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PROVINCIA DI AREZZO Assessorato alle Politiche del Territorio Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale Relazione Urbanistico Territoriale con particolare considerazione dei valori paesistici

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PROVINCIA DI AREZZO Assessorato alle Politiche del Territorio

Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale

Relazione Urbanistico Territoriale con particolare considerazione dei valori paesistici

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Relazione Prof. Arch. GIAN FRANCO DI PIETRO

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1. FONDAMENTI E OBIETTIVI. 1.1. Il territorio e il paesaggio. Il nostro lavoro parte da una precisa convinzione: che oggi la tutela paesaggistica, inclusiva della dimensione ambientale, deve costituire il fondamento del “piano”, il punto di vista globale che deve integrare e prevalere sugli altri di carattere settoriale e che nella progressiva scomparsa dei fattori di identità aspaziali: i dialetti, i nomi dei luoghi e i luoghi stessi nella loro differenziata riconoscibilità (atopia), le tradizioni e le regole del costruire e della produzione dello spazio, la cultura materiale, i modi di allevare le piante (si pensi all’albero “carolino” delle aie casentinesi), il paesaggio è l’unica impalcatura che sussiste, con tutta una serie di dinamiche di trasformazione, ma che sussiste; è il luogo riconoscibile, la dimora, la grande casa comune, là dove si torna e ci si riconosce, la fonte del senso di appartenenza. Allora l’oggetto della tutela è l’identità del territorio, del paesaggio nella sua forma storica, o storicamente determinata, e, per dirla con Claudio Greppi, “ciò che resta dopo il collasso di un sistema sociale che faceva del territorio un valore d’uso ben preciso, sul quale fondava la propria sussistenza e la propria riproduzione” e, rispetto al quale, “sarebbe il caso di pensare in termini di ricchezza sociale invece che di valorizzazione: il paesaggio sempre più come una componente della retribuzione complessiva del lavoro, una funzione del tempo liberato”. Allora: ciò che resta come risorsa insostituibile; ciò che si cancella è perduto per sempre e, soprattutto, non sappiamo come sostituirlo. Oggetto della protezione è allora la fisionomia dei paesaggi nella loro individualità morfologica, vegetazionale e insediativa; i caratteri insediativi nel loro complesso, la continuità territoriale aldilà delle emergenze, che pure vanno individuate e perimetrate; ma è l’insieme ciò che conta, aldilà della puntigliosa definizione di quantità discrete e, soprattutto, senza privilegiare alcuno dei fattori. A questo proposito non si può non sottolineare come il sistema toscano delle aree protette abbia privilegiato le aree verdi, il bosco più dei coltivi, i rilievi più che i fondovalle anche se la L.R. n. 4/’90 (art. 2, comma 1), ad esempio, tendeva a cancellare la dicotomia tra aree verdi e sistema insediativo, tra aree protette e non protette, laddove recita: “ogni parte del territorio regionale è sottoposta a pianificazione urbanistica con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali”. Se quanto sopra rappresenta il senso e l’obiettivo del nostro lavoro, sul piano del metodo bisogna esplicitare una seconda convinzione: se l’oggetto della tutela è l’insieme territoriale, il sistema insediativo nel suo complesso, il rapporto di integrazione di natura e cultura, il punto di vista appropriato non può che essere geo-storico; il territorio come insieme e stratificazione di storia e natura, come insieme di forme introdotte dall’opera dell’uomo, da non guardare con diffidenza o rifiuto come fa certo ambientalismo radicale, ma come valore fondativo e imprescindibile della qualità complessiva. Il riconoscimento della realtà complessa del paesaggio toscano, così ricco di segni e di disegno impresso dall’operosità umana era già ben presente ne l XV° sec., ad esempio, nell’opera dell’umanista geografo Flavio Biondo che vedeva nella Toscana “una campagna così bella da assomigliar a una città”. Così come ci riconosciamo pienamente, per quanto riguarda il rapporto tra natura e cultura, nel commento di A. Von Wolzogen 1 alla raffigurazione schinkeliana della “Fioritura della Grecia”. “I paesaggi costituiscono un particolare motivo di interesse, quando vi possiamo vedere le tracce di una presenza umana. La vista di un paese nel quale nessun uomo abbia 1 in: “Aus Schinkel’s Nachlass” Berlin, 1863, III vol. pp. 367-8

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ancora messo piede, può offrici una sensazione di grandiosità o bellezza ma l’osservatore rimarrà incerto, inquieto e triste…. la seduzione di una paesaggio viene elevata quando in esso si daranno precisa evidenza alle tracce dell’uomo, o rappresentandolo nella forma di un popolo ancora ingenuo e originario nella sua età dell’oro….. oppure dando piena rappresentazione alla maturità culturale di un popolo altamente sviluppato, capace di servirsi in modo appropriato (mia sottolineatura) di ogni oggetto della natura in modo da ricavarne un più alto piacere sia per la vita del singolo individuo sia per quella del popolo stesso nella sua interezza.” Se questo tipo di apprezzamento dei valori paesistici fondati sul rapporto natura/cultura è valido in generale, risulta particolarmente appropriato per la Toscana, costruzione storica per eccellenza; voglio dire che c’è in fondo un rapporto diretto tra l’approccio geostorico che ha caratterizzato la ricerca storica e geografica in Toscana a partire dal ‘700 (così come la ricchezza della produzione cartografica), e la forma e la cultura di questo territorio estremamente antropizzato, che costituisce una sorta di specifico regionale. E di questa linea di ricerca non si può non ricordare il fondamentale saggio di Francesco Rodolico, -“La Toscana descritta dai naturalisti del ‘700”-, dove le relazioni dei naturalisti sono messe in evidenza come “selve di notizie”, zibaldoni di fatti naturali e storici2; programmi di ricerca visti come doverosa necessità nazionale, dentro un quadro culturale illuminista di buon governo e con obiettivi di utilità pubblica, in una sintesi virtuosa di conoscenza e progetto. Tipo di approccio geo-storico che ha caratterizzato la ricerca più ricca e consistente in Toscana a partire dagli anni ’30: dal versante geografico, da Biasutti a Gambi, Barbieri, Greppi, Rombai; a quello storico, da Elio Conti e Cherubini a Pinto e ai loro allievi; a quello dell’archeologia medievale di Riccardo Francovich. E di Cherubini mi piace ricordare, dall’introduzione al suo libro “Tra Tevere, Arno e Appennino ”, una riflessione che riassume efficacemente l’oggetto e la tensione affettiva del suo lavoro: “l’insistenza con cui mi sono dedicato a studiare questi luoghi e ad indagare sulle vicende delle comunità e degli individui dipende, infatti, dall’affetto che porto alla gente come alle cose, ai boschi, ai monti, ai prati, ai corsi d’acqua, alle tradizioni e ai ricordi”. Sottolineare la centralità dell’approccio geostorico può apparire superfluo e scontato, ma non è così; e assumere questa centralità comporta delle conseguenze; tanto che si potrebbe fondare, e Greppi di recente lo ha fatto, un diverso statuto tra le nozioni di paesaggio e di ambiente; con conseguenze, anche di carattere oppositivo, sui processi conoscitivi e, soprattutto, sui programmi operativi. In ogni caso non c’è dubbio che l’assumere la centralità del metodo geostorico comporta diffidenza critica e orientamenti operativi opposti nei confronti di quelli che a noi sembrano eccessi dell’ambientalismo radicale.3 2 tipico tra questi il programma di r icerca di Antonio Vallisnieri del 1722 che si poneva l’obiettivo di studiare “la notomia di un monte” insieme con le sue forme economiche e insediative. 3Per esemplificare, ci sembra che appartengono a questi eccessi: - il considerare, da parte del naturalis ta Stefano Cavalli (in: AA.VV. “I paesaggi dell’Appennino”,

Firenze, 1991), il castagno come una sorta di pianta infestante nell’orizzonte del querceto eliofilo, e quindi proporre una sua progressiva sostituzione con specie autoctone, secondo le varie fasce fitoclimatiche; (si pensi, al contrario, a cosa ha costituito il castagno per la vita e la storia del Casentino,

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Nello stesso tempo, date le premesse di cui sopra, non possiamo riconoscerci, se non parzialmente, nel filone di ricerche, peraltro molto approfondite, recentemente sviluppato in Toscana dalla “scuola olandese” 4, che vanno sotto il nome di “Ecologia del paesaggio”; ricerche, probabilmente di grande utilità in un quadro astratto di pianificazione delle risorse agricole, che sono incentrate sui concetti di suscettività e di uso ottimale dei suoli agricoli; concetti che in fondo prescindono dalla storicità degli usi nelle loro varie componenti, dal disegno delle strutture agrarie alle componenti sociali delle aziende e delle forze di lavoro esistenti nei vari luoghi; ricerche che tendono ad introdurre una nuova e astratta razionalità legata ai fattori produttivi (natura dei suoli, tipi di colture, livelli di meccanizzazione, forma e dimensioni dei campi); prescindendo dalla razionalità profonda, anche da un punto di vista ambientale (si pensi al rapporto tra piante erbacee e piante arboree nelle colture tradizionali), sottesa alle forme storiche delle strutture agronomiche; e anche alla loro sopravvivenza, certamente marginale rispetto al mercato, ma ancora così ricca sul piano umano e sociale: nell’intreccio intersettoriale delle forme di occupazione, tra città e campagna, e tra ruoli generazionali della famiglia allargata. In definitiva mi sembra che dall’approccio storico-geografico debba derivare un atteggiamento guardingo per tutti quei metodi che fanno ricorso a giudizi di valore, e da questi discendono linearmente ipotesi di zonizzazione e differenziata tutela. A queste conclusioni si sta arrivando, ad esempio, nella tutela dei centri storici; laddove si respinge un criterio di selezione, in genere basato sui criteri di lettura dell’architettura “colta”, e si riconosce, al contrario, dignità formale e documentaria a tutto ciò che è stato costruito all’interno della tradizione culturale locale. Così nel territorio va riconosciuta dignità paesaggistica e documentaria a tutte le espressioni coerenti e compiute di determinate strutture agronomiche e silvo-pastorali. E se si deve far ricorso a giudizi di valore, questi vanno riportati al riconoscimento non tanto di differenziati valori sostanziali e precostituiti, quanto dei livelli di trasformazione e di alterazione delle strutture territoriali, introdotti dalle dinamiche contemporanee. In questo senso non si possono condividere ipotesi di parametrazione qualitativa del paesaggio (e tanto più se costruita per quantità “discrete” e per punteggi), basate, ad esempio, su indici quali quello di naturalità (il rapporto tra coltivi e boschi/pascoli), e quello di eterogeneità (varietà di forme colturali diverse nello stesso luogo); indici la cui utilizzazione va limitata, eventualmente, alla loro efficacia descrittiva.

ma anche del versante orientale della Valle Tiberina da Monterchi a Caprese, non solo come base alimentare e struttura della vita collettiva, ma anche come cultura della costruzione e dell’organizzazione dello spazio antropizzato, dalla casa agli oggetti d’uso; oltre che, oggi, come fondamentale struttura paesaggistica, anche nello storico rapporto di integrazione con i nuclei abitati, e come ambito produttivo e ricreazionale).

- alla demolizione di antiche case coloniche all’interno delle foreste demaniali casentinesi, in quanto incoerenti con il bosco;

- alla reclamata libertà per i fiumi di divagare, restituendo loro i fondovalle bonificati e messi a coltura, demolendo le relative opere di difesa (argini, traverse, briglie, ecc.);

- al plauso degli ambientalisti per la politica CEE quando finanzia l’abbandono, l’inselvatichimento e la trasformazione dei coltivi in boschi.

4 cfr.: Erik Van Waveren, “Ecologia del paesaggio dell’Alta Valle del Tevere”, Bologna 1986; Willem Vos, Anton Stordelter, “Vanishing Tuscan landscapes / Landscape ecology of a Submediterranean-Montane area (Solano Basin, Tuscany, Italy); Wageningen, 1992

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In definitiva il nostro procedimento e il nostro obiettivo è di carattere idiografico: riconoscere e descrivere l’identità irriducibile, cioè l’unicità dei luoghi; attribuendo a queste il valore costitutivo delle strutture paesistiche e quindi il diritto di continuare ad esistere; superando l’ottica del vincolo perimetrale (biotopi, rarità naturalistiche e biologiche, ecc.), e affrontando il territorio come sistema complesso da tutelare con varie modalità che vanno dal restauro al risanamento, al recupero, fino, anche, alla valorizzazione. Rovesciando, però, il rapporto, e qui condividiamo pienamente l’impostazione della Nuova Legge Urbanistica regionale, tra sviluppo e tutela; assumendo questa come fondamento prioritario e deducendone lo sviluppo compatibile; il che significa assumere, per tutto il territorio extraurbano, l’ipotesi della minima modificazione o della modificazione controllata, quale condizione della continuità dei processi sociali di identificazione e di appartenenza, alternativi alle attuali tendenze disgregative. A conclusione di queste premesse generali mi piace concordare con Giuseppe Barbieri: 5“i criteri seguiti per il riconoscimento e la classificazione delle aree hanno tenuto conto di una pluralità di valori naturali e storici per quanto possibile obiettivi e documentabili (mia sottolineatura), (vegetazione, morfologia, clima, tipi di insediamenti umani, paesaggi agrari, presenza di monumenti d’arte, resti archeologici, ecc.), ma hanno dovuto considerare anche aspetti di più marcata soggettività pur temperata dal lavoro di gruppo (valutazione estetica del paesaggio, possibilità d’uso, ipotesi di sviluppo secondo particolari criteri politico-economici). I risultati della ricerca non derivano perciò da schemi o indicatori fissi, da valori quantitativi, da dati elaborati con calcolatori. L’Istituto (di Geografia dell’Università di Firenze) non aveva la possibilità né i mezzi di raccogliere e memorizzare la quantità di notizie necessarie per portare avanti un lavoro di tal genere. Né d’altra parte credeva nella possibilità di ridurre a elementi schematici situazioni complesse e così variate tra loro, come quelle che concorrono a formare un ambiente ricco di stratificazioni storiche e naturali quale è quello toscano”. In definitiva l’impostazione del PTC si fonda sulla convinzione che la qualità ambientale e la specificità dei contesti locali hanno un valore strategico; da ciò consegue che, come avverte Dematteis 6, in un territorio depauperato le possibilità di sviluppo si riducono e le risorse umane saranno male impiegate e emarginate , e che l’erosione del capitale collettivo costituito dalle risorse ambientali ha un effetto strutturante sull’intera società. Da qui l’obiettivo di scoprire, mettere in luce, conservare, riprodurre e valorizzare le risorse ambientali. Convinzione questa che riteniamo certamente condivisa dalla Regione Toscana dal momento che nel Preliminare del PIT si afferma che tali risorse, la loro individuazione e valorizzazione tramite il piano, costituiscono un prius nel processo di riorganizzazione territoriale, cioè un momento fondativo di questo. 5 cfr. Premessa al volume: “Aree verdi e tutela del paesaggio”, Firenze 1977 6 “Le trasformazioni territoriali e ambientali”, in “Storia dell’Italia repubblicana”, II/I, Politica, economia, società, Einaudi, Torino, 1995

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Il nostro approccio intende muoversi a partire dal superamento della concezione estetico-formale del paesaggio (che contraddistingue la L.1497) per una lettura unificante che si basa sulla nozione storico-economica di struttura territoriale, sintesi di storia umana, dati naturali, risorse, economia. Il paesaggio non solo quindi come panorama ma come tessuto storico da leggere con un codice storicistico, cioè capace di ricostruire i suoi elementi costitutivi; con la finalità di articolare il territorio in parti significative ove diversificare le strategie di tutela dei beni culturali, del paesaggio, del territorio storico-culturale, cioè di un patrimonio unitario fatto di beni, tradizioni, cultura e identità. Deve essere chiaro quindi il superamento del paesaggio-cartolina, tradizionale ambito estetico di marca crociana (il bello scisso dall'utile) e connotato da una ideologia tipicamente urbana che si rapporta a un territorio-museo, come spazio bello da ammirare, popolato da "buoni selvaggi" e ricco di ameni spazi naturali. Per un riconoscimento del paesaggio come: 1. SPAZIO MATERIALE COSTRUITO, cioè come condizione materiale non data ma perseguita e pianificata nel tempo, con proprie leggi e tecnologie finalizzate sia allo sfruttamento agricolo che alla stabilità del suolo (rapporto tra colture e bosco e loro significativa dislocazione, regimazione delle acque, sistema scolante, tempi di corrivazione, ecc.); 2. VALORE ECONOMICO, fondato sulla bellezza e a questa proporzionale, secondo valori strettamente legati al binomio integrità/alterazione. Si pensi alla mutazione, epocale, del territorio da agricolo a rurale, non più monofunzionale ma ricco di contenuti diversi ma tutti, o nella grandissima parte, legati al riuso e alla qualità dei luoghi (turismo, agriturismo, ricreazione, servizi al consumatore, residenzialità di varia natura, terziario non legato alla concentrazione urbana,ecc.). Dimensione, questa, della bellezza e della integrità che realizza e presuppone una dimensione olistica del territorio e del piano, nella quale tutto si tiene e dove l'alterazione puntuale si riverbera negativamente su ambiti percettivi assai vasti e difficilmente misurabili. 3. VALORE SOCIALE E IDENTITÀ' COLLETTIVA, dimensione già richiamata più sopra. Ma prima di passare ad illustrare metodi e strumenti elaborati intorno alla centralità del paesaggio, conviene considerare rapidamente una serie di passaggi che in varia misura hanno costituito il paesaggio come l'oggetto assente dalla pianificazione. - i limiti della L.1497/39 : l'isolare con un vincolo una porzione territoriale circoscritta per la sua forma esterna, anziché puntare al riconoscimento delle forme territoriali; valutare la compatibilità dei nuovi edifici sulla base dell'esteriore aspetto anziché sulla specificità di quel territorio (una buona architettura o un'architettura adeguata non può redimere una localizzazione sbagliata).7 - i limiti della gestione del vincolo da parte della Regione Toscana a seguito del trasferimento delle competenze (DPR 616/77) : la Commissione regionale istituita per la verifica e l'estensione dei vincoli non viene mai riunita; le CBA costituite spesso dai maggiori professionisti della zona anziché da esperti; la sub-delega ai Comuni del 1993 anch'essa gestita, perlopiù, con disattenzione a livello locale. 7 E tuttavia la centralità del problema paesaggio era già ben presente fin dalla Costituente (si pensi alle posizioni di Codignola e di Concetto Marchesi favorevoli a un approccio centralistico per una visione unitaria del problema e le loro preoccupazioni per il frazionamento in competenze regionali).

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- i limiti della LR 10/79: annullamento della articolazione e della specificità dei territori toscani; regole e parametri fissati per legge sostituiscono l'attività urbanistica dei Comuni; decadono le norme più restrittive già adottate dai Comuni; gli Elenchi degli edifici di particolare valore culturale e ambientale ai sensi dell'art.1 non obbligatori ma facoltativi; di fatto 20 anni di mancata pianificazione del territorio agricolo. - i limiti della DCR 296/88: l'aver privilegiato le risorse naturali rispetto a quelle culturali e antropiche; le zone di maggior tutela riservate ai boschi, in particolare se demaniali, riconoscendo soltanto valori estensivi ai paesaggi agrari. - la mancata attuazione da parte dei Comuni della LR 4/90 che tendeva a cancellare la dicotomia tra aree verdi e sistema insediativo tra aree protette e non protette (cfr. art.2, comma 1: “ogni parte del territorio regionale è sottoposta a pianificazione urbanistica con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali”). Oggi, tuttavia credo che si possa affermare che, a partire dalla LR 5/95 , il contesto culturale, il quadro normativo e l'approccio ai temi del paesaggio sono radicalmente cambiati; il tema paesaggio diventa centrale sia per il PTC che per i PS; e il paesaggio - sistema insediativo di matrice storica, paesaggio agrario, documenti materiali della culture - diventa, credo non sia una mia forzatura, l'oggetto specifico del PTC. I fondamenti di questa affermazione stanno sia nel quadro legislativo - LR 5/95, PIT, LR 64/95, LR 25/97 - che nelle scelte di indirizzo della Giunta regionale, manifestate con grande chiarezza nel Convegno di Cortona dagli Assessori Periccioli e Barbini.8 Quanto al quadro legislativo vediamo i punti salienti: - L. 142/1990 : Art.14 : spetta alle Province la valorizzazione dei beni culturali ; -LR. 5/1995 : Art. 2 , punto 2 : Sono risorse essenziali del territorio le risorse naturali, le città e i sistemi degli insediamenti, il paesaggio, i documenti materiali della cultura ...... Art.5 , punto 2 : Gli atti di programmazione e pianificazione assicurano l’adempimento delle finalità delle leggi nazionali e regionali in materia di protezione delle bellezze naturali e di tutela delle zone di particolare interesse ambientale. Art.5, punto 6 : Tutti i livelli di piano previsti dalla presente legge inquadrano prioritariamente invarianti strutturali del territorio da sottoporre a tutela. Art.16, punto 2d : Il PTC ha valore di piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici di cui alla L.431/85. PIANO DI INDIRIZZO TERRITORIALE (Preliminare) 2. Obiettivi di prestazione settoriale : 1.3. Agricoltura e difesa del suolo e paesaggistica : opere diffuse nelle aree collinari 1.4. Agricoltura e beni ambientali diffusi : sostegno delle testimonianze della cultura contadina, case della bonifica leopoldina e parchi archeologici. Titolo IV. Le risorse e la componente paesistica 8 Moreno Periccioli, La “nuova 64” e lo sviluppo del territorio rurale, Tito Barbini, Nuova centralità delle aree rurali negli strumenti della pianificazione, Cortona, 4 Luglio 1997.

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1. la tutela dei valori paesistici e ambientali può diventare il nocciolo centrale all’origine del procedimento pianificatorio, premessa e parte costitutiva di questo. 4. componente paesistica come prius 10. il problema della conservazione del paesaggio come istanza di identità culturale e tutela della memoria collettiva. 15. azione di coordinamento : convergenza di Province e Comuni su obiettivi di ordine paesistico. 16. superamento del vincolo che rimanda a verifiche successive, ma “piano” come documento di obiettivi, indirizzi, prescrizioni tramite una classificazione più articolata e un sistema di riferimento oggettivi basati su giudizi di valore. Lo stato delle conoscenze 2. Le risorse 2. il PIT assume il sistema ambientale quale principale riferimento per l’organizzazione degli insediamenti.... al fine di conseguire la valorizzazione e la tutela dei beni storico-culturali. 1.2. Il sistema insediativo e il processo di crescita. Se le affermazioni e gli obiettivi esposti più sopra sono veri, ne conseguono scelte fondamentali per ciò che concerne il sistema insediativo della Provincia e le sue modalità di articolazione e di crescita; scelte e oggetti di elaborazione che costituiscono il secondo livello specifico del PTC, livello che per essere strettamente intrecciato alle autonome elaborazioni dei Comuni, promosse dalla LR n. 5/95, comporta percorsi concordi e collaborativi. La legge “5” infatti ha segnato un discrimine fondamentale, ma come tutte le riforme reali ha aperto un terreno che va dissodato e quindi costruito con perseveranza e, talvolta, anche con fatica; non consente applicazioni automatiche e puramente letterali. Prima della “5” le scelte dei PRG, nella loro casualità, spesso, o, nel migliore dei casi, nelle loro intuizioni e nel loro sapere empirico, erano bilanciate dalla parallela empiricità dei pareri della CRTA, centrati fondamentalmente su una lettura morfologica dei piani (“non saldare”, “non aprire nuovi fronti di ampliamento”, “non costituire episodi isolati”, ecc.), e sulla assunzione delle problematiche “paesistiche” (“non intaccare brani di territorio integri o dotati di particolari valori”, “non accerchiare i Centri storici”, ecc.). Oggi il procedimento della costruzione del piano dà, certamente, maggiori garanzie di qualità, ma non ci può essere dubbio che esso comporta una ricerca paziente per giungere alla condivisione delle scelte; ricerca che può progredire solo rinunciando a rivendicazioni aprioristiche di competenze esclusive. Ma soprattutto è necessario pronunciarsi su tutti quei fenomeni che potremmo chiamare di degenerazione urbanistica (come la disseminazione di impianti produttivi e la proliferazione di sistemi insediativi extraurbani per tipi unifamiliari su lotto singolo, spesso lungostrada), che possono essere ricondotti, talora impropriamente, alla fenomenologia della città diffusa. La città diffusa negli ultimi anni è stata oggetto di investigazione da parte dei più avvertiti tra geografi e urbanisti,- da Dematteis a Lanzani, da Gambino a Indovina, da Boeri a Secchi -, conferendo ad essa lo statuto di fenomeno urbano inedito da assumere realisticamente nei processi di piano, da non esorcizzare come mero fenomeno degenerativo, ma anzi da riconoscere nella sua brutale vitalità. E innumerevoli metafore sono state coniate per descriverla: città reticolare, sistemi urbani a rete, megalopoli, nebulosa urbana, città dispersa, sistema a mosaico, o a scatole cinesi,

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rete interconnessa, accostamenti casuali, labirinto di luoghi senza rapporti col contesto, sequenza di frammenti urbani, disordine insediativo come esito del ripetersi casuale di un’attività edilizia (tramite tipologie atopiche), priva di regole di relazioni tra i suoi prodotti. Tuttavia, e questa è la ragione per cui prima si è detto “impropriamente”, la dignità di fatto urbano inedito viene assegnata, in questi studi, a dei veri e propri sistemi territoriali di rilevanti dimensioni,- ad esempio il sistema pedemontano a nord di Milano, il triangolo Padova/Treviso/Venezia, tutta la fascia costiera marchigiana a sud del Conero -, con una popolazione pari a quella di una grande città, nei quali il ruolo ponderale degli spazi aperti interclusi è spesso minore di quello del costruito; nei quali, soprattutto, la commistione territoriale di residenza, industria, attrezzature commerciali e strade-mercato conferisce all’insieme, pur nelle fattezze informi e spesso repellenti, una innegabile vitalità urbana. Vitalità che la Toscana ha avuto la fortuna di non conoscere, se non per brevi tratti della conurbazione FI/PO/PT, FI/PI, Massa Carrara; così come la Provincia di Arezzo, ancora fondamentalmente incentrata sulla rete e sulla identità delle sue città. Anche se, e qui sta il punto, non si possono negare fenomeni di distorsione del modello territoriale, quali: - i sistemi lineari complessi come:

. Arezzo/Subbiano/Rassina/Corsalone

. Arezzo/Viciomaggio

. il triangolo Tegoleto/Pieve al Toppo/Badia al Pino

. la conurbazione del Valdarno - i sistemi lineari elementari come:

. Arezzo/Ponte alla Chiassa . Alberoro/Foiano . Arezzo/Camucia - le polarità minori e le micropolarità: dalle addizioni a nuclei di antica formazione, alla

disseminazione extraurbana di residenze sparse o a piccoli gruppi di nuova formazione. A parte il primo gruppo composto da veri e propri sistemi urbani, tutti gli altri hanno una limitata o limitatissima consistenza demografica, un forte impatto ambientale e paesaggistico, una pesante incidenza sulla efficienza della rete infrastrutturale e una evidente e pericolosa capacità riproduttiva. E a questo proposito si pone una domanda: qual è la soglia dimensionale e di dotazione di servizi che legittima nuove addizioni? Oppure: si ritiene ammissibile che ogni nucleo, per quanto piccolo e senza servizi, sia legittimato a costituirsi come agente di localizzazione di ulteriori addizioni? Tutta questa premessa ci serve a dire che riteniamo opportuno che il PTC limiti o eviti la diffusione di analoghi fatti insediativi dal momento che è ancora largamente possibile, nella Provincia di Arezzo, ancorare il sistema insediativo e la sua crescita alla ricca articolazione storica delle sue città. Non si deve perdere l’occasione, infine, di percorrere la tendenza al decentramento, che ha invertito i processi di crescita abnorme delle grandi città, opportunità spontanea al riequilibrio e alla riconquista di un ruolo per le piccole e medie città, lasciando progredire una banale disseminazione di edifici e di impianti, tale tuttavia da pregiudicare l’identità e i valori dei luoghi e del paesaggio. Così se si concorda con l’obiettivo primario,- la tutela dell’identità culturale e della integrità fisica del territorio -, non c’è dubbio che si debba affrontare il tema dei limiti o dei confini della città, riportare a misura urbana le frange periferiche, le sfrangiature

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incoerenti che hanno annullato, talora, in un continuo indistinto, il rapporto tra il sistema delle città e il territorio aperto. A questo fine sono dedicati il capitolo normativo e le zonizzazioni riguardanti le invarianti paesaggistiche. Fermo restando l’obiettivo generale, che riguarda l’etica del piano, di ancorare lo sviluppo residenziale, produttivo e dei servizi, all’armatura urbana esistente e storicamente consolidata, che presenta nel suo insieme il carattere di una ricchissima articolazione e densità territoriale (sono assai rare le aree che si potrebbero definire anurbane quali, forse, la montagna cortonese, l’alto Tevere, parte del Pratomagno e della val Marecchia che costituiscono la montagna della Provincia), risulta infatti evidente come le forme recenti del sistema insediativo (sistemi lineari lungostrada, nuclei isolati, edificazione sparsa), anche se ben lontane dalle forme scomposte e pervasive della città diffusa, contengano in sé un notevole potenziale di distorsione territoriale, tale, anche, da costituire questi fatti insediativi come alternative assai pericolose al sistema delle città. Nello stesso tempo, non c’è dubbio, che nuove polarità si sono costituite aldifuori del sistema urbano consolidato; insieme e accanto al permanere di una fittissima serie di micropolarità di matrice storica le quali continuano a costituire, in quanto abitate, sia un fondamentale valore di integrazione, anche a livello produttivo, dell’armatura urbana, sia una componente decisiva della struttura territoriale e della qualità paesistica. Tuttavia appare evidente, sia per l’obiettivo generale che in rapporto ai livelli di qualità della vita urbana che si intendono promuovere e garantire, che non si può assumere la serie pressochè infinita delle micropolarità come agenti di localizzazione di nuove quantità edilizie. Si ritiene infatti che, a meno di sancire una condizione di mobilità permanente per l’accesso ai servizi che non sembra auspicabile, sia necessario e opportuno definire una soglia minima, dimensionale e funzionale, tale da garantire l’accessibilità diretta ai servizi di base (servizi commerciali del quotidiano, centro di aggregazione sociale, verde sportivo elementare). A questo scopo sono stati riconsiderati, oltre ai Centri capoluogo, i circa 800 aggregati di matrice storica, già schedati, precisandone la dotazione di servizi, e considerate ex-novo le polarità di nuova formazione, definendo così il sistema urbano della Provincia, il suo potenziale di accrescimento verificato alla luce della compatibilità paesaggistica.

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2. LA FORMAZIONE DEL P.T.C.P. COME PIANO URBANISTICO – TERRITORIALE CON SPECIFICA CONSIDERAZIONE DEI VALORI PAESISTICI.

2.1. I due livelli del Piano Territoriale di Coordinamento. Il fondamento costitutivo del Piano provinciale si articola su due livelli: quello delle permanenze,- la struttura profonda che deve essere conservata -, e quello della trasformazione, degli spazi vitali dell’innovazione e delle sue regole; livelli strettamente intrecciati e reciprocamente necessari in un comune obiettivo: tutelare l'identità culturale e l'integrità fisica del territorio. Questo obiettivo, a ben vedere, pone due possibili momenti dell'azione pianificatoria della Provincia: l'azione di tutela dell'identità culturale da intendersi fondamentalmente come processo di conoscenza e di individuazione delle strutture insediative e paesaggistiche e come conseguente elaborazione di criteri e di indirizzi per la redazione dei Piani strutturali dei Comuni; coincidendo poi la salvaguardia attiva dell'integrità fisica del territorio con un complesso coordinato di politiche ambientali, riguardanti il suolo, l'acqua e l'aria. In qualche misura, o in prevalente misura, il primo livello,- quello della dimensione territoriale-paesistica del PTC -, si occupa delle invarianti del territorio (sistema insediativo storico, beni culturali, paesaggio agrario e forestale); costituisce un patrimonio di conoscenze valido a tempo indeterminato, fatti salvi approfondimenti connessi al procedere della ricerca scientifica, e costituisce il fondamento per costituire gli argini, o i binari, cioè gli indirizzi, le direttive e le prescrizioni sulla base dei quali i Comuni costruiranno i Piani Strutturali e i Regolamenti Urbanistici ai sensi della LR n.5/95. Se questo primo livello riguarda, in prevalenza, il mondo e le modalità della conservazione, il secondo si occupa in modo più specifico e localizzato, nel tempo e nello spazio, delle esigenze di trasformazione; riconsidera l'armatura insediativa e infrastrutturale, riconosce i punti di crisi (crescita e/o riqualificazione) delle strutture residenziali, produttive e commerciali, ed elabora ambiti e progetti a tempo determinato, definendo le condizioni alla trasformazione. 2.2. Il metodo e gli elaborati del Piano urbanistico – territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici. Una premessa sul metodo riguarda la sostanziale identità di analisi e progetto, da intendersi non come fasi specifiche e temporalmente successive, ma come due aspetti dell'azione di conoscenza del territorio e come due facce dell'azione progettuale. Il riconoscimento del valore culturale di una struttura urbanistica o di un manufatto idraulico comporta l'azione progettuale della tutela; anche se in modo non automatico, dipendendo quest'ultima anche da altri fattori legati al contesto che può essere integro o degradato. Anche se , naturalmente, resta distinta la fase ultima del progetto, cioè l'elaborazione dei criteri e delle direttive di tutela. In questo senso tutti gli elaborati, che più sotto verranno illustrati, vanno visti non tanto come gli elementi di un'analisi oggettiva alla quale farà seguito il progetto, ma come i mattoni e il cemento, insieme, della costruzione del Piano. a. La carta della morfologia fisica nella scala 1/50.000

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Costituisce un significativo passo avanti, nella capacità descrittiva, rispetto alle consuete carte altimetriche utilizzate nei piani di area vasta, per rappresentare la forma del territorio, in quanto associa all'altimetria la rappresentazione delle grandi formazioni geologiche, cioè, insieme, i processi genetici, i caratteri morfologici e la natura del rilievo. Essa si basa su una prima distinzione primaria tra le formazioni dei rilievi Appenninici ( in gran parte Unità Cervarola Falterona e Marnosa Arenacea) da un lato e, dall'altro, e il complesso dei depositi lacustri e delle alluvioni fluviali antiche e recenti delle conche intermontane. Da un lato la Carta, attraverso l'ombreggiatura e la rappresentazione dei corsi d'acqua, restituisce la forma del rilievo Appenninico (crinali principali e secondari, bacini idrografici, cime, poggi e versanti), nella sua straordinaria articolazione plinimetrica e altimetrica; dall'altro, attraverso il colore, descrive le forme dello smantellamento dovuto all'azione fluviale (i rilievi ondulati delle colline lacustri, le infossature dei borri, le creste frastagliate delle Balze, i terrazzi morfologici), e distingue le situazioni di piano (pianialti dei depositi lacustri, fondovalle caratterizzati da alluvioni antiche e recenti). La Carta, in quanto rappresentazione sintetica della natura e della forma del territorio costituisce le coordinate territoriali e il riferimento primario per l'individuazione delle Unità di Paesaggio. b. Le Unità di paesaggio. Costituiscono lo strumento fondamentale, conoscitivo e progettuale, per la formazione del Piano; sia che le si voglia considerare, nell'ipotesi e nell'accezione più riduttiva, come semplici contenitori di informazioni, ma tuttavia più consistenti, cioè costruiti con metodo, rispetto ai territori comunali; sia che vengano assunte come realtà fisico-storiche concrete, dotate di una indiscutibile identità territoriale. Esse infatti, e limitatamente alla prima accezione, rispondono a una prima domanda, prioritaria per la formazione del Piano: come affondare il bisturì nel gran corpo della Provincia, come spezzare il pane della conoscenza territoriale, sezionare, organizzare e digerire la gran massa di informazioni riguardanti un oggetto così vasto e differenziato come il territorio provinciale? Certamente i confini comunali non costituiscono ambiti idonei per questo scopo; per quanto costruzioni storiche e strutture fondamentali della vita associata, essi tuttavia comprendono, in genere, situazioni territoriali troppo diverse per risultare efficaci contenitori di informazioni. Si pensi, ad esempio, al Comune di Anghiari,- per non parlare di Arezzo o Cortona-, che abbraccia tre tipi diversi di piano (del Tevere, della Sovara, del Cerfone), spazia, altimetricamente, dai fondovalle alla cima di Catenaia, comprende, insieme, i piani alluvionali fluviali, le colline lacustri e i rilievi appenninici, i territori costruiti dalla mezzadria e dalla casa isolata e quelli degli aggregati della piccola proprietà contadina originaria (Ponte alla Piera); e quindi realtà sociali e produttive legate all'agricoltura profondamente diverse. Ma ribadire l'inefficacia descrittiva dei confini comunali è come sfondare una porta aperta. Già le Statistiche agrarie hanno proceduto ad aggregazioni di Comuni su base altimetrica, per descrivere più efficacemente le realtà territoriali: si pensi al Catasto agrario del '29 e alla suddivisione della Provincia in due Regioni agrarie (di montagna e di collina); e di queste in 6 Zone agrarie (Monte-colle del Casentino,

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Monte-colle dell'Alta Val Tiberina per quanto riguarda la Montagna; e Monte-colle-piano del Valdarno superiore, Alta collina dell'alta Val Tiberina, Colle-piano dell'alta Val di Chiana, Piano-colle della bassa Val di Chiana). Ma il problema del riconoscimento di unità territoriali significative, sia sotto il profilo descrittivo che pianificatorio, è stato assunto, negli ultimi anni, come centrale nella riflessione delle discipline del territorio: dalla geografia all'ecologia del paesaggio, ai momenti analitici della pianificazione territoriale. E di ciò è opportuno dar conto, sinteticamente, e in particolare di quelli che, in misura maggiore o minore, sono stati utili per la costruzione del metodo che sta alla base della nostra proposta:9 - il lavoro di Greppi riguarda la descrizione comparativa delle regioni appenniniche toscane (Lunigiana, Garfagnana, Montagna Pistoiese, Mugello, Casentino, Val Tiberina), condotta con gli strumenti, di elaborazione originale, dell'analisi quantitativa e, in particolare, con l'utilizzazione di parametri morfometrici (matrici dell'altimetria e delle pendenze), resi possibili dalla disponibilità dei dati dell'Inventario forestale della Regione Toscana, che consentono di realizzare una notevole capacità descrittiva e di cogliere, anche sul piano morfologico e quindi qualitativo, l'identità di queste regioni storico-geografiche. I parametri utilizzati sono, tra gli altri: . l'articolazione del territorio per grandi fasce altimetriche (> 400 m., 400/800, 800/1200, > 1200 m.); . l'altitudine media, pari a m.680 per tutto l'arco appenninico; m.592 per la Val Tiberina, nella quale giocano un ruolo, nell'abbassare la media, le grandi vallate; m.744 in Casentino con prevalenza di fondovalle stretti; . l'incidenza della fascia >1200 m.(il 6,4 % in Casentino contro il 27,5 % della Montagna Pistoiese); il profilo ipsometrico: concavo in Val Tiberina (fondovalle ampio), convesso in Garfagnana e nella Montagna Pistoiese; . la distribuzione delle classi di pendenza (<30%, 30/50%, >50%) per fasce altimetriche: incidenza forte della "pendenza bassa" in Casentino e Val Tiberina (più del 60% del territorio); . la potenzialità agricola del territorio (come integrazione tra i territori inferiori a 800m. e quantità di pendenze medio-basse): 65,5% in Val Tiberina, 52,3% in Casentino. Oltre alla capacità descrittiva di questi parametri morfometrici, l'analisi dell'incidenza di determinate colture (castagneto da frutto, olivo, bosco) e della distribuzione della popolazione contribuiscono poi alla determinazione di caratteri che potremmo definire antropogeografici (significativa la distribuzione della popolazione al 1833 che registra: 60 ab./kmq in Garfagnana, 56,8 in Lunigiana, 52,9 in Mugello, 47,1 nella Montagna Pistoiese, 43 in Casentino, 36,3 in Val Tiberina; addirittura soltanto 16 a Badia Tedalda, da mettere in relazione, probabilmente alla totale assenza, in quel Comune, del castagno. 9 ci riferiamo in particolare a lavori di ambito toscano, come quelli di Claudio Greppi ("Le regioni appenniniche: fisionomie a confronto. Morfologia, uso del suolo, popolamento, clima", in "Paesaggi dell'Appennino toscano", Firenze, 1990); ai lavori di applicazione dell'ecologia del paesaggio (E.Van Waveren, "Ecologia del paesaggio dell'Alta Valle del Tevere", Giunta Regionale Toscana, Bologna 1986; e: W. Vos e A. Stortelder, "Paesaggi toscani che scompaiono. La Valle del Solano", Wageningen, 1992); e al lavoro di G.Merendi, R.Rossi e A.Vinci, su: "I sistemi di paesaggio della Toscana"(Regione Toscana, Giunta Regionale, Dipartimento Agricoltura e foreste, Firenze, 1994).

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- l'obiettivo dell'ecologia del paesaggio è diverso dal nostro, riguardando prevalentemente l'uso agricolo ottimale del suolo e forme di pianificazione agricola di tipo razionale che in genere prescindono dalla storicità degli usi consolidati; tuttavia il metodo è simile, in quanto consiste nello smontaggio del territorio in unità significative secondo parametri che comportano una struttura gerarchica nella quale l'articolazione e il significato delle unità areali dipende dalla scala di lettura che comporta, via via, un numero maggiore di parametri utilizzati. L'unità minima è l'ecotopo, cioè la più piccola unità di territorio in cui prevale sempre e solo lo stesso ecosistema, cioè un solo tipo di vegetazione insieme ai fattori ambientali che interagiscono al suo interno; l'ecologia del paesaggio è lo studio del paesaggio come un'area in cui gli ecotopi sono combinati con una configurazione caratteristica nella quale sono interrelati; l'analisi del paesaggio corrisponde alla classificazione dell'ordine o del disordine che caratterizza il tipo di modello in cui si presentano gli ecotopi nelle loro varie fasi di sviluppo, sulla base dei fattori ecologici relativi alla fisiografia (clima, rilievo, substrato pedogenetico, drenaggio), al suolo, all'uso del suolo, alla vegetazione e all'humus. Gli obiettivi ultimi dell'ecologia del paesaggio si realizzano soltanto attraverso una scala di lettura molto ravvicinata e una maglia di unità areali molto fitta, certamente fuori scala rispetto ai temi e alle specifiche dimensioni spaziali di area vasta che ci interessano; tuttavia è il procedimento per approssimazioni successive che ci può riguardare e, soprattutto, ciò che per gli ecologi del paesaggio rappresenta il più alto livello di generalizzazione. Nel caso dello studio sull'Alta Valle del Tevere: l'individuazione di 7 paesaggi (alluvionale, fluvio-lacustre, del macigno, delle marne, dell'alberese, delle ofioliti, delle argille scagliose), basata sulla litologia e le sue conseguenze (forme, pendenze, uso del suolo, vegetazione, incisione del rilievo). Mentre risulterebbero, per l'appunto, fuori scala le unità fisiografiche e le ulteriori suddivisioni di queste, essendo basate su caratteristiche di differenziazione troppo spinte (anche sul piano del costo della rilevazione): fisiografia, forma del versante, percentuale di affioramenti rocciosi, percentuale di CaCo2, orizzonti profondi, profondità del suolo, tessitura, pietrosità degli orizzonti superficiali, drenaggio, classificazione dei suoli, vegetazione, uso del suolo, zona fitoclimatica, pendenze, erosione. - "I sistemi di paesaggio della Toscana", ha costituito per la messa a fuoco delle nostre unità di paesaggio più che un semplice riferimento metodologico; nel senso che i sottosistemi di paesaggio, che costituiscono l'esito significativo di questa ricerca, sono stati assunti come gli ambiti spaziali di maggiore generalizzazione all'interno dei quali sono state articolate le nostre unità di paesaggio; essendo lo stesso, pur all'interno di una scala territoriale diversa, - la Toscana in un caso, la Provincia di Arezzo nell'altro -, l'obiettivo finale: delineare degli ambiti di riferimento territoriale con una più stretta relazione con l'ambiente fisico e quindi dotati di una maggior precisione rispetto a quelli derivanti dai confini amministrativi. Il lavoro di Merendi, Rossi e Vinci assume come articolazione più generale, e come fondamento fisiografico, i tipi di paesaggio del Sestini ("Il paesaggio", TCI, 1963), e li identifica con i sistemi di paesaggio della Toscana. E' opportuno ricordare che già nel lavoro del Sestini, che è un geografo, viene superata sia una "fase elementare" del paesaggio come veduta panoramica, che

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un'accezione estetico-formale del paesaggio "come sintesi di vedute reali e possibili", per un'accezione "più oggettiva e sostanziale". In questa definizione del paesaggio geografico razionale "potremo intendere la complessa combinazione di oggetti e fenomeni legati tra loro da mutui rapporti funzionali (oltre che di posizione), sì da costituire un'unità organica", senza "trascurare quei fatti, d'ordine geografico, storico, economico e sociale, che costituiscono il sottofondo degli aspetti realmente visibili"; e tra i primi in particolare "quelli morfologici ossia le forme del terreno........molto importanti nella caratterizzazione dei paesaggi d'Italia, paese di così vario modellamento". La metodologia per articolare i sistemi in sottosistemi di paesaggio fa riferimento sia a parametri morfometrici (intensità del rilievo, fasce altimetriche prevalenti),che litologici e di uso del suolo (aree urbanizzate, colture erbacee/arboree, formazioni forestali, pascoli, aree nude, acque), integrati dalle caratteristiche dell'agricoltura (indice di ruralità, tipologia azienda-famiglia, provenienza del reddito aziendale, SAU media, numero dei corpi dell'azienda, indirizzo colturale prevalente). Mentre i dati morfometrici, litologici e di uso del suolo sono stati elaborati sulla base dell'Inventario forestale regionale, che costituisce una rete informativa continua sul territorio regionale (basata su un reticolo di m.400 x 400), e quindi indifferente rispetto ai confini amministrativi e censuari; le caratteristiche dell'agricoltura sono state messe a punto sulla base di particolari elaborazioni dei censimenti. I sistemi di paesaggio sono nove: Alpi Apuane, Appennino, Conche intermontane, Colline plioceniche, Isole e promontori, Pianure costiere, Rilievi dell'antiappennino, Ripiani tufacei. Di questi solo due sono rappresentati nella Provincia di Arezzo: Apennino e Conche intermontane, così suddivisi in sottosistemi di paesaggio: -AP 9, Pratomagno e versante occidentale del Falterona. -AP 10, Alpe di Catenaia,Alpe di Serra e Foresta di Camaldoli. -AP 11, Alpe della Luna e zona di Sestino. -AP 12, Isola amministrativa di Badia Tedalda. -AP 13, Alpe di Poti e Alpe di S.Egidio. AP 14, Collina di Terontola. AP 17, Monti del Chianti, versante valdarnese. AP 19 Monti tra Arezzo e le Crete senesi(parte). CI 4, Casentino, da Pratovecchio a Bibbiena. CI 5, Valtiberina, Sansepolcro, Anghiari, Monterchi. CI 6, Valdarno superiore. CI 7, Piana di Arezzo. CI 8, Valdichiana. Sulla legittimità scientifica, cioè sull'efficacia descrittiva e sulla corrispondenza reale di questi confini alla identità profonda dei territori individuati, si potrebbe, forse, discutere a lungo dato l'oggetto in questione ,- la forma e la struttura del paesaggio -, e dato il fatto, soprattutto, che questi confini sono stati da noi assunti come maglia di ordine superiore per la successiva articolazione in unità di paesaggio. Da un lato, tuttavia, i confini delle conche intermontane si possono considerare indiscutibili dal momento che corrispondono ai territori di origine fluvio- lacustre, caratterizzati da una radicale identità storico-geografica; più discutibili i confini tra i diversi sottosistemi appenninici, coincidenti, a parte le linee di contatto con le conche intermontane, essenzialmente con i maggiori corsi d'acqua. Ma dovendo procedere, ad esempio, nel settore nord a una suddivisione per linee meridiane (AP9, AP10, AP11), non c'è dubbio che i corsi del Tevere e dell'Arno

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costituiscano confini significativi ("intra Tevere ed Arno"), e che comunque sarebbe risultata più arbitraria una confinazione lungo i crinali principali (che avrebbe portato a suddividere Pratomagno e Catenaia). Più labile, forse, il confine tra AP10 e AP13 lungo la Chiassa e la Sovara; e quello lungo l'Ambra tra AP17 e AP19. Tuttavia avendo scelto la logica dei fiumi, ci rendiamo conto che questa andava portata fino in fondo. In ogni caso, anche con queste limitate riserve sul metodo, crediamo che il lavoro della Regione rappresenti un contributo fondativo per l'analisi territoriale e la formazione dei piani di area vasta; da qui la scelta, che riguarda anche il rapporto tra Istituzioni e la gerarchia delle fonti informative(quando sono di buona qualità), di adottarlo come base di partenza per la ricerca sulle unità di paesaggio. A questo punto si pone una domanda basica: come si passa e, soprattutto, perché si passa dai sottosistemi alle unità di paesaggio? La prima risposta, non priva di senso, è che i sottosistemi sono troppo grandi (13 per 39 Comuni), e quindi non rapportabili all'azione pianificatoria dei Comuni nell’individuazione dei sistemi e sub-sistemi ambientali. Ma le ragioni non sono solo dimensionali ma di contenuto; i sottosistemi per quanto rigorosamente costruiti su parametri strutturali non descrivono l'identità dei luoghi, cioè il vero oggetto, a nostro avviso, del Piano provinciale; essendo il luogo una realtà profonda, una dimensione fisica e antropologica nella quale convergono memoria collettiva, radicamento, percezione dello spazio e delle cose. Il passaggio si attua integrando ai fattori fisici i seguenti oggetti, parametri, criteri e livelli di lettura: - l'identità storica e sociale, connessa al sistema insediativo, alla sua evoluzione, alle sue emergenze e persistenze che conferiscono identità spaziale e identità collettiva (ruolo delle città, rispetto agli spazi aperti, dei paesi, dei castelli, delle ville, ecc., nelle loro relazioni reciproche); - le modalità del sistema insediativo sparso e concentrato nelle zone agricole, connesse alla prevalenza storica della mezzadria o della piccola proprietà contadina e delle relative strutture agronomiche; - un'analisi dell' uso del suolo più articolata che tenga conto anche di fatti significativi, anche se residuali, come la coltura promiscua e i castagneti da frutto e dei rapporti di densità specifica tra coltivi e bosco; -un affinamento del parametro morfologico, reso possibile dal passaggio di scala, dal 1/250.000 al 1/25.000, che dia conto, in modo più duttile, dell'articolazione del rilievo (ad esempio, nel sottosistema AP10, nel passaggio tra il Tevere e l'Arno attraverso l'Alpe di Catenaia, si attraversano realtà strutturali e paesaggistiche differenziate: i fondovalle, il pedecolle, i rilievi collinari e quelli montani, l'area di crinale). - l'opportunità di riferirsi prevalentemente ai sistemi idrografici minori, sia perché sottendono spesso (si pensi all'alta valle del Solano), realtà e identità specifiche, sia perché costituiscono fatti spaziali percepibili nella loro unitarietà; sia per corrispondere a diversi livelli e obiettivi della pianificazione (piani di bonifica montana, di assestamento forestale, ecc.). - l'opportunità di fornire ai Comuni un'articolazione in zone dotate di identità e specificità territoriale, come supporto e indirizzo per i Piani Strutturali, i quali

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dovranno contenere, come fondamento conoscitivo e pianificatorio, "l'individuazione dei sistemi e sub-sistemi ambientali" (LR n.5/95, art. 24, comma 2, punto c). In definitiva si tratta di attuare una pratica della percezione complessa che si rapporta, da una parte, a dimensioni fisiche finite (ciò che è percepibile, da un punto di vista significativo, e insieme, anche, immaginabile come conforme al contesto); le ricompone in una unità figurativa, che può essere descritta come insieme di fattori concomitanti, e che ha i caratteri di una disomogeneità conforme per la tipicità e storicità degli elementi costitutivi. Le Unità di paesaggio individuate sono in numero di 81 (cioè molto numerose rispetto ai 13 sottosistemi di paesaggio e pari a circa il doppio dei 39 Comuni della Provincia); da suddividere poi ulteriormente in sub-unità ambientali, per passare da sistemi areali disomogenei a sistemi omogenei, (i tipi di paesaggio agrario, le zone agricole a maglia fitta, media e larga) corrispondenti, a livello normativo e di gestione, a unità di destinazione d'uso di carattere territoriale. Le Unità di paesaggio costituiscono l'articolazione territoriale del Piano urbanistico- territoriale con specifica considerazione dei valori paestici, per unità significative caratterizzate da una diversa prevalenza di temi in rapporto al binomio conservazione/trasformazione. Rappresentano dei quadri ambientali di riferimento rispetto ai quali è possibile zoommare, sul piano dell'analisi e della programmazione, sulle forme storiche dell'insediamento e dell'uso del suolo (patrimonio storico-architettonico, risorse forestali, ecc.), conferendo agli oggetti territoriali un senso più ampio, cioè relazionale, rispetto agli esiti di indagini tematiche o settoriali (i centri storici, le pievi, i boschi quercini, ecc.), inevitabilmente, per quanto esaurienti, di carattere elencativo. Le 81 Unità di paesaggio, raggruppate per sottosistemi, sono le seguenti: AP 09 - 01: Monti occidentali del Falterona - 02: Pratomagno: valli dello Scheggia - 03: Pratomagno: alta valle del Solano - 04: Alta collina occidentale di Pratovrcchio e Stia - 05: Bassa valle del Solano - 06: Poppi e bassa valle del Teggina - 07: Pratomagno: alta valle del Teggina - 08: Pratomagno: valli del Torrente di Faltona - 09: Bassa valle del Salutio - 10: Alta valle del Salutio - 11: Colline di Capolona - 12: Colline di Castiglion Fibocchi - 13: Pratomagno: valle dell'Agna - 14: Pratomagno: alta valle del Ciuffenna - 15: Pratomagno: alta valle del Resco AP 10 - 01: Monti orientali del Falterona - 02: Alta collina orientale di Pratovecchio e Stia - 03: Colline di Bibbiena - 04: Camaldoli e alta valle dell'Archiano - 05: Bassa valle del Corsalone - 06: Alta valle del Corsalone - 07: La Verna e alta valle del Rassina - 08: Bassa valle del Rassina - 09: Colline di Subbiano - 10: Pendici e monti dell'Alpe di Catenaia - 11: Alta valle del Singerna - 12: Colline occidentali del Tevere

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- 13: Monti occidentali del Tevere AP 11 - 01: Monti orientali del Tevere - 02: Colline orientali del Tevere - 03: Montagna di Sansepolcro - 04: Alta valle del Marecchia - 05: Bassa valle del Presale - 06: Alta valle del Presale - 07: Valle dell'Auro - 08: Alta valle del Foglia - 09: Bassa valle del Foglia AP 12 - 01: Isola amministrativa del Senatello e del Marecchia AP 13 - 01: Colline della Sovara - 02: Bassa valle del Cerfone - 03: Alta valle del Cerfone - 04: Collina orientale di Arezzo - 05: Collina a sud di Arezzo - 06: Fronte collinare orientale della Val di Chiana aretina - 07: Val di Chio - 08: Fronte collinare di Cortona - 09: Alta valle del Nestore - 10: Alta valle del Minima e della Minimella - 11: Valle del Niccone AP 14 - 01: Colline di Terontola AP 17 - 01: Monti di Cavriglia - 02: Colline di Montegonzi e Moncioni - 03: Alta valle dell'Ambra AP 19 - 01: Valli dello Scerfio e della Trove - 02: Colline di Badia a Ruoti - 03: Collina occidentale di Arezzo - 04: Fronte collinare di Civitella - 05: Fronte collinare di Monte S.Savino - 06: Fronte collinare di Lucignano e del Calcione CI 04 - 01: Piano-colle centrale casentinese CI 05 - 01: Collina di Anghiari e piana del Tevere CI 06 - 01: Valdarno di Pian di Scò e Castelfranco - 02: Valdarno a nord di Terranova - 03: Valdarno a sud di Terranova - 04: Valdarno di Laterina - 05: Valdarno di S:Giovanni - 06: Valdarno di Montevarchi - 07: Bassa valle dell'Ambra CI 07 - 01: Piana a nord di Arezzo - 02: Piana a sud-ovest di Arezzo CI 08 - 01: Valdichiana aretina occidentale - 02: Valdichiana di Montagnano e cesa - 03: Valdichiana di Foiano e Marciano - 04: Alta valle dell'Esse - 05: Bacino orientale del Foenna - 06: Valdichiana aretina orientale - 07: Valdichiana di Castiglion Fiorentino e Brolio - 08: Piana a nord dell'Esse di Cortona - 09: Piana a sud dell'Esse di Cortona - 10: Bassa collina cortonese orientale - 11: Bassa collina cortonese occidentale Il PTC, in coerenza con quanto previsto dal PIT (Capo II, Sezione I, La Toscana dell’Appennino, artt. 38/44 e Sezione II, La Toscana dell’Arno, artt.45/50), assume per le Unità di paesaggio, o per gruppi di Unità di paesaggio caratterizzate da problematiche

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unitarie in ordine alla tutela e valorizzazione delle risorse essenziali obiettivi strategici articolati per sub-sistemi territoriali: SISTEMA DELL’APPENNINO Sub-sistemi montani 1. Pratomagno / Falterona / Catenaia (UdP: Ap0901, 02, 03, 07, 08, 10, 12, 13, 14, 15; Ap1001, 04, 06; Ap1007, 10, 11) 2. Alta valle del Tevere, Marecchia e Foglia (Ap1012, 13, AP1101, 02; Ap1104, 05, 08, 09; Ap1201) 3. Alpe della Luna (Ap1103, 06, 07) 4. Monti del Chianti e alta Val d’Ambra (Ap1701, 02, 03, Ap1902) 5. Alta valle del Cerfone, del Nestore, della Minima e Minimella (Ap1303, 09, 10) Sub-sistemi collinari e altocollinari 6. Alta valle dell’Arno (Ap0904, 05, 06, 09, 11; Ap1002, 03, 05, 08, 09) 7. Valli della Sovara e del Cerfone, fronte orientale della Valdichiana (Ap1301, 02,04,05, 06, 07 08, 11, AP1401) 8. Monti tra Valdambra e Valdichiana (Ap1901, 03, 04, 05, 06, CI0805) SISTEMA DELL’ARNO E DEL TEVERE Conche intermontane 9. Piano colle centrale casentinese (CI0401) 10.Piana e colline della Valtiberina (CI0501) 11. Valdarno superiore aretino (CI0601, 02, 03, 04, 05, 06, 07) 12. Piana di Arezzo (CI0701, 02) 13. Valdichiana aretina (CI0801, 02, 03, 04, 05, 06, 07, 08, 09, 10, 11) b1.Le schede delle unità di paesaggio Le schede elaborate per descrivere e cogliere l'identità delle Unità di paesaggio corrispondono alle due facce del territorio, la struttura fisica e i processi di antropizzazione, indagati nelle reciproche relazioni. Le schede A e A' sono relative alle strutture storiche dell'insediamento e contengono: - una descrizione letteraria (i temi sono: i confini, la morfologia fisica e l'idrografia, il sistema insediativo, la viabilità, l'uso del suolo, i valori paesistici, la toponomastica), che si conclude col mettere in evidenza alcuni parametri relativi alla densità insediativa (abitanti/kmq),e alle modalità dell'insediamento (kmq per parrocchia al 1833; abitanti dei nuclei o aggregati per kmq, abitanti delle case sparse per kmq al 1951), di grande interesse per l'analisi comparativa tra le diverse Unità di paesaggio. - uno "specchietto" o sintesi elencativa delle principali strutture civili, religiose, economiche, produttive, infrastrutturali che hanno segnato il processo di civilizzazione/organizzazione del territorio. Esse sono state raggruppate in rapporto all'origine, medioevale o moderna; tra le prime è stato evidenziato (sulla base delle Rationes decimarum e di indagini sulla bibliografia e toponomastica locale), il sistema plebano (la chiesa plebana e la costellazione di chiese e cappelle ad essa subordinate), che ha costituito, nell'alto medioevo, la prima forma di costruzione del territorio e della sua identità collettiva sul piano anche civile oltrechè religioso; il sistema insediativo concentrato (i castra, i castelli residenza feudale e le ville aperte), che sta ancora, in gran parte, alla base della forma insediativa contemporanea (i centri, i paesi, le frazioni maggiori, i nuclei); il sistema delle grandi strutture della vita religiosa associata (monasteri, conventi, badie, ospedali), luoghi e strutture territoriali, nel medioevo, dell'intreccio tra potere feudale e vita religiosa.

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Nelle strutture dell'insediamento moderno sono stati individuati: l'organizzazione civile e religiosa del territorio corrispondente al sistema delle parrocchie e degli aggregati, al 1833, disseminati nelle campagne (indicati , oltre che con il toponimo, col numero progressivo di riferimento alle singole schede); le strutture religiose (monasteri, conventi, cappelle, santuari), di fondazione successiva al medioevo; le ville e le ville-fattorie che hanno costituito, tra XV e XIX secolo, dei poli significativi del sistema insediativo e dell'organizzazione economica dell'attività agricola; i molini e gli edifici paleoindustriali. A questi due gruppi di informazioni si integrano quelle relative alla viabilità, descritta sincronicamente al 1830 (sulla base della prima carta misurata della Toscana) e nella sua evoluzione documentata dalla Carta "austriaca" del 1851 e delle Carte IGM del 1883/95. - le rappresentazioni cartografiche, per le quali ci si è limitati a quelle ottocentesche, cioè alle prime rappresentazioni fedeli del territorio, sia sul piano dimensionale, che della localizzazione dei fatti e della loro toponomastica. In esse sono stati evidenziati con il colore: la rete idrografica, il sistema viario e quello insediativo; si tratta delle Carte seguenti: . la "Carta geometrica della Toscana" di Giovanni Inghirami del 1830, ingrandita da un allievo nella scala 1/100.000; la quale è stata preferita, rispetto all'originale, per il maggior dettaglio del sistema insediativo dovuto alla scala di rappresentazione. Vi sono rappresentate, con diverse tonalità del rosso (che riprende i diversi segni grafici dell'originale), le Strade Regie postali, le non postali e Provinciali rotabili, le Strade Comunitative rotabili e altre strade e sentieri. . la "Carta topografica dello Stato Pontificio e del Gran Ducato di Toscana", edita a Vienna nel 1851, ingrandita nella scala 1/50.000 rispetto all'originale nella scala 1/86.400. Vi è rappresentato, oltre alla gerarchia delle strade, anche, in modo sommario e per grandi categorie, l'uso del suolo (seminativi, coltura promiscua, bosco), probabilmente desunto dal Catasto Lorenese. . Le Tavolette IGM edite per la Provincia di Arezzo nella scala 1/50.000 in un intervallo di anni dal 1883 al 1895. A queste Carte va poi aggiunta la cartografia nella scala 1/25.000 (CTR Regione Toscana, 1978), utilizzata nella Scheda A' per la localizzazione delle strutture dell'insediamento, evidenziate con diversi simboli grafici (a base rotonda per il medioevo, a base quadrata per l'evo moderno) corrispondenti alle varie tipologie funzionali/architettoniche. La Scheda B riguarda la struttura fisica (geologia e morfologia) e la struttura insediativa attuale (uso del suolo, sistemi urbani e industriali, viabilità nazionale e provinciale); essa contiene: . l'elenco degli elementi della morfologia fisica distinti in: Monti e poggi principali, Crinali principali, Crinali secondari, Corsi d'acqua e fondovalle principali. . un quadro sintetico delle formazioni geologiche e un'interpretazione del rapporto tra queste e le forme del paesaggio (cfr. Relazione introduttiva e di metodo del Prof. Francesco Pardi responsabile di questa sezione). . una serie di dati (parametri morfometrici e uso del suolo) elaborati dal SIT della Provincia di Arezzo sulla base dell'Inventario forestale della Regione Toscana, sulla falsariga del metodo adottato per lo studio sui "Sistemi di paesaggio della Toscana", e quindi con rappresentazioni dei fenomeni omogenee che rendono possibile la comparazione tra sottosistemi e unità di paesaggio.

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i settori descritti riguardano la Litologia (classi litologiche presenti nell'unità per superficie e percentuale); il Rilievo (alla "intensità del rilievo" e alle "fasce altimetriche prevalenti" è stato aggiunto il parametro "classi di pendenze"); il Sistema climatico e l'Uso del suolo, registrato sia al 1978 che al 1991. Come si è accennato più sopra, le categorie relative all'Uso del suolo sono state maggiormente articolate, rispetto allo studio della Regione Toscana, all'interno dei settori significativi, che restano gli stessi, e quindi comparabili (aree urbanizzate, agricole, prati/pascolo/incolto, formazioni forestali, aree umide, aree estrattive, acque). In particolare il confronto tra la situazione al '78 e quella al '91 (solo 13 anni di intervallo), risulta straordinariamente significativo. Valga un esempio casuale (l'Unità di paesaggio CI 06 02 Valdarno a nord di Terranuova), per illustrare la dinamica delle trasformazioni che hanno investito, nel decennio, il territorio della Provincia: Aree urbanizzate dal 2,5 al 3,88 5; Aree agricole dal 67,13 al 51,30%; Seminativo arborato (la tradizionale coltura promiscua) dall'11,32 al 3,43%; le Colture arboree specializzate (vite e olivo) dal 16,95 al 13,24%; le Formazioni forestali dal 17,59 al 21,43. Di fatto si registra la quasi scomparsa della coltura promiscua, la diminuzione delle colture arboree specializzate, una conversione produttiva che sta tra l'estensivizzazione e l'abbandono, il progredire del bosco; secondo processi che sono stati attentamente valutati, nella stesura normativa del PTC, e specie per quanto riguarda gli adempimenti provinciali relativi alla LR n.5/95. - le rappresentazioni cartografiche, tutte nella scala 1/50.000, comprendono: . la Carta geologica, ingrandita dall'originale nella scala 1/100.000; . la Carta della morfologia fisica, elaborazione originale, che integra il parametro del rilievo e quello della struttura geologica ; . la Carta dell'uso del suolo, elaborazione a colori dell'originale nella scala 1/25.000 (Carta dell'uso del suolo della Regione Toscana, 1985), sulla base di alcuni accorpamenti delle classi d'uso (in particolare per i seminativi, i boschi e gli arbusteti), al fine di restituire una immagine più sintetica e, si potrebbe dire, strutturale dell'uso del suolo; . la Carta della struttura insediativa, elaborazione originale di sintesi della morfologia fisica e dell'uso del suolo restituito per grandi categorie (oliveto specializzato, colture collinari, boschi, pascoli, castagneti da frutto) e relativamente a tutto il sistema appenninico. Nella carta viene inoltre restituito il sistema viario principale (differenziato attraverso il colore in Strade nazionali, Provinciali e Comunali più importanti); il sistema insediativo (distinto tra quello di antica formazione e quello recente, nel quale sono state differenziate le zone industriali). c. I censimenti tematici. Condotti su 10 differenti classi di oggetti per mezzo di specifiche Schede di elaborazione originale, essi rappresentano, insieme, supporto conoscitivo ed elementi costitutivi del PTC. I settori tematici sono: c.1. I Centri capoluogo di Comune e le maggiori frazioni. Costituiscono tema centrale del rapporto tra PTC come piano urbanistico – territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici e Piani comunali, e della formulazione degli indirizzi per la crescita urbana.

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E' evidente, anche per tutte le premesse di ordine culturale e urbanistico di carattere generale e fondativo, che il PTC non può che muoversi limitando, o meglio cercando di arrestare, i processi edilizi che si sono configurati sia come macchia d'olio ( saturando ogni possibile direzione di crescita), sia come città diffusa, a livello territoriale, dando luogo a proliferazioni informi che hanno cancellato, o stanno cancellando l’identità storica del sistema delle città, il rapporto tra città e spazi aperti, tra attività urbane (residenziali e produttive) e attività agricole. Si tratta di cercare di ristabilire una linea di demarcazione tra città e campagna, dei confini all'edificabile e degli ambiti spaziali di rispetto delle formazioni urbane (aree di pertinenza urbana), che possano garantire 4 obiettivi: l'arresto della proliferazione edilizia diffusa, la tutela dei valori paesistici esistenti e specifici del rapporto città/campagna, il mantenimento allo stato attuale di ambiti spaziali periurbani da intendersi anche come risorsa potenziale per addizioni urbane coerenti laddove la domanda e il fabbisogno sono indiscutibili, la dotazione di verde (parchi urbani e fluviali) da valutare anche in termini di funzionalità ecologica (abbattimento del rumore, depurazione dell'aria, rinaturazione, riconnessione). Per descrivere le strutture urbane e definire gli ambiti spaziali di crescita potenziale, sono state predisposte 3 Schede riguardanti: - la periodizzazione dell'edificato, con la documentazione delle fasi di accrescimento della città al 1825 (Catasto Lorenese), agli anni '40 (Tavolette IGM 1/25.000), al 1956 (riprese aeree IGM), al 1976 (riprese aeree Regione Toscana), agli anni '80 (CTR Regione Toscana), al 1994 (riprese aeree CCT Parma, "Volo Italia"); e la valutazione critica dei processi di crescita così articolata: 1. lettura sintetica della forma urbana e dei suoi rapporti col sito; 2. lettura critica del processo di accrescimento: direzioni di crescita coerenti con la forma urbana e con la morfologia del sito; individuazione delle parti incoerenti e dei guasti ambientali; 3. individuazione dei limiti interni in rapporto alla struttura urbana consolidata e ai valori morfologici del sito. - l'analisi sintetica del PRG vigente o adottato, contenente la restituzione grafica del PRG nella scala 1/10.000 (a cura del personale interno dell'Assessorato alle Politiche del Territorio), la valutazione della zonizzazione in rapporto ai limiti interni e ai limiti esterni alla struttura urbana, con eventuali proposte correttive. - i limiti morfologici del contesto e le indicazioni del PTC, con l'individuazione

topografica degli elementi che concorrono alla definizione degli ambiti spaziali di pertinenza e di rispetto della città , sulla base di una zonizzazione che comprende le seguenti aree:

- area di tutela paesistica delle strutture urbane, corrispondenti a parti del territorio aperto rilevanti per la configurazione del sito, per il paesaggio agrario, per il rapporto morfologico tra città consolidata e territorio aperto; queste parti, infatti, -versanti collinari tra l’edificato e il fondovalle, fasce al piede delle colline, balze, terrazzi morfologici-, rivestono un duplice fondamentale carattere: da un lato, proprio per il carattere di stretta integrazione funzionale e sociale con l’edificato presentano, in genere, un tessuto agrario a maglia fitta, ricco di permanenze agronomiche tradizionali di rilevante valore paesaggistico e sociale; dall’altro per i loro caratteri morfologici si costuiscono come aree di transizione, da un punto di vista ecologico, cioè come ecozone.

c 2. Gli aggregati e i centri storici minori.

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Costituiscono gli elementi fondamentali del processo di civilizzazione del territorio (in genere di origine medioevale); la struttura insediativa diffusa, organizzata per nodi, compatti o aperti, della maglia reticolare che ha organizzato nel tempo la campagna; le sedi umane ancora caratterizzate da processi di profonda identificazione sociale; i luoghi di una straordinaria articolazione, sincronica e diacronica, e differenziazione dell'architettura tradizionale e dei tipi edilizi; così come di una ricchissima sperimentazione dei rapporti tra forma dell'insediamento e caratteri morfologici del sito e del rilievo. In quanto tali essi rappresentano, insieme ai centri storici delle maggiori città, l'ambito specifico della tutela e della conservazione degli edifici e degli spazi aperti e, talora, della trasformazione/integrazione controllata e per linee unidirezionali. La Scheda utilizzata per il loro censimento (che ha portato alla identificazione di circa 800 aggregati), contiene un settore di carattere informativo, descrittivo e interpretativo delle strutture urbane; e uno di carattere normativo/previsionale. Il primo è stato organizzato sia come insieme di elementi documentari (note storiche dal "Repetti", Catasto Lorenese, localizzazione nella Cartografia IGM 1/25.000, documentazione fotografica originale, riguardante sia il tessuto edilizio che i rapporti paesistici con il contesto); sia interpretativi (lettura dell'intorno agricolo, della morfologia territoriale, della tipologia urbana, dei tessuti edilizi e delle condizioni socioeconomiche), che valutativi (riconoscimento e valutazione, con localizzazione nella cartografia nella scala 1/5.000, dei tessuti di pregio architettonico; giudizio globale sul valore architettonico-urbanistico intrinseco dell'aggregato, e sul valore paesistico). Il secondo settore contiene, oltre alla documentazione del PRG vigente o adottato, le elaborazioni di carattere propositivo, tradotte in una zonizzazione analoga a quella delle città capoluogo: - area di tutela paesistica degli aggregati, da intendersi come l'ambito spaziale entro il quale si stabiliscono relazioni specifiche sia di carattere percettivo che morfologico e strutturale (rapporto col sito, col disegno delle sistemazioni agrarie, con la vegetazione, ecc.); e quindi come oggetto specifico da tutelare nella sua integrità fisica e insediativa. A differenza della normativa per le città capoluogo, in base alla quale l’area di tutela paesistica corrisponde, in ogni caso, a una direttiva che esclude le nuove edificazioni, per gli aggregati di minor valore intrinseco e paesistico è ammessa l’edificazione anche nell’area di tutela purché sottoposta a valutazione. c 3. Le ville e i giardini "di non comune bellezza" Costituiscono un ambito di tutela specificatamente richiamato sia dal DPR n.616/77 che dalla Legge Galasso, come parti integranti del PTC. Come gli aggregati, essi sono stati oggetto di specifica schedatura diretta che ha portato alla individuazione, a partire dagli Elenchi della Soprintendenza e della Regione Toscana, di oltre 400 complessi architettonici e dei relativi spazi aperti, organizzati nella forma del giardino o del parco. La scheda utilizzata è di carattere sintetico, in conseguenza dei limiti temporali e di organico del nostro incarico; più sintetico in rapporto alla scheda degli aggregati, e tuttavia estesa agli elementi essenziali e sufficiente per riconoscere la rilevanza architettonica e paesaggistica degli oggetti censiti. Le informazioni raccolte riguardano: la presenza e la tipologia di tutti quegli elementi che compongono lo spazio artificiale della villa: l'articolazione

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architettonica delle parti(villa, cappella, limonaia, ecc.); la tipologia degli spazi aperti (la sequenza tipica, di origine rinascimentale, di giardino formale/orto/pomario, il viale alberato, il barco, ecc.); gli elementi di arredo e di finitura (mur i di cinta, cancellate, pergole, ecc.); le condizioni d'uso e i vincoli (uso residenziale privato unitario o frazionato, uso trasformato; vincoli ex L.1089, ex L.1497, ex PRG); lo stato di conservazione o di alterazione dell'intorno. Il livello propositivo e di piano contenuto nella scheda, parte dal riconoscimento del valore architettonico intrinseco e di quello paesistico (rapporto del complesso con l'intorno), e perviene alla determinazione dell'area di tutela paesaggistica (cfr. punto precedente), nella quale sono stati individuati, in particolare, gli elementi del disegno territoriale originati dall'impianto architettonico (viali alberati, viabilità poderale, filari arborei, ecc.). Il censimento è stato condotto con una differenziazione areale del criterio di selezione, implicito nella definizione della non comune bellezza; nel senso di una maggior selezione nelle aree, come il pedecolle aretino e cortonese, caratterizzate da una ricorrenza di valori elevati; di una minor selezione nelle aree, come il Casentino, nelle quali la villa, intesa come fatto architettonico rilevante, si presenta in pochi, episodici casi; e dove, tuttavia, proprio per questo, anche manufatti di origine 800/900 poco rilevanti in sè, costituiscono emergenze significative, anche in ragione dell'intorno vegetazionale, nel tessuto territoriale. Un significativo esito del censimento è stato, infine, il riconoscimento di determinate aree, come la collina aretina, il pedecolle cortonese e la prima fascia collinare a nord di Sansepolcro, nelle quali la villa si è costituita nel tempo con caratteri di densità tali da dar forma a un vero e proprio sistema insediativo di scala territoriale; aree che, a maggior ragione, concorrono alla determinazione degli ambiti di tutela paesistica delle strutture urbane. c 4. La casa colonica isolata. I tempi di redazione del Piano urbanistico – territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici e l'entità dell'organico non hanno consentito di procedere alla schedatura diretta di questi manufatti; i quali se da un lato rappresentano un valore costitutivo del paesaggio, dall'altro si presentano, nelle campagne aretine, talmente numerosi da renderne la schedatura un'impresa assai ardua. Nello stesso tempo non si è creduto opportuno, come talora è avvenuto (cfr. PTC della Provincia di Firenze), di assumere nel Piano provinciale gli Elenchi elaborati dai Comuni ai sensi delle LR 10/79 e 59/80 per varie ragioni: la non esaustiva copertura del territorio provinciale, la disparità delle metodologie adottate dai Comuni e, soprattutto, la mancanza di omogeneità nei criteri di selezione (alcuni Elenchi comprendono quasi tutto il patrimonio edilizio rurale, altri poco più delle maggiori emergenze, ville, castelli e chiese parrocchiali). Dunque la scelta è stata quella di affidare il compito ai Comuni sulla base di norme di salvaguardia (tutela provvisoria di tutti gli edifici costruiti prima del 1940), e di criteri metodologici per la schedatura che fanno parte, insieme, della normativa del PTC. c 5. Le strade nazionali e provinciali. L'aver assunto tra gli oggetti di analisi e di piano le principali vie di comunicazione si fonda su due ordini di obiettivi propositivi: quello inerente il manufatto stradale in sé stesso, insieme con gli elementi architettonici e vegetazionali dell'intorno che lo

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individuano come tipologia territoriale complessa; e quello che riguarda la percezione panoramica di ambiti spaziali e paesaggi i quali, tramite la strada, si rivelano all'osservatore. Questo secondo livello, che sta alla base di molte determinazioni "paesistiche" originate dalla L.1497/1939 (si pensi alle fasce tutelate lungo le autostrade, le quali coinvolgono un grandissimo numero di "osservatori"), può lasciare qualche perplessità o interrogativo sulla natura della tutela paesistica, dovendosi, riteniamo, tutelare le cose in sé, cioè in rapporto al loro valore intrinseco, aldilà delle condizioni di percezione, più o meno agevole, dell'oggetto. Nello stesso tempo non c'è dubbio che le principali vie di comunicazione rappresentano, per la gran parte dei fruitori del paesaggio, un veicolo di fondamentale importanza; al punto che le stesse nozioni di paesaggio toscano o di altri tipi di paesaggio, si formano e si consolidano nell'immaginario collettivo, attraverso il viaggio e i percorsi stradali meccanizzati. Da qui l'opportunità e l'importanza di tutelare particolari ambiti visivi, secondo dimensioni areali determinabili da specifici punti di vista appartenenti alle strade e, in particolare, a quelle principali, nazionali e provinciali, veri e propri canali di percezione del paesaggio. Questi oggetti, strade e ambiti visivi, sono stati censiti per mezzo di diverse schede che rimandano a scale di lettura più generali (scala 1/25.000) e di dettaglio (analisi dei tracciati per tratti successivi considerati nella scala 1/10.000). Le schede contengono informazioni e proposte che riguardano i due livelli: quello del manufatto e quello della percezione. Riguardo al primo si dà conto delle tipologia riferita alla morfologia del territorio (rilievo e localizzazione), alla datazione riferita alle varie carte ottocentesche, alle condizioni di alterazione e di interesse paesistico e, attraverso i grafici, della presenza di "opere d'arte" (ponti, muri a retta in pietra, ecc.), di elementi vegetazionali rilevanti (alberature adulte isolate, a gruppi, a filari) e, soprattutto, dei fatti architettonici costruiti, nel tempo, in aderenza alle strade, o nel prossimo intorno, che definiscono la qualità complessiva della strada (si pensi alla via Catona tra Arezzo e Ponte alla Chiassa, con la specifica sezione di pedecolle, con le case isolate di origine ottocentesca, con le piantate residue e le querce isolate). Attraverso questa lettura la strada diventa oggetto di tutela nell'insieme degli elementi che la configurano e la fanno percepire come oggetto complesso e insieme unitario; e la tutela trova proprio nel livello provinciale del piano la scala appropriata al tipo di manufatto che attraversa territori comunali diversi, rispetto ai quali dovrebbero essere superate le differenziazioni normative (sulla tutela architettonica, le nuove costruzioni, le recinzioni, ecc.), al fine di garantirne i caratteri di unitarietà. Il secondo livello, inerente la dimensione paesistica, viene articolato nella scheda sia attraverso le specificazioni delle prerogative del tracciato (punti di vista, tratti liberi con visuali aperte, ecc.), riportate sui grafici; sia con l'individuazione e l'elencazione dei principali punti di vista sia, infine, con le proposte di regolamentazione degli ambiti di rispetto paesistico, le quali vanno ad aggiungersi, nella strutturazione normativa del PTC, a quelle della tutela intrinseca delle aree oggetto della percezione panoramica. Gli ulteriori settori dei censimenti tematici sono stati condotti ed elaborati attraverso collaborazioni e consulenze specialistiche, sulla base di orientamenti metodologici ed

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obiettivi preordinati e coerenti col PTC (determinazione degli ambiti di conservazione/trasformazione). Essi riguardano: c 6. i boschi e le riserve forestali c 7. le aree di rilevante valore naturalistico c 8. le aree di degrado: cave e discariche c 9. le aree di degrado: le frane c 10. le emergenze geologiche. i quali, nel loro insieme coprono le problematiche di carattere puntiforme o areale tipiche del PTC e dei suoi obiettivi: la tutela dell'identità culturale e dell'integrità fisica del territorio. Con una accezione che riguarda le aree a vincolo archeologico. Per quanto riguarda queste ultime conviene ricordare che per esse vigono due sistemi di protezione: quello derivante dalla L.1089/39 che è relativo ad oggetti di ricerca e di scavo già ben individuati nella loro consistenza fisica e localizzativa; il secondo è di carattere ambientale sul sito che viene tutelato sotto il profilo paesaggistico, culturale e naturalistico. Si tratta, in genere, di aree indiziate nelle quali il bene archeologico non è emerso e non può quindi essere oggetto di valutazioni paesaggistiche. Per questi casi il PTC rimanda agli elementi informativi contenuti nel "Quadro conoscitivo" (grafici ed Elenchi), già predisposto dalla Provincia e formula una normativa di salvaguardia (obbligo di preavvertire gli Uffici competenti nel caso di apertura di cantieri; divieto di nuove costruzioni fatte salve que lle già previste dai PRG e di alterazione dell'assetto del suolo; divieto di destinazioni degradanti quali discariche, depositi, ecc.; mantenimento degli spazi liberi tra gli edifici, ecc.). In ogni caso queste aree saranno inoltre tutelate in ragione dei vincoli specifici inerenti l'area nella quale i presunti beni archeologici si trovano (ad esempio: rispetto fluviale, boschi, di rilevanza paesistica, ecc.).

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3. LE ZONE AGRICOLE E IL PAESAGGIO AGRARIO I censimenti tematici, di cui si è parlato nel punto precedente, l'individuazione e la perimetrazione topografica dei loro oggetti, danno luogo a un sistema di controllo territoriale che è di carattere puntiforme o areale. A questo che potremo chiamare sistema delle emergenze e dei nodi territoriali si integra il secondo livello costitutivo del PTC come piano urbanistico – territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici quello della continuità del territorio provinciale, organizzata sull’articolazione delle zone agricole e del paesaggio agrario. 3.1. Il rapporto tra agricoltura, sistema insediativo sparso e strutture paesaggistiche La formazione del quadro conoscitivo e l’impostazione progettuale del PTC si muovono dall’ovvia consapevolezza che non può essere data conservazione della qualità paesaggistica della Provincia senza la permanenza delle attività agricole che ne costituiscono la base strutturale; attività, quindi, da tutelare, promuovere e, possibilmente, da incrementare. Le tematiche del rapporto agricoltura/paesaggio hanno costituito momento centrale dell’elaborazione del quadro conoscitivo, data anche la ricchissima articolazione del quadro territoriale legata alla complessità delle strutture geologiche , pedologiche e morfologiche e alla varietà dei processi storici che hanno dato luogo alla struttura insediativa del territorio. La Provincia contiene, infatti, al suo interno, situazioni estreme e di carattere oppositivo nei caratteri insediativi; si pensi, da un lato, alla montagna che rappresenta il livello più alto di organicità e “spontaneità” nelle forme del popolamento, con i suoi limitati spazi rurali integralmente costruiti in uno stretto rapporto di integrazione con gli aggregati dei quali costituiscono l'ambito, il contorno e il prolungamento. E, sul fronte opposto, alla Valdichiana granducale che rappresenta la forma estrema dell’ordinamento pianificato dall’alto, tramite la bonifica, l’appoderamento sistematico e la funzione gerarchica della Fattoria. Con tutta una serie di situazioni intermedie come la collina appoderata, nel multiforme rapporto tra coltivi e bosco e le pianure antiche, come quella del Tevere, integralmente mezzadrili ma con un ruolo secondario della Fattoria. L’indagine ha riguardato, in un primo tempo, i caratteri storici e geografici del territorio, cioè le strutture originarie, con l’obiettivo di individuare siti diversi (geologia, morfologia, altimetria), epoche diverse del popolamento (permanenza della varietà di strutture del passato), e i diversi rapporti città-campagna, e si è conclusa con la definizione areale e dei contenuti delle Unità di paesaggio. E, in una seconda fase, i processi di trasformazione che hanno investito i vari sistemi agricolo territoriali e che hanno portato a una commistione di usi agricoli e di usi urbani, alle localizzazioni industriali estranee sia al modello della città-fabbrica così come alle logiche del distretto, legate prevalentemente a opportunità fondiarie e logistiche, adattandosi al modello territoriale preesistente (borghi, nuclei, incroci viari, ecc.); fase condotta con un’attenzione particolare alla commistione di vecchie e nuove forme di agricoltura:

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- al contrasto tra agricoltura non progredita e agricoltura progredita, prossima ai modelli della grande industria (sperimentazione indipendente dalla natura dei suoli e dalle tradizioni e saperi locali);

- al contrasto tra grandi aziende e micro-fondi con prevalenti funzioni residenziali, legati ai processi della città diffusa;

- alla maggiore o minore marginalità (caratteri ambientali, strutture agronomiche, struttura famigliare, livelli di reddito, ecc.).

Questa seconda parte dell’analisi e del quadro conoscitivo è stata tradotta in due elaborati grafici che rappresentano sinteticamente l’articolazione morfologico-agronomica del territorio e i processi di trasformazione. Il primo contiene la individuazione dei tipi di paesaggio agrario; il secondo restituisce i caratteri dei tessuti agrari, si basa sul riconoscimento della maglia agraria (forma e dimensione dei campi), intesa come indicatore principale dei processi di trasformazione e contiene tre situazione tipiche: - strutture agrarie a maglia fitta (permanenza di indirizzi e associazioni colturali

tradizionali, vite/ulivo/seminativi, della forma e dimensione dei campi, della viabilità poderale e dei confini in genere coincidenti con la rete scolante principale);

- strutture agrarie a maglia media (eliminazione delle colture arboree, orientamenti a seminativi o prato-pascolo, accorpamento e semplificazione dei campi, mantenendo tuttavia elementi della viabilità poderale e la forma dei confini più ampi con permanenza di siepi e di presenze arboree);

- strutture agrarie a maglia larga (ristrutturazione totale della maglia dei campi, della rete scolante e della viabilità poderale, accorpamenti su grandi dimensioni in genere superiori all’ettaro, eliminazione totale delle colture arboree tradizionali e di ogni forma di vegetazione arborea e arbustiva).

A queste tra tipologie di progressiva trasformazione, corrispondono nelle aree montane contrassegnate dalla zootecnia, la forma territoriale tradizionale dei campi chiusi, quella parzialmente ristrutturata tramite accorpamento dei campi a prato-pascolo ma con mantenimento, più o meno marcato, di piante quercine (le querce camperecce), e quelle di ristrutturazione pesante con formazione di appezzamenti di grandi e il mantenimento di qualche raro esemplare di quercia. 3.2. I tipi di paesaggio agrario L’individuazione dei tipi di paesaggio agrario muove da livelli di approssimazione progressivamente più spinti, ai quali corrispondono areali via via più stretti e definiti. Il primo livello di approssimazione è basato sui fondamenti geologici più generali che definiscono, secondo la tripartizione di Targioni Tozzetti, i QUADRI, o TIPI AMBIENTALI: i monti strutturali, o rilievi appenninici costituiti da rocce cristalline o stratificate; le colline di accumulo formate da argille, sabbie e ciottoli prodotti dal disfacimento erosivo dei rilievi strutturali, e sedimentati, nel nostro caso, all'interno dei bacini fluvio- lacustri; le pianure e i fondovalle, cioè le alluvioni antiche e recenti, originate dall’accumulo dei sedimenti dovuti all’azione di dilavamento dei rilievi, trasportati dai corsi d’acqua. A questi tre tipi ambientali ne è stato aggiunto un quarto caratterizzato non dal dato geologico ma dall’azione morfogenetica, altrettanto forte, della città sul suo intorno più prossimo,- l’ambito delle colture e del frazionamento periurbano-; azione che si manifesta, anche se con modi non indifferenti al dato geografico, all’interno dei tre quadri ambientali.

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A parte il tipo periurbano, i primi tre corrispondono alla classica tripartizione in: pianura, collina, montagna; la quale, se da un lato, è certamente troppo approssimativa a rappresentare in modo compiuto gli aspetti agronomici e paesaggistici del territorio provinciale, nello stesso tempo fornisce un primo inquadramento sia per gli aspetti naturalistici che del paesaggio agrario. Si pensi, per i primi, alla serie delle zone fitoclimatiche definite in base al clima e all’altimetria; e, per i secondi, ad esempio, alle Statistiche agrarie (cfr. il Catasto Agrario del 1929 con la suddivisione dei dati in: pianura, collina, montagna), come, pure, sia alle grandi ripartizioni colturali zonali (successione altimetrica di seminativi, misto di seminativi e colture arboree, prato-pascolo), che alla diversa prevalenza dei fenomeni di ristrutturazione agronomica e del paesaggio agrario, così come dell’agricoltura professionale. Il secondo livello, quello dei TIPI DI PAESAGGIO, procede dal primo attraverso l’introduzione di parametri più specifici e pertinenti la fisiografia del territorio: la morfologia, la composizione dei sedimenti (argille, sabbie, ciottoli), le sistemazioni agrarie e le scelte colturali di grande scala e di valenza territoriale, l’appoderamento mezzadrile o il frazionamento della piccola proprietà contadina come generatori del sistema insediativo, le forme d’uso del suolo connesse ai processi naturali sia originari che derivanti dall’abbandono delle pratiche agropastorali. Questi parametri possono apparire non omogenei o privi della consequenzialità propria di un approccio scientifico deduttivo; tuttavia essi hanno la funzione indiscutibile, anche sul piano fisiografico, di articolare il territorio provinciale in forme o sistemi territoriali dotati, alla grande scala, di una irriducibile identità. Gli 11 tipi di paesaggio individuati sono i seguenti: Tipo ambientale: ALLUVIONI ANTICHE E RECENTI Tipo di paesaggio: 1. FONDOVALLE STRETTI: sono definiti morfologicamente sulla base della sezione trasversale ridotta e da un sistema scolante di tipo elementare, in genere monordito, con esclusione di complesse gerarchie tra fossi e canali artificiali. Il tipo coincide con gli ambiti caratterizzati dai sedimenti alluvionali coltivati a seguito di operazioni di bonifica idraulica, ed esclude quindi i tratti montani dei corsi d’acqua corrispondenti alle incisioni degli strati rocciosi. Vi sono in genere assenti i manufatti del sistema insediativo agricolo, con eccezione dei molini. 2. FONDOVALLE LARGHI: caratterizzati dalla sezione trasversale ampia e originati da complesse operazioni di bonifica idraulica (rettifica o canalizzazione del corso d’acqua, arginature longitudinale e trasversali, ramificazione gerarchica del sistema scolante), che hanno consentito, successivamente, la formazione del sistema poderale, in genere, a maglia larga. 3. PIANURE: originate da depositi lacustri o fluviali si caratterizzano, morfologicamente, per l’ampiezza e per l’uniformità delle quote altimetriche che ammette solo impercettibili varianti; per la complessità delle opere connesse alla regimazione idraulica con sistemi scolanti gerarchizzati e per la trama omogenea e sistematica dell’appoderamento e della casa sparsa. Questi tre tipi di paesaggio erano uniformemente caratterizzati, fino all’ultima guerra, dalla piantata, cioè dai filari della vite maritata all’acero, che bordava su due o su quattro lati i campi destinati ai seminativi che venivano dimensionati, in lunghezza, cioè proporzionati allo sforzo dei buoi durante l’aratura. Questa forma agronomica, incentrata sui seminativi (cereali e foraggi) e sulla vite (con marginali integrazioni, all’interno della piantata, di ulivi ed alberi da frutta) era comune sia

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alle sistemazioni di piano ottocentesche (maglia rettangolare di campi in genere monorientati bordati da fossi e capofossi), che in quelle più antiche, come la piana del Tevere, caratterizzate da una maglia a mosaico irregolare (campi a trapezio tendenti al rettangolo), definita da una trama organica di fossi e canaletti di scolo. Questo sistema agronomico era talmente consolidato, nel rapporto tra seminativi e piantate, che nel piano di Cortona i valori dei poderi, nelle compravendite, era stabilito non tanto sulla estensione quanto sul numero di aceri delle piantate, assunti come indicatori sia della dimensione del fondo che della sua intensità di coltura e quindi della produttività. Oggi i tre tipi di paesaggio sono parimenti caratterizzati dalla fine della coltura promiscua, con eliminazione pressoché totale delle piantate; dall’accorpamento dei campi secondo maglie progressivamente più ampie; dall’assoluta prevalenza dei seminativi, in genere corrispondenti alle colture industriali. Tipo ambientale: COLLINE FLUVIO-LACUSTRI 4. PIANALTI: compresi tutti nella conca valdarnese, costituiscono, in destra e sinistra d’Arno, la parte più alta e meno erosa dei sedimenti lacustri plio-pleistocenici, formati prevalentemente da sabbie cementate e conglomerati di ciottoli. Comprendono al loro interno una grande varietà morfologica: dalle superfici quasi piane o leggermente inclinate a ridosso dell’antica linea di costa, segnata dalla strada Setteponti, agli altopiani ondulati fino a vere e proprie formazioni collinari rotondeggianti. E ancora di natura morfologica il fattore che li delimita rispetto alle sottostanti colline argillose: le spettacolari forme di erosione delle Balze in destra d’Arno; le frastagliate superfici boscate corrispondenti ai pendii più risentiti, in sinistra. Nella parte più occidentale della conca valdarnese la sezione di valle si fa più elementare, venendo a mancare la fase erosiva delle colline argillose; e qui i ripiani ondulati costituiscono un dominio continuo da est a ovest, separato solo dal solco dell’Arno. Ricchissima l’articolazione del sistema insediativo: dalla corona di borghi, ville aperte, centri murati e castelli della fascia più alta, al sistema poderale più tardo, spesso organizzato da ville e fattorie che testimoniano un popolamento intenso, legato alla fertilità del suolo particolarmente votato alle colture arboree e, in particolare, alla vite, distribuite, in genere, secondo forme di straordinaria intensità, che i processi di ristrutturazione attuale hanno talora risparmiato (cfr. pianalti sotto la Setteponti, piani di Cavriglia, ecc.). 5. COLLINE ARGILLOSE DEL VALDARNO: separate da vallecole tributarie dell’Arno, si articolano con forme allungate e simmetriche sui due versanti, caratterizzate anche da pendii sensibili raccordati in forme stondate sul crinale. Costituiscono la fase ultima del processo di erosione che ha messo in luce le argille sottostanti le sabbie e i conglomerati, a loro volta smantellate al piede dall’azione del fiume. Dato il carattere instabile dei versanti e la natura ingrata dei suoli le forme insediative hanno avuto un carattere elementare con scarsi centri, confinati nei fondovalle (cfr. Faella, le Ville), e la casa sparsa mezzadrile, diffusa tra 7 e 800, distribuita sui crinali e, talora, nei versanti più dolci. E’ difficile immaginare oggi, quando la natura del terreno ha preso il sopravvento riducendo il tutto a prati-pascoli, erbai, rari seminativi e qualche stento uliveto e vigneto sui crinali, come il sistema della coltura promiscua e della piantata sia stato anche qui, come nel piano, totalizzante; come risulta documentato dai cabrei e dai catasti ottocenteschi. Diffuso l’abbandono delle attività agro-pastorali, così come i processi di erosione dovuti sia al sovrapascolamento che a una inadeguata regimazione delle acque con conseguenti

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collassi localizzati e fenomeni di soliflusso.

6. COLLINE A STRUTTURA MISTA I sedimenti lacustri, a parte quelli spettacolari del Valdarno, di cui si è visto, hanno nelle altre tre vallate, diversi gradi di evidenza morfologica, così come diversa composizione tra argille, sabbie e conglomerati. La collina di Anghiari si presenta, a parte le limitate propaggini in territorio di Monterchi, come un corpo isolato e unitario appoggiato a nord alle ofioliti dei Monti Rognosi, i cui limiti si sono formati a ovest in rapporto all’erosione fluviale della Sovara e, a est, a probabili maggiori sprofondamenti differenziali (Pardi). Appoggiati al versante appenninico in Casentino, ne costituiscono morfologicamente le propaggini verso il fondovalle, con vari ordini di terrazzi da correlare alle varie fasi glaciali. Assai differenti quelli della Valdichiana nella forma di ampie e distese colline al centro della vallata. A questa ricca articolazione morfologica corrispondono tratti comuni sul piano delle forme della civilizzazione agricola e del sistema insediativo legati alla buona qualità dei terreni , alla dolcezza dei versanti e del clima dovuto alle condizioni altimetriche: la fittezza dell’appoderamento e della casa sparsa, l’intensità della coltura promiscua, il carattere insulare del sistema boschivo che ha lasciato gli spazi più ampi all’agricoltura. Naturalmente tali condizioni favorevoli all’attività agricola hanno comportato oggi, oltre al perdurare di questa attività, con rari fenomeni di abbandono, vasti processi di ristrutturazione con accorpamenti, semplificazione della maglia agraria, diffusione di colture industriali, eliminazione della coltura promiscua e riduzione delle colture arboree. Processi tuttavia mitigati, in genere, dal frazionamento della proprietà e dalla presenza della piccola e media azienda diretto coltivatrice, con permanenza di vigneti/uliveti di podere, relitti di piantate, siepi vive arborate. Tipo ambientale: RILIEVI DELLA STRUTTURA APPENNINICA 7. SISTEMA TERRITORIALE DELL’ULIVETO TERRAZZATO E’ il tipo di paesaggio più significativo nel territorio provinciale, di maggior forza strutturante e valore paesistico alla scala territoriale: per il rapporto morfologico progettato tra pianta e suolo tramite il terrazzamento; per il rapporto tra il sistema colturale e la base geologica appenninica della quale costituisce il piede costruito, limite, bordo e affaccio sui sottostanti sedimenti lacustri e alluvionali; per la continuità e la scala territoriale del segno che attraversa tutta la Provincia, con l’eccezione della Valle Tiberina, e, in particolare, nel fronte occidentale: dal piede del Pratomagno alle pendici affacciate sulla piana di Arezzo, dai colli di Subbiano al fronte occidentale aretino, all’intera Valdichiana fino a Cortona e alla collina di Terontola, interrotto dal formidabile ripiegamento interno costituito dalla Val di Chio. Come, in forma più episodica, ma ancora significativa sul fronte orientale: dal piede dei Monti del Chianti alla Val d’Ambra e dello Scerfio fino alla Val di Chiana e dell’Esse di Monte S.Savino. Altrettanto significativa la forma degli uliveti insulari interni al bosco, compresi nel vasto sistema dei rilievi che stanno tra la Val d’Ambra e la valle dell’Esse per il rapporto tra natura e cultura, inerente alla loro forma di distribuzione. E’ anche il tipo di paesaggio maggiormente conservato, se pure con forme di abbandono striscianti e mascherate, sia per il valore paesaggistico intrinseco rapportabile alle variegate

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forme della residenza extraurbana e al suoi valori economici, sia per il valore fondiario e gli investimenti delle sistemazioni a terrazzi; i quali, d’altra parte, ne segnano il limite in rapporto alle pratiche e alla diffusione della meccanizzazione. Cosicché laddove si registrano processi di ristrutturazione l’esito è brutale: la totale cancellazione sia degli ulivi che dei terrazzi. 8. COLTIVI APPODERATI Corrispondono alle fasce medio-basse dei rilievi appenninici comprese tra i fondovalle alluvionali o i sedimenti lacustri e i rilievi montani, prevalentemente boscati, soprastanti. A parte episodi minori e tuttavia significativi come la collina di Sansepolcro o di Caprese, si presentano come tre ampi sistemi territoriali continui: quello casentinese da Subbiano a Stia che costituisce un’ampia corona intorno alla conca centrale e al fondovalle dell’Arno da nord (Stia) a sud (Subbiano e Capolona); quello intermedio tra valle della Sovara e monti della val Cerfone; quello massiccio della montagna cortonese compreso tra la fascia olivata a ovest e i confini regionali a est. Nel loro insieme e nella loro successione e continuità territoriale costituiscono come un’ampia spina dorsale che attraversa, al centro, l’intera Provincia da nord-ovest a sud-est lasciando sui due lati la Valtiberina a est, il Valdarno e la Valdichiana a ovest. Il sistema insediativo, così come le strutture agrarie appoderate, è, in genere, di antica origine medioevale, organizzato intorno a pievi, castelli, aggregati compatti o sgranati per nuclei, tessuto organizzativo di un sistema poderale assai fitto nel quale la casa sparsa presenta spesso le tracce e l'origine tipologica della casa-torre. Sono queste le zone dove ancora sono più marcate le tracce dell’agricoltura tradizionale, con permanenza del promiscuo e delle grandi sistemazioni a terrazzi e ciglioni; dove, purtroppo, sono anche più estesi i fenomeni dell’abbandono e del progredire degli arbusteti e del bosco. 9. RILIEVI INSULARI ALL ‘INTERNO DELLA PIANURA Esigui nella dimensione territoriale, rappresentano tuttavia, sul piano morfo logico,- vere e proprie isole che si staccano sul mare della pianura – degli straordinari monumenti della vicenda geologica; e, in quanto tali, definibili come autonomo tipo di paesaggio, nell’articolazione complessiva dei tipi. Oltre che per il rilievo, si staccano dalla pianura anche per la prevalente presenza dell’ulivo che si contrappone ai seminativi sottostanti. Purtroppo, e in ragione delle favorevoli condizioni di clima e di apertura paesaggistica, essi sono stati oggetto, in tempi recenti, di aggressioni edilizie massicce e fuori scala rispetto al misurato contesto. 10. COLTIVI DELLA MONTAGNA Occupano le zone più alte, montane, dei rilievi appenninici e si distinguono in due sistemi territoriali e insediativi radicalmente diversi: quello casentinese del versante orientale del Pratomagno e quello delle vallate nord-orientali dell’alto Corsalone, del Marecchia e del Presale. Alla base di questa differenza sta, in fondo, una ragione ambientale che ha orientato, all’origine, le scelte alimentari primarie: la castagna in Casentino, l’allevamento nelle vallate nord-orientali. Così che nel primo caso i castagneti da frutto devono essere considerati parti integranti del sistema insediativo, così come i prati-pascoli nel secondo.

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In entrambi i casi il sistema insediativo è incentrato sugli aggregati di antica origine con spazi marginali per la casa sparsa così come per l’appoderamento mezzadrile. Aldilà di questo carattere comune le differenze morfologiche sono cospicue, così come le forme dello sfruttamento agricolo: i coltivi terrazzati che rappresentano, in Casentino, la presa di possesso del suolo unitaria con l’aggregato, la sua area di alimentazione, della quale l’aggregato costituisce centro organizzativo, sono praticamente assenti nelle vallate nord-orientali; il rapporto col bosco, e con tutto ciò che il bosco ha significato nell'economia e nella cultura dei luoghi, che risulta invertito nei due sistemi: in Casentino aggregati e coltivi si costituiscono come isole interne al bosco; ruolo che tocca al bosco, nel continuo dei prati-pascoli, nelle vallate nord-orientali. Diverso, e quasi opposto, anche il destino attuale dei due sistemi: abbandono dei coltivi, crollo dei terrazzi, invasione del bosco, riuso turistico degli aggregati in Casentino, anche in ragione di un intrinseco e originario rapporto con Firenze (il Casentino come “montagna fiorentina”); sviluppo della zootecnia nell’alta Val Tiberina con semplificazione del paesaggio dei campi chiusi, del quale restano tuttavia porzioni significative da tutelare. 11. AREE DI TRANSIZIONE Sono state comprese nella tipologia dei paesaggi agrari in ragione della originaria e netta saparazione dal bosco e dei rapporti di integrazione con l’agricoltura e l’allevamento. Si tratta, in grande prevalenza, delle aree di crinale dei rilievi appenninici, caratterizzati dalle formazioni del pascolo naturale, trasformato oggi, con l’eccezione del crinale del Pratomagno, in arbusteti e arbusteti arborati. L’individuazione e la perimetrazione dei queste forme di uso del suolo di crinale, e la loro considerazione come tipo di paesaggio, ha anche lo scopo di attivare forme di tutela che ne garantiscano la sopravvivenza; al fine di evitare un’ulteriore semplificazione del paesaggio, nel caso di una progressiva conquista e chiusura del bosco sul crinale; così come di garantirne la percorribilità con la fruizione visiva del paesaggio, e, auspicabilmente, l’utilizzazione pastorale. Tipo ambientale: AMBITO DELLE COLTURE E DEL FRAZIONAMENTO PERIURBANO La presenza della città e degli aggregati interagisce con la maglia agraria e modifica, intorno al suo perimetro, l’organico e autonomo dispiegarsi delle forme dell’agricoltura all’interno dei vari tipi di paesaggio. Si tratta, in genere, di una maggiore fittezza della maglia aziendale, di un frazionamento più spinto delle proprietà, di una maggiore intensità delle colture arboree, di uno specifico intreccio con la funzione residenziale, della presenza di una variegata morfologia di orti, annessi, capanne. Così che l’intorno urbano si isola, anche figurativamente, e si percepisce, rispetto all’intorno agricolo, con una propria relativa autonomia, forme d’uso e regole differenziate, Da qui l’opportunità non solo sul piano fisiografico dell’efficacia descrittiva delle forme del paesaggio agrario, di individuare tali intorni, quando significativi, come tipo di paesaggio periurbano al fine di una specifica regolamentazione. 3.3. Le varianti dei tipi di paesaggio agrario Le varianti dei tipi di paesaggio agrario rappresentano il livello di approssimazione più spinto nella descrizione dei caratteri agronomici del territorio; quello dove si realizza con buona efficacia, riteniamo, l’obiettivo idiografico che sta alla base del nostro lavoro; di descrivere, cioè, l’identità dei luoghi come condizione di una messa a fuoco di regole

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fondate e credibili, - le meno astratte possibili -, per la tutela del patrimonio culturale del territorio agricolo e per la gestione, conseguente, di processi di trasformazione che risultino compatibili sul piano culturale e ambientale. Con questa finalità il passaggio dai tipi alle varianti è stato condotto introducendo tutta una serie di indicatori, oltre e accanto a quelli ambientali e morfologici, atti a descrivere, oltre alle forme storiche della civilizzazione agr icola e del paesaggio agrario, i processi di trasformazione interni alla organizzazione spaziale dell'agricoltura e al sistema insediativo contemporaneo. L’insieme di questi indicatori è stato organizzato per mezzo di una griglia, nella quale le risposte, nel loro insieme, assumono un valore discriminante per le diverse varianti. Gli indicatori della griglia, raggruppati per oggetto, sono i seguenti: LE STRUTTURE AGRONOMICHE, intese nella doppia valenza della distribuzione territoriale e del rapporto col bosco (sistemi continui o discontinui) e del rapporto tra proprietà e azienda che può essere accorpata (derivante dalla configurazione prevalentemente chiusa del podere mezzadrile) o frazionata, tipica della piccola proprietà della montagna, nelle sue diverse articolazioni territoriali (concentrazione di coltivi, dislocazione per fasce specializzate, rapporti di integrazione prevalente coi castagneti, o con i pascoli naturali). LA MAGLIA DEI CAMPI, individuata e perimetrata attraverso la lettura delle foto aeree zenitali del 1994 nella Carta della tessitura agraria, costituisce il primo referente decisivo dei processi di ristrutturazione. La maglia agraria è stata riconosciuta secondo tre varianti: maglia fitta con permanenza significativa dell’assetto e delle colture arboree tradizionali; la maglia media con accorpamento e semplificazione dei campi all’interno di un ridisegno parziale; la maglia rada, o larga, con accorpamento più spinto, semplificazione e ridisegno totale. Questi tre diversi caratteri della maglia oltre ad avere un’incidenza diretta e strutturante sui caratteri del paesaggio, aspetto che potrebbe anche essere considerato secondario, riguardano, sul piano degli equilibri ambientali, altri due aspetti peraltro decisivi: l’efficacia della rete scolante e i relativi coefficienti di deflusso e la riduzione dei corridoi ecologici e degli habitat della microfauna e della avifauna, con incidenza diretta sui caratteri della biodiversità. LA FORMA DEI CAMPI : insieme alla maglia, costituisce aspetto decisivo dei caratteri fisiografici del paesaggio agrario, referente del processo storico della civilizzazione agraria e della sua articolazione territoriale (pianura, collina, montagna). Anche la forma dei campi, considerata nella sue varianti principali (regolare monorientata, regolare pluriorientata, irregolare, irregolare sistematica a mosaico), referente dei processi di trasformazione e di semplificazione (forma regolarizzata) che possono dar luogo, come nel “riordino” programmato della piana del Tevere, o in quello “spontaneo” della Valdichiana, alla cancellazione integrale del disegno preesistente. I CONFINI DEI CAMPI E DELLE AZIENDE , quando materializzati per mezzo della vegetazione o di manufatti, costituiscono il terzo aspetto fondamentale della figurazione del tessuto agrario, della storia dei luoghi e della ricchezza ambientale; secondo un'articolazione tipica delle varie zone così come dei processi di trasformazione (recinzioni, rete scolante, siepi, siepi alberate, vegetazione riparia, muretti). LE SISTEMAZIONI AGRARIE, riguardano la costruzione deliberata e la messa a coltura di ampie porzioni di territorio: i fondovalle alluvionali sottratti al divagare dei fiumi, per mezzo di canalizzazioni e complesse reti di argini longitudinali e trasversali, e messe a coltura tramite un ordinato disegno dei campi e un sistema scolante gerarchizzato e orientato rispetto al fiume; i versanti collinari più ripidi del sistema appenninico ridotti a ripiani coltivabili per mezzo di ciglioni o di terrazzi, organizza ti secondo morfologie e

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tecnologie progressivamente più raffinate (a cavalcapoggio, a girapoggio, a spina) a evitare il dilavamento del terreno con coefficienti di deflusso e tempi di corrivazione ottimali. I processi di trasformazione riguardano, in varia misura, l’alterazione della rete scolante, tramite la distruzione dei terrazzamenti e gli accorpamenti progressivamente più estesi, il rimodellameto dei versanti e il riordino fondiario. LE COLTURE AGRARIE PREVALENTI. Sono state individuate le più significative all’interno della suddivisione primaria di: colture arboree, seminativi, pascoli, bosco. Tra le colture arboree, l’uliveto, quello specializzato a terrazzi, quello tradizionale (bassa densità di piante e piantumazione irregolare), quello moderno (fitto, regolare, a quiconce, a palmetta); il vigneto, distinguendo quello di podere (di limitate dimensioni anche se meccanizzato) dai grandi vigneti meccanizzati; il frutteto, di recente introduzione come coltura specializzata. I seminativi nelle due versioni irrigui e asciutti; il prato-pascolo. Oltre a questi figurano poi il castagneto, i vivai e i boschetti di podere. Tra le forme della trasformazione sono stati individuati l’eliminazione delle colture arboree che caratterizza ormai gran parte delle zone collinari e l’abbandono delle pratiche agricole. L’ultima parte della griglia riguarda i tipi insediativi, che si intrecciano organicamente col paesaggio agrario e ne costituiscono, anche sul piano figurativo, l’ossatura, distinti secondo la primaria opposizione, che è storica e insieme strutturale, tra il tipo concentrato e quello disperso per case coloniche; opposizione che non è mai radicale e si presenta nella realtà del territorio secondo parametri di prevalenza (la casa isolata mezzadrile non è del tutto assente nella montagna organizzata per aggregati della piccola proprietà contadina; così come gli aggregati costituiscono presenza di fasi storiche precedenti e nuclei di servizio dei sistemi appoderati della collina). I due tipi base, concentrato e disperso, prevedono poi un’articolazione in: centri murati, villaggi-strada, aggregati a forma aperta, aggregati di piccoli nuclei e aggregati di fattoria da una parte; e densità alta, media e bassa di case coloniche dall’altra. In questo ultimo gruppo, vengono poi considerati una serie di indicatori che riguardano i processi di trasformazione e di alterazione del sistema insediativo, e che vengono segnalati laddove assumono una frequenza significativa. Essi sono: - le grandi stalle e i fienili prefabbricati, tipici delle zone montane della zootecnia; - gli allevamenti avicoli e suinicoli e le grandi cantine vinicole, tipici della collina

ristrutturata; - i capannoni industriali sparsi, rapportabili alla presenza e alla prossimità dei centri e al

ruolo della viabilità principale; - l’urbanizzazione diffusa delle aree periurbane; - i nuovi annessi agricoli isolati, tipici del frazionamento periurbano e dell’agricoltura

marginale e di autoconsumo; - le lottizzazioni agricolo-residenziali lungostrada o per aggregati, legate al superamento

della mezzadria e della casa isolata e alla formazione di microaziende residenziali; - le case coloniche abbandonate, da rapportarsi a fenomeni opposti di trasformazione:

l’iperspecializzazione dell’attività agricola con eliminazione della funzione residenziale; la marginalizzazione e l’abbandono dell’agricoltura delle aree altocollinari.

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3.4. La rappresentazione dei tipi di paesaggio e delle varianti Tipi e varianti individuati col procedimento sopradescritto e tramite la Scheda, che ne sostituisce la descrizione, mediante una forma sintetica che definisce i caratteri strutturali, sono rappresentati mediante due elaborati: 1. la Carta dei tipi di paesaggio agrario, nella quale sono perimetrati e differenziati tramite il segno grafico e il colore; 2. l’Album dei tipi di paesaggio agrario, esteso a considerare la quasi totalità dei casi mediante i seguenti strumenti: - la localizzazione nel territorio provinciale; - un campione della planimetria catastale che testimonia, dati i limiti temporali dell’aggiornamento, il disegno e la configurazione della trama agraria all’incirca degli anni ’50; - le foto aeree zenitali al ’56 e al ’94, che rappresentano, in un confronto immediato, il processo di semplificazione avvenuto sulla maglia e nelle colture agrarie, insieme con la progressione, talora impressionante, del bosco; - una sintesi grafica delle foto di cui sopra, atta ad evidenziare, in una sintesi interpretativa, i fenomeni di trasformazione; - foto prospettiche di insieme della situazione attuale; - la griglia o scheda con la selezione degli indicatori specifici di un dato tipo o variante.

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ELENCO DEI TIPI E DELLE VARIANTI DEL PAESAGGIO AGRARIO TIPI VARIANTI ALLUVIONI ANTICHE E RECENTI 1.FONDOVALLE STRETTI

a. molto stretti e scarsamente differenziati rispetto al pedecolle

b. molto stretti e fortemente differenziati c. molto stretti e con alluvioni terrazzate d. più ampi e differenziati

2. FONDOVALLE LARGHI 3. PIANURE

a. piana del Tevere non riordinata b. piana del Tevere sottoposta a riordino

fondiario c. piana di Arezzo e media valle dell’Arno tra

Castelnuovo e Giovi d. sistema dei “piani” di Cafaggio e Meliciano e. fattorie granducali della Val di Chiana f. piana dell’ Esse di Cortona e del Mucchia g. tessuti agricolo-residenziali h. pianura carsica di S. Cassiano

COLLINE FLUVIO-LACUSTRI 4. PIANALTI

a. sotto la Setteponti da Pian di Scò a Loro e del Borro

b. altri piani del fronte est tra Castiglion Ubertini e la Setteponti e del fronte ovest di Ponticino

c. altipiani di Cavriglia e Montevarchi d. fronte occidentale di Mercatale e

Valdambra e. piani rimodellati di S. Barbara

5. COLLINE ARGILLOSE DEL VALDARNO 6. COLLINE A STRUTTURA MISTA

a. collina d’Anghiari e di Mercatale (Monterchi) e di Monterchi

b. pedecolle M. S. Savino/Lucignano c. sistema della Val di Chiana occidentale e

colline di Brolio

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d. sistema della collina cortonese e. pedecolle di Rigutino e Policiano f. conca centrale casentinese g.

RILIEVI DELLA STRUTTURA APPENNINICA 7. SISTEMA TERRITORIALE DELL’ OLIVETO TERRAZZATO

a. fronte nord-est dal Valdarno alla Valdichiana

b. speroni dei monti del Chianti c. per isole interne al bosco tra Ambra e

Chiana d. a corona intorno ai centri storici

8. COLTIVI APPODERATI a. densi e continui a1.densi e continui dell’alto Casentino e alta

Valtiberina a2. densi e continui della piccola proprietà

contadina b. a macchia di leopardo interni al bosco

9. RILIEVI INSULARI ALL’ INTERNO DELLA PIANURA

10. COLTIVI DELLA MONTAGNA

a1. a campi chiusi a2. ristrutturati a querce fitte o rade a3. coltivi abbandonati in origine della

zootecnia b. sistemi di coltivi della piccola proprietà

intorno agli aggregati 11. AREE DI TRANSIZIONE

a. pascoli naturali b. arbusteti c. arbusteti arborati connessi a formazioni

geologiche particolari (ofioliti,alberese con fenomeni carsici)

AMBITO DELLE COLTURE E DEL FRAZIONAMENTO PERIURBANI

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Strutture agronomiche accorpate: continue con organizzazione di fattoria Discontinue frazionate: concentrazione coltivi dislocazione per fasce specializzate: - coltivi/castagneto - coltivi/pascoli naturali Maglia dei campi Fitta Media Rada accorpamenti con ridisegno parziale accorpamenti con ridisegno totale Forma dei campi regolare monorientata regolare pluriorientata Irregolare irregolare sistematica (mosaico) Regolarizzata Confini Recinzioni rete scolante Siepi siepi alberate vegetazione riparia muretti Sistemazioni agrarie Bonifiche ciglioni e terrazzi riordino fondiario rimodellamento dei versanti alterazione della rete scolante Colture agrarie prevalenti ex promiscuo (specializzaz. colture arboree) uliveto specializzato a terrazzi campi di uliveto tradizionale uliveto moderno vigneti di podere grandi vigneti meccanizzati seminativo irriguo seminativo asciutto prato-pascolo Castagneto boschetti di podere Frutteto Vivai eliminazione delle colture arboree coltivi abbandonati TIPI INSEDIATIVI concentrato: centri murati villaggi-strada aggregati a forma aperta aggregati di piccoli nuclei aggregati di fattoria disperso(per case coloniche) : a densità alta a densità media a densità bassa Modificazioni del sistema insediativo grandi stalle e fienili prefabbricati capannoni per allevamenti / cantine capannoni industriali sparsi urbanizzazione diffusa nuovi annessi agricoli isolati lottizzazioni agricolo-residenziali case coloniche abbandonate Altre modificazioni:

Scheda interpretativa dei Tipi e Varianti del paesaggio agrario

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LOCALIZZAZIONE DEI TIPI E DELLE VARIANTI DEL PAESAGGIO AGRARIO 1. FONDOVALLE STRETTI 1a. molto stretti e scarsamente differenziati rispetto al pedecolle Casentino 1. fondovalle del T. Gressa 2. fondovalle del T.Sova Valtiberina 3. valle della Centena Arezzo e Valdichiana 4. Vallecola del Faltognano 5. Vallecola di Busseto 6. Rio del Tegoleto 7. Fosso Infernaccio e Torrente Leprone 8. Fosso Gargaiolo 9. Basso corso del Fosso Vescina 10. Fosso Cerpella 11. Rio della Pescaia 12. Fosso Bagnolo a nord di Tregozzano 13. Torrente Castro 14. Torrente Bicchieraia e Fosso di Covole 15. alto corso del Vingone 16. Fosso Erpicone 17. Reglia Vecchia presso Fratticciola 18. Valcapraia a est di Montecchio di Cortona 19. Fosso Molinaccio presso Rinfrena 20. Fosso Masorone presso Gabbiano 21. Reglia delle Chianacce 1b. molto stretti e fortemente differenziati Casentino 1. fondovalle del T. Solano 2. fondovalle del Fosso Roille 3. fondovalle del Teggina presso Ortignano e San Piero in Frassino 4. fondovalle del Corsalone 5. fondovalle del Salutio presso Talla Valtiberina 6. alta valle del Tevere 7. fondovalle del Singerna a Lama di Caprese 8. fondovalle degli affluenti della Sovara in destra idrografica (Libbia, Il Rio, Rio della Teverina, Rio della Cestola, Rio di Tortigliano) 9. valle del Riccianello Valdarno 10. fondovalle del Faella 11. valli del B.ro Fornace, di Riofi e delle Cave 12. fondovalle delle Ville 13. vallecola del B.ro di Tasso 14. tratto della Val d’ Ascione 15. bassa valle dell’ Agna 16. vallecola del B.ro Oreno 17. vallecola di Riganzi 18. valli del S. Cipriano e del Vacchereccia 19. vallecole del B.ro Barulli e del B.ro al Sole

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20. vallecola del B.ro della Querce 21. vallecola del B.ro dei Frati 22. vallecola del B.ro al Quercio 23. fondovalle del torrente Giglio 24. valli del T. Dogana e del B.ro della Sabina 25. vallecola del B.ro Ornaccio 26. val di Lago 27. vallecola del Caposelvi a monte di Mercatale 28. fondovalle sotto Caposelvi del Rio omonimo 29. fondovalle dell’ Ambra a Bucine 30. alta valle dell’ Ambra a La Selva 31. valle del Lusignana 32. valli della Trove e dello Scerfio 33. vallecola del Palazzone Arezzo e Valdichiana 34. Torrente Chiassa 35. alto corso del Torrente Vescina 36. alto corso del Fosso Cerpella 37. Fosso di S. Chimento e Torrente Cerfone 38. T. Nestore presso l’ Ansina 39. T. Nestore a sud di Valuberti 40. alto corso della Minimella presso Falzano 41. alto corso del T. Seano alla confluenza con la Minima 1c. molto stretti e con alluvioni terrazzate Valtiberina 1. valle del Foglia 2. valle dell’Auro 3. valle della Tignana 4. valle dell’Afra Valdarno 5. bassa valle del Resco Simontano 6. fondovalle del Ciuffenna fra Loro e Terranuova 1d. più ampi e differenziati Casentino 1. fondovalle dell’Arno tra Bibbiena e Capolona, fondovalle del Salutio Valtiberina 2. valle della Sovara 3. valle del Cerfone 4. valle della Padonchia Valdarno 5. fondovalle del Ciuffenna a Terranuova 6. val d’ Ambra fra Pod. Poggigiobbi (Pietraviva) e Pogi Arezzo e Valdichiana 7. alto corso dell’ Esse 8. T. Niccone a sud di Mercatale 2. FONDOVALLE LARGHI Casentino 1. fondovalli dell’Arno (da Case d’Arno a le Chiane), dell’Archiano e confluenza del T. Teggina Valdarno 2. Valdarno di Matassino, S. Giovanni, Montevarchi e Levane 3. Valdarno di Laterina 4. valle dello Scerfio

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Arezzo e Valdichiana 5. fiume Arno tra Ponte Buriano e Castelluccio 6. basso corso dell’ Esse 7. valle del Foenna 8. Val di Chio

9. alto corso dell’ esse di Cortona e Rio di Montanare 3. PIANURE: 3a. Valtiberina 1. pianura del Tevere non riordinata 3b. Valtiberina 1. pianura del Tevere riordinata 3c. Arezzo e Valdichiana 1. piana di Arezzo e media valle dell’Arno tra Castelnuovo e Giovi 3d. Arezzo e Valdichiana 1. sistema dei “piani” di Cafaggio e Meliciano 3e. Arezzo e Valdichiana 1. fattorie Granducali della Val di Chiana 3f. Arezzo e Valdichiana 1. piana dell’Esse di Cortona e del Mucchia 3g. tessuti agricoli residenziali Arezzo e Valdichiana 1. Pieve al Toppo, Tegoleto e Badia al Pino 2. Montagnano e Alberoro 3. Rigutino e Frassineto 4. Poggio Ciliegio 5. Manciano e La Misericordia 6. tra Castiglion Fiorentino e La Nave 7. Fratta e S. Caterina 8. Monsigliolo 9. Montecchio di Cortona 3h. Valtiberina 1. pianura carsica di S. Cassiano 4. PIANALTI: 4a. pianalti del fronte est sotto la Setteponti da Pian di Scò a Loro e del Borro Valdarno 1. pianalti di Pian di Scò 2. pianalti fra Castelfranco, Piantravigne, Persignano e il Pian di Loro 3. pianalti di Caspriano, Montelungo e Traiana 4. pianalti di S. Giustino e Borro 4b. pianalti del fronte est fra Castiglion Ubertini e la Setteponti, di Laterina e del fronte ovest di Ponticino Valdarno 1. area fra Ganghereto, Cicogna, Traiana, Campogialli e Castiglion Ubertini 2. pianalti di Pod. Campora a sud di Tasso 3. pianalti di Casanuova, Latereto e Vitereta 4. pianalti di Laterina 5. pianalti di C. Pozzo ad est di Laterina 6. area in sinistra d’ Arno fra Poggio Bagnoli, Rimaggio, S. Maria in Valle, Impiano e C. al Cincio 4c. pianalti di Cavriglia e Montevarchi e del fronte occidentale di Mercatale, di Levane e Valdambra

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Valdarno 1. pianalti di C. I Piani e de Il Casalone 2. area fra La Selva e Scrafana 3. area fra Rendola, Mercatale, Caposelvi, Campitello, Bucine, Pogi e Vepri 4. pianalti de La Querce e Montalto 5. pianalti di Pod. Bellavista ad Ambra 6. pianalti di Ambra e Pietraviva 7. pianalti del B.ro Asciana 8. pianalti di Pod. Selvapiana, de La Selva e Poggigiobbi 9. pianalti di Case Pestio e Pod. S. Antonio (sotto Rapale) 10. collina di Ponticelli e di Pod. Biricoccolo 4d. piani rimodellati di S. Barbara Valdarno 1. area di Meleto e S. Barbara 2. area fra Cavriglia e Vacchereccia 5. COLLINE ARGILLOSE DEL VALDARNO Valdarno 1. colline di Matassino e Faella fra il Resco ed il Faella 2. colline di Castelfranco, Renacci e di Treggiaia fra il Faella e il Riofi 3. colline ai piedi di Poggitazzi 4. rilievi delle Ville e di Pozzi fra il Riofi e il Ciuffenna 5. colline a sud di Terranuova fra il Ciuffenna e l’ Arno 6. colline di Cetinale (S. Giovanni) 7. colline di Meleto 8. rilievi fra il S. Cipriano e il Vacchereccia 9. colline ad ovest di S. Giovanni fra il Vacchereccia e il B.ro dei Frati 10. colline di Montecarlo e Ricasoli fra il B. ro dei Frati e il T. Giglio 11. collina dei Cappuccini di Montevarchi 12. collina di S. Tommè fra il B.ro della Sabina e il T. Dogana 13. colline della Ginestra di Montevarchi, del Ginepro e di C. dei Monti (fra il Dogana ed il Caposelvi) 6. COLLINE A STRUTTURA MISTA: 6a. colline d’ Anghiari e Monterchi Valtiberina 1. collina di Anghiari 2. colline di Mercatale di Monterchi e Monterchi 6b. pedecolle di Monte S. Savino / Lucignano Arezzo e Valdichiana 1. crinale da Rialto a Fabbriche 2. da podere S.Pietro a Poschini 3. settore sud-ovest di Lucignano 6c. sistema della Val di Chiana occidentale e colline di Brolio Arezzo e Valdichiana 1. tra S.Giuliano e S.Mugliano 2. da Viciomaggio a Marciano 3. da Gricena a S.Maria delle Vertighe 4. tra l’ Esse e il Fosso Gargaiolo 5. tra Marciano e Foiano 6. Brolio e piani di Castroncello 6d. sistema della collina cortonese Arezzo e Valdichiana 1. bassa collina cortonese 2. pedecolle di Terontola e Cortoreggio 6e. Arezzo e Valdichiana 1. pedecolle di Rigutino e Policiano 6f. conca centrale casentinese Casentino

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1. colline tra Porrena, Memmenano e Farneta 2. tra Partina e Poggiolo 3. colline di Bibbiena, Campi e valle del T. Vessa 7. SISTEMA TERRITORIALE DELL’OLIVETO TERRAZZATO: 7a. fronte nord-est dal Valdarno alla Valdichiana Valdarno 1. fascia pedemo ntana compresa fra il promontorio di Menzano e la valle del Ciuffenna 2. testata del versante di Modine 3. versante di M. Pio e P. Sarno fra Loro Ciuffenna e S. Giustino 4. versanti della valle dell’ Agna fra Pratovalle e S. Giustino 5. fascia pedemontana di Castiglion Fibocchi e Pieve S. Giovanni 6. fascia pedemontana di Busseto, Poggio al Pino Arezzo e Valdichiana 7. a ovest di Ruscello 8. a monte di Battifolle 9. Viciomaggio 10. da Tuori a Dorna 11. tra Dorna e Civitella 12. da Castelnuovo di Subbiano alla Chiassa 13. a est della Chiassa Superiore 14. a nord-est di Arezzo 15. da Capodimonte a Policiano 16. Vitiano e a nord della Val di Chio 17. a est della Val di Chio 18. a sud della Val di Chio 19. Pergo 20. da Montanare al confine provinciale 21. da Ossaia a Terontola 7b. speroni dei Monti del Chianti Valdarno 1. versante di Pian Franzese e S. Martino 2. fascia pedemontana di Massa (Castelnuovo dei Sabbioni) e S. Pancrazio 3. rilievi di Montaio 4. versante di Monastero (Cavriglia) e Castiglioncello - Cammenata 5. colline di Montegonzi, Moncioni e Ventena 6. colline di Rendola e Mercatale e Galatrona 7. area di S. Leolino e Cennina 8. area di Duddova e S. Martino 9. colline di Pietraviva a sud di Poggio S. Lucia 10. rilievi di Montebenichi 7c. per isole interne al bosco tra Ambra e Chiana Valdarno 1. collina di Montozzi e Castiglion Alberti 2. rilievi fra Val d’ Ambra e Val di Chiana 7d. a corona intorno ai centri storici Valdarno 1. collina di Pergine 2. collina di Pieve a Presciano Arezzo e Valdichiana 3. Tuori 4. Dorna 5. Oliveto 6. Ciggiano e Maiano 7. Lucignano 8. Pieve di Rigutino

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9. Montecchio 10. Cortona 8.COLTIVI APPODERATI: 8a. densi e continui Casentino 1. collina di Porciano 2. colline di S. Donato, Corsignano e Agna ai piedi di monte Orsario e Poggio Tondo 3. coltivi di Borgo alla Collina 4. colline di S. Martino a Monte 5. collina di Marciano e Gressa 6. colline di Strumi Poppi, Buiano e vallecola del fosso Bora 7. collina di Riosecco 8. collina di Terrossola e Casalecchio 9. collina di Poggersona Poggio Baldi e Tulliano 10. collina di Salutio 11. collina di Nassa 12. fronte collinare in sinistra d’Arno a nord di Subbiano, e collina di Valenzano, Poggio d’Acona e Rassina 13. Fronte collinare a ovest di Capolona, colline di Bibbiano, Migliarino, Cenina, Ponina, il Santo 14. collina di S. Martino Sopr’Arno Valtiberina 15. collina di villa Scarliano 16. collina di Tizzano e Villa Pinciano 17. coltivi di Baldignano e Villalba 18. coltivi collinari di S. Sepolcro, Gragnano e Poggio dei Comuni 19. coltivi di Scoiano 20. coltivi di Catigliano e Pantaneto 21. collina di Padonchia 22. collina di S. Lorenzo 23. collina di Petretolo Arezzo e Valdichiana 24. da Olmo a Castiglion Fiorentino 25. a nord di Palazzo del Pero 26. a est della Valcerfone 8a1. densi e continui dell’alto Casentino e alta Valtiberina Casentino 1. colline orientali di Stia e Pratovecchio 2. colline occidentali di stia e Pratovecchio 3. colline di Lierna e Freggina 4. collina di Banzena 5. coltivi collinari sulle pendici di Monte Ferrato 6. colline di Cornano, Zenna e Lorenzano 7. colline di Ghiora e Montecchio Valtiberina 8. coltivi dei bassi versanti collinari di Pieve S. Stefano 9. coltivi di Ponte alla Piera 8a2. densi e continui della piccola proprietà contadina Casentino 1. colline di Casato, Lonnano, Valiana e Casalino nella valle del Fiumicello 2. colline di Castel Focognano e Pretella 3. collina di Chitignano, Rosina e Croce di Sarna 4. collina di Ornina 5. colline di Talla, Bagnena, Bicciano 6. coltivi di Vogognano 7. coltivi di Giuliano 8. coltivi di Falciano Valtiberina

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9. medio versante destro della valle del Singerna da Caprese Michelangelo a Manzi 8b. coltivi appoderati a macchia di leopardo Casentino 1. Campotosoli, Campolombardo, Coffia 2. media valle del T. Scheggia 3. alta fascia collinare di Monte Orsario e Poggio Tondo 4. versante orientale di Poggio Bastia 5. Poggio Ginestrino 6. sul versante destro della media valle del Teggina 7. versante sinistro del Corsalone e media valle del Rassina 8. media valle del Rio Soliggine e T. Faltona 9. colline di Santa Mama 10. colline di S. Maria del Bagno, Nassa e Cornano 11. alta valle del Lavanzone e Poggio di Gello Biscardo 12. versante meridionale di Monte Altuzzo e colline tra San Martino sopr’Arno e Bibbiano Valtiberina 13. versanti destri del T. Chiassa, della Valsovara, del Cerfone e Padonchia 14. coltivi della media collina nella fascia tra Villalba e S. Sepolcro e nella media valle dell’Afra Arezzo e Valdichiana 15. Gello e Campriano 16. alta Valcerfone e montagna cortonese 9. RILIEVI INSULARI ALL’INTERNO DELLA PIANURA: Arezzo e Valdichiana 1. Ceciliano 2. Puglia 3. Chiani 4. Poggiola 5. Monticello 10.COLTIVI DELLA MONTAGNA: 10a1. a campi chiusi Casentino 1. campi chiusi di Compito e Villa Valtiberina 2. campi chiusi di Pratieghi 3. campi chiusi di Petrella 4. campi chiusi a ovest di Rofelle, Badia Tedalda, del versante destro della valle del Presale e del Fiumicello (da Villa – Belvedere a Motolano), di Stiavola 5. campi chiusi di Fresciano e Caprile 6. campi chiusi di Monteviale 7. campi chiusi di Valdibrucia 8. campi chiusi di Montelabreve 9. campi chiusi della media valle dell’Auro 10. campi chiusi del passo delle Gualanciole 11. campi chiusi di Bulcianella, S. Apollinare e dell’alta valle del Rio Cananeccia 12. campi chiusi di Salutio e Sovaggio 10a2. ristrutturati a querce fitte o rade Casentino 1. di Gualdo-Matteraia Valtiberina 2. coltivi dell’isola amministrativa di S. Sofia e Ca’ Raffaello 3. alti versanti destro e sinistra della valle del Tevere (Cananeccia, Bulciano, Ville di Roti, Moggenano) 4. media valle del Marecchia tra Pratieghi e Caprile 5. coltivi del versante sud del poggio dove sorge Badia Tedalda e del monte Cocchiola, coltivi di Viamaggio 6. alta valle del Foglia (Sestino e Miraldella) 7. versante sinistro dell’Alta valle del Tevere da Castelnuovo-Brancialino-Collungo, con una lingua di

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collegamento con i coltivi montani di Sparti e Sintigliano 8. coltivi di Montalone, Mignano, Armena, Marcena, Stratino 9. versante settentrionale del rilievo su cui sorge Caprese Michelangelo, coltivi di Dicciano-Covivole, Sigliano. 10. versante destro del Singerna (Papiano, Selvaperugina ecc.) 11. versante sud-ovest dell’Alpe della Luna (La Spinella, Germagnano, Prati Alti) 10a3. coltivi abbandonati in origine della zootecnia Casentino 1. alte valli dell’Archiano e del Corsalone 10b. coltivi della piccola proprietà contadina intorno agli aggregati Casentino 1. di Vallucciole e Serelli 2. Villa di Castelcastagnaio 3. di Caiano 4. di Montemignaio 5. di Battifolle e Vertelli 6. Barbiano , Valgianni, San Pancrazio, Pratalutoli, Cetica 7. Prato di Strada, Strada, Castel San Niccolò e Torre 8. Spalanni 9. Garliano e Case Micheli 10. Quorle e Carpineto 11. San Martino in Tremoleto 12. Quota 13. Ortignano-la Villa 14. Badia Tega 15. Santa Maria di Carda, Carda e Calleta 16. Faltona-la Villa, Castelnuovo 17. Capraia 18. Pieve Pontenano, Pontenano 19. Papiano 20. Serravalle 21. Dama Valtiberina 22. coltivi di Fragaiolo e Valboncione 23. intorno dell’aggregato di Montagna 11. AREE DI TRANSIZIONE: 11a. Pascoli naturali Casentino 1. della Consuma e Ponticelli 2. crinale del Pratomagno 3. pascoli di Chiusi della Verna Valtiberina 4. a Pratieghi 5. ai piedi del Sasso Simone e Simoncello 6. Prati della Regina sull’Alpe di Catenaia 7. dei Monti Rognosi 11b. arbusteti Casentino 1. pendici meridionali del Falterona 2. arbusteti del Pratomagno nell’alta valle del Rifiglio e del T. Fiano e di Poggio Pomponi 3. Poggio Segaticcio 4. alta valle della Sova e intorni di Moggiona 5. Poggio Caldine e Poggio Fallito 6. versante sud occidentale di Catenaia Valtiberina 7. zona compresa tra M. Maggio e i campi chiusi di Petrella

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8. zona a nord-est di Martigliano 9. zona a est dei campi chiusi di Rofelle sul confine regionale 10. fascia degli arbusteti di Monte Botolino e Tramarecchia 11. ampia zona che si estende dal monte Cocchiola al Poggio Sambuco, al Passo di Viamaggio al Poggio Gallione 12. arbusteti di Monterano 13. arbusteti della valle dell’Auro 14. fascia sommitale del Monte Fungaia 15. arbusteti a nord-est di Montagna 16. crinale di Monte Castiglione-Poggio di Scanno e Alpe di Poti Valdarno 17. brughiere di Monte Acuto e Poggio alla Regina 18. crinali di Poggio agli Incisi, Montrago e di Cocollo 19. versanti di Rocca Ricciarda e Aia Cupa a sud della Croce di Pratomagno 20. brughiere di Monte Pio e Poggio Sarno 21. arbusteti di Poggio Cuculo e Poggio Macchione sopra Castiglion Fibocchi Arezzo e Valdichiana 22. M. Castellaccio e Alpe di Poti 23. dorsale di Lignano 24. foce di rigutino 25. Poggio Falzoli e Poggio Castiglion Maggio 26. Monte Corneta e Badia di Largnano 27. Poggio dello Spicchio e Monte Civitella 28. Poggio della Montanina e Poggio Tondo 29. Monte Cuculo, Poggio le Rocche e monte Ginezzo 30. Monte Contino 11c. arbusteti arborati connessi a formazioni geologiche particolari (Ofioliti, Alberese con fenomeni carsici) Casentino 1. formazione dell’Alberese di Poggio Caldine e Corsalone Valtiberina 2. ofioliti di Poggio delle Calbane e Monte Petroso AMBITI DELLE COLTURE E DEL FRAZIONAMENTO PERIURBANI Valtiberina 1. Sansepolcro 2. Anghiari Arezzo e Valdichiana 3. Arezzo 4. Civitella della Chiana 5. Monte S. Savino 6. Marciano della Chiana 7. Pozzo 8. Foiano 9. Brolio 10. Castiglion Fiorentino 3.5. Gli strumenti analitici e normativi UNITA' di paesaggio e TIPI di paesaggio Le unità di paesaggio (in numero di 81 su 39 Comuni) sono state definite in rapporto alla identità dei luoghi e costituiscono indirizzo e premessa per i sottosistemi territoriali e per gli statuti dei luoghi dei Piani Strutturali.

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Esse sono state definite come insieme articolato di realtà diverse: bosco, coltivi, sistema insediativo, documenti materiali della cultura e memoria collettiva. Costituiscono una maglia diversa e più fitta rispetto ai confini comunali e riattribuiscono le varie parti dell'articolazione territoriale dei Comuni a sub-sistemi dotati di identità storica e morfologica.(si pensi al Comune di Anghiari: l'alta valle del Cerfone di Ponte alla Piera appartiene al sistema di Catenaia, la piana del Tevere con la collina di Anghiari si congiunge con la piana di Sansepolcro a formare l'Unità Piana del Tevere, il tratto anghiarese della valle del Cerfone di Monterchi da annettere al sistema più vasto della Bassa valle del Cerfone). Le Unità di paesaggio, oltre che ambiti di analisi, costituiscono ambiti di programmazione urbanistica e di gestione delle relazioni tra le varie parti costitutive. I Tipi di paesaggio si definiscono a partire dal diverso valore semantico tra unità e tipo: l'unità rimanda alla identità di un luogo, il tipo alla ripetibilità di un sistema agronomico in luoghi diversi (si pensi all'uliveto a terrazzi che attraversa la Provincia dal Valdarno a Cortona). I Tipi hanno un fondamento naturale che rimanda alla geologia/litologia e alla altimetria/clima, così come i tipi ambientali dell'Ecologia del paesaggio. Nei Tipi giocano, tuttavia, un ruolo fondamentale la Storia del territorio, i Sistemi agronomici, la Struttura della proprietà, il Sistema insediativo sparso e concentrato. Al contrario delle unità di paesaggio (insieme articolato di realtà diverse), i Tipi si definiscono come insiemi omogenei di forme d'uso del suolo che di norma non ha rapporti significativi coi confini comunali. Essi sono stati individuati e descritti con una Tavola di zonizzazione (la Carta dei tipi di paesaggio), con un Elenco e con una Scheda. Essi costituiscono le unità di riferimento e diversificazione della normativa agricola e gli ambiti di verifica delle Tipologie aziendali da rapportare alle varie agricolture della Provincia(si pensi, ad esempio, alla ricca articolazione del Valdarno - pianalti sotto la Setteponti, altri pianalti, colline argillose, fondovalle dell'Arno, speroni olivati dei Monti del Chianti - e quindi alla necessità di riferire norme e tipologie aziendali a questa articolazione). 3.6. Il paesaggio agrario: processi di trasformazione e permanenze La nozione di tipo tende a fissare, in modo sincronico, un insieme di caratteri strutturali (cfr. Scheda), che possono essere ricondotti, nella loro forma compiuta, al primo dopoguerra; caratteri i quali, al contrario, sono stati oggetto, negli ultimi 30 anni, di profondi processi di trasformazione. Questi hanno riguardato: l'eliminazione della coltura promiscua ridotta a seminativo o prato-pascolo tramite l'abbattimento delle piantate, la maglia e il disegno dei campi tramite progressivi accorpamenti di varia dimensione, la ristrutturazione della rete scolante e delle sistemazioni fondiarie, la pseudospecializzazione dell'oliveto, ecc. Processi che hanno portato a una progressiva semplificazione sia della maglia dei campi che dell'articolazione delle colture, finalizzate soltanto al mercato anziché, tramite le rotazioni, alla ricostituzione della fertilità del terreno e, tramite la policoltura, alle esigenze alimentari della famiglia contadina e del bestiame allevato. Questi processi hanno investito tutti i tipi di paesaggio, con una incidenza maggiore laddove le condizioni strutturali hanno favorito la formazione di un'agricoltura professionale e della grande azienda; in misura minore nelle aree periurbane da sempre

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molto frazionate, nella alta collina e nella montagna, con eccezione di quelle parti dove si è sviluppata la zootecnia. Questa diversa intensità e localizzazione dei processi ha determinato nel territorio della Provincia una sorta di puzzle fatto di aree caratterizzate dalla permanenza del tessuto agrario tradizionale, da trasformazioni consistenti ma non integrali e da trasformazioni radicali. L'analisi della maglia dei campi, condotta sulle foto aeree del "Volo Italia 1994", ha portato a un secondo tipo di zonizzazione costituito dalla Carta della Tessitura agraria. Dall'insieme delle analisi condotte sul paesaggio agrario si ha quindi la possibilità di procedere a una lettura sia di tipo sincronico (i tipi) che diacronico (le maglie), al fine di restituire compiutamente le varie agricolture della Provincia. 3.7. La tutela del paesaggio agrario Va da sè che le strategie della tutela saranno basate sia sui tipi (specifici e differenziati livelli di trasformabilità), che sulle maglie (tendenziale conservazione della maglia fitta e media, introduzione di elementi di naturalità nella maglia larga; N.B.: nella Regione Veneto sono gia stati introdotti 800 km. di siepi tramite la promozione regionale e provinciale). Le ragioni della tutela dei tessuti agrari tradizionali sono di varia natura: - i valori estetico-formali inerenti alla forma e al disegno dei campi, alla permanenza delle colture arboree, della densità e varietà colturale, tipici dei paesaggi toscani e condizione anche, nell'intreccio virtuoso di luoghi e produzioni, del loro valore economico; - la stabilità del suolo e la difesa idraulica dovute alle sistemazioni fondiarie tradizionali, alla specifica capacità di invaso, a una rete scolante articolata e diffusa che comportano tempi di corrivazione lunghi, coefficenti di evapotraspirazione più alti dovuti alla permanenza delle colture arboree e a varietà di seminativi con tempi di semina differenziati. - condizioni favorevoli alla biodiversità e alla difesa biologica dai parassiti, dovute alla presenza di vegetazione arborea e arbustiva: - presenza significativa di forme di conduzione "non professionali", ma ricche di significato sul piano sociale e insediativo (ex mezzadri, pensionati, residenzialità rurale, ecc.); - valori etici inerenti al paesaggio come patrimonio collettivo, alla sua permanenza,

riconoscibilità e identificazione che devono prevalere sugli aspetti produttivistico-aziendali, evitando tuttavia i conflitti tramite possibili mediazioni in un quadro di politiche di sostegno da perseguire anche a livello zonale, cioè per tipi di paesaggio.

3.8. Tipi di paesaggio e normativa per le zone agricole Le norme per le zone agricole, di cui alle competenze specifiche della Provincia sancite dalla LR 25/97 e alle competenze più generali del PTC in materia paesistica, nascono da un approccio integrato tra il gruppo di economisti agrari, incaricato dall’Assessorato all’Agricoltura, e l’Ufficio del PTC. I primi si sono mossi a partire dalla individuazione delle “zone agronomiche” della Provincia (cfr. Carta delle zone agronomiche), ambiti territoriali assai ampi che contengono, di norma, più tipi di paesaggio, all’interno delle quali sono state individuate le tipologie aziendali ricorrenti, così come i rapporti parametrici tra edifici rurali e dimensione del fondo.

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Va da sé che risultati ottimali si sarebbero ottenuti facendo coincidere zone agronomiche e tipi/varianti di paesaggio; obiettivo tuttavia irrealistico sul piano della dimensione della ricerca e della quantità di indagini da condurre. Tuttavia, anche nelle condizioni date, l’intreccio perseguito tra zone e tipi comporta un buon grado di approssimazione. Nella definizione della normativa il compito prevalente degli economisti agrari ha riguardato la messa a punto delle tipologie aziendali (le superfici fondiarie minime) e del rapporto tra edifici e fondo, secondo un’articolazione specifica delle varie zone agronomiche; quello dell’Ufficio di piano, di considerare prevalentemente gli aspetti relativi alla edificabilità e agli interventi di sistemazione ambientale, filtrati, entrambi, attraverso la griglia dei tipi di paesaggio agrario.

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