienza e apprezzamento.

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1. L’esperienza e la proposta di Francesco

1.1. Il “ricordo” di Francesco Test 14 FF 116 E quando il Signore mi dette dei fratelli…

1.2. Imparare a diventare fratello O santissimo Padre nostro (Mt 6,9): creatore, redentore, consolatore e salvatore nostro… Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra (Mt 6,10): affinché ti amiamo con tutto il cuore (Cfr. Lc 10,27), sempre pensando te; con tutta l’anima, sempre desiderando te; con tutta la mente, indirizzando a te tutte le nostre intenzioni e in ogni cosa cercando il tuo onore; e con tutte le nostre forze, spendendo tutte le nostre energie e i sensi dell’anima e del corpo a servizio del tuo amore e non per altro; e affinché amiamo i nostri prossimi come noi stessi, attirando tutti secondo le nostre forze al tuo amore, godendo dei beni altrui come fossero nostri e nei mali soffrendo insieme con loro e non recando alcuna offesa a nessuno (Cfr. 2Cor 6,3).Il nostro pane quotidiano (Mt 6,12): il tuo Figlio diletto, il Signore nostro Gesù Cristo, dà a noi oggi: in memoria e comprensione e venerazione dell’amore che egli ebbe per noi e di tutto quello che per noi disse, fece e patì. E rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6,12): per la tua ineffabile misericordia, per la potenza della passione del tuo Figlio diletto e per i meriti e l’intercessione della beatissima Vergine e di tutti i tuoi eletti. Come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6,12): e quello che noi non rimettiamo pienamente, tu, Signore, fa’ che pienamente perdoniamo, cosicché, per amor tuo, amiamo sinceramente i nemici (Cfr. Mt 5,44) e devotamente intercediamo per loro presso di te, non rendendo a nessuno male per male (Cfr. 1Ts 5,15;Rm 12,17) e impegnandoci in te ad essere di giovamento a tutti… Pater 1.5-8 FF 266.270-273

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E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino tra loro familiari l’uno con l’altro. E ciascuno manifesti all’altro con sicurezza le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale? E se qualcuno di essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire così come vorrebbero essere serviti essi stessi. Rb VI,7-9 FF 91-92

1.3. Un metodo per imparare ad accogliere il dono del fratello SP 85 FF 1782Francesco, immedesimato in certo modo nei suoi fratelli per l'ardente amore e il fervido zelo che aveva per la loro perfezione, spesso pensava tra sé quelle qualità e virtù di cui doveva essere ornato un autentico frate minore. E diceva che sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti santi frati: la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme con l'amore della povertà; la semplicità e la purità di Leone, che rifulse veramente di santissima purità, la cortesia di Angelo, che fu il primo cavaliere entrato nell'Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà, l'aspetto attraente e il buon senso di Masseo, con il suo parlare bello e devoto; la mente elevata nella contemplazione che ebbe Egidio fino alla più alta perfezione; la virtuosa incessante orazione di Rufino, che pregava anche dormendo e in qualunque occupazione aveva incessantemente lo spirito unito al Signore; la pazienza di Ginepro, che giunse a uno stato di pazienza perfetto con la rinunzia alla propria volontà e con l'ardente desiderio d'imitare Cristo seguendo la via della croce; la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò per vigoria tutti gli uomini; la carità di Ruggero, la cui vita e comportamento erano ardenti di amore, la santa inquietudine di Lucido, che, sempre all'erta, quasi non voleva dimorare in un luogo più di un mese, ma quando vi si stava affezionando, subito se ne allontanava, dicendo: Non abbiamo dimora stabile quaggiù, ma in cielo.

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2. Spunti di approfondimento

1) In S. Francesco emerge forte la consapevolezza che il fratello o la sorella sono un dono del Signore. Quindi non una realtà che noi abbiamo cercato, ma una realtà che ci è stata donata.

2) Per imparare ad accogliere il dono del fratello:• occorre avere una viva e orante consapevolezza della

paternità di Dio, che sta all’origine della nostra vita, della nostra rinascita battesimale, della nostra vocazione alla vita evangelica e fraterna;

• occorre avere consapevolezza della volontà di Dio che è volontà di amore, che tocca tutte le dimensioni della nostra persona;

• occorre avere l’esperienza eucaristica del dono di Gesù, nostro Primo Fratello, e del dono del suo Spirito, che ci rende capaci di amare;

• occorre avere un’esperienza viva della riconciliazione, come via di risanamento delle relazioni, con Dio, con noi stessi, con i fratelli;

• occorre avere anche la consapevolezza della maternità della Chiesa che si incarna in attenzioni materne, dentro la fraternità, nei confronti dei fratelli più deboli e bisognosi e si manifesta in un atteggiamento di familiarità reciproca.

3) Per imparare ad accogliere il dono del fratello:• occorre avere un cuore puro e saper vedere nell’altro ciò che

Dio stesso vi vede. Francesco attualizza in modo originale quanto suggeriva san Paolo ai Romani: “Amatevi di affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10).

• Un modo concreto per realizzare tutto ciò è quello di far scorrere uno ad uno, davanti al proprio sguardo, il volto dei fratelli e riconoscere un tratto positivo della loro persona, un messaggio divino di cui sono portatori.

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3. Un esercizio personale

� Tenendo presente che la paternità di Dio è sempre oltre rispetto alla paternità umana, dedica un po’ di tempo a riconoscere i segni della paternità di Dio nei tuoi confronti.

� Gesù è “l’uomo fraterno” e l’Eucaristia è il sacramento che manifesta il modo in cui Gesù si fa nostro fratello: contempla, ringrazia, prova a identificare gli atteggiamenti di Gesù che occorre rivestire per essere eucaristicamente fraterni come Lui.

� Richiama alla memoria i fratelli che hanno fatto parte del tuo cammino vocazionale di questi anni e che ti sono stati donati dal Signore.

� Richiama alla memoria un tratto positivo di ogni fratello della fraternità di cui fai parte e, sull’esempio di san Francesco, prova a identificare di ognuno un tratto positivo, prova a identificare anche il tuo apporto specifico ed originale alla vita della fraternità.

� Identifica quali momenti, aspetti e occasioni ordinarie della vita fraterna ti sono di aiuto per crescere in essa.

� Identifica gli aspetti della vita fraterna nei quali fai più fatica ed hai maggiori resistenze; identifica anche verso quali fratelli fai fatica ad avere un cuore riconciliato.

� Cosa significa e come puoi far tuo l’atteggiamento della minorità nella relazione coi fratelli dentro e fuori il Convento?

� Identifica qualche passo che sei chiamato a fare in questo periodo della tua vita per far crescere la tua capacità di relazionarti da fratello minore con i tuoi fratelli.

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Una vita nell’obbedienza

Lo scopo di questa riflessione è quello di aiutarmi a verificare come sto vivendo il voto di obbedienza, alla luce della proposta di san Francesco.

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1. L’esperienza e la proposta di Francesco

1.1. Gesù il perfetto obbediente Lfed 4-15 FF 181-185 L'altissimo Padre celeste, per mezzo del santo suo angelo Gabriele (Cfr. Lc 1,31), annunciò questo Verbo del Padre, così degno, così santo e glorioso, nel grembo della santa e gloriosa Vergine Maria, e dal grembo di lei ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità. Lui, che era ricco (2Cor 8,9) sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà. E, prossimo alla passione (Cfr. Mt 26,17-20; Mc 14,12,16; Lc 22,7-13), celebrò la pasqua con i suoi discepoli, e prendendo il pane, rese grazie, lo benedisse e lo spezzò dicendo: " Prendete e mangiate, questo è il mio corpo" (Cfr. Mt 26,26). E prendendo il calice disse: "Questo è il mio sangue della nuova alleanza, che per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati"(Mt 26,27). Poi pregò il Padre dicendo: "Padre, se è possibile, passi da me questo calice" (Cfr. Mt 26,39). E il suo sudore divenne simile a gocce di sangue che scorre per terra (Lc 22,44). Depose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padredicendo: "Padre, sia fatta la tua volontà; non come voglio io, ma come vuoi tu" (Mt 26,42; 26,49). E la volontà del Padre suo fu questa, che il suo figlio benedetto e glorioso, che egli ci ha donato ed è nato per noi, offrisse se stesso, mediante il proprio sangue, come sacrificio e vittima sull'altare della croce, non per sé, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose(Cfr. Gv 1,3), ma in espiazione dei nostri peccati, lasciando a noi l'esempio perché ne seguiamo le orme (1Pt 2,21). E vuole che tutti siamo salvi per mezzo di lui e che lo riceviamo con cuore puro e col nostro corpo casto. Ma pochi sono coloro che lo vogliono ricevere ed essere salvati per mezzo di lui, sebbene il suo giogo sia soave e il suo peso leggero (Cfr. Mt 11,30).

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1.2. Adamo, colui che si appropria della volontà Amm II FF 146 – 147 Disse il Signore a Adamo: "Mangia pure di qualunque albero, ma dell'albero della scienza del bene e del male non ne mangiare" (Gen 2,16-17). Adamo poteva dunque mangiare di qualunque albero del Paradiso, perché, fino a quando non contravvenne all'obbedienza, non peccò. Mangia, infatti, dell'albero della scienza del bene colui che si appropria la sua volontà e si esalta per i beni che il Signore dice e opera in lui; e così, per suggestione del diavolo e per la trasgressione del comando, esso è diventato il pomo della scienza del male. Bisogna perciò che ne sopporti la pena.

1.3. I tre gradi dell’obbedienza Amm III FF 148 – 151 Dice il Signore nel Vangelo: “Chi non avrà rinunciato a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo” (Lc 14,33), e “Chi vorrà salvare la sua anima, la perderà” (Lc 9,24). Abbandona tutto quello che possiede e perde il suo corpo colui che offre tutto se stesso all'obbedienza nelle mani del suo prelato. E qualunque cosa fa o dice che egli sa non essere contro la volontà di lui, purché sia bene quello che fa, è vera obbedienza. E se qualche volta il suddito vede cose migliori e più utili alla sua anima di quelle che gli ordina il prelato, di sua spontanea volontà sacrifichi a Dio le sue e cerchi invece di adempiere con l'opera quelle del prelato. Infatti questa è obbedienza caritativa, perché soddisfa a Dio e al prossimo (Cfr. 1Pt 1,22). Se poi il prelato dovesse comandare al suddito qualcosa contro la sua anima, pur non obbedendogli, tuttavia non lo abbandoni. E se per questo dovrà sostenere persecuzione da parte di alcuni, li ami di più per amore di Dio. Infatti, chi sostiene la persecuzione piuttosto che volersi separare dai suoi fratelli, rimane veramente nella perfetta obbedienza, poiché offre la sua anima (Cfr. Gv 15,13) per i suoi fratelli.

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Vi sono infatti molti religiosi che, col pretesto di vedere cose migliori di quelle che ordinano i loro prelati, guardano indietro (Cfr. Lc 9,62) e ritornano al vomito (Cfr. Pr 26,11; 2Pt 2,22) della propria volontà. Questi sono degli omicidi e a causa dei loro cattivi esempi mandano in perdizione molte anime.

2. Spunti di approfondimento

1) Nella lettera ai fedeli il “Verbo del Padre” vive nel mistero dell’incarnazione quella stessa “obbedienza” al Padre che vive dall’eternità. Il punto di riferimento dei consigli evangelici è sempre cristologico e trinitario: è in rapporto alla nostra adesione a Gesù Cristo che scopriamo o meno, viviamo o meno l’obbedienza. E il rapporto con Gesù Cristo, possibile solo grazie al dono dello “Spirito del Signore e alla sua santa operazione”, ci immette nel rapporto con il Padre, ci fa essere nella volontà del Padre.

2) Nelle due Ammonizioni proposte, san Francesco riprende il valore dell'obbedienza e ne indica anche concreti gradi di attuazione: � L'obbedienza esprime il fidarsi di Dio, il costruire la propria

vita accogliendola come parola e come dono di Dio, al quale si risponde con tutta la propria libertà, cioè investendo totalmente la propria volontà e la propria persona.

� La disobbedienza esprime l'illusione di potersi sganciare dalla relazione con Dio per ritagliarsi un'autonomia da Lui anziché vivere la propria libertà in Lui.

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3) L'obbedienza conosce vari gradi: I L'obbedienza vera: quando cerchiamo di vivere secondo le

indicazioni che ci vengono date da chi è preposto alla nostra fraternità, purché siano indicazioni di bene.

II L'obbedienza caritativa: quando riusciamo a sacrificare il nostro punto di vista per amore del fratello che ha il compito di ministro della fraternità, purché sia bene ciò che ci vien chiesto di fare.

III L'obbedienza perfetta: quando dobbiamo disobbedire perché ci viene comandato di fare il male e tuttavia non ci separiamo dai nostri fratelli, neanche se questo volesse dire subire persecuzione. Questa è l'obbedienza di Gesù che ha dato la sua vita per noi!

4) C'è anche un rischio da evitare: quello di cominciare con l'obbedienza e poi finire con la disobbedienza. È il rischio che corre chi inizia il cammino in ascolto della volontà di Dio, ma poi comincia a voler imporre la propria volontà nel momento in cui le situazioni prendono una piega diversa da quella che vorremmo.

3. Un esercizio personale

� Vivi la dimensione dell’obbedienza come “ascolto profondo” e come abbandono della tua volontà nella volontà del Padre? In quali esperienze o situazioni hai sperimentato questo aspetto dell’obbedienza?

� In quali momenti e situazioni ti accorgi che in te è più forte la tentazione di appropriarti della tua volontà? Prova a riconoscere e mettere questa tua difficoltà nelle mani del Signore che si è espropriato totalmente per amore nostro.

� Prova a pensare alla tua concreta situazione e alle situazioni in cui ti trovi ad agire: come vivi i tre gradi dell’obbedienza(vera, caritativa, perfetta) proposti da san Francesco? Quali

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difficoltà incontri? Quali aspetti della tua persona fanno maggior fatica a fare questo percorso?

� Quali passi senti di essere chiamato a fare in questa stagione della tua vita per crescere nella capacità di vivere un’obbedienza autenticamente francescana?

� Cosa significa vivere la tua obbedienza secondo l’atteggiamento della minorità?

� Nel tuo cammino di discernimento e di obbedienza come ti fai aiutare dalla fraternità, o da qualche frate in particolare? E come potresti farti aiutare dalla fraternità o da un fratello?

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Il senso di una vita sine proprio

Lo scopo di questa riflessione è quello di aiutarmi a verificare come sto vivendo la dimensione del “sine proprio” e ad assumerla secondo la prospettiva evangelica della spiritualità di san Francesco.

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1. L’esperienza e la proposta di Francesco

1.1. Che i frati non si approprino di nulla Rb VI,1-6 FF 90 I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà ed umiltà, vadano per l'elemosina con fiducia. Né devono vergognarsi, perché il Signore si è fatto povero per noi in questo mondo (2Cor 8,9). Questa è la sublimità dell'altissima povertà quella che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli, vi ha fatto poveri di cose e ricchi di virtù. Questa sia la vostra parte di eredità, quella che conduce fino alla terra dei viventi. E, aderendo totalmente a questa povertà, fratelli carissimi, non vogliate possedere niente altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo.

1.2 La povertà di spirito. Amm XIV FF 163 Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli.Ci sono molti che, applicandosi insistentemente a preghiere e occupazioni, fanno molte astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola che sembri ingiuria verso la loro persona, o per qualche cosa che venga loro tolta, scandalizzati, tosto si irritano. Questi non sono poveri in spirito, poiché chi è veramente povero in spirito odia se stesso e ama quelli che lo percuotono nella guancia.

1.3 Non lasciarsi guastare a causa del peccato altrui. Amm XI FF 160 Al servo di Dio nessuna cosa deve dispiacere eccetto il peccato. E in qualunque modo una persona peccasse e, a motivo di tale peccato, il servo di Dio, non più guidato dalla carità, ne prendesse turbamento e ira, accumula per sé come un tesoro quella colpa. Quel servo di Dio che non si adira ne si turba per alcunché, davvero vive senza nulla di proprio. Ed egli è beato perché, rendendo a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, non gli rimane nulla per sé.

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2. Spunti di approfondimento

San Francesco ha vissuto in profondità la povertà come non appropriazione e come espropriazione in vista della condivisione. Nella sua riflessione ha poi ripreso i vari aspetti della povertà mettendo in luce: � L'importanza di una povertà concreta e materiale che ci metta

in relazione a Gesù povero. La povertà di Gesù è legata al mistero della sua incarnazione: Egli sceglie di spogliare se stesso per arricchire noi per mezzo della sua povertà (2Cor 8,9); la povertà di Maria “la madre poverella” e dei discepoli è condivisione della povertà scelta da Gesù e della modalità in cui Egli ha vissuto la sua missione di annunciare il Regno di Dio, è espressione di fiducia nel Padre. La povertà di Gesù è un modo di donare se stesso, di condividere la nostra umana povertà perché noi possiamo condividere la sua divina pienezza.

� La scelta di povertà non è a sé stante ma è legata alla chiamata a seguire Gesù povero, che si è fatto povero per noi. Questa condivisione fa sì che possiamo condividere la stessa "eredità" di Gesù, la pienezza della vita divina. La povertà materiale volontaria aiuta a superare l'egoismo e l'attaccamento ai beni materiali. Purché sia vissuta con umiltà (FF 256-258) e con letizia (FF 177). La povertà materiale inoltre non dispensa dal lavorare, che è il modo ordinario di provvedere ai propri bisogni, al tempo stesso il lavorare non dispensa dal chiedere l’elemosina, che diventa esercizio di fiducia in Dio e di superamento dell’autosufficienza.

� Dentro e oltre l'esperienza della povertà materiale deve maturare la povertà di spirito. San Francesco sottolinea più i sintomi della sua assenza che quelli della sua presenza. Se la persona non è povera di spirito, facilmente si irrita per ogni mancanza e per ogni piccolo torto che subisce.

� La povertà di spirito ha una dimensione psicologica ed una dimensione morale: fa maturare il distacco da se stessi,

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portando a superare l'egocentrismo e il narcisismo; porta anche a superare lo scandalo e il giudizio che sono modi per appropriarsi dei peccati dei fratelli. La povertà di spirito porta anche a rapportarsi con familiarità con il fratello, sia nel chiedere che nel donare.

3. Un esercizio personale

� Prova a fare il punto della situazione della tua vita e verificare come hai avvertito il significato cristologico-salvifico (e non solo ascetico-giuridico) della povertà e come questo continua a motivare e sostenere la tua scelta di vita povera.

� San Francesco sottolinea tre diversi aspetti della povertà: un distacco di tipo materiale, un distacco di tipo psicologico ed un distacco di tipo morale: quale esperienza hai di povertà in questi tre ambiti? Quali difficoltà incontri nel vivere la povertà in questi tre aspetti, cioè a quali cose, situazioni, ruoli, servizi… ti senti “attaccato”?

� Povertà e lavoro, povertà ed elemosina, povertà e necessità del fratello. Che esperienza hai di queste dimensioni della povertà? Come le vivi?

� Come esprimi la tua vita povera nell’ambito fraterno? Come può aiutarti la fraternità a vivere sempre meglio questa dimensione? Cosa chiedi/proponi alla tua fraternità per crescere insieme in questa dimensione?

� Cosa significa vivere la tua povertà secondo l’atteggiamento della minorità?

� Quali sono i passi che senti di dover fare per vivere una povertà autenticamente francescana in questa fase della tua vita?

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Casti per imparare ad amare

Lo scopo di questa riflessione è quello di aiutarmi a verificare come sto vivendo il voto di castità e assumerlo con la prospettiva di crescita personale nella capacità di amare espressa da san Francesco.

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1. L’esperienza e la proposta di Francesco

1.1. Sposi del Signore Gesù 2LFed 10; FF 200-201 E tutti quelli e quelle che si comporteranno in questo modo, fino a quando faranno tali cose e persevereranno in esse sino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore, ed egli ne farà sua abitazione e dimora. E saranno figli del Padre celeste, di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando l'anima fedele si congiunge a Gesù Cristo per l'azione dello Spirito Santo. E siamo fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è in cielo. Siamo madri , quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l'amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri. Oh, come è glorioso e santo e grande avere in cielo un Padre! Oh, come è santo, consolante, bello e ammirabile avere un tale Sposo! Oh, come è santo, come è delizioso, piacevole, umile, pacifico, dolce e amabile e sopra ogni cosa desiderabile avere un tale fratello e figlio, il quale offrì la sua vita per le sue pecore e pregò il Padre per noi.

1.2. Un amore pieno e totale 1Reg 23; FF 69-71 Tutti amiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutta la capacità e la fortezza (Mc 12,30 e 33), con tutta l’intelligenza, con tutte le forze (Lc 10,27), con tutto lo slancio, tutto l’affetto, tutti i sentimenti più profondi, tutti i desideri e la volontà il Signore Iddio (Mc 12,30), il quale a tutti noi ha dato e dà tutto il corpo, tutta l’anima e tutta la vita; che ci ha creati (Cfr. Tb 13,5), redenti, e ci salverà per sua sola misericordia; Lui che ogni bene fece e fa a noi miserevoli e miseri, putridi e fetidi, ingrati e cattivi. Nient’altro dunque dobbiamo desiderare, niente altro volere, nient’altro ci piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio, il quale è il bene pieno, ogni bene,

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tutto il bene, vero e sommo bene, che solo è buono (Cfr. Lc 18,19),pio, mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero, santo e retto, che solo è benigno, innocente, puro, dal quale e per il quale e nel quale è ogni perdono (Cfr. Rm 11,36), ogni grazia, ogni gloria di tutti i penitenti e giusti, di tutti i santi che godono insieme nei cieli. Niente dunque ci ostacoli, niente ci separi, niente si interponga. E ovunque, noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e ininterrottamente crediamo veracemente e umilmente e teniamo nel cuore e amiamo, onoriamo adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazie all’altissimo e sommo eterno Dio, Trinità e Unità, Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose e Salvatore di tutti coloro che credono e sperano in lui e amano lui, che è senza inizio e senza fine, immutabile, invisibile, inenarrabile, ineffabile, incomprensibile, ininvestigabile (Cfr. Rm 11,33), benedetto, degno di lode, glorioso, sopraesaltato (Cfr. Dn 3,52), sublime, eccelso, soave, amabile, dilettevole e tutto sopra tutte le cose desiderabile nei secoli dei secoli. Amen.

1.3. Con sano realismo Rb XI FF 105-106 Comando fermamente a tutti i frati di non avere rapporti o conversazioni sospette con donne, e di non entrare in monasteri di monache, eccetto quelli ai quali è stata data dalla Sede Apostolica una speciale licenza. Né si facciano padrini di uomini o di donne affinché per questa occasione non sorga scandalo tra i frati o riguardo ai frati.

Rnb XII, 5-6 FF 38 E tutti dobbiamo custodire con molta cura noi stessi e dobbiamo mantenere incontaminate tutte le nostre membra, poiché dice il Signore: «Chiunque avrà guardato una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei, nel suo cuore». E l’Apostolo: «Non sapete che le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo?; perciò, se uno violerà il tempio di Dio, Dio distruggerà lui».

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2. Spunti di approfondimento

Le indicazioni di san Francesco sono profonde e concrete al tempo stesso: 1) Ci indica anzitutto il senso ultimo della nostra vita, che è nella

relazione con la Trinità: � Relazione filiale nei confronti del Padre, relazione

sponsale (per la sponsalità cfr anche Form vit a S. Ch FF 139 e Ant Uff FF 281: essere l’uno con l’altro, l’uno per l’altro e l’uno nell’altro a immagine della Trinità!), fraterna e materna nei confronti di Gesù ad opera dello Spirito Santo. Si tratta di categorie umane che aiutano a intuire la significatività e profondità della relazione che si instaura con la Trinità.

� Questa relazione promuove al massimo la persona, la promuove in totalità e pienezza. Basta considerare l'aggettivazione usata per esprimerla "glorioso e santo; santo, consolante, bello e ammirabile; santo, delizioso, piacevole, umile, pacifico, dolce e amabile e sopra ogni cosa desiderabile".

2) San Francesco ci indica un percorso attraverso il quale giungere alla pienezza dell'amore: � Coltivare l'amore con la totalità della propria persona (san

Francesco elenca ben 12 dimensioni della persona), secondo l'insegnamento Biblico (cfr. Dt 6,5-6 ripreso poi da Gesù in Mt 22,27).

� Coltivare l'amore educando il desiderio e la volontà a mettere sempre più a fuoco la relazione col Signore. Ciò significa saper sfrondare dalla propria vita e dai propri interessi tutto ciò che è in contrasto con questo amore.

� Coltivare l'amore nel tempo e nello spazio perché diventi realtà quotidiana. L'amore ha bisogno di essere incarnato, altrimenti non esiste. E per essere incarnato ha bisogno di essere vissuto momento dopo momento "in ogni luogo e

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ogni giorno" e "ininterrottamente". Solo così diventa l'elemento che unifica la nostra persona e la nostra vita.

3) Nella Regola san Francesco dà delle disposizioni che denotano anche l'attenzione alla realtà concreta: � Un sano senso di vigilanza richiede che vengano evitate le

situazioni in cui viene messa in difficoltà l'osservanza del consiglio evangelico di castità. La relazione con Cristo nella verginità consacrata non si realizza al di fuori del contesto in cui viviamo e richiede perciò una realistica vigilanza su di sé, anziché l'atteggiamento presuntuoso di chi si ritiene "forte".

� In secondo luogo va evitato lo scandalo, ovvero ciò che è di ostacolo alla fede in Gesù Cristo. Se il membro di un Ordine religioso dà scandalo il danno non si limita né al singolo né all'Ordine, ma diventa un danno alla Chiesa ed alla sua missione di chiamare gli uomini ad aderire a Gesù.

3. Un esercizio personale

1) La castità consacrata non è un rifiuto della propria sessualità ma un modo altro di viverla, non è un non amare ma un modo diverso di amare: esprime la dimensione eterna dell’amore, la dimensione apostolica dell’amore e la dimensione dell’amore personale nei confronti del Signore ed è via ad autentiche relazioni vissute nella gratuità dell’amore fraterno: � Prova a sintetizzare la riflessione sulla castità consacrata

che hai elaborato nel corso di questi anni di consacrazione. � Prova ugualmente a riflettere su come vivi il rapporto col

tuo corpo e come puoi educarlo ad esprimere anche la spiritualità più profonda, integrando spirito e corpo (es. nei gesti della preghiera, sguardo, tono di voce, abbraccio…).

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� Come ti possono sostenere in questo cammino una vita fraterna più autentica, relazioni personali più profonde, sincere e calorose?

� Cosa significa vivere la tua castità dentro la prospettiva dell’essere minore?

2) San Francesco sottolinea la relazione sponsale, che la castità realizza ed esprime, sottolinea che si tratta di un amore pieno, coinvolgente e fecondo ma pure che - come ogni grande amore - va custodito con vigilanza e sano realismo: � Nel corso di questi anni come è cresciuta la tua relazione

di amore con il Signore? Fino a che punto ti senti coinvolto in questa “storia”?

� Di quali mezzi ti servi per coltivare e custodire questa capacità di amare? Quali attenzioni devi avere per coltivare e far crescere questa capacità di amare castamente?

� In quali momenti e situazioni ti trovi in difficoltà?

3) Ritagliati del tempo sia per confrontarti su questo ambito con un fratello o con il padre spirituale, sia per metterti davanti al Signore con tutta la tua persona, richiama alla memoria con gratitudine e gioia i momenti nei quali ti sei sentito “amato” da Lui; consegnagli le tue difficoltà personali nell’amarlo con totalità, chiedigli il dono di una castità umile e apostolicamente feconda.

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Operosi ma senza pretese

Lo scopo di questa riflessione è di aiutarmi a cogliere il senso francescano del lavoro così da integrarlo nella mia vita di Frate Minore.

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1. L’esperienza e la proposta di Francesco

1.1 L’esperienza del lavoro

Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e vogliofermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Coloro che non sanno, imparino. Test 20-21 FF 119 E i frati che sanno lavorare, lavorino ed esercitino quel mestiere che già conoscono, se non sarà contrario alla salute dell'anima e può essere esercitato onestamente. Rnb VII,3 FF 24 Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose temporali. Rb V,1-2 FF 88

1.2 La modalità del lavoro

I frati lavorino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Test 20 FF 119 I frati lavorino con fedeltà e con devozione. Rb V,1 FF 88 Tutti i frati, in qualunque luogo si trovino presso altri per servire o per lavorare, non facciano né gli amministratori né i cancellieri, népresiedano nelle case in cui prestano servizio; né accettino alcun ufficio che generi scandalo o che porti danno alla loro anima; ma siano minori e sottomessi a tutti coloro che sono in quella stessa casa. Rnb VII,1-2 FF 24

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1.3 Le motivazioni del lavoro

Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener lontano l’ozio. Test 21 FF 119

Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose temporali. Come ricompensa del lavoro ricevano le cose necessarie al corpo, per sé e per i loro fratelli, eccetto denari o pecunia, e questo umilmente, come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima povertà. Rb V,1-4 FF 88

Infatti dice il profeta: «Mangerai il frutto del tuo lavoro; beato sei e t'andrà bene»; e l'Apostolo: «Chi non vuol lavorare, non mangi»; e: «Ciascuno rimanga in quel mestiere e in quella professione cui fu chiamato» . E per il lavoro prestato possano ricevere tutto il necessario, eccetto il denaro. E quando sarà necessario, vadano per l'elemosina come gli altri poveri. E possano avere gli arnesi e gli strumenti adatti ai loro mestieri. Tutti i frati cerchino di applicarsi alle opere buone; poiché sta scritto: Fa' sempre qualche cosa di buono affinché il diavolo ti trovi occupato, e ancora: L'ozio è il nemico dell'anima. Perciò i servi di Dio devono sempre dedicarsi alla preghiera o a qualche opera buona. Rnb VII,4-12 FF 24-25)

1.4 L’attenzione a non appropriarsi I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. Rb VI,1 FF 90

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2. Spunti di approfondimento

1) In diversi testi san Francesco ricorda l’importanza dell’esperienza del lavoro nella sua maturazione umana e spirituale e lo propone anche ai frati come parte autentica del carisma dei frati minori:� L’esperienza del lavoro è qualcosa di molto importante nella

maturazione vocazionale di Francesco. Egli non si limita a ricordarla, ma vuole renderla permanente e la propone ai frati, sia nelle Regole, sia nel Testamento.

� Il lavoro non è in contrapposizione allo spirito di orazione e devozione ma è quasi propedeutico ad esso (allontana l’ozio) e va anzi vissuto in una prospettiva di orazione e devozione, altrimenti non è conforme né alla dignità creaturale né tantomeno all’esistenza cristiana.

� Per Francesco non era nemmeno ipotizzabile che il lavoro sottraesse tempo alla preghiera (cfr Rnb III: FF 9-12; e Rb III: FF 82-86), il problema non era questo, ma di impostare una qualità evangelica di lavorare!

2) Anche le modalità del lavorare sono importanti:� Termini riassuntivi della modalità francescana di lavorare sono

l’onestà (= ciò che si conviene ad una persona che ha scelto di vivere secondo il Vangelo), la fedeltà (caratteristica di chi vive il lavoro come un atto di obbedienza al suo Signore) e la devozione (che trasforma il lavoro in una liturgia esistenziale).

� Altri termini che descrivono la modalità di lavorare sono quelli della minorità e del servizio. Il lavoro non è perciò una parentesi nella vita del frate minore ma uno dei tanti aspetti della vita del frate minore, un aspetto importante, in cui ha da mantenere la propria identità di minore con tutto ciò che vi si collega (la posizione nel lavoro, lo spirito col quale compierlo, il non appropriarsi del proprio lavoro e servizio…).

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3) Nondimeno vanno considerate le motivazioni del lavorare:� Le motivazioni che Francesco propone non sono di tipo

economico (cupidigia, remunerazione) ma trovano la loro radice nella Parola di Dio, nel fatto che Dio ha invitato l’uomo a lavorare.

� Si intrecciano le motivazioni proposte in Gn 2-3: il lavoro come dono di Dio, grazia, affidato da Dio all’uomo prima e dopo il peccato originale;

� quelle espresse nei salmi (Sal 127): il lavoro come grazia, come esperienza gratificante;

� ma soprattutto da san Paolo in 2Ts 3,7-12: il lavoro fa parte della vita del cristiano, è mezzo ordinario di sostentamento, è inserimento nella creazione, è strumento di ascesi e di testimonianza: “noi non abbiamo vissuto oziosamente fra voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno (…) per darvi noi stessi come esempio da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi demmo questa regola: chi non vuol lavorare neppure mangi”. (2 Ts 3,7-9)

4) Infine per Francesco la categoria del non appropriarsi va estesa ad ogni realtà, proprio perché è parte essenziale della nostra vocazione (formalizzata con il voto di vivere “sine proprio”). Come colui che riceve un incarico nella fraternità non se ne può appropriare (cfr. Amm IV: FF 152) così non ci si può appropriare nemmeno del proprio lavoro.

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3. Un esercizio personale

� Prova a ripercorrere la tua vita e rivedere i lavori e i serviziche hai svolto a vario titolo. Che maturazione hanno prodotto in te? In che modo li hai vissuti? Con quali motivazioni li hai svolti?

� Come vivi il lavoro che svolgi ora? In quali aspetti ti senti più in sintonia con gli atteggiamenti suggeriti da san Francesco e in quali aspetti ti senti invece distante?

� Prova a verificare la qualità del tuo lavoro: in quali momenti lo vivi come grazia e in quali come peso? Cosa può voler dire, nel tuo caso, viverlo con fedeltà e devozione? Come vivi il rapporto tra lavoro e spirito di orazione e devozione? Come vivi il rapporto tra lavoro e minorità?

� Il tuo lavoro ti consente di partecipare alla vita della fraternità (preghiera, pasti, incontri formativi) o ti estrania da alcuni di questi momenti fondamentali della tua vocazione e scelta di vita? Quali scelte sei chiamato a fare per coniugare lavoro, vita fraterna, minorità e spirito di orazione e devozione?

� Prova a pensare come il lavoro, condiviso in fraternità, può far aumentare la vita fraterna, anziché essere un ostacolo ad essa. Cosa potresti fare e proporre alla tua fraternità in questo ambito?

� Prova a commentare per conto tuo il significato di questi attributi francescani del lavoro: � Grazia del lavoro � Lavorare con fedeltà e devozione � Lavoro che si conviene all’onestà � E siano minori e sottomessi nel prestare servizio � Possono ricevere il necessario, altrimenti vadano per

elemosina � Dedicarsi sempre alla preghiera o a qualche opera buona � Non appropriarsi del proprio lavoro

� In questa fase della tua vita quali sono i passi da fare per vivere francescanamente il tuo lavoro o servizio?

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Annunciatori di riconciliazione

Lo scopo di questa riflessione è di aiutarmi a scoprire e vivere la riconciliazione come esperienza personale di pacificazione del cuore, di rinnovamento delle relazioni e di testimonianza evangelica.

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1. L’esperienza e la proposta di Francesco

1.1. Il grande dono della riconciliazione nel sangue di Cristo E ti rendiamo grazie, perché come tu ci hai creato per mezzo del tuo Figlio, cosi per il santo tuo amore, col quale ci hai amato (Cfr. Gv 17,26), hai fatto nascere lo stesso vero Dio e vero uomo dalla gloriosa sempre vergine beatissima santa Maria, e, per la croce, il sangue e la morte di Lui ci hai voluti redimere dalla schiavitù. Rnb XXIII,3 FF 64 Pertanto, scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con tutto l'amore di cui sono capace, che prestiate, per quanto potete, tutta la riverenza e tutto l'onore al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, nel quale tutte le cose che sono in cielo e in terra sono state pacificate e riconciliate a Dio onnipotente. LOrd 12-13 FF 217

1.2. Pace e riconciliazione dentro la fraternità E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti comporterai in questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli. E avvisa i guardiani, quando potrai, che tu sei deciso a fare così. Riguardo poi a tutti i capitoli della Regola che trattano dei peccati mortali, con l'aiuto del Signore, nel Capitolo di Pentecoste, raccolto il consiglio dei frati, ne faremo un Capitolo solo in questa forma: Se qualcuno dei frati, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente, sia tenuto per obbedienza a ricorrere al suo guardiano, e tutti i frati, che fossero a conoscenza del peccato di lui, non gli facciano vergogna né dicano male di lui, ma ne abbiano grande misericordia e tengano assai segreto il peccato del loro fratello, perché non i sani

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hanno bisogno del medico, ma i malati. E sempre per obbedienza siamo tenuti a mandarlo con un compagno dal suo custode. Lo stesso custode poi provveda misericordiosamente a lui, come vorrebbe si provvedesse a lui medesimo, se si trovasse in un caso simile. E se fosse caduto in qualche peccato veniale, si confessi ad un fratello sacerdote. E se in quel luogo non ci fosse un sacerdote, si confessi ad un suo fratello, fino a che possa trovare un sacerdote che lo assolva canonicamente, come è stato detto. E questi non abbiano potere di imporre altra penitenza all'infuori di questa: «Va' e non peccare più!». LMin 7-20 FF 235-238

1.3. Pace e riconciliazione col creato e nella società Laudato si’, mi’ Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore e sostengo infirmitate et tribulatione. Cant 23-24 FF 263.

2. Spunti per l’approfondimento

1) Il pensiero della pace e della riconciliazione è un altro dei nuclei centrali dell’esperienza e della spiritualità di san Francesco. Il vangelo ascoltato al momento della vocazione è infatti il vangelo della missione dei 72 discepoli (Lc 10,1 ss; 1Cel 22: FF 356), di lì Francesco trae – “per divina rivelazione” – sia lo slancio missionario sia il saluto e l’augurio col quale apre le sue prediche (3Comp 26: FF 1428).

2) La riconciliazione è un dono pasquale: � La riconciliazione non è una realtà astratta ma è ciò che il

Signore Gesù Cristo ha realizzato nella sua incarnazione e nel mistero della pasqua.

� Il mistero della riconciliazione con Dio è celebrato e attualizzato nel mistero del corpo e del sangue del Signore, che ha una portata universale, cosmica.

� Nell’esperienza personale di Francesco questo mistero di riconciliazione viene vissuto nell’accostarsi al sacramento

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della penitenza e del perdono e nel ricevere il corpo e sangue del Signore, al quale la penitenza dispone (cfr Rnb XX,5 FF 54).

3) La riconciliazione è un dono da far crescere dentro la fraternità perché è lo strumento principe del risanamento delle relazioni fraterne. Ciò che viene proposto al Ministro è di favorire la riconciliazione all’interno della fraternità, sono gli stessi principi che si trovano in Rnb V (FF15-21) ed Amm XI (FF 160), nell’Amplificazione del Pater (FF 272-273): � La riconciliazione nella fraternità passa attraverso una

disponibilità illimitata al perdono reciproco che si fonda sulla coscienza e sull’esperienza dell’esser stati perdonati (cfr Pater).

� Suppone la logica del fare il primo passo, che abbatte i muri di paura, di diffidenza e sfiducia che il peccato tende a erigere dentro la persona (cfr LMin).

� Esige una grande ascesi del cuore per non scandalizzarsi, per non calcare la mano, per non “godere” del male altrui.

� Richiede un’azione, un coinvolgimento non tanto della fraternità (che è astratta) ma dei fratelli che la compongono (che sono in carne ed ossa).

� Ha la misericordia al suo inizio (come atteggiamento che favorisce la riconciliazione) ed ha la misericordia al compimento (come proposta penitenziale).

4) La riconciliazione ha una portata cosmica: � La Riconciliazione non riguarda solo il singolo o solo i

frati, ma ha una portata cosmica, coinvolge tutto il creato e la società. Come frati di questo dobbiamo avere coscienza e metterci a servizio di questo grande annuncio di riconciliazione che è al fondamento dell’autentica pace. San Francesco lo ribadisce in tutti i generi letterari che utilizza: la lauda poetica, la preghiera, la lettera, la Regola e la predicazione.

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� La riconciliazione è talmente importante e costitutiva per una pace autentica e duratura che come frati assumiamo lo spirito paolino di farsi ambasciatori di riconciliazione (2Cor 4,14ss) perché tutti gli uomini, i popoli, le realtà si incontrino in Cristo nostra pace (Ef 2,13ss).

3. Un esercizio personale

� Prova a confrontarti coi testi proposti: Qual è la tua personale esperienza di riconciliazione? Quali esperienze di riconciliazione (con Dio e con qualche fratello) ricordi in modo particolarmente vivo e forte? Che traccia hanno lasciato e quali effetti hanno prodotto in te queste esperienze di riconciliazione?

� Qual è il punto debole della tua esperienza riconciliazione e perdono (NB anche in riferimento al sacramento, ma non solo)? Quali sono gli ostacoli che il tuo carattere e la tua personalità ti pongono nel vivere la riconciliazione e il sacramento del perdono?

� Come puoi collegare la riconciliazione personale con la dimensione comunitaria della riconciliazione? Che cosa proporresti alla tua fraternità perché coltivi al proprio interno e faccia esperienza di riconciliazione e perdono?

� Prova a confrontarti con la “Lettera a un ministro”: qual è la tua reazione davanti agli sbagli e davanti ai peccati di un tuo confratello o di altre persone che conosci?

� Come puoi nella tua fraternità e con la tua fraternità diventare ambasciatore di riconciliazione e di pace? Ci sono delle iniziative possibili e proponibili?

� Cosa significa e come puoi far tuo l’atteggiamento della minorità nel vivere e nel testimoniare il vangelo della riconciliazione?

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Sommario

Presentazione p. 2

1. Il Signore dette a me di incominciare… Una lettura riconoscente della mia vocazione p. 5

2. Mi dette tale fede nelle chiese Nella Chiesa col cuore rivolto al Signore p. 10

3. Vivere secondo la forma del Vangelo Una Parola che chiede di incarnarsi in me p. 14

3. Il dono dei fratelli Imparare la comunione p. 19

4. Deporre la propria volontà Una vita nell’obbedienza p. 24

5. Espropriarsi per condividere Il senso di una vita sine proprio p. 30

6. Con tutto il cuore, la mente e il corpo Casti per imparare ad amare p. 34

8. Lavoravo e voglio lavorare Operosi ma senza pretese p. 40

9. Il Signore ti dia pace! Annunciatori di riconciliazione p. 46

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������������ ���������������������Prestate ascolto a costui che vi offre insegnamenti di vita

CURIA PROVINCIALE TRENTO - 2011