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PROTERINA 3 - EMERGENZA PARTECIPATA partecipare la redazione dei piani di emergenza comunali REPORT DEL CROWDLAB del 24.02.2018 a Campomorone

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PROTERINA 3 - EMERGENZA PARTECIPATApartecipare la redazione dei piani di emergenza comunali

REPORT DEL CROWDLAB del 24.02.2018 a Campomorone

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Introduzione : Marina Morando (Fondazione CIMA)

Perché siamo qui: la preparazione dei cittadini è fondamentale; a Genova ci sono tantissimi cittadini che abitano in area inondabile; abbiamo deciso di lavorare con i cinque comuni della Valpolcevera sul tema della prevenzione del rischio, ma soprattutto con i cittadini. La nuova legge prevede che siano proprio i cittadini con i volontari a partecipare alla stesura dei piani di protezione civile. CIMA è partner di questo progetto.

Breve spiegazione del ruolo di CM e Regione Liguria (Silvia Fanti), collaborazione con Sociolab, società di ricercatori di FI che lavora con noi da molti anni sul campo della protezione civile.

Chi sono gli “ispiratori”: Roberto Solinas, Dirigente IC Marassi e Scuola Superiore Odero; dott.ssa Maria Luisa Biorci, ex sindaco Arenzano;da sindaco ha dato stimolo ad un percorso partecipativo analogo a quello che stiamo iniziando qui; essendo cardiologa è abituata a lavorare in emergenza Avv. Altamura (Consulente giuridico di CIMA) lavora da anni con protezione civile.

Lascio la parola a Silvia Givone (SOCIOLAB) che vi spiega: la mattina funziona così: lavori sono divisi in 3 sessioni così costruite. Un momento in cui il primo relatore “ispiratore” (Solinas) ci racconta il suo punto di vista rispetto alla domanda “cosa può fare la scuola per rispondere all’emergenza?”. Dopo sarete invitati a confrontarvi tra voi nei gruppettini formati da questi semicerchi di sedie, con obiettivo di elaborare collettivamente 2 domande da fare al Prof Solinas. Avrete circa 20 minuti per discuterne e vi daremo dei cartoncini per formulare e scrivere le vostre domande. Il prof risponderà alle vostre curiosità e approfondimenti. Il secondo round lo farà la ex sindaca di Arenzano, che risponderà alla domanda “cosa può fare il comune?” e dopo Altamura dal punto di vista della protezione civile. Alla fine della giornata avrete tante informazioni.

Perché la cosa funzioni deve funzionare il confronto tra le persone. Vi inviterei a sedervi mescolati. Dò subito la parola al prof Solinas. Saremo rigide nel rispetto dei tempi, sia per i relatori sia per la discussione nei gruppi.

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Primo ispiratore: Roberto Solinas, dirigente scolastico IC Marassi e Scuola secondaria di secondo grado Odero

Sono già stato chiamato “preside illuminato” e “ispiratore”, spero di essere all'altezza. Io non ho preparato un discorso, vi racconto la mia esperienza personale. C'è qualcuno tra di voi che rappresenta il mondo della scuola? Io sono dirigente scolastico dal 2012 presso IC Marassi.

Una rete di informazione capillare scuola-famiglia

Sapete che la mia scuola è collocata sulla confluenza tra Ferreggiano-Bisagno, zona rossa per eccellenza; sono arrivato in questa scuola sapendo che avrei dovuto gestire un evento significativo e doloroso, con 3 vittime nella tragica alluvione. L'anno precedente ero collaboratore scolastico del dirigente per gestire una situazione su cui noi eravamo assolutamente impreparati. All’epoca ero nell’istituto Majorana a Molassana, isitituto tecnico di secondo grado. Durante l’evento alluvionale abbiamo gestito una situazione dove ci siamo accorti che non avevamo strumenti, neanche giuridici, a per trattenere alunni a scuola. L’unica cosa che abbiamo fatto era capire dove evento stava colpendo più forte e trattenere a scuola gli alunni che avrebbero dovuto attraversare il centro e recarsi nelle zone colpite dall'evento. Col senno di poi è stato un tragico evento che poteva avere un epilogo ben peggiore, tutti i ragazzi erano per strada; anche a mio figlio hanno detto di attraversare il ponte di Sant’Agata di corsa. La scuola di mia figlia, si è comportata facendo uscire gli alunni prima del termine delle lezioni. Nel 2012 sono arrivato a Marassi, e dopo 15 giorni dal mio nuovo incarico, ricevo visita dell'ispettore della ASL a seguito di un esposto al presidente della repubblica stavano approfondendo. Ricevo questa visita e mi chiedono cosa penso di fare, e mi chiedono: “mi faccia vedere piano emergenza idrogeologica”. Ovviamente non avevo ancora avuto modo di prendere in mano un piano di emergenza, avevo scritto a tutte le famiglie, all’epoca la mia scuola chiudeva con allerta 1. Quell’anno ho chiuso la scuola una decina di volte.

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Come sapete le allerte sono previsioni. A quel punto abbiamo iniziato un grosso lavoro, un piano di emergenza che prevedeva rischio idrogeologico . Ho lavorato fondamentalmente sulla formazione del personale . E’ doveroso dire che quasi nessuna scuola di Genova prevedeva un rischio specifico per l’alluvione. Le misure sono semplici in caso di allerta. Ma il grande lavoro era di formazione e informazione con studenti e personale, che sono stati coinvolti in prima persona in un percorso che da anni va avanti. In primo luogo abbiamo costruito una rete di informazione. Ancora prima che il servizio di protezione civile del comune di Genova avesse servizio di sms, avevamo costruito sistema comunicazione interna. E’ sostanzialmente una rete che parte dal dirigente, arriva ai coordinatori di classe, ai rappresentanti alunni, a tutti i genitori. Questo prima di whatsapp. Contestualmente i genitori erano invitati ad iscriversi al servizio della protezione civile. Alla fine di questa catena dovevano riavvisare il rappresentante di classe. Il nostro piano di emergenza prevedeva la necessità di avvisare gli studenti che sostano nel nostro edificio. (palestre, refettori, uffici al PT). E' un edificio che ospita 850 alunni. E' assurdo che una scuola di queste dimensioni e che potrebbe essere presidio sicuro debba chiudere con allerta 1. Il pericolo non è la scuola ma la strada, l’attraversare e andare a casa. Abbiamo lavorato con la protezione civile e Fondazione CIMA per dimostrare che il nostro piano di emergenza consentiva di tenere la scuola aperta con allerta 1 e aveva la possibilità di informare le famiglie in tempo reale. Ci sono state resistenze da parte delle famiglie perché noi abbiamo scritto esplicitamente che se c’è alluvione i bambini non escono da scuola; questo ancor prima che fosse previsto dall'ordinanza. Ci sono state proteste che affermavano che era sequestro di persona. Io non mi volevo esporre al rischio. Ancora a distanza di anni le immagini del Ferreggiano fanno piangere gli insegnanti. Con molti colleghi ci siamo confrontati sul tema della manleva per far uscire il figlio da scuola; io sono assolutamente contrario. Abbiamo tolto alle famiglie lo strumento di manleva a far uscire il figlio. E’ assurdo che i genitori si muovano per andare a prendere i figli.

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La scuola secondaria di secondo grado

Un ultimo passaggio sulla secondaria di secondo grado. Dal 2015 sono dirigente scolastico di una scuola professionale. Nel 2015 quando sono arrivato in quella scuola, ho visto il piano di emergenza e non prendeva in considerazione l'alluvione, quindi dopo quattro anni dall’alluvione tragica. La riflessione che ho fatto lì è stata: la scuola secondaria di secondo grado presenta più rischio perché gli alunni non abitano su quel territorio, quindi si muovono di più. Il fatto che non ci sia un evento in corso, non significa che nn ci possa essere nella zona in cui abitano. Inoltre tanti alunni sono maggiorenni e si spostano con mezzi propri. Grazie all’enorme lavoro che è stato fatto, siamo arrivati ad un’ordinanza sindacale che dice che tutte le scuole si devono comportare nello stesso modo. Sappiamo tutti che all’inizio dell’anno sul diario scolastico ci sono le istruzioni per allerta gialla, arancione e rossa. Con rossa tutte chiuse, arancione niente uscite didattiche, gialla tutto normale; è importante con allerta gialla tenersi aggiornati. Qui concludo: strumenti di comunicazione che uso: sito internet, registro elettronico. Continuiamo con i messaggini interni della scuola. Siamo convinti che anche la ridondanza di informazioni sia opportuna. Questo esprime anche correttamente la posizione della scuola. Parallelamente abbiamo fatto un grosso lavoro con i bambini. Se venite nella mia scuola vedrete che i bambini, aiutati dai bimbi più grandi, hanno fatto i loro cartelli, con progetti di peer education, anche la materna ha fatto i suoi cartelli. Abbiamo cercato gli strumenti adeguati per coinvolgere tutti.

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DOMANDE a SOLINAS

A due delle domande risponderà Marina perché sono più tecniche.

Il piani di emergenza deve essere previsto sempre solo in area inondabile?

Marina Morando (CIMA): Se si è in area inondabile deve essere contemplato il rischio alluvione. Se non lo si è, il piano deve prevedere la casistica alluvione perché gli insegnanti si possono trovare a gestire una situazione in cui devono gestire alunni che devono restare a scuola, ci possono essere indicazioni che riguardano la chiusura di strade o ad es il tema degli studenti maggiorenni che si spostano con mezzi propri e in autonomia.Nel tragitto casa scuola non sappiamo la situazione. Un piano di emergenza di una scuola in area non inondabile deve prevedere delle misure di comunicazione ai genitori sulla gestione dei momenti di emergenza. Affrontare questa problematica nel piano significa averci già pensato e non doverlo fare in emergenza.

Chi si deve occupare della valutazione del rischio franoso per certe scuole ed alcune abitazioni?

Marina Morando (CIMA): Normalmente dalle regioni dentro piani di assetto idrogeologico dei piani di bacino. Nel caso in cui il comune sia a conoscenza di una zona a rischio frana non inclusa nel piano di emergenza deve chiederne la mappatura in regione. Se io fossi un dirigente scolastico chiederei al Comune.

SOLINAS risponde alle prossime domande.

Come viene gestita l’emergenza per i ragazzi disabili?

Tutti i piani prevedono cosa fare con alunni disabili. In questo momento ho 54 disabilità ma nessuna motoria. Sappiamo che nei piani di emergenza c'è sempre una copertura, c’è scritto chi deve supportare un alunno disabile in caso di evacuazione o di emergenza idrogeologica. Il comportamento è uguale a quello che mettiamo in atto per altri alunni.

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Giuridicamente come ci si comporta di fronte ad un genitore o ad un alunno maggiorenne che, in caso di allerta, insista per uscire dall’edificio?

E' più difficile, anche per genitore o visitatore che in quel momento si trovino a scuola. la scuola non ha strumenti coercitivi. Si deve lavorare sulla cultura. Nel momento in cui costruiamo insieme una cultura del rischio, non ci sarà quello che vuole andare casa. Se si crea un contesto favorevole, i ragazzi e i genitori ti ascoltano. Non si può fare altro che usare un po' di persuasione. E’ strettamente legato alla prossima domanda che mi avete fatto.

Pensa che sia opportuno attivare percorsi di formazione rivolti ai genitori per sensibilizzare rispetto alle problematiche legate al rischio connesse alla circolazione dei mezzi privati?Quali sono le modalità di formazione più efficaci secondo la sua esperienza? Qual’è lo strumento più efficace per sensibilizzare i ragazzi?

Formazione è utilissima a tutti i livelli, genitori, alunni, insegnanti. Quali sono gli strumenti più adeguati? Formazioni interattive, linguaggio adeguato, non sempre le informazioni tecniche possono essere recepite. E’ necessario sapere cosa si deve fare “in caso di”. Strumenti della didattica che coinvolgono alunni in prima persona, che prevedono progetti di protezione civile. Anche per la primaria e l’infanzia, strumenti del cooperative learning, come avete fatto oggi, dividersi a gruppi, si parte dalla domanda per arrivare a risposte semplici e azioni che vengono messe in pratica. Uno degli strumenti anche più efficaci è la peer education: i più grandi insegnano ai più piccoli. Quando facciamo una prova di evacuazione a scuola son colpito dalla serietà con cui i bambini partecipano a queste esercitazioni. E' possibile solo quando gli insegnanti sono i primi a crederci e la prendono seriamente; i bambini se adeguatamente supportati dagli insegnanti reagiscono in modo adeguato, costruendo automatismi molto utili in caso di emergenza.

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Quanto la scuola si deve autogestire e fino a che punto ci sono direttive e indicazioni? Il piano di emergenza scuola per rischio alluvioni va previsto sempre o dipende dalla zona?

Una domanda interessante riguarda l’autonomia della scuola. Sapete che le scuole dal 2000 sono autonome, nel senso che devono mettere in atto delle procedure, ma ovviamente devono recepire le indicazioni del Comune e della Protezione Civile, certamente rispettando la tipicità della scuola e le sue caratteristiche, per vedere in che misura e come attuare quelle indicazioni. Faccio un esempio: io ho un collega che ha una scuola appoggiata ad una collina, il rischio alluvione proviene da un terrazzamento, proviene dall’alto, per cui in quella situazione specifica il mio collega mi ha detto: ma io non posso andare ai piani alti. Ha chiesto alla protezione civile di fare un sopralluogo e ha messo a punto una misura particolare per quella criticità nel piano di emergenza. In quella scuola l’acqua arriva dall’alto e arriva al secondo piano e non posso pensare di portare in altro i bambini. Tutte le scuole devono prevedere i piani di emergenza:

Quella scuola che non è in zona rossa in caso di alluvione magari non deve chiudere ma deve tenere conto del tragitto che fanno gli alunni per arrivare a scuola e tornare a casa, passando per zone di rischio, e quindi nel proprio piano deve scrivere: accertarsi che tutti gli alunni possano tornare a casa senza pericolo, mettersi in contatto con le famiglie.

Quanto resta ancora da fare nel processo di costruzione una cultura comunitaria di protezione civile? La scuola può promuovere esercitazioni comunitarie periodiche? il legame fiduciario scuola-genitori è soddisfacente o può essere ulteriormente migliorato e se si come?

Ho visto che abbiamo fatto qualche passo avanti, nel Comune di Genova. Cultura di protezione civile. Comune ge ha fatto passo avanti. L’ordinanza scuole è diventata anche un modello per altri comuni, abbiamo uniformato le misure di protezione civile e di autoprotezione. La cosa intelligente è stata quella di passare attraverso le scuole. In tanti casi sono stati i bambini a spiegare ai genitori cosa bisogna fare in caso di alluvione. Abbiamo distribuito opuscoli e materiale informativo. Davanti alla mia scuola e davanti ad altre c’è un cartello con scritto: allerta gialla, arancione, rossa. Come sapete non è mai abbastanza: è un meccanismo psicologico di difesa quello di dimenticarsi di quello che è successo nell’alluvione quando non sta succedendo. Ma è proprio quello è il momento in cui si verificano i rischi maggiori, perchè non te lo aspetti, come è successo con il rio Ferreggiano, che in pochissimo tempo ha provocato quello che sapete.

Silvia Givone: Ora diamo la parola a un Comune.

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Secondo ispiratore: MARIA LUISA BIORCI, ex sindaco di Arenzano (GE)

Buongiorno a tutti, durante il mio mandato amministrativo ho dovuto affrontare la famosa frana di Arenzano e la tromba d’aria che ha attraversato il nostro paese e che in 10 minuti ha distrutto tutto, passando all’interno del nostro paese.

Cosa deve fare il comune? Tutto! Tutti fanno bene, la scuola come per es. il preside Solinas è andato a fondo creando il piano di emergenza. Il comune deve mettere insieme tutto quello che c’è sul territorio, prima cosa fra tutte la consapevolezza. Sembra una cosa scontata, ma ancora nel settembre del 2017 il sindaco di Livorno, dopo i 7 morti, la prima dichiarazione che ha fatto è stata: l’allerta che è stata data era sbagliata. Al di là della situazione drammatica in cui si è trovato il Sindaco, questo denota una cosa fondamentale: occorre che le amministrazioni abbiano la coscienza del problema. Noi sindaci per esempio abbiamo sollevato il problema quando c’è stato il passaggio da allerta 1 e 2 ai colori, pensando: ora bisogna ricominciare tutto da capo, imparare una cosa nuova, e poi cosa dobbiamo fare, che differenza tra allerta e allarme, evento, tutti termini che dobbiamo introiettare e sembrava quasi che dovessimo fare il compitino fatto bene. In realtà la presa di coscienza avviene in vari modi: uno perchè vieni ispirato, come si è detto prima, da quello che ha intenzione di fare SocioLab con Fondazione Cima e il progetto Proterina, l’altro perchè succede qualcosa in casa. Sono le due motivazioni che ti portano a dire: ho un problema.

Il Sindaco come prima cosa che deve fare è guardare il Piano di Protezione Civile. Di solito è nascosto in qualche archivio ed è assolutamente illeggibile oltre che coperto di polvere. La protezione civile deve essere al centro della politica, fin dalla campagna elettorale, per motivazioni sia civili sia legali, perché è l’ambito in cui il Sindaco ne risponde in prima persona. Dobbiamo arrivare al punto che il Sindaco in caso di emergenza si comporti in modo così automatico che potenzialmente può essere sostituito anche da una Scimmia ammaestrata. Come fa un medico di fronte all’arresto cardiaco. Di fronte all’emergenza non dobbiamo pensare, ma applicare regole e comportamenti che tutti hanno chiarissimo perché si sono pensati e allenati tanto prima dell’emergenza e applichiamo delle regole che abbiamo chiarissime. L’allerta di qualsiasi colore deve accendere l’attenzione del Sindaco e devi sapere cosa devi fare in ogni situazione.

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Coinvolgere la popolazione

La cittadinanza poi ha un ruolo centrale. Se la popolazione non segue l’amministrazione è un lavoro di cui si perde il vero alleato. Perché si perde il miglior alleato. Ad Arenzano abbiamo fatto lo stesso percorso che state facendo voi. La mia cittadinanza è attenta, attiva e preparata: tutti i cittadini devono essere parte del sistema di protezione civile, e qualsiasi sindaco arrivi c’è la popolazione preparata per difendere il suo territorio perché ha imparato. Dal primo giorno di mandato il sindaco deve sapere quanto ne sa la sua cittadinanza.

La nostra esperienza. Ecco cosa abbiamo fatto. Dopo la tromba d’aria, che in 10 minuti ha scardinato gli alberi secolari nel parco, ho fatto l’unica cosa che potevo fare: chiamare il Sindaco Ferrando di Quiliano che reputo il più bravo in protezione civile. E lui mi ha detto di essere così bravo perché aveva fatto il percorso con Cima. E allora anche noi abbiamo contattato CIMA. Abbiamo quindi partecipato – come amministratori e come tecnici - alla formazione, con Proterina 2. Poi abbiamo cercato di capire i punti sensibili del territorio. Certo, nel tempo di un mandato non possiamo risolvere tutti i problemi che ha la zona rossa esondabile, perchè non arriveranno mai abbastanza finanziamenti da coprire tutti i progetti che sono necessari per la messa in sicurezza, ma quello che possiamo fare qui ed ora è organizzare la zona a rischio. Guardiamo avanti per le opere strutturali certo, ma nel frattempo capiamo come agire in caso di emergenza. Quindi abbiamo coinvolto la popolazione, con incontri a tema, affinché i cittadini potessero diventare interpreti della protezione civile. Questo non significa che i cittadini si sostituiscono alle istituzioni o al volontariato di Protezione Civile.. Ma i cittadini informati sono i cittadini che si autoproteggono in casa e in famiglia. E quindi le persone non muoiono in un garage a settembre 2017 perché tutti sanno che in garage non si va. Nel nostro territorio sarebbe stato il piccolo di casa a dire al nonno di non andare in garage, perchè a scuola gli hanno insegnato così. Non si può azzerare il rischio, ma avere tutti gli strumenti per affrontarlo.

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DOMANDE A MARIA LUISA BIORCI

Mi sono fatta degli appunti così cerco di rispondere alle domande fatte. Sono state fatte domande su piano di emergenza sia come prevenire sia come divulgare alla cittadinanza.

Una domanda specifica: nelle zone più critiche come può il comune dare la capacità di riconoscere il rischio?

In comuni come questo che partecipano al progetto è semplice: sono comuni con popolazione approcciabile e una zona ben definita, con abitanti entro i 10 mila e quindi con dimensioni dove si può lavorare molto bene. Il piano lo fa il comune ma la preparazione quanto più è insieme alla popolazione tanto più si produce un documento che è stato vissuto in prima persona dai cittadini.

Noi abbiamo fatto incontri con persone su zone del territorio a rischio oppure con amministratori di condominio di altre zone. Se i cittadini non riescono a partecipare, ci sono tante persone chiave di riferimento del territorio che possono aiutare a costruire il piano. Dividere il proprio territorio in zone facili, medie e difficili è fondamentale per la costruzione del piano. Nel piano c’è la lettura del rischio del territorio e ci sono le azioni da eseguire in caso di evento nelle zone. Il coinvolgimento dei cittadini non significa però investirli con un ruolo di responsabilità, loro sono responsabili della loro vita e delle loro cose, ma a loro si chiede di avere la coscienza insieme al comune di quello che può succedere sul territorio, questa forma crea la pianificazione. Io ho capito dagli anziani che ci abitano, che cosa è successo anche tanti anni prima e le persone che coltivano il territorio e che sanno dove il territorio è fragile da tempo immemore, e possono raccontare cosa è successo 30-40 anni fa. Avere la conoscenza del territorio insieme ai cittadini è fondamentale.

Come deve essere divulgato ai cittadini il piano di emergenza?

Tramite il sito del comune, con incontri specifici, e il fatto stesso di averlo fatto insieme ai cittadini aiuta a divulgarlo. Questi incontri all’inizio possono sembrare inutili e invece dopo fanno si che entrino nella sensibilità personale e nel proprio patrimonio culturale.

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Rischio di sottovalutare allerta gialla e in qualche modo anche arancione

Una volta organizzati e informati, il colore dell’allerta non ci spaventa ed è abbastanza indifferente. Quando c’è il giallo diamo il tempo per capire come siamo organizzati, se è arancione convochiamo il centro operativo comunale e se per esempio c’è il sole può essere anche solo un’attivazione (nel senso che tutti abbiamo il cellulare acceso e se inizia a piovere siamo pronti e in sala operativa, ma se nel frattempo si volge in allerta rossa o inizia un evento, noi sappiamo che potrebbe succedere qualcosa di più rispetto a quello che ci aspettiamo. Noi qualsiasi colore sia l’allerta sappiamo comunque che ci possono essere situazioni a rischio e dobbiamo sapere cosa fare.

A me è successo di avere un evento durante l’allerta arancione e quindi di dover agire anche prima del cambio di colore dell’allerta, ma dobbiamo essere in grado di fare qualcosa con un evento che è diventato nel frattempo più grave. Nel mio comune abbiamo dovuto chiudere una scuola anche in allerta arancione in corso di evento mentre pioveva tantissimo, abbiamo chiuso le scuole in corso di evento e il nido e voi sapete che lasciare il bambino al nido in situazione di emergenza è una situazione emotiva molto difficile da affrontare. Ci siamo riusciti perché avevamo preparato la popolazione negli incontri precedenti, le persone sapevano già, anche dopo lunghe discussioni, che cosa dovevano fare. I genitori sono contenti che quando c’è emergenza il nido venga chiuso con i bambini che rimangono a scuola, perché sanno che non si risponde all’emergenza di volta in volta e i loro bambini sono al sicuro, con un piano concordato con l’amministrazione. Il problema dell’allerta, una volta che amministrazione e cittadini sono addestrati, diventa una delle cose di cui l’Amministrazione sa che deve occuparsi e non una situazione di panico, con ogni soggetto che sa cosa deve fare.

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Quali iniziative potrebbero essere efficaci ai fini del coinvolgimento capillare della cittadinanza? Qual’è il sistema più efficace per stimolare la coscienza e la cultura dell’emergenza nei cittadini? Come riuscire a trasmettere ai ragazzi e anche alle famiglie la gravità del pericolo? Come è stato coinvolto sul suo territorio il mondo del volontariato in iniziative sincrone a quelle delle diverse associazioni organizzate?

Si fa così, come stiamo facendo adesso. Il fatto di essere accompagnati dalla Fondazione Cima che ha come mandato anche quello di formare gli amministratori è stato centrale e ci ha avvantaggiato nella crescita di una cultura di protezione civile. La stessa cosa vale per le organizzazioni di volontariato. Noi li abbiamo coinvolti, dagli scout a quelli che già si occupano dei temi, l’azione cattolica. Lo stesso parroco, in allerta, ricordava durante l’omelia la situazione e dava l’annuncio dei comportamenti da tenere. Quindi un coinvolgimento totale, con la tranquillità di sapere quello che c’è da fare in allerta, dalla gialla alla rossa.

Verissimo, come diceva il preside Solinas prima, i bambini si possono preparare e vanno incontrati a scuola. Il fatto di avere una figura istituzionale che va a scuola, li incontra, loro capiscono come funziona e si preparano lo zainetto dell’emergenza (che è una cosa che è piaciuta tantissimo ai bimbi), permette poi a loro di fare da tramite con gli adulti.

Come fare per una struttura istituzionale presente nelle attività di prevenzione, ma limitata da un’altra struttura istituzionale? (Es Comune/Demanio)?

Credo che si tratti di capire a chi tocca che cosa. Con l’esperienza della frana sull’aurelia è stata molto intensa perché c’erano di mezzo ANAS, Prefettura, Ministero delle Infrastrutture ma anche la magistratura.

I rapporti istituzionali vanno organizzati e migliorati in tempo di pace, questo deve essere un mandato dell’amministrazione nella gestione dell’ordinario. Sappiamo che nessuno ha i soldi per fare tutto. Ma vale la pena provarci e farsi aiutare e portare nelle sedi opportune le criticità da risolvere con urgenze. Del resto le istituzioni più sono “alte” più tendono a scaricare su quelle piccole. Il “front office” lo fa sempre il Sindaco e la struttura dietro non aiuta. Ma dobbiamo lottare per far valere le necessità del territorio perché i sindaci non sono né superman né wonderwoman.

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Terzo ispiratore: Avv. Marco Altamura

Come avvocato ho partecipato a studi su ambiente e territorio e vi porto l’esperienza di molte sentenze sul tema. Quello che mi ha colpito più di tutto sono ovviamente le vittime, che sono il danno maggiore. Anche nei disastri la situazione in cui si perde la macchina, ci sono persone che hanno bisogno di 1 anno per pagarsi un’automobile, per alcune famiglie aver perso la macchina o la casa è aver perso tutto. Sentire queste testimonianze colpisce molto: senti il senso di impotenza, la rabbia, la mortificazione, l’imbarazzo. Alcuni testimoni non sanno cosa rispondere, dando la sensazione di non sapere cosa rispondere. Anche persone intelligenti e importanti, nessuno nel 2011 sapeva se era più alta la 1 o la 2, non solo le persone ma anche i tecnici. Cittadini che non sapevano che lì sotto c’era il rio tombato,, anche se vivono in località “il fiume”; io propongo il termine zombato e non tombato perché può sempre risorgere. Anche i sindaci hanno dimostrato di non avere capito, a volte anche per termini tecnici e incomprensibili con cui viene diramata l’allerta. La sensazione oltre a disperazione e dolore, è anche di tanta sciatteria del sistema; ma non è tanto quello che ha mosso la voglia di fare questi progetti, ma il fatto che nessuno è pronto a rispondere. Vedevo che tutti questi testimoni non erano strutturati a rispondere, a dare conto di quello che dovevano fare.

Attrezzarsi in tempo di pace, per reagire durante l’emergenza

Che poi è il tema della responsabilità; un lavoro da fare è consentire al sistema, e quindi ai tecnici, ai cittadini arrabbiati, agli amministratori che si giustificavano, di saper rispondere. Cioè attrezzarsi, in tempo di pace bisogna attrezzarsi per rispondere; se mi capita qualcosa sono in condizioni di sapere cosa devo fare, cosa ho fatto e come l’ho gestita. Non solo pronti operativamente ma sapere rispondere di ciò che andava fatto. Come? Preparando panificazione e rendicontazione. Oggi finalmente la legge 1 del 2018 dice che l’attività principale dei comuni è attività di protezione civile; bisogna metterci risorse, non ci sono più scusanti o alibi per i comuni. Non c’è più che è più importante costruire un marciapiede invece che riparare la fognatura, perchè ha più consenso. Bisogna saper comunicare l’importanza di queste operazioni.

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I tecnici non sono più di serie B, ma fanno attività fondamentale; dovete essere dappertutto; occorre fare investimenti anche di tipo organizzativo. Questa esperienza è quella di piano intercomunale; anche i cittadini devono rendere conto, non concepito solo come utenti ma come protagonisti della sicurezza. E’ un esercizio di libertà. Il piano di protezione civile è fatto insieme ad amministrazione e cittadini. Il volontario è il cittadino qualificato. Da giurista darei portato a dire che un piano non partecipato è nullo.

Cittadini protagonisti

Anche i cittadini devono rendere conto perché non devono essere concepiti solo come utenti ma come protagonisti della sicurezza. Questo è anche un esercizio di libertà che è strettamente legato a quello della responsabilità: quando devo rendere conto di qualcosa lo posso fare solo se sono un soggetto libero. Le legge prevede che il cittadino concorra ma non è più un piano gerarchico: l’amministrazione dice e il cittadino collabora, perché il piano di protezione civile è un piano fatto insieme. Lo spazio di libertà da esercitare per il cittadino volontario è all’interno della partecipazione al piano: da giurista mi verrebbe da dire che un piano non condotto come questo è un piano nullo. La legge prevede che questi piani vadano validati. Non basta fare finta di fare il percorso, devi sapere cosa si fa, farlo bene e renderne conto. Ci sono anche opportunità, questa non va vista come una imposizione. La prima è degli amministratori in termini di consenso: saper gestire questa cosa rende credibili gli amministratori e prestigiosi i tecnici e rende bellissimo il territorio. Alcuni territori che sono riusciti a bonificare, a sviluppare politiche di risanamento del territorio sono diventati molto appealing, e con ciò arrivano i turisti, l’albergo diffuso, i finanziamenti. Senza saperlo avete colto obiettivi di Agenda delle Nazioni Unite 2030, di sostenibilità ambientale, che sono tutti finanziati.

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SECONDA FASE RISPOSTE MARCO ALTAMURA

Domanda: Se esiste un protocollo attuativo per la stesura del piano di protezione civile a livello regionale?

Esiste il Libro blu, una direttiva di Regione Liguria del 2016 aggiornata nel 2017 e quindi c’è un riferimento preciso per chi redige questi piani. Per i Comuni la novità sono le fasi operative, a prescindere dall’allerta e c’è dibattito riguardo a rendere partecipate o no queste fasi. La mia opinione personale è che tutto il piano debba essere partecipato, sia la fase di pre-allarme e anche nelle fasi pre-operative.

Come può la cittadinanza meglio conoscere il decreto legislativo n. 1 2018? Ci saranno a breve le direttive attuative? L'emergenza non aspetta! Chi valida i piani di protezione civile? Cosa significa validare? Entro quando si deve pubblicare il paino?

Ci sono le direttive regionali e bisogna confrontarsi con quelle. Le direttive regionali verranno modificate perché il nuovo decreto legislativo del 2018, innova con il tema della partecipazione e nessuno sa come farle. Queste saranno direttive del Dipartimento nazionale di protezione civile con la Conferenza Stato regioni. Quando ci saranno quelle modalità si modificheranno i piani regionali che dovranno contenere i temi della partecipazione e a cascata si dovranno modificare quelli comunali. La regione dirà come si valida e come si modificano. C’è una tournè in corso sul decreto legislativo 1/2018, siamo un po’ preoccupati perché abbiamo scoperto che non tutti i tecnici sanno che c’è questa nuova norma, la buona notizia è che non è cambiato molto. Una delle novità è la partecipazione obbligatoria e la modifica delle competenze di responsabilità amministratori a cui torna hanno la competenza funzionale e i dirigenti avranno la responsabilità di dettaglio. Ora c’è anche il presidente della giunta che è autorità regionale.

Dateci un occhio perché c’è la volontà di fare molta informazione e formazione da parte del Dipartimento. Non esiste una formazione a catalogo ma le occasioni sono tantissime. Nessuno può più dire che non sa niente di protezione civile. In liguria non si può dire perché cima è attivissima e non c’è possibilità di non essere formati sul tema. C’è tanta volontà e volere anche da parte della regione.

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Ai fini della condivisione allargata a tutta la cittadinanza è opportuno che tutto il piano di protezione civile venga messo online o è preferibile estrapolare alcune parti?

Quando non troviamo on line il piano della protezione civile vuole dire che è mancata la capacità tecnica e la passione civile di metterlo in linea è tanto indietro. Ancora peggio quando è nascosto negli armadi, non si trova, non si capisce. Che cosa c’è a monte e che cosa devo conoscere, perché è un piano e a cosa serve. La prima cosa è che rischi abbiamo, cosa può capitare se questo rischio si attiva e come si risponde.

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CONCLUSIONI

MARINA MORANDO - Chiusura della giornata

Sindaci di Mignanego e Campomorone e Assessore di Ceranesi

Marina: grande soddisfazione, primo passo di oggi per mettere le basi del piano. Anche le persone presenti che abbiamo sentito possono portare un’esperienza e condividere una visione anche di piccole parti del territorio.

Ceranesi: Abbiamo vissuto gli eventi del 2014 con grande difficoltà, al tempo non avevamo esperienza abbiamo imparato le difficoltà e le fragilità del territorio, i punti critici, e ci hanno aiutato a mettere in campo tanti accorgimenti. Abbiamo ancora da fare questa parte di condivisione tra territori.

Le persone dei nostri territori nei decenni precedenti hanno memoria di quello che è successo nei decenni precedenti. Le allerte vanno ascoltate e devono essere messi in campo dei protocolli, che devono aiutarci ad agire e spero che tutti coloro che hanno partecipato si siano appassionati.

Mignanego: la sfida più grossa nostra, dopo avere imparato dall’esperienza, è stata quella di coinvolgere il più possibile le persone, che non è cosa facile. Se questo incontro fosse stato fatto a febbraio 2015 ci sarebbe stata più partecipazione. Le persone tendono a dimenticare. Noi dobbiamo lavorare a partire dalla scuola, come azione comune ai diversi comuni. Coinvolgere gli insegnanti e a partire da loro coinvolgere le famiglie.

Ceranesi assessore: solo un ringraziamento per il meraviglioso lavoro della protezione civile che abbiamo in comune con Campomorone e ci impegneremo sicuramente per il lavoro con le scuole e i bambini -ragazzi che sono quelli che portano il tema alla famiglia. E’ importante condividere risorse e coordinamento per avere risultati pratici.

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Partenariato: Fondazione CIMA, Regione Liguria, Città Metropolitana Genova, Office Environnement Corse, Mairie d’Ajaccio, Service Départemental d’Incendie et de Secours de la Haute-Corse, Région Provence-Alpes-Côte d’Azur, Département du Var, Ville de Nice, Regione Autonoma della Sardegna, Regione Toscana, Consorzio LaMMA, Associazione Nazionale Comuni Italiani Toscana, Autorità di Bacino del Fiume Arno