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Consiglio Superiore della Magistratura Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale Incontro di studio sul tema La prova nel processo civile Roma, 11-13 giugno 2012 Casistica giurisprudenziale in tema di formazione e valutazione della prova: simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato. Gruppo di lavoro coordinato da Giuseppe De Gregorio (Giudice del Tribunale di Palermo)

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Consiglio Superiore della MagistraturaNona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale

Incontro di studio sul tema

La prova nel processo civile

Roma, 11-13 giugno 2012

Casistica giurisprudenziale in tema di formazione

e valutazione della prova:

simulazione negoziale

e prova del negozio dissimulato.

Gruppo di lavoro coordinato

da Giuseppe De Gregorio

(Giudice del Tribunale di Palermo)

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

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La simulazione1 è il fenomeno dell’apparenza contrattuale creata intenzionalmente, che si

ha quando le parti stipulano un contratto con l’intesa che esso non corrisponda pienamente alla

realtà del loro rapporto (simulazione cd. relativa), ovvero in realtà non intendono costituire

alcun rapporto contrattuale (simulazione cd. assoluta). La simulazione relativa può interessare

uno o più aspetti del contenuto del contratto, ovvero riguardare i soggetti (cd. interposizione

fittizia).

Elementi principali sono l’apparenza contrattuale e l’accordo simulatorio. Il codice civile

del 1942 si occupa di disciplinare gli effetti della simulazione, differenziando tra quanto rileva

per le parti del contratto, e quanto attiene le conseguenze per i terzi.

Per i primi, vale il principio che il contratto simulato è senza effetto tra le parti; quindi

trattasi di ipotesi di (secondo l’opzione interpretativa dell’art. 1414 c.c. maggiormente seguita –

risultando ormai sostanzialmente superata la indicazione in termini di nullità2, di cui ad esempio

trovasi traccia in Cassazione civile 23 ottobre 1991 n. 11215 -) inefficacia, in quanto la

simulazione non integra una irregolarità del contratto (violazione di norme imperative,

impossibilità dell’oggetto, etc.). In altri termini, il contratto simulato è inefficace perché questa

è la sostanziale volontà dei contraenti, nel senso della sua inidoneità a produrre effetti fra le

parti, senza che ciò implichi alcuna incompletezza o invalidità della fattispecie posta in essere,

la quale rileva, invece, per i terzi e produce effetti, nei termini specificati dallo stesso

1 Questa parte introduttiva riprende C.M. Bianca Diritto Civile, vol. 3, Milano 1987.2 Che si fonda sul disposto di cui all’art. 1418 II co. c.c., per cui non c’è valido contratto senza volontà delle parti:cfr. F. Galgano, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Milano 1998.

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legislatore3. Ma a questo aspetto se ne accompagna un altro: l’ordinamento – e non per la

volontà dei contraenti – impone l’inopponibilità della simulazione a chi possa riceverne

nocumenti.

Come detto, la mancanza di efficacia dipende dalla volontà delle parti: sono queste a

stabilire che il contratto non deve avere effetti, ovvero che deve avere effetti diversi da quelli

apparenti (a meno che le stesse parti non intendano attribuire efficacia al contratto simulato

mediante la revoca dell’accordo simulatorio).

In genere le parti creano tale apparenza negoziale - non corrispondente al reale - col

proposito di eludere diritti o aspettative di terzi. L’intento fraudolento non è tuttavia elemento

necessario della simulazione: il codice civile infatti si sofferma sulla tutela dei terzi, sia di quelli

pregiudicati dal contratto simulato sia di quelli che confidano sulla serietà di tale contratto, nei

termini che seguono4. 1) Ciò che è simulato non ha effetto tra le parti; tra le parti ha effetto la

situazione realmente voluta (salvi i limiti della prova della simulazione); 2) i terzi pregiudicati

dal contratto simulato possono fare valere la situazione reale; 3) i terzi che hanno confidato in

buona fede nel contratto simulato possono fare valere la situazione apparente.

Regole puntuali sono poi dettate per regolare il conflitto tra diversi terzi, quelli che hanno

confidato nella serietà del contratto e terzi che possano risultare pregiudicati dalla simulazione.

In ordine alla prescrizione dell’azione, la distinzione fondamentale non è tanto fra

simulazione assoluta e relativa, quanto fra il carattere meramente dichiarativo dell’azione, che

induce ad affermarne l’imprescrittibilità (indipendentemente dalla prospettazione della

domanda di simulazione come assoluta, che importa senz’altro un mero accertamento negativo,

ovvero come relativa) e la natura costitutiva dell’azione tendente all’affermazione di un diverso

assetto di rapporti fra le parti rispetto a quello desumibile dal contratto simulato, che sconta

invece la prescrizione decennale, rapportata ai diritti che si intendono affermare in quanto nati

dal negozio dissimulato o pregiudicati da quello simulato. Di seguito, alcuni esempi per meglio

rappresentante quanto sin qui evidenziato.

Quando l’azione di simulazione relativa è diretta a far emergere il reale mutamento della

realtà voluto dalle parti con la stipulazione del negozio simulato, tale azione si prescrive

nell'ordinario termine decennale; quando invece è finalizzata ad accertare la nullità tanto del

negozio simulato, quanto di quello dissimulato (per la mancanza dei requisiti di sostanza e di

forma), rilevando l'inesistenza di qualsiasi effetto tra le parti, tale azione non è soggetta a

3 F. Macario, La simulazione nel negozio giuridico, relazione tenuta in occasione di incontro di studi del C.S.M.,Roma 2001.

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prescrizione (in particolare, non è stata ritenuta soggetta a prescrizione l’azione con la quale

l’attrice chiede l’imputazione o il rientro nella massa ereditaria di beni venduti a terzi,

sostenendo che in realtà tali compravendite dissimulano una donazione ad un soggetto diverso,

nulla per difetto di forma: cfr. Cassazione civile, 18.8.1997 n. 7682, in Giur. it., 1998, 1342).

Anche l’azione di simulazione relativa, come quella di simulazione assoluta, è

imprescrittibile, se, anziché tendere ad accertare il negozio dissimulato per farne valere gli

effetti, è volta ad accertarne la nullità, come nel caso in cui un legittimario agisca per accertare

l’appartenenza al patrimonio ereditario di beni solo apparentemente alienati dal de cuius, ma in

realtà donati ad altro legittimario, per interposta persona, con atto nullo per difetto di forma (cfr.

Cass. 7682/1997, già richiamata).

Si è pure sostenuto che l’azione di simulazione relativa, in quanto diretta ad accertare la

nullità del negozio simulato, è imprescrittibile (al pari dell’azione di simulazione assoluta),

potendo il decorso del termine incidere solo indirettamente sulla proponibilità di tale azione, nel

senso che la prescrizione dei diritti che presuppongono l’esistenza del negozio dissimulato può

far venir meno l'interesse all'accertamento della simulazione del negozio apparente (Cassazione

civile 16.1.1997 n. 382, in Foro it., Rep. 1997, voce Simulazione civile, n. 24). E ancora:

l’azione di simulazione relativa per interposizione fittizia di persona, in quanto non mira a far

riconoscere gli elementi costitutivi di un negozio diverso da quello voluto, bensì a

quell'identificazione del vero contraente celato dall’interposto, che è in rapporto di derivazione

immediata dall’accertamento della simulazione, ha carattere dichiarativo e, quindi, è

imprescrittibile, al pari della corrispondente eccezione (cfr. Cassazione civile 05.4.1984 n.

2225, in Foro it., Rep. 1984, voce Simulazione civile, n. 8); l’azione diretta a far dichiarare la

simulazione soggettiva dell’atto costitutivo di spa per interposizione fittizia di persona è

imprescrittibile in quanto rivolta a sostituire nella titolarità delle azioni i soggetti reali a quelli

fittizi (cfr. Trib. Napoli, 30-12-1981, in Dir. e giur., 1982, 652).

La simulazione può avere ad oggetto anche i negozi unilaterali se in quanto sussista

l’accordo simulatorio tra l’autore del negozio e il destinatario dell’atto (art. 1414 c.c.).

Destinatario del negozio è colui nella cui sfera si producono gli effetti dell’atto. Per destinatario

si può anche intendere colui al quale l’atto è formalmente indirizzato; se il negozio non ha uno

specifico destinatario i suoi effetti si determinano secondo il suo significato sociale, e l’intesa

con un terzo qualsiasi non è sufficiente a smentire tale significato. Al partecipe dell’intesa può

tuttavia essere opposto il significato convenuto.

4 Ancora C.M. Bianca, op. cit. (precisandosi che dal suo testo è tratta ampia parte della presente premessa).

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Alla possibile simulazione di negozi unilaterali fa riscontro la simulazione di contratti

plurilaterali; in tal caso si richiede che l’accordo simulatorio intercorra fra tutte le parti. L’intesa

simulatoria, va detto, con alcuni dei compartecipi può incidere sui loro rapporti reciproci ma

non sul rapporto di partecipazione al gruppo: così ad es. la costituzione di un rapporto di società

può considerarsi fittizia solo se tutte le parti sono d’accordo sul significato apparente del

rapporto. Altrimenti, il socio deve considerarsi tale ad ogni effetto, salvo ciò che può essere

convenuto nei rapporti interni con gli autori dell’intesa simulatoria.

La evoluzione interpretativa giurisprudenziale (nel solco di quella dottrinaria) si è mossa

alla ricerca del punto di equilibrio tra apparenza e realtà, che si risolve nella scelta fra

l’interesse dei contraenti e quello dei terzi e, in ultima analisi, fra giustizia e certezza dei

rapporti giuridici.

E nel tratteggiare questa evoluzione va inserita qualche sintetica notazione anche sui profili

di natura processuale che derivano dalle norme sulla simulazione (artt. 1414/1417 cod. civ.). Si

pensi, ad esempio, al diverso trattamento dell’azione di simulazione rispetto a quella per far

accertare la nullità, in relazione alla disciplina della trascrizione ex art. 2652 c.c.5. O ancora, in

5 Art. 2652 c.c. Domande riguardanti atti soggetti a trascrizione. Effetti delle relative trascrizioni rispetto aiterzi.

Si devono trascrivere, qualora si riferiscano ai diritti menzionati nell'art. 2643, le domande giudizialiindicate dai numeri seguenti, agli effetti per ciascuna di esse previsti:1) le domande di risoluzione dei contratti e quelle indicate dal secondo comma dell'art. 648 e dall'ultimo commadell'art. 793, le domande di rescissione, le domande di revocazione delle donazioni, nonché quelle indicate dall'art.524.Le sentenze che accolgono tali domande non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in base a un atto trascritto oiscritto (2827 2848) anteriormente alla trascrizione della domanda;2) le domande dirette a ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre.La trascrizione della sentenza che accoglie la domanda prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro ilconvenuto dopo la trascrizione della domanda;3) le domande dirette a ottenere l'accertamento giudiziale della sottoscrizione di scritture private in cui si contieneun atto soggetto a trascrizione o a iscrizione.La trascrizione o l'iscrizione dell'atto contenuto nella scrittura produce effetto dalla data in cui è stata trascritta ladomanda;4) le domande dirette all’accertamento della simulazione di atti soggetti a trascrizione (2690).La sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un attotrascritto o iscritto (2827, 2848) anteriormente alla trascrizione della domanda;5) le domande di revoca degli atti soggetti a trascrizione, che siano stati compiuti in pregiudizio dei creditori.La sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede inbase a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda;6) le domande dirette a far dichiarare la nullità o a far pronunziare l'annullamento di atti soggetti a trascrizione e ledomande dirette a impugnare la validità della trascrizione.

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un caso l’affermazione della nullità del negozio affetto da simulazione assoluta aveva

consentito di affermare la rilevabilità d’ufficio del vizio, nel senso che la simulazione assoluta,

costituendo motivo di nullità del negozio per difetto di causa, era ritenuta rilevabile d’ufficio ai

sensi dell’art. 1421 c.c. (Cassazione civile 14.1.1985 n. 32, in Foro it., Rep. 1985, voce

Simulazione civile, n. 6).

Occorre pure rammentare l’interpretazione giurisprudenziale relativa al rapporto tra

dichiarazione di nullità del contratto e principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: in

tema di simulazione, atteso il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il giudice

non può ritenere la simulazione se nessuna delle parti ne alleghi l’esistenza, incorrendo

altrimenti nella violazione dell’art. 112 c.p.c.; tale principio deve essere coordinato con gli

ulteriori limiti stabiliti dalla legge processuale, per effetto dei quali la simulazione, che può

essere fatta valere sia in via di azione che di eccezione, nel primo caso deve essere proposta nel

giudizio di primo grado, a pena d’inammissibilità rilevabile anche d’ufficio, mentre nel secondo

caso può essere riproposta anche nel giudizio di appello (cfr. Cass. civile 9.6.2006 n. 13459, in

Foro it., Rep. 2002, voce Simulazione civile, n. 3; nello stesso senso: Cass. civile 20.10.2004 n.

20548; Cass. civile 14.1.2003 n. 435).

Con la sanzione di nullità si è soliti spiegare il regime della rilevabilità d’ufficio della

simulazione ma anche dell’imprescrittibilità dell’azione per farla valere, a parte l’ovvia

preclusione alla convalida del contratto simulato.

Se la domanda è trascritta dopo cinque anni dalla data della trascrizione dell’atto impugnato, la sentenza chel’accoglie non pregiudica i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto oiscritto anteriormente alla domanda. Se però la domanda è diretta a far pronunziare l’annullamento per una causadiversa dall’incapacità legale, la sentenza che l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede inbase a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, anche se questa è stata trascrittaprima che siano decorsi cinque anni dalla data della trascrizione dell'atto impugnato, purché in questo caso i terziabbiano acquistato a titolo oneroso;7) le domande con le quali si contesta il fondamento di un acquisto a causa di morte.Salvo quanto è disposto dal secondo e dal terzo comma dell’art. 534, se la trascrizione della domanda è eseguitadopo cinque anni dalla data della trascrizione dell'acquisto, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica iterzi di buona fede che, in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda, hanno aqualunque titolo acquistato diritto da chi appare erede o legatario;8) le domande di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima (554 eseguenti).Se la trascrizione è eseguita dopo dieci anni dall'apertura della successione, la sentenza che accoglie la domandanon pregiudica i terzi che hanno acquistato a titolo oneroso diritti in base a un atto trascritto o iscrittoanteriormente alla trascrizione della domanda;9) le domande di revocazione e quelle di opposizione di terzo contro le sentenze soggette a trascrizione per lecause previste dai nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 Cod. Proc. Civ. e dal secondo comma dell'art. 404 dello stesso codice.Se la domanda è trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione della sentenza impugnata, la sentenza che l’accoglienon pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente allatrascrizione della domanda (att. 226 e seguenti).

Alla domanda giudiziale è equiparato l'atto notificato con il quale la parte, in presenza di compromesso odi clausola compromissoria, dichiara all'altra la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale,propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.

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Va ulteriormente evidenziato che, secondo la prevalente giurisprudenza, quando la

simulazione viene fatta valere in via d’azione, con domanda principale o riconvenzionale, al

giudizio debbono prendere parte tutte le parti dell’accordo simulatorio e dei rapporti sui quali

esso ha inciso; il litisconsorzio necessario invece non sussiste se la simulazione viene dedotta in

via di eccezione e il relativo accertamento viene sollecitato solo incidenter tantum, al fine di

paralizzare la domanda (cfr. Cassazione civile 17 ottobre 1980 n. 5595, in Foro it, Rep. 1980).

Anche in caso di interposizione fittizia vi è necessità che partecipino al giudizio tutti i soggetti

facenti parte dell’accordo simulatorio.

Rimanendo in ambito processuale, e venendo al tema più specifico, oggetto del presente

lavoro, e cioè alla prova della simulazione (o, meglio, del negozio dissimulato), in ordine ai

limiti di tale prova nei rapporti tra le parti va segnalata la non rilevabilità d’ufficio degli stessi,

operando esclusivamente nell’interesse di parte. In altri termini, detti limiti di prova, non

avendo natura pubblicistica ed essendo diretti esclusivamente alla tutela dell’interesse delle

parti medesime, in caso di loro inosservanza, non sono rilevabili d’ufficio nel giudizio di

merito, né possono farsi valere, per la prima volta, nel giudizio di legittimità (cfr. Cassazione

civile 18.12.1986, n. 7674, in Foro it., Rep. 1986).

E perciò, ad esempio, con riguardo all’azione di simulazione di un contratto, che sia

proposta dall’erede di un contraente, questi ove agisca quale legittimario per la reintegrazione

della quota di riserva assume la veste di terzo in quanto, pur avendo causa dalla parte che ha

partecipato all’accordo simulatorio fa valere un suo diritto personale; per contro quando abbia

di mira l’acquisizione al patrimonio ereditario di un bene che ha formato oggetto di un contratto

simulato, cui ha partecipato il de cuius, è soggetto alle limitazioni previste dagli art. 1417 e

2722 c.c., in quanto si vale di un titolo che lo pone nella identica situazione giuridica del suo

dante causa: ma tali limitazioni operano se oggetto di espressa eccezione della controparte.

CASISTICA

> Cassazione civile sez. VI 23 marzo 2011 n. 6703 (Intervento in causa e litisconsorzio -

Giudizio avente ad oggetto azione ex art. 2932 c.c. in relazione a contratto preliminare di

compravendita - Intervento per far valere la simulazione di detto contratto - Ammissibilità –

Sussistenza).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

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ha pronunciato la seguente:

ordinanza

avverso la sentenza n. 1298/2009 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA del 13.10.08,

depositata il 23/07/2009; udita la relazione della causa, svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI PICCIALLI;

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 13/23.7.09 la Corte d'Appello di Venezia, in riforma della decisione di

primo grado, accoglieva la domanda di accertamento della simulazione assoluta di un

contratto preliminare di compravendita (stipulato con scrittura privata del 7.12.90), proposta

dalla banca in epigrafe indicata, con intervento dai giudici qualificato autonomo, a tutela delle

proprie ragioni di credito nei confronti del P., promittente venditore, nel corso del giudizio ex

art. 2932 c.c. nei confronti del medesimo instaurato dalla T..

Detta sentenza veniva impugnata sia dalla T., sia dal P., con distinti ricorsi, cui resisteva

la banca con rispettivi controricorsi, ciascuno contenente ricorso incidentale di identico

contenuto.

All'esito degli esami preliminari, il consigliere relatore formulava, ai sensi dell'art. 380 bis

c.p.c., proposte di reiezione, in data 21.4 e 28.10. c.c., del primo e del secondo ricorso, per

manifesta infondatezza dei rispettivi motivi, proponendo invece l'accoglimento di quelli

incidentali della banca.

Tali le ragioni della ravvisata infondatezza dei motivi del ricorso T.:

"1) il primo, deducente violazione e falsa applicazione dell'art. 105 c.p.c., per aver

qualificato autonomo e non adesivo dipendente l'intervento, non supera la corretta

argomentazione dei giudici di merito, che hanno evidenziato come la domanda

dell'interventrice, finalizzata alla conservazione della garanzia del proprio credito, gravame

sul bene promesso in vendita con il contratto preliminare (donde la connessione con l'oggetto

della causa principale), fosse diretta alla tutela di un proprio diritto, incompatibile con quello

fatto valere dall'attrice;

2) il secondo, deducente la violazione e falsa applicazione dell'art. 268 c.p.c., comma 2 e

art. 184 c.p.c., per aver dato ingresso alla domanda dell'interveniente, si pone in contrasto,

senza addurre nuovi e convincenti argomenti idonei a comportare un mutamento di indirizzo,

con il principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui

l'interveniente autonomo o litisconsortile, anche nei processi soggetti alle modifiche apportati

dalla L. n. 253 del 1990, non incontrammo alla precisazione delle conclusioni, preclusioni

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quanto alla proponibilità delle proprie istanze di merito, costituenti l'essenza stessa

dell'intervento, pur dovendo accettare, quanto all'attività istruttoria, il processo nello stato in

cui lo stesso si trova (v., tra le altre, n. 2564/08, 20987/07, 17418/07, 2093/07, 3186/06,

17587/05);

3) il terzo, deducente violazione e falsa applicazione dell'art. 2729 c.c., secondo cui gli

elementi presuntivi ritenuti dalla corte territoriale non risponderebbero ai requisiti della

gravità, precisione e concordanza e non avrebbero tenuto conto che il "patrimonio del P. era

immenso", si risolvono in inammissibili censure di merito avverso il convincente-apparato

argomentativo della decisione impugnata (tra l'altro evidenziante il rapporto, prima di

convivenza, poi coniugale, tra il P. e la T., e la strumentalità del giudizio, instaurato alcuni

mesi prima del fallimento delle imprese del promittente venditore, al fine di dare maggior

credibilità all'operazione negoziale, causa nella quale non vi era stato alcun effettivo contrasto

tra le parti); gli altri profili di censura sono comunque privi del requisito dell'autosufficienza

(nella parte in cui rinviano ad assunte risultanze documentali, senza riportarne il preciso

contenuto);

4) anche per il quarto motivo, deducente violazione e falsa applicazione dell'art. 1417 c.c.,

valgono le considerazioni sopra esposte, risultando le argomentazioni esposte dai giudici di

merito idonee, nel loro complesso, ad evidenziare la mera apparenza dell'operazione negoziale

e processuale dei coniugi P. - T., nè essendovi, in linea di principio, incompatibilità tra l'azione

di simulazione e l'intento di salvaguardare le garanzie del credito, che solo nella diversa

ipotesi di effettività dell'alienazione del bene esige l'esperimento dell'azione revocatoria.

Per il resto il ricorso, limitandosi, ai capi 5) e 6), a richiamare genericamente le eccezioni

svolte gradi di merito, non espone effettive e specifiche censure, riferibili al modulo legale di

cui all'art. 360 c.p.c., ma solo inammissibili deduzioni".

Quanto al ricorso P., le ragioni della ravvisata infondatezza erano le seguenti:

"I primi tre motivi, deducenti omessa motivazione su fatti decisivi e controversi, oltre a

risolversi nella proposta di rivalutazione delle risultanze processuali, inammissibile in sede di

legittimità, a fronte della convincente e logica ricostruzione della vicenda esposta nella

sentenza impugnata, incorrono nel palese difetto di autosufficienza, poichè deducono il

mancato esame di assunti elementi di prova, in particolare di alti e documenti, che sarebbero

stati prodotti o che si sarebbe voluto produrre, senza tuttavia riportarne, neppure nei passi

salienti e ritenuti decisivi, il relativo contenuto, così non consentendo al giudice di legittimità di

apprezzarne la rilevanza e decisività (v. tra le altre, Cass., n. 7767/07, 18505/06, 14973/06).

Analogamente inammissibile è la doglianza contenuta nel quarto motivo, non specificandosi il

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contenuto dei documenti dissequestrati dall'autorità giudiziaria tedesca, che si sarebbe voluto

produrre in termini, istanza peraltro che, come risulta dalla stessa esposizione del motivo, era

stata, tardivamente, formulata soltanto nella comparsa conclusionale in secondo grado.

Il quinto motivo, con il quale si lamenta l'omessa pronunzia sulla richiesta di sospensione

del giudizio civile, "in attesa delle decisioni della magistratura tedesca", è manifestamente

infondato alla luce del principio costantemente affermato da questa Corte (v. tra le altre Cass.

6478/05, 21477/04, 14875/04), circa l'indipendenza del processo civile da quello penale (a

maggio ragione in relazione a procedimento penale svoltosi all'estero) e, comunque, ove

riferito ad un procedimento civile, in assenza di alcuna pregiudizialità idonea a comportare la

richiesta di sospensione, le cui condizioni avrebbero dovuto individuarsi nell'attinenza della

causa pregiudicante a questioni costituenti antecedenti logico-giuridici necessari di quelle

devolute al giudice italiano. Quanto alla richiesta di sospensione, in attesa della decisione sul

ricorso che si assume presentato, senza meglio specificarne il contenuto (così incorrendo

nuovamente nel difetto di autosufficienza), alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la

stessa,avanzata soltanto nella comparsa conclusionale, era tardiva".

Premesso quanto precede, esaminate le memorie depositate per la T. ed il P. e le deduzioni

difensive esposte in udienza dal difensore della prima, preso atto delle adesive conclusioni del

P.G., riuniti ex art. 335 c.p.c., i ricorsi, il collegio ritiene di far proprie le argomentazioni

esposte dal relatore quanto alla palese infondatezza di tutti i motivi esposti nei ricorsi in

questione, ai quali le rispettive memorie non hanno aggiunto ulteriori convincenti elementi, tali

da indurre a diverse conclusioni.

Per quanto attiene, in particolare, al primo motivo del ricorso T., su cui particolarmente si

insiste nella relativa memoria illustrativa, va ribadita la natura autonoma dell'intervento

proposto dalla banca creditrice e, conseguentemente, dell'ammissibilità (non preclusa dalla

non iniziale fase processuale) della domanda di accertamento della simulazione dalla

medesima proposta, nel solco del costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo

cui al fine della relativa qualificazione è sufficiente la circostanza che la domanda

dell'interveniente presenti una connessione o un collegamento con quella di altre parti relativa

allo stesso oggetto sostanziatali da giustificare un simultaneo processo, particolarmente

allorchè la tutela del diritto vantato dall'interventore sia incompatibile con quella vantata

dall'una o dall'altra parte (v. Cass. 3748/94, 2160/04, 13667/06).

Nel caso di specie la creditrice, intervenuta al fine di far accertare la simulazione assoluta

del contratto preliminare di compravendita, ha esercitato un'azione dichiarativa della nullità,

come tale consentita a qualunque interessato la cui finalità era costituita dalla rimozione di

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quell'apparenza giuridica costituita dal negozio suddetto, la cui eventuale esecuzione in forma

specifica ex art. 2932 c.c., si sarebbe tradotta della sottrazione di un rilevante cespite del

patrimonio del debitore alle garanzie previste dall'art. 2740 c.c..

Il richiamo alla sentenza Cass. n. 21813/06 (che a sua volta richiama la n. 497/92) non

giova alla tesi sostenuta nel ricorso, non attenendo le citate pronunzie all'esperibilità

dell'azione di nullità per simulazione, bensì ad ipotesi in cui il creditore aveva ritenuto di agire

in revocatoria avverso sentenze ex art. 2932 c.c., già emesse, negandosi l'ammissibilità

dell'azione pauliana ex post, sul rilievo che il creditore avrebbe dovuto proporla intervenendo

nel giudizio di esecuzione in forma specifica; ed, a tal riguardosa qualificazione dell'intervento

che avrebbe dovuto in quella sede essere spiegato, quale adesivo dipendente, anziché autonomo

(comunque non decisiva ai fini della decisione assunta), non risultando sorretta da espressa

motivazione ad hoc, non può essere considerata alla stregua dell'affermazione di un principio

giurisprudenziale.

Per il resto il collegio si riporta alle argomentazioni contenute nella relazione preliminare,

ribadendo in particolare: a) la natura essenzialmente di fatto della maggior parte delle censure

proposte nei due ricorsi, non evidenzianti omissioni o vizi logici nella complessiva valutazione

e collegamento dei vari elementi indiziari operati dai giudici di merito ed quelli riservata; b) il

difetto di autosufficienza di altre, che non può essere colmato con le memorie (la cui finalità è

solo quella di illustrare e non anche quella di integrare, in caso di insufficienza, i mezzi

d'impugnazione); c) la radicale inammissibilità (per mancanza di specifiche censure riferibili

alle previsioni di cui all'art. 360 c.c.) dei "motivi" n. 5 e 6 del ricorso T., alle cui originarie

carenze del pari, non può supplire la memoria illustrativa; d) la non provata pregiudizialità

logico-giuridica dei giudizi che si assumono ancora pendenti in Germania tra il P. e la banca

creditrice, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte a Sezioni Unite (sent. n.

9440/04, in cui e stato affermato il principio che anche il creditore eventuale, le cui ragioni di

credito siano oggetto di accertamento in altra sede, è abilitato a proporre l'azione revocatoria,

senza attendere l'esito di quel giudizio) e tenuto conto peraltro che, come risulta dalla sentenza

impugnata (pag. 10 p.p.), il credito in questione risultava già da una sentenza del Tribunale di

Monaco, confermata in grado di appello e dichiarata esecutiva in Italia con decreto in data

19.3.98 della Corte d'Appello di Venezia.

I ricorsi della T. e del P. vanno, conclusivamente, respinti.

Quanto al ricorso incidentale della banca, in difformità dalla proposta del relatore, il

collegio ne deve dichiarare l'inammissibilità.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

12

Se è vero che nella sentenza di secondo grado manca alcuna pronunzia in ordine alla

richiesta di cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., deve

tuttavia rilevarsi che tale statuizione era già stata emessa dal giudice di primo grado, in

conseguenza della reiezione della domanda principale. La decisione di secondo grado, che ha

riformato quella del primo giudice soltanto in punto di accoglimento della, più radicale, azione

di simulazione assoluta, in luogo di quella revocatoria, ha lasciato ferma la reiezione della

domanda principale di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare e,

conseguentemente, la statuizione accessoria relativa alla cancellazione de qua: pertanto la

richiesta di un ulteriore provvedimento in tal senso da parte del giudice di appello e,

conseguentemente, la doglianza della relativa omissione di pronunzia, in questa sede proposta,

difettano di interesse.

Le spese del giudizio, infine, vanno poste a carico di ciascuno dei soccombenti, avuto

riguardo alla duplice costituzione e resistenza della controparte, e liquidate come da

dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quelli proposti da T.G. e da P.R.E., dichiara

inammissibile il ricorso incidentale proposto dalla LfA Fordernbank e condanna, in favore di

quest'ultima, ciascuno dei predetti ricorrenti, al pagamento della somma di Euro 3.200,00, di

cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011.

La prova6 è tradizionalmente considerata come una rappresentazione storica dei fatti

affermati quali accadimenti dalle parti. È, più semplicemente, strumento per l’accertamento di

quei fatti: la parte, attraverso la prova, tende alla formazione del convincimento del giudice,

mirando a far sì che la verità processuale possa coincidere (o quantomeno avvicinarsi il più

possibile) a quella reale-storica.

L’intera materia delle prove trova il suo snodarsi normativo (il cd. sistema della

bipartizione) tra i due codici civili: quello di diritto sostanziale e quello di diritto processuale.

6 Su questi temi, cfr. M. Suriano, Prova testimoniale e consulenza tecnica di ufficio, relazione tenuta ad incontro distudio del CSM, Roma 2010; M. Conte, Le prove civili, Milano 2005.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

13

E mentre quest’ultimo regola l’assunzione giudiziaria dei mezzi di prova, il codice civile

configura i tipi normativi di prova, fissando (art. 2697 c.c.) anche le regole riguardanti la

ripartizione, tra i soggetti del processo, dell’onere della prova. Per la previsione appena citata,

l’attore ha l’onere di provare i fatti costitutivi ed il convenuto i fatti estintivi, impeditivi o

modificativi.

La disamina che segue mira ad una sintetica ricognizione, e ad evidenziare in particolare le

soluzioni giurisprudenziali offerte su taluni aspetti dibattuti afferenti la simulazione; non

dimenticando che il nostro sistema processuale civile è fondato sul principio dispositivo, per cui

tendenzialmente le prove, o meglio le fonti di prova possono essere indicate solo dalle parti; e

che la prova è mero strumento del processo decisionale del Giudice, nel senso che essa ha

rilevanza se finalizzata a dare supporto alle allegazioni delle parti ed è funzionale alla

statuizione richiesta.

Intanto, la prova documentale rappresenta la prova precostituita vera e propria. A tal

proposito, va ricordato che la distinzione tra prove precostituite e prova costituende rappresenta

uno dei capisaldi del nostro sistema processuale . Le prime sono quelle prove che preesistono al

processo, e non sono state create per un “fine processuale”; le seconde, invece, sono le prove

che sorgono nel processo, sono disciplinate da questo, e vengono appositamente create per

comprovare un determinato fatto. Pure la scrittura privata, riconosciuta legalmente o

giudizialmente, fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da

parte del sottoscrittore, per come prescritto dall’art. 2702 c.c.. Riconosciuta legalmente è la

scrittura autenticata da notaio o da altro pubblico ufficiale, che, accertando l’identità del

soggetto, attesta che la sottoscrizione è stata dal soggetto apposta in sua presenza.

Invece il riconoscimento giudiziale può essere espresso o tacito. Il primo si ha quando la

parte, costituita in giudizio, comparendo dichiari espressamente di riconoscere la propria

sottoscrizione. Il secondo si ricollega all’onere del tempestivo disconoscimento, e nel caso in

cui la parte non dovesse disconoscere la scrittura nella prima udienza, essa si ha come

riconosciuta. Altra ipotesi di riconoscimento tacito si ha allorquando la scrittura è stata prodotta

contro la parte contumace, ex art. 215 c.p.c.; ciò a condizione che sia stata espressamente

indicata nell’atto giudiziario di parte (citazione o comparsa) e sia stata notificata alla parte

contumace.

Il nostro sistema sostanziale pone dei limiti di ammissibilità della prova testimoniale,

costituiti dai divieti sanciti dagli artt. 2721 - 2723 c.c., e dall’art. 1417 c.c. appunto in tema di

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

14

simulazione; limiti che trovano, in linea generale, la loro ratio in un’ottica di sfavore per la

prova orale, e di favore per la prova documentale per la maggiore certezza ed affidabilità di

quest’ultima, e che nell’ambito della simulazione trovano una disciplina particolare rispetto a

quella generale.

Oltre alla previsione generale di cui all’art. 2721 c.c., altro limite alla prova testimoniale

del negozio si rinviene nell’art. 2722 c.c. (norma che trova deroga nell’art. 1417 c.c. per quanto

attiene la posizione dei terzi), con riferimento all’esistenza di patti aggiunti o contrari al

contenuto di un documento; con questa norma il legislatore mostra sfiducia verso l’allegazione

di esistenza di accordi contrari e coevi a quelli consacrati in un contratto, che non sia stati a loro

volta racchiusi in atto scritto; in altri termini, non sembra plausibile che contemporaneamente le

parti abbiano inteso adottare verbalmente un accordo complementare volto ad ampliare o

modificare il contenuto della convenzione senza ricorrere allo stesso strumento documentale.

Per costante interpretazione, il divieto opera laddove esiste documento contrattuale, ossia

formato da entrambe le parti e racchiuso in una convenzione, mentre non opera ove si tratti di

scrittura che provenga da un sola parte e contenga una dichiarazione unilaterale, come nel caso

della quietanza o della ricognizione di debito (cfr. Cassazione civile , sez. III, 20 marzo 2006 n°

6109). Ancora Cassazione Civile, sezione III 9 marzo 1995 n. 2747 ribadisce che il limite di

ammissibilità della prova testimoniale codificato dall’art. 2722 c.c non opera qualora il

documento, dal contenuto confliggente con l’ipotetico risultato della prova costituenda, sia

costituito da una scrittura privata firmata da una sola parte.

Tra i numerosi casi esaminati dal Supremo Collegio, Cassazione Civile SS.UU. 26 marzo

2007 n° 7246, evidenzia che “la pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare

abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto, soggiace, tra le stesse

parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 c.c., avendo la prova ad

oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto”.

Per l’art. 2723 c.c., invece, la prova testimoniale di patti posteriori alla formazione del

documento - cioè che apportino aggiunte o modifiche destinate a regolare diversamente il

rapporto nel presupposto della persistenza o prosecuzione del medesimo - può essere ammessa,

in relazione (pure qui) alla qualità delle parti e/o alla natura del contratto. Non soggiacciono

cioè al limite alla prova testimoniale gli accordi diretti ad estinguere il rapporto - accordo

risolutorio, come nel caso della risoluzione consensuale - che può desumersi implicitamente dal

comportamento concludente delle parti (si pensi al caso di un comodato immobiliare,

documentato per iscritto, in cui si voglia provare per testi la circostanza della restituzione ed

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

15

accettazione delle chiavi del locale senza riserve, quale comportamento sintomatico

dell’accordo risolutorio).

Il divieto di testimonianza, qualora la circostanza sulla quale siano chiamati a deporre i

testi sia rappresentata da un patto orale, aggiunto o contrario a ciò che risulta da un atto scritto,

riposa come detto sulla constatazione di comune esperienza che se uno o più soggetti si sono

determinati a manifestare con atto scritto la loro volontà negoziale è davvero improbabile che

abbiano accompagnato la redazione del documento con la convenzione di altre clausole

enunciate verbalmente, e nell’ipotesi di simulazione non riprodotte nella cosiddetta

controdichiarazione scritta. L’improbabilità del fatto si traduce processualmente nel timore

legislativo di lasciare affidata ad una prova tendenzialmente rischiosa, quale è la testimonianza,

la dimostrazione di ciò che si affermi essere al di fuori della regolarità.

Ai divieti esaminati fanno eccezione le tre ipotesi contemplate dall’articolo 2724 c.c. (1 -

principio di prova scritta, 2 - impossibilità materiale e giuridica di procurarsi una prova scritta –

3 - perdita incolpevole del documento che forniva la prova); questa eccezione opera anche con

riferimento all’art. 1417 c.c. e alla ipotesi di prova invocata dalle parti del negozio simulato. E

affinché la prova testimoniale sia ammessa in deroga ai limiti sanciti dagli artt. 1417 e 2721-

2723 c.c è necessario che la parte richiedente deduca e dimostri la sussistenza di una delle tre

ipotesi previste dall’art. 2724 c.c., non potendo il giudice rilevarle d’ufficio né ravvisarne una

diversa da quella indicata dalla parte.

Esaminandole partitamente, la prima ipotesi ricorre qualora esista un documento

proveniente dalla persona contro cui la prova è fatta valere o da un suo rappresentante

(Cassazione civile sez. II, 7 aprile 2006 n° 8210), non potendosi ovviamente fare affidamento

su un documento predisposto dallo stesso soggetto che vuole avvalersene; e che esista un nesso

logico tra lo scritto ed il fatto controverso, dal quale scaturisca la verosimiglianza di

quest’ultimo, non essendo sufficiente un vago riferimento ad esso contenuto nel documento, ma

neppure essendo necessario un riferimento preciso (Cassazione civile, sez. III, 26 febbraio 2004

n° 3869).

Per Cassazione 23 luglio 1998 n° 7209, ai fini dell’ammissibilità della testimonianza in

esame, la prova, pur incompleta, deve corrispondere al requisito indispensabile della scrittura

privata e perciò essere munita della sottoscrizione del soggetto da cui proviene; e così per

Cassazione 26 gennaio 1987 n° 720 non costituisce principio di prova scritta una bozza

contrattuale priva delle sottoscrizioni delle parti.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

16

Ciò ha riflessi pratici anche in tema di simulazione, laddove si cerchi di affiancare la prova

testimoniale ad una prova documentale che potrebbe far superare (per il combinato disposto

degli artt. 1417 e 2724 n° c.c.) il relativo limite. Per esempio, Cassazione civile sez. II, 6

settembre 2002 n° 12980, ha ribadito che gli estremi richiesti dall’art. 2724 n. 1 c.c. perché un

documento possa costituire principio di prova per iscritto non esigono un preciso riferimento al

fatto controverso, ma l’esistenza di un nesso logico tra lo scritto e il fatto stesso, da cui

scaturisca la verosimiglianza del secondo, precisando che l’accertamento, ai fini

dell’ammissibilità della prova per testi o per presunzioni della simulazione di un contratto, circa

la sussistenza e l’idoneità di un principio di prova scritta a rendere verosimile il fatto allegato

costituisce un apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità se congruamente e

logicamente motivato. Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di

merito che aveva ravvisato un principio di prova per iscritto della dedotta simulazione di una

serie di atti di trasferimento di un immobile legato dal "de cuius" a un ente ecclesiastico nella

corrispondenza intercorsa tra gli eredi, i quali vi avevano manifestato la volontà di impedire a

tutti i costi l’acquisizione del predetto bene da parte del legatario.

La seconda ipotesi di deroga prevista dall’art. 2724 c.c. attiene alla impossibilità materiale

o morale di procurarsi la prova scritta; si tratta di una impossibilità assoluta e indipendente dalla

volontà del contraente che assume tale circostanza, il quale, ai fini dell'ammissione della prova,

deve specificamente dedurre le ragioni della impossibilità di procurarsi la prova scritta, per cui

il giudice di merito non può rilevare di ufficio una situazione di impossibilità non dedotta, né

risulta idonea e sufficiente ad integrare una deduzione in tal senso il generico assunto, nell’atto

introduttivo del giudizio, della impossibilità morale e materiale di procurarsi un documento,

senza alcun riferimento alle relative specifiche circostanze.

Il Supremo Collegio ha precisato che ai fini della configurabilità della situazione di

impossibilità morale di procurarsi la prova scritta che, ai sensi dell’art. 2724, n. 2, c.c., rende

ammissibile il ricorso alla prova testimoniale, non è sufficiente la deduzione di una astratta

posizione di preminenza della persona dalla quale la dichiarazione scritta doveva essere pretesa,

o di un vincolo affettivo con la persona stessa. Tuttavia, la relativa valutazione va sempre

riferita al caso concreto, non potendosi pretendere l’allegazione di circostanze ostative assolute.

In particolare, ove a generiche deduzioni si accompagni anche quella di altre particolari

circostanze concorrenti a determinare una specifica situazione di oggettivo impedimento

psicologico alla richiesta di una dichiarazione siffatta, il giudice è tenuto alla valutazione delle

circostanze dedotte in relazione sia al rapporto "inter partes", sia alla possibile incidenza di

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

17

eventi o situazioni particolari (cfr. Cassazione civile, sez. II, 13 dicembre 2001, n. 15760). In

definitiva, a rilevare sono le specifiche circostanze dedotte dalla parte, che dovranno essere

attentamente ponderate caso per caso.

L’ultimo caso è quello della perdita incolpevole del documento, che è pure l’unico che

rileva per la previsione di cui all’art. 2725 c.c.; difatti, per i contratti per i quali sia richiesta la

forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem l’ipotesi di cui all’art. 2724 n° 3 c.c. è

l’unica nella quale, in deroga all’art. 2725 c.c., sia ammessa la prova testimoniale e quindi per

presunzioni ex art. 2729 c.c..

In tutte le altre ipotesi la prova testimoniale non è ammessa salvo che non abbia finalità

meramente interpretative del contratto intese a chiarire la volontà contrattuale in relazione

all’ambito soggettivo delle diverse pattuizioni, come ad esempio per la esatta identificazione e

localizzazione dell’immobile oggetto del contratto ovvero qualora il contratto sia invocato solo

come mero fatto storico (ad esempio dal mediatore che afferma la conclusione del contratto di

compravendita immobiliare per ottenere la provvigione in relazione alla conclusione dell'affare)

e non come fonte regolatrice del rapporto controverso.

Il regime probatorio dettato dall’art. 2725 c.c. per i contratti per i quali la forma scritta sia

richiesta ad substantiam ovvero ad probationem, pur conformandosi ai comuni limiti sopra

richiamati, si atteggia tuttavia diversamente: per i primi (forma scritta ad substantiam) i limiti

all’ammissibilità della prova testimoniale sono dettati per ragioni di ordine pubblico per cui la

mancata produzione del documento, unico mezzo di prova - a parte l'eccezionale ipotesi di cui

all’art. 2724 c.c. - è rilevabile d’ufficio in qualsiasi grado e stato del processo, anche in sede di

legittimità (Cass. Civ. l0 aprile 1990, n° 2988). Per i secondi (forma scritta ad probationem), le

limitazioni probatorie operano solo quando le parti non siano d’accordo sull’esistenza ed il

contenuto del contratto poiché il requisito della forma scritta non concerne l’esistenza del

contratto ma solo la prova di questo: non operano quindi quando la conclusione ed il contenuto

del contratto siano pacificamente ammessi.

Passando ad esaminare la prova della simulazione, secondo i principi generali

enucleabili dall’art. 2697 c.c., essa incombe su chi l’afferma. La specifica disciplina di cui

all’art. 1417 c.c., tuttavia pone una significativa differenza tra i soggetti ammessi a provare con

ogni mezzo la simulazione (creditori e terzi), e soggetti (le parti) per i quali la prova è libera

solo laddove venga dedotta l’illiceità del negozio dissimulato. In dottrina e in giurisprudenza

(cfr. Cassazione civile 1987 n. 5975) è stato evidenziato che la norma è formulata nella

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

18

prospettiva dell’accordo simulatorio come ‘patto contrario’ ai sensi dell’art. 2722 c.c., e quindi

rappresenta una specificazione di quella regola generale. Per quanto attiene la posizione delle

parti, poi, viene in rilievo l’ipotesi di cui all’art. 2724 n. 1 c.c., e ne rappresenta un

ampliamento; la previsione generale è comunque sempre applicabile, nel senso che, oltre alla

ipotesi di illiceità, la prova per testimoni è ammissibile laddove sussista un principio di prova

scritta, proveniente dal convenuto, che faccia apparire plausibile la simulazione medesima.

Tale differenziazione comporta che uno stesso negozio potrebbe essere dichiarato simulato

nei confronti dei terzi e non simulato nei confronti di una parte (o dei suoi aventi causa), anche

se tutti agiscano quali litisconsorti facoltativi nel medesimo processo.

CASISTICA

> Cassazione civile sez. II 04 maggio 2007 n. 10240 (Simulazione - Prova - Testimoniale -

Compravendita immobiliare - Simulazione assoluta e simulazione relativa - Prova testimoniale

o per presunzioni – Differenze):

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

ha pronunciato la seguente:

sentenza

…………

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 17 gennaio 1994 M.S. e C.F. convenivano in giudizio davanti al

Tribunale di Catania L.S. e S.E. esponendo di aver promesso di acquistare dal L., nel novembre

1990, una villetta pagandone l'intero prezzo di L. 210.000.000.

Successivamente avevano concordato di sostituire l'acquisto di detto immobile con altro di

proprietà dei convenuti convenendo di versare a saldo L. 110.000.000, in quanto il L. avrebbe

computato a titolo di acconto quanto ricavato dalla villetta precedentemente promessa in

vendita.

Con atto 12 maggio 2002 in notar Sambataro di Belpasso gli attori, ottenuta la

concessione di un mutuo, acquistavano il fabbricato per il prezzo dichiarato di L. 60.000.000.

Il residuo prezzo concordato di L. 110.000.000 veniva versato quanto a L. 60.000.000 alla S.,

proprietaria del rustico compravenduto, e quanto a L. 50.000.000 al L.. Poiché alla consegna il

fabbricato presentava difetti, chiedevano la condanna al pagamento della somma occorrente

per eliminare i vizi da determinare con ctu. La parte convenuta, costituitasi, contestava la

domanda e svolgeva riconvenzionale per conseguire la differenza tra la somma spettante per la

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

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realizzazione dell'immobile pari a L. 454.300.000 e gli acconti ricevuti in L. 191.000.000

Disposta ctu, ammesso interrogatorio formale dei convenuti, espletata prova, il Tribunale di

Catania, sezione stralcio, con sentenza 29 novembre 1999, condannava i convenuti al

pagamento di L. 45.000.000 oltre iva, rivalutazione ed interessi ed, in accoglimento della

ritonvenzionale, gli attori al pagamento di L. 13.624,055 oltre interessi e rivalutazione,

compensando per un terzo le spese e condannando i convenuti al resto.Proposto appello dai L.

- S., si costituivano le controparti svolgendo appello incidentale per sentir dichiarare che

nessuna somma era da loro dovuta e per riconoscere il diritto alla rivalutazione delle somme

spettanti.

La Corte di appello rigettava le domande del M.C. nei confronti della S., condannava L. in

favore degli appellati al pagamento di Euro 31.917,04 con interessi e rivalutazione e questi

ultimi in favore del L. al pagamento di Euro 50.935,07, compensando le spese tra gli appellati

ed il L. e condannando i primi alle spese dei due gradi nei confronti della S..

La Corte affermava che la ricostruzione dei rapporti tra le parti, effettuata dal primo

giudice, non aveva fondamento nelle risultanze processuali, che l'unico elemento acquisito era

l'atto pubblico del 1992 relativo ad un fabbricato di vecchia costruzione, che la tesi degli

appellati, recepita dal primo giudice, per cui la compravendita aveva riguardato la nuova

costruzione in contrada Rua di Pedara per L. 350.000 e che venditori erano stati i coniugi L.

S., postulava la simulazione relativa della compravendita, di cui non vi era cenno nella

sentenza impugnata; che l'unica prova della simulazione avrebbe dovuto essere la

controscrittura, nella specie mancante.

La simulazione relativa era rimasta sfornita di prova.

Ricorrono i M.C. con due motivi, illustrati da memoria; non hanno svolto difese le

controparti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell'art. 112 c.p.c., dell'art. 1417 c.c.,

dell'art. 157 c.p.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

La Corte di appello ha ricostruito i rapporti in maniera opposta rispetto al Tribunale Le

parti non hanno mai parlato di simulazione. La Corte non ha tenuto conto che i limiti stabiliti

dall'art. 1417 c.c., all'ammissibilità delle prove sono diretti ad esclusiva tutela di interessi

privati e non possono essere rilevati d'ufficio.

Col secondo motivo lamentano violazione degli artt. 1350, 1655 e 1362 c.c. ed omessa

motivazione.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

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La Corte ha erroneamente configurato l'azione di simulazione, rilevando d'ufficio

l'inammissibilità dei mezzi istruttori raccolti.

Le due censure, per la loro evidente connessione, possono essere esaminate

congiuntamente e respingersi.

I ricorrenti, pur deducendo violazioni di legge e vizi di motivazione, propongono nella

sostanza una diversa ricostruzione dei fatti, sostenendo che la Corte di appello, errando, li ha

ricostruiti in maniera opposta rispetto al Tribunale.

Già questa prospettazione appare incompatibile con l'oggetto del giudizio di legittimità

che non può riguardare il fatto nella sua ontologia ma la valutazione delle affermazioni in

diritto, contenute nella sentenza, in contrasto con le norme regolatrici e della coerenza logica

delle argomentazioni proposte.

La Corte di appello ha osservato che la ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le parti,

come effettuata dal primo giudice, non aveva fondamento nelle risultanze processuali perché

l'unico elemento acquisito era l'atto pubblico del 12 maggio 1992 in notar Sambataro, con il

quale S.E. vendette ai coniugi M. - C. un fabbricato di vecchia costruzione ... per L. 60.000.000

interamente pagate, per cui la tesi, sostenuta dagli appellati e recepita dal primo giudice, che

la compravendita riguardasse in realtà la nuova costruzione per un prezzo di L. 350.000.000,

postulava necessariamente la simulazione relativa del contratto consacrato dal dedotto rogito

(pagine undici e dodici), aggiungendo (pagine tredici e quattordici) che detta simulazione era

rimasta sfornita di prova onde doveva concludersi che la compravendita come consacrata

nell'atto pubblico rispondeva alla realtà, con l'ulteriore conseguenza che non risultava che i

coniugi S. L. avessero venduto il villino ricostruito, realizzato dal solo L. su incarico dei

coniugi appellati sul terreno appartenente alla S..

Stando così le cose le censure relative ad una simulazione rilevata di ufficio ed alla

violazione delle norme sull'ammissibilità della prova non sono pertinenti, dato che la Corte si è

limitata ad affermare che la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale presupponeva la

simulazione relativa dell'atto pubblico del 1992, rimasta sfornita di prova.

Questa Corte, peraltro, ha statuito che la prova per testi, tra le parti, della simulazione di

un contratto di trasferimento immobiliare soggiace a limitazioni diverse a seconda che si

tratti di simulazione assoluta o relativa.

Nel primo caso - simulazione assoluta - l'accordo simulatorio, soggetto alla disciplina di

cui all'art. 2722 c.c.7, in quanto riconducibile tra le parti ivi previsti, avendo natura ricognitiva

7 Art. 2722 c.c. Patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

21

dell'inesistenza del contratto apparentemente stipulato, non rientra tra gli atti per i quali è

richiesta la prova scritta "ad substantiam" o "ad probationem", e quindi non può essere

compreso tra gli atti indicati dall'art. 27258, sicché la prova testimoniale è ammissibile in tutte

e tre le ipotesi contemplate dal precedente art. 2724 c.c.9.

Nel secondo caso (simulazione relativa) invece la prova suindicata, essendo diretta a

dimostrare l'esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il

necessario requisito di forma, è ammessa soltanto nella ipotesi di cui al n. 3 del citato art. 2724

c.c., cioè quando il contraente ha senza colpa perduto il documento (Cass. 21 gennaio 2000 n.

642, 6 giugno 1983 n. 3851).

La prova della simulazione si atteggia in modo diverso a seconda che si tratti di rapporti

verso terzi o dei rapporti interni tra le parti; invero, se la domanda di simulazione è proposta

da creditori o da terzi che, estranei al rapporto, non sono in grado di procurarsi la prova

scritta, la prova per testi e per presunzioni della simulazione non può subire alcun limite; per

contro, se la domanda è proposta da una delle parti o dagli eredi, la dimostrazione della

simulazione incontra gli stessi limiti della prova testimoniale, per cui se il contratto simulato è

stato redatto per iscritto, la prova per testi e per presunzioni non può esser ammessa contro il

contenuto del documento, perchè le parti hanno la possibilità e l'onere di munirsi delle

controdichiarazioni, salve le eccezioni a tale regola espressamente previste dalla legge, e salvo

che la prova sia diretta a far valere l'illiceità del contratto dissimulato (Cass. 23 gennaio 1997

n. 697, 12 febbraio 1986 n. 850).

Tra l'altro, vero è che le nullità concernenti l'ammissione della prova restano sanate ed

non sono rilevabili di ufficio, tranne però che la scrittura sia imposta dalla legge a pena di

nullità, cioè non per la prova ma per l'esistenza stessa del contratto (Cass. 12 maggio 1999 n.

4690).

Il contratto definitivo consacrato nell'atto pubblico costituisce l'unica fonte dei diritti e

delle obbligazioni inerenti al particolare negozio posto in essere in quanto l'eventuale diverso

preliminare, determinando solo l'obbligo reciproco della stipulazione del definitivo, resta

La prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un

documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea.8 Art. 2725 c.c. Atti per i quali è richiesta la prova per iscritto o la forma scritta.

Quando, secondo la legge o la volontà delle parti, un contratto deve essere provato per iscritto, la provaper testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3 dell'articolo precedente.

La stessa regola si applica nei casi in cui la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità9 Art. 2724 c.c. Eccezioni al divieto della prova testimoniale.

La prova per testimoni è ammessa in ogni caso:1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla personacontro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato;2) quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta;

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

22

superato da quest'ultimo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quello del preliminare.

Questa Corte non ignora il diverso orientamento di parte della dottrina che, sulla scorta della

teoria procedimentale, valorizza il momento del preliminare, in quanto regolativo dei futuri

assetti contrattuali ma rileva che è consolidato e condiviso principio giurisprudenziale quello

sopra richiamato in ordine alla prevalenza del contratto definitivo consacrato nell'atto

pubblico.

In sede di interpretazione del contratto definitivo non vi è alcuno obbligo del giudice di

valutare il comportamento delle parti ex art. 1362 c.c., comma 2, di prendere in considerazione

il testo del preliminare, (Cass. 18 aprile 2002 n. 5635).

Nella specie, nemmeno si discute di una difformità tra un definitivo ed un preliminare ma

di altri rapporti, ritenuti sforniti di prova, che presupporrebbero la simulazione relativa

dell'atto pubblico.

In realtà entrambe le sentenze hanno valutato le rispettive ragioni di credito e debito, con

diverse conclusioni in ordine ai relativi importi e con esclusione in quella di secondo grado di

pretese nei confronti della S..

In definitiva il ricorso va rigettato, mentre la mancata costituzione delle controparti esime

dalla pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2007. Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2007.

> Tribunale Roma sez. III 27 ottobre 2009 n. 22037 (in Guida al diritto 2010, 4, 44):

È ammissibile la deroga al divieto di prova per testi, ai sensi dell'art. 1417 c.c., qualora il

contratto dissimulato sia un contratto che persegua interessi che l'ordinamento reprime e non

quando invece avente un mero scopo contrario alla legge, cioè la illiceità deve caratterizzare il

patto occulto e non il fatto in sé dell'occultamento

> Cassazione civile sez. III 02 marzo 2010 n. 4933 (Simulazione – Prova).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la seguente:

3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

23

SENTENZA

……………..

IN DIRITTO

Con il primo motivo il ricorrente chiede la cassazione della sentenza impugnata per errata

e falsa applicazione degli artt. 1414 e 1417 c.c.. Assume che, nel rapporto processuale dedotto

in giudizio, esso Guidolotti Angelo è terzo ed è, quindi, legittimato a provare, anche con la

prova testimoniale, la simulazione del contratto d'affitto agrario costituito tra i Radicetti

proprietari del fondo, da una parte, e Guidolotti Gianni suo figlio, dall'altra. Si tratta di motivo

inammissibile.

Esso non ha infatti i caratteri della specificità, ne' della completezza, non consentendo alla

Corte - esaurendosi il motivo in quanto costituisce la sua enunciazione, sopra riferita - di

verificare si vi sia stato, da parte dei giudici di merito, un errore nell'attività di conduzione del

processo circa la mancata ammissione della prova per " testi, ovvero un errore

nell'applicazione delle norme denunciate.

Il ricorrente non indica le ragioni di diritto volte a criticare la sentenza impugnata, ne'

adduce argomenti idonei a sorreggere la doglianza, limitandosi ad un mero richiamo delle

dette norme denunciate, che assume essere state violate.

Non senza dire, d'altronde, che la Corte d'appello di Roma/Sezione specializzata agraria

ha disatteso l'eccezione di simulazione del rapporto opposta dall'odierno ricorrente, sul rilievo

che, nella specie, si era in presenza di interposizione fittizia di persona e che, pertanto, lo

stesso Guidolotti Angelo doveva essere considerato parte e non terzo perché, pur essendo

estraneo al contratto di affitto stipulato tra la proprietà e Guidolotti Gianni figlio, egli

assumeva di essere uno dei soggetti del rapporto giuridico che si volle in realtà costituire e di

avere quindi interesse all'accertamento di esso per aver partecipato per interposta persona alla

conclusione del contratto stesso, derivandone, dunque, le conseguenze rappresentate dallo

stesso giudice d'appello in punto di prova.

Tale motivazione si pone invero in linea con il principio di diritto espresso da questa

Corte, secondo cui agli effetti della prova della simulazione deve essere considerata "parte" e

non "terzo" chi, pur essendo in apparenza estraneo al contratto, assuma di essere uno dei

soggetti del rapporto giuridico che si volle in realtà costituire e di avere, quindi, interesse

all'accertamento e all'attuazione di esso per avere partecipato per interposta persona alla

conclusione del contratto stesso. In questa ipotesi, pertanto, la dimostrazione della simulazione

incontra gli stessi limiti della prova testimoniale e per presunzioni, con la conseguenza che se il

negozio simulato va redatto per iscritto la prova per testi e per presunzioni non può essere

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

24

ammessa contro il contenuto di un documento (Cass. n. 2252/1998, richiamata dalla stessa

sentenza impugnata).

Con il secondo motivo, poi, per errore e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e

art. 2726 c.c., il ricorrente lamenta che il giudice d'appello ha negato che la somma di L.

45.000.000, pagata da esso Guidolotti Angelo, costituisce il pagamento del canone dell'affitto

relativo alla prima annata agraria (novembre 1999 novembre 2000). Deduce che, essendo stato

il fondo detenuto fino all'ottobre 1999 da Guidolotti Gianni e avendo esso Angelo iniziato, a

sua volta, la detenzione nell'annata successiva, illogicamente il detto giudice ha affermato che

tale somma è stata trattenuta dai Radicetti quale compenso dell'indebita occupazione del

fondo.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Premesso che l'indicazione in sentenza degli assegni dati in pagamento come emessi il

22.12.2002 anziché il 22.12.2000 è verosimilmente frutto di un errore materiale (o di stampa),

vero è, comunque, che i giudici d'appello hanno fatto riferimento a tale versamento (L. 45

milioni) per derivarne che esso non era "inequivocabilmente prova del consenso del

concedente" alla costituzione di un nuovo rapporto di affitto con esso Guidolotti Angelo,

"potendo ben intendersi da questi concedente ricevuto a compenso dell'indebita occupazione,

considerato che la volontà di ottenere il rilascio, manifestata nel ricorso del 15.2.2002, non

risultava seguito da fatti o atti di segno contrario": cioè a dire che alla detta data del 15.2.02

Guidolotti Angelo occupava ancora il fondo in oggetto.

La Corte d'appello romana ha dunque dato conto del decisum sul punto con motivazione

adeguata e non inficiata da vizi logici e giuridici. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente

denuncia errata e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., relativamente alla, sua condanna al

risarcimento dei danni per indebita occupazione, nella misura di Euro 51.000, deducendo che

non è stato tenuto conto della somma di L. 45.000.000 da lui pagata, che avrebbe dovuto essere

detratta e/o restituita.

Tale motivo, che per un verso è carente di motivazione, integra per altro verso una censura

nuova, dato che la doglianza, secondo cui la sentenza d'appello "non ha tenuto conto della

somma di L. 45.000.000 pagata dal Guidolotti ai Radicetti, che avrebbe dovuto essere detratta

e/o restituita", risulta formulata per la prima volta in questa sede, non risultando infatti

formulata in grado d'appello, come si desume dai motivi di appello riportati nella sentenza

impugnata. Sicché non sussiste, ora, violazione della corrispondenza tra il chiesto e il

pronunciato.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

25

In conclusione, quindi, il ricorso va rigettato. Con condanna del ricorrente, per la

soccombenza, alle spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione,

liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di

legge. Così deciso in Roma, il 19 novembre 2009. Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2010

> Cassazione civile sez. II 14 marzo 2008 n. 7048 (Simulazione - Prova - Negozio

dissimulato consistente nella donazione priva dei requisiti di forma - Agevolazioni probatorie di

cui all'art. 1417 c.c. per illiceità del contratto – Esclusione):

Agli effetti dell'art. 1417 c.c., l'illiceità del negozio dissimulato è configurabile solamente

se il negozio persegua interessi che l'ordinamento reprime. Ne consegue che è soggetto alle

limitazioni della prova per testi e per presunzioni il negozio dissimulato consistente nella

donazione priva dei requisiti di forma, in quanto l'interesse perseguito dalle parti, cioè

l'arricchimento di un soggetto per lo spirito di liberalità di un altro, non è contrario ai principi

fondamentali dell'ordinamento.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI PALERMO- II sez. civ .

Il Tribunale civile di Palermo, in composizione monocratica, nella persona del Giudice

dott. R.P. Terramagra; ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nel procedimento civile iscritto al numero di ruolo generale sopra riportato; promosso con

citazione da

KappaAcca Angela e Caio Francesco Paolo, elettivamente domiciliati in Palermo

attori

contro

Caio Giuseppe e Caio Provvidenza

Convenuti-contumaci

OGGETTO: simulazione

Svolgimento del processo

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

26

Con citazione del 6 aprile 2004, Caia Duilia e Francesco Paolo Caio, convennero in

giudizio Sempronio e Tizia Caio, deducendo che, con atto pubblico di compravendita del 10

dicembre 1990, ai rogiti del Notaio Marino , avevano venduto al figlio Sempronio Caio

l’appartamento, sito in Palermo via Misurata n. 15, per il prezzo di lire 45.400.000; che, con

contestuale separata scrittura privata, le parti riconoscevano che il trasferimento immobiliare

così realizzato, a discapito del nomen juris adottato, simulava una donazione pura e semplice,

dal momento che nessun corrispettivo era stato in concreto corrisposto, nulla per difetto di

forma, sicché chiesero dichiararsi inefficace perché simulato l’atto pubblico di compravendita

e nulla la donazione; dichiarare che il bene è di proprietà degli attori; che i convenuti

detengono l’immobile sine titulo e pertanto condannarli al rilascio.

I convenuti, benché ritualmente evocati, non si sono costituiti in giudizio.

Senza incombenti istruttori, la causa all’udienza del 20 ottobre 2008, sulle conclusioni

delle parti riportate in epigrafe, è stata posta in decisione, con assegnazione dei termini di cui

all’art. 190 c.p.c., per il deposito di scritti difensivi conclusionali.

Motivi della decisione.

Con l’atto introduttivo del giudizio, gli attori investono l’organo giudicante invocando,

preliminarmente, l’accertamento dell’inefficacia per simulazione dell’atto di compravendita

inter partes del 10 dicembre 1990, a rogito del notaio Marino, avente ad oggetto

l’appartamento sito in Palermo, nell’edificio condominiale di via Misurata n. 15 e via Petrulla

e la nullità del sottostante negozio di donazione .

La domanda è fondata.

Dal titolo contrattuale, prodotto in giudizio, emerge che i sigg. KappaAcca-Caio hanno

venduto al figlio Giuseppe l’appartamento descritto in premessa dietro corrispettivo di lire

45.400.000. Con separata scrittura privata, in pari data e al chiaro fine di ristabilire la

effettiva natura del rapporto giuridico posto in essere, le parti si davano reciprocamente atto

che il contratto pubblico di compravendita era simulato; che per il trasferimento dell’immobile

il simulato acquirente non aveva versato alcun corrispettivo e che gli apparenti acquirenti

avevano inteso donare l’immobile al figlio Giuseppe, che aveva accettato l’atto di liberalità.

Nella sostanza, mediante il documento del 10 dicembre 1990, le parti resero palese che la

volontà dei contraenti di trasferire l’immobile dietro corrispettivo, secondo la causa negoziale

tipica della compravendita era soltanto fittizia, intendendo in realtà gli attori donare l’unità

immobiliare di via Misurata al figlio Giuseppe.

Tanto premesso, va brevemente ricordato che la simulazione è il fenomeno

dell’apparenza contrattuale creata intenzionalmente; essa si ha quando le parti stipulano un

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

27

contratto, con l’intesa che esso non corrisponda alla realtà del rapporto e può essere assoluta,

allorché le parti farebbero apparire concluso un contratto, mentre in realtà nessun negozio,

neppure diverso è stato voluto o relativa, allorché le parti stipulano un contratto mentre ne

vogliono un altro scaturente dall’accordo simulatorio.

Elemento costitutivo della simulazione e comune, sia a quella assoluta che relativa, è

proprio l’accordo simulatorio, vale a dire la reciproca intesa sul significato in tutto o in parte

apparente del contratto e, in particolare, nella seconda ipotesi, sulla divergenza tra il contratto

stipulato e quello realmente voluto. Secondo univoca giurisprudenza e dottrina, la prova

dell’accordo simulatorio è indispensabile e deve avere per oggetto nella simulazione assoluta,

l’inesistenza del rapporto e nella simulazione relativa la dimostrazione della reciproca intesa

tra le parti che alla volontà apparente della dichiarazione corrisponda una diversa volontà

nascente dal contratto dissimulato.

Premesso, infatti, che il contratto simulato non produce effetti tra le parti e che la

regolamentazione del rapporto pattizio resta, invece, affidata al negozio dissimulato (sempre

che ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma necessari alla sua giuridica validità) osserva

il giudicante che , affinché possa dirsi sussistente la simulazione relativa di un negozio -

situazione alla quale è pacificamente da ricondurre secondo la prospettazione attrice la

fattispecie in oggetto - occorre tenere separate le conseguenze meramente negative della

simulazione, le quali restano circoscritte alla non veridicità del negozio simulato e, quindi, alla

inidoneità del medesimo a produrre gli effetti che ad esso sarebbero stati propri, dalle ulteriori

conseguenze positive attraverso le quali, al posto della stipulazione apparente, vengono assunti

e valorizzati gli effetti realmente voluti dalle parti con il negozio dissimulato. Di conseguenza,

dato che all’azione di simulazione si ricorre quando si tende a fare dichiarare la sussistenza

del contratto dissimulato per trarne gli effetti che ad esso si riconnettono nel presupposto del

suo riconoscimento, è logico ritenere che la domanda di nullità dell’atto di donazione per

difetto di forma solenne, ai sensi del combinato disposto degli artt. 48 e 58 della L. 6.2.1913

n.89 e succ mod., ontologicamente contiene la richiesta di mero accertamento dell’accordo

simulatorio, parimenti spiegata dalla parte attrice, perché si possa pervenire alla declaratoria

della sua invalidità.

Ora, in tema di prova della simulazione nei rapporti tra le parti, ai sensi dell’art. 1417

c.c., poiché il negozio avente ad oggetto il trasferimento della proprietà dell’immobile di Via

Misurata n. 15 è stato redatto per iscritto, la prova dell’accordo simulatorio e cioè del negozio

dissimulato, poteva essere data soltanto dalla controdichiarazione. Può ritenersi

controdichiarazione solo la smentita espressa del contratto ostensibile proveniente da

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

28

entrambe le parti, con la quale esse si danno reciprocamente atto che il contratto è simulato e

che in realtà vogliono stipulare un negozio giuridico del tutto diverso, in relazione al quale

intendono esprimere una volontà comune.

In materia di simulazione relativa, costituisce orientamento del tutto consolidato (Cass.

2906/2001; 6840/02; 471/2003; 2111/2004), che qualora il contratto asseritamente simulato

sia stato concluso per iscritto e tale forma sia richiesta a pena di invalidità, la prova

dell’accordo simulatorio, traducendosi nella dimostrazione del negozio dissimulato, deve

essere fornita con la produzione in giudizio dell’atto contenente la controdichiarazione,

sottoscritta dalle parti o comunque dalla parte contro la quale viene esibita. E’ da ritenere che

l’asserzione contenuta nella scrittura privata in atti, configura proprio una

controdichiarazione e rappresenta la ricognizione bilaterale dell’avvenuta intesa, conclusa per

iscritto fra tutte le parti del negozio apparente.

Nella fattispecie risulta rispettato il requisito della forma scritta della controdichiarazione,

sicché resta da esaminare qual è la sorte dei due contratti, quello simulato e cioè la vendita e

quello dissimulato cioè la donazione.

Soccorre in proposito l’art. 1414 , II comma c.c., in base al quale “se le parti hanno voluto

concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto

dissimulato”, anche se subordina tale efficacia alla condizione che dell’atto realmente voluto

sussistano i requisiti di sostanza e di forma.

Orbene, quanto alla vendita apparente, essa non può produrre effetti in quanto le parti

erano d’accordo nel non volerla. Quanto al negozio dissimulato, poiché la vendita dissimula

una donazione, questa sarà valida solo se l’apparente vendita sia stata stipulata per atto

pubblico e alla presenza di due testimoni, che integrano i requisiti di forma necessari ad

substantiam per la validità di una donazione.

Nella fattispecie, la vendita è stata stipulata per atto pubblico, ma senza la presenza

indispensabile dei due testimoni, avendovi i comparenti rinunciato, come attestato dall’ufficiale

rogante. Ne segue che l’atto di liberalità deve considerarsi radicalmente nullo, perché in

violazione del disposto di cui all’art. 48 della legge notarile, che prescrive, in aggiunta agli

ulteriori requisiti formali previsti dal codice civile, che la donazione debba essere

necessariamente stipulata alla presenza di due testimoni, e ciò a pena di nullità dell’atto

medesimo.

Essendo l’atto di compravendita inefficace tra le parti perché simulato e considerata la

radicale nullità dell’atto di donazione dissimulato, deve concludersi che l’unità immobiliare di

via Misurata n. 15 non è mai uscita dalla sfera patrimoniale e giuridica degli apparenti

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

29

venditori. E poiché non v’è prova che i convenuti detengano il bene in forza di altro valido

titolo essi vanno condannati al rilascio dell’immobile in favore degli attori.

Il regime delle spese segue il criterio della soccombenza. Esse, in assenza di notula si

liquidano d’ufficio in complessivi euro 3355,00, di cui euro 155,00 per spese, euro 1200,00 per

competenze, euro 2000,00 per onorari di avvocato, oltre iva, cpa e rimborso spese generali.

P.Q.M.

Il Tribunale di Palermo, definitivamente pronunciando; nella contumacia di Giuseppe e

Tizia Caio così provvede:

· Accerta e dichiara che il contratto di compravendita stipulato dai sigg. Angela

KappaAcca e Francesco Paolo Caio quali venditori e da Sempronio e Tizia Caio Caio quali

compratori, il 10 dicembre 1990, a rogito del notaio Marino, e avente ad oggetto

l’appartamento sito in Palermo nella via Misurata n. 15 e via Petrulla , iscritto in catasto alla

partita 113549, fgl. 48 particella 2498 sub 13 è simulato e per l’effetto dichiara l’inefficacia

inter partes del contratto medesimo;

· dichiara che l’immobile oggetto della compravendita è di proprietà degli attori; accerta e

dichiara che i convenuti detengono l’immobile sine titulo e li condanna a restituire il bene in

favore degli attori;

condanna i convenuti a rivalere gli attori delle spese di lite che liquida d’ufficio in

complessivi euro 3.355,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Palermo il 19 dicembre 2008. Il Giudice

!"

Si ha simulazione relativa parziale quando il contratto conserva inalterati i suoi elementi,

ad eccezione di un aspetto di esso, quello interessato dalla simulazione, con la conseguenza che,

non essendo il contratto né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi

negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quello-i

effettivamente voluti dai contraenti.

In questo ambito, si ritiene ad esempio che la prova per testimoni della simulazione del

prezzo della compravendita non incontra fra le parti i limiti dettati dall’art. 1417 c.c. né

contrasta col divieto posto dall’art. 2722 c.c., in quanto la pattuizione di celare una parte del

prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale o

funzionale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

30

natura semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali

(Cass., 24-04-1996, 3857/1996, in Vita not., 1996, 1319).

Ove l’esigenza sia poi quella di far valere l’illiceità del patto commissorio (dissimulato), la

simulazione viene qualificata come mera causa petendi, sempre per superare i limiti probatori

dell’art. 1417 c.c.: nel caso in cui venga dedotta la nullità di un contratto preliminare di

compravendita siccome dissimulante un patto commissorio, vietata a norma dell'art. 2744 c.c.

la simulazione costituisce soltanto causa petendi, cioè il fatto rivelatore del vietato patto

commissorio, posto a base dell’azione di nullità del contratto, sicché il relativo accertamento

non è soggetto alle limitazioni ex art. 1417 c.c. quanto alla prova testimoniale, essendo volta a

far valere l'illiceità ex lege del negozio dissimulato (Cassazione civile 16.8.1990, 8325/1990, in

Foro it., Rep. 1990).

Nella materia delle locazioni abitative, invece, si è in alcuni arresti fatto coincidere la

simulazione relativa con l’illiceità (parziale) del contratto: la nullità delle clausole del contratto

locativo per uso abitativo in contrasto con le disposizioni della legge sull’equo canone relative

alla durata ed al canone, essendo espressamente sancita dall'art. 79 legge 392/78, in

considerazione dello scopo di tutela delle primarie esigenze abitative perseguite dalla predetta

legge, configura una ipotesi di illiceità dal contratto; ne consegue che il contratto di locazione

stipulato per eludere tale nullità, con la previsione di durata a misura del canone, diverse, da

quelle legali, realizza una fattispecie negoziale simulata relativamente, che ai sensi dell'art.

1417 c.c., è dato alle parti contraenti di provare con testimoni per far valere il contratto

dissimulato, in cui le clausole nulle sono sostituite di diritto da quelle previste dalla legge stessa

(così Cassazione civile 16.5.1995 n. 5371, in Foro it., Rep. 1995, voce Locazione, n. 203).

CASISTICA

> Cassazione civile sez. III 16 aprile 2009 n. 9012 (trasferimento d'azienda, simulazione,

prova):

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE

ha pronunciato la seguente:

sentenza

………

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

31

Con citazione del 27 marzo 2002 la s.r.l. Osai deduceva: 1) gestiva a (OMISSIS) il parco

dei divertimenti denominato (OMISSIS) ed era proprietaria, all'interno del parco, dell'azienda

" (OMISSIS)", concessa in affitto con contratto del (OMISSIS) alla s.r.l. Trenta con decorrenza

dal primo gennaio 1997 al 31 dicembre 2001, senza necessità di disdetta; 2) alla scadenza la

conduttrice non aveva restituito l'azienda nonostante la richiesta dell'11 settembre 2001; 3) per

pattuizione contrattuale dal terzo giorno successivo alla scadenza l'affittuaria doveva pagare

una penale di L. 500 mila per ogni giorno di ritardo, salvo il maggior danno. Pertanto

conveniva dinanzi al Tribunale di Napoli la s.r.l.

Trenta chiedendo di accertare la cessazione della locazione di azienda al (OMISSIS) con

condanna all'immediato rilascio e al pagamento della penale pattuita, a decorrere dal 3

gennaio 2002, oltre al risarcimento dei danni.

La convenuta deduceva che all'atto della stipula del contratto vi erano soltanto locali e

padiglioni e di aver preso in locazione un immobile con pertinenze e non un'azienda; in via

riconvenzionale chiedeva di accertare la simulazione relativa del contratto, voluta dalla

locatrice per sottrarsi alle norme vincolistiche delle locazioni. Chiedeva inoltre la condanna al

rimborso delle somme erogate per manutenzione straordinaria dei locali, da quantificare. In

via subordinata chiedeva la declaratoria di nullità della penale ai sensi della L. n. 392 del

1978, art. 79, o la sua riduzione.

Il Tribunale di Napoli, in accoglimento delle corrispondenti domande dichiarava cessato

al (OMISSIS) l'affitto di azienda e condannava la conduttrice a pagare la penale di Euro

258,23 per ogni giorno di ritardo, dal 3 gennaio 2002 al rilascio. Rigettava le altre domande

hic et inde proposte.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 14 aprile 2004, accoglieva il gravame

della s.r.l. Trenta affermando che era provata la simulazione del contratto denominato affitto di

azienda per eludere la normativa sulla locazione di bene immobile ad uso commerciale,

realmente voluta, poichè: 1) le condizioni ed obblighi contrattuali imposti alla s.r.l. Trenta a

pena di risoluzione del contratto - quali ad esempio l'attività da svolgere soltanto nel parco

(OMISSIS); il rispetto del regolamento per orari, per disciplina dell'uso dell'ingresso

principale e per il pubblico, per fornitori; il comportamento ed il vestiario del personale; la

durata della locazione e la cessazione senza disdetta; la penale; le spese ordinarie e

straordinarie a carico della conduttrice; l'obbligo di somministrazione di prodotti di qualità

con prezzi idonei; la facoltà di controllo della locatrice e di richiesta di modifica di prezzi e

prodotti; il divieto per la conduttrice di pubblicizzare marchi o prodotti all'esterno della

birreria o prodotti concorrenziali alla (OMISSIS), salvo il consenso della locatrice -

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

32

denotavano una locazione di immobile ad uso commerciale per inserire la società Trenta nel

servizio di ristorazione del parco salvaguardando la posizione di gestore e titolare di esso da

parte della locatrice, escludendo la concorrenza con altre esercizi commerciali nel medesimo

parco; 2) il contratto si limitava a descriver l'immobile senza indicare i beni aziendali, i servizi,

le attrezzature e gli impianti per organizzare un'impresa di ristorazione avente lo scopo di

preparare i cibi - sì che doveva disporre di cucine, forni, frigoriferi, congelatori, friggitrici - e

somministrarli - con conseguente necessità di tavoli, sedie, servizi di posateria e piatti,

macchinari per la distribuzione della birra - e perciò mancava la prova dell'organizzazione

produttiva e dello svolgimento dell'attività commerciale; inoltre non era neppure previsto il

subentro dell'affittuario nei rapporti di lavoro e nei contratti con le ditte; 3) la conduttrice,

anzichè ricevere dalla locatrice Osai i marchi di birra da somministrare, aveva l'obbligo di

procacciarsi la possibilità dell'utilizzazione del marchio (OMISSIS) per la vendita e questo

significa che non vi era neppure la potenziale produttività dell'azienda; 4) le fatture emesse

dalla società AR.GE.MI.DI per il pagamento delle attrezzature ed utilizzo del marchio

(OMISSIS) erano di importo superiore al canone corrisposto all'Osai per il presunto affitto di

azienda;

5) la società Trenta aveva eseguito lavori di importo rilevante per Euro 191.295,44,

ingiustificabile nel caso di affitto di azienda;

6) l'autorizzazione sindacale del (OMISSIS) e la licenza del (OMISSIS) attengono ad un

locale di 80 mq., mentre l'attuale era di mq. 421,27 e mq. 144,59 scoperti, ed infatti nel

(OMISSIS) alla società Trenta era stata rilasciata l'autorizzazione alla preparazione e

somministrazione di bevande ed alimenti, diversa da quella per cibi cotti del (OMISSIS),

neppure esibita in giudizio. Pertanto, rigettata la domanda principale di cessazione dell'affitto

dell'azienda e ritenuta assorbita la domanda di riduzione della penale, la Corte rigettava anche

la riconvenzionale della Trenta di rimborso delle somme per i lavori straordinari perchè in

primo grado erano state richieste come obbligo del locatore ed in secondo grado per

inadempimento agli obblighi del medesimo di concedere in locazione un bene in buono stato di

manutenzione e idoneo all'uso convenuto, ma tale nuova causa petendi era inammissibile, e

d'altro canto i lavori straordinari per contratto (art. 12) erano a carico della conduttrice, e le

parti ne avevano tenuto conto nella determinazione del canone.

Ricorre per cassazione la s.r.l. Osai, cui resiste la s.r.l. Trenta.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce: "Violazione e falsa applicazione

degli artt. 1362 e 1363 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

33

decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 3)", dolendosi dell'interpretazione del contratto

che i giudici di appello hanno effettuato …. OMISSIS.

2.2.- L'esame dei documenti relativi alle circostanze innanzi evidenziate dalla società

Trenta è peraltro rilevante ai fini della prova della preesistenza dell'azienda commerciale al

contratto di locazione, nel (OMISSIS), tra la società Osai e la società Trenta, e poichè su di

essi la sentenza impugnata non offre motivazione alcuna, dovranno formare oggetto di riesame

dal giudice del rinvio il quale accerterà alla luce dei principi innanzi richiamati, se oggetto

della locazione è stato un immobile ad uso commerciale o un'azienda.

2.3 - Al riguardo, in relazione alla simulazione relativa del contratto di affitto di azienda,

secondo la prospettazione della società Trenta, va ribadito (Cass. 17221/2006) che, incidendo

l'accordo simulatorio sulla volontà dei contraenti, colui che deduce la simulazione in

violazione di norme imperative, può avvalersi di testimoni e presunzioni per provare il

contratto dissimulato - nella specie locazione di immobile ad uso commerciale, disciplinata

dalla L. n. 392 del 1978 - ma la prova deve attenere non solo agli elementi caratterizzanti

dell'uno o dell'altro tipo di contratto, ma anche all'accordo simulatorio e quindi deve avere ad

oggetto anche elementi e circostanze idonei a disvelare l'intento negoziale comune simulatorio;

conseguentemente il relativo onere non può ritenersi assolto in base al mero positivo riscontro

di una sommatoria di dati astrattamente riconducibili ad una diversa fattispecie negoziale.

Pertanto il giudice del rinvio, riesaminati le circostanze ed i documenti innanzi richiamati

dovrà valutarli nel rispetto anche di tale principio.

2.4- Quanto infine alla licenza ottenuta dalla società Trenta nel 1999 e ritenuta dalla

Corte di merito costituente prova per escludere che la predetta abbia preso in locazione

un'azienda perchè se così fosse "avrebbe potuto utilizzare le licenze del (OMISSIS) e del

(OMISSIS)" (pag. 21 della sentenza impugnata), detta motivazione è da un lato insufficiente

perchè omette di valutare se ancor prima della locazione del (OMISSIS) vi fosse stato un

ampliamento dei locali rispetto alla consistenza originaria di essi e se le predette licenze erano

state ottenute in relazione a questa, nonchè se la relativa modifica era stata denunciata

all'autorità sanitaria;

dall'altro di verificare se la società Trenta, che doveva comunque chiedere

l'aggiornamento della licenza a suo nome, essendo questa strettamente personale - ed infatti la

licenza comunale per la conduzione di un esercizio pubblico è concessa intuitu personae e

quindi è intrasmissibile, e perciò l'obbligo che la parte assume di cedere le licenze commerciali

in caso di affitto, va inteso come obbligo a rinunciare alle licenze intestate e a non opporsi alla

concessione di una nuova licenza in capo al nuovo titolare dell'azienda (Cass. 7860/1994,

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

34

10992/1998) - doveva effettuare la denuncia a detta autorità sanitaria non solo di ampliamento

o innovazione dei locali dalla stessa ulteriormente apportati, nell'esercizio della relativa

facoltà concessale dal contratto, rispetto alle dimensioni dichiarate nelle licenze di cui poteva

chiedere l'intestazione, ma anche di variazione dell'attività svolta rispetto a quella

precedentemente autorizzata, il che comporta comunque il rilascio di una nuova autorizzazione

( D.P.R. n. 327 del 1980, art. 27, applicabile ratione temporis).

Pertanto anche su tali licenze è necessaria una nuova valutazione, alla luce di detti

principi, ai fini della individuazione della natura del contratto stipulato. Quindi anche questo

motivo va accolto.

3.- Con il terzo motivo la ricorrente deduce: "Violazione e falsa applicazione degli artt.

1321 e 1322, 1571 e 1590 c.c., e della L. n. 392 del 1978, artt. 27, 28 e 79; omessa,

insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360

c.p.c., nn. 3 e 5)".

Con questo motivo la ricorrente reitera la doglianza di erronea e contraddittoria

ricostruzione della volontà delle parti nella sentenza impugnata avendo i giudici di appello da

un lato ritenuto correttamente che le clausole predisposte erano finalizzate alla migliore

gestione del parco dei divertimenti (OMISSIS) gestito dall'Osai e non per incassare un canone,

e dall'altro non considerato che tali clausole non sono conciliabili con la locazione di immobile

perchè non è ipotizzabile che la Trenta avesse l'obbligo, quale mera locataria di esso, di

installarvi una birreria, di gestirla nell'interesse del parco e di trasferirla poi all'Osai. Quindi i

giudici di merito hanno omesso di qualificare legalmente la fattispecie quanto meno come

locazione atipica, svincolata dalla L. n. 392 del 1978, e comunque di motivare adeguatamente

sulla ritenuta soggezione ad essa.

Il motivo è assorbito dalle considerazioni innanzi svolte.

Concludendo il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata

per nuovo esame, alla luce dei principi e criteri innanzi richiamati. Il giudice di rinvio

provvederà altresì a liquidare le spese, anche del giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di

Napoli, altra Sezione, anche per le spese di giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2009. Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2009.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

35

> Cassazione civile sez. III, 13 maggio 2010 n. 11611 (Locazione di cose - Durata della

locazione - Immobili ad uso abitativo - Locazioni per il soddisfacimento di esigenze transitorie

- Accordo simulatorio - Onere della prova):

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE

ha pronunciato la seguente sentenza

………

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Z.A. in proprio e quale legale rappresentante della s.a.s. Servizi Farmaceutici Porzio, con

ricorso al Pretore di Napoli del 15.4.1994 esponeva che agli inizi del 1981 aveva chiesto in

locazione a G.F. un appartamento da adibire a propria abitazione; che il G. si era dichiarato

disposto a locare detto immobile a condizione che il relativo contratto venisse intestato ad una

societa' e quindi destinato ad uso ufficio; che si era proceduto alla stipula del contratto di

locazione inteso ad eludere la normativa della L. n. 392 del 1978.

Tanto premesso, l'attrice chiedeva dichiararsi la nullita' del contratto di locazione per

simulazione e, in ogni caso, L. n. 392 del 1978, ex art. 80, che venisse determinato l'equo

canone, con conseguente condanna del G. alla restituzione di tutte le somme pagate

indebitamente. Quest'ultimo contestava la domanda.

Con sentenza n 9518/04 il Tribunale di Napoli rigettava la domanda attrice.

Avverso detta sentenza proponeva appello dinanzi alla Corte distrettuale di Napoli la Z. in

proprio e nella qualita' di socia accomandataria e legale rappresentante della Servizi

Farmaceutici Porzio s.a.s.. La Corte d'Appello di Napoli rigettava il gravame.

Proponeva ricorso la Z. in proprio e nella dedotta qualita'. Resisteva con controricorso

G.F..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due connessi motivi del ricorso, Z.A. rispettivamente denuncia: 1) "Violazione

e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 246 e 247 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 -

Omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi

per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5"; 2) "Violazione e falsa applicazione degli

artt. 115, 116 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 - Omessa, insufficiente, illogica e

contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all'art.

360 c.p.c., n. 5".

Sostiene la ricorrente che l'impugnata sentenza e' censurabile sotto vari profili. In primo

luogo perché il giudice a quo, lungi dal decidere sulla base degli atti di causa e della copiosa

documentazione da lei stessa prodotta, ha seguito acriticamente la memoria di costituzione e di

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

36

risposta di controparte, senza effettuare alcuna verifica delle asserzioni e argomentazioni ivi

contenute. In secondo luogo perche' la motivazione e', per un verso, carente, non risultando

precisate le asserite contraddizioni in cui sarebbe incorsa la stessa Z.; per altro verso viziata,

soprattutto in tema di accertamento della dedotta simulazione.

La ricorrente critica in particolare la valutazione delle prove testimoniali effettuata dal

Giudice di merito nonche' il mancato rispetto di risultanze istruttorie ritenute decisive che, se

effettivamente e globalmente valutate, avrebbero a suo avviso condotto ad una decisione

completamente diversa da quella adottata.

Precisa infine la Z. che anche le risultanze documentali sono state del tutto ignorate dal

giudice a quo.

Con il secondo motivo parte ricorrente tenta soprattutto di dimostrare che il Giudice di

merito ha errato nel non ritenere provata la simulazione, intervenuta sia sull'entita' della

pigione che sulla destinazione dell'appartamento. E sottolinea come a suo avviso la

motivazione della sentenza risulti incongrua anche sul punto della confessione stragiudiziale

del locatore.

Entrambi i motivi sono infondati. Come risulta infatti dalla precedente esposizione, essi

vertono su profili di merito - quali la valutazione delle prove, testimoniali e documentali,

l'accertamento della simulazione, il ruolo delle presunzioni - che non sono suscettibili di esame

in sede di legittimita' ove la motivazione del giudice di merito risulti congrua e immune da vizi

logici o giuridici.

A tale giudice infatti, in tema di procedimento civile, sono riservate l'interpretazione e la

valutazione del materiale probatorio, nonche' la scelta delle prove ritenute idonee alla

formazione del proprio convincimento e la stima dell'attendibilita' delle testimonianze. Del pari

insindacabile in sede di legittimita' e' poi il "peso probatorio" di alcune testimonianze rispetto

ad altre ove il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato

(Cass., 28.1.2004, n. 1554; Cass., 3.10.2007, n. 20731).

Nella specie, l'impugnata sentenza ha svolto un attento esame delle risultanze probatorie,

sia testimoniali che documentali e ne ha formulato una convincente valutazione anche in ordine

al "peso" da attribuire a ciascuna di esse. Parte ricorrente, invece, al di la' di quanto posto in

evidenza nella intitolazione dei motivi e lungi dal formulare critiche alla pronuncia della Corte

D'Appello sotto il profilo della violazione di legge, lamenta una erronea ricognizione della

fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, attivita' questa esterna alla esatta

interpretazione delle norme di legge che impinge nella tipica valutazione del giudice di merito.

Del resto la dimostrazione che il locatore era a conoscenza della finalita' locativa

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

37

concretamente perseguita dal conduttore non puo' sostituire il consenso del medesimo alla

stipula del negozio dissimulato, ma costituisce soltanto un elemento utilizzabile dal giudice di

merito allo scopo di accertare, in relazione alle circostanze del caso concreto, la simulazione

del contratto di locazione apparente e la conclusione del contratto dissimulato (Cass.,

17.1.2003, n. 614).

Va peraltro rilevato che, in concreto, la testimonianza del mediatore circa l'incontro di

volonta' conferma la tesi di una locazione per uso ufficio. Ne' la Corte d'Appello ha considerato

inutilizzabili le testimonianze dei parenti perche' ne ha reso una valutazione critica rispetto a

quella del teste terzo e comunque gli stralci testimoniali riportati nel ricorso non sembrano

condurre a una conclusione diversa circa una destinazione abitativa unilateralmente decisa.

Secondo la giurisprudenza d'altra parte, l'onere di provare l'accordo simulatorio grava

sul conduttore, il quale ha la facoltà' di ricorrere anche alla prova per testimoni (e quindi

anche a quella per presunzioni) poiché la prova tende a far valere l'illiceita' delle clausole

dissimulate contra legem (L. n. 392 del 1978, art. 79, comma 1 e art. 1417 c.c.) salvi gli ampi

poteri istruttori esercitabili d'ufficio dal giudice, a norma dell'art. 447 bis c.p.c., comma 3

introdotto dalla L. n. 353 del 1990 (Cass., 26.5.2000, n. 6971).

Con il terzo motivo la Z. denuncia infine "Violazione e falsa applicazione degli artt. 115,

116, 246 e 247 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 - Omessa, insufficiente, illogica e

contraddittoria motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all'art.

360 c.p.c., n. 5".

Lamenta parte ricorrente che la motivazione dell'impugnata sentenza e' contraddittoria

perche' il giudice a quo prima afferma che la Z. si sarebbe trasferita nella sede della societa'

nel 1985 e poi sostiene che non sarebbe stata data la prova del cambio di destinazione

dell'immobile.

Ugualmente illogica ed immotivata ritiene parte ricorrente che sia l'affermazione del

Giudice di merito circa la carenza di prova in ordine al requisito della "prevalenza" dell'uso

abitativo, non avendo il giudice specificato da quali elementi abbia tratto la tesi di un uso

promiscuo dell'appartamento.

Anche in relazione al terzo motivo valgono le considerazioni svolte in relazione ai primi

due. Gli argomenti utilizzati dalla Z. vertono infatti su profili di merito mentre la motivazione

non presenta le denunciate contraddizioni. Ed infatti i punti di dissenso del ricorso rispetto alla

sentenza riguardano non tanto l'interpretazione o l'applicazione di disposizioni di legge quanto

la ricostruzione della fattispecie concreta, con speciale riguardo: al momento finale della

permanenza della Z. nella sua originaria residenza (ed all'inizio della residenza nella nuova);

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

38

alla prova del cambio di destinazione dell'immobile; alla prevalenza, se rilevante, dell'uso

abitativo rispetto ad altri usi; all'intento simulativo delle parti.

Per quanto riguarda poi la richiesta di integrazione del canone per manutenzione

straordinaria (come se fosse locazione abitativa), ulteriore argomento questo fatto valere da

parte ricorrente, tale censura deve ritenersi inidonea per difetto del requisito di autosufficienza

perche' non si riporta il contenuto del documento che non consente di valutare l'incidenza ai

fini del decidere.

Con il quarto ed ultimo motivo si censura infine la decisione in merito alle "spese

processuali" ritenendosi che una eventuale riforma della impugnata sentenza dovrebbe

comportare una diversa decisione sulle stesse.

A seguito del rigetto di tutti i precedenti motivi anche quest'ultimo deve essere respinto.

In conclusione, per tutte le esposte ragioni, il ricorso deve essere rigettato, con

imputazione delle spese del processo di cassazione a parte ricorrente, nella misura indicata in

dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del processo di

cassazione che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 4.000,00 per onorario oltre

rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2010. Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2010.

#

Il tema si incentra nell’ambito della tutela del legittimario, ed in particolare nel problema

del possibile cumulo della qualità di successore universale e di terzo10; in quest’ultimo cao

opera un differente regime processuale, e si può beneficiare delle agevolazioni probatorie. In

sintesi, si ha possibilità di applicare l’art. 1417 c.c.: l’atto lesivo dei diritti dei legittimari è sì

riducibile e non illecito, ma il legittimario è considerato terzo laddove totalmente pretermesso,

o comunque faccia valere la lesione della quota di riserva e l’impossibilità di soddisfarsi sul

solo relictum. La mera petizione di eredità, invece, rapporta l’erede al suo dante causa, nel

senso che ne riveste la medesima posizione giuridica, e quindi opereranno le limitazioni

probatorie previste per le parti.

10 Cfr. M, CRISCUOLO, Effetti della simulazione nei confronti dei terzi e azioni esperibili: in particolare ilproblema della prova, relazione tenuta in occasione di incontro di studi del CSM, Roma febbraio 2010.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

39

Si è pure sostenuto che ipotesi di simulazione assoluta o atto dissimulato nullo, le

agevolazioni probatorie valgono sino alla concorrenza della quota di legittima o avvantaggiano

il legittimario anche su beni che rientrerebbero nella disponibile: Cassazione civile 6 ottobre

2005 n. 19468 sostiene che le agevolazioni operano anche se l’impugnazione dell’atto è

destinata a riflettersi sulla riacquisizione del bene al patrimonio ereditario

In altri termini, nell’ipotesi di legittimario totalmente pretermesso, si ha radicale assenza

della chiamata all’eredità, e l’azione di riduzione diviene unico strumento per acquistare

l’eredità, quale esercizio di un diritto proprio ed autonomo contrapposto alla volontà del de

cuius che spesso intende lederlo specie con atti simulati: in questi casi si ha pieno

riconoscimento della qualità di terzo (con impossibilità di pretendere la previa accettazione con

beneficio di inventario ex art. 564 c.c.; esenzione estesa anche all’ipotesi di esaurimento

dell’asse con atti inter vivos, senza la formale pretermissione del legittimario, oppure

nell’ipotesi di azione di simulazione assoluta ovvero relativa, ma in presenza di atto dissimulato

nullo per carenza dei requisiti formali o sostanziali ex art. 1414 co. 2 c.c.).

Nel diverso caso di legittimario istituito erede ma leso nella quota di riserva, vi è invece

necessità dell’accettazione beneficiata se costui intende agire contro soggetti non chiamati

come coeredi; qui ben può aversi contestuale proposizione di domanda di simulazione e azione

di riduzione. Ma vi è esclusione dei benefici probatori quando si agisce in collazione

(Cassazione civile 21 febbraio 2007 n. 4021, secondo cui il coerede agisce in qualità di

successore del de cuius e la prescrizione della domanda di simulazione decorre dal compimento

dell’atto).

La nullità del negozio dissimulato per vizio di forma non permette di invocare la previsione

di cui all’art. 1417 c.c., in quanto la legge presuppone l’illiceità; inoltre la verifica circa il

rispetto delle prescrizioni formali presuppone il previo accertamento della simulazione, la cui

prova, in assenza della spendita della qualità di legittimario, deve essere offerta in maniera

rigorosa (Cassazione civile 14 marzo 2008 n. 7048).

CASISTICA

> Cassazione civile sez. II 19 marzo 2010 n. 6709 (Successione legittima e necessaria -

Riduzione - Asse ereditario - Entità della lesione - Valore dell'integrazione - Determinazione -

Riferimento al tempo dell'apertura della successione – Necessità)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

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ha pronunciato la seguente: sentenza

……………

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. - S.J. convenne in giudizio i propri fratelli R.j. e O., esponendo che il (OMISSIS) era

deceduto il padre Ro., lasciando quali eredi i figli J., E., A., R.j., O. e S.; che il padre stesso in

vita aveva donato alla figlia O., con atto pubblico del (OMISSIS), un edificio e un terreno in

(OMISSIS), e, con atto pubblico del (OMISSIS), due terreni al figlio R.j., a nome del quale, con

scrittura privata autenticata di pari data, fittiziamente qualificata come compravendita, aveva

intestato i residui beni, un edificio ed alcuni terreni, in (OMISSIS), così disponendo di tutto il

proprio patrimonio immobiliare, sicchè, al momento del decesso, erano residuati solo valori

mobiliari, dei quali presumibilmente i convenuti erano entrati in possesso. Pertanto, l'attore

chiese, a reintegrazione della propria quota di riserva, la riduzione dei richiamati atti di

donazione, l'accertamento della simulazione assoluta, o, in subordine, relativa, dell'atto di

compravendita del (OMISSIS), della nullità della donazione dissimulata per difetto di forma, e

l'inclusione dei beni oggetto di tale contratto nella massa ereditaria, e, in subordine,

l'accertamento della natura di negotium mixtum cura donatione del contratto in questione e la

riduzione entro i limiti del valore donato, quindi la formazione della massa ereditaria e la

liquidazione della quota spettantegli, nonchè l'accertamento dei debiti del convenuto R.j. nei

confronti della massa in conseguenza del godimento degli immobili oggetto del contratto

simulato.

La convenuta S.O., costituitasi in giudizio, dedusse che gli immobili da lei ricevuti in

donazione erano di modesto valore, e aggiunse di aver accudito il padre dal (OMISSIS) e di

avere poi sostenuto le spese per il ricovero dello stesso in una casa per anziani dal (OMISSIS).

Affermò di non sapere nulla del danaro o di altri beni lasciati dal padre, e chiese il rigetto

della domanda proposta nei suoi confronti, associandosi, in via riconvenzionale, a quella

dell'attore per la inclusione nella massa ereditaria dei beni oggetto della vendita simulata.

Si costituì anche S.R.j., deducendo che l'attore aveva lasciato la casa paterna nel

(OMISSIS) dopo aver contratto debiti per L. 180.000, pagati dal padre con l'aiuto dei fratelli.

Dichiarò che la compravendita del (OMISSIS) era effettiva, e che il valore dei beni donati non

incideva sulla quota di legittima. Sostenne inoltre di avere lavorato sui fondi del padre, il

quale, per questa ragione, gli aveva donato i terreni. Infine, eccepì che il danaro lasciato dal

padre era stato impiegato nelle spese funerarie.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

41

Integrato il contraddittorio nei confronti dei fratelli A., E. e S., i primi due, costituitisi in

giudizio, aderirono alle difese del fratello R.j., mentre il terzo chiese la tutela della propria

posizione ereditaria, svolgendo domande di simulazione, divisione, riduzione e reintegra.

Con sentenza depositata il 28 agosto 2003, il Tribunale di Bolzano ritenne provato che la

vendita a R.j. dissimulava una donazione, nulla per difetto di forma, ma escluse il rientro degli

immobili oggetto della stessa nella massa ereditaria perchè ormai usucapiti, tenendone poi

conto in sede di riunione fittizia. Affermò la natura modale della donazione in favore di O.,

giudicando accertato l'adempimento dell'onere. Ritenne, invece non provato il pagamento del

debito di L. 180.000 che sarebbe stato a suo tempo assunto da J.; quantificò, sulla base delle

stime del c.t.u., il valore della massa, risolventesi nel donatum, al momento dell'apertura della

successione, in L. 477.000.000, ritenendo la inesistenza di relictum per essere stato il danaro

contante lasciato dal defunto utilizzato per le spese funerarie e pratiche successorie. Determinò

in L. 53.000.000 il valore della quota di riserva (un nono) spettante a ciascuno degli eredi.

Quindi, determinò il valore dei beni oggetto del simulato contratto di vendita nell'importo di L.

337.000.000, ritenuto sufficiente a reintegrare i legittimari J. e S. nella quota di riserva

reclamata, condannando,pertanto, R.j. a pagare a ciascuno dei due fratelli l'importo di L.

53.000.000, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Infine, condannò lo stesso R. e A. e E. a rifondere a J. e S. le spese di causa e Johann a

rifonderle ad O..

Avverso la sentenza proposero appello S.R.j., S.E. e S.A., mentre Johann, costituitosi in

giudizio, propose appello incidentale. Anche S.O. si costituì, proponendo appello incidentale

condizionato all'accoglimento di quello principale e degli altri appelli incidentali. Si costituì

infine anche S.S., proponendo, a sua volta, appello incidentale condizionato per il caso di

accoglimento del motivo di gravame avverso l'accertamento della nullità del contratto

dissimulato di donazione.

2. - Con sentenza depositata il 1 settembre 2004, la Corte d'appello di Trento, sez.

distaccata di Bolzano, rigettò il gravame principale. Per quanto ancora rileva nella presente

sede, la Corte territoriale osservò che il primo giudice aveva accertato correttamente la

dissimulazione, con il contratto di compravendita del 1 febbraio 1977, di una donazione nulla

per difetto di forma. La veridicità della dichiarazione di quietanza contenuta nel citato

contratto, attestante l'avvenuto pagamento dell'intero prezzo della compravendita entro la data

della stipula doveva, infatti, ritenersi smentita sulla base di una serie di indizi concordanti,

quali la copia del libretto di risparmio intestato al de cuius, nel quale non risultavano rimesse

corrispondenti al prezzo concordato; la circostanza che lo stesso de cuius, all'epoca già

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

42

ultraottantenne, e poi ricoverato in una casa per anziani, la cui retta di ricovero veniva

corrisposta dalla figlia O., non potesse ragionevolmente disporre di una consistente somma di

danaro, di cui non esistesse traccia; il fatto che i bonifici bancari relativi al pagamento di una

parte del prezzo (dieci milioni di lire), oltre ad essere stati espressamente disconosciuti,

portassero somme non coincidenti col prezzo pattuito, e che due di essi fossero datati ad epoca

successiva alla stipula del contratto; ed ancora il fatto che l'assegno bancario portante la

somma di L. 5 milioni - che, secondo le successive dichiarazioni di R.j., aveva costituito il saldo

del prezzo dell'acquisto - fosse stato prodotto in copia incompleta, da cui non era evincibile

l'eventuale incasso.

Così accertata la simulazione della vendita, dissimulante in realtà una donazione stipulata

per scrittura privata autenticata anzichè per atto pubblico, ne derivava la nullità del contratto

in esame per difetto della prescritta forma dell'atto pubblico.

Correttamente, poi, erano stati attratti nella sfera dell'azione di riduzione gli immobili

oggetto di donazione indiretta in seguito all'usucapione maturata in favore di R.j.. Ne derivava

la inconsistenza della pretesa degli appellanti principali di limitare il donatimi al valore degli

immobili oggetto delle due donazioni valide disposte in favore dello stesso R. e di O..

Infondato era anche, secondo la Corte di merito, il motivo di gravame fondato sulla

ritenuta sussistenza della dimostrazione dell'intervento della famiglia S. nel pagamento di un

debito di L. 180.000 assunto da J. nel (OMISSIS) per l'acquisto di un'autovettura. Il giudice di

secondo grado rilevò che nessuna prova documentale era stata acquisita al riguardo, e che

nessuno dei testimoni escussi aveva potuto riferire per scienza diretta sulle relative circostanze.

Legittimamente, poi, S.A. ed S.E. erano stati condannati alle spese di causa in favore dei

legittimari lesi, avendo aderito alle posizioni difensive di R..

La Corte territoriale accolse invece l'appello incidentale di S.J. nella parte relativa al

mancato riconoscimento dei frutti e della rivalutazione monetaria sull'equivalente monetario

della quota del compendio immobiliare oggetto di riduzione e di reintegra nel periodo

intercorrente tra il momento dell'apertura della successione e quello della decisione. Al

riguardo, essendosi l'appellante incidentale limitato a chiedere la rivalutazione sulla quota di

immobile riconosciutagli e non già la rivalutazione della quota sulla base dei prezzi del

mercato immobiliare, e considerato che la perdita del valore d'acquisto della moneta dal 21

gennaio 1988 era notoriamente inferiore alla lievitazione dei prezzi degli immobili in

(OMISSIS), fu accolta la domanda di consistenza economica minore, proposta dall'appellante

incidentale. Il valore della quota da reintegrare in favore di J. sulle donazioni di cui aveva

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

43

beneficiato R.j. fu stimato in L. 107.590.000, pari ad Euro 55.565,59, importo sul quale erano

dovuti gli interessi in misura legale dalla domanda.

Fu accolto l'appello incidentale altresì nella parte relativa alle spese di causa sostenute da

O., che furono poste a carico solidale di J. e di R.j..

Infine, gli appellanti principali furono condannati in solido a rifondere le spese del

giudizio ai fratelli J. e S., e R.j. e J. alle spese in favore di O..

Furono, poi, dichiarati assorbiti gli appelli incidentali condizionati proposti da S.O. e da

S.S..

3. - Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso S.R.j. e S.E., sulla base di sei

motivi. Resistono con controricorso sia Siegfried, sia O., sia J.: gli ultimi due propongono

altresì ricorso incidentale condizionato. Hanno depositato memorie S.R.j. ed S.E. nonchè S.S.,

S.O. e S.J..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Deve, preliminarmente, disporsi, ex art. 335 c.p.c., la riunione del ricorso principale e

di quelli incidentali, in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza.

2. - La prima, articolata censura di cui al ricorso principale denuncia la violazione o falsa

applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con particolare riguardo agli

artt. 2697 e 1417 c.c.. Contestano i ricorrenti il convincimento espresso dalla Corte di merito

in ordine alla esattezza della ricostruzione operata dal giudice di primo grado secondo la quale

il contratto di compravendita del (OMISSIS), stipulato per scrittura privata autenticata, e

relativo al trasferimento di immobili da St.Ro. al figlio R.j., avrebbe dissimulato una donazione

nulla perchè priva della necessaria forma dell'atto pubblico. La simulazione era stata

erroneamente ritenuta dimostrata sulla base di meri indizi, in assenza di prove scritte o

testimoniali. Al contrario, l'avvenuto pagamento del prezzo della compravendita risultava -

sostengono i ricorrenti - dalla stessa formulazione adottata nel rogito notarile, in cui si

dichiarava espressamente che "il prezzo della compravendita è stato tra le parti di comune

accordo convenuto in complessive L. 16.000,000, che sono state dall'acquirente pagate al

debitore, il quale dichiara di averle ricevute e ne rilascia ampia e definitiva quietanza a saldo".

Inoltre, R.j. aveva prodotto due bonifici bancari di L. 5.000.000 ciascuno all'ordine del padre,

effettuati il giorno stesso della stipulazione del contratto in questione. A fronte di tali

circostanze, il principale argomento alla stregua del quale la sentenza impugnata aveva

ritenuto la simulazione del contratto de quo, relativo al mancato reperimento della somma che

sarebbe stata versata a St.Ro., viene contestato sul rilievo che quest'ultimo non possedeva un

solo libretto a risparmio, e che comunque avrebbe potuto versare gli importi conseguiti a

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

44

favore di altri eredi; che, inoltre, posto che egli era completamente capace di intendere e di

volere, e che esisteva agli atti la prova della effettuazione dei bonifici e del ritiro del danaro da

parte dello St., il mancato reperimento dello stesso non poteva valere a dimostrare la

simulazione della compravendita. Nè alcuna valenza poteva attribuirsi, a tale scopo, alla

circostanza che i bonifici bancari prodotti in giudizio non coincidessero con il prezzo indicato

nel contratto, essendo limitati all'importo di L. 10.000.000, a fronte della considerazione che

tale cifra rappresentava una parte del prezzo, che R.j., in adempimento dell'impegno assunto

con il padre, aveva saldato nel (OMISSIS) con assegno bancario portante la somma di lire

cinque milioni, parimenti prodotto in giudizio. Quanto, poi, al disconoscimento dei predetti

bonifici, valorizzato nella sentenza impugnata, avrebbero dovuto essere al riguardo applicati ì

principi attinenti all'onere della prova.

3.1. - La doglianza non è meritevole di accoglimento.

3.2. - Essa è sostanzialmente diretta a rimettere in discussione il tema della prova della

simulazione della compravendita del (OMISSIS) con la quale il de cuius aveva trasferito

alcuni beni immobili al figlio R.j..

Deve, al riguardo, sottolinearsi che l'accertamento della simulazione (relativa) costituisce

indagine di fatto riservata al giudice del merito il quale deve stabilire, attraverso una corretta

interpretazione del contratto condotta alla stregua dei criteri ermeneutici dettati dal codice

civile e con motivazione immune da vizi logici e giuridici, se, in contrasto con la volontà di

costituire un determinato rapporto espressa nell'atto negoziale, esista una concorde volontà

delle parti tendente a porre in essere un diverso negozio vero e reale, destinato a rimanere

occulto (v., tra le altre, Cass., sentenze n. 4865 del 2001, n. 10089 del 1993).

Detta indagine non può essere effettuata analizzando il contenuto del contratto simulato,

giacché l'accordo simulatorio non fa parte del contratto apparentemente posto in essere dalle

parti: sicché la prova della simulazione non può che fondarsi su elementi estranei al detto

contenuto, che possono concretarsi in una prova meramente presuntiva (v., al riguardo,

Cass., sentenze n. 11372 del 2005, n. 17858 del 2003), quando l'azione sia proposta da terzi o

da creditori delle parti, ipotesi nella quale l'accertamento della simulazione non è soggetto ai

limiti alla prova ex art. 1417 c.c..

3.3. - Nella specie, la Corte territoriale, confermando sul punto le conclusioni del giudice

di primo grado, aveva ritenuto raggiunta la prova della simulazione sulla base di un

dettagliato esame di una serie di elementi acquisiti al giudizio, muovendo dalla comprovata

esclusione della veridicità della dichiarazione di quietanza inserita nel contratto simulato,

attestante il pagamento dell'intero prezzo della compravendita entro la data della stipula del

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

45

contratto, laddove due dei bonifici bancarì prodotti in giudizio - peraltro disconosciuti -

recavano una data successiva ad essa.

Il giudice di secondo grado aveva, quindi, valorizzato, da un lato, la mancanza nel libretto

di risparmio intestato al de cuius di rimesse corrispondenti al prezzo dichiarato della

compravendita; dall'altro, la improbabilità della disponibilità, da parte dello stesso de cuius -

tra l'altro, ricoverato dal 1981, in una casa di riposo la cui retta veniva corrisposta dalla figlia

O. - di una consistente somma di danaro di cui non vi fosse traccia.

Così ricostruito il percorso argomentativo attraverso il quale la Corte territoriale aveva

raggiunto il proprio convincimento in ordine alla simulazione del contratto di compravendita

di cui si tratta, deve escludersi che sia in esso riscontrabile alcun vizio logico od errore

giuridico.

4. - Le esposte ragioni danno, altresì, conto della infondatezza della seconda doglianza,

con la quale ì ricorrenti principali lamentano la omessa, insufficiente o contraddittoria

motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia per la contraddizione tra le

prove offerte da S.R.j. circa l'avvenuto pagamento del prezzo della compravendita di cui al

motivo di ricorso dianzi illustrato e le conclusioni cui era pervenuto il giudice di secondo

grado sulla base di semplici indizi di natura soggettiva. Caduta, per effetto della validità ed

efficacia della vendita, l'ipotesi della collazione dei beni che ne erano stati oggetto, questa -

secondo i ricorrenti - era limitata ai beni donati in vita dal de cuius ai figli O. e R.j., sui quali

entrambi avevano, peraltro, effettuato opere che ne avevano determinato un notevole

incremento di valore. Ne conseguiva che, nella ripartizione tra gli eredi della (sola) quota

indisponibile, si sarebbe dovuto tener conto del valore che avevano detti beni prima dei lavori

di miglioria.

Il motivo si fonda, invero, sulla efficacia del contratto di compravendita tra il de cuius e il

figlio R.j., fondatamente - per quanto dianzi chiarito - esclusa dalla Corte di merito.

5. - Con il terzo motivo del ricorso principale, si deduce ancora omessa ed insufficiente

motivazione in merito alla circostanza del presunto debito di S.J. pagato dalla famiglia,

circostanza ritenuta dalla Corte territoriale sfornita di dimostrazione, e in ordine alla quale i

ricorrenti, al contrario, sostengono raggiunta la prova attraverso le deposizioni dei testimoni,

pur in assenza di scienza diretta. Del resto, deporrebbe in favore della tesi dell'avvenuto

pagamento del debito di cui si tratta da parte della famiglia S. l'improvviso allontanamento di

J. dall'abitazione familiare e la partenza per la (OMISSIS), dopo che lo stesso - secondo la

ricostruzione operata dai ricorrenti - si sarebbe reso conto di avere arrecato un grave

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

46

pregiudizio ai familiari sottoscrivendo decine di effetti cambiari, pur di possedere

un'automobile di lusso.

6. - La censura non risulta meritevole di ingresso nel giudizio di legittimità, incentrata,

com'è, su questioni di merito, il cui esame è inibito nella presente sede.

7. - Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 1277 c.c., e in ogni caso omessa,

insufficiente e contraddittoria motivazione in merito al riconoscimento della natura di debito di

valore della debenza della integrazione della quota al legittimario S.J.. La Corte di merito, una

volta accertata l'usucapione dei beni oggetto della donazione dichiarata nulla, avrebbe errato

nell'affermare il diritto di J. a conseguire in natura l'integrazione della sua quota, non potendo

il bene essere sottratto alla proprietà usucapita dagli attuali possessori: sicchè il predetto

legittimario aveva diritto alla quota in danaro, suscettibile di interessi legali, ma non di

rivalutazione monetaria.

8.1. - La censura è infondata.

8.2. - Nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al

legittimario, si deve avere riguardo al momento di apertura della successione per calcolare il

valore dell'asse ereditario - mediante la cosiddetta riunione fittizia -, stabilire l'esistenza e

l'entità della lesione della legittima, nonché determinare il valore dell'integrazione spettante al

legittimario leso. Peraltro, qualora tale integrazione venga effettuata mediante conguaglio in

denaro, nonostante l'esistenza, nell'asse, di beni in natura, trattandosi di credito di valore e non

già di valuta, essa deve essere adeguata al mutato valore -al momento della decisione

giudiziale - del bene cui il legittimario avrebbe diritto, affinchè ne costituisca l'esatto

equivalente, dovendo pertanto procedersi alla relativa rivalutazione (v. Cass., sent. n. 10564

del 2005).

8.3. - Nella specie, una volta riconosciuto che il credito del legittimario che aveva agito in

riduzione era da considerare debito di valore, la Corte di merito aveva correttamente

ammesso, secondo i principi generali, la rivalutazione della somma.

9. - La quinta doglianza ha ad oggetto la lamentata violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., e

in ogni caso la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito all'accollo a R.j.

delle spese processuali della sorella O., accollo che sarebbe stato privo di fondamento, per

essersi trovato il primo nelle stesse condizioni di O. nel doversi difendere dalle pretese

ereditarie del fratello J..

10.1. - La censura non coglie nel segno.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

47

10.2. - In realtà R.j. era risultato soccombente in relazione alle domande da lui proposte

nei confronti della sorella O., ed in relazione a tale soccombenza era stato condannato al

pagamento delle spese del giudizio.

Ciò posto, va ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, con

riferimento al regolamento delle spese, il sindacato di legittimità è limitato ad accertare che

non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della

parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere

discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in

parte le spese di lite (v., tra le altre, Cass., sentt. 25270 e n. 17145 del 2009, n. 406 del 2008).

11. - Con il sesto motivo i ricorrenti principali denunciano la violazione degli artt. 91 e 92

c.p.c., e in ogni caso la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla

condanna di S.E. (oltre che di A.) alle spese. Costoro, chiamati in causa, si erano costituiti in

giudizio confermando la versione della vicenda resa dal fratello R.j.: per questo solo erano

stati condannati al pagamento delle spese per la soccombenza di quest'ultimo.

12. - Anche tale censura è infondata, alla luce della medesima considerazione svolta con

riguardo alla doglianza dianzi esaminata, attinente alla sussistenza del presupposto della

soccombenza per E.. Quanto alla posizione di S.A., la censura si rivela inammissibile per

carenza di interesse, non figurando quest'ultimo tra i ricorrenti.

13. - Restano assorbiti dal rigetto del ricorso principale i ricorsi incidentali condizionati

proposti da O. e da S.J..

14. - Avuto riguardo alla peculiarità della vicenda ed alle alterne sorti del processo,

sussistono giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbiti quelli incidentali.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 giugno

2009.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2010

> Cassazione Civile Sez. II 25 giugno 2010 n. 15346 (Azione di riduzione - Compravendita

immobiliare compiuta dal "de cuius" - Impugnazione relativa in quanto dissimulante una

donazione - Qualità di terzo dell'attore - Sussistenza - Conseguenze - Dichiarazione di

versamento del prezzo contenuta nel rogito notarile - Inopponibilità al legittimario - Mancata

prova del pagamento del prezzo da parte dell'acquirente - Valutabilità – Fattispecie)

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

48

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA

ha pronunciato la seguente: SENTENZA

………

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l'ingente patrimonio ereditario relitto agli inizi del 1991 da

Attilio Reale, il quale negli ultimi anni di vita aveva alienato preziosi immobili e aveva redatto

più di una scheda testamentaria, destinando quasi tutti i suoi beni all'odierna ricorrente

signora M. Uberta Casillo, senza nominare, nell'ultimo atto, ne' la moglie separata ne' i tre

figli. Accogliendo l'azione di riduzione avviata da costoro nel 1991, il tribunale di Roma nel

2004 e la Corte di appello capitolina nel 2008 hanno quantificato la quota di riserva spettante

agli eredi legittimi e la quota disponibile destinata alla Casillo. Le sentenze hanno individuato i

beni immobili che quest'ultima dovrebbe restituire agli attori, confermato l'assegnazione di

altri immobili all'erede testamentaria, regolato frutti, interessi e conguagli conseguenti alle

assegnazioni. Per quanto ancora interessa, la Corte d'appello ha confermato la qualificazione

della Casilio come erede e non mera legataria del Reale; ha ribadito la nullità delle donazioni

immobiliari dissimulate con atti di vendita in favore della suddetta; ha ridotto da quattro a due

le donazioni di valori immobiliari ritenute nulle dal tribunale, perché motivate dal solo intento

di sottrarre danaro dalle pretese dei legittimari; ha ricostruito l'asse ereditario, valutato i

cespiti immobiliari e ripartito gli stessi tenendo conto del disposto degli artt. 549, 558, 733 e

734 c.c..

M. Uberta Casillo ha proposto ricorso per cassazione notificato il 17 febbraio 2009,

affidandosi a undici motivi. Reale Egidio, Reale Paola e Maria Luisa Conti Vecchi hanno

congiuntamente resistito con controricorso e ricorso incidentale condizionato, articolato su

cinque censure. Giuseppina Reale si è costituita resistendo e svolgendo quattro motivi di

ricorso incidentale. La ricorrente ha depositato controricorso in risposta al ricorso incidentale.

Sono state depositate memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta ex art. 335 c.p.c. la riunione dei ricorsi.

1) I primi tre motivi di ricorso riguardano gli atti di compravendita stipulati il 10 maggio e

11 luglio 1990 tra il Reale e la Casillo, ritenuti simulati dai giudici di merito. Parte ricorrente,

nel denunciare violazione degli artt. 1414, 2700 e 2727 c.c., sostiene che, avendo il notaio

attestato il pagamento del prezzo con assegno bancario, la sentenza d'appello avrebbe dovuto

raggiungere diverse conclusioni. In particolare il primo quesito mira a far stabilire che la

attestazione in ordine alla dazione di assegno bancario non vale solo a certificare una

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

49

dichiarazione delle parti, ma fa prova fino a querela di falso dell'avvenuto pagamento del

prezzo da parte dell'acquirente. Il quesito posto alla Suprema Corte è incongruo e tradisce la

fattispecie concreta, risultando inammissibile. Esso omette infatti di riferire ciò che

correttamente emerge dall'esposizione del motivo (pag. 9 in fine), cioè che il titolo di credito

venne consegnato "salvo buon fine dell'assegno stesso", formula decisiva ai fini che interessano

alla ricorrente, giacché valeva ad escludere che l'atto contenesse già al momento il

riconoscimento dell'estinzione dell'obbligazione. In ogni caso l'argomento svolto è privo di

pregio. Va infatti applicato alla fattispecie il seguente principio: "in tema di azione diretta a far

valere la simulazione di una compravendita che sia proposta dal creditore di una delle parti

del contratto stesso, alla dichiarazione relativa al versamento del prezzo, pur contenuta in un

rogito notarile di una compravendita immobiliare, non può attribuirsi valore vincolante nei

confronti del creditore, atteso che questi è terzo rispetto ai soggetti che hanno posto in essere il

contratto, e che possono trarsi elementi di valutazione circa il carattere fittizio del contratto

dalla circostanza che il compratore, su cui grava l'onere di provare il pagamento del prezzo,

non abbia fornito la relativa dimostrazione (Cass. 11372/05). Ciò vale anche in relazione

all'azione di riduzione promossa dal legittimario preferito, che deve considerarsi terzo rispetto

alle parti contraenti (Cass. 20868/04; n. 6632/06; n. 7834/08), di talché ben possono trarsi

elementi di valutazione circa il carattere apparente del contratto dalla mancata dimostrazione

da parte del compratore del relativo pagamento (Cass. 1413/06).

Restano in tal modo privi di fondamento anche il secondo e il terzo motivo: l'uno volto a

sostenere 7 che la mancata prova del pagamento da parte dell'acquirente potrebbe valere a

documentare "un eventuale inadempimento" di quest'ultimo e non la sussistenza della

simulazione. L'altro che denuncia violazione degli artt. 1414 e 2697 c.c. assumendo che non si

può far carico all'acquirente dell'onere di provare l'avvenuto pagamento. Il quesito, che muove

sempre dal presupposto errato circa il valore probatorio assoluto della attestazione notarile,

risulta ancora una volta inconferente e teso comunque a un'affermazione di principio non

condivisi bile. 2) Il quarto motivo lamenta l'insufficienza della motivazione in ordine agli

elementi presuntivi utilizzati per dichiarare la simulazione degli atti di compravendita.

Parte ricorrente analizza frammentariamente i fatti che indica come rilevanti (la possibile

influenza del rapporto more uxorio Casillo- Reale nella determinazione del prezzo e nel fatto

che il venditore avesse continuato a riscuotere personalmente i canoni di locazione degli

immobili venduti alla ricorrente; le incongruenze nella testimonianza resa dalla portiera del

palazzo; la impossibilità per la Casillo di disporre della documentazione di un conto corrente -

quello del convivente - non a lei intestato e che inizialmente era stato ritenuto irrilevante dal

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

50

giudice istruttore). I rilievi non colgono nel segno. In primo luogo va rilevato che con

riferimento alla deposizione testimoniale di cui viene reclamata una errata valutazione, il

ricorso è carente quanto al requisito dell'autosufficienza, giacché non è stata riportata per

intero e testualmente la dichiarazione resa. Ciò impedisce di valutare la decisività della

deposizione.

In secondo luogo va negato che il fatto che parte degli, appartamenti posseduti dal de

cuius nello stabile sito nel centro storico di Roma fosse stata alienata a soggetti diversi dalla

Casillo tolga "concordanza" alla presunzione tratta dal rilievo che il donante avesse continuato

a comportarsi da proprietario anche dopo le vendite per cui è causa. La presunzione tratta da

questa circostanza resta pienamente concordante con le altre circostanze valorizzate dai

giudici di merito; perde soltanto, ma in modo trascurabile, una parte del carattere di

precisione, perché il comportamento addebitato - ugualmente grave e concordante con altri - si

riferirebbe a un numero inferiore di appartamenti, senza riverberarsi tuttavia sulla credibilità

della testimone. È infatti evidente che la portiera di un palazzo, che veda un proprietario di

appartamenti recarvisi per riscuotere i canoni, non può conoscere distintamente i singoli

passaggi di proprietà relativi a tutti gli alloggi dello stabile. Nè sono concludenti le

considerazioni relative alla disponibilità dei conti correnti: se la Casillo avesse pagato con

assegni tratti da proprio conto corrente, avrebbe potuto dimostrare le vicende dei pagamenti

bancari; l'uscita delle somme in pagamento, l'afflusso di esse su conti riservati del convivente.

In quanto erede testamentaria di quest'ultimo, era abilitata a pretendere dalle banche con cui il

Reale intratteneva rapporti la documentazione relativa al tempo in cui erano eventualmente

affluiti i versamenti. Sono queste le omissioni specifiche, rimaste inspiegate, che i giudici di

merito hanno ritenuto rilevanti e che il motivo non scalfisce in alcun modo, soprattutto non

riuscendo a infrangere la ricostruzione complessiva e coerente che è stata tratta, ai fini

ereditari dall'insieme della vicenda.

3) Quinto e sesto motivo concernono la divisione immobiliare e in particolare i terreni siti

in San Marco Cellino in un complesso (opifici e accessori) sito in S. Pietro Vernotico. Anch'essi

non meritano accoglimento. Anche in questo caso si deve rilevare la grave carenza delle

doglianze sotto il profilo dell'autosufficienza, posto che il quinto motivo fa leva sul contenuto di

una consulenza tecnica di cui omette di riportare integralmente ogni parte che riguarda i beni

de quibus, omettendo di far conoscere alla Corte l'intero testo, in guisa da rendere impossibile

la valutazione di decisività della censura. Resta perciò incensurabile l'affermazione di pag. 16

della sentenza impugnata circa la congruità della valutazione data dal consulente all'azienda

agricola, la cui ampiezza ben si prestava alla divisione, senza pregiudizio per il valore della

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

51

quota indivisa, che anzi, per la situazione dei luoghi e le condizioni del mercato avrebbe potuto

essere addirittura più appetibile dell'intero compendio. Trattasi di valutazione congrua e

appropriata, che il giudice di legittimità non può sindacare, in mancanza di conoscenza

adeguata ed evidente di decisive risultanze di segno contrario a quanto ritenuto in sede di

merito.

Né è in contraddizione con questa valutazione la affermazione, censurata con il sesto

motivo, secondo cui l'ulteriore parcellizzazione sarebbe invece dannosa ai fini di una comoda

divisione. È infatti intuitivo che uno è il giudizio di funzionalità su un'azienda agricola ove la si

divida in tre parti, altro e ben diverso può essere ove si spezzetti un terzo di essa in ulteriori

frammenti. L'assunto della sentenza impugnata, logico e coerente, non è inciso dalla censura.

4) Inammissibile è la censura di omessa pronuncia formulata con il settimo motivo, in

relazione alla mancata ammissione dell'autorizzazione a produrre tardivamente documenti in

forza dell'art. 345 c.p.c., comma 3. Invero è da ritenere che la Corte d'appello abbia esaminato

l'istanza, sia pure implicitamente; essa si riferiva a ricevute di pagamento, a matrici di assegni,

ad altri pagamenti e a un atto di compravendita, che dovevano essere illustrati da prove

testimoniali. Dette prove sono state ritenute inammissibili per più motivi (mancata indicazione

dei testimoni, genericità, etc.), ditalché risultava superflua la produzione documentale ad esse

funzionale o comunque connessa ed era irrilevante la espressa reiezione anche del relativo

profilo. Inoltre nel riproporre l'istanza in questa sede, parte ricorrente non ha evidenziato

l'autonomia dei singoli mezzi, così impedendo alla Corte, ove fosse configurabile la violazione

dell'art. 112 c.p.c. come ritiene una corrente giurisprudenziale minoritaria, di valutarne la

congruità.

Va però ricordato che questa Corte ha in proposito ritenuto che il collegio è tenuto a

motivare esclusivamente l'indispensabilità che giustifica l'ammissione di nuove prove nel

giudizio d'appello, in deroga alla regola generale che invece ne prevede il divieto, ma non

anche la mancata ammissione delle prove ritenute non indispensabili, che si conforma alla

predetta regola generale (Cass. 16971/09). È infatti prevalente l'opinione che il giudizio di

indispensabilità' della prova nuova in appello implica la valutazione sull'attitudine della stessa

a dissipare un perdurante stato di incertezza sui fatti controversi riservata al giudice di merito,

a cui non può sostituirsi la Corte di cassazione (Cass. 14133/06). 5) L'ottava censura espone

violazione degli artt. 1282, 561 e 535 cod. civ. per mancato computo, "a partire dalla data

della domanda giudiziale di riduzione", degli interessi legali sul conguaglio riconosciuto

all'erede per testamento. La ricorrente lamenta una disparità di trattamento con i legittimari,

che sulle somme loro attribuite hanno ottenuto la liquidazione degli interessi. Il motivo è

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

52

infondato per due ragioni. La prima, evidenziata in controricorso, è la diversità dei titoli che

sta alla base delle attribuzioni in danaro alle parti. Nel caso dei legittimari, il conguaglio

ricostituisce la parte di legittima inizialmente sottratta e di cui non hanno goduto i frutti; nel

caso della Casillo si tratta di conseguenza della assegnazione a lei fatta per dar corso alla

operazione divisionale voluta con le contrapposte domande (si veda a pag. 4 quanto riferisce la

sentenza in ordine alle conclusioni della Casillo e in particolare alla comoda divisibilità dei

beni), con la conseguenza che gli interessi sulle somme dovute decorrono dal momento in cui

l'altro assegnatario è tenuto al versamento (Cass. 5606/01; 6653/03; 2483/04).

Sotto altro aspetto va rilevato che parte ricorrente, nel dolersi della omessa attribuzione,

non ha però allegato, riproducendo in parte qua gli atti di causa, di aver chiesto

tempestivamente e reiterato in sede d'appello la liquidazione degli interessi legali ora

domandati.

6) Il nono motivo, che lamenta violazione degli artt. 81, 99, 100 e 112 c.p.c. si riferisce alle

somme che la ricorrente è stata condannata a consegnare agli eredi e che si trovano depositate

in libretti di risparmio vincolati all'ordine del giudice, nell'ambito della procedura di

accettazione beneficiata. Il quesito formulato ex art. 366 c.p.c. intende negare che sia

ammissibile detta condanna, trattandosi di somme sottratte alla disponibilità dell'erede che ha

acceso i libretti e rimesse invece alla disponibilità del magistrato. Anche questo motivo è

infondato: le azioni di accertamento e di condanna non possono che essere proposte nei

confronti dell'erede che abbia accettato l'eredità con beneficio di inventario e le pronunce

giudiziali vanno rese contro di lui. La doglianza esposta attiene alla impossibilità di dare

esecuzione alla sentenza, in considerazione del vincolo giudiziario con finalità conservative

imposto dalla legge e dal giudice: ma priva di senso sarebbe la prospettiva di convenire in

giudizio il magistrato che ha disposto la custodia dei beni mobili ereditari, dovendo l'ordine di

restituzione conseguente alle attribuzioni reintegratorie rivolgersi contro l'erede che era nel

possesso dei beni (arg. ex Cass. 9690/94). Mette conto aggiungere che non è stato formulato

quesito ex art. 366 bis c.p.c. per denunciare l'ultrapetizione implicitamente affacciata da un

inciso del quesito soprariassunto, ove si puntualizza che mancava "specifica domanda sul

punto". L'enucleazione autonoma sarebbe stata indispensabile, perché la sentenza d'appello

"accoglie un capo di impugnazione riguardante la considerazione nell'asse ereditario del

valore dei beni inventariati, tra i quali vi è l'importo dei libretti in esame, di guisa che per

denunciare l'eventuale ultrapetizione sarebbe stato necessario formulare altra doglianza,

esponendo i termini sostanziali e processuali della questione.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

53

7) Con il decimo motivo, sempre relativo ai beni inventariati, è denunciata violazione

dell'art. 948 c.c.. La ricorrente sostiene che, in assenza di prova del perimento di detti beni,

non poteva essere condannata a restituire il controvalore economico di essi, ma solo i beni

inventariati in natura. Precisa che in primo grado il giudice non aveva tenuto conto dei beni

inventariati e che erano stati presi in considerazione dalla Corte d'appello, a seguito del rilievo

della stessa Casillo circa l'incompletezza dell'asse ereditario. Anche questa censura non può

essere accolta. Nel controricorso di Giuseppina Reale viene fatto rilevare che nell'atto di

appello, nel quale aveva posto la tematica dei beni inventariati, la ricorrente non ha però

svolto alcuna elencazione dei beni inventariati, "riferendosi invece ai soli valori dati in sede di

inventario, importo che, si ripete, su richiesta della Casillo è stato incluso nell'asse ereditario".

La circostanza non è smentita dalla memoria della ricorrente ed è avvalorata dalla sentenza

impugnata, nella quale si legge (pag. 16) che la Casillo aveva criticato "l'operato del

tribunale" perché non aveva considerato nell'asse "il valore dei beni inventariati". La Corte

d'appello doveva pertanto fare riferimento all'unico elemento disponibile che era oggetto, non

controverso, dell'istanza, cioè il valore dei beni e non la loro consistenza. Sotto questo profilo

la doglianza è quindi nuova e inammissibile. Nè la Corte poteva tralasciare di considerare

questo elemento patrimoniale: giova infatti ricordare che nel giudizio di reintegra nella quota

di riserva e di divisione dell'asse ereditario, la richiesta diretta a ricomprendere nel "relictum"

determinati beni è questione da risolvere incidentalmente e anche d'ufficio ai soli fini

dell'esatta ricostruzione del "relictum"; la richiesta, che integra una mera sollecitazione del

potere - dovere del giudice di decidere, è implicitamente contenuta nella domanda introduttiva,

non amplia il "thema decidendum" e non soggiace pertanto alle preclusioni previste per le

domande nuove (Cass. 4698/99).

8) L'ultimo motivo denuncia violazione degli artt. 535, 1148, 1149, 1150, 1151 e 1152 cod.

civ. ed è relativo "alla restituzione dei frutti civili degli immobili da restituire". La ricorrente si

duole (punto 11.5 del ricorso) che la sentenza abbia stabilito da un lato che in astratto ella sia

tenuta a restituire i frutti civili che sarebbero da liquidare in separato giudizio, ma nel

contempo abbia omesso di stabilire che ella ha diritto a spese, miglioramenti e indennità tutte

previste dalla legge, senza pregiudizio per le un eventuale successivo accertamento.

Prontamente il controricorso ha rilevato (pag. 45) che tale questione non era stata posta in

precedenza ed è quindi inammissibile in questa sede. In ogni caso la domanda sarebbe stata

superflua. Ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 821 c.c., comma 2, e art. 1129 cod.

civ., il diritto alla restituzione dei frutti nasce limitato dalle spese sostenute per la relativa

produzione, sicché il restituente può dedurle senza necessità di proporre apposita domanda

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

54

giudiziale (Cass. 19349/05). Ne consegue che nel separato giudizio previsto per la liquidazione

dei frutti da restituire, potranno trovare acconcio ingresso le istanze indennitarie oggetto della

censura.

Il rigetto del ricorso principale comporta l'assorbimento dei ricorsi incidentali,

espressamente condizionati all'accoglimento di quello della Casillo.

Segue da quanto esposto la condanna di parte soccombente alla refusione delle spese di

lite, liquidate, come in dispositivo, in favore separatamente di ciascun gruppo dei resistenti

costituiti. P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbiti gli incidentali. Condanna parte ricorrente

alla refusione delle spese di lite liquidate: in Euro quindicimila per onorari, 200 per esborsi,

oltre accessori di legge in favore di Giuseppina Reale; in identici importi in favore degli altri

resistenti Reale - Conti Vecchi. Così deciso in Roma, nella CAMERA di consiglio della seconda

sezione civile, il 11 marzo 2010. Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2010

$%

Come già evidenziato, la disciplina della simulazione si caratterizza per il differente

trattamento dei terzi rispetto alle parti del contratto.

Per l’individuazione di chi possa considerarsi terzo11 devesi aver riguardo ad una posizione

di estraneità del soggetto rispetto all’accordo simulatorio (mentre resta parte chi vi ha

partecipato anche se a mezzo di rappresentante), e che come tale non è in grado di procurarsi la

prova scritta. Non può qualificarsi terzo, invece, l’interponente nell’interposizione fittizia di

persona (trattasi, come detto, di accordo trilaterale).

Nella disciplina codicistica, i terzi acquirenti in buona fede dal simulato acquirente (art.

1415 c.c.) prevalgono sempre rispetto alle parti, ai creditori ed agli aventi causa del simulato

alienante. Ciò a tutela dell’apparenza giuridica, e con soccombenza delle parti in quanto artefici

della simulazione; nel contrasto con i creditori del simulato alienante prevalgono in quanto si

tutela la sicurezza degli acquisti per il buon funzionamento della circolazione dei beni rispetto a

chi ha nutrito un mero affidamento statico sulla consistenza di un patrimonio.

Nel contrasto con gli aventi causa dal simulato alienante si hanno due protagonisti di una

vicenda dinamica, ma si preferiscono i primi in quanto, in via empirica, il legislatore presume

11 Tratti da M. CRISCUOLO, op. cit.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

55

che i secondi quasi sempre siano a conoscenza del fatto che la realtà su cui fonda il loro

acquisto è contraddetta da un’apparenza idonea ad ingannare altri terzi.

Venendo ai terzi pregiudicati dalla simulazione, qui emerge l’interesse a far prevalere la

realtà rispetto alle parti, ma con soccombenza rispetto agli aventi causa dal titolare apparente.

Per la Suprema Corte (tra le tante, Cassazione civile 11 gennaio 2001 n. 338) si ha un

pregiudizio di tipo qualitativo o quantitativo che incide su di una situazione giuridica connessa

o indipendente suscettibile di essere influenzata dalla simulazione. La stessa Cassazione ha

inteso precisare che l’art. 1415 II co. c.c., legittimando i terzi a far valere la simulazione del

contratto rispetto alle parti quando pregiudichi i loro diritti, non consente di ravvisare un

interesse indistinto e generalizzato di qualsiasi terzo ad ottenere il rispristino della situazione

reale, essendo la relativa legittimazione indissolubilmente legata al pregiudizio di un diritto

conseguente alla simulazione. In assenza di tale pregiudizio si ha però un difetto di interesse a

far valere la simulazione (cfr. Cassazione civile sez. II 21 febbraio 2007 n. 4023; sez. II 30

marzo 2005 n. 6651; 13 febbraio 2002 n. 2085).

Ad esempio, è stato considerato terzo, al fine dell’accertamento delle condizioni

economiche dell’obbligato, il coniuge istante per l’assegno di divorzio, che potrà invocare la

simulazione, ex art. 1415 c.c., di atti compiuti dall’altro coniuge implicanti occultamento

dell’effettiva consistenza di dette condizioni, sì da pregiudicare il riconoscimento e la

quantificazione di quell’assegno (Cassazione civile sez. I 5 luglio 1982 n. 3993).

Va poi esaminata la posizione del curatore fallimentare in relazione alla prova della

simulazione12. La figura giuridica del curatore da un lato è riconducibile alla funzione di

rappresentanza del fallito, dall’altro di tutela del ceto creditorio; e in questo senso egli vanta la

legittimazione che la legge attribuisce ai creditori del simulato alienante ex 1416 , II comma ,

cod.civ.. Quindi, può dirsi che è terzo per le azioni che nascono dal fallimento (come l’azione

revocatoria), e per le quali agisce quale rappresentante della massa dei creditori; è parte per

quelle azioni che trova nel patrimonio del fallito, e per le quali agisce quale rappresentante o

sostituto processuale di questi (come quando promuove azione per il recupero di un credito del

fallito, o intende far valere la nullità di un contratto di costui concluso).

Per quanto attiene agli atti di alienazione di beni compiuti dal fallito, si ritiene che il

curatore possa agire nei confronti dell’acquirente come terzo13. Egli pertanto ha la possibilità di

fornire la prova della simulazione (es.: della quietanza, allegando il mancato pagamento del

12 Cfr. D. MINUSSI, Fallimento e prova della simulazione, in E-Glossa.it, 201013 Ancora C.M. Bianca, op. cit.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

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prezzo oppure della pattuizione di un prezzo di maggiore entità) senza limite alcuno (Cass. Civ.

Sez. I, 9835/94; Cass. Civ. Sez. I, 3824/91). Se invece l’eccezione di simulazione è proposta

dall’acquirente in relazione al maggior prezzo sborsato per l’acquisto, a fronte dell’azione

svolta dal curatore che insti perché l’atto sia dichiarato inefficace, il primo dovrà dar conto del

predetto versamento in forza di documenti aventi data certa antecedente alla dichiarazione di

fallimento (Cass. Civ. Sez. I, 1759/08).

Viceversa, ove sia il fallito ad aver acquistato un bene, il curatore può addurre al venditore

la propria qualità di terzo ai fini dell'inopponibilità al fallimento della simulazione fatta valere

dall’altra parte. Ciò sia in relazione alla pattuizione di un maggiore prezzo, sia addirittura con

riferimento alla simulazione assoluta dell'atto. A tal scopo il curatore farà valere la propria veste

di rappresentante dei creditori del titolare apparente ex art. 1416 I comma cod. civ. (Cass. Civ.

Sez. I, 1382/87). Occorrerà pertanto che il simulato alienante dia conto del fenomeno

simulatorio per il tramite di una controdichiarazione avente data certa antecedente alla

pronunzia dichiarativa di fallimento (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 18131/06: la simulazione di una

vendita immobiliare è opponibile al fallimento in quanto sia provata per mezzo di

controdichiarazione recante data certa anteriore alla dichiarazione del fallimento; tale

peraltro non può essere considerato il testamento, sia perché negozio unilaterale, sia perché

atto "mortis causa", ontologicamente diverso dall'atto "inter vivos" richiesto nella specie).

Occorre rilevare infine che risulta in concreto possibile dedurre cumulativamente, sia pure

subordinatamente al mancato accoglimento di una delle due prospettazioni, l’azione di

simulazione e l’azione revocatoria ex 67 l.f..

CASISTICA

> Cassazione civile sez. I 25 maggio 2005 n. 11017 (Azione revocatoria fallimentare in

genere condizioni prova testimoniale simulazione domanda diretta a far valere l'illiceità

dell'accordo simulatorio - Ammissibilità).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE

ha pronunciato la seguente SENTENZA

………

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Milano confermò la dichiarazione

d'inefficacia sia del contratto con il quale la Immobiliare Piemonte s.r.l., successivamente

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

57

dichiarata fallita, aveva venduto cinque alloggi a G.C.M., sia del contratto con il quale costui

aveva poi venduto uno degli immobili a M.C..

Nel disattendere l'appello di M.C., i giudici del merito rilevarono:

a) secondo la corretta qualificazione giuridica ritenuta dal tribunale, la curatela

fallimentare, in conformità all'esplicita autorizzazione del giudice delegato, aveva agito a

norma dell'art. 64 legge fall. per la dichiarazione d'inefficacia del trasferimento immobiliare in

favore di M., in quanto del tutto privo di corrispettivo, e a norma dell'art. 2901 c.c., con azione

revocatoria ordinaria, per la dichiarazione d'inefficacia del successivo trasferimento di un

alloggio da M. a M.C., acquirente in mala fede;

b)accertato che nessun prezzo aveva versato M. per il trasferimento immobiliare in suo

favore, risultava altresì che l'intera operazione immobiliare era stata organizzata nello studio

di commercialista del padre di M.C., allo scopo di fare recuperare a tali C. e B. i crediti vantati

nei confronti della società poi fallita, sicché il secondo acquirente era di certo in mala fede,

perché, consapevole delle ragioni e del contesto dell'operazione, aveva in realtà versato il

corrispettivo della compravendita ai suddetti creditori anziché al suo dante causa M.;

c) l'azione proposta in via subordinata da M.C. nei confronti di M., per esserne garantito

per l'evizione subita, è infondata, perché risulta che il prezzo non fu versato da M.C. in favore

di M. né l'appellante ha provato il contrario.

Contro questa decisione ricorre ora per cassazione M.C., che propone tre motivi

d'impugnazione, cui resiste con controricorso il Fallimento Immobiliare Piemonte s.r.l., mentre

nessuna difesa ha spiegato G.C.M.,

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione degli art. 67 legge fall. e 2901 c.c.,

nullità e vizi di motivazione della sentenza impugnata. Lamenta che i giudici del merito

abbiano accolto una domanda di revocatoria ordinaria mai proposta in realtà dal fallimento,

che aveva invece agito in revocatoria fallimentare, a norma degli art. 64 o 67 legge fall., sulla

base di presupposti di fatto e di diritto del tutto diversi da quelli dell'azione revocatoria

ordinaria. Sicché la sentenza impugnata è nulla per extrapetizione.

Il motivo è infondato. Non v'è dubbio, infatti, che l'azione revocatoria ordinaria e l'azione

revocatoria fallimentare hanno presupposti oggettivi e soggettivi diversi, come sostiene il

ricorrente in conformità alla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. I, 3 settembre 1999, n.

9271, m. 529597, Cass., sez. I, 21 marzo 1996, n. 2423, m. 496473). Ma altrettanto certo è che

«ricorre vizio di ultrapetizione solo quando la pronuncia giudiziale trascende i limiti oggettivi

della controversia, quali risultano dalle contrapposte domande ed eccezioni delle parti, mentre

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

58

siffatto vizio non è configurabile rispetto alla configurazione giuridica dei termini della

controversia ed alla identificazione delle norme di diritto in base alle quali la lite deve essere

decisa, rientrando nel potere - dovere del giudice il compito di inquadrare nella esatta

categoria giuridica i fatti dedotti ed acquisiti al giudizio e di applicare le relative norme di

legge» (Cass., sez. un., 5 luglio 1971, n. 2082, m. 352765). E nel caso in esame i giudici del

merito hanno correttamente individuato nella dedotta gratuità della prima alienazione e nella

mala fede del secondo acquirente i fatti cui riferire la qualificazione rispettivamente come

domanda d'inefficacia ex art. 64 legge fall. dell'azione proposta dal fallimento nei confronti di

M. e come azione revocatoria ordinaria della domanda proposta dallo stesso curatore

fallimentare nei confronti di M.C.. Né ha rilevo che ancora nella conclusioni definitive l'attore

avesse qualificato anche questa seconda domanda come azione revocatoria fallimentare,

perché «il giudice di merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della

portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore

meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per

converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile

dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante» (Cass., sez. III, 2

dicembre 2004, n. 22665, m. 578312).

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli art.

2697, 2729, 2733, 2901 c.c. e vizi di motivazione della sentenza impugnata, lamentando che i

giudici del merito abbiano omesso di accertare se la seconda vendita avesse effettivamente

pregiudicato i diritti dei creditori insinuati nel fallimento; abbiano fondato sulle dichiarazioni

di M., inattendibili e inutilizzabili perché provenienti da un giudizio penale cui egli era rimasto

estraneo, il convincimento della sua mala fede al momento dell'acquisto; abbiano

contraddittoriamente prima negato e poi affermato il pagamento da parte sua di un prezzo di

acquisto dell'immobile.

Il motivo è infondato. Secondo quanto si desume dagli art. 2901 camma 1 n. 1) c.c. e 66

legge fall., invero, il curatore del fallimento che esperisca l'azione revocatoria ordinaria non è

tenuto a provare che il credito dei creditori ammessi o di alcuni dei creditori ammessi al

passivo era già sorto al momento del compimento dell'atto che si assume pregiudizievole,

quando deduca una dolosa preordinazione dell'atto dispositivo al fine di pregiudicare il

soddisfacimento dei creditori (Cass., sez. I, 12 settembre 1998, n. 9092, m. 518866). E nel caso

in esame i giudici del merito hanno appunto accertato una dolosa preordinazione

dell'operazione immobiliare organizzata mediante l'interposizione reale di G.C.M.

nell'alienazione intesa a soddisfare i creditori C. e B. con preferenza sugli altri creditori.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

59

Il ricorrente censura tale accertamento perché sarebbe contraddittorio e basato su prove

inattendibili e inutilizzabili.

Sennonché non v'è la dedotta contraddittorietà nella motivazione della sentenza

impugnata, perché i giudici del merito hanno incensurabilmente ritenuto che M.C. pagò

direttamente a C. e B., anziché a G.C.M. il prezzo dell'immobile acquistato. Non v'è quindi

contraddizione tra la negazione del pagamento all'uno e l'affermazione del pagamento agli

altri.

D'altro canto, nella giurisprudenza di questa Corte è indiscusso che «il giudice civile, in

mancanza di alcun divieto, può liberamente utilizzare le prove raccolte in un diverso giudizio

tra le stesse o tra altre parti, e può anche avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle

indagini preliminari svolte in sede penale, le quali possono anche essere sufficienti a formare il

convincimento del giudice, la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità quando la

valutazione compiuta sia stata estesa anche a tutte le successive risultanze probatorie e non si

sia limitata ad un apprezzamento della sola prova formatasi nel procedimento penale» (Cass.,

sez. III, 15 ottobre 2004, n. 20335, m. 577730, Cass., sez. III, 20 febbraio 1979, n. 1098, m.

397303).

Nel caso in esame dunque il giudizio in fatto della sentenza impugnata è stato

correttamente fondato su una valutazione complessiva di prove documentali e di dichiarazioni

rilasciate dalle parti anche nel processo penale. E questa interpretazione dei fatti attiene al

merito della decisione, sicché è incensurabile nel giudizio di legittimità, perché, secondo

un'indiscussa giurisprudenza di questa Corte, «la deduzione di un vizio di motivazione della

sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere

di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola

facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico -

formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il

compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di

controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del

processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse

sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti

(salvo i casi tassativamente previsti dalla legge)» (Cass., sez. un., 27 dicembre 1997, n. 13045,

m. 511208). In particolare «il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per

cassazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., si configura nella ipotesi di carenza di elementi, nello

sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a

base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

60

attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al

riguardo» (Cass., sez. L, 24 giugno 2000, n. 8629, m. 538004).

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in via subordinata, violazione o falsa

applicazione degli art. 1483, 2697, 2702, 2703 c.c., vizi di motivazione della sentenza

impugnata, lamentando che i giudici del merito abbiano apoditticamente disatteso la domanda

di garanzia per evizione dal lui proposta nei confronti di M.. I giudici d'appello, sostiene il

ricorrente, hanno laconicamente affermato che egli non poteva vantare ragioni di credito nei

confronti di M., cui non aveva pagato alcun prezzo. Sennonché dalla scrittura privata di

compravendita risulta al contrario il pagamento a M. del prezzo di trentotto milioni di lire; e

tale scrittura fa piena prova nei rapporti tra le parti del contratto.

Anche questo motivo è infondato.

Come s'è detto, secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici del merito, invero,

l'operazione immobiliare organizzata per favorire taluni creditori della società poi fallita diede

luogo a un'interposizione reale di G.C.M. nell'acquisto di un immobile da parte di M.C., che

era in mala fede, perché consapevole dello scopo e del contesto dell'operazione e non pagò il

prezzo al suo dante causa bensì direttamente ai creditori favoriti.

Il credito di M.C. per la restituzione del prezzo, che pure sarebbe derivato dall'evizione

della cosa (art. 1483, in relazione all'art. 1479, e art. 2902 comma 2 c.c.), è stato quindi

correttamente escluso dai giudici del merito, perché il ricorrente non poteva pretendere la

restituzione del prezzo da chi, come M., il prezzo non l'aveva ricevuto.

Quanto alla scrittura privata di compravendita, nella quale si dà effettivamente atto del

pagamento del prezzo da M.C. a M., essa ha efficacia di fede privilegiata solo della

provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta (art. 2702 e 2703 c.c.), ma non della

veridicità di tali dichiarazioni.

Vero è che la scrittura privata in questione documenta una quietanza e che, secondo

quanto prevedono gli art. 2726 e 2729 c.c., non è di regola ammissibile la prova per testi o per

presunzioni dell'esistenza di «un accordo simulatorio concluso allo specifico fine di negare

l'esistenza giuridica della quietanza» (Cass., sez. un., 13 maggio 2002, n. 6877, m. 554362,

Cass., sez. I, 28 luglio 1997, n. 7021, m. 506291). Tuttavia, per il combinato disposto degli art.

1417 e 2729 c.c., la prova per testimoni e la prova presuntiva in ordine alla simulazione di una

quietanza di pagamento sono ammissibili qualora la domanda sia diretta a far valere l'illiceità

dell'accordo simulatorio (Cass., sez. I, 12 settembre 1998, n. 9092, m. 518866). E nel caso in

esame i giudici del merito del merito hanno appunto ritenuto che sia l'interposizione reale di

M. sia la simulata quietanza del pagamento a sue mani del prezzo della compravendita

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

61

avessero l'illecito scopo di favorire taluni creditori a danni di altri nell'imminenza del

fallimento della Immobiliare Piemonte s.r.l.

Sicché, così interpretata la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della

curatela resistente, liquidandole in complessivi . 2.100, di cui . 2000 per onorari oltre spese

generali e accessori come per legge.

Roma, 21 marzo 2005 DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 25 MAG. 2005

> Corte appello Milano 04 dicembre 2008 (Fallimento – Curatore – poteri).

Dopo la dichiarazione di fallimento, l’azione di simulazione di atti posti in essere dal

debitore fallito e diretta a ricostituire il suo patrimonio spetta esclusivamente al Curatore. La

perdita di legittimazione opera sia dal lato attivo, in relazione all'azione spettante alla parte

poi fallita (art. 1414 c.c., comma 1) sia dal lato passivo, in relazione all'azione spettante ai

creditori (art. 1416 c.c. comma 2). Il creditore perde il diritto di far valere la simulazione di

atti del debitore, poiché il carattere esclusivo del compito affidato al curatore stesso di

ricostituzione di quella garanzia patrimoniale su cui i creditori faranno valere esecutivamente,

in concorso, i loro diritti, discende dai principi fondamentali della procedura fallimentare,

quali, da un canto, quello per cui nelle controversie in corso relative a rapporti di diritto

patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore (art. 43 L.F.) e

dall'altro quello del divieto di imporre o proseguire sui beni compresi nel fallimento qualsiasi

azione individuale esecutiva (art. 51 L.F.), nel quale ricadono anche le azioni funzionalmente

preordinate ad assicurare l'utile risultato della stessa azione esecutiva.

> Cassazione civile sez. I 28 gennaio 2008 n. 1759 (Fallimento - Azione revocatoria

fallimentare - Atti a titolo oneroso - Compravendita immobiliare - Revocatoria fallimentare nei

confronti dell'acquirente - Deduzione da parte del convenuto della simulazione del prezzo -

Onere della prova - Spettanza - Mezzi - Pluralità di documenti - Certezza della data con

riguardo a ciascuno - Necessità - Sussistenza – Fattispecie).

In tema di eccezione di simulazione di prezzo opposta dall'acquirente di bene immobile al

curatore del fallimento del venditore che agisce, ai sensi dell'art. 67, n. 1, l. fall., per la

dichiarazione di inefficacia dell'atto, spetta al convenuto l'onere di provare, sulla base di un

documento di data certa anteriore al fallimento ex art. 2704 c.c., il versamento del maggior

prezzo dissimulato e poi il collegamento di tale versamento con il contratto revocabile; ne

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

62

consegue, per il caso in cui la prova documentale della simulazione relativa sia data da una

serie di documenti tra loro ricollegabili, che ciascuno di essi, secondo il regime probatorio suo

proprio, deve avere data certa anteriore al fallimento . (Applicando tale principio, la S.C. ha

parzialmente riformato la sentenza di merito, che aveva ritenuto provata la simulazione di una

parte del prezzo dalla prova per testi, ammessa oltre i limiti dell'art. 2722 c.c. ed al fine di

dimostrare la causale del rilascio di cambiali, cui era stato però negato il predetto requisito

della data certa).

> Cassazione civile sez. I 27 aprile 2011 n. 9385 (Fallimento - Azione revocatoria ordinaria

- Scrittura privata di allegata autenticazione da parte di funzionario pubblico di fatto o

apparente - Utilizzabilità nel giudizio - Condizioni - Ricorrenza di effetti favorevoli in capo al

privato e nel solo rapporto con la P.A. - Difetto - Conseguenze – Fattispecie).

In tema di azione revocatoria ordinaria, esercitata dal curatore fallimentare ai sensi

dell'art. 66 l. fall., e nella specie avente ad oggetto la vendita di un immobile da parte del

fallito, la prova, invocata dall'acquirente e relativa alla simulazione del prezzo, non può

fondarsi su scrittura privata, asseritamente redatta tra le parti originarie del contratto ed

autenticata da un funzionario di fatto o apparente, nella specie un impiegato pubblico

comunale già in pensione all'epoca indicata come data dell'atto. L'esigenza di tutela del

legittimo affidamento del privato che in buona fede abbia avuto rapporti con il predetto

funzionario, in realtà privo del potere esercitato in nome e per conto dell'ente pubblico,

permette, infatti, la salvezza in via eccezionale degli atti da questi computi solo allorché

l'investitura del funzionario si sia palesata ex post irregolare od inefficace e, in ogni caso,

unicamente con riguardo agli effetti favorevoli dell'attività posta in essere che il privato

invochi a proprio vantaggio nei confronti della p.a. stessa; ne consegue che, operando l'attività

di autenticazione delle firme apposte su scritture private su di un piano totalmente diverso e

non derivando da essa alcun effetto favorevole al privato sottoscrittore nei confronti della p.a.,

non si può prescindere dal rispetto delle forme richieste dalla scrittura, destinata ad attribuire

valore di prova documentale, anche verso i terzi, dell'atto, e dunque dalla effettiva qualità di

pubblico ufficiale, a ciò espressamente autorizzato, del soggetto che la compie.

> Cassazione civile sez. I 13 maggio 2009 n. 11144 (Fallimento - Effetti sui rapporti

preesistenti - Quietanza - Azione di simulazione del curatore - Prova per presunzioni della

mancanza del pagamento – Condizioni).

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

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Il curatore fallimentare che agisca per la dichiarazione di simulazione di una quietanza di

pagamento, al fine di recuperare il relativo importo al fallimento , può validamente dimostrare

l'assenza dell'effettivo versamento della somma in contanti attraverso il collegamento tra

presunzioni concordanti, quali l'assoluta mancanza di plausibilità dell'allegazione, in quanto

riferita ad un importo assoggettato per la sua ingente entità ai divieti della normativa

antiriciclaggio e alla conseguente necessità di una traccia documentale dell'effettivo

versamento.

&'%

Una delle più rilevanti fattispecie in tema di simulazione relativa, a motivo della particolare

struttura soggettiva, è la cosiddetta interposizione fittizia di persona, che soprattutto pone

problemi di differenziazione con i casi in cui l’interposizione è reale (come nel mandato senza

rappresentanza). Quella che rileva per la presente trattazione è però essenzialmente quella

fittizia, con la quale si attua un meccanismo o di simulazione assoluta (cd. interposizione fittizia

statica, ad esempio alienazione totalmente simulata al fine di sottrarre un bene ai creditori) o di

simulazione relativa (cd. interposizione fittizia dinamica: ad esempio, acquisto di un bene a

nome altrui, al fine di occultare l’acquisto ai terzi).

Ora, l’intestazione di beni a persona diversa dall’effettivo titolare non importa

necessariamente simulazione soggettiva, giacché la differenza tra interposizione fittizia e reale

di persona poggia sul fatto che in quest’ultima si ha un trasferimento valido ed efficace a favore

dell’interposto, che è a sua volta obbligato all’ulteriore trasferimento; nella interposizione

fittizia, invece, vi è divergenza tra situazione reale e situazione apparente, sicché in base ad una

intesa fra tutte le parti - interponente, interposto e terzo - figura come contraente un soggetto in

realtà estraneo alla pattuizione (cfr. Cassazione civile, sez. I, 6 dicembre 1984 n° 6423).

Ancora, l’interposizione fittizia di persona postula la imprescindibile partecipazione

all’accordo simulatorio non solo del soggetto interponente e di quello interposto, ma anche del

terzo contraente, chiamato ad esprimere la propria adesione all’intesa raggiunta dai primi due

(contestualmente od anche successivamente alla formazione dell’accordo simulatorio) onde

manifestare la volontà di assumere diritti ed obblighi contrattuali direttamente nei confronti

dell’interponente, secondo un meccanismo effettuale analogo a quello previsto per la

rappresentanza diretta; mentre la mancata conoscenza, da parte di detto terzo, degli accordi

intercorsi tra interponente ed interposto (ovvero la mancata adesione ad essi, pur se da lui

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

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conosciuti) integrerebbe gli estremi della (diversa) ipotesi dell’interposizione reale di persona,

secondo il meccanismo effettuale tipico della rappresentanza indiretta (Cassazione civile sez.

II, 15 maggio 1998, n° 4911).

In ordine all’essenzialità della partecipazione del terzo all’accordo simulatorio, va ricordato

che la Suprema Corte ha precisato – con la pronuncia da ultimo citata - che la prova di tale

partecipazione rileva “tanto nelle controversie tra l’interponente e/o l’interposto ed il terzo,

quanto nelle controversie che vedano i primi tra loro stessi ad essere contrapposti” : ciò in

quanto l’intero assetto di rapporti discendente dal contratto principale risente certamente della

diversa composizione delle parti, in particolare nell’ipotesi del contratto di società di persone,

dove la qualità soggettiva dei partecipanti è certamente rilevante, potendosi dire perciò qualsiasi

delle (tre) parti legittimata alla proposizione dell’azione per l’accertamento della simulazione.

Diversi sono i presupposti per l'azione volta ad accertare l'interposizione reale e quella

fittizia14. Ne segue da un lato che, a livello processuale, il giudicato formatosi su una delle

domande non preclude la proposizione dell'altra e che, sotto il profilo sostanziale, la

proposizione dell'una non interrompe il termine prescrizionale per far valere l'altra (Cass. Civ.

Sez. II, 8616/94). Nell’interposizione reale una delle parti dell’atto negoziale è inoltre del tutto

estranea agli accordi tra il soggetto interposto ed il destinatario finale degli effetti dell’atto.

Tizio che vende un immobile a Caio, persona interposta, ordinariamente sarà all’oscuro di

questa qualità di Caio. Al contrario, nell’interposizione fittizia l’accordo simulatorio è

addirittura trilatere, coinvolgendo tutte le parti interessate, come già evidenziato.

CASISTICA

Tribunale Milano sez. II 01 giugno 2007 n. 6903 (Simulazione – Rapporti con i

creditori).

In ordine alla richiesta di accertamento di una interposizione fittizia posta in essere al

momento dell’acquisto del veicolo, il Tribunale rileva che in virtù della disposizione dettata

dall’art. 1416 comma 1 c.c., tale simulazione relativa non è opponibile al curatore del

fallimento , la cui situazione legittimante si identifica con quella dei creditori del titolare

apparente, ai quali non può essere opposta una titolarità del bene – acquisito all’attivo per

effetto del pignoramento “ex lege” connesso alla dichiarazione di fallimento – diversa da

quella apparente, salvo che la domanda giudiziale diretta a far accertare l’interposizione

fittizia posta in essere in occasione del trasferimento non sia stata trascritta in data anteriore

14 Ancora D. MINUSSI, op. cit.

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

65

alla dichiarazione di fallimento , in base al combinato disposto degli art. 2652 n. 4 e 2690 n. 1

c.c. (cfr. Cass., 22 agosto 1997 n. 7865).

Cassazione civile sez. II 19 febbraio 2008 n. 4071 (Simulazione – prova)

Nelle controversie che hanno per oggetto l’accertamento di una simulazione relativa per

interposizione fittizia di persona riguardante un contratto per il quale sia necessaria la forma

scritta “ad substantiam”, nessun valido elemento di prova del contratto dissimulato può essere

tratto dalla confessione o dal giuramento del venditore sulla persona del reale acquirente del

bene o da documenti che attestano il pagamento del prezzo da parte del presunto reale

acquirente.

> Cassazione civile sez. II 12 ottobre 2009 n. 21637 (Simulazione – prova).

Nel caso di allegazione della simulazione relativa per interposizione fittizia di persona di

un contratto necessitante la forma scritta "ad substantiam" la dimostrazione della volontà delle

parti di concludere un contratto diverso da quello apparente incontra non solo le normali

limitazioni legali all'ammissibilità della prova testimoniale e per presunzioni, ma anche quella,

più rigorosa, derivante dal disposto degli art. 1414, comma 2, e 2725 c.c., di provare la

sussistenza dei requisiti di sostanza e forma del contratto diverso da quello apparentemente

voluto e l'esistenza, quindi, di una controdichiarazione, dalla quale risulti l'intento comune dei

contraenti di dare vita ad un contratto soggettivamente diverso da quello apparente. Di

conseguenza, e con riferimento alla compravendita immobiliare, la controversia tra il preteso

acquirente effettivo e l'apparente compratore non può essere risolta, fatta salva l'ipotesi di

smarrimento incolpevole del relativo documento (art. 2724, n. 3, c.c.), con l'interrogatorio

formale, non potendo la mancata comparizione della parte all'interrogatorio deferitole supplire

alla mancanza dell'atto scritto.

> Cassazione civile sez. VI, ordinanza 18 agosto 2011 n. 17389 (Simulazione relativa sotto

il profilo soggettivo - Accordo tra interponente, interposto e terzo - Adesione formale del terzo -

Trasferimenti immobiliari - Forma scritta - Necessità).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA

ha pronunciato la seguente: ORDINANZA

………

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

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che: - si è proceduto nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c.; - la relazione depositata in

cancelleria è del seguente tenore: "Con sentenza n. 441/2004 il Tribuna di Latina - adito da

Luigi De Caprio nei confronti di Laura D'Andre - respinse la domanda dell'attore, diretta ad

ottenere l'accertamento e la dichiarazione della sua qualità di comproprietario di un

appartamento, acquistato a suo dire apparentemente dalla sola convenuta, ma in realtà da

entrambi; accolse la riconvenzionale, condannando Luigi De Caprio alla restituzione di l.

23.500.000, che aveva ricevuto in mutuo da Laura D'Andre.

Impugnata dal soccombente, la decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di

Roma, che con sentenza n. 280/2010 ha rigettato il gravame.

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione De Caprio Luigi, in base a

quattro motivi. Laura D'Andre si è costituita con controricorso.

Con i primi due motivi di ricorso Luigi De Caprio lamenta che erroneamente la Corte

d'appello ha escluso che egli avesse prospettato un'ipotesi di interposizione fittizia di persona:

ipotesi che invece era stata non solo dedotta ma anche pienamente provata mediante le

deposizioni testimoniali assunte, dalle quali era risultata "l'esistenza di un altro atto scritto e

cioè la controscrittura intervenuta tra il De Caprio e la D'Andre, che dimostrava in modo

inconfutabile che l'atto pubblico era un atto simulato".

La doglianza appare manifestamente infondata.

Correttamente con la sentenza impugnata si è ritenuto che nella vicenda, come delineata

dall'appellante, non fosse ravvisabile l'elemento essenziale costituente requisito indispensabile

per la configurabilità di una simulazione relativa sotto il profilo soggettivo: questa implica un

accordo non solo tra l'interponente e l'interposto, ma anche con il terzo, il quale deve

consentirvi, esprimendo la propria adesione nella debita forma, che per i trasferimenti

immobiliari è quella scritta (cfr. Cass. 4 agosto 1997 n. 7187, 23 gennaio 1998 n. 672, 15

maggio 1998 n. 4911, 18 maggio 2000 n. 6451, 13 ottobre 2004 n. 20774/2010 20198, 14

marzo 2006 n. 5457). Che ciò nella specie non sia avvenuto risulta proprio dalle affermazioni

del ricorrente.

Disattesi i primi due motivi di ricorso, perdono consistenza anche gli altri, che si

riferiscono a considerazioni svolte ad abundantiam dal giudice di secondo grado, a proposito

sia dell'irrilevanza della stipulazione del contratto preliminare da parte di Luigi De Caprio, sia

dell'ammontare delle somme da lui pagate per l'acquisto, la ristrutturazione e l'arredamento

dell'immobile in questione. Si ritiene quindi possibile definire il giudizio ai sensi dell'art. 375

c.p.c., n. 5 , seconda ipotesi - il difensore del ricorrente ha presentato una memoria ed è stato

sentito in camera di consiglio; - il collegio concorda con le argomentazioni esposte nella

CSM – corso 5925 (La prova nel processo civile) - Simulazione negoziale e prova del negozio dissimulato.

67

relazione e le fa proprie, osservando che non sono efficacemente contrastate dalle deduzioni

svolte nella memoria dal ricorrente, il quale insiste nel prospettare una ipotesi di interposizione

fittizia di persona nell'acquisto di un immobile, riconoscendo però che i venditori non avevano

prestato la loro adesione all'accordo simulatorio nella forma scritta richiesta dalla

giurisprudenza sopra richiamata; - il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente

condanna del ricorrente a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si

liquidano in 200,00 Euro, oltre a 2.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla resistente le spese del giudizio

di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 2.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di

legge. Così deciso in Roma, il 15 luglio 2011. Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2011.

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