PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA ECONOMIA POLITICA · IL CICLO ECONOMICO . ... esplicita relazione tra...

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PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA' ECONOMIA POLITICA INDICE I SISTEMI DI APPLICAZIONE DELLE IMPOSTE LA CURVA DI PHILLIPS IL MERCATO DEL LAVORO LA FORMAZIONE DEI PREZZI I BISOGNI PUBBLICI L’INVESTIMENTO I SISTEMI DI APPLICAZIONE DELLE IMPOSTE POLITICHE COMMERCIELI: PROTEZIONISMO E LIBERALISMO IL P.I.L. IL DEBITO PUBBLICO LA MONETA IL CICLO ECONOMICO

Transcript of PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA ECONOMIA POLITICA · IL CICLO ECONOMICO . ... esplicita relazione tra...

PROGRAMMA ESAMI DI IDONEITA' ECONOMIA POLITICA

INDICE

I SISTEMI DI APPLICAZIONE DELLE IMPOSTE

LA CURVA DI PHILLIPS

IL MERCATO DEL LAVORO

LA FORMAZIONE DEI PREZZI

I BISOGNI PUBBLICI

L’INVESTIMENTO

I SISTEMI DI APPLICAZIONE DELLE IMPOSTE

POLITICHE COMMERCIELI: PROTEZIONISMO E LIBERALISMO

IL P.I.L.

IL DEBITO PUBBLICO

LA MONETA

IL CICLO ECONOMICO

I SISTEMI DI APPLICAZIONE DELLE IMPOSTE 1- I REQUISITI DELL'APPLICAZIONE DELLE IMPOSTE:

L'equa distribuzione del carico tributario non deve essere intesa solo in

astratto, con riferimento alle forme di prelievo, ma attuata in concreto con

riferimento all'applicazione delle imposte nei confronti dei contribuenti.

Un sistema di tributi può essere in teoria adeguato, ma in pratica ingiusto

per scarsa chiarezza o complessità di gestione, e quindi non assicura il

prelievo in maniera esatta e uguale per tutti.

In concreto devono essere garantiti sia l'interesse del cittadino (con

un'imposizione corretta e non arbitraria) e quello della PA (Pubblica

Amministrazione) a ottenere ciò in modo rapido e poco costoso.

Per soddisfare ciò ci vogliono 2 fondamentali requisiti:

1) la regolamentazione dell'imposta deve essere chiara e facilmente

comprensibile, infatti le norme poco chiare portano a diverse

interpretazioni e quindi ad una disparità di trattamento nell'applicazione

dei tributi, sono fonte di controversie con dispendio di tempo e risorse, e

poi offrono occasioni per eludere l'osservanza egli obblighi fiscali.

2) le modalità del prelievo devono essere semplici e poco costose sia per

gli uffici fiscali che per il contribuente, la complessità porta per la PA un

impegno di mezzi a costi elevati e sproporzionati rispetto al gettito

dell'imposta, e per il contribuente comporta altri adempimenti che

rendono ancora + gravoso l'onere del prelievo e costituisce un incentivo

all'evasione.

2- PROCEDIMENTO APPLICATIVO DELLE IMPOSTE:

Il procedimento per il prelievo dei tributi è regolato da una serie di atti

connessi tra loro, posti in essere sia dal contribuente, nell'adempiere i

doveri, sia dagli uffici fiscali, nell'esercizio dei loro poteri. La gestione

amministrativa avviene in 3 fasi:

1) accertamento: comprende le operazioni mediante le quali il credito

dell'amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti viene

reso certo è liquido.

2) riscossione: operazioni dirette ad ottenere il pagamento dell'imposta

da parte del sogg. passivo o l'esecuzione forzata nel caso di

inadempimento. Con la riscossone si estingue l'obbligazione tributaria

e si conclude il rapporto tra ente e contribuente.

3) versamento: ha luogo quando l'incaricato della riscossione consegna

le somme riscosse all'uff. che gestisce il sevizio di cassa dell'ente

impositore.

In tutte le fasi deve essere osservato il principio di legalità, cioè le

operazioni devono essere svolte nell'osservanza della legge.

3- SISTEMI DI ACCERTAMENTO:

Comprendono le operazioni dirette a verificare l'esistenza e l'entità della

materia imponibile e la misura dell'imposta da pagare. Si distinguono 2

momenti: la determinaz. dell'imponibile e la liquidazione dell'imposta.

A seconda dell'elemento su cui viene fondato, l'accertamento può avere

carattere analitico o intuitivo.

Accertamento analitico: consiste nella rilevazione di tutti gli elementi

che compongono la materia imponibile, questi devono essere certi e

documentati, che vengono determinati secondo specifici criteri di

valutazione stabiliti dalla legge. Questo metodo è aderente alla realtà in

quanto determina l'imponibile nella sua consistenza effettiva, ma è molto

costoso e impone grandi oneri per l'obbligo di documentazione, inoltre

spesso i risultati non sono certi per le difficoltà tecniche nell'individuare e

valutare gli elementi.

Accertamento intuitivo: è fondato su elementi esteriori che, se accertati

con sicurezza, sono considerati attendibili indizi dai quali si desume

l'esistenza e l'entità di una data materia imponibile, che si avvicina a

quella reale con un margine di approssimazione. Questo metodo è poco

costoso e semplice, usato quando, in mancanza di documentazioni non è

possibile accertare analiticamente l'imponibile effettivo. La legge deve

stabilire in quali casi sia possibile ricorrere a questo metodo.

Accertamento d'ufficio: a iniziativa dell'amministrazione finanziaria o in

base dichiarazione presentata dal contribuente e poi controllata. Questa si

basa su indagini svolte dagli organi fiscali che provvedono a individuare

l'esistenza della materia imp. ed effettuano operazioni per misurare o

stimare l'entità. L'imposta dovuta viene liquidata dagli stessi uff. usata nei

paesi non industrializzati ove i redditi hanno manifestazioni semplici e

facilmente individuabili.

Dichiarazione verificata: stati economicamente sviluppati. Il

contribuente è obbligato a presentare con modalità e tempi previsti dalle

legge una dichiarazione scritta dalla quale risultino gli elementi richiesti

dalle norme per individuare l'esistenza ed entità dell'imponibile. La

dichiarazione e sottoposta a verifica da parte degli uff. che e verificano la

veridicità, i caso contrario si procede all'accertamento in rettifica, con

relative sanzioni. Se il contribuente non la presenta, si fa luogo

all'accertamento d'ufficio.

Autotassazione: è lo stesso contribuente ad applicare e pagare l'imposta,

mentre gli uff. intervengono dopo. È un vantaggio per l'amministrazione,

perché + semplice, + rapida e - costosa. Se il contribuente non ha

adempiuto ai sui obblighi gli uff. prevedono l'accertamento e la

liquidazione dell'imposta. In questo caso la procedura da luogo alla

formazione di atti amministrativi che devono essere notificati a

contribuente.

4- SISTEMI DI RISCOSSIONE: 2 metodi snelli e poco costosi:

1) versamento diretto: presupposto Autotassazione, il contribuente

dopo ave quantificato l'importo dovuto, è obbligato a effettuare il

versamento di propria iniziativa senza una formale richiesta di

pagamento da parte dell'ente impositore.

2) ritenuta alla fonte: si applica quando il prelievo riguarda redditi di

lavoro e di capitali. La materia imponibile viene assoggettata

all'imposta prima di entrare nella disponibilità del contribuente, il

quale percepisce il reddito al netto del prelievo. è + sicuro del primo.

Questo si divide a sua volta in: 1) ritenuta diretta: quando il reddito è

erogato dallo stato. L'amministrazione nel pagare il contribuente ne

trattiene una parte a titolo d'imposta. C'è quindi una compensazione.

2)ritenuta con obbligo di rivalsa: quando i redditi sono corrisposti da

enti o società che devono tenere una regolare contabilità. Il versam. è

effettuato da colui che corrisponde il reddito ed è considerato sogg.

passivo dell'obbligazione in qualità di sostituto d'imposta (quando

l'imprenditore si sostituisce allo stato e trattiene dalla busta paga del

dipendente le imposte che questo deve pagare). Essendo l'imposta non

a suo carico, questo si rivale nei confronti del contribuente,

trattenendo al momento del compenso l'importo de versamento.

Riscossione per ruoli: ha una funzione residuale e riguarda quei casi in

cui l'imposta è stata oggetto di accertamento in rettifica o d'ufficio. Il

ruolo è un atto plurimo, cioè esplica i suoi effetti nei confronti di una

pluralità di contribuenti. Contiene l'elenco dei sogg., dello stesso comune,

che sono obbligati al pagamento dell'imposta. Il ruolo ha valore di titolo

esecutivo ai fini dell'esecuzione forzata nei confronti del contribuente

Riscossione per bolli: viene attuata per le imposte e tasse il cui

presupposto risulta da documenti scritti (atti notarili, registri),

l'obbligazione tributaria viene adempiuta mediante carta o moduli già

bollati (bollo ordinario) o con l'uso di marche da bollo o bollo a punzone

(b. straordinario) o senza materiale apposizione del bollo (b. virtuale).

LA CURVA DI PHILLIPS La curva di Phillips è una (a seconda dei punti di vista, ipotetica)

relazione inversa tra inflazione e disoccupazione.

L'economista neozelandese Alban Phillips, nel suo storico contributo del

1958 («La relazione tra disoccupazione e il tasso di variazione dei salari

monetari nel Regno Unito 1861-1957»), osservò una relazione inversa tra

variazioni dei salari monetari e livello di disoccupazione nell'economia

britannica, nel periodo preso in esame. Analoghe relazioni vennero presto

osservate in altri paesi e a partire dal lavoro di Phillips, proposero una

esplicita relazione tra inflazione e disoccupazione: allorché l'inflazione

era elevata, la disoccupazione era modesta, e viceversa.

Negli anni immediatamente successivi al contributo del 1958 di Phillips,

diversi economisti nei paesi maggiormente industrializzati furono

convinti del fatto che i risultati di Phillips indicassero una relazione

stabile, permanente, tra inflazione e disoccupazione. Un'implicazione di

questa conclusione per la politica economica sarebbe che i governi

potrebbero controllare inflazione e disoccupazione, tramite una politica

Keynesiana, risolvendo così in generale un problema di trade-off tra i due

obiettivi della politica economica scegliendo un punto sulla curva di

Phillips.

Stagflazione

Tuttavia nel 1970, molti Paesi sperimentarono elevati livelli di inflazione

e disoccupazione; fenomeni noti con il termine di stagflazione. Le teorie

basate sulla curva di Phillips non erano quindi in grado di giustificare tale

osservazione, e la curva di Phillips divenne oggetto di attacchi da parte di

un gruppo di economisti, secondo i quali l'evidente fallimento delle

politiche basate sulla curva richiedesse il ritorno a politiche economiche

non interventiste, di libero mercato. E per questo l'idea che sussistesse

una relazione semplice, prevedibile e persistente tra inflazione e

disoccupazione fu abbandonata da gran parte dei macroeconomisti.

Alcuni studiosi credono che la ragione principale che ha causato il

fallimento della curva di Phillips e la sua origine statistica basata su dati

solo britannici e tedeschi. Altri, invece, dimostrano come il fallimento

della curva di Phillips valga sempre e comunque, proprio secondo

l'indagine empirica e generale base della scienza economica.

La curva di Phillips oggi

Gli economisti più pragmatici continuano ad utilizzare la Curva di

Phillips. Tuttavia, al contrario della curva di Phillips statica che fu

popolare negli anni 60, la nuova curva può sopportare alcuni

cambiamenti, così che seguire una certa politica può avere differenti

risultati in differenti periodi temporali; il "trade-off" può peggiorare

(come negli anni 70) o migliorare (come negli anni 90)

Questioni teoriche

La curva di Phillips iniziò come osservazione empirica in cerca di una

spiegazione teorica. Ci sono molte spiegazioni importanti (major) per

questa regolarità nel breve periodo della curva di Phillips.

Per Milton Friedman c'è una correlazione di breve termine tra shock

inflattivi e occupazione. Quando una sorpresa inflazionistica si verifica, i

lavoratori sono spinti ad accettare comunque una paga più bassa perché

non si rendono conto immediatamente della perdita di potere d'acquisto

dei salari (quindi della caduta del salario reale). Le aziende li assumono

perché vedono che l'inflazione permetta maggiori profitti a parità di

salario nominale. Abbiamo così un movimento lungo la curva di Phillips

come nel cambiamento "A".

A un certo punto, i lavoratori si accorgono che i salari reali sono scesi,

per cui spingono per salari più alti. Questo causa uno spostamento della

curva di Phillips verso l'alto e verso destra, come nel cambiamento "B".

Alcuni economisti rifiutano questa teoria perché implica che i lavoratori

soffrono di illusione monetaria. Comunque, una delle caratteristiche della

moderna economia industriale è che i lavoratori non incontrano i datori di

lavoro in un mercato perfetto di concorrenza perfetta, ma operano in una

complessa combinazione di mercati imperfetti, monopoli, monopsoni,

con presenza di sindacati, e altre istituzioni.

In molti casi, possono mancare di forza di negoziazione per "agire" in

base alle loro aspettative, indipendentemente da quanto sono razionali,

dalle loro percezioni, da quanto sono liberi da illusioni monetarie.

Non è l'alto livello di inflazione che causa la bassa disoccupazione (come

nella teoria di Milton Friedman) né vice-versa. Il basso livello di

disoccupazione incrementa il potere negoziale dei lavoratori,

permettendogli di spingere per maggiori salari nominali. Per proteggere i

profitti, i datori di lavoro alzano i prezzi, per cui la bassa disoccupazione

causa inflazione.

In modo simile, la built-in inflation non è semplicemente una questione di

"aspettative inflazionistiche" soggettive ma riflette anche il fatto che l'alta

inflazione può raccogliere slancio e continuare oltre il momento in cui si

è avviata a causa dell'oggettiva spirale salari/prezzi.

IL MERCATO DEL LAVORO

Il mercato del lavoro è uno degli elementi fondamentali per constatare la

salute di un'economia. Ad una richiesta di lavoro di solito corrispondono:

necessità di aumento della produzione e nuovi salari, quindi maggiori

possibilità di accesso ai consumi.

In un'economia in salute, i salari sono la maggior fonte di domanda.

Quindi il mantenimento di un alto tasso di occupazione e una buona

tenuta dei salari permetterà alle persone di incentivare i consumi. Se i

salari sono la principale fonte della domanda, la produttività lo è per

l'offerta. Se la domanda stimolata dal buon andamento dei salari è forte,

di conseguenza, la produttività deve essere aumentata. Ma nel mercato

attuale questa logica è ben lontana dall'essere seguita. In questi ultimi

anni abbiamo visto che al forte aumento della produttività è corrisposto

un repentino abbassamento dei salari reali, sostituito dalla creazione di

una "domanda artificiale". Questa operazione ha portato ad una forte

disparità economica ed ad una forte concentrazione del valore della

ricchezza, due cose che, come analizzato precedentemente, un sistema

economico deve assolutamente evitare, pena l'avvento di situazioni

recessive o ancor peggio depressive.

L'aumento del potere d'acquisto.

Secondo il Prout, l'ampliamento ed il mantenimento dei cicli di crescita

economica si possono ottenere applicando "la legge dell'aumento del

potere d'acquisto di ogni individuo". L'aumento del potere d'acquisto

costituisce il fattore di controllo in un'economia proutista. Questo fattore

determinante non è mai stato tenuto in debita considerazione dalle teorie

economiche fino ad oggi conosciute con il risultato che intere economie,

nel passato e tuttora, rischiano il tracollo.

Va creato un equilibrio o Prama tra la produttività ed i consumi e

l'elemento che lo stabilisce è l'aumento del potere d'acquisto. Quindi la

produttività, se vuole mantenere il ritmo con la domanda dei consumi,

deve camminare di pari passo con l'aumento del potere d'acquisto delle

persone. Per essere più precisi: se stabiliamo un livello di aumento della

produttività su base annua uguale a 100, il livello di aumento del potere

d'acquisto o del reddito, sempre su base annua, sarà di 100, il quale sarà

sufficiente a sostenere la domanda. La tendenza della pianificazione

economica verso il mantenimento di questo Prama porterà

automaticamente alla massimizzazione della produttività.

La crescita costante del potere d'acquisto delle persone, il mantenimento

dello stato di piena occupazione, se concertato con una sufficiente

competitività delle aziende nel contesto del mercato interno (o nazionale),

impedirà qualunque accenno di inflazione.

I salari e più in generale i redditi delle persone devono essere incentivati

dall'aumento della produttività. Questo non solo permetterà il

mantenimento di un ciclo virtuoso dell'economia ma garantirà una

maggior distribuzione della ricchezza, elemento determinante per

stabilire la Democrazia Economica

LA FORMAZIONE DEI PREZZI

1 DEFINIZIONE

2 DECISIONI, OBIETTIVI E FATTORI CONDIZIONANTI

3 MANOVRE MODIFICATIVE DEL PREZZO

4 PROFILO DI ALCUNE TIPICHE TIPOLOGIE DECISIONALI

1 DEFINIZIONE

IL PREZZO E’ L’ESPRESSIONE MONETARIA DEL VALORE DI UN

BENE / SERVIZIO.

PER IL COMPRATORE IL VALORE E’ DATO DALL’INSIEME DI

BENEFICI ATTESI DALL’USO DEL PRODOTTO, BENEFICI CHE

TRADOTTI IN TERMINI MONETARI COSTITUISCONO IL LIMITE AL

DI SOPRA DEL QUALE L’ACQUISTO NON E’ CONVENIENTE.

Quando si vuole definire il prezzo non si dovrà tener conto solo del

prodotto ma dell’insieme di offerta allargata.

2 DECISIONI, OBIETTIVI E FATTORI CONDIZIONANTI

IL PROBLEMA DELLA DETERMINAZIONE DEL PREZZO E’

AFFRONTATO A 2 LIVELLI DIVERSI:

1. LIVELLO STRATEGICO

2. LIVELLO TATTICO

Nel primo caso la scelta è legata al posizionamento, in cui il prezzo

assume un ruolo fondamentale perché permette al consumatore di

individuare un preciso spazio nella sua mente in cui inserire il prodotto e

differenziarlo dalla concorrenza.

Questa scelta riguarda il lungo periodo e sarà presa ad ex in occasione

della prima introduzione del prodotto, o magari quando sono riformulate

le leve del mktg mix, o, ancora, quando sono apportate delle modifiche al

portafoglio prodotti.

Nel secondo caso la scelta è legata al breve periodo. Si può decidere di

modificare il prezzo per difendersi o attaccare le concorrenti, per smaltire

le scorte di magazzino, ecc…

Essenzialmente le decisioni tattiche avvengono o mediante modifica del

prezzo (in + o in -), o, mediante politiche di sconti.

I fattori sui quali deve basarsi la decisione possono essere dati dai:

• fattori endogeni (mktg mix e struttura interna dei costi)

• fattori esogeni (concorrenza, domanda e intermediari).

NATURALMENTE IL PREZZO DEVE TENER CONTO DEGLI

OBIETTIVI DI PREZZO DISTINTI IN PROFITTO O VOLUMI.

L’obiettivo di PROFITTO può essere espresso dal ROS (RETURN ON

SALE = RO/RV) o dal ROI (RETURN ON INVESTMENT = RO / CI).

Questo è quello più diffuso nelle grandi aziende.

L’obiettivo di VOLUME può essere definito dalla dimensione assoluta

delle vendite o meglio dalla quota di mercato %.

LA STRUTTURA DEI COSTI

Data dal rapporto tra CF/CV. Le imprese che hanno una tale struttura

basata prevalentemente sui CF hanno un grado di leverage operativo alto

per cui in fasi di espansione della domanda riescono a vendere maggiori

volumi e ad avere un profitto + che proporzionale. Generalmente queste

imprese puntano su una strategia di volumi anche perché spesso godono

di economie di scala (riduzione del Cmu minimo) per diverse ragioni (ex

economia di scala tecniche, effetto esperienza), ma per avere successo

devono puntare su prezzi bassi.

.

1. IL MARKETING MIX

La fissazione del prezzo deve essere coerente con le altre leve e il

bilanciamento che ne viene fatto. Bisognerà considerare ad ex, i ruoli

svolti dal prodotto, le tipologie dei canali commerciali, le politiche

pubblicitarie e di comunicazione, nonché, i servizi aggiuntivi offerti. Non

dimentichiamo tra l’altro la coerenza dei prezzi dei prodotti appartenenti

alla stessa linea.

2. LA CONCORRENZA

La fissazione del prezzo terrà in considerazione anche le politiche

adottate dalle concorrenti. Quando si opera in un mercato oligopolistico

con poche imprese di grandi dimensioni, esisterà l’impresa leader che

fisserà per prima il prezzo mentre le altre imprese tenderanno a adeguarsi

(imprese leader e follower).

Nei settori in cui la concorrenza è più frammentata, un fattore

condizionanante è rappresentato dalle strategie perseguite dalle imprese

che vi operano: se esse puntano alla leadership di costo il livello dei

prezzi sarà basso potendo addirittura arrivare a una “guerra dei prezzi”,

viceversa, se esse puntano alla differenziazione ci sarà la c.d. non price

competition e il livello dei prezzi sarà più elevato.

3. LA DOMANDA

Il comportamento dei consumatori si riflette nella fissazione del prezzo.

L’analisi della domanda si riflette prima di tutto sullo studio delle

relazioni tra i livelli di prezzo e il volume della domanda, considerando

per prodotto il sistema d’offerta allargata.

Questa relazione è detta elasticità della domanda al prezzo e un settore

può avere un’∈ alta o bassa (così come una specifica azienda). Quando

l’∈ è alta spesso i livelli di prezzo sono bassi e viceversa (nel primo caso

la ↓ dei ricavi unitari è compensata dall’↑ dei volumi e dalla ↓ dei costi

per effetti scala).

Per quanto riguarda la singola domanda dell’impresa il livello dei prezzi

sarà fissato anche in base alle politiche di differenziazione ma è

fondamentale che le variabili sulle quali è esercitata (fattori hard o soft)

siano apprezzati dalla clientela.

4. GLI INTERMEDIARI

I prezzo pagato dal consumatore finale è spesso il frutto di una serie di

ricarichi % scelti dai diversi intermediari commerciali;più è lunga la

catena distributiva, più è difficile per l’impresa produttrice controllare il

prezzo di vendita finale. In tal senso può operare attraverso 2 scelte:

A) stabilire un prezzo imposto che è scritto sulla confezione

B) stabilire un certo prezzo per i dettaglianti e sulla base

dell’esperienza ipotizzare quali saranno i ricarichi degli altri

interm.

Tra queste 2 scelte ce ne sono altre intermedie.

Un’altra considerazione riguarda il potere contrattuale degli stessi in

quanto ad ex ci sono due livelli di prezzi diversi a seconda che l’acquisto

sia effettuato da una grande catena di dettaglio, o da un gruppo di

acquisto collettivo, e da un piccolo dettagliante.

I BISOGNI PUBBLICI I bisogni che lo Stato soddisfa sono chiamati pubblici; essi sono in gran

parte frutto di una scelta operata da chi è al Governo, in base a ciò che

ritiene essere il bene della collettività.

Quando cambia il Governo di un Paese, possono cambiare anche le

politiche da esso adottate, quindi anche le scelte che vengono fatte per

soddisfare i bisogni pubblici.

Nei Paesi in cui c'è una forma di Stato sociale, solitamente lo Stato non

solo garantisce ai più poveri il soddisfacimento dei bisogni primari (cioè

quelli che si devono soddisfare per garantire la sopravvivenza stessa

dell'individuo), ma spesso si occupa anche dei bisogni che servono a

migliorare il tenore di vita di tutti i cittadini (bisogni secondari)

I bisogni pubblici sono esigenze e necessità collettive sentite da tutti i

cittadini, che possono essere:

• mutabili nel tempo e nello spazio,

• innumerevoli perché sentite da un intera collettività.

È per questo motivo che lo Stato fornisce servizi pubblici indistintamente

a tutti, che loro lo richiedano o no.

I bisogni sono individuati dallo Stato in modo astratto, impersonale e

senza una specifica richiesta da parte di gruppi più o meno vasti della

popolazione.

LO STATO COME SOGGETTO ECONOMICO

Possiamo classificare i bisogni pubblici in tre categorie principali:

1) bisogni che corrispondono alle funzioni essenziali dello Stato tipo il

bisogno di difesa dei cittadini nei confronti di aggressioni esterne, il

bisogno di giustizia, ecc.;

2) c'è un insieme di necessità sociali collettive (possono essere soddisfatte

meglio dallo Stato che non dai privati) quali la viabilità;

3) esistono dei bisogni collettivi (dei servizi accessibili a tutti) come i

trasporti, l'istruzione e il servizio sanitario. I servizi pubblici non possono

essere usufruiti talvolta dai singoli individualmente, ma soltanto in

quanto membri della comunità.

Le Forza Armate italiane non difendono personalmente ciascuno di noi,

ma tutti i cittadini nel loro complesso.

I servizi pubblici che presentano questa caratteristica vengono denominati

“servizi generali”.

Vi sono invece altri servizi pubblici usufruiti dai singoli cittadini

individualmente; è il caso dell'istruzione della giustizia.

Questi servizi vengono denominati “servizi speciali”.

Non mancano tuttavia situazioni in cui i due sono uniti nel medesimo

servizio (i trasporti pubblici).

LA TEORIA DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA

Nel linguaggio economico si indica con la domanda e l'offerta il

meccanismo che regolerebbe la formazione dei prezzi in un libero

mercato.

La domanda è la quantità di merce che un individuo è disposto a

comprare a un determinato prezzo. L'offerta e’ la quantità di beni o

servizi posta sul mercato per essere venduta a un determinato prezzo.

La teoria della domanda e offerta è centrale poiché costituisce il

presupposto per la rappresentazione del mercato ideale utilizzato

nell'analisi economica.

Eppure, come si vedrà più avanti, essa comincia a vacillare sotto i colpi

della critica e dei sostenitori dell'economia postcapitalista. In particolare,

alcune osservazioni dell'economista giapponese Oomae Ken'ichi hanno

recentemente ridimensionato questa teoria ormai inadeguata al contesto

internazionale e alla globalizzazione.

La teoria della domanda e dell'offerta ebbe il suo momento d'oro con il

successo della scuola economica dei marginalisti negli anni '70 del XIX

secolo.

I marginalisti contestavano la teoria del valore lavoro che era stata la base

dell'analisi economica. Essi sostenevano che il lavoro speso nella

produzione di una merce è cosa passata che non può avere alcuna

influenza sul valore della merce.

Perciò ignorarono il costo di produzione espresso in ore di lavoro,

considerando esclusivamente il valore d'uso. Dunque l'utilità di un bene

divenne la determinante specifica del valore stesso, ossia il suo costo.

Si aggiungeva a ciò l'interpretazione soggettiva del valore che diede

appunto il nome alla teoria soggettiva del valore. Ricapitolando, i

marginalisti affermano che i prezzi dei beni si formano in un mercato

dove i singoli individui ne richiedono una quantità sulla spinta

dell'esigenza soggettiva.

Questa impostazione psicologista pone come centrali le preferenze del

consumatore e il suo comportamento sul mercato, e fa emergere la

domanda e l'offerta come fondamentale criterio di autoregolazione

dell'economia.

In teoria, il meccanismo dell'equilibrio fra domanda e offerta funziona in

questo modo: quando c'è un eccesso di offerta il prezzo diminuisce finché

la quantità domandata si adegua a quella offerta, se c'è un eccesso di

domanda il prezzo sale finché la quantità domandata si riduce a quella

offerta. Il valore soggettivo è considerato in funzione della quantità

disponibile del bene e misurato alla soddisfazione resa possibile

dall'ultima dose del bene stesso. A questa soddisfazione minima gli

economisti marginalisti danno il nome di utilità marginale.

Ma la teoria soggettiva del valore conteneva i presupposti per la completa

eliminazione di qualsiasi teoria del valore dalla scienza economica. Infatti

questa impostazione rende inutile ogni considerazione dei fattori

psicologici. Gustav Cassel esprime bene questa posizione.

La teoria economica è essenzialmente una teoria dei prezzi. Il suo

compito principale consiste nella spiegazione dell'intero processo

attraverso il quale i prezzi si fissano ai loro effettivi livelli. E' perciò

naturale che, fin dal suo stesso inizio, la teoria debba essere basata sul

concetto di prezzo. Non è necessario, come i vecchi economisti usavano

fare, sviluppare dapprima una speciale teoria del valore e rimandare a una

fase successiva l'introduzione del concetto di prezzo.

Si comprende come la teoria della domanda e dell'offerta, eliminata la

teoria del valore, sia oggi divenuta centrale nella scienza economica

assumendo il ruolo precedentemente svolto da altri concetti.

Eppure, come stiamo scoprendo, la domanda e l'offerta erano soltanto

meccanismi dell'economia che svolgevano un ruolo secondario e

subordinato prima della svolta teorica della scuola marginalista.

In definitiva, il costo di produzione - non già, come spesso si è affermato,

il rapporto tra offerta e domanda - regola necessariamente il prezzo delle

merci. Per un certo tratto di tempo il rapporto che intercede tra offerta e

domanda può certo influire sul valore di mercato di una data merce, fin

che più o meno abbondante non ne divenga l'offerta a seconda che la

domanda sia aumentata o diminuita: effetto questo, per altro, solo di

breve durata.

L'idea che i prezzi delle merci dipendano esclusivamente dal rapporto che

intercede tra offerta e domanda e tra domanda e offerta, divenuta quasi un

assioma dell'economia politica, è stata fonte di parecchi errori nell'ambito

di tale scienza. [...] "Il valore d'ogni merce aumenta sempre in ragione

diretta della domanda e in ragione inversa dell'offerta" [secondo Jean-

Baptiste Say, ndr]. [...] Affermazioni queste, esatte per quanto attiene alle

merci monopolizzate ed anche per quel che concerne il prezzo di mercato

d'ogni altra merce per un periodo di tempo limitato. Se si raddoppia la

domanda di cappelli, ne aumenta immediatamente il prezzo: l'aumento è

però puramente temporaneo se non aumenta il costo di produzione dei

cappelli, cioè il loro prezzo naturale. Se un'importante scoperta scientifica

nell'ambito dell'agricoltura adduce a una diminuzione del 50 per cento del

prezzo del pane, non per ciò si determina un ingente aumento di

domanda, nessuno desiderandone una quantità maggiore di quel che

occorra per soddisfare i propri bisogni; non aumentando la domanda non

aumenta neppure l'offerta: una merce viene infatti offerta, non per il

semplice fatto che è possibile produrla, ma perché viene richiesta.

Con una semplicità disarmante si dimostra che la teoria della domanda e

dell'offerta è soltanto un'ipotesi che trova scarse conferme nella pratica.

L'incertezza della teoria della domanda e dell'offerta viene addirittura

scavalcata dall'economista giapponese di orientamento liberista Oomae

Ken'ichi che propone d'abbandonarla in favore di un'analisi empirica

della nuova economia fondata sul lavoro intellettuale, la rete virtuale di

Internet, la cibernetica e la globalizzazione. Oomae afferma che il prezzo

non è fissato dalla legge della domanda e dell'offerta.

Nella New Economy [il mondo virtuale in cui agisce l'economia

contemporanea] il valore è quasi completamente indipendente dal costo.

Il valore di Microsoft Windows, come quello di una Lexus o di Final

Fantasy (un videogioco di successo), dipende dalla sensazione che il

software produce nell'utente. Se costa poco, è affidabile e compatibile

con altri programmi e computer, il suo valore cresce. Queste

caratteristiche non sono tutte collegate al costo dello sviluppo del

software. E il prezzo di 98 dollari non è fissato dalla legge della domanda

e dell'offerta. A ben vedere, il prezzo di Windows deriva dal suo rango di

piattaforma, e dalle sue possibilità di conservare questo status. A 400

dollari, il prezzo sarebbe stato abbastanza elevato da attrarre altri

concorrenti sul mercato e minacciare la piattaforma. A 20 dollari, il

prezzo sarebbe risultato abbastanza basso da convincere i concorrenti di

poter produrre un'alternativa in grado di offrire un margine più elevato, e

quindi ancora una volta, di minacciare la piattaforma. Bill Gates ha scelto

98 dollari perché è un prezzo abbastanza basso per scoraggiare i

concorrenti nel produrre prodotti alternativi più economici, e abbastanza

alto per generare margini e da convincere gli utenti che vale la pena di

comprarlo. D'ora in avanti i prezzi di beni e servizi dipenderanno dalla

capacità di sfruttare la concorrenza. Chi continua a fissare il prezzo dei

propri beni con un metro di giudizio da vecchio mondo, basato sul costo,

prenderà decisioni sbagliate.

Oomae Ken'ichi reintroduce il concetto di valore e di costo di produzione

riconoscendo implicitamente che la teoria del valore lavoro era in linea di

massima corretta nel vecchio mondo. Ma aggiunge che essa non possa

tenere in considerazione i cambiamenti avvenuti nel sistema economico

contemporaneo. Egli sostiene che la formazione del prezzo non possa

avvenire secondo le propensioni soggettive degli individui, piuttosto sia

fissato dalle organizzazioni economiche più forti (aziende,

multinazionali, istituti finanziari, etc.).

Si passa dunque da una teoria soggettiva del valore a una teoria globale

del valore. Il prezzo viene stabilito dalla concorrenza fra le aziende e

dalla loro capacità di gestire fette sempre più ampie di mercato. Questa

considerazione sposta l'attenzione da un contesto formale che ritiene

liberi gli individui posti nel mercato a un contesto storico che pone in

primo piano il potere delle organizzazioni aziendali e le loro

ramificazioni nel tessuto sociale.

Anche se Oomae Ken'ichi è un sostenitore estremo del liberismo

economico, le sue analisi forniscono ottimi argomenti per comprendere

storicamente lo sviluppo economico. Invece di opporre le differenti

teorie, possiamo convenire che la teoria del valore lavoro è adatta alla

descrizione di una società industriale, la teoria soggettiva del valore è in

parte adeguata a spiegare la società dei consumi di massa, e la teoria

globale del valore è indispensabile per comprendere la società dei servizi

e dell'informazione.

La teoria globale del valore, secondo la quale il valore è indipendente dal

costo ed è fissato dalle organizzazioni aziendali, contraddice e rende

superflua la teoria della domanda e dell'offerta.

Eppure se ci fermassimo qui non avremmo nemmeno sfiorato la

questione principale sollevata da queste osservazioni. Un sistema

economico dove il lavoro non ha più un valore, il prezzo e il profitto non

sono collegati alla produzione, e il mercato non è regolato dalla legge

della domanda e offerta, non può dirsi capitalista.

Infatti sono le definizioni stesse del capitalismo che inequivocabilmente

contraddicono ogni tentativo di riportare questa realtà al vecchio schema

industriale basato sul capitale (possesso dei beni e dei mezzi di

produzione). La gestione della produzione con la tecnica informatica ha

introdotto un elemento virtuale e la smaterializzazione del lavoro.

L'elettronica e la cibernetica hanno svuotato di senso il lavoro materiale.

Il lavoro materiale era prima misurato in ore, l'attuale lavoro intellettuale

viene considerato come una prestazione misurata sull'obiettivo.

Viene pagato il servizio offerto o l'informazione, ciò indipendentemente

dai costi. Però la tecnica informatica rompe la dicotomia fra lavoratore e

mezzi di produzione. Con l'informatica il lavoratore può essere anche il

proprietario dei mezzi di produzione (computer e periferiche). La stessa

rete informatica non ha proprietari ed è condivisa dagli utilizzatori che ne

garantiscono l'esistenza attraverso il loro hardware.

L'economia postcapitalista permette alle grandi aziende una maggiore

penetrazione e pervasività nel mercato attraverso la globalizzazione,

eppure quest'ultima costringe a una estensione della partecipazione che

nessuna multinazionale può controllare. Cade l'opposizione fra chi

produce e chi consuma, in conclusione, fra offerta e domanda.

L’INVESTIMENTO Introduzione

Investimento In economia, impiego di una parte della ricchezza per

sviluppare la produzione (attraverso l’acquisto di macchinari,

attrezzature, materie prime ecc.) oppure per ottenere altri benefici futuri

(interessi, plusvalenze ecc.) attraverso l’acquisto di azioni, obbligazioni,

titoli di credito (detto anche investimento finanziario).

Investimenti, trasferimenti, consumo

Tuttavia, l’investimento finanziario e l’acquisto di beni durevoli (ad

esempio automobili o elettrodomestici), se può rappresentare un

investimento per un singolo individuo o una famiglia, non è tale per

l'economia nel suo insieme. Acquisti e vendite di attività finanziarie

rappresentano meri trasferimenti di ricchezza. Analogamente, l'acquisto

di beni di seconda mano non costituisce alcun incremento netto del

reddito nazionale e, quindi, non è considerato investimento per

l'economia nel suo insieme poiché rappresenta solo un cambiamento nel

possesso di beni esistenti.

Secondo le convenzioni di contabilità nazionale adottate da quasi tutti i

paesi, gli acquisti da parte di singoli individui di beni di consumo

durevoli non sono mai considerati come investimento, ma come 'consumo

privato', poiché si suppone che i servizi che le famiglie ricavano da questi

beni durevoli non si aggiungano al prodotto nazionale o al reddito

nazionale. Analogamente, un'automobile acquistata dalla pubblica

amministrazione non rientra nelle stime degli investimenti.

Per l'economia nel suo complesso l'investimento lordo – o 'formazione di

capitale lordo' nella terminologia della contabilità nazionale – è un

incremento del suo capitale reale, specialmente del suo capitale

produttivo (impianti, macchinari, strumenti, mezzi di trasporto, scorte

ecc.) e del suo capitale umano (compresa la formazione e la ricerca).

Tutti questi investimenti, se si escludono quelli in scorte di materie prime,

rientrano nel concetto di formazione di capitale fisso lordo. Se si

sottraggono gli ammortamenti per il consumo dei beni capitali si ottiene

l'investimento netto o 'formazione di capitale netto'. Quindi, a differenza

di un'automobile acquistata da un privato cittadino, un mezzo di trasporto

acquistato da un'impresa viene considerato investimento, poiché

incrementa il capitale produttivo dell’impresa e del paese.

Determinazione degli investimenti

Per quanto concerne la determinazione del livello dell'investimento

esistono vari approcci. Secondo il 'modello dell'acceleratore'

l'investimento annuo dipende dalla variazione nello stock di capitale

occorrente per determinare una certa variazione nella produzione annua.

Questa idea, se collegata ad altri assunti, riveste un ruolo importante in

alcune teorie dei cicli economici.

La 'teoria neoclassica dell'investimento' considera invece la

determinazione del livello di equilibrio del capitale desiderato in funzione

di variabili come il livello di attività, il prezzo della produzione, il costo

dei beni capitali e il 'costo opportunità' del capitale (il tasso di interesse

che potrebbe venire percepito investendo in attività finanziarie).

L'investimento è quindi determinato dal desiderio di eliminare ogni

divergenza tra lo stock di capitale attuale e lo stock di capitale desiderato

per ogni dato valore delle variabili che determinano quest'ultimo. Si è

cercato più volte di valutare questi rapporti e la 'funzione di produzione'

sottostante ma si tratta di operazioni dense di difficoltà di carattere

econometrico.

Altri approcci enfatizzano l'elasticità delle aspettative dell'impresa, il

ruolo giocato dall'incertezza nel determinare l'investimento, la situazione

di liquidità delle imprese o vari altri fattori. Queste differenti teorie non si

escludono necessariamente a vicenda. Infatti le imprese possono variare i

tempi o il volume dei propri investimenti, la cui determinazione viene

quindi a dipendere in buona parte dal periodo in questione e dalle

circostanze contingenti in cui esse si trovano a operare.

POLITICHE COMMERCIALI: LIBERISMO E PROTEZIONISMO

Gli stessi effetti di una diminuzione del cambio sono ottenibili mediante

sussidi e dazi generalizzati.

I sussidi si traducono in una integrazione dei profitti che nel caso di

incentivazione all’esportazione si applica a chi venda ai mercati esteri: il

profitto unitario netto risulta incrementato per una parte dell’importo del

sussidio, tendendo a indirizzare l’uso delle risorse verso la produzione per

i mercati esteri. I dazi hanno natura e finalità molteplici, sono vere e

proprie imposte dirette che fanno aumentare il prezzo delle merci estere

(entrate fiscali); di norma hanno finalità protettive dei beni e servizi di

produzione nazionale rispetto a quelli di provenienza estera (protezione

tariffaria). Si sono diffusi numerosi strumenti di protezione non tariffaria

rappresentati da:

1. procedure e regolamentazioni spesso in apparenza dirette ad altre

finalità ma che si risolvono in aggravi di costi;

2. contingenti (quote) che consistono nella fissazione di limiti di

quantità fisiche o valutari alle importazioni;

3. limitazioni varie imposte da un paese all’acquisto di merci estere;

4. limitazioni in materia di appalti, concessioni, forniture pubbliche;

5. sussidiazione e altre forme di incentivazione alle esportazioni come

la svalutazione.

Gli effetti del dazio sono:

1. effetti consumo: il dazio provoca un aumento del prezzo che riduce il

consumo interno;

2. effetto produzione: il dazio provoca un aumento del prezzo che fa

aumentare l’offerta interna;

3. effetto importazione: come conseguenza degli effetti precedenti, le

importazioni si riducono;

4. effetto entrate fiscali: le imposte aumentano in misura pari

all’aliquota del dazio moltiplicata per la quantità importata;

5. effetto redistribuzione: i consumatori pagano un maggior prezzo ai

produttori nazionali e il dazio allo Stato.

Il contingentamento delle importazioni viene imposto attraverso la

concessione di licenze ad operatori (imprese o consumatori). Questa

misura di controllo ha effetti simili a quelli dei dazi e dei sussidi

all’esportazione, ma con il contingentamento tendente a ridurre le

importazioni il governo non riceve introiti fiscali ma nemmeno ha spese.

Il contingentamento comporta una redistribuzione di reddito a danno dei

consumatori e a favore degli importatori che godono di rendite di

contingentamento.

Un’altra forma di protezionismo è costituita dalle limitazioni volontarie

alle esportazioni che sono contingentamenti introdotti dal paese

esportatore; simili alle limitazioni volontarie sono gli accordi per mercati

ordinati che sono restrizioni volontarie alle esportazioni che coinvolgono

simultaneamente più paesi. Il requisito di contenuto nazionale minimo

della produzione è una limitazione che accresce la quota di valore

aggiunto locale dei beni importati: anziché importare parti componenti

destinate soltanto ad essere assemblate nel paese, essi tendevano a

stimolare la produzione locale di qualche componente.

Altre forme di protezione della produzione nazionale dalla concorrenza

estera sono crediti agevolati all’esportazione, assicurazione dei crediti

all’esportazione, preferenze agli operatori nazionali nelle commesse

pubbliche, limitazioni amministrative a fini di igiene e sanitari etc…

Il fondamento scientifico del liberismo sta nei vantaggi della

specializzazione a livello internazionale con il principio dei costi

comparati (David Ricardo): se due paesi hanno diversa abilità relativa nel

produrre due beni (si riflette nei costi comparati di produzione) potrà

convenire loro di specializzarsi, ognuno producendo soltanto il bene il cui

costo è comparativamente minore e scambiare l’eccedenza della

produzione di quel bene rispetto alla domanda interna per procurarsi la

quantità desiderata dell’altro bene, prodotto dall’altro paese. Questo

principio presenta delle limitazioni dovute alla natura statica dell’analisi,

alla mancata considerazione delle condizioni di offerta e all’ipotesi di

piena occupazione.

Giustificazioni del protezionismo

1. la difesa delle industrie nascenti: il paese che protegga un’industria

nascente può con il tempo acquisire la capacità ed esperienza e porsi in

condizioni di competere con vantaggio con il paese che abbia iniziato

prima la produzione o finanche pervenire a una posizione di superiorità.

È il caso nel quale esistano economie di scala dinamiche derivanti da

processi di apprendimento, sono legate alla produzione cumulativamente

effettuata nel tempo. La loro esistenza dà luogo alla curva di

apprendimento. Il vantaggio della protezione sta nel fatto che mentre si

riduce la possibilità per la produzione estera di espandersi ulteriormente

sul mercato nazionale, la parte del mercato servita dalle imprese nazionali

si allarga e la quantità totale da esse prodotta può crescere. Con la

protezione possono essere pure presenti effetti esterni positivi (spillover)

sul sistema produttivo del paese.

2. protezione come strumento per migliorare la ragione di scambio: il

dazio è un imposta indiretta e da luogo a traslazione. Il fenomeno è

improbabile quanto maggiore è l’elasticità della domanda; l’elasticità

dell’offerta può essere bassa e questo fattore tende a ridurre la traslazione

del dazio sul prezzo. Una rigidità dell’offerta significa che l’impresa è

disposta a vendere la stessa quantità a un prezzo minore. Ciò è dovuto

all’importanza per l’esportatore estero del mercato del paese che

introduce il dazio, e al fatto che il bene viene prodotto in condizioni di

accentuate economie di scala. Se si mantiene il prezzo dopo

l’introduzione del dazio, la ragione di scambio (RS=px e/pm) migliora

per il paese considerato. Perché il prezzo è al lordo del dazio, togliendolo

la RS diminuisce; quindi il dazio migliora la ragione di scambio anche

nel caso in cui esso venga traslato sul prezzo.

3. la difesa del lavoro straniero a buon mercato: riguardo al problema

della protezione generale dell’industria minacciati dal basso costo del

lavoro esistente all’estero che rende non competitive le attività nazionali

che non siano protette. La tesi è sostenuta in relazione al problema del

dumping sociale, la concorrenza sleale esercitata in molti paesi, in virtù

del fatto che il costo del lavoro in essi sarebbe basso per effetto della

scarsa protezione sociale dei lavoratori.

4. come ausilio ad una politica per l’occupazione: in una situazione di

disoccupazione, il protezionismo può essere uno strumento capace di

riportare il sistema stesso alla piena occupazione. Si può vedere che il

moltiplicatore aumenta se la propensione a importare si abbassa, ciò che

può ottenersi attraverso politiche protezionistiche. Ne consegue che un

dato livello di spesa autonoma porterà a un accresciuto livello della

domanda globale e dell’occupazione. Il protezionismo e la riduzione della

propensione a importare abbassano però il livello delle importazioni del

paese, se l’aumento del reddito che ne consegue è proporzionalmente

minore della riduzione della propensione ad importare. Ma le

importazioni del paese sono le esportazioni del Resto del mondo e quindi

si avrebbe una caduta della spesa autonoma e del reddito del Resto del

mondo; si tratterebbe di una politica che scarica il vicino le difficoltà

interne ovvero che impoverisce il vicino, in quanto l’occupazione del

paese si accrescerebbe a danno di quella degli altri; il protezionismo usato

congiuntamente a politiche monetarie o fiscali espansive, avrebbe

realizzato simultaneamente l’equilibrio interno ed esterno (stessa

importazione aumentando domanda interna e abbassando la propensione).

IL P.I.L.

Il prodotto interno lordo o PIL rappresenta il valore complessivo, al

lordo degli ammortamenti, dei beni e dei servizi che vengono prodotti in

un paese in un certo periodo di tempo (di solito, un anno),

indipendentemente dalla nazionalità dei produttori. Nella maggior parte

dei paesi sviluppati il prodotto interno lordo viene oggi considerato

l'indicatore più appropriato dell'attività economica; fino ai primi anni

Novanta, Germania, Giappone e Stati Uniti utilizzavano un altro

indicatore: il prodotto nazionale lordo (PNL).

Calcolo del PIL

Il PIL è uguale al consumo privato più gli investimenti, più la spesa

pubblica, più la differenza tra esportazioni e importazioni. I diversi settori

economici (agricoltura, industria e servizi), contribuiscono alla

determinazione del PIL in misura differente. Nella maggior parte dei

paesi industrializzati, al PIL contribuiscono per il 60-70% i servizi, per il

25-40% il settore industriale e per meno del 5% quello agricolo.

Il PIL viene solitamente calcolato in base ai prezzi di mercato. Sottraendo

le imposte indirette e aggiungendo i sussidi pubblici alle imprese, il

valore del PIL viene invece espresso in relazione al costo dei fattori; in

quest'ultimo caso si ottiene un'indicazione più precisa circa il reddito

attribuibile ai fattori di produzione. Il PIL può inoltre essere espresso in

base a prezzi costanti oppure correnti (che includono la componente

dell'inflazione).

Il PIL può essere ottenuto in tre modi: sommando il valore di tutti i beni e

i servizi prodotti; sommando la spesa in beni e servizi; sommando le

remunerazioni dei fattori produttivi. In realtà, è impossibile quantificare il

PIL in misura precisa: esiste, infatti, in tutti i paesi, un'economia

sommersa che, non essendo stimabile, non può essere presa in

considerazione nel calcolo del PIL.

Tuttavia il PIL di un paese non corrisponde al livello di benessere dei

suoi abitanti, che viene invece misurato dal prodotto pro capite.

Un indicatore del tenore di vita di un paese è appunto il PIL pro capite,

che viene calcolato dividendo il PIL per il numero di abitanti. Per fare dei

confronti tra i diversi paesi, questo valore viene spesso convertito in

dollari statunitensi. Se il PIL cresce a un tasso superiore a quello della

popolazione, il tenore di vita del paese registra un miglioramento, e

viceversa.

Poiché il PIL pro capite non tiene conto delle differenze del costo della

vita nei vari paesi, alcuni ritengono più rappresentativa una valutazione

del tenore di vita sulla base del PIL espresso in termini di parità dei poteri

d'acquisto (PPA).

Un altro importante indicatore è l'Indice di sviluppo umano (ISU), che è

stato proposto per la prima volta nel 1990 dal Programma delle nazioni

Unite per lo sviluppo programmato (UNDP) e che considera il PIL pro

capite, l'alfabetizzazione della popolazione adulta e la durata media della

vita.

IL DEBITO PUBBLICO

IL Debito pubblico corrisponde all’Ammontare totale di moneta dovuto

da uno stato alla sua popolazione, ad altri stati o a istituzioni

internazionali, quali la Banca internazionale per la ricostruzione e lo

sviluppo. In Italia, il debito pubblico viene contratto a livello nazionale

dal governo centrale e a livello locale dagli organi amministrativi

regionali, provinciali e comunali.

Il debito pubblico nazionale viene creato principalmente mediante

l'emissione di prestiti fruttiferi (con pagamento di interessi) rappresentati

da titoli, in particolare obbligazioni. Storicamente, tali prestiti venivano

contratti dagli stati soprattutto per raccogliere fondi destinati a condurre

guerre o a finanziare opere pubbliche, cioè sostanzialmente per coprire

spese straordinarie o investimenti pubblici.

In epoche più recenti i governi sono ricorsi sempre più frequentemente al

prestito anche per finanziare le spese ordinarie dello stato, o per cercare

di migliorare le condizioni economiche combattendo la disoccupazione e

la depressione; tali spese sono sempre più frequentemente in disavanzo

(ossia non sono coperte da entrate), e vengono finanziate emettendo

nuovi titoli, che accrescono ovviamente l'ammontare del debito.

Non tutti concordano sull'opportunità di mantenere un debito pubblico

elevato, che può risultare inflazionistico. Tuttavia, nel giudicare la

situazione del debito, più che il suo ammontare assoluto, occorre

considerare la capacità di una nazione di provvedere al rimborso e al

servizio del debito (cioè al pagamento degli interessi); infatti i fondi

occorrenti per il servizio e il rimborso devono venire prelevati da ciò che

una nazione produce annualmente (cioè dal suo prodotto interno lordo o

PIL) ed è quindi essenziale che si mantenga una certa proporzione fra il

debito pubblico e il PIL.

Non esistono però criteri fissi per stabilire tale proporzione; in effetti,

oggi il debito pubblico raggiunge in tutti i paesi percentuali elevate del

PIL, fino a oltre il 100%, e tale situazione si può sostenere in quanto i

titoli del debito pubblico hanno scadenze molto lunghe o possono venire

rimborsati alla scadenza emettendo nuovi titoli, cioè contraendo nuovi

debiti che sostituiscono quelli estinti; è ovvio che un simile meccanismo

consente anche di trasferire di fatto l'onere del debito alle generazioni

future.

Più significativo, dal punto di vista economico, è osservare la relazione

fra il disavanzo (o deficit) di bilancio e il PIL. Il disavanzo costituisce

l'eccedenza delle uscite sulle entrate del bilancio di uno stato in un

determinato anno, e va ovviamente tenuto distinto dal debito pubblico,

che è dato dalla somma accumulata di tutti i disavanzi di bilancio che si

sono verificati in passato; ovviamente esiste una relazione fra il debito

pubblico e il bilancio, soprattutto in quanto gli interessi sul debito

pubblico vengono a pesare sul bilancio dei singoli esercizi, per i quali

rappresentano uscite, e contribuiscono quindi a creare disavanzi. Un

disavanzo di bilancio pari al massimo al 3% del PIL è uno dei criteri

fondamentali posti dal trattato di Maastricht per l'ammissione di un paese

all'Unione monetaria europea.

TIPI DI DEBITI

La principale classificazione del debito pubblico nel sistema delle finanze

pubbliche italiane è quella fra debito fluttuante e debito consolidato. Il

primo è una forma di finanziamento con scadenze brevi (da 3 a 12 mesi),

destinato a far fronte a esigenze momentanee di cassa dello stato e creato

mediante l'emissione di buoni del tesoro ordinari o il ricorso a prestiti

della Banca d'Italia o di altre istituzioni creditizie; è amministrato dal

Tesoro. Il debito consolidato in origine era garantito da un fondo, detto

consolidato, che raggruppava varie entrate; oggi il debito consolidato è

venuto praticamente a coincidere con il debito a lunga scadenza e può

essere di due tipi: redimibile e irredimibile. Nel primo caso lo stato si

impegna, oltre a pagare gli interessi, anche a rimborsare il capitale alla

scadenza; il titolo che rappresenta questo tipo di debito è detto

obbligazione; nel caso del debito irredimibile lo stato è obbligato a pagare

gli interessi ma non a rimborsare il capitale e il titolo che lo rappresenta è

detto rendita.

Il debito pubblico si estingue col rimborso dei titoli, alla data di scadenza

o anteriormente, mediante sorteggio; per estinguere quote di debito

pubblico lo stato può anche acquistare i titoli in borsa o esercitare

l'opzione di rimborso anticipato, se le clausole di emissione del titolo lo

prevedono.

Sebbene in genere i prestiti governativi non siano coperti da effettive

garanzie reali, vengono considerati dalla legge come contratti, con

l'obbligo di pagamento da parte del debitore. Talora però gli stati, in

situazioni di forti pressioni causate da gravi crisi economiche o

turbolenze politiche, sono ricorsi all'estremo rimedio di disconoscere il

proprio debito pubblico per intero o in parte.

LA MONETA

Come scrive il premio Nobel Samuelson:

« la moneta, in quanto moneta e non in quanto merce, è voluta non per

il suo valore intrinseco ma per le cose che consente di acquistare. »

(Samuelson, Economia, Zanichelli, 1983, pag. 255)

Per moneta si intende dunque ogni oggetto materiale o entità astratta che

svolga le funzioni di:

• misura del valore (moneta come unità di conto);

• mezzo di scambio nella compravendita di beni e servizi (moneta

come strumento di pagamento);

• fondo di valore (moneta come riserva di valore);

• riferimento per pagamenti dilazionati (funzione implicita nelle tre

precedenti).

La funzione "centrale" della moneta è comunque quella di strumento di

pagamento, visto che tutte le altre funzioni sono o conseguenza di tale

funzione o condizione favorevole per lo svolgimento di questa funzione

stessa.

Mentre nell'antichità esistevano soltanto le monete metalliche, consistenti

solitamente in dischi di varie dimensioni e composizione, usati come

strumenti di pagamento o tesaurizzati, nelle economie moderne alla

moneta metallica si è affiancata o sostituita la moneta cartacea, più facile

da produrre e utilizzare, nonché diverse altre tipologie di "monete"

immateriali, a cominciare dal deposito bancario (in quest'ultimo casi si

parla di "moneta" intesa in senso lato, come strumento di pagamento

complementare rispetto alla moneta in senso stretto).

necessario fare un'importante distinzione tra il concetto di denaro e quello

di moneta.

Il denaro è il circolante accettato del mercato, ossia da tutti, in un distinto

periodo storico. I gettoni telefonici, i miniassegni degli anni '70, le

caramelle date di resto al bar, le hours di Ithaca (N.Y.) sono un esempio

di denaro. In antichità, prima della nascita della moneta in senso stretto, il

denaro era costituito da svariate tipologie di oggetti e non solo: semi di

cacao, conchiglie, barrette di ferro, spiedi, sale (da cui "salario") e così

via.

La moneta (in senso stretto) è il circolante emesso dallo stato in un

distinto periodo storico. La moneta quindi fa parte della categoria del

denaro fino a quando viene accettata dal mercato. Le monete fuori corso e

le monete svalutate non sono più denaro in quanto nessuno le accetta

IL CICLO ECONOMICO

l ciclo economico è l'alternanza di fasi caratterizzate da una diversa

intensità dell'attività economica di un Paese o di un gruppo di Paesi

economicamente collegati.

Fino ai primi decenni del XX secolo, il principale indicatore del ciclo era

il livello dei prezzi, che subiva forti oscillazioni. Successivamente è

iniziata una fase, che ancora dura, in cui il livello dei prezzi mostra un

andamento continuamente crescente; l'attenzione si è quindi spostata sui

livelli della produzione e dell'occupazione e, una volta definiti dopo la

seconda guerra mondiale standard internazionali di contabilità nazionale,

si usa la variazione del PIL come principale indicatore.

Nei cicli economici vengono individuate le seguenti fasi:

• fase di prosperità, o boom, nella quale il PIL cresce rapidamente;

• fase di recessione, individuata da una diminuzione del PIL in

almeno due trimestri consecutivi;

• fase di depressione, in cui la produzione ristagna e la

disoccupazione si mantiene a livelli elevati;

• fase di ripresa, in cui il PIL inizia nuovamente a crescere.

Quanto alla durata delle fasi, si sono individuati tre modelli principali:

• ciclo breve di Kitchin, basato sulle variazioni delle scorte e avente

durate breve, da 3 a 5 anni;

• ciclo medio di Juglar, basato sulle variazioni del credito e delle

riserve bancarie, di 7-11 anni;

• ciclo lungo di Kondratiev, di durata nettamente maggiore; secondo

Simon Kuznets, si sono avuti i seguenti cicli di Kondratiev:

o rivoluzione industriale, dal 1787 al 1842, con un boom nel

1787, una recessione nell'epoca delle guerre napoleoniche,

una depressione durata dal 1814 al 1827, poi una lenta

ripresa;

o ciclo "borghese", dal 1843 al 1897], con un boom nel 1842

favorito dalla diffusione delle ferrovie, una recessione fino al

1857, una depressione fino al 1870 ed una successiva fase di

ripresa;

o ciclo "neo-mercantilista", dal 1898 al 1950 (circa), iniziato

con la diffusione dell'energia elettrica e dell'automobile, con

una fase di recessione a partire dal 1911 ed una di

depressione dal 1925 al 1935.

Più incerta l'individuazione di cicli successivi, per la scomparsa delle

ampie fluttuazioni dei prezzi che avevano caratterizzato i cicli precedenti

e per la diffusione di politiche anticicliche di tipo keynesiano.